Istituzioni Di Diritto Privato i - Seminario Vi 2011

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ISTITUZIONI DI DIRITTO PRIVATO I (corso A – L, prof. Carlo Granelli) SEMINARIO VI – 5.5.2011 Modi di estinzione dell’obbligazione diversi dall’adempimento MATERIALI 1. compensazione (Cass., 11.1.2006, n. 260)………………………………………...………….p. 1; 2. novazione (Cass., 16.6.2005, n. 12962)…..………………………………………………..…p. 4; 3. datio in solutum e pagamento tramite assegno (Cass., S.U., 18.12.2007, n. 26617)…..……p. 8.

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ISTITUZIONI DI DIRITTO PRIVATO I (corso A – L, prof. Carlo Granelli)

SEMINARIO VI – 5.5.2011

Modi di estinzione dell’obbligazione diversi dall’adempimento

MATERIALI

1. compensazione (Cass., 11.1.2006, n. 260)………………………………………...………….p. 1; 2. novazione (Cass., 16.6.2005, n. 12962)…..………………………………………………..…p. 4; 3. datio in solutum e pagamento tramite assegno (Cass., S.U., 18.12.2007, n. 26617)…..……p. 8.

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Compensazione

IL CASO La società Alfa conduce in locazione un immobile adibito ad uso commerciale e decide di sublocarne una parte alla società Beta. Successivamente, la stessa società Beta acquista l’immobile e continua però a lasciarne parte in locazione ad Alfa. Poiché Alfa non paga da alcuni mesi il canone pattuito, Beta decide di agire in giudizio ottenere lo sfratto di Alfa, nonché il pagamento dei canoni scaduti. Assunte le vesti, rispettivamente, dei legali di Alfa e Beta, si illustrino le ragioni a favore e contro l’accoglimento della domanda. Cass., sez. III, 11-01-2006, n. 260. La compensazione legale, a differenza di quella giudiziale, opera di diritto per effetto della sola coesistenza dei debiti, sicché la sentenza che l’accerti è meramente dichiarativa di un effetto estintivo già verificatosi, né l’automatismo è escluso dal fatto che la compensazione non possa essere rilevata d’ufficio e debba essere eccepita dalla parte, poiché tale disciplina giuridica comporta unicamente che il suddetto effetto risulta nella disponibilità del debitore che se ne avvale. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO 1. Protos s.r.l. intimava a Perugia check up s.r.l. sfratto per morosità da immobile ad uso diverso dall'abitazione e la citava contestualmente per la convalida. L'intimata si opponeva, deducendo in particolare che prima che la Protos acquistasse la proprietà dell'immobile locato gliene aveva sublocato una parte ed, essendo rimasto in vita il rapporto di sublocazione, i debiti concernenti i canoni di locazione e di sublocazione si erano estinti per compensazione. Negata l'ordinanza di rilascio e disposto il mutamento di rito, il tribunale di Perugia accoglieva la domanda di risoluzione del contratto di locazione. 2. Ad opposta conclusione perveniva la Corte di Appello di Perugia, la quale con sentenza resa il 04/10/2001 su gravame della Perugia check up rigettava la domanda. La Corte ha considerato per quanto concerne la compensazione che tale causa estintiva non opera, ove, come nella specie, prima che sia emessa la relativa declaratoria alcuno dei debiti contrapposti sia colpito da una propria causa estintiva, e per quanto concerne la risoluzione che ricorre una ipotesi di inadempimento incolpevole, "identificandosi l'assenza di colpa non nella semplice convinzione soggettiva della correttezza del proprio comportamento, ma in precise circostanze idonee ad escluderne del tutto la presenza nella condotta dell'obbligato". 3. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per Cassazione la Protos, deducendo due motivi; ha resistito l'intimata ed ha proposto ricorso incidentale affidato ad un motivo, cui ha resistito la Protos; le parti hanno depositato memoria. MOTIVI DELLA DECISIONE 1. I ricorsi, proposti contro la medesima sentenza, vanno riuniti (art. 335 c.p.c.).

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2. Precede per ragioni di ordine logico l'esame dell'unico motivo del ricorso incidentale, con il quale si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1241 c.c. e s.s.; omessa ed insufficiente motivazione su punto decisivo (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5); la Corte di merito - si sostiene - avrebbe dovuto ravvisare la causa estintiva del debito relativo ai canoni locativi fatta valere; la compensazione legale estingue, infatti, "ope legis" i debiti contrapposti per il solo fatto che coesistono e si presentano liquidi, omogenei ed esigibili; il versamento dei canoni da parte della subconduttrice non è valso ad impedire la compensazione perchè è intervenuto dopo e non prima che il debito della medesima venisse a coesistere con quello della sublocatrice, come è dimostrato dal fatto che le somme versate sono state imputate a canoni di sublocazione relativi a mesi precedenti; nessun dubbio che nella specie ricorrono i requisiti della omogeneità, liquidità ed esigibilità, dal momento che i debiti contrapposti hanno ad oggetto una somma di denaro, sono determinati nel loro ammontare, non sono sottoposti a condizione o termine; quanto al requisito dell'autonomia dei rapporti va considerato che la sublocazione costituisce un caso di collegamento contrattuale legislativamente tipizzato, nel quale i contratti conservano una propria individualità e ciò a differenza di quanto avviene nei contratti complessi che danno vita ad un unico rapporto giuridico. Il motivo pone le seguenti questioni: 1) se producano effetti le cause di estinzione dei debiti reciproci che intervengano prima che il giudice pronunci la sentenza che accerta la compensazione legale; 2) se il rapporto di sublocazione sia autonomo rispetto a quello di locazione, di tal che il debito del subconduttore verso il sublocatore concernente il ' canone si compensi o no con il debito del sublocatore verso il locatore quando quest'ultimo rivesta la duplice qualità di locatore e subconduttore; 3) se siano ravvisabili nella specie i requisiti dell'omogeneità, della certezza e della liquidità dei debiti contrapposti. Esame delle questioni: 1) La Corte di merito ha esaminato la prima questione e l'ha risolta affermativamente sul rilievo che i debiti restano separatamente esposti ai relativi eventi estintivi fino al momento della dichiarazione di estinzione per compensazione legale. Senonchè la giurisprudenza di gran lunga prevalente di questa Corte è di segno opposto (ex plurimis Cass. 16/07/2003, n. 11146; Cass. 30/05/1997, n. 4800; Cass. 21/02/1985, n. 1536) ed a tale giurisprudenza aderisce il Collegio, considerato che la compensazione legale, a differenza di quella giudiziale, opera di diritto per effetto della sola coesistenza dei debiti, sicchè la sentenza che l'accerti è meramente dichiarativa di un effetto estintivo già verificatosi, nè l'automatismo è escluso dal fatto che la compensazione non possa essere rilevata di ufficio e debba essere eccepita dalla parte, tale fatto dimostrando unicamente che l'effetto estintivo è nella disponibilità del debitore che se ne avvale. Non ritiene, pertanto, il Collegio di aderire all'orientamento, secondo il quale fino al momento della dichiarazione di estinzione per compensazione legale i debiti restano separatamente esposti ai relativi eventi estintivi, di cui è espressione la sentenza di questa Corte 19/11/1998, n. 11690, richiamata dalla Protos, ribadendo che, una volta che si è verificata la compensazione legale, le reciproche posizioni debitorie si presentano estinte o, come pure si afferma, esaurite, di modo che rimangono insensibili a qualsiasi evento estintivo che intervenga successivamente, anche se dotato di efficacia retroattiva. 2) La corte di merito non ha esaminato - come, invece, avrebbe dovuto - la seconda questione, posto che dalla sua soluzione in un senso o nell'altro dipendeva la possibilità stessa di esaminare la prima. Facendosi ora carico della questione, va rilevato che questa Corte ha più volte affermato che la compensazione presuppone che i debiti contrapposti derivino da rapporti autonomi, con la conseguenza che quando si è in presenza di un rapporto unico, il giudice deve procedere di ufficio all'accertamento delle rispettive posizioni attive e passive e, cioè, alla determinazione del saldo a favore o a carico dell'una o dell'altra parte (Cass. 12/04/1999, n. 3564; Cass. 17/04/2004, n. 7337);

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ha peraltro precisato che la compensazione può operare anche tra debiti scaturenti da un rapporto unico (argomentando dal disposto dell'art. 1246 c.c., secondo cui la compensazione si verifica qualunque sia il titolo delle obbligazioni senza alcuna limitazione in ordine alla pluralità di rapporti), salvo che si tratti di obbligazioni legate da un vincolo di corrispettività perchè, se in tale ipotesi si ammettesse la compensazione, si verrebbe ad incidere direttamente sull'efficacia stessa del contratto, paralizzandone gli effetti (Cass. S.U. 16/11/1999, n. 775; Cass. 21/06/2002, n. 9059); ha chiarito che l'autonomia manca e la compensazione non opera quando, pur derivando i debiti contrapposti da una pluralità di rapporti, i medesimi siano legati da un vincolo di subordinazione o interdipendenza (Cass. 04/03/1970, n. 530) ovvero, come nel caso della fideiussione, da un vincolo di accessorietà (Cass. 05/05/1980, n. 2943). Aderendo ad un orientamento dottrinale, questa Corte ha ritenuto che la sublocazione costituisce un caso di collegamento contrattuale legislativamente fissato e quindi tipico (Cass. 28/06/2001, n. 8844; Cass. 27/04/1995, n. 4645); nella sublocazione e, più in generale, nel subcontratto il collegamento investe due contratti, di cui uno base e l'altro derivato, e comporta dipendenza unilaterale o bilaterale a seconda che il collegamento sia tipico o atipico. La dottrina non ha mancato di sottolineare la dubbia utilità della ricostruzione della subcontrattualità in termini di collegamento contrattuale. Occorre, peraltro, rilevare che nella sublocazione, come in qualsiasi ipotesi di collegamento contrattuale, ciascun contratto, anche se finalizzato ad un unico regolamento dei reciproci interessi, conserva la propria causa (Cass. 28/06/2001, n. 8844), di tal che tra i debiti del subconduttore verso il sublocatore e del sublocatore verso il locatore concernenti il canone opera la compensazione legale e non si fa luogo a semplice accertamento delle rispettive posizioni attive e passive. 3) La terza questione involge un accertamento di fatto, trattandosi di verificare se i debiti contrapposti presentassero i requisiti della omogeneità, liquidità e, soprattutto, esigibilità. Il ricorso incidentale va, pertanto, accolto e la sentenza impugnata cassata con rinvio, non ricorrendo le condizioni richieste dall'art. 384 c.p.c. per decidere la causa nel merito; il giudice di rinvio, che si designa nella Corte di Appello di Roma, è incaricato di procedere a nuovo esame, facendo applicazione dei principi sopra esposti, e di provvedere in ordine alle spese del giudizio di Cassazione. Il ricorso principale rimane assorbito; con entrambi i motivi di tale ricorso si censura, difatti, la corte di merito sotto i profili della violazione degli artt. 1176 e 1218 c.c. e della omessa o insufficiente motivazione per avere rigettato la domanda di risoluzione del contratto di locazione e tale censura presuppone che la compensazione non operi. P.Q.M. la Corte riunisce i ricorsi; accoglie il ricorso incidentale; dichiara assorbito il ricorso principale; cassa e rinvia anche per le spese del giudizio di Cassazione alla Corte di Appello di Roma.

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novazione IL CASO Il sig. Elio è proprietario di un fondo rustico, concesso in affitto ai fratelli Pellini a far data dal 1929. Successivamente, nel 1965, interviene fra le parti una transazione con cui le stesse convengono che il contratto di affitto sia stipulato fra il sig. Elio ed uno solo dei fratelli Pellini. Nel 1998 il sig. Elio chiede al Tribunale il rilascio del fondo da parte del Pellini, per scadenza del contratto di affitto. Il Pellini resiste in giudizio sostenendo che l’accordo del 1965 non aveva natura novativa e che, non essendo stata data disdetta da parte dell’Elio nel 1982, per legge il contratto si deve ritenere tacitamente rinnovato fino al 2007. Si illustrino le argomentazioni a sostegno delle ragioni delle parti in causa. Cass., sez. III, 16-06-2005, n. 12962. Poiché la novazione oggettiva si configura come un contratto estintivo e costitutiva di obbligazioni, caratterizzato dalla volontà di far sorgere un nuovo rapporto obbligatorio in sostituzione di quello precedente con nuove ed autonome situazioni giuridiche, di tale contratto sono elementi essenziali, oltre ai soggetti e alla causa, l’animus novandi, consistente nella inequivoca, comune intenzione di entrambe le parti di estinguere l’originaria obbligazione, sostituendola con una nuova, e l’aliquid novi, inteso come mutamento sostanziale dell’oggetto della prestazione o del titolo del rapporto, dovendosi invece escludere che la semplice regolazione pattizia delle modalità di svolgimento della preesistente prestazione produca novazione (nella specie, la suprema corte ha cassato la sentenza di merito che aveva ravvisato novazione mediante estinzione del precedente rapporto agrario e creazione di uno nuovo, in relazione all’accordo con cui le parti erano addivenute «a un pacifico regolamento delle pendenze esistenti», mantenendo ferma la causa e l’oggetto del contratto di affitto di fondo rustico). SVOLGIMENTO DEL PROCESSO 1. Con ricorso 7 giugno 1998 ELIO Fausto, premesso di essere proprietario di un fondo rustico con relativi annessi in Roverchiara, condotto in affitto da PELLINI Romeo, ha convenuto quest'ultimo in giudizio innanzi al tribunale di Verona sezione specializzata agraria chiedendo che, accertata la cessazione al 10 novembre 1997 del contratto di affitto inter partes, il PELLINI fosse condannato al rilascio del fondo per la detta data. Ha esposto l'attore, a fondamento delle spiegate domande, che nella specie - quanto alla data di cessazione del rapporto in questione - doveva trovare applicazione l'art. 2, lett. e; della l. 3 maggio 1982, n. 203. Il fondo in parola - ha, infatti, riferito l'ELIO - un tempo era condotto in affitto da PELLINI Italo, Aldo e Ugo ma il 7 aprile 1965 era intervenuta, tra tutte le parti, una transazione in esecuzione della quale, da un lato, PELLINI Italo e Aldo avevano abbandonato il fondo, dall'altro, era stato stipulato un nuovo contratto con il solo PELLINI Ugo, ora deceduto, cui era succeduto il convenuto PELLINI Romeo. Costituitosi in giudizio in proprio nonchè quale rappresentante della famiglia coltivatrice il PELLINI ha resistito alle avverse pretese facendo presente che l'atto dell'aprile 1965 non aveva natura novativa per cui, essendo sorto il rapporto di affitto inter partes nel 1929, lo stesso era soggetto alla disciplina di cui all'art. 2, lett. a) della legge n. 203 del 1982 si che, cessato il rapporto

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nel 1982 e essendo mancata la disdetta del caso, lo stesso si era rinnovato per altri 15 anni, sino al 2007. Ha chiesto, pertanto, il convenuto, da un lato, il rigetto delle domande attrici, dall'altro - in via riconvenzionale - la restituzione delle somme pagate in più, rispetto al canone legale, dal 1970-71 al 1994-95. Svoltasi la istruttoria del caso l'adita sezione ha accolto sia la domanda attrice, attesa la natura nova-tiva dell'accordo del 7 aprile 1965, sia quella riconvenzionale, con condanna dell'attore alla restituzione dei canoni ultralegali quantificati in lire 316.951.716. 2. Gravata tale pronunzia in via principale dall'ELIO e in via incidentale dal PELLINI, la Corte di appello di Venezia, sezione specializzata agraria, con sentenza 22 novembre 2000 - 15 marzo 2001 in parziale riforma della sentenza dei primi giudici, ha determinato in lire 78.012.482 il capitale dovuto da ELIO Fausto al PELLINI per le causali di cui in motivazione, capitale da aumentare di interessi e rivalutazione secondo le modalità indicate nella c.t.u. espletata in prima grado, con gli ulteriori accessori, per rivalutazione e interessi, maturati sino al saldo, rigettate nel resto le altre impugnazioni principale e incidentale. 3. Per la Cassazione di tale ultima pronunzia, non notificata, ha proposto ricorso, affidato a tre motivi, BELLINI Romeo, con atto 15 marzo 2002. Resiste, con controricorso e ricorso incidentale, notificato il 17 aprile 2002 ELIO Fausto affidato a un unico motivo. Entrambe le parti hanno presentato memoria. MOTIVI DELLA DECISIONE 1. I vari ricorsi avverso la stessa sentenza devono essere riuniti, ai sensi dell'art. 335 c.p.c. 2. I giudici del merito - come accennato in parte espositiva - hanno ritenuto che con la scrittura del 7 aprile 1965 le parti abbiano novato il precedente rapporto inter partes affermando di volere fare applicazione, al caso di specie, del principio in forza del quale per la configurabilità della novazione è necessaria la sussistenza dell'animus novandi risultante in modo inequivoco, quando anche per implicito, dalla intesa contrattuale unitamente al dato oggettivo dell'aliquid novi, integrato dal mutamento sostanziale dell'oggetto o del titolo delle prestazioni rispettive. Infatti, con tale accordo: le parti hanno manifestato il proposito di "... addivenire ad un pacifico regolamento delle pendente esistenti ..." e conseguentemente di risolvere "consensualmente, a far epoca con il 10 novembre 1964 ..." il pregresso rapporto, sostituendo altro vincolo obbligatorio con uno solo dei precedenti affittuari e regolando in guisa innegabilmente nuova le prestazioni di quest'ultimo, con l'unica clausola di salvaguardia dell'applicazione, per il conduttore, di un regolamento non deteriore rispetto a quello precedente". Di conseguenza, quei giudici, hanno ritenuto tempestiva la disdetta. 3. Il PELLINI censura le riassunte proposizioni con il primo motivo e il secondo motivo del proprio ricorso denunziando "omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, come prospettato dalle parti o rilevabile d'ufficio (ex art. 360 sub 5 c.p.c.) nonchè violazione dell'art. 360 sub 3 c.p.c per falsa applicazione di norme di diritto in relazione agli artt. 1230 e 1231 c.c. e ss. nonchè agli artt. 1965 e ss. 4. I descritti motivi sono fondati, e meritevoli di accoglimento. Giusta quanto assolutamente pacifico presso una giurisprudenza più che consolidata di questa Corte regolatrice, che nella specie deve ulteriormente ribadirsi, poichè la novazione oggettiva si configura come un contratto estintivo e costitutivo di obbligazioni, caratterizzato dalla volontà di far sorgere un nuovo rapporto obbligatorio in sostituzione di quello precedente con nuove ed autonome situazioni giuridiche, di tale contratto sono elementi essenziali, oltre ai soggetti e alla causa, l'animus novandi, consistente nella inequivoca, comune intenzione di entrambe le parti di

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estinguere l'originaria obbligazione, sostituendola con una nuova, e l'aliquid novi , inteso come mutamento sostanziale dell'oggetto della prestazione o del titolo del rapporto, dovendosi escludere che la semplice regolazione pattizia delle modalità di svolgimento della preesistente prestazione produca novazione (Cass. 17 agosto 2004, n. 16038). Non controversi i principi di cui sopra, cui - in tesi - ha ritenuto di fare riferimento anche la sentenza gravata è palese la violazione di legge in cui è incorsa la sentenza impugnata allorchè ha affermato che nella specie sussisterebbe, oltre alla volontà manifestata dalle parti, di sostituire alla precedente pattuizioni una nuova, anche l'ulteriore requisito dell'aliquid novi . Se, infatti, per aversi detto ultimo requisito è indispensabile un mutamento sostanziale dell'oggetto della prestazione o del titolo del rapporto, non può dubitarsi che nella specie fa difetto sia un elemento sia l'altro, atteso che è rimasta immutato sia l'oggetto della prestazione, il godimento del fondo da parte di uno degli originari conduttori, sia l'altro, atteso che come per il passato il conduttore ha continuato a detenere il fondo a titolo di affitto. (Sempre sulla necessità che la novazione sia connotata dall'aliquid novi sì che la semplice variazione della misura del canone e la modificazione del termine di scadenza non sono di per sè indice della novazione di un rapporto di locazione, tra le tantissime, Cass. 9 aprile 2003, n. 5576, resa in una fattispecie in cui è stata cassata la sentenza con la quale Corte del merito aveva ritenuto novato il precedente contratto di locazione solo perchè il nuovo prevedeva il godimento, sempre a titolo di locazione, dello stesso immobile, a un canone maggiorato). Se - ancora - come evidenziato sopra, la novazione oggettiva di una precedente obbligazione presuppone un mutamento sostanziale di questa ultima, e dunque che con la seconda obbligazione siano apportati alla prima cambiamenti riguardanti l'oggetto della prestazione o la natura giuridica dell'obbligazione che trasformino questa in una nuova obbligazione incompatibile con la prima (Cass. 12 settembre 2000, n. 12039) è palese che perchè si abbia "incompatibilità" tra le due obbligazioni rispettivamente oggetto del primo e del secondo contratto non è sufficiente - come del tutto apoditticamente si assume nella sentenza gravata - che sussista la impossibilità di coesistenza delle due obbligazioni - certo essendo che detta impossibilità sussiste ogni qualvolta a un contratto ne segue un secondo - ma che oggetto dei due contratti siano "obbligazioni" tra loro incompatibili. Certo, per contro, che nella specie sia con il contratto originale, sia con il successivo l'obbligazione delle parti era di identico contenuto (a carico del concedente di fare godere lo stesso bene al conduttore e a carico del conduttore di corrispondere un corrispettivo periodico per tale godimento) è di palmare evidenza la violazione dei principi diritto enunciati sopra, da parte della sentenza gravata. Da ultimo, infine, si sottolinea che in sede di esegesi dell'art. 2, della l. 3 maggio 1982, n. 203 (che detta la disciplina transitoria per i contratti di affitto e coltivatore diretto, stipulati anteriormente alla stessa legge ed in corso al momento della sua entrata in vigore e che dispone, rispetto alla data di scadenza, un'ulteriore durata), la giurisprudenza di questa Corte regolatrice - dalla quale prescinde totalmente la sentenza in questa sede gravata - è fermissima nell'affermare da lustri, in conformità alla lettera della legge, che la disposizione in esame fa riferimento nel fissare tale ulteriore durata, all'anno in cui ha avuto inizio il "rapporto". È palese, pertanto, che deve ritenersi che il legislatore, ha inteso fare riferimento all'epoca in cui, in base ad un valido titolo negoziale, un certo conduttore o una certa famiglia si è in concreto installata nel fondo con correlativa perdita della disponibilità di questo da parte del concedente, ed attribuire rilevanza, ai fini della durata, alla continuità del rapporto a partire da quell'epoca, indipendentemente dalla circostanza che dopo la stipulazione dell'originario contratto siano stati conclusi nuovi accordi parzialmente modificativi per quanto attiene alla estensione del fondo, o che siano intervenute delle novazioni soggettive del rapporto stesso per subentro di discendenti (tra le tantissime, in tale senso, cfr., Cass., 15 febbraio 1996, n. 1162, specie in motivazione, nonchè Cass., 2 giugno 1998, n. 5298; Cass., 12 novembre 1998, n. 11449) o, perchè alla originaria pluralità dei conduttori, appartenenti alla stessa famiglia, se ne sia sostituito uno solo (in termini, resa in una

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fattispecie sotto molteplici aspetti identica alla presente, cfr. recentemente, Cass. 2 aprile 2004, n. 6520). Come, in particolare, non produce l'estinzione del rapporto in corso e la nascita di un nuovo rapporto, ma solo la modificazione del rapporto originario la eventuale trasformazione dell'originario rapporto associativo in affitto, che, perciò, prosegue tra i medesimi soggetti (o tra alcuni di questi) e con lo stesso oggetto, dovendo la volontà di estinguere l'obbligazione precedente risultare in modo non equivoco, sicchè, modificativa della precedente obbligazione (Cass. 22 giugno 2001, n. 8596; Cass. 12 novembre 1998, n. 11449; Cass. 2 ottobre 1997, n, 9628, nonchè la fondamentale, Cass., sez. un., 28 novembre 1994, n. 10130), così sono inidonee a costituire novazione le mere modificazioni accessorie dell'originario contratto (Cass. 2 aprile 2004, n. 6520). Certo quanto precede è palese che la sentenza gravata non si è attenuta ai principi di diritto sopra riferiti, e costantemente ribaditi dalla giurisprudenza di questa Corte regolatrice, allorchè dalla semplice affermazione, contenuta nel contratto del 1965 che era intenzione delle parti di "addivenire a un pacifico regolamento delle pendenze esistenti" ha tratto la conclusione che vi sia stata una "estinzione" del precedente rapporto con la creazione di uno nuovo, pur essendo rimasto immutati sia la causa (sia con il precedente contratto che con il nuovo le parti hanno inteso stipulare un contratto di affitto di fondo rustico) sia l'oggetto (è rimasto immutato il bene oggetto di affitto), ritenendo di conseguenza - ai fini della applicazione dell'art. 2, della legge 3 maggio 1982 n. 203 il rapporto sorto nel 1965 anzichè nel 1929. Il primo e il secondo motivo del ricorso principale, in conclusione, devono essere accolti, con assorbimento del terzo. 5. omissis. 9. Conclusivamente, accolti il primo e il secondo motivo del ricorso principale, con assorbimento del terzo, e cassata la sentenza impugnata la causa va rimessa, per nuovo esame, alla luce dei principi di diritto esposti sopra, alla stessa la Corte di appello di Venezia, sezione specializzata agraria, in diversa composizione, che provvederà, altresì, sulle spese di questo giudizio di Cassazione. P.Q.M. La Corte riunisce i ricorsi; accoglie il primo e il secondo motivo del ricorso principale, assorbito il terzo; accoglie il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, per nuovo esame, alla stessa Corte di appello di Venezia, sezione specializzata agraria, in diversa composizione, che provvederà, altresì, sulle spese di questo giudizio di legittimità.

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Datio in solutum e pagamento tramite assegno

CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza, 18-12-2007, n. 26617

Il creditore di una somma di denaro inferiore ad euro 12.500 può rifiutare il pagamento con assegno circolare, in alternativa al denaro contante, solo per giustificato motivo da valutare secondo le regole della correttezza e della buona fede oggettiva; comunque l’effetto liberatorio si verifica soltanto quando il creditore acquista la concreta disponibilità della somma, ricadendo sul debitore il rischio dell’inconvertibilità dell’assegno. Svolgimento del processo. 1. Anna Maria Carlesi proponeva opposizione all’esecuzione immobiliare promossa da Luca Garofalo e Laura Ceccantini in base a sentenza di condanna. Il Tribunale di Prato rigettava l’opposizione. 2. La Corte d’appello di Firenze confermava il rigetto con sentenza pubblicata il 12 marzo 2002. La corte riteneva che l’offerta della somma dovuta con assegno circolare rifiutata dai creditori non aveva estinto l’obbligazione, per cui il titolo esecutivo aveva conservato la propria efficacia. 3. La Carlesi ha proposto ricorso per cassazione, deducendo due motivi; gli intimati non hanno svolto attività difensiva. Il ricorso, assegnato alla terza sezione civile, è stato rimesso alle sezioni unite per la risoluzione del contrasto di giurisprudenza circa l’efficacia estintiva del pagamento dei debiti pecuniari mediante assegno circolare. Motivi della decisione. — 1. - Con il primo motivo la ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione degli art. 1210, 2910, 1° comma, c.c., 615 c.p.c. in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., sostiene che il giudice del merito avrebbe dovuto dichiarare estinta l’obbligazione ed accogliere l’opposizione dal momento che, come è pacifico, essa ha offerto con assegno circolare la somma indicata nel precetto e le spese della procedura esecutiva; richiama il principio affermato da Cass. 10 febbraio 1998, n. 1351 (Foro it., 1998, I, 1914), secondo cui la consegna di assegni circolari, pur non equivalendo al pagamento effettuato con somme di denaro, estingue l’obbligazione quando il rifiuto del creditore appare contrario alle regole di correttezza che a norma dell’art. 1175 c.c. gli impongono di prestare la sua collaborazione all’adempimento dell’obbligazione. 2. - Il motivo pone la questione se nelle obbligazioni pecuniarie abbia efficacia estintiva solo il pagamento in moneta contante, oppure anche mediante consegna di assegni circolari. La questione si risolve in quella se il creditore possa rifiutare senza giustificato motivo il pagamento che il debitore intenda effettuare con assegni circolari e pretendere che avvenga con la corresponsione di denaro contante, pena l’inadempimento e gli effetti conseguenti di mora debendi. Il tema dell’indagine è quindi il carattere obbligatorio della modalità del pagamento con dazione di moneta avente corso legale e correlativamente la rifiutabilità di mezzi alternativi di pagamento. La soluzione presenta notevole interesse, considerato che nell’esperienza pratica ed ancor più nel mondo degli affari l’estinzione della maggior parte delle obbligazioni pecuniarie e della quasi totalità di quelle di importo rilevante avviene con assegni circolari o mezzi alternativi di pagamento.

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3. - Secondo l’orientamento largamente prevalente nella giurisprudenza di questa corte l’invio di assegni circolari o bancari da parte del debitore obbligato al pagamento di somme di denaro si configura come datio in solutum o più precisamente come proposta di datio pro solvendo, la cui efficacia liberatoria dipende dal preventivo assenso del creditore (che può manifestarsi anche con comportamento concludente) ovvero dalla sua accettazione che è ravvisabile quando trattenga e riscuota l’assegno; in tale ipotesi la prestazione diversa da quella dovuta è da ritenere accettata con riserva, quanto al definitivo effetto liberatorio, dell’esito della condizione «salvo buon fine» o «salvo incasso» inerente all’accettazione di un credito anche cartolare, in pagamento dell’importo dovuto in numerario. 3.1. - L’orientamento risale alla sentenza 27 luglio 1973, n. 2200, id., Rep. 1973, voce Obbligazioni in genere, nn. 10, 26, ed è stato seguìto dalle sentenze 14 aprile 1975, n. 1412, id., 1976, I, 170; 3 luglio 1980, n. 4205, id., 1980, I, 2113; 5 gennaio 1981, n. 24, id., Rep. 1981, voce cit., n. 18; 16 febbraio 1982, n. 971, id., Rep. 1982, voce Locazione, nn. 584, 589; 8 gennaio 1987, n. 17, id., Rep. 1987, voce Assicurazione (contratto), n. 108; 19 luglio 1993, n. 8013, id., Rep. 1994, voce Locazione, n. 257; 3 febbraio 1995, n. 1326, id., Rep. 1995, voce cit., n. 333; 3 aprile 1998, n. 3427, id., Rep. 1998, voce Obbligazioni in genere, n. 13; 21 dicembre 2002, n. 18240, id., Rep. 2003, voce cit., n. 47; 10 febbraio 2003, n. 1939, id., 2003, I, 3102; 10 giugno 2005, n. 12324, id., 2006, I, 3061; 14 febbraio 2007, n. 3254, id., Mass., 308. La sua più completa espressione è nella sentenza 10 giugno 2005, n. 12324, il cui iter argomentativo si articola nelle seguenti proposizioni. Il dato letterale dell’art. 1277, 1° comma, c.c. comporta che i debiti pecuniari si estinguono con moneta avente corso legale; sebbene l’assegno sia bancario che circolare costituisca, a differenza della cambiale, mezzo di pagamento, la consegna o trasmissione di esso, salva diversa volontà delle parti, si intende fatta pro solvendo e non pro soluto con esclusione dell’immediato effetto estintivo del debito; l’invio di assegno cicolare in luogo della somma di denaro configura violazione sia degli art. 277 e 1197 c.c. (rappresentando una datio pro solvendo in assenza di consenso del creditore) che dell’art. 1182 c.c. (secondo il quale l’obbligazione avente ad oggetto denaro deve essere adempiuta al domicilio del creditore) in quanto comporta la sostituzione del domicilio del creditore con la sede dell’istituto bancario presso cui è riscuotibile l’assegno; l’art. 1277 c.c. è norma derogabile che cessa di operare, rendendo inapplicabile il principio secondo cui il creditore di somme di denaro non è tenuto ad accettare in pagamento titoli di credito anche se assistiti da particolari garanzie di solvibilità dell’emittente come gli assegni circolari, quando esista una manifestazione di volontà espressa o presunta del creditore in tale senso; non si può ritenere che la consegna di assegni circolari, pur non equivalendo al pagamento in contanti, estingue l’obbligazione quando il rifiuto del creditore appare contrario alle regole di correttezza che gli impongono di prestare la sua collaborazione ai sensi dell’art. 1175 c.c. in quanto la collaborazione è dovuta solo per ricevere l’oggetto della prestazione e non un oggetto diverso; i principî sopra esposti valgono se il debito pecuniario non supera l’importo di euro 12.500; se lo supera vige una particolare disciplina (d.l. 143/91, convertito in l. 197/91) che conserva, tuttavia, piena valenza all’art. 1227. 3.2. - Il concetto fondamentale è che l’adempimento dell’obbligazione pecuniaria avviene attraverso il trasferimento della moneta contante attuato con la consegna materiale di pezzi monetari nelle mani del creditore. L’obbligazione pecuniaria è assimilata al debito di dare una quantità di cose fungibili (i pezzi monetari). La titolarità della disponibilità monetaria è collegata al possesso e la sua circolazione importa la dazione di pezzi monetari considerati quali cose da trasferire in proprietà al creditore. Come è stato osservato, l’adempimento con denaro contante realizza l’attribuzione della moneta al creditore con gli strumenti del terzo libro del codice civile attraverso le categorie del possesso e della proprietà.

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4. - Secondo altro orientamento assolutamente minoritario nella giurisprudenza di questa corte la consegna di assegni circolari, pur non equivalendo a pagamento a mezzo somme di denaro, estingue l’obbligazione quando il rifiuto del creditore appare contrario alle regole di correttezza che gli impongono di prestare collaborazione all’adempimento dell’obbligazione a norma dell’art. 1175 c.c. Sono espressive di questo orientamento le sentenze 10 febbraio 1998, n. 1351, cit.; 7 luglio 2003, n. 10695, id., Rep. 2004, voce cit., n. 40. L’orientamento è motivato considerando che gli assegni circolari in ragione delle modalità di emissione assicurano al legittimo portatore il conseguimento della somma di denaro indicata. Sebbene essi non siano denaro né possano svolgerne la funzione, la facilità della circolazione e la sicurezza della convertibilità in denaro possono rendere contrario a buona fede e quindi illegittimo il loro rifiuto da parte del creditore. Pertanto, se il creditore non ha un apprezzabile interesse a ricevere il denaro contante né ha ragione di dubitare della regolarità ed autenticità degli assegni, la consegna di essi estingue l’obbligazione di pagamento sia pure con la clausola implicita del buon fine. L’obiezione che il creditore deve recarsi presso la banca per riscuotere l’assegno, mentre di regola ha diritto di ricevere la prestazione al suo domicilio, è superata con il riferimento alla crescente considerazione sociale degli assegni circolari e con il fatto che normalmente il creditore ha un conto bancario sul quale deposita denaro e titoli. 4.1. - La valutazione si sposta dal comportamento del debitore a quello del creditore ed ha come oggetto la verifica della legittimità del rifiuto del pagamento a mezzo assegno circolare alla luce del principio della correttezza e della buona fede oggettiva. Il principio, desunto dall’art. 1175 (che impone l’obbligo di comportarsi secondo le regole della correttezza) e dall’art. 1375 c.c. (che stabilisce che il contratto deve essere eseguito secondo buona fede), costituisce il limite oltre il quale il rifiuto del creditore diventa illegittimo ed il pagamento con assegno circolare spiega efficacia solutoria salvo buon fine. Con tale impostazione si introduce nel meccanismo estintivo dell’obbligazione pecuniaria il principio della correttezza e della buona fede nella prospettiva di adeguare il dato normativo alle esigenze della realtà concreta dove la circolazione del denaro a mezzo assegni circolari garantisce maggiore sicurezza e celerità, svincolandola da un aggancio a substrati fisici. 4.2. - In dottrina si è osservato che sulla base del criterio della correttezza dell’adempimento si possono raggiungere i medesimi risultati dell’ordinamento tedesco che al § 362 del BGB stabilisce il principio che il rapporto obbligatorio si estingue quando la prestazione dovuta ha efficacia per il creditore e, cioè, quando si è definitivamente consolidata nel patrimonio dello stesso; questo principio ha consentito alla giurisprudenza tedesca di affermare che il pagamento eseguito mediante mezzi alternativi (nel caso mediante bonifico bancario) diventa definitivamente efficace per il creditore quando la somma di denaro entra nella sua piena e libera disponibilità (BGH 28 ottobre 1998 in Neue Juristiche Wochenschrift, 1999, 210). 4.3. - Costituisce riflesso dell’orientamento minoritario l’affermazione contenuta nella sentenza di questa corte 6 settembre 2004, n. 17961 (ibid., n. 41) secondo la quale l’assegno circolare è considerato a tutti gli effetti equivalente al denaro contante, per cui il pagamento effettuato tramite la consegna di tale assegno estingue immediatamente l’obbligazione. Si tratta, peraltro, di un obiter privo di supporto giustificativo. Contiene una chiara esposizione dell’orientamento la sentenza 19 maggio 2006, n. 11851 (id., Rep. 2006, voce Titoli di credito, n. 60), laddove rileva che questa corte non ha affermato che l’assegno circolare costituisce un mezzo di pagamento, ma soltanto che il rifiuto di esso nei rapporti tra debitore e creditore può essere contrario al principio di buona fede, stante la sicurezza del buon fine ed il minimo aggravio per il creditore, pur senza prendere posizione sulla questione ed anzi confermando che l’assegno circolare rimane un titolo di credito con tutte le conseguenze che ne derivano in base alla legge sulla circolazione del titolo.

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Condivide l’orientamento minoritario la sentenza 19 dicembre 2006, n. 27158 (ibid., voce Obbligazioni in genere, n. 29), secondo la quale, se è vero che la consegna di un assegno circolare al creditore non equivale alla consegna di denaro contante, è altrettanto vero che, costituendo l’assegno circolare un mezzo di pagamento e non sussistendo alcun pericolo di mancanza della provvista presso la banca obbligata al pagamento, la datio di tale assegno secondo gli usi negoziali, come è prassi per i pagamenti delle società di assicurazione o, comunque, come accettata dal creditore, è sicuramente idonea ad estinguere l’obbligazione senza che occorra un preventivo accordo delle parti in tale senso o il rilascio di una quietanza liberatoria. 5. - Nella dottrina più recente prevale la tesi che la regola, secondo la quale il denaro contante è l’unico mezzo legale di pagamento delle obbligazioni pecuniarie, va «scardinata» e va riconosciuta efficacia solutoria a mezzi alternativi di pagamento che eliminano il trasferimento materiale di moneta, come l’assegno circolare, dovendosi intendere per «somma di denaro» la funzione ideale del mezzo monetario. In questo ambito si distingue fra moneta scritturale incentrata sulle scritturazioni bancarie, che riposa in definitiva sulla garanzia che offrono le banche, ed altri sistemi di pagamento, come la cambiale, precisandosi che l’effetto satisfattorio si realizza con la creazione della disponibilità monetaria a favore del creditore. L’idea di fondo è la materializzazione del denaro con trasformazione del diritto reale sui pezzi monetari in diritto di credito ad una determinata somma di denaro. Nella prospettiva della smaterializzazione il principio nominalistico (in base al quale il debitore si libera dal proprio debito con una quantità di moneta corrispondente a quella «nominalmente» dovuta a prescindere dalle variazioni del suo potere di acquisto) riguarda la disciplina dei mezzi di pagamento e, cioè, la determinazione della quantità della somma da offrire in pagamento e non la qualità dei mezzi di pagamento. In linea di tendenza è verso l’eliminazione degli spostamenti di moneta contante, oltre che per esigenze di semplificazione della tecnica dei pagamenti (evitando l’impiego di notevoli quantità di numerario), perché la custodia, la circolazione e lo scambio attraverso moneta contante sono valutati inefficienti ed insicuri specialmente per importi rilevanti. L’adempimento dell’obbligazione pecuniaria è inteso non come atto materiale di consegna della moneta contante, bensì come prestazione diretta all’estinzione del debito, nella quale le parti debbono collaborare osservando un comportamento da valutare per il creditore secondo la regola della correttezza e per il debitore secondo la regola della diligenza. Ove avvenga con mezzi diversi, l’adempimento si può considerare efficace e liberatorio solo quando realizza i medesimi effetti del pagamento per contanti e, cioè, quando pone il creditore nelle condizioni di disporre liberamente della somma di denaro, senza che rilevi se la disponibilità sia riconducibile ad un rapporto di credito verso una banca presso la quale la somma sia stata accreditata. Si è osservato che nell’ordinamento manca una regola di parificazione della moneta avente corso legale a quella scritturale; tale regola si può, però, desumere da un’abbondante legislazione speciale che si inserisce nella generale tendenza alla decodificazione caratteristica dell’epoca attuale. 6.1. - Nell’interpretazione della normativa codicistica sul sistema di pagamento dei debiti pecuniari non si può prescindere dai numerosi interventi legislativi infittitisi negli ultimi tempi che hanno introdotto sistemi alternativi, rendendoli frequentemente obbligatori. In questo ambito assumono particolare rilievo il d.l. 3 maggio 1991 n. 143, convertito, con modificazioni, in l. 5 luglio 1991 n. 197, che pone il divieto di effettuare pagamenti mediante trasferimento di denaro contante e titoli al portatore per somme superiori ad euro 12.500, ed il d.l. 4 luglio 2006 n. 223, convertito, con modificazioni, in l. 4 agosto 2006 n. 248, secondo cui i compensi in denaro per l’esercizio di arti e professioni sono riscossi esclusivamente mediante assegni non trasferibili o bonifici o altre modalità di pagamento bancario o postale nonché mediante sistemi di pagamento elettronici, salvo che per importi inferiori ad euro 100.

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A seguito di questi interventi l’area di applicazione della normativa codicistica si è a tal punto ristretta che il sistema di pagamento da essa previsto è diventato addirittura marginale. Né vale l’osservazione che siccome il d.l. 143/91 conserva valenza all’art. 1277 c.c. il creditore ha il diritto di pretendere il pagamento in moneta avente corso legale, sia pure attraverso l’intermediario abilitato che subentra nella posizione del debitore (Cass. 10 giugno 2005, n. 12324, cit.), in quanto la convertibilità in denaro è tipica di qualsiasi sistema alternativo di pagamento, con la precisazione che il rischio di convertibilità e, cioè, l’eventualità che la banca non sia in grado di garantire la conversione in moneta legale dipende in definitiva dal grado di affidabilità della banca. 6.2. - La disciplina del sistema codicistico di pagamento delle obbligazioni pecuniarie è contenuta negli art. 1277, 1182, 1197 c.c. 6.3. - Come già detto, l’interpretazione dell’art. 1277 privilegiata dalla prevalente giurisprudenza di questa corte è che i debiti pecuniari si estinguono con moneta avente corso legale nello Stato ed il creditore può rifiutare qualsiasi altro mezzo di pagamento, compreso l’assegno circolare che pure è assistito da una particolare affidabilità e sicurezza in relazione alle modalità di emissione. In dottrina si è osservato che l’art. 1277 non riguarda le modalità di pagamento, ma il sistema valutario nazionale e la necessità, quindi, che i mezzi monetari impiegati si riferiscano ad esso, evidenziando che secondo la concezione moderna il denaro è unità ideale di valore cui l’ordinamento attribuisce la funzione di unità di misura dei valori monetari o secondo una concezione più raffinata ideal unit, astratta unità ideale monetaria creata dallo Stato. 6.4. - Considerato che nell’ambiente socio-economico l’assegno circolare e quello bancario costituiscono mezzi normali di pagamento; che la circolazione del denaro tende a realizzarsi con strumenti sempre più sofisticati affrancati dalla consegna materiale di numerario per ragioni di sicurezza e velocizzazione dei rapporti; che collateralmente alla disciplina codicistica è cresciuta una legislazione che ha introdotto sistemi alternativi di pagamento, rendendoli spesso obbligatori, si impone un’interpretazione evolutiva, costituzionalmente orientata, dell’art. 1277 che superi il dato letterale e, cogliendone l’autentico senso, lo adegui alla mutata realtà. 6.5. - Si ritiene, pertanto, che l’espressione «moneta avente corso legale nello Stato al momento del pagamento» significa che i mezzi monetari impiegati si debbono riferire al sistema valutario nazionale, senza che se ne possa indurre alcuna definizione della fattispecie del pagamento solutorio. Ed in altri termini la moneta avente corso legale non è l’oggetto del pagamento che è rappresentato dal valore monetario o quantità di denaro. 6.6. - Con questa interpretazione dell’art. 1277 risultano ammissibili altri sistemi di pagamento, purché garantiscano al creditore il medesimo effetto del pagamento per contanti e, cioè, forniscano la disponibilità della somma di denaro dovuta. Tale effetto sicuramente produce l’assegno circolare con il quale, stante la precostituzione della provvista, tramite l’intermediazione di una banca si realizza il trasferimento della somma di denaro con la messa a disposizione del creditore. Il rischio di convertibilità e, cioè, l’eventualità che per qualsiasi ragione la banca non sia in grado di assicurare la conversione dell’assegno in moneta legale rimane a carico del debitore il quale si libera solo con il buon fine dell’operazione. 6.7. - Occorre precisare che lo schema della datio pro solvendo con l’applicazione della regola stabilita dall’art. 1197 c.c. rimane estraneo all’impiego del mezzo alternativo di adempimento in quanto la moneta avente corso legale non è l’oggetto del pagamento, costituito dal valore monetario o quantità di denaro, per cui tale mezzo non è niente altro che una diversa modalità di adempimento. Diversamente opinando, si perverrebbe alla inaccettabile conclusione che sistemi diversi di pagamento, imposti per somme superiori a 12.500 euro, non siano ammessi per somme inferiori. 6.8. - La raggiunta conclusione non trova ostacolo nell’art. 1182 c.c. sul luogo dell’adempimento. Vale in proposito considerare che l’obbligazione pecuniaria non è assimilabile all’obbligazione di dare cose fungibili, sicché non risulta perfettamente adattabile lo schema di tale tipo di

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obbligazione, mentre assume rilevanza l’interesse del creditore alla giuridica disponibilità della somma invece che al possesso dei pezzi monetari. In questa prospettiva il concetto di domicilio del creditore non coincide con il suo domicilio anagrafico soggettivamente riconducibile alla persona fisica, ma deve essere oggettivizzato e può individuarsi nella sede (filiale, agenzia o altro) della banca presso la quale il creditore ha un conto. 6.9. - Mentre se il debitore paga in moneta avene corso legale il debito pecuniario di importo inferiore ad euro 12.500 o per il quale non sia imposta una diversa modalità di pagamento, il creditore non può rifiutare il pagamento e l’effetto liberatorio si verifica al momento della consegna della somma di denaro, se il debitore paga con assegno circolare o con altro sistema che assicuri ugualmente la disponibilità della somma dovuta, il creditore può rifiutare il pagamento solo per giustificato motivo che deve allegare ed all’occorrenza anche provare; in questo caso l’effetto liberatorio si verifica quando il creditore acquista la concreta disponibilità della somma. La valutazione del comportamento del creditore va fatta in base alla regola della correttezza e della buona fede oggettiva. 7. - Il contrasto va, pertanto, risolto nel senso che «nelle obbligazioni pecuniarie, il cui importo sia inferiore a 12.500 euro o per le quali non sia imposta per legge una diversa modalità di pagamento, il debitore ha facoltà di pagare, a sua scelta, in moneta avente corso legale nello Stato o mediante consegna di assegno circolare; nel primo caso il creditore non può rifiutare il pagamento, come, invece, può nel secondo solo per giustificato motivo da valutare secondo la regola della correttezza e della buona fede oggettiva; l’estinzione dell’obbligazione con l’effetto liberatorio del debitore si verifica nel primo caso con la consegna della moneta e nel secondo quando il creditore acquista concretamente la disponibilità giuridica della somma di denaro, ricadendo sul debitore il rischio dell’inconvertibilità dell’assegno». 8. - La sentenza non è in linea con l’enunciato principio e va, pertanto, cassata con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Firenze affinché vi si adegui, pronunciando altresì sulle spese del giudizio di cassazione. 9. - Il secondo motivo, con il quale la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione degli art. 345, 474, 112 e 113 c.p.c. in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., rimane assorbito.