J. McDowell - L'Idealismo Di Hegel Come Radicaliazzazione Di Kant

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«Iride», a. XIV, n. 34, settembre-dicembre 2001 L’idealismo di Hegel come radicalizzazione di Kant John McDowell 1. Robert Pippin ha sostenuto che per capire l’idealismo di Hegel biso- gna rendersi conto di come il pensiero di Hegel sia, allo stesso tempo, ispirato da Kant e critico nei suoi confronti 1 . L’approccio a Hegel che intendo abbozzare si fonda su queste basi. Comincerò appropriandomi semplicemente dell’esecuzione di tale progetto da parte di Pippin, ma mi differenzierò da lui per alcuni aspetti sostanziali che richiamerò a tempo debito. 2. Secondo Hegel, Kant esprime un’intuizione fondamentale quando in- centra la sua spiegazione del valore oggettivo dell’esperienza sull’unità trascendentale dell’appercezione. Nella Scienza della Logica, Hegel scrive: «Appartiene alle vedute più profonde e giuste che si trovino nella Critica della Ragion Pura, che quell’unità, la quale costituisce l’essenza del Con- cetto, sia stata conosciuta come l’unità originariamente sintetica dell’apper- cezione, come unità dell’Io penso, ossia della coscienza di sé» 2 . Hegel si riferisce alla Deduzione Trascendentale della prima Critica 3 . Là, in particolare nella versione della seconda edizione (la «Deduzione 1 Si veda in particolare R. Pippin, Hegel’s Idealism: The Satisfactions of Self-Consciou- sness, Cambridge, Cambridge University Press, 1989. Seguirò Pippin nel concentrarmi sulla risposta di Hegel alla filosofia teoretica di Kant. Credo che questo non impedisca di riconoscere la verità dell’idea secondo cui la risposta di Hegel a Kant non può essere pienamente compresa senza considerare la sua risposta a tutte e tre le Critiche kantiane, e in particolare, forse, alla seconda; ma qui non cercherò di provare questa convinzione. 2 G.W.F. Hegel, Scienza della logica, trad. it. di A. Moni, rivista da C. Cesa, Roma- Bari, Laterza, 1974 3 , II, p. 659. [McDowell cita dalla seguente edizione: G.W.F. Hegel, Hegel’s Science of Logic, trans. A.V. Miller, New York, Humanities Press, 1976, p. 584, N.d.T.]. La lettura hegeliana di Pippin si impernia su questo passo che egli cita a p. 18 di Hegel’s Idealism, cit., e a cui frequentemente ritorna [Si noti che McDowell usa sem- pre «concept» per indicare il concetto in senso kantiano e «Notion» per indicare il «Concetto» in senso hegeliano, N.d.T.]. 3 La comprensione di Kant e, in particolare, della Deduzione B, che esprimerò in questa sezione e nella prossima non è di mia esclusiva proprietà. È il risultato del lavo- ro svolto sulla prima Critica con James Conant e John Haugeland.

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John McDowell ricostruisce alcuni nodi della logica hegeliana, mostrandone (appoggiandosi allo "Hegel's Idealism" di R. Pippin) la coerenza con l'insegnamento kantiano

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«Iride», a. XIV, n. 34, settembre-dicembre 2001

L’idealismo di Hegel come radicalizzazione di KantJohn McDowell

1. Robert Pippin ha sostenuto che per capire l’idealismo di Hegel biso-gna rendersi conto di come il pensiero di Hegel sia, allo stesso tempo,ispirato da Kant e critico nei suoi confronti1. L’approccio a Hegel cheintendo abbozzare si fonda su queste basi. Comincerò appropriandomisemplicemente dell’esecuzione di tale progetto da parte di Pippin, ma midifferenzierò da lui per alcuni aspetti sostanziali che richiamerò a tempodebito.

2. Secondo Hegel, Kant esprime un’intuizione fondamentale quando in-centra la sua spiegazione del valore oggettivo dell’esperienza sull’unitàtrascendentale dell’appercezione. Nella Scienza della Logica, Hegel scrive:«Appartiene alle vedute più profonde e giuste che si trovino nella Criticadella Ragion Pura, che quell’unità, la quale costituisce l’essenza del Con-cetto, sia stata conosciuta come l’unità originariamente sintetica dell’apper-cezione, come unità dell’Io penso, ossia della coscienza di sé»2.

Hegel si riferisce alla Deduzione Trascendentale della prima Critica3.Là, in particolare nella versione della seconda edizione (la «Deduzione

1 Si veda in particolare R. Pippin, Hegel’s Idealism: The Satisfactions of Self-Consciou-sness, Cambridge, Cambridge University Press, 1989. Seguirò Pippin nel concentrarmisulla risposta di Hegel alla filosofia teoretica di Kant. Credo che questo non impedisca diriconoscere la verità dell’idea secondo cui la risposta di Hegel a Kant non può esserepienamente compresa senza considerare la sua risposta a tutte e tre le Critiche kantiane,e in particolare, forse, alla seconda; ma qui non cercherò di provare questa convinzione.

2 G.W.F. Hegel, Scienza della logica, trad. it. di A. Moni, rivista da C. Cesa, Roma-Bari, Laterza, 19743, II, p. 659. [McDowell cita dalla seguente edizione: G.W.F. Hegel,Hegel’s Science of Logic, trans. A.V. Miller, New York, Humanities Press, 1976, p. 584,N.d.T.]. La lettura hegeliana di Pippin si impernia su questo passo che egli cita a p. 18di Hegel’s Idealism, cit., e a cui frequentemente ritorna [Si noti che McDowell usa sem-pre «concept» per indicare il concetto in senso kantiano e «Notion» per indicare il«Concetto» in senso hegeliano, N.d.T.].

3 La comprensione di Kant e, in particolare, della Deduzione B, che esprimerò inquesta sezione e nella prossima non è di mia esclusiva proprietà. È il risultato del lavo-ro svolto sulla prima Critica con James Conant e John Haugeland.

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B»), Kant quasi perviene a un idealismo che è autentico agli occhi diHegel4.

Kant spiega il possesso di significato oggettivo da parte dell’esperien-za – il suo essere costituita di (almeno pretese) intuizioni che hanno perlo meno la pretesa di essere immediatamente di oggetti – sulla base delsuo ricevere forma dalle categorie, i concetti puri dell’intelletto5. Nellacosiddetta Deduzione Metafisica, Della Guida per Scoprire Tutti i ConcettiPuri dell’Intelletto, Kant dice (A 79/B104-5):

La medesima funzione, che fornisce unità – in un solo giudizio – alle diffe-renti rappresentazioni, fornisce altresì unità – in una sola intuizione – alla sem-plice sintesi di diverse rappresentazioni: tale unità, con espressione generale, sichiama il concetto puro dell’intelletto6.

Si può allora descrivere in altro modo la Deduzione dicendo cheKant giustifica il significato oggettivo dell’esperienza sulla base del suoesemplificare unità logiche che sono caratteristiche del giudicare. Riguar-do al giudicare, Kant dice (B 141): «Trovo allora che un giudizio non èaltro se non il modo di portare conoscenze date all’unità oggettiva del-l’appercezione. Nei giudizi la copula «è» tende a questo, per distinguerel’unità oggettiva di rappresentazioni date da quella soggettiva». È attra-verso questo legame tra giudicare, appercezione e intuizione che possia-mo comprendere la sua affermazione, un paio di pagine prima (B 139),nella sezione intitolata «Che cosa sia l’unità oggettiva dell’autocoscienza»:«L’unità trascendentale dell’appercezione è quella che riunisce in unconcetto dell’oggetto tutto il molteplice dato in un’intuizione. Essa si

4 Hegel vede la Deduzione sotto questa luce in Fede e sapere, in Id., Primi scritti cri-tici, a cura di R. Bodei, Milano, Mursia, 1971, pp. 121-261. [McDowell usa la seguenteedizione: G.W.F. Hegel, Faith and Knowledge, trad. ing. W. Cerf and H.S. Harris, Al-bany, SUNY Press, 1977, N.d.T.].

5 Le intuizioni, nel senso in cui se ne parla qui, non possono essere opposte ai con-cetti. Pippin (Hegel’s Idealism, cit., p. 30) dice che Kant, in B 160 (verso la fine dellaDeduzione), «ritratta, in un certo senso, la sua rigida distinzione tra intuizione e intel-letto», ma questa formulazione rischia di essere fuorviante. Nel senso di «intuizione»che è pertinente a un’osservazione come quella nel mio testo, non dovrebbe neppureessere mai sembrato che vi sia una tale rigida distinzione. Cfr. W. Sellars, Science andMetaphysics: Variations on Kantian Themes, London, Routledge and Kegan Paul, 1967,pp. 2-8, e la mia rielaborazione di Sellars in J. McDowell, Having the World in View:Sellars, Kant, and Intentionality (The Woodbridge Lectures 1997), in «Journal of Phi-losophy», XCV (1998), in particolare pp. 451-70). Ma, come vedremo, la questione diPippin è diversa.

6 I. Kant, Critica della Ragion Pura, a cura di G. Colli, Milano, Bompiani, 1976[McDowell utilizza la seguente versione: I. Kant, Critique of Pure Reason, trans. NormanKemp Smith, London, Macmillan, 1929, N.d.T.].

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chiama perciò oggettiva […]»7. Al posto di concetto, penso che qui sipotrebbe dire «consapevolezza concettualmente formata».

Da quanto ho detto prima potrebbe sembrare che Kant s’impegni agiustificare il significato oggettivo delle (pretese) intuizioni – la loro pre-tesa di essere direttamente di oggetti – sulla base di una precedente, pre-sunta comprensione del significato oggettivo del giudizio – la sua rispon-denza al suo contenuto. Ciò lascerebbe aperta la domanda su come in-tendere il presunto punto di partenza della spiegazione, il significatooggettivo del giudizio. Ma io penso che l’idea sia piuttosto quella che,appellandoci all’unità dell’appercezione, noi possiamo capire insieme ilsenso sia del significato oggettivo delle intuizioni sia del significato ogget-tivo dei giudizi. La Deduzione ci rende agevole l’idea di una soggettivitàche è allo stesso tempo in contatto intuitivamente con la realtà oggettivae in grado di formulare giudizi su di essa. Siamo aiutati a dar senso al-l’idea che tale soggettività abbia ognuna di quelle capacità se vediamoche ha anche l’altra8.

Perché a Hegel questo dovrebbe sembrare promettente? Al giudicareè attribuito un posto centrale nella trattazione del significato oggettivo ingenerale. E giudicare vuol dire decidere su qualcosa. Come si decide èaffare personale, qualcosa di cui ciascuno è responsabile. Giudicare vuoldire impegnarsi in una libera attività cognitiva, la quale è l’opposto dellasituazione in cui, nella vita, ci capita semplicemente qualcosa su cui nonpossiamo esercitare alcun controllo. Questo è il punto essenziale di Kantladdove egli descrive l’intelletto – che è «la facoltà dell’appercezione» (B134 n.) – in termini di spontaneità. Si confronti, per esempio, A 50/B 74;e la spontaneità è il tema principale della sezione d’apertura della Dedu-zione B9.

Pippin, a quanto pare, considera il carattere appercettivo del giudica-re come un caso della verità generale che intendersi come essenti ϕ-nti(per una serie di sostituzioni di j che implicano la mente) è in parte co-stitutivo di ciò che è essere ϕ-nti10. Penso che quest’affermazione genera-le sia corretta per il tipo di attività mentali a cui Kant si riferisce. Si

7 «Into» al posto dell’«in» di Kemp Smith: il tedesco è «in einen Begriff» (accusati-vo), non «in einem Begriff» (dativo). Cfr. R.E. Aquila, Matter in Mind: A Study of Kant’sTranscendental Deduction, Bloomington and Indianapolis, Indiana University Press, 1989,p. 136.

8 Per uno sviluppo di questo punto, si vedano le mie Woodbridge Lectures.9 Per un esame dei brani pertinenti si veda R. Pippin, Kant on the Spontaneity of

Mind, ristampato in Id., Idealism as Modernism: Hegelian Variations, Cambridge, Cambri-dge University Press, 1997, pp. 29-55.

10 Cfr. R. Pippin, Hegel’s Idealism, cit., p. 21: «il mio cogliermi implicitamente comepercipiente, immaginante, ricordante e così via è una componente inseparabile di quelche è percepire, immaginare, ricordare, e così via».

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comprende tuttavia meglio tale affermazione se la si intende come qual-cosa che vale in generale piuttosto che come qualcosa di cui l’applicazio-ne al giudicare costituisce un caso particolare: e ciò proprio perché la ca-pacità di giudicare, in particolare, è essenziale per la capacità della mentedi indirizzarsi verso l’oggettivo.

Kant spesso scrive come se ogni occorrenza del tipo di unità che ren-de intelligibile l’indirizzarsi della mente agli oggetti riflettesse un eserciziodi spontaneità appercettiva (Vedi, per esempio, B 129-30). Ma questa èun’affermazione esagerata. Essa lo obbliga, in modo imbarazzante, a pre-vedere esercizi inconsci di spontaneità (Si veda B 130: «ogni congiunzio-ne – sia che possiamo divenirne coscienti sia che non lo possiamo […] èun atto dell’intelletto». Si confronti A 78/ B 103: «La sintesi in generale[...] è il semplice risultato della capacità di immaginazione, di una ciecama indispensabile funzione dell’anima, senza la quale non avremmo asso-lutamente mai una conoscenza, ma della quale siamo coscienti solo dirado»). A Kant serve unicamente che il tipo di unità in discussione sia iltipo d’unità caratteristico del giudizio. Un esempio di quel tipo di unitàdeve essere considerato come realmente prodotto dalla spontaneità, dallalibera attività cognitiva, solo quando unifica «le diverse rappresentazioniin un giudizio». Questo ci permette di dire che le intuizioni (empiriche)semplicemente accadono, fuori del controllo dei loro soggetti. Ma dalmomento che esse esemplificano tipi di unità la cui sede naturale, percosì dire, è nel giudizio, non potrebbero accadere se non nelle vite disoggetti capaci di quella libera attività intellettuale che è il giudicare11. Ilrelativo tipo di unità non può essere compreso che in termini di liberaattività intellettuale. Ed è questo, anziché l’idea misteriosa che la libertàsi eserciti nelle intuizioni, ciò che rende corretto dire che le intuizionisono almeno implicitamente autocoscienti12.

11 Per esempio in Hegel’s Idealism, cit., p. 26, Pippin si esprime come se il contenutodell’esperienza di un soggetto fosse effettivamente giudicato da quel soggetto (Anche unsoggetto la cui esperienza è limitata al «“flusso interiore” dei suoi stati mentali» «sta giu-dicando che tali stati stanno “fluendo” in quell’ordine»). In questo modo il giudicare di-venta così fondamentale che va persa la possibilità di usare giudizio e intuizione per get-tar luce l’uno sull’altro. Il vero punto essenziale è che un soggetto d’esperienza ha intui-zioni la cui unità è quella di possibili giudizi.

12 Vale a dire, possono essere accompagnate dall’«Io penso» dell’appercezione, anchese non sono necessariamente accompagnate da esso (cfr. B 131). Si noti che, perchéqualcosa sia implicitamente auto-cosciente nel senso pertinente, l’«Io penso» deve farparte del repertorio del soggetto; il punto di «implicitamente» è proprio che l’«Io penso»non ha bisogno di accompagnare effettivamente ciascuna delle «mie rappresentazioni».Non si coglie il punto essenziale di Kant se la stessa possibilità di accompagnare esplici-tamente una «rappresentazione» con l’«Io penso» deve ancora essere procurata, medianteuna esplicitazione come quella che nel libro di Brandom viene affrontata solo nel capito-

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Secondo Kant, quindi, noi possiamo comprendere il valore oggettivoconcentrando l’attenzione sulla libera attività intellettuale autocosciente.È evidente che potrebbe sembrare che questo vada in direzione di unidealismo hegeliano, secondo cui l’idea stessa di oggettività si deve com-prendere nei termini delle operazioni liberamente determinanti di un’in-telligenza autocosciente.

3. Non è solo per la centralità attribuita al giudizio che la Deduzione diKant si avvicina a un idealismo autentico secondo la prospettiva hegelia-na.

La Deduzione B è strutturata in modo da evitare un’obiezione sicura.Ciò che Kant vuol sostenere è che il significato oggettivo dell’esperienzapuò essere spiegato sulla base del suo ricevere forma dai puri concettidell’intelletto. L’obiezione è che questa è solo una condizione di pensa-bilità, di conformità ai requisiti dell’intelletto. Ma una condizione di pen-sabilità degli oggetti non è perciò una condizione perché sia possibileche essi siano dati ai nostri sensi. In effetti, una condizione distinta eindipendente di tale possibilità è già stata data, nell’Estetica Trascenden-tale: per poter essere dati ai nostri sensi gli oggetti devono essere orga-nizzati spazio-temporalmente. Nonostante tutto quello che Kant puòdire, gli oggetti potrebbero essere presenti ai nostri sensi anche se nonfossero pensabili13. E ora, se rifiutiamo di considerare come caso in cui siha un oggetto disponibile per la conoscenza ogni stato di un soggetto, ameno che tale stato non abbia un’unità categoriale, noi rendiamo il re-quisito dell’unità categoriale simile a una semplice imposizione soggetti-va, che non ha nulla a che fare con le cose stesse. «Le cose stesse» signi-fica qui le cose in quanto date ai nostri sensi. L’oggettività che minacciadi mancare all’idea di un mondo ordinato categorialmente è l’oggettività

lo 8 (Cfr. R.B. Brandom, Making It Explicit: Reasoning, Representing and Discursive Com-mitment, Cambridge, Mass., Harvard University Press, 1994). Qualsiasi cosa sia ciò chesi ha nei primi stadi della progressione del libro di Brandom, non si tratta nemmeno diqualcosa di implicitamente auto-cosciente nel senso pertinente – non appercettivo. Bran-dom rivendica un’affiliazione kantiana e un’ispirazione hegeliana: tuttavia, sotto questoaspetto – per cui egli descrive la possibilità di un’auto-coscienza esplicita la quale, piut-tosto che essere in assoluto la condizione stessa della presenza della concettualità, emergeinvece dopo che la razionalità è presumibilmente sulla scena già da lungo tempo – ilpensiero di Brandom differisce radicalmente da quello di Kant, e precisamente su unpunto per cui Kant fu una fonte di ispirazione per Hegel, come dimostra il brano dellaScienza della logica che ho citato all’inizio.

13 Cfr. A 89-91/B 122-3 (nel preambolo alla Deduzione Trascendentale, comune aentrambe le edizioni). Questo passo offre una versione di questo stadio della potenzialeobiezione, spiegando perché il compito della Deduzione Trascendentale (mostrare «comecondizioni soggettive di pensiero possano avere validità oggettiva») sia così difficile.

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a cui Kant mira, non quella che egli intende denunciare come un mirag-gio, l’idea che possiamo comprendere le cose del tutto indipendentemen-te dalle condizioni del nostro comprendere cose. Su questa base, la situa-zione si mette male per l’affermazione che Kant ha di mira, vale a direl’affermazione che i puri concetti dell’intelletto abbiano una validità ge-nuinamente oggettiva.

Kant organizza la Deduzione B in modo da prevenire questa obiezio-ne. La mossa essenziale è quella di negare che l’Estetica Trascendentaleoffra una condizione distinta e indipendente perché gli oggetti siano datiai nostri sensi. Possiamo collegare la forma della nostra sensibilità, che èl’argomento dell’Estetica, con l’unità degli stessi spazio e tempo come«intuizioni formali» (B 160 n). Ora ciascuna di queste è essa stessa uncaso della congiunzione di una molteplicità in un’unica intuizione ecome tale cade entro il raggio d’azione del principio guida che Kant fissaall’inizio della Deduzione (B 129-130). Ciò che in realtà egli là dice è cheogni congiunzione, ogni rappresentazione di qualcosa come complesso, èopera della spontaneità appercettiva. E così com’è, questa è ciò che hodefinito una esagerazione; non è necessario che le intuizioni siano operaesse stesse della spontaneità. Ma una versione corretta dell’affermazioneconverrà ugualmente all’intenzione di Kant: nessuna congiunzione ècomprensibile al di fuori di un contesto che includa la possibilità per illavoro della spontaneità appercettiva. Ciò funziona in particolare per lacongiunzione che costituisce le intuizioni degli stessi tempo e spazio.Così la forma della nostra sensibilità, argomento dell’Estetica, non puòdopo tutto essere considerata indipendentemente dalla spontaneità ap-percettiva. L’unità che deriva dalla conformità ai requisiti della nostrasensibilità non è un’unità separata, che ha luogo indipendentemente dal-l’unità che deriva dal dar forma da parte delle categorie14. Su queste basisembra, per lo meno, che l’obiezione non sorga e Kant ritiene di averdiritto di affermare che le categorie si applicano a «qualunque oggettopossa presentarsi ai nostri sensi» (B 159). Egli crede di aver sventato ilrischio che compariva nell’obiezione: il rischio che i requisiti categorialiassumano l’aspetto di una semplice imposizione soggettiva15.

14 Cfr. B 144-5, dove Kant spiega quel che farà nella seconda parte della Deduzione:«Nel seguito […] in base al modo in cui l’intuizione empirica viene data nella sensibilità,si mostrerà che l’unità di tale intuizione [quella del modo in cui l’intuizione empirica èdata nella sensibilità] non è altro se non l’unità prescritta dalla categoria […] al moltepli-ce di una data intuizione in generale». Vi è solo un’unità, comune all’Estetica e all’Ana-litica; non due unità separate e indipendenti.

15 Cfr. R. Pippin, Hegel’s Idealism, cit., pp. 27-31. È questo il contesto in cui Pip-pin fa l’osservazione, da me citata in una precedente nota, che Kant qui «ritratta, inun certo senso, la sua rigida distinzione tra intuizione e intelletto» (p. 30). Ciò chesostenevo nella nota precedente era che le intuizioni di oggetti empirici coinvolgono

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La minaccia che i requisiti categoriali si rivelino un’imposizionesoggettiva è la minaccia che la posizione di Kant sia meramente unidealismo soggettivo. Per allontanare questa minaccia Kant si impegnaa mostrare che i requisiti dell’intelletto non sono solo requisiti sogget-tivi ma requisiti che riguardano genuinamente gli oggetti stessi. Perdirla con le parole che Kant usa nella Deduzione (B 138), ancoraprima di aver finito di esibire il diritto di fare un’affermazione di talgenere:

L’unità sintetica della coscienza è [...] una condizione oggettiva di ogni cono-scenza: non si tratta di una condizione necessaria soltanto per me, al fine di co-noscere un oggetto, ma della condizione cui ogni intuizione deve sottostare, perdiventare oggetto per me.

Oppure, nell’argomento introduttivo ai Principi del Puro Intelletto (A158/B 197): «le condizioni della possibilità dell’esperienza in generalesono anche condizioni della possibilità degli oggetti dell’esperienza [...]».I requisiti dell’intelletto si mostrano dapprima come condizioni soggetti-ve. È in questa maniera che appaiono quando li pensiamo come requisitidell’intelletto. Ma, riflettendo, si presume che risulti che siano contempo-raneamente e ugualmente condizioni degli oggetti stessi. Questa conce-zione, con il suo equilibrio tra soggettivo e oggettivo, tra il pensiero e ilsuo contenuto, è – per lo meno nelle sue aspirazioni – ciò che Hegel ri-conoscerebbe come idealismo autentico16.

l’intelletto in un modo che la Deduzione mira a chiarire; in quel senso non sarebbesembrata una «rigida distinzione». Ma la «rigida distinzione» che Pippin intende èquella tra gli argomenti dell’Estetica e dell’Analitica – tra condizioni richieste poichéla nostra conoscenza è sensibile e condizioni richieste poiché la nostra conoscenza èdiscorsiva. E l’organizzazione che Kant dà al suo libro – prima l’Estetica, poi l’Ana-litica – può sicuramente dar l’impressione (come egli riconosce nella nota in B 160-1) che vi siano due serie indipendenti di condizioni, che le intuizioni pure di spazioe tempo siano indipendenti dai poteri sintetici dell’intelletto. Questo è ciò che Pippinintende quando dice che Kant «ritratta». Ma invece di dire che Kant qui ritrattaqualcosa, sarebbe stato più caritatevole affermare che egli ci dice di non aver maiinteso dare tale impressione.

16 Si potrebbe essere tentati di definirlo come un idealismo oggettivo. Ma questa lo-cuzione ben si adatta a caratterizzare qualcosa di complementare all’idealismo soggettivo,che perde l’equilibrio hegeliano concependo le sue condizioni trascendentali come prima-riamente oggettive, mentre l’idealismo soggettivo le concepisce come primariamente sog-gettive. In questo ruolo la locuzione compare nella risposta critica di Hegel a Schelling,e in generale al tipo di idealismo in cui il mondo reale è visto come un’emanazione daun’anima del mondo; cfr. R. Pippin, Hegel’s Idealism, cit., p. 61. L’idealismo di cui laDeduzione di Kant lascia intravedere la possibilità, perviene a una autentica oggettività,ma non è né soggettivo né oggettivo.

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4. Allora, perché questa resta solo un’aspirazione? Perché la concezionedi Kant non riesce ad essere l’idealismo non meramente soggettivo cuiaspira?

Nella seconda parte della Deduzione B, Kant estende al terreno del-l’Estetica Trascendentale condizioni che all’inizio appaiono come costitu-tive del pensiero spontaneo autocosciente. Il suo obiettivo è di mostrareper questa via che quello è solo il modo in cui tali condizioni appaionoall’inizio; vale a dire, di mostrare che le condizioni non appartengonofondamentalmente al pensiero e tutt’al più in modo derivato agli oggetti,la qual cosa farebbe sembrare la loro applicazione agli oggetti un’impo-sizione soggettiva17.

Ma data la concezione della sensibilità di Kant, l’estensione al terrenodell’Estetica può giungere solo fino al fatto che la nostra sensibilità èformata, ma non fino ai modi specifici in cui è formata, ossia la sua spa-zialità e temporalità. Il massimo che Kant sarebbe in grado di affermareuniversalmente riguardo alla sensibilità in quanto tale, è che ogni sensibi-lità – in ogni caso ogni sensibilità che si associa ad un intelletto discorsi-vo nel produrre conoscenza empirica – deve essere formata in modo dagenerare un’intuizione formale o delle intuizioni formali, che riflettano laforma specifica della sensibilità come spazio e tempo riflettono la speci-fica forma della nostra. Ma rimane una specie di fatto bruto che riguardanoi – dato dall’esterno ai poteri unificanti della spontaneità appercettivae non determinato dal loro esercizio (neanche nel senso più ampio diessere comprensibile solo in un contesto che include il loro esercizio) –che ciò che è unito nelle intuizioni formali riflettenti la forma specificadella nostra sensibilità siano, in modo specifico, lo spazio e il tempo.

Nell’Estetica Kant cerca di fondare una conoscenza a priori sui modispecifici in cui è formata la nostra sensibilità. Ma di fronte al carattere difatto bruto, come egli lo dipinge, della spazialità e della temporalità ri-chieste dalla nostra sensibilità – carattere che permane anche dopo cheegli ha fatto il possibile per includere la forma della sensibilità entro lasfera della spontaneità appercettiva – sembra che gli risulti impossibileconcepire questa conoscenza sia come a priori sia come genuinamenteoggettiva. Quando Kant rappresenta il requisito della spazialità e dellatemporalità in particolare, in quanto opposto alla forma sensibile in ge-nerale, come dato dall’esterno ai poteri unificanti della nostra spontaneitàappercettiva, egli fa apparire come una specie di contingenza il fatto chequalsiasi mondo noi possiamo accogliere attraverso i nostri sensi debbaessere organizzato spazialmente e temporalmente – sebbene si possa dire

17 Cfr. R. Pippin, Hegel’s Idealism, cit., p. 31, dove si afferma che Kant «estende, ocerca di estendere, la sua descrizione delle condizioni concettuali “alla” molteplicità del-l’intuizione stessa».

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che non è una contingenza che ogni mondo sperimentabile debba essereorganizzato in modo da adattarsi ai requisiti di questa o quella sensibili-tà. Il modo più severo di formulare questa critica è di dire che sebbenel’Estetica miri a fondare una conoscenza a priori che sia oggettiva, nel-l’unico senso che possiamo renderci comprensibile, ciò che realizza, inve-ce, è indistinguibile da uno psicologismo soggettivistico18. Comunquestiano le cose con i requisiti che riflettono la discorsività del nostro intel-letto (e sarà necessario che li riconsideriamo), il requisito che rispecchiala forma della nostra sensibilità – il requisito dell’organizzazione spazialee temporale – appare un’imposizione soggettiva. L’idealismo trascenden-tale in senso stretto, che è proprio questa insistenza sul fatto che l’appa-rente spazialità e temporalità del nostro mondo derivano dalla formaspecifica della nostra sensibilità, si rivela come idealismo soggettivo.

E il marcio si diffonde. Prima di aver considerato l’idealismo trascen-dentale sotto questa luce, l’estensione da parte di Kant dell’unità apper-cettiva al territorio dell’Estetica sembrava prevenire l’obiezione che i re-quisiti dell’intelletto fossero una semplice imposizione soggettiva. Maquella che sembrava essere una dimostrazione che i puri concetti dell’in-telletto hanno validità oggettiva dipende essenzialmente dalla strutturaformale specifica della nostra sensibilità. Kant lo chiarisce in B 148-9:

I puri concetti dell’intelletto [...] si estendono a oggetti dell’intuizione, in ge-nerale, non importa che questa risulti simile alla nostra o no, purché sia sensibi-le e non intellettuale. Quest’estensione ulteriore dei concetti, al di là della nostraintuizione sensibile, non ci serve tuttavia a nulla. In effetti, si tratta allora diconcetti privi di oggetti: mediante quei concetti non possiamo giudicare, riguar-do a tali oggetti, se siano mai possibili, oppure no. Si tratta di semplici forme dipensiero, senza realtà oggettiva, poiché non abbiamo a disposizione alcuna intui-zione cui l’unità sintetica dell’appercezione – la quale costituisce l’intero conte-nuto di quelle forme – possa essere applicata e, nell’essere così applicata, possadeterminare un oggetto. Solo la nostra intuizione sensibile e empirica può pro-curare a tali concetti [senso e significato (Sinn und Bedeutung)].

Se ci lasciamo andare – secondo l’incoraggiamento di Kant – a consi-derare l’idea di sensibilità formate in modo diverso dalla nostra, possia-mo supporre che tali sensibilità produrrebbero intuizioni formali che ri-specchierebbero i loro modi specifici di essere formate così come spazioe tempo rispecchiano il nostro. E possiamo forse immaginare che esseriprovvisti di tali sensibilità potrebbero costruire proprie deduzioni tra-scendentali della validità oggettiva del pensiero categoriale, ciascuno uti-

18 Questo è, come ben noto, ciò che Hegel dice dell’idealismo di Kant, in una partemolto diffamata delle sue Lezioni sulla storia della filosofia. Cfr. R. Pippin, Hegel’s Idea-lism, cit., p. 264, n. 5, e la parziale difesa di Hegel che Pippin cita nel suo capitolo 5.

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lizzando l’idea – come fa la Deduzione di Kant – che l’unità della manie-ra in cui l’intuizione empirica è data nella loro sensibilità non è nient’al-tro che l’unità imposta dalla categoria alla molteplicità di una data intui-zione in generale (cfr. B 144-5). Ma questa fantasia non è di alcuna uti-lità al compito che abbiamo di rivendicare la validità oggettiva del pen-siero categoriale per noi. Tale compito ci richiede di allontanare la mi-naccia che i requisiti categoriali siano solo imposti soggettivamente adoggetti in quanto dati ai nostri sensi. Si tratta della stessa minaccia chesembrava sventata dall’osservazione di Kant che l’unità delle intuizioniformali, spazio e tempo, è essa stessa un caso dell’unità oggettiva dell’ap-percezione.

Ma ora risulta che nel contesto dell’idealismo trascendentale propriol’idea di oggetti in quanto dati ai nostri sensi deve essere vista come ilriflesso di un’imposizione soggettiva. E così il massimo che Kant puòpretendere di aver stabilito, costruendo la Deduzione B in modo da al-lontanare la minaccia che i requisiti dell’intelletto sembrino un’imposizio-ne soggettiva, è che non vi è nessuna imposizione soggettiva ulterioreimplicata nella richiesta che un mondo empiricamente conoscibile da noisi conformi ai requisiti dell’intelletto. Ma l’intero complesso dei requisitirisulta contagiato dall’imposizione soggettiva alla quale, come Kant hamostrato in quel modo, noi non aggiungiamo nulla quando passiamodalla considerazione dei requisiti della sensibilità alla considerazione deirequisiti dell’intelletto – l’imposizione soggettiva implicata nella richiestache un mondo conoscibile da noi sia organizzato spazialmente e tempo-ralmente, come l’idealismo trascendentale ci spinge a concepire quel re-quisito. L’apparenza che quelli che Kant presenta in prima istanza comerequisiti dell’intelletto, e quindi come condizioni soggettive, si rivelinoinvece essere parimenti anche condizioni oggettive, condizioni degli og-getti stessi, dipende essenzialmente dall’accettabilità dell’interpretazionedegli «oggetti stessi» come «oggetti in quanto dati ai nostri sensi». Ma sela caratteristica relativa degli oggetti in quanto dati ai nostri sensi – illoro essere organizzati spazialmente e temporalmente – rispecchia un’im-posizione soggettiva, la promessa di un equilibrio proto-hegeliano trasoggettivo e genuinamente oggettivo era illusoria. L’intera costruzione diKant, a causa dell’idealismo trascendentale su spazio e tempo che ne staalla base, è ridotta ad essere un idealismo soggettivo.

Ciò rende urgente riconsiderare l’idea che il riferirsi a cose in quantodate ai nostri sensi sia tutta l’oggettività che possiamo comprensibilmentevolere in requisiti dell’intelletto – che ogni concezione più ambiziosa dioggettività è un miraggio. Se esistono delle condizioni perché sia conosci-bile da noi come sono le cose, allora dovrebbe essere un truismo direche le cose sono conoscibili da noi solo nella misura in cui esse si con-formano a quelle condizioni. E Kant vuole che ogni aspirazione a un’og-

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gettività che va al di là del riferirsi alle cose in quanto date ai nostri sensisembri un’aspirazione a ciò che potrebbe essere solo un miraggio, unaviolazione di quel truismo. Ma è ugualmente truistico che la condizioneperché le cose siano conoscibili da noi debba essere una condizione dellapossibilità del nostro conoscere come le cose sono. E se una presuntaforma generale dei casi di come sono le cose viene rappresentata come ilsemplice riflesso di un fatto che riguarda noi – così come l’idealismo tra-scendentale si rappresenta l’organizzazione spaziale e temporale del mon-do di cui facciamo esperienza – allora ciò rende impossibile vedere ilrelativo fatto che riguarda noi come ciò su cui si basa una condizione delnostro conoscere che le cose (realmente) sono in un modo o in un altroentro quella forma. L’idealismo trascendentale assicura che Kant nonpuò riuscire a rappresentare la forma della nostra sensibilità come la fon-te di una condizione perché le cose siano conoscibili da noi.

Di conseguenza la supposta validità oggettiva che Kant attribuisce airequisiti dell’intelletto, sulla base dell’argomentazione che quei requisiti siriferiscono alle cose in quanto date ai nostri sensi, non è riconoscibilecome autentica validità oggettiva: e ciò proprio perché i requisiti attribuitialla nostra sensibilità non sono riconoscibili come condizioni perché siaconoscibile che le cose sono organizzate spazialmente e temporalmente inquesto e quel modo. Dire che i requisiti dell’intelletto si riferiscono allecose in quanto date ai nostri sensi non è, come a Kant serve che sia, unaltro modo di dire che i requisiti dell’intelletto si riferiscono alle cosestesse, nell’unica interpretazione comprensibile che possiamo dare di taleaffermazione. Volere una concezione diversa di oggettività non è quelche Kant vuole che sembri – essere irritati per la limitazione che si assu-me sia posta dal truismo che le cose sono conoscibili da noi solo nellamisura in cui si adeguano alle condizioni del nostro conoscerle. Natural-mente trovare una pesante limitazione imposta da un truismo potrebbeessere solo un’illusione. Ma Kant tratta quel che, per gli scopi della suaargomentazione, vuole che sia quel truismo, in modo da farlo apparirecome qualcosa che ponga una restrizione. Secondo l’idealismo trascen-dentale le nostre capacità di conoscere le cose arrivano solo fino a uncerto punto e al di là di quel limite vi è qualcosa che non possiamo co-noscere – se le cose stesse sono realmente organizzate spazialmente etemporalmente. E l’idea che noi non possiamo sapere se le cose stessesono realmente organizzate spazialmente e temporalmente mina la possi-bilità di riconoscere come conoscenza la presunta conoscenza fenomeni-ca che le cose sono organizzate spazialmente e temporalmente, conoscen-za che si presume noi possiamo raggiungere all’interno di quel limite19.

19 Dovrebbe essere evidente che questa obiezione non può essere respinta come se sibasasse su di una ingiustificata lettura dualistica di Kant (dualismo che sussisterebbe tra

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5. Posso aver dato l’impressione, almeno inizialmente, di assumere sem-plicemente che per Kant sarebbe stata una buona cosa raggiungere unidealismo che incorporasse l’equilibrio hegeliano tra soggettivo e oggetti-vo. La mia descrizione delle conseguenze debilitanti del suo fallimentonel far ciò dovrebbe aver dissolto ogni impressione di tal genere. Guar-dare a Kant in questo modo suggerisce che un idealismo critico riuscitosarebbe stato speculativo in senso hegeliano.

Il tentativo di Kant di assicurare ai requisiti dell’intelletto validitàoggettiva – il riferimento a qualcosa che possiamo genuinamente conce-pire come gli oggetti stessi – viene meno perché, sebbene egli riesca aportare la pura forma della sensibilità entro il raggio d’azione diun’unità che si può comprendere solo sulla base del suo ruolo nellalibera attività intellettuale, tuttavia qualcos’altro resta fuori – la puramateria della sensibilità nella forma caratteristica in cui ci è propria20.È questo un modo di esprimere la tesi che spazio e tempo sono tra-scendentalmente ideali, il che è ciò che mina la possibilità di conside-rare come validità genuinamente oggettiva ciò che Kant garantisce airequisiti categoriali21.

Il vero problema è che la pura materia della sensibilità si oppone adessere incorporata dentro la sfera del tipo di unità che è realizzata dallaspontaneità appercettiva. L’ovvia conclusione è che nulla di quantorientra nella nostra capacità di metterci cognitivamente in relazione congli oggetti deve essere trascurato. Se dobbiamo accogliere la fondamen-tale intuizione critica che le condizioni della possibilità del nostro co-noscere cose non possono essere viste come derivate da indipendenticondizioni delle cose stesse, pensando nello stesso tempo le condizioniin modo che siano genuinamente riconoscibili come condizioni del no-stro conoscere cose, allora non c’è alcun punto d’arresto, a meno di non

i due mondi dei fenomeni e delle cose in sé). Ho formulato l’obiezione in un modo chenon contraddice l’identificazione kantiana delle «cose come oggetti d’esperienza» con«quelle stesse cose come cose in sé» (B XXVII). L’identificazione non fa nulla per ri-muovere il fatto che Kant rende l’organizzazione spaziale e temporale delle cose comeoggetti d’esperienza un semplice riflesso di un fatto che ci riguarda.

20 È caratteristico di Kant che l’idea della sensibilità in quanto formata dovrebbe es-sere essa stessa suscettibile di articolazione in forma e materia, cosicché il contrasto for-ma-materia si ripete a un altro livello. La forma della nostra sensibilità, il suo essere spa-ziale e temporale, è un esempio essa stessa di una forma – l’unità che costituisce le intui-zioni formali – e di una materia – gli stessi spazio e tempo, che sono ciò che l’unitàunifica.

21 Che si possa esprimere, come ho fatto io, la ragione per cui Kant fallisce – eglicomprende entro la sfera della spontaneità appercettiva la forma ma non la materia dellanostra sensibilità pura – mette in evidenza come questa obiezione sia un caso del diffusolamento di Hegel contro il formalismo kantiano.

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portare la totalità di tali condizioni entro la sfera di una libera attivitàintellettuale22.

Da questo punto di vista, possiamo vedere come Kant meriti la lodeche riceve da Hegel – per esempio nel passo che ho citato dalla Scienzadella Logica – per il suo tendere a un idealismo in equilibrio tra soggetti-vo e oggettivo. Questo è ciò che anima il suo tentativo di mettere l’unitàoggettiva dell’autocoscienza al centro del suo quadro. Ma lo si deve rim-proverare – sebbene certo non così severamente come fa Hegel – per nonaver capito che ciò a cui mira non può essere ottenuto a meno di portareentro la sfera dell’unità dell’autocoscienza spontanea tutto ciò che è atti-nente alla nostra capacità di dirigere le nostre menti agli oggetti.

Spero che il modo in cui ho fatto emergere questa concezione dal-l’esame di Kant sia servito a rendere concepibile l’idea che Hegel potreb-be aver ragione: solo la concezione propria di Hegel salvaguarda l’intui-zione kantiana fondamentale. Ma perché l’idea sia credibile, è essenzialesottolineare che ciò che a Kant si obbietta di aver lasciato fuori dellasfera della spontaneità appercettiva è esattamente, e unicamente, ciò chenel suo pensiero figura come la materia delle pure intuizioni di spazio etempo. Il problema non ha a che fare tanto con la concezione kantianadelle intuizioni empiriche, ma piuttosto con il fatto che egli inquadra taleconcezione entro l’affermazione che spazio e tempo sono trascendental-mente ideali, il che appare nella Deduzione B come il fatto bruto del-l’esteriorità della materia delle nostre intuizioni pure. Una concezionekantiana delle intuizioni empiriche – comprensibilmente di oggetti, per-ché essi esemplificano unità del tipo che è caratteristico del giudizio –

22 Henry Allison caratterizza utilmente l’idealismo trascendentale nei termini di unadistinzione tra «condizioni della possibilità della conoscenza di cose» e «condizioni dellapossibilità delle cose stesse». Cfr. H. Allison, Kant’s Trascendental Idealism: An Interpre-tation and Defense, New Haven, Yale University Press, 1983, p. 13. Il realismo trascen-dentale, o pre-critico, respinge la distinzione considerando le condizioni della possibilitàdella conoscenza come meramente derivate da autonome condizioni della possibilità dellecose. Allison asserisce che ogni tentativo di respingere la distinzione, mantenendo il ba-silare pensiero critico che la conoscenza non si può comprendere nei termini di una purapassività, degenera inevitabilmente in un fenomenismo soggettivistico. Ma questo rispec-chia l’assunto di Allison in base al quale ogni tentativo di respingere la distinzione restan-do critici potrebbe essere solo una controparte simmetrica del realismo trascendentale:una controparte per la quale ad essere autonome in quanto tali sono le condizioni «sog-gettive», mentre per il realismo trascendentale sono le condizioni «oggettive» ad essere inquanto tali autonome. Ad andare persa è l’alternativa hegeliana, la quale si ispira al modoin cui Kant vuole pensare i requisiti dell’intelletto: le condizioni rilevanti sono insepara-bilmente sia condizioni del pensiero sia condizioni degli oggetti, non primariamente ol’uno o l’altro. Si vedano le mie osservazioni su Allison in J. McDowell, Mind and World,Cambridge, Mass., Harvard University Press, 1994, p. 43, n. 18 (trad. it. di C. Nizzo,Torino, Einaudi, 1999).

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riesce quasi a mostrare in modo soddisfacente come l’idea stessa di valo-re oggettivo si possa intendere in termini di libera attività intellettuale(ciò è più facile da capire se correggiamo quanto ho descritto come unatendenza da parte di Kant ad esagerare la portata dell’effettiva attivitàspontanea). Quel che rovina le cose è proprio che, quando allarghiamo ilquadro per inserirvi anche l’idealismo trascendentale, ne risulta che gli«oggetti» – definiti da noi in modo tale da intendere le intuizioni comeintuizioni immediate di essi – avendo un tipo di unità che deve essere in-tesa in termini di spontaneità appercettiva, sono in fin dei conti, sotto ilpunto di vista decisivo – la loro spazialità e temporalità – semplici riflessidi un altro aspetto della nostra soggettività, aspetto che è indipendentedalla spontaneità appercettiva. Se possiamo fare in modo che l’idealismotrascendentale non strutturi il quadro, non siamo soggetti a questa delu-sione. Sbarazzarci della cornice è proprio quel che ci serve per arrivare,per lo meno da quest’angolazione, alla radicalizzazione di Kant fatta daHegel. Nel quadro che ne risulta, gli oggetti di intuizioni empiriche appa-iono, da un lato, genuinamente oggettivi, dall’altro tali che la stessa ideadel nostro poterli vedere esige il ricorso alla spontaneità appercettiva.

Vi è una tendenza ad accusare Hegel di ricostruire la realtà oggettivacome il precipitato di movimenti totalmente spontanei della mente, e asupporre che Kant, vedendo la materia delle nostre pure intuizioni comeesterna alla spontaneità dell’intelletto, si immunizzi contro ogni similesvalutazione dell’indipendenza del mondo23. Ma questo è esattamente ilcontrario della verità. Il fatto che Kant incardini all’interno di un ideali-smo trascendentale di spazio e tempo il suo tentativo di rivendicare vali-dità oggettiva per le categorie è proprio ciò che, lungi dall’assicurare unrealismo del senso comune riguardo alla realtà oggettiva, assicura inveceche non è realmente validità oggettiva quanto si è mostrato essere pro-prio delle categorie. E il modo per salvaguardare la concezione del sensocomune di una realtà empiricamente accessibile in quanto indipendenteda noi, mantenendo nello stesso tempo il fondamentale pensiero critico,è precisamente capire il nostro modo di sbarazzarci di quella cornice.

Ciò è importante per una caratteristica del rapporto di Hegel conKant cui finora non ho fatto cenno: il suo rifiuto della netta distinzionekantiana tra intelletto e ragione. In Kant l’intelletto è condizionato dallasensibilità, mentre la ragione è incondizionata. Ora la condizionatezza inquestione è proprio ciò che rovina lo sforzo di Kant verso un idealismonon soggettivo. In questo contesto, dire che l’intelletto è condizionatodalla sensibilità significa esattamente che la sfera della spontaneità apper-

23 Si veda, per esempio, M. Friedman, Exorcising the Philosophical Tradition: Com-ments on John McDowell’s Mind and World, in «Philosophical Review», CV (1996), pp.427-67, in particolare pp. 439-44.

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cettiva non include la pura materia dello spazio e del tempo. La questio-ne non riguarda l’obbligazione del pensiero empirico verso la realtà di-schiusa nell’esperienza. Quella non è, semplicemente in quanto tale, unaviolazione della libertà di appercezione. Essa costituisce quel che potrem-mo considerare, piuttosto, come il mezzo in cui si esercita quella libertà.Il discorso hegeliano circa il perseguimento della conoscenza come atti-vità incondizionata della ragione rifiuta il quadro in cui Kant inserisce ilsuo tentativo in direzione di tale concezione, non la concezione stessa.Tale discorso hegeliano non manifesta «una tendenza ad allontanare ilpensiero razionale dall’esperienza sensibile e a minimizzare gli elementiempiristici della concezione di Kant»24.

6. Ho seguito Pippin nel considerare la Deduzione B, e in particolare lasua seconda parte, come una fonte kantiana d’ispirazione per Hegel. Perquanto riguarda i dettagli, mi sono però allontanato dalla trattazione diPippin. Spero che dire qualcosa su questo renderà più preciso il quadro.Prenderò in considerazione due questioni fondamentali.

In primo luogo, Pippin non individua il modo in cui la Deduzionenon riesce a essere hegeliana – ossia il fatto che all’interno di una pro-spettiva fondamentalmente kantiana la pura materia della nostra sensibi-lità non può essere inclusa entro la sfera della spontaneità appercettiva.Allo stesso modo, egli non puntualizza come la Deduzione pervengaquasi alla riuscita. Giustamente egli sceglie il tentativo di estendere ilcampo d’azione dell’appercezione nella sfera dell’Estetica come misuradell’avvicinamento di Kant a una posizione hegeliana. Non richiama,tuttavia, l’attenzione sul punto decisivo che l’estensione non può che ri-guardare solo la forma delle nostre intuizioni pure. Piuttosto egli consi-dera l’estensione dell’appercezione alla sfera della pura intuizione, carat-terizzata in modo meno preciso di quanto non si sia fatto sopra (egli nonfa osservazioni sulla sua restrizione a forma come opposta a materia),come una caduta proto-hegeliana di Kant dalla sua posizione più carat-teristica25. Ed egli vede gli esiti di questa presunta caduta, presi tutti in-

24 M. Friedman, Exorcising the Philosophical Tradition, cit., p. 440. Naturalmenteio non nego che rifiutare la cornice, e di conseguenza far posto per vedere il perse-guimento della conoscenza come l’attività incondizionata della ragione, abbia conse-guenze sostanziali per la prospettiva di Kant. In modo significativo, la validità oggettivadi requisiti «ideali» può diffondersi sul terreno della Dialettica Trascendentale dellaprima Critica. Requisiti che Kant può considerare solo come regolativi – come rispon-denti ai nostri bisogni soggettivi piuttosto che caratterizzanti la stessa realtà oggettiva– si possono considerare come oggettivamente validi. Cfr. R. Pippin, Hegel’s Idealism,cit., p. 68.

25 Si veda il passo discusso nelle note precedenti di R. Pippin, Hegel’s Idealism, cit.,p. 30. Cfr. p. 37: «Se […] Hegel ha ragione circa il fatto che la stessa questione kantiana

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sieme, come se esemplificassero un idealismo che dovrebbe essere, inquanto tale, congeniale a Hegel. Così, quando difende l’affermazione chela tendenza della Deduzione è idealistica, ciò su cui dirige l’attenzione èil fatto che, come la intendeva lo stesso Kant, la Deduzione mostra lavalidità oggettiva delle categorie solo in relazione agli oggetti dell’espe-rienza umana26.

Ma, in primo luogo, l’estensione dell’appercezione tanto quanto laforma della pura intuizione non è una caduta. Tale estensione è, agliocchi di Kant, cruciale per il successo cui può mirare la Deduzione. Nonè incompatibile con l’Estetica ma, al massimo, corregge un’impressionefuorviante che potrebbe essere data dal fatto che Kant parte dall’Estetica(Da qualche parte deve iniziare). E, in secondo luogo, l’idealismo impli-cato nel registrare che la Deduzione mostra una validità oggettiva dellecategorie solo in relazione agli oggetti dell’esperienza umana è l’idealismoconsiderato come un unico blocco: tale idealismo, come ho sottolineato,è ridotto ad essere idealismo soggettivo dall’idealismo trascendentale ri-guardo alla materia delle nostre forme dell’intuizione pura, idealismo tra-scendentale che persiste anche quando Kant corregge l’apparenza che laforma di quelle forme sia indipendente dall’appercezione. Questo non èesattamente un idealismo che Hegel avrebbe approvato. Per trovare trac-cia nella Deduzione di un idealismo che Hegel avrebbe approvato dob-biamo rilevare – cosa che Pippin non fa – i limiti dell’estensione da par-te di Kant dell’appercezione alla sfera della pura intuizione. Questo è ciòche spalanca la prospettiva di un autentico idealismo che sarebbe rag-giunto oltrepassando quei limiti. Hegel in Fede e sapere sostiene che«l’unità interna» dell’attività dell’immaginazione trascendentale in Kant«non è altro che l’unità dell’intelletto [Verstand] stesso»27. Pippin affer-ma che questo «sarebbe energicamente rifiutato da Kant»; nonostante ilpasso della Deduzione B cui Hegel dà tanta importanza, «la posizioneprevalente di Kant è chiaramente che l’intelletto non può produrre unitàentro l’esperienza «da solo», che sono necessarie la forma e la materiadell’intuizione»28. Ciò è coerente con il suggerimento di Pippin che la

della condizione appercettiva di ogni possibile esperienza mina la sua rigida distinzionetra concetto e intuizione […]».

26 Cfr. R. Pippin, Hegel’s Idealism, cit., p. 32; e (particolarmente inquietante) p. 267,n. 23, dove (sotto il titolo (2)) Pippin argomenta circa il fatto che la fiducia della Dedu-zione Trascendentale nelle intuizioni pure «idealizza necessariamente l’argomento». Iltema essenziale di quella annotazione è che la Deduzione implica un impegno a favoredell’idealismo trascendentale. Ma, se ho ragione, in tal modo non si identifica l’aspettodella deduzione che deve aver colpito Hegel come indicante nella giusta direzione: piut-tosto quello è proprio il motivo per cui agli occhi di Hegel la Deduzione non funziona.

27 G.W.F. Hegel, Fede e sapere, cit., p. 157.28 R. Pippin, Hegel’s Idealism, cit., p. 77.

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quasi riuscita della Deduzione dipende da qualcosa di estraneo al pensie-ro fondamentale di Kant. Ma, come ho insistito, l’estensione alla formadelle pure intuizioni è coerente con il pensiero fondamentale di Kant. Evisto come l’immaginazione appare nella seconda parte della DeduzioneB, in un modo che è portato al culmine dal rilievo che l’unità delle intui-zioni formali, spazio e tempo, è un caso dell’unità appercettiva che carat-terizza le intuizioni in generale, l’affermazione di Hegel, lungi dall’esserequalcosa che Kant avrebbe negato con forza, è una stretta parafrasi dicome Kant stesso annuncia ciò che mostrerà nella seconda parte dellaDeduzione: l’unità del «modo in cui l’intuizione empirica è data nellasensibilità» «non è altro che quella che la categoria [...] prescrive allamolteplicità di una data intuizione in generale» (B144-5). Naturalmentela materia è necessaria in ogni esempio di tale unità: ma l’ottimisticopensiero di Kant è che l’unità stessa appartiene alla forma – dove questainclude la pura unità dello spaziale e del temporale come tale, che è esat-tamente la forma generale delle unità «prodotte» dall’immaginazione tra-scendentale. Questa è la vera ragione per cui la Deduzione si avvicina ef-fettivamente alla riuscita. Qui Hegel legge Kant con più sensibilità diPippin.

L’infelice concentrarsi di Pippin sull’intera teoria, invece di isolarel’idealismo trascendentale come ingrediente che la rovina, si riflette nelsuo descrivere lo «scetticismo trascendentale» a cui Kant è vulnerabile eche Hegel deve evitare, in termini come questi: «dal momento che ilmondo fenomenico era “condizionato” dal nostro schema concettuale, seavessimo uno schema diverso vi sarebbe un diverso mondo (fenomeni-co); di qui il problema della cosa-in-sé»29. Ma l’idealismo di Kant degenerain idealismo soggettivo non a causa della relatività al «nostro schema con-cettuale», ma perché contiene un idealismo soggettivo su spazialità e tem-poralità in quanto tali, idealismo soggettivo che riflette il loro essere con-cepiti precisamente come esterne all’unità appercettiva e quindi esterne aqualunque cosa che si potrebbe definire «schema concettuale».

In B 145 Kant definisce il bisogno di unità categoriale «una partico-larità del nostro intelletto». Pippin cita questo punto come se esso met-tesse i requisiti dell’intelletto, nel quadro di Kant, sullo stesso piano diquelli che derivano dalla forma della nostra sensibilità30. Ma il contestochiarisce che la particolarità aderisce al nostro intelletto in quanto discor-sivo, finito, dipendente dalla sensibilità – e non in quanto, specificamen-te, umano. La questione qui si può forse esprimere mediante un contro-fattuale per ammissione difficile: secondo la prospettiva di Hegel, la De-duzione di Kant avrebbe funzionato se Kant non avesse attribuito il bru-

29 Ibidem, p. 277, n. 1.30 Ibidem, p. 33.

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to fatto dell’esteriorità alla materia della pura forma della nostra sensibi-lità. Questo avrebbe mostrato come ciò che dapprima si mostra nellaforma della capacità di un intelletto finito può essere ripensato come l’il-limitata libertà della ragione.

7. Per introdurre il secondo punto di divergenza da Pippin, ritorno suqualcosa che ho suggerito in precedenza: la Deduzione di Kant mira allapossibilità di raggiungere un autentico idealismo, superando i limiti cheimpediscono allo stesso Kant di includere la materia delle pure formedella nostra intuizione entro la sfera della spontaneità appercettiva. Suquesta base, la modifica a Kant di cui abbiamo bisogno è in un certosenso abbastanza semplice, anche se, ovviamente, molto lontana da rag-giungere. Non credo che la concezione di Pippin dei debiti di Hegel,come beneficiario di una eredità kantiana, si adatti bene a questo qua-dro.

Pippin osserva che una comprensione hegeliana dell’oggettività delledeterminazioni concettuali, raggiunta mediante la valutazione di comel’avvicinamento di Kant sia quasi, ma non completamente, riuscito, nonpuò aver spazio per qualcosa di analogo allo Schematismo kantiano oalla seconda parte della Deduzione B31. Ma egli pensa che il discendentedelle categorie kantiane, in questa nuova prospettiva, siano i Concettihegeliani (al plurale), che stanno ai concetti empirici ordinari in unmodo che deriva dalla relazione in cui le categorie kantiane stanno aiconcetti empirici ordinari32. Ciò fa parte del suo interpretare ripetuta-mente il discorso di Hegel sull’autodeterminazione del Concetto nei ter-mini di uno sviluppo non determinato dall’esperienza33. Questo filo nellalettura di Pippin culmina nell’osservazione che, anche dopo la Logica,Hegel ha il «problema irrisolto» di precisare la distinzione tra Concetti econcetti ordinari:

Così tanti [...] concetti sono chiaramente come sono perché il mondo è co-m’è, e non possono essere assolutamente considerati risultati categoriali dellapura autodeterminazione del pensiero, che il progetto di Hegel richiede conforza una spiegazione più esplicita e chiara di quando e perché dovremmo con-siderare i nostri modi fondamentali di cogliere le cose come «dovuti» interamen-te a noi, nel pertinente senso hegeliano34.

31 Ibidem, p. 38.32 Ibidem, p. 258 e 305, n. 6.33 Ibidem, p. 93, p. 100, p. 145, p. 146, p. 250.34 Ibidem, p. 258. Pippin osserva che «una tavola dei Concetti» (dedotti trascen-

dentalmente anziché semplicemente derivati dallo stato esistente della logica, comeHegel lamenta che sia la «tavola delle categorie» di Kant) soddisferebbe questo biso-gno.

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Coerente con ciò è anche l’idea di Pippin che Hegel abbia il «proble-ma di «ritornare» al mondo empirico», riapparizione del «famigeratoproblema kantiano dell’Übergang»35.

Il suggerimento di Pippin che Hegel non tenga fede a degli impegnipresi si rivela, io credo, ingiustificato, se vediamo l’idealismo di Hegelcome ciò che risulta quando la prospettiva manifestata nella Deduzionedi Kant viene corretta solo di quel tanto che basta a garantire che nonvenga lasciato fuori ciò che Kant invece lascia fuori dalla sfera dellaspontaneità appercettiva.

Il quadro si delinea piuttosto nel modo seguente. «Il Concetto (al sin-golare)» è concettualità in quanto tale, propriamente intesa. La concet-tualità come tale è categoriale, in un senso più o meno kantiano chepossiamo interpretare in termini di appartenenza alla sfera della sponta-neità appercettiva. Le capacità concettuali sono per essenza tali da essereesercitate nel giudizio. Il discorso hegeliano sul «Concetto» non allude aspeciali caratteri non-empirici riguardo ai quali sorgerebbe il problema dicome siano correlati ai concetti empirici ordinari. Questo è proprio quelche non funziona nel modo in cui Kant tratta l’idea del categoriale; èperché Kant vede così le cose che egli ha bisogno di far appello a qual-cosa di esterno all’appercezione nella seconda parte della Deduzione B enello Schematismo36.

Parlare del «libero movimento del Concetto» è descrivere – per esem-pio – lo sviluppo della ricerca empirica (Questo è l’esempio giusto concui iniziare quando ci avviciniamo al pensiero hegeliano dalla Deduzionedi Kant). E naturalmente una ricerca empirica è guidata dall’esperienza.Kant già quasi intravede il modo di incorporare l’esperienza, come guidaper la ricerca empirica, all’interno della libertà della spontaneità apper-cettiva. Riutilizzando un’immagine già da me usata: se Kant non avessetrattato la materia delle nostre intuizioni pure come una bruta esteriorità,sarebbe stato in grado di provare che l’ordinamento indipendente delmondo di cui abbiamo esperienza non è una violazione della libertà del-l’appercezione, ma piuttosto il mezzo entro cui viene esercitata. Con lamodifica che ci porta da Kant a Hegel, possiamo dire che la spazialità ela temporalità, come tali, della nostra esperienza, non sono una violazio-

35 Ibidem, p. 259.36 Ibidem, p. 211, Pippin parla, in relazione al Libro II della Logica, di una «fusione

di una argomentazione per la necessità della “mediazione” in generale (attività concettua-le, überhaupt) con un esempio di mediazione essenziale – le determinate condizioni cate-goriali richieste perché vi siano determinati “oggetti di pensiero”». Nell’interpretazioneche io propongo, questa non è una fusione ma un modo di fare la modifica di cui Kantha bisogno. L’idea che vi siano due temi separati è qui un residuo della concezione kan-tiana del categoriale.

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ne della libertà dell’appercezione più di quanto siano gli aspetti specificidell’ordinamento spaziale e temporale del mondo come noi lo sperimen-tiamo, nella concezione che Kant quasi riesce a raggiungere. Ed ora taleconcezione kantiana è veramente a nostra disposizione37.

Qui di nuovo la retorica hegeliana può dare l’impressione che la real-tà venga rappresentata come il precipitato di movimenti della mente to-talmente liberi. Ho provato a smentire quell’impressione – per come essaminaccia di sorgere in questo contesto – con l’immagine di un mezzoall’interno del quale la libertà della ragione viene esercitata. Ciò che ap-pare in Kant come la recettività della sensibilità non scompare dalla sce-na ma è ripensato come un «momento» della libera autodeterminazionedella ragione38. Se noi vediamo le cose in questo modo non dovrebbesembrare che vi sia un problema dell’Übergang. Non si dovrebbe sentireil bisogno di «ritornare» al mondo empirico dalla posizione del SapereAssoluto. La posizione del Sapere Assoluto è una posizione in cui rico-nosciamo che il perseguimento dell’oggettività è il libero dispiegarsi delConcetto. Non è una posizione in cui ci siamo in qualche modo trasferitidal mondo empirico. Se il caso del perseguimento dell’oggettività che èin discussione è ricerca empirica, noi siamo già impegnati con il mondoempirico mentre godiamo del Sapere Assoluto39.

37 In Hegel’s Idealism, cit., p. 105, Pippin scrive, in relazione alla Fenomenologia:«Chiaramente non è possibile che [Hegel] stia parlando di alcun concetto usato in affer-mazioni conoscitive quando si riferisce alla necessaria inerenza del Concetto alla coscien-za. Lo scopo della Fenomenologia dello Spirito non può essere di mostrare che i nostridubbi sull’oggettività di ogni concetto possono essere superati». Quest’ultima affermazio-ne è ovviamente vera. Ma non ne segue che il discorso sul Concetto non possa esserediscorso sulla concettualità come tale. Dubbi sull’oggettività di questo o quel concettovengono avanzati all’interno di ciò che la coscienza, nella Fenomenologia, è indotta a con-cepire come il libero svolgimento del Concetto. Lo scopo della Fenomenologia è educarela coscienza a pensare il perseguimento dell’oggettività in quei termini, non di anticiparei risultati dell’attività che dobbiamo pensare in quei termini (Eccetto forse nell’applicazio-ne di secondo livello che considero in seguito).

38 Pippin esprime questa concezione in almeno due luoghi. In Hegel’s Idealism, cit.,p. 68, egli descrive il ripensamento hegeliano della distinzione kantiana tra ragione e in-telletto dicendo: «[…] “l’autolegislazione” della ragione, come la chiama Kant, può esse-re vista come costitutiva della possibilità di oggetti se […] si può mostrare che ciò cheKant ha ritenuto essere una condizione intuitiva indipendente, era essa stessa un momentodell’autodeterminazione della Ragione». Di nuovo, a p. 87, egli parla dell’«affermazione diHegel secondo cui la ricettività si deve considerare in qualche modo un momento dellaprogressiva autocomprensione del soggetto». Ho l’impressione che questi passi siano fon-damentalmente esatti. Non capisco come Pippin li accordi con l’idea che lo sviluppo delConcetto non è guidato dall’esperienza. Quest’idea sembra un resto del dualismo rifles-sivo kantiano che rovina la Deduzione Trascendentale.

39 In Hegel’s Idealism, cit., p. 246, Pippin sostiene che «l’autocoscienza riguardo allaspontaneità della determinazione Concettuale […] sembra essere il limite della soluzione

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547L’idealismo di Hegel come radicalizzazione di Kant

È importante essere consapevoli – a differenza, forse, dello stessoHegel – che l’esperienza di cui si parla in questo contesto – contesto incui l’idea del libero dispiegarsi del Concetto nella ricerca empirica incor-pora una concezione hegeliana dell’essere guidati dall’esperienza – non èl’esperienza di cui si parla nella Fenomenologia. Là abbiamo una serie diconcezioni provvisorie del perseguimento dell’oggettività, attraverso lacui progressione si presume che si riveli alla fine che ciò di cui sonoconcezioni provvisorie è propriamente inteso come il libero movimentodel Concetto. Si definisce «esperienza» ciò che accade a queste concezio-ni provvisorie, successivamente trovate inaccettabili, in base a se stesse,in un modo che spinge la «coscienza», il destinatario dell’educazionedella Fenomenologia, a progredire. Se questo è un caso del libero movi-mento del Concetto, lo è a un secondo livello: il libero movimento delConcetto del Concetto. La Fenomenologia educa la «coscienza» a vedereil suo ordinario perseguimento dell’oggettività come il libero movimentodel Concetto, elencando una serie di sforzi, potremmo dire, da parte delConcetto per giungere alla chiarezza, come ciò il cui libero movimentocostituisce il perseguimento dell’oggettività. Forse, a un secondo livello,possiamo vedere questo stesso viaggio filosofico come un caso del perse-guimento dell’oggettività – e così applicare i suoi risultati a lui stesso. Maè bene non mescolare i livelli40.

[di Hegel]». Penso che questo sia del tutto esatto. Quel che non condivido è il pensierodi Pippin che tale «soluzione» lasci del lavoro da fare, tipo la stesura di una «tavola deiConcetti». Io dico che non dovrebbe sembrare che vi sia un problema dell’Übergang, oun problema di ritornare al mondo empirico, poiché non è evidente che Hegel renda lasua direzione sufficientemente chiara da essere definitivamente immune da tali problemi.Ma la mia tesi è che, se guardiamo l’impresa di Hegel nella luce che io raccomando, al-lora è chiaro che egli non ha bisogno di avere problemi del genere. E ciò è sufficiente ascalzare l’immagine usata da Pippin circa gli impegni non soddisfatti da Hegel.

40 L’«esperienza» mostra ciascuna delle successive concezioni, prive di Sapere Assolu-to, come inadeguate alla luce dei loro stessi criteri. Pippin registra, a p. 106 di Hegel’sIdealism, cit., il punto qui essenziale: ciascuno di questi tentativi di concezioni dell’ogget-tività include il proprio criterio di oggettività. Questo rende oscuro, almeno per me, ilprocedimento di Pippin nella pagina successiva (uno dei luoghi in cui egli introduce nelquadro «Concetti», al plurale), dove egli argomenta che «il problema dell’adeguatezza diogni potenziale Concetto […] si può comprendere solo in relazione ad altri possibiliConcetti». Per quanto posso capire, la questione dell’adeguatezza sorge sempre, nell’espe-rienza della «coscienza», a un dato stadio, all’interno di una candidata concezione di og-gettività, che si rivela come inadeguata in base al suo stesso criterio. Non c’è bisogno diquesta invocazione della relatività ad altre concezioni di oggettività. Pippin continua (p.107): «Tale Concetto è necessario perché vi sia esperienza; vi è esperienza e così la que-stione di legittimità può sorgere solo relativamente ad altri possibili Concetti». Ma que-st’uso di «esperienza» (che significa esperienza di oggetti ordinari) è ciò che sostengoessere estraneo alla Fenomenologia. Non vi è bisogno di assumere che ci sia l’esperienzache riguarda la Fenomenologia: accade nel corso della riflessione filosofica.

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548 John McDowell

8. Come ho detto, vedere il pensiero di Hegel da questa angolaturamostra un modo di arrivarvi che è, in un certo senso, molto facile: bastasemplicemente eliminare l’esteriorità che vizia la Deduzione di Kant.Naturalmente, vista la strada che ho dovuto fare per indicarlo, un talemovimento non può essere eseguito in un tempo così breve come quelloche basta per descriverlo. In ogni caso, qualsiasi siano le ragioni, le pre-sentazioni dello stesso Hegel nella Fenomenologia e nella Logica non se-guono questa strada. In primo luogo, esse non iniziano con Kant ma daprima di lui. Ma vi è motivo di pensare che questa sia per lo meno unastrada attraverso la quale Hegel stesso arriva alla sua concezione globale;qui seguo Pippin anche se dissento da lui circa cosa esattamente sia que-sta strada verso la meta finale di Hegel. Questo ci consiglia di tenere amente la via «semplice» a ciò che Hegel ricerca, mentre tentiamo di ca-pire le progressioni più complesse che lo stesso Hegel propone41.

(Traduzione di Tiziana Fracassi)

41 La destinazione cui la via «semplice» è indirizzata assomiglia molto a ciò che hoesposto nel mio Mind and World (migliorato e corretto dalle mie Woodbridge Lectures).Wolfgang Carl ha sostenuto (in una conversazione) che la lettura che io ho presentato inMind and World era ciò cui una lettura strawsoniana della Deduzione Trascendentaleavrebbe dovuto assomigliare, mentre ciò che Strawson propone come lettura della Dedu-zione è più adatto, come scopo e orientamento, alla Confutazione dell’Idealismo (Cfr.P.F. Strawson, The Bounds of Sense, London, Methuen, 1966, trad. it. di M. Palumbo,Roma-Bari, Laterza, 1974). Ho già suggerito che il Kant di Strawson, che era il mio Kantin quell’opera, era più vicino a Hegel che a Kant. R.B. Brandom, in Some PragmatistThemes in Hegel’s Idealism: Negotiation and Administration in Hegel’s Account of theStructure and Content of Conceptual Norms, in «European Journal of Philosophy», VII,(1999), pp. 164-89, offre un’immagine molto diversa del pensiero hegeliano. Egli cita ilpasso della Scienza della Logica da cui io ho iniziato (p. 168), sostenendo, come me, diseguire la guida di Pippin (p. 183, n. 9). Ma il pensiero di Brandom è lontano da quellodi Kant proprio in relazione a ciò di cui la via «semplice» si serve. Egli si impegna a ri-maneggiare il pensiero di Kant su spontaneità e ricettività in un modo che mette da partel’idea stessa di intuizioni, intese come episodi della coscienza sensoriale che sono diretta-mente di oggetti. Cfr. R.B. Brandom, Making It Explicit, cit., pp. 712-3, n. 10, e si vedail capitolo 4 sul tentativo di Brandom di fare a meno delle intuizioni. Non sorprende,quindi, che la lettura che Brandom fa di Hegel non entri nei dettagli di quel che accadenella Deduzione B. Nonostante l’affermazione di Brandom di staccarsi da Pippin, eglinon segue la raccomandazione metodologica che io offro nel testo.