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P OCHI SONO GLI STRUMENTI musicali che hanno raggiun- to una popolarità paragonabile a quella della chitarra a partire dalla metà del secolo scorso sino ai nostri giorni. Solo l’aristocratico liuto ebbe, lungo tutto il ‘500, una diffusio- ne simile. Intendiamo per chitarra ( d’ora in poi C. ) quella denominata «classica» che ha avuto, grazie so- prattutto al grande Andrés Sego- via (1893-1987), l’onore di essere ammessa nei circuiti concertistici al pari di strumenti come il piano- forte o il violino. Questo strumen- to non solo ha ottenuto lo status di «Scuola di chitarra» nei Conserva- tori italiani, con un diploma di du- rata decennale, ma è stato un for- midabile veicolo di diffusione ed apprezzamento della musica anti- ca del rinascimento e del barocco, attraverso trascrizioni di lavori de- stinati originalmente al liuto, alla «vihuela», al clavicembalo, o addi- rittura all’organo (La «Frescobal- da» – di Girolamo Frescobaldi – è senz’altro più conosciuta nella ver- sione segoviana che in quella ori- ginale!). Compositori come Hei- tor Villa Lobos, Benjamin Brit- ten, Hans Werner Henze, Goffre- do Petrassi, Joaquin Rodrigo, per citarne solo alcuni, hanno scrit- to magnifici lavori per le sei corde, contribuendo in modo decisivo alla formazione di un repertorio moderno ricco per quantità e qualità. Se estendiamo poi la no- stra attenzione a tutte le varietà di C. che sono nate per precise fi- nalità musicali, elettrica per il Rock ed il Jazz, a corde metalliche per il Blues, a corde doppie per il flamenco ecc… ci troviamo di fronte ad un fenomeno che non ha pari nel mondo della musica. Le seduzioni dello strumento sono facilmente deducibili: è fa- cile da portare, il prezzo, pur mante- nendo una certa qualità, può es- sere contenuto, si presta ad es- sere suonato per pochi accor- di accompagnando la voce ma, quello stesso strumento, nelle mani di un professioni- sta, può eseguire la Ciaccona di J. S. Bach. Non è poco! La vihuela e la chitarra rinascimentale Un rilievo babilonese del 2000 a.C. raffigura un alto dignitario nell’atto di suona- re uno strumento dalle ca- ratteristiche tali da poter essere definito una specie di C. La cassa è a forma di otto e c’è un manico con dei tasti su cui sono tese delle corde. Si- milmente esistono raffigurazioni di epoca egizia at - torno al 1200 a.C. Le origini sono evidentemente antichissime ma, come per altri strumenti, dob- biamo arrivare alla fine del XV secolo per poter iniziare la storia della loro evoluzione con il con- forto di testimonianze certe. Tutti gli studiosi, antichi e moderni, concorda- no nell’affermare che la C. ha avuto origine nel- la penisola iberica. In Spagna infatti appare, tra la fine del XIV e l’ini - zio del XV secolo, uno strumento, la «vihue- la», dalle caratteristiche paragonabili a quelle di una moderna C. Non si è conservato nem- meno un esemplare di questo cordofono, tranne il poco convin- cente reperto conser- vato al museo Jacque- mart –Andre’ a Pari- gi. Nel 1535 a Valencia viene stampato un Li- bro de musica de vihuela de mano intitulado el Mae- stro di Luys Milan. Nel frontespi- zio è raffigurato Orfeo che suo- na uno strumento di dimensioni ragguardevoli, del tutto simile ad uno strumento di oggi. Le differenze consistono in quattro piccole «rose» nelle curvature ad otto della cas- sa oltre a quella centrale e nelle corde che sono doppie (presumibilmente sempli- ce il cantino, quella più acu- ta ). Il libro, di intenzioni didat- tiche e destinato ad ambiente di corte, contiene musiche per sola vihuela ( fantasie, tentos, pavane ) o per voce e vihuela ( villancicos, romances e sone- tos ) su testo spagnolo, portoghese o italiano (Petrarca!). La musica è scritta secondo il sistema dell’in- tavolatura con delle linee che rappresentano le corde e sopra dei numeri che indicano i tasti da premere con le dita della mano si- nistra. La qualità delle composizioni è di notevole valore. Oltre a Luys Milan altri famosi compositori per vihuela fu- rono Luys de Narvaez, il canonico della cattedrale di Siviglia Alonso de Mudarra, Enrique de Valderrabano, Diego Pisador La chitarra di Francesco Rizzoli Filoteo Achillini nell’incisione di M. Raimondi (1510). Orfeo dal frontespizio di Libro de musica, 1535. 62 — cose di musica cose di musica / gli strumenti dell'orchestra – 11 gli strumenti dell'orchestra – 11

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Pochi sono gli strumenti musicali che hanno raggiun-to una popolarità paragonabile a quella della chitarra a partire dalla metà del secolo scorso sino ai nostri giorni.

Solo l’aristocratico liuto ebbe, lungo tutto il ‘500, una diffusio-ne simile.

Intendiamo per chitarra (d’ora in poi C.) quella denominata «classica» che ha avuto, grazie so-prattutto al grande Andrés Sego-via (1893-1987), l’onore di essere ammessa nei circuiti concertistici al pari di strumenti come il piano-forte o il violino. Questo strumen-to non solo ha ottenuto lo status di «Scuola di chitarra» nei Conserva-tori italiani, con un diploma di du-rata decennale, ma è stato un for-midabile veicolo di diffusione ed apprezzamento della musica anti-ca del rinascimento e del barocco, attraverso trascrizioni di lavori de-stinati originalmente al liuto, alla «vihuela», al clavicembalo, o addi-rittura all’organo (La «Frescobal-da» – di Girolamo Frescobaldi – è senz’altro più conosciuta nella ver-sione segoviana che in quella ori-ginale!). Compositori come Hei-tor Villa Lobos, Benjamin Brit-ten, Hans Werner Henze, Goffre-do Petrassi, Joaquin Rodrigo, per citarne solo alcuni, hanno scrit-to magnifici lavori per le sei corde, contribuendo in modo decisivo alla formazione di un repertorio moderno ricco per quantità e qualità. Se estendiamo poi la no-stra attenzione a tutte le varietà di C. che sono nate per precise fi-nalità musicali, elettrica per il Rock ed il Jazz, a corde metalliche per il Blues, a corde doppie per il flamenco ecc… ci troviamo di fronte ad un fenomeno che non ha pari nel mondo della musica.

Le seduzioni dello strumento sono facilmente deducibili: è fa-cile da portare, il prezzo, pur mante-

nendo una certa qualità, può es-sere contenuto, si presta ad es-sere suonato per pochi accor-di accompagnando la voce ma, quello stesso strumento, nelle mani di un professioni-

sta, può eseguire la Ciaccona di J. S. Bach. Non è

poco!

La vihuela e la chitarra

rinascimentaleUn rilievo babilonese del 2000 a.C. raffigura un alto dignitario nell’atto di suona-re uno strumento dalle ca-

ratteristiche tali da poter

essere definito una specie di C. La cassa è a forma di otto e c’è un manico con dei tasti su cui sono tese delle corde. Si-milmente esistono raffigurazioni di epoca egizia at-torno al 1200 a.C. Le origini sono evidentemente antichissime ma, come per altri strumenti, dob-biamo arrivare alla fine del XV secolo per poter iniziare la storia della loro evoluzione con il con-forto di testimonianze certe.

Tutti gli studiosi, antichi e moderni, concorda-no nell’affermare che la C. ha avuto origine nel-la penisola iberica. In Spagna infatti appare, tra

la fine del XIV e l’ini-zio del XV secolo, uno strumento, la «vihue-la», dalle caratteristiche paragonabili a quelle di una moderna C. Non si è conservato nem-meno un esemplare di questo cordofono, tranne il poco convin-cente reperto conser-vato al museo Jacque-mart –Andre’ a Pari-gi. Nel 1535 a Valencia viene stampato un Li-bro de musica de vihuela de mano intitulado el Mae-

stro di Luys Milan. Nel frontespi-zio è raffigurato Orfeo che suo-na uno strumento di dimensioni ragguardevoli, del tutto simile ad uno strumento di oggi.

Le differenze consistono in quattro piccole «rose» nelle curvature ad otto della cas-sa oltre a quella centrale e nelle corde che sono doppie (presumibilmente sempli-ce il cantino, quella più acu-ta ).

Il libro, di intenzioni didat-tiche e destinato ad ambiente di corte, contiene musiche per sola vihuela ( fantasie, tentos, pavane) o per voce e vihuela (villancicos, romances e sone-tos) su testo spagnolo, portoghese o italiano (Petrarca!). La musica è scritta secondo il sistema dell’in-tavolatura con delle linee che rappresentano le corde e sopra dei numeri che indicano i tasti da premere con le dita della mano si-nistra. La qualità delle composizioni è di notevole valore.

Oltre a Luys Milan altri famosi compositori per vihuela fu-rono Luys de Narvaez, il canonico della cattedrale di Siviglia Alonso de Mudarra, Enrique de Valderrabano, Diego Pisador

La chitarradi Francesco Rizzoli

Filoteo Achillininell’incisionedi M. Raimondi(1510).

Orfeo dal frontespizio di Libro de musica, 1535.

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e Miguel de Fuenllana. La vita dello strumento è splendi-da e breve. Conosciuto in Italia con il nome di «viola»

la possiamo ammirare nel ritratto del po-eta Filoteo Achillini (1466-1533), mentre canta accompagnan-dosi con il piede sinistro appoggiato sull’astuc-cio dello strumento. L’incisore è il celebre

Marcantonio Rai-mondi . Gli affreschi

della cupola del duomo di Orvieto di Luca Signo-relli raffigurano angeli che imbracciano la viola. Perché la vihuela sia spa-rita nel corso della metà del ‘500 resta un mistero. Forse vi fu un problema di reperimento di corde ido-nee per le sue dimensioni?

C’è una curiosa ed impor-tante novità nel libro di musiche per vihuela di Alonso de Mudar-ra: l’inserzione di sei pezzi scritti per uno strumento più piccolo della vihuela e con solo tre corde dop-pie ed una singola. Que-sto strumento si chia-ma «guitarra». Mudar-ra chiede quasi scusa per questa concessione di

musiche per uno strumento ri-tenuto popolare rispetto al-la sua aristocratica parente. Due anni dopo, in Italia, in un libro di musiche per liuto di Melchiorre de Barberis compaiono quattro fanta-sie per «chitarra da sette cor-

de». Nel 1550 c’è una fioritu-ra di edizioni francesi sempre

per la C. a quattro cori (come vengono chiamate le corde dop-

pie accordate all’unisono).La C. appare quindi con il suo etimo –

tar in sanscrito significa corda –, prima timida-mente e poi in un crescendo costante. All’ini-zio le forme musicali ad essa destinate sono si-mili a quelle destinate al liuto, fantasie, ricercari

danze, ecc…, quasi che la piccola C. voglia nobi-litarsi affiancandosi per cosi dire al nobile liuto che

in quel momento stava godendo di enorme popolari-tà e prestigio.

La chitarra baroccaAlla fine del ‘500, vuoi che la vihuela abbia «perso» un

coro, vuoi che la C. ne abbia acquistato uno, ap-pare la C. a cinque cori. Questi sono accorda-

ti come le prime cinque corde di una mo-derna C. (a partire dalla più acuta) con

una fondamentale differenza: la quinta corda, il La, veniva accordato un’otta-va sopra rispetto a quella di oggi co-sicché la corda più grave era la quar-ta ossia il Re. In inglese questo tipo di accordatura viene giustamente chiamata «re-entrant», rientrante. I motivi della crescente popolarità dello strumento furono soprattut-to musicali. Dimenticando di imi-tare le complicate polifonie del liu-

to e forte della passata esperienza po-polare, alla fine del ‘500 lo strumen-

to viene suonato per batterie di accordi, con la mano destra che percuote le cor-

de con una tecnica che, in spagnolo, viene chiamata «rasgueado» e sviluppatissima nel-

la musica flamenca. È del 1596 il libro di Juan Car-los Amat Guitarra espagnola y vandola… dove gli accor-

di da eseguire sono indicati con dei numeri (l’dea sembra presa da un manoscritto italiano di Anto-nio Palombi), mentre delle linee in su e in giù indicano il verso dei colpi da dare con la mano destra. Nel 1606 apparirà in Firenze Nuo-va invenzione di intavolatura per suona-re li balletti sopra la chitarra spagnola di Girolamo Montesardo. Ai numeri di Carlos Amat vengono sostituite delle lettere (da cui «l’alfabeto della chitarra spagnola») per indicare gli accordi da eseguire. Non più con-trappuntistiche fantasie ma sem-plici e vigorose sequenze di accor-di da strimpellare. Ma tutto questo

avviene in un momento di scoperta dell’armonia e del «basso continuo», in cui delle strutture accordali sostengono una me-lodia. La modesta C. rivestì quindi un ruolo di diffusione e co-noscenza delle nuove tendenze musicali che tanta importanza avranno nella formazione del melodramma nel corso del ‘600. Le successioni di accordi di danze di origine ispano-americana come la ciaccona, la sarabanda e la passacaglia diverranno po-polari proprio grazie all’intermediazione della C. barocca. Un passo successivo nella composizione di lavori destinati allo stru-mento sarà l’alternarsi di passaggi contrappuntistici con alter-nati «rasgueados». Famosi furono i chitarristi italiani del ‘600.

Ricordiamo Giovanni Paolo Foscarini (L’Accademico Caligi-noso detto Il Furioso), il bolognese Domenico Pellegrini, il no-bile bergamasco Lodovico Roncalli, ed il torinese Giovan Bat-tista Granata allievo del celebrato Francesco Corbetta (1613-1681). Questi, pavese di nascita, ebbe una vita movimentata e si fece ammirare in Italia, Spagna, Germania. Fu, nel 1656 al-la corte di Luigi XIV a Parigi. Il re aveva mostrato tanto interes-se per la C. da creare un nuovo incarico, il «Maitre de guitare du Roy». Naturalmente l’interesse del Re rese lo strumento favori-to dall’aristocrazia. Voltaire scrisse che «a corte non si faceva al-tro che ballare e suonare la chitarra».

Meccanismo di produzione del suono

Prima di entrare in vibrazione, la corda viene ag-ganciata da un dito e spostata dalla posizione di equilibrio. Questo produce una forza che inclina in avanti il ponticello incollato al piano armonico. Una volta rilasciata, la corda vibra e di conseguen-za anche il ponticello che trasmette la vibrazione al piano armonico e , da questo all’aria contenuta nella cassa. Questi 4 oscillatori, corda, ponticel-lo, piano armonico ed aria, sono «accoppiati» tra loro,vale a dire condizionano reciprocamente il loro moto vibratorio. Una situazione notevolmen-te complicata! L’oscillazione del piano armonico e

dell’aria produce l’ onda di pressione sonora.

Francesco Corbetta

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Il pittore Watteau la rappresentò spesso e con precisione nei suoi bellissimi quadri. Corbetta fu poi alla corte d’Inghilterra da Carlo II dove ebbe popolarità ed onori. Il suo libro più famo-so La Guitarre Royale – Parigi 1671 – contiene dodici suite e pez-zi per due chitarre «a la maniere que plait le mieux à sa Majestè… le plus delicate et le moins embarrassante». Quando morì, sul Mercure appar-ve un epitaffio:

Ci g’it l’Amphion de nos jours, Francois cet home si rare Quifitparleràlaguitare Le vrai langage de l’amour…

Robert de Visèe suo allievo ed insegnante del delfino gli dedi-carà un’allemanda «Tombeau de monsieur Francisque».

La Spagna barocca ebbe in Santiago de Murcia e Gaspar Sanz i migliori chitarristi compositori. Di quest’ultimo Joaquin Ro-drigo, nel 1956, userà i temi tratti dalla Instrucion de musica sobre la guitarra nella Fantasia para un gentilhombre per C. ed orchestra dedi-cata ad Andrés Segovia.

Una corda in piùNella prima metà del ‘700 vi sarà un calo nella produzione di composizioni di valore per il nostro strumento che è tuttavia sempre presente nelle mani dei dilettanti. Ma in questa specie di letargo musicale si stanno preparando delle grosse novità che saranno alla base di una vigorosa rinascita nella seconda me-tà del secolo. Non sappiamo né dove né quando, la C. «perse» le corde doppie per quelle singole ed acquistò una corda in più, la sesta, nella regione grave. La cassa divenne leggermente più grande e più profonda. Questo avvenne probabilmente attor-no alla metà del Settecento ma gli strumenti con queste carat-teristiche che sono arrivati sino a noi sono solo degli ultimi an-ni del secolo. È per questa C. che Luigi Boccherini scrisse i dodi-ci quintetti (per C. e quartetto d’archi) per la delizia del suo me-cenate, il Marchese di Benavente .Tra questi, in particolare quel-li denominati Del Fandango e la Ritirata di Madrid assegnano al no-stro strumento un ruolo fondamentale nella evocazione di rit-mi ed armonie tipicamente spagnole.

Con questa C. si accompagnò il tenore García nella serenata del conte di Almaviva Se il mio nome e fu causa del fiasco della pri-ma del Barbiere di Siviglia di Gioacchino Rossini. García si mise infatti ad accordare lo strumento in palcoscenico, suscitando le risate del pubblico romano del Teatro Argentina.

A Parigi il napoletano Ferdinando Carulli (1770-1841) fu di-datta e concertista apprezzatis-

simo (il suo «Metodo» è an-cor oggi impiegato) e co-

si gli spagnoli Dionisio Aguado e Ferdinan-do Sor (1778-1839). Quest’ultimo su-

scitò l’entusia-smo del pub-blico inglese e russo meri-tando gli ap-

prezzamenti del famoso criti-

co Francois Fètis.Il pugliese Mau-

ro Giuliani (Bi-sceglie 1781-1829)

fu applaudito nel-la Vienna di Beetho-

ven, Moscheles e

Diabelli, eseguendo tre suoi concerti per C. ed orchestra e componendo un gran numero di Sonate, esercizi, Sere-nate, Variazioni, Lied, Ariette… Niccolò Paganini fu un grande chitarrista (Sonata concertata, Sonata per chi-tarra sola con accompagnamento di violino, quartetti ecc..): il suo strumento con la firma e quella di Hector Berlioz (anch’egli chitarrista) è esposto al Mu-seo del Conservatorio di Parigi. Si racconta che il grande genovese progettò di suonare assieme al bravo Luigi Legnani al Teatro Carignano di To-rino ma il progetto andò a monte perché egli insi-steva per suonare la C. dando il violino a Legnani!

Verso la metà dell’Ottocento la C. iniziò una deca-denza che la portò fuori dal circuito degli strumen-ti «seri» per essere relegata nei circoli degli «aficiona-dos». Anche questa volta però vi fu una decisiva tra-sformazione. Il liutaio Antonio Torres diede alla C. le dimensioni e le proporzioni della moderna C. «classi-ca» che noi proponiamo di chiamare semplicemente C., lasciando altre aggettivazioni alle sue sorelle elet-triche, acoustic ecc…

Torres ideò anche un nuovo sistema di incatenatura a ventaglio del piano armonico (le catene sono listel-li di legno incollati sotto al piano armonico) che diede maggiore sonorità e un timbro unico allo strumento.

Per questa C. Francisco Tarrega (1852-1909) fon-dò una nuova scuola impostando le basi tecniche per entrambe le mani, scale, arpeggi ,legati, effet-ti ecc… scrivendo centinaia di esercizi e bel-lissime composizioni ( ricordiamo Re-querdos de la Alhambra con l’effetto del «tremolo»! .Ma Tarrega iniziò a tra-scrivere opere di Bach, Chopin, Al-beniz, Haendel destinate original-mente al violino, al pianoforte, al clavicembalo allo scopo di dimo-strare che la C. era in grado di soste-nere un discorso musicale elevato e di proporlo nella normale rete con-certistica. I suoi sforzi non furono va-ni. Andrés Segovia, dotato di straor-dinarie capacità tecniche e musi-cali continuò il lavoro di trascri-zione, recuperò lavori originali del rinascimento e del baroc-co nel contempo provvide di un repertorio contempora-neo lo strumento con lavori a lui dedicati da composito-ri quali Villa Lobos, Ponce, Castelnuovo Tedesco, Tan-smann ed altri…

Alirio Diaz, Narciso Ye-pes, Julian Bream e John Wil-liams hanno continuato, ognuno con caratteristiche personali, l’ope-ra del grande Maestro. Oggi la C. è uno strumento che anche nel suo aspetto più se-vero, quello del Conservatorio, è amatissimo dalle gio-vani generazioni.

Può forse esservi il pericolo che in questo ecces-so di amore la C. ritorni ad essere suonata esclusiva-mente nei circoli ad essa dedicati anziché apparire, co-me era riuscito a fare Segovia, nei normali programmi del-le società concertistiche al pari del violino o del pianoforte. ◼

Andrés Segoviadisegno di Daphne Dobson

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enzo guido è uno dei giovani liutai ita-liani più preparati e apprezzati per i suoi strumenti. Ho suonato le sue chitar-

re che hanno, oltre ad un’inconsueta prontezza e facilità di emissione, una lavorazione raffinata ed elegante. Enzo ha accettato gentilmente di ri-spondere ad alcune domande.

Che qualità deve possedere una buona C.?Deve avere una chiarezza polifonica, una pron-

tezza di attacco, un buon volume e proiezione di

suono, una tastiera morbida e una ric-ca varietà timbrica. Tutte queste carat-teristiche dovrebbe-ro essere finalizza-

te all’ottenimento di uno strumento, inte-

so nel vero senso della parola «strumento», cioè

quel qualcosa che ti permet-te di esprimere un’idea musicale.

Il lato estetico è importante ma non fi-ne a se stesso. Una bella C. che non suona è utile solo come soprammobile. Se si riesce ad ottenere un’originalità esteti-ca, ben venga. Nella progettazione e realizzazione dei miei strumenti mi avvalgo spesso dell’uso della sezione aurea, che è un’espressione matematica che crea un rapporto di proporzioni fra i vari elementi. Fra le molte cose che bol-

lono in pentola, ultimamente sto sperimentando l’applica-zione dell’uso del diapason a 432, che apre una nuova fine-stra su rapporti armonici attinenti alla sezione aurea.

Che differenze ci sono tra una Antonio Torres della metà ‘800 e uno strumento moderno?

Antonio Torres è stato un grande liutaio operante nel-la seconda metà del ‘800. È considerato inventore della C. moderna ottenuta aumentando leggermente le dimensio-ni dello strumento e usando un sistema d’incatenatura a ventaglio che era già conosciuto e usato nell’area spagno-la nella fine del ‘700 nell’ambito degli strumenti popolari. Questo cambiamento ha portato a un aumento delle carat-teristiche sonore dello strumento in termini sia di qualità sia di quantità di suono. Molti liutai moderni oggi usano lo stesso identico sistema, quindi si appoggiano ad una con-solidata tradizione con risultati sonori grosso modo simili, mentre altri preferiscono sperimentare altri tipi di incate-nature, materiali ecc. Questi strumenti innovativi, quando sono di buona fattura hanno generalmente una maggiore

emissione sonora e una varietà timbrica che differisce no-tevolmente da strumento a strumento.

Quali sono i legni ideali per uno strumento eccellente? Hai prova-to legni diversi?

Non c’è un tipo di legno ideale. Più che il legno stesso, è importante la sensibilità del liutaio nello scegliere quel-li che sente più appropriati per lo strumento che vuole co-struire. Diciamo che esiste un modello stereotipato che a me sta molto stretto, che prevede un buono strumento re-alizzato con fondo e fasce di Palissandro Rio e piano ar-monico di cedro o abete. Per mia indole sono curioso e re-frattario ai modelli prestabiliti, quindi amo sperimentare legni diversi che stimolano continuamente la mia ricerca. Uso con piacere vari tipi di Palissandro meno conosciuti, tipo Camatillo, Palo Escrito ecc. e altri legni duri prove-nienti dalle zone tropicali di vari continenti. Anche i meno esotici acero, noce, cipresso, pero, ciliegio e in genere tut-ti i legni da frutto usati tra l’altro anche nel periodo d’oro della liuteria cremonese. Il corretto uso di questi legni con-

In conversazione con il liutaio Enzo Guido

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sente la costruzione di chitarre che nulla hanno da invidia-re in termini di suono al più blasonato, e costosissimo, Pa-lissandro Rio.

Lo strumento migliora invecchiando?In una certa misura sì. Credo tuttavia che il maggior mi-

glioramento avvenga grazie a un corretto modo di suona-re lo strumento.

Quante ore di lavoro sono necessarie per costruire una C.?Per quanto mi riguarda, per mio standard qualitativo, ho

bisogno di duecento ore di lavoro attivo, che con i tempi di attesa per colle e vernici ecc., aumentano sensibilmen-te. Questi tempi sono riferiti alla costruzione di una C. al 100% artigianale, in cui ogni singola parte è attentamente costruita e assemblata con le altre con la massima cura, il tutto realizzato assolutamente a mano con un minimo au-silio di macchinari.

C’è un particolare liutaio del passato che ammiri particolarmente?Nutro una particolare stima e ammirazione per il lavoro

di Louis Panormo, un costruttore di origine italiana ope-rante a Londra nei primi anni del ‘800. Lo ammiro per la

sua modernità. È stato un precursore di Torres usando il sistema d’incatenatura a ventaglio alcuni decenni prima di lui. Amo costruire copie dei suoi modelli. In omaggio a questo costruttore ho adottato per le mie chitarre la forma leggermente variata della paletta dei suoi strumenti.

Qual è il commento più strano che tu abbia sentito su una tua C.?Di commenti ne ho sentiti tantissimi, ma quello che mi

colpisce sempre è la differenza di giudizio data da chitarri-sti diversi su uno stesso strumento. Il tono che è percepito dolce da uno è aspro per l’altro. La stessa cosa vale per tutti i parametri dello strumento, estetica compresa. Quindi, il mio compito è fare attenzione, quando chiedo giudizi, nel distinguere ciò che è oggettivo da ciò che è soggettivo per evitare di perdermi nel seguire queste indicazioni.

È giusta la ricerca di un maggior volume di suono o porta a scadi-mento di altri parametri?

La ricerca di un maggior volume sonoro intesa come do-veroso tentativo di far evolvere lo strumento è sempre giu-

stificata. Ovviamente i risultati possono piacere o me-no. Gli strumenti così ottenuti li considero come un colore, una possibilità in più per il chitarrista che in questo modo può scegliere fra un’ulte-riore qualità e quantità timbrica. In alcuni ca-si questa quantità extra di volume può evita-re l’uso di un’amplificazione, cosa che in ogni caso è sempre auspicabile quando il chitar-rista debba confrontarsi con un’orchestra o suonare in una sala molto grande, evitando di esasperare se stesso, i suoi colleghi musici-sti e il pubblico.

Che manutenzione richiede nel corso degli anni uno stru-mento di qualità suonato costantemente?

Gli elementi di maggior usura (a parte le cor-de che vengono sostituite, spero!) sono i tasti, la tastiera, il manico, le meccaniche e la verni-ce nei punti in cui lo strumento viene a contatto con il chitarrista. Tutti questi punti ed elemen-ti dovrebbero periodicamente essere controlla-

ti e se necessario ritocca-ti per avere lo strumen-to sempre al meglio del-le sue possibilità. Per un violinista è normale anda-re almeno una volta l’anno o anche più spesso dal liutaio per controllare lo strumento, anima, ponticello, tastiera, incri-natura dell’arco ecc. Da questo pun-to di vista noto una certa pigrizia da par-te dei chitarristi.

Grazie Enzo per la pazienza e la disponibilità. Spero che dal tuo laboratorioaChioggiaescanostrumentisemprepiùraffinatiedesti-nati a chitarristi in grado di valorizzarne le qualità squisitamente musicali. ( f.r.) ◼

Nelle foto,Francesco Rizzolicon Enzo Guido.

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