J.D. Salinger L’uomo che scrisse il libro perfetto

2
a a a g a a a a a ag a a aa a a a à (a a a a a a g a g a Ha a9 a a a aa a a a 95 4 a a a 95 a a a a ga a a a a a a a g a a ga a a a a a H a a a a a a a g a a aa ga a a 988 a a a aa aa a g a a aa a a a a a H a a a a a g a a a a a a a a ga a aa a aa aa a a a g a g a a a a a a agg a a agg a a a aa a ag a a a a a a a a a a a a a a 95 a a a a g a a a a a a a a a a a a a a a a a a ag a g a a a a a a g a a H ga a a a a (K a a a a a ag a ga a ( a a a ga ag a aga a a a aga g a a a a a g a a a a a a aa aa H a a a a ( a a a g a a a a a a a a a a a a a agg a g a a a a H ag a g aa aga g a a a ga a a a a ( a a a H a a a a a a a a a a a a a a g ag g a g a a a a a a 2 g 58 a a gg a aa a a a a a a aa a a H a a H F H g a a a a a a a H a a a a a g a a a ag a a a a a a à aa a ga a a a aa a a a a g ( a a a a a a a a a a aa a g a a g g a a a a a a a a a a g a a ag a H H a a aa a a a a a a H a a a a a Ga g a a H a aF a g a g a aa a ag a a a a a H a a a g a a aa a a ( a a a a a a a a a a a a F a a 9 g aa 25 g a 22

Transcript of J.D. Salinger L’uomo che scrisse il libro perfetto

Page 1: J.D. Salinger L’uomo che scrisse il libro perfetto

uando Jerome David Salin-ger morì, dieci anni fa, nes-suno dei misteri che aveva-no accompagnato l’esisten-za dello scrittore più ama-to al mondo nella seconda metà del Novecento (vab-

bè: mettiamoci un forse…) venne svelato. Nessun testamento pubblico, nessun roman-zo pronto per essere pubblicato, nessun se-greto. Salinger morì a Cornish, New Hamp-shire, a 91 anni, nella modesta casa sulle colli-ne in cui si era “volontariamente recluso” nel 1953, 47 anni prima. Dal 1965 non aveva più pubblicato una riga e anzi, aveva schiera-to uno stuolo di avvocati per impedire che venissero tirati fuori suoi scritti giovanili, let-tere private, fotografie, che dalle sue opere venissero tratte commedie, musical, dram-mi e soprattutto che Hollywood stesse lonta-no dalla sua letteratura.

Ebbe un matrimonio, due figli e un rapido divorzio; poi, tre altre storie paraconiugali, ma brevi. Dal 1988 era sposato con Colleen O’Neill, un’infermiera ricamatrice di quilt, di quarant’anni più giovane, di cui non esi-ste una dichiarazione, tantomeno un’intervi-sta o un ritratto. In sostanza Holden Caul-field – l’Adamo americano che Salinger ave-va modellato con la creta – era morto come aveva sognato di fare da adolescente: in una capanna al limitare di un bosco, lontano dal mondo, o meglio dal “genere umano”. Lo scrittore non era riuscito a staccarsi dal suo personaggio, o era stato il suo personaggio ad averlo chiuso in una casa in campagna perché non si staccasse da lui? Mistero, che ha alimentato un mito letterario fiabesco e senza fine.

Anche l’inizio è decisamente straordina-rio. Tutto inizia nel 1951, quando a New York viene pubblicato il romanzo di un giovane scrittore, che si è fatto apprezzare per alcu-ni racconti molto brevi pubblicati dalla rivi-sta The New Yorker. Siamo ad appena sei an-ni dalla fine vittoriosa della guerra, il genera-le Eisenhower è il presidente della bomba atomica, la best generation si celebra con i machisti Ernest Hemingway e Norman Mai-ler. In questo clima conformista (Kerouac e Capote sono ancora due puntini all’orizzon-

te) prende il largo questo libretto dal titolo enigmatico: The Catcher in the Rye, letteral-mente “Il Prenditore (termine del baseball) nel campo di segale”, protagonista un ragaz-zo ricco bocciato a scuola, che vaga per tre giorni in una Manhattan piena di phonies, gente ipocrita e fasulla, prima di tornare a casa. Si chiama Holden Caulfield, ha dicias-sette anni (e «se proprio volete saperlo: sono ancora vergine»), è un loser, ma buffo e irresi-stibile. Il titolo deriva dalla scena madre del racconto, quando la sorellina Phoebe – dieci anni, simbolo dell’innocenza e della saggez-za – gli chiede cosa vuol fare nella vita, e Hol-

den si immagina migliaia di ragazzini che giocano, irresponsabilmente, in un campo di segale senza sapere che confina con «un dirupo pazzesco» (“some crazy cliff”); ma per fortuna c’è lui, Holden, l’unico adulto, che si incarica di prenderli al volo. La missio-ne di un improbabile Salvator Mundi, che non piacque ai critici, né all’establishment, né alle chiese. Innanzitutto per il linguag-gio: comitati di inflessibili genitori immedia-tamente ottennero di vietare il libro nelle bi-blioteche scolastiche, avendo contato 237 goddam, 58 bastard, 31 Chrissakes e soprat-tutto una terribile scoreggia mollata da uno studente mentre il preside ha riunito la scuo-la per fare una ramanzina sui Doveri. Insom-ma, Holden è un ribelle, è un asociale, un nuovo Huckleberry Finn; Holden non crede nello shopping, nell’esercito, nella carriera, nel matrimonio: non sarà mica un comuni-sta? Non c’era pericolo, Holden non piaceva nemmeno ai marxisti: troppo intimista, trop-po borghese; nel libro non ci sono poveri che prendono coscienza, non ci sono schiavi nel-le piantagioni, non c’è l’alienazione capitali-stica. Tutto vero, per carità: ma allora come spiegare il successo straordinario che il li-bro ebbe? Si trattava, prima di tutto, di un miracolo letterario: Salinger (un autodidat-ta) aveva innovato il realismo americano, reinventando e dilatando l’uso del dialogo, democratizzando il gergo, dando alla storia un ritmo musicale in un sense of humor asciutto alla Mark Twain e Ring Lardner; c’è molto jazz nel tragitto in taxi con Horowits lo scorbutico, c’è molto Hopper in Maurice il ruffiano davanti all’ascensore. Woody Allen, Philip Roth, Don DeLillo si occuperanno di tenere alto il mito letterario di una New York che Holden aveva attraversato come un Gran Visir in incognito.

Ma, soprattutto, Holden è simpatico. An-na Freud, la figlia di Sigmund che lavorò de-cenni come psicoanalista tra gli adolescenti, rivelò, con una punta di rammarico, che Hol-den era la persona che i suoi giovani pazien-ti indicavano più spesso come l’amico idea-le. (Anche a lei era simpatico, anche se trova-va in lui tracce di tendenze autoassolutorie e narcisistiche; ma, si sa, i Freud cercano sempre il pelo nell’uovo). Si scoprì che 13 an-

ni era l’età in cui si legge il Catcher, che era il più vietato, ma anche il più richiesto nelle bi-blioteche, e il più rubato nelle librerie.

Anno dopo anno, prima in America, poi gradualmente in tutto il mondo (in Italia e in Urss, per esempio, arrivò nel 1961), Holden Caulfield divenne così il simbolo dell’adole-scenza, o meglio del doloroso passaggio dall’adolescenza ad una età adulta, che pe-raltro il protagonista non ci teneva affatto a conquistare. E qui la storia dell’autore e del suo eroe di carta cominciano a fondersi e il mito a prendere forma; J. D. Salinger, all’api-ce del suo successo (anche commerciale, il li-

bro vende milioni di copie), fa semplicemen-te quello che Holden avrebbe voluto fare: si ritira in campagna, tronca i rapporti con il «mondo materiale», abbraccia, una dopo l’al-tro, filosofie e religioni orientali, diventa un cultore della macrobiotica e di uno stile di vi-ta frugale; scrive, ma lo fa solo per sé, sot-traendosi a tutte le sirene del mercato. Ovve-ro fa quello che una parte non piccola della gioventù di mezzo mondo fa, spinta dagli or-rori di quello che sanno offrire gli adulti occi-dentali (Vietnam, divise, plastica, competi-zione, nevrosi): sceglie un’altra strada, va a vivere in campagna. Chi è vecchio si ricorda:

c’era effettivamente qualcosa di holdenia-no, nell’aria; ma poi giunse il 1980, anno di-scriminante in tutto il mondo. A New York, un ragazzo obeso e squilibrato aspettò tutto il giorno John Lennon davanti al famoso Da-kota Hotel; al mattino gli chiese un autogra-fo, lo ebbe. La sera, quando lui e Yoko Ono tornarono, gli sparò cinque colpi di pistola alla schiena, poi si sedette sui gradini e pre-se a leggere il Catcher. Si chiamava Mark Chapman, è ancora in prigione adesso e ha sempre ripetuto che era stato Holden Caul-field ad ordinargli l’omicidio. Il libro, da quel momento, diventò qualcosa di diverso. Salin-

ger, indicato assurdamente come una sorta di mandante (anche se nel Catcher non c’è mai un incitamento alla violenza), troncò del tutto i suoi legami con il mondo editoria-le e culturale, dal quale peraltro non ebbe mai dichiarazioni di simpatia. Nascevano gli anni Ottanta, svaniva un’idea di letteratura artigianale, coraggiosa e ingenua, per far po-sto al marketing, alla recognition, alla priva-cy, allo star system, alle creative writing schools. Il decennio si chiuse peggio di come si era aperto, quando l’ayatollah Khomeini diede ordine al suo mezzo miliardo di fedeli di uccidere lo scrittore Salman Rushdie, reo di aver offeso – in un libro! – il profeta Mao-metto. E quindi, con tali prospettive, anche i giovani smisero di scrivere e di leggere libri in libertà: era un mestiere che cominciava a diventare pericoloso.

Quella strana coppia americana, il ragaz-zo di carta e il suo silenzioso autore, conti-nuò però ad attirare attenzione e simpatia: i genitori lo passavano ai figli. Il Catcher negli ultimi trent’anni è poi entrato in Asia, diven-tato oggetto di culto in Cina, decine di uni-versità – dalla Malesia all’Australia all’im-mancabile Iran, in cui Holden è più popola-re di Lolita – producono ogni anno centinaia di studi, interpretazioni psiconalatiche, bud-diste, filologiche; mentre sforzi, altrettanto imponenti, si sono occupati del mistero del silenzio decennale del suo autore. Quali so-no state le vere cause del suo eremitaggio? L’anno scorso il figlio Matt (esecutore testa-mentario insieme all’ultima moglie) ha di-chiarato che il padre non aveva mai smesso di scrivere e che lui stesso sta ordinando una quantità enorme di materiale, annunciando che ci vorranno anni per venirne a capo. Ha però voluto escludere che tra gli scritti ci sia qualcosa che riguarda “la guerra”. Sarà ve-ro?

Per tutti i salingeriani del mondo, sarebbe bello che non fosse così. Jerome David Salin-ger venne arruolato nel 1942, giovane aspi-rante scrittore di buona famiglia, figlio di Sol, un ricco importatore ebreo di carne e formaggi e di Mary, cattolica scozzese, con-vertita all’ebraismo con il nome di Miriam. Il nostro soldatino sbarcò a Utah Beach nel D-day, sfilò a Parigi liberata, fu presente alla battaglia del Bulge in cui il suo 12esimo fante-

ria fu decimato, arrivò in Baviera nell’aprile del 1945 e partecipò alla liberazione del cam-po di sterminio di Dachau, in cui alcuni com-militoni del 12esimo, orripilati da quanto vi-dero, passarono per le armi sul posto alcuni guardiani del campo. Un mese dopo Salin-ger venne ricoverato nel reparto psichiatri-co dell’ospedale di Norimberga; tornò in America solo nel 1946, dove finì di scrivere il Catcher, in cui la guerra non c’è, e autore, protagonista e città vivono fuori dal tempo. Kenneth Slawenski, l’ultimo e il più informa-to dei suoi tanti biografi, è convinto che, semplicemente, Salinger si sia “rotto” per lo shock subito, per il senso di colpa, per gli adolescenti cadaveri a Dachau, per l’ipocri-sia che sfoggiavano i vincitori. Insomma, non era riuscito a salvare nessuno di quei ra-gazzini che giocavano sull’orlo del dirupo pazzesco. La sua vita è stata la testimonian-za di una indicibile, spaventosa sofferenza, troppo grande per poter essere raccontata. L’aveva intuito William Faulkner, l’unico che aveva salutato l’uscita del Catcher come un evento eccezionale: «Secondo me, la tra-gedia di Holden non era che non fosse abba-stanza forte, o abbastanza coraggioso, o ab-bastanza meritevole per essere accettato nell’umanità. La sua tragedia è che quando cercò di entrare a far parte della razza uma-na, lì non c’era nessuna razza umana». Ma Sa-linger costruì, con i suoi scritti e ancora di più con il suo silenzio, il mito che una razza umana fosse, un tempo, esistita.

di Enrico Deaglio

Il libroImmaginatelonell’era Trump

f

g

Non era riuscito a staccarsi dal suo personaggio, o era stato il suo personaggio ad averlo chiuso in una casa in campagna perché non

si staccasse da lui? Mistero

f

J.D. SalingerL’uomo

che scrisseil libro perfetto

Perché a dieci anni dalla mortesiamo ancora “giovani Holden”

In quegli anni c’era qualcosa di holdeniano

nell’aria. Poi giunse il 1980L’assassino di John Lennon

disse che glielo aveva ordinato Holden

g

k In posaNovembre 1952, Brooklyn: Jerome David Salinger con una copia del suo Il giovane Holden, pubblicato nel 1951

©RIPRODUZIONE RISERVATA

fFaulkner disse: “La

tragedia del protagonista è che quando cercò

di entrare a far parte della razza umana, lì non c’era

nessuna razza umana”g

R O B I N S O N Copertina

Ne L’ultima moglie di J.D. Salinger (Marsilio,pagg. 160, euro 12,in libreria dal 27 febbraio) Enrico Deaglio rende omaggio a J.D. Salinger, i cui personaggi sono diventati “la sua seconda famiglia”, immaginando come lo scrittore vivrebbe oggi, e incrociando la sua traiettoria con quella di Trump. Con un imprevisto: la nascita dell’amore per la moglie Sylvia

Q

Anto

ny D

i Ges

u/Sa

n Di

ego

His

tori

cal

Soci

ety/

Hult

on

Arch

ive

Coll

ecti

on/

Get

ty Im

ages

R O B I N S O N Copertinapagina 2 Sabato, 25 gennaio 2020.

Page 2: J.D. Salinger L’uomo che scrisse il libro perfetto

uando Jerome David Salin-ger morì, dieci anni fa, nes-suno dei misteri che aveva-no accompagnato l’esisten-za dello scrittore più ama-to al mondo nella seconda metà del Novecento (vab-

bè: mettiamoci un forse…) venne svelato. Nessun testamento pubblico, nessun roman-zo pronto per essere pubblicato, nessun se-greto. Salinger morì a Cornish, New Hamp-shire, a 91 anni, nella modesta casa sulle colli-ne in cui si era “volontariamente recluso” nel 1953, 47 anni prima. Dal 1965 non aveva più pubblicato una riga e anzi, aveva schiera-to uno stuolo di avvocati per impedire che venissero tirati fuori suoi scritti giovanili, let-tere private, fotografie, che dalle sue opere venissero tratte commedie, musical, dram-mi e soprattutto che Hollywood stesse lonta-no dalla sua letteratura.

Ebbe un matrimonio, due figli e un rapido divorzio; poi, tre altre storie paraconiugali, ma brevi. Dal 1988 era sposato con Colleen O’Neill, un’infermiera ricamatrice di quilt, di quarant’anni più giovane, di cui non esi-ste una dichiarazione, tantomeno un’intervi-sta o un ritratto. In sostanza Holden Caul-field – l’Adamo americano che Salinger ave-va modellato con la creta – era morto come aveva sognato di fare da adolescente: in una capanna al limitare di un bosco, lontano dal mondo, o meglio dal “genere umano”. Lo scrittore non era riuscito a staccarsi dal suo personaggio, o era stato il suo personaggio ad averlo chiuso in una casa in campagna perché non si staccasse da lui? Mistero, che ha alimentato un mito letterario fiabesco e senza fine.

Anche l’inizio è decisamente straordina-rio. Tutto inizia nel 1951, quando a New York viene pubblicato il romanzo di un giovane scrittore, che si è fatto apprezzare per alcu-ni racconti molto brevi pubblicati dalla rivi-sta The New Yorker. Siamo ad appena sei an-ni dalla fine vittoriosa della guerra, il genera-le Eisenhower è il presidente della bomba atomica, la best generation si celebra con i machisti Ernest Hemingway e Norman Mai-ler. In questo clima conformista (Kerouac e Capote sono ancora due puntini all’orizzon-

te) prende il largo questo libretto dal titolo enigmatico: The Catcher in the Rye, letteral-mente “Il Prenditore (termine del baseball) nel campo di segale”, protagonista un ragaz-zo ricco bocciato a scuola, che vaga per tre giorni in una Manhattan piena di phonies, gente ipocrita e fasulla, prima di tornare a casa. Si chiama Holden Caulfield, ha dicias-sette anni (e «se proprio volete saperlo: sono ancora vergine»), è un loser, ma buffo e irresi-stibile. Il titolo deriva dalla scena madre del racconto, quando la sorellina Phoebe – dieci anni, simbolo dell’innocenza e della saggez-za – gli chiede cosa vuol fare nella vita, e Hol-

den si immagina migliaia di ragazzini che giocano, irresponsabilmente, in un campo di segale senza sapere che confina con «un dirupo pazzesco» (“some crazy cliff”); ma per fortuna c’è lui, Holden, l’unico adulto, che si incarica di prenderli al volo. La missio-ne di un improbabile Salvator Mundi, che non piacque ai critici, né all’establishment, né alle chiese. Innanzitutto per il linguag-gio: comitati di inflessibili genitori immedia-tamente ottennero di vietare il libro nelle bi-blioteche scolastiche, avendo contato 237 goddam, 58 bastard, 31 Chrissakes e soprat-tutto una terribile scoreggia mollata da uno studente mentre il preside ha riunito la scuo-la per fare una ramanzina sui Doveri. Insom-ma, Holden è un ribelle, è un asociale, un nuovo Huckleberry Finn; Holden non crede nello shopping, nell’esercito, nella carriera, nel matrimonio: non sarà mica un comuni-sta? Non c’era pericolo, Holden non piaceva nemmeno ai marxisti: troppo intimista, trop-po borghese; nel libro non ci sono poveri che prendono coscienza, non ci sono schiavi nel-le piantagioni, non c’è l’alienazione capitali-stica. Tutto vero, per carità: ma allora come spiegare il successo straordinario che il li-bro ebbe? Si trattava, prima di tutto, di un miracolo letterario: Salinger (un autodidat-ta) aveva innovato il realismo americano, reinventando e dilatando l’uso del dialogo, democratizzando il gergo, dando alla storia un ritmo musicale in un sense of humor asciutto alla Mark Twain e Ring Lardner; c’è molto jazz nel tragitto in taxi con Horowits lo scorbutico, c’è molto Hopper in Maurice il ruffiano davanti all’ascensore. Woody Allen, Philip Roth, Don DeLillo si occuperanno di tenere alto il mito letterario di una New York che Holden aveva attraversato come un Gran Visir in incognito.

Ma, soprattutto, Holden è simpatico. An-na Freud, la figlia di Sigmund che lavorò de-cenni come psicoanalista tra gli adolescenti, rivelò, con una punta di rammarico, che Hol-den era la persona che i suoi giovani pazien-ti indicavano più spesso come l’amico idea-le. (Anche a lei era simpatico, anche se trova-va in lui tracce di tendenze autoassolutorie e narcisistiche; ma, si sa, i Freud cercano sempre il pelo nell’uovo). Si scoprì che 13 an-

ni era l’età in cui si legge il Catcher, che era il più vietato, ma anche il più richiesto nelle bi-blioteche, e il più rubato nelle librerie.

Anno dopo anno, prima in America, poi gradualmente in tutto il mondo (in Italia e in Urss, per esempio, arrivò nel 1961), Holden Caulfield divenne così il simbolo dell’adole-scenza, o meglio del doloroso passaggio dall’adolescenza ad una età adulta, che pe-raltro il protagonista non ci teneva affatto a conquistare. E qui la storia dell’autore e del suo eroe di carta cominciano a fondersi e il mito a prendere forma; J. D. Salinger, all’api-ce del suo successo (anche commerciale, il li-

bro vende milioni di copie), fa semplicemen-te quello che Holden avrebbe voluto fare: si ritira in campagna, tronca i rapporti con il «mondo materiale», abbraccia, una dopo l’al-tro, filosofie e religioni orientali, diventa un cultore della macrobiotica e di uno stile di vi-ta frugale; scrive, ma lo fa solo per sé, sot-traendosi a tutte le sirene del mercato. Ovve-ro fa quello che una parte non piccola della gioventù di mezzo mondo fa, spinta dagli or-rori di quello che sanno offrire gli adulti occi-dentali (Vietnam, divise, plastica, competi-zione, nevrosi): sceglie un’altra strada, va a vivere in campagna. Chi è vecchio si ricorda:

c’era effettivamente qualcosa di holdenia-no, nell’aria; ma poi giunse il 1980, anno di-scriminante in tutto il mondo. A New York, un ragazzo obeso e squilibrato aspettò tutto il giorno John Lennon davanti al famoso Da-kota Hotel; al mattino gli chiese un autogra-fo, lo ebbe. La sera, quando lui e Yoko Ono tornarono, gli sparò cinque colpi di pistola alla schiena, poi si sedette sui gradini e pre-se a leggere il Catcher. Si chiamava Mark Chapman, è ancora in prigione adesso e ha sempre ripetuto che era stato Holden Caul-field ad ordinargli l’omicidio. Il libro, da quel momento, diventò qualcosa di diverso. Salin-

ger, indicato assurdamente come una sorta di mandante (anche se nel Catcher non c’è mai un incitamento alla violenza), troncò del tutto i suoi legami con il mondo editoria-le e culturale, dal quale peraltro non ebbe mai dichiarazioni di simpatia. Nascevano gli anni Ottanta, svaniva un’idea di letteratura artigianale, coraggiosa e ingenua, per far po-sto al marketing, alla recognition, alla priva-cy, allo star system, alle creative writing schools. Il decennio si chiuse peggio di come si era aperto, quando l’ayatollah Khomeini diede ordine al suo mezzo miliardo di fedeli di uccidere lo scrittore Salman Rushdie, reo di aver offeso – in un libro! – il profeta Mao-metto. E quindi, con tali prospettive, anche i giovani smisero di scrivere e di leggere libri in libertà: era un mestiere che cominciava a diventare pericoloso.

Quella strana coppia americana, il ragaz-zo di carta e il suo silenzioso autore, conti-nuò però ad attirare attenzione e simpatia: i genitori lo passavano ai figli. Il Catcher negli ultimi trent’anni è poi entrato in Asia, diven-tato oggetto di culto in Cina, decine di uni-versità – dalla Malesia all’Australia all’im-mancabile Iran, in cui Holden è più popola-re di Lolita – producono ogni anno centinaia di studi, interpretazioni psiconalatiche, bud-diste, filologiche; mentre sforzi, altrettanto imponenti, si sono occupati del mistero del silenzio decennale del suo autore. Quali so-no state le vere cause del suo eremitaggio? L’anno scorso il figlio Matt (esecutore testa-mentario insieme all’ultima moglie) ha di-chiarato che il padre non aveva mai smesso di scrivere e che lui stesso sta ordinando una quantità enorme di materiale, annunciando che ci vorranno anni per venirne a capo. Ha però voluto escludere che tra gli scritti ci sia qualcosa che riguarda “la guerra”. Sarà ve-ro?

Per tutti i salingeriani del mondo, sarebbe bello che non fosse così. Jerome David Salin-ger venne arruolato nel 1942, giovane aspi-rante scrittore di buona famiglia, figlio di Sol, un ricco importatore ebreo di carne e formaggi e di Mary, cattolica scozzese, con-vertita all’ebraismo con il nome di Miriam. Il nostro soldatino sbarcò a Utah Beach nel D-day, sfilò a Parigi liberata, fu presente alla battaglia del Bulge in cui il suo 12esimo fante-

ria fu decimato, arrivò in Baviera nell’aprile del 1945 e partecipò alla liberazione del cam-po di sterminio di Dachau, in cui alcuni com-militoni del 12esimo, orripilati da quanto vi-dero, passarono per le armi sul posto alcuni guardiani del campo. Un mese dopo Salin-ger venne ricoverato nel reparto psichiatri-co dell’ospedale di Norimberga; tornò in America solo nel 1946, dove finì di scrivere il Catcher, in cui la guerra non c’è, e autore, protagonista e città vivono fuori dal tempo. Kenneth Slawenski, l’ultimo e il più informa-to dei suoi tanti biografi, è convinto che, semplicemente, Salinger si sia “rotto” per lo shock subito, per il senso di colpa, per gli adolescenti cadaveri a Dachau, per l’ipocri-sia che sfoggiavano i vincitori. Insomma, non era riuscito a salvare nessuno di quei ra-gazzini che giocavano sull’orlo del dirupo pazzesco. La sua vita è stata la testimonian-za di una indicibile, spaventosa sofferenza, troppo grande per poter essere raccontata. L’aveva intuito William Faulkner, l’unico che aveva salutato l’uscita del Catcher come un evento eccezionale: «Secondo me, la tra-gedia di Holden non era che non fosse abba-stanza forte, o abbastanza coraggioso, o ab-bastanza meritevole per essere accettato nell’umanità. La sua tragedia è che quando cercò di entrare a far parte della razza uma-na, lì non c’era nessuna razza umana». Ma Sa-linger costruì, con i suoi scritti e ancora di più con il suo silenzio, il mito che una razza umana fosse, un tempo, esistita.

di Enrico Deaglio

Il libroImmaginatelonell’era Trump

f

g

Non era riuscito a staccarsi dal suo personaggio, o era stato il suo personaggio ad averlo chiuso in una casa in campagna perché non

si staccasse da lui? Mistero

f

J.D. SalingerL’uomo

che scrisseil libro perfetto

Perché a dieci anni dalla mortesiamo ancora “giovani Holden”

In quegli anni c’era qualcosa di holdeniano

nell’aria. Poi giunse il 1980L’assassino di John Lennon

disse che glielo aveva ordinato Holden

g

k In posaNovembre 1952, Brooklyn: Jerome David Salinger con una copia del suo Il giovane Holden, pubblicato nel 1951

©RIPRODUZIONE RISERVATA

fFaulkner disse: “La

tragedia del protagonista è che quando cercò

di entrare a far parte della razza umana, lì non c’era

nessuna razza umana”g

R O B I N S O N Copertina

Ne L’ultima moglie di J.D. Salinger (Marsilio,pagg. 160, euro 12,in libreria dal 27 febbraio) Enrico Deaglio rende omaggio a J.D. Salinger, i cui personaggi sono diventati “la sua seconda famiglia”, immaginando come lo scrittore vivrebbe oggi, e incrociando la sua traiettoria con quella di Trump. Con un imprevisto: la nascita dell’amore per la moglie Sylvia

QAn

tony

Di G

esu/

San

Dieg

o H

isto

rica

l So

ciet

y/Hu

lto

n Ar

chiv

e Co

llec

tio

n/G

etty

Imag

es

R O B I N S O N CopertinaSabato, 25 gennaio 2020 pagina3.