Isac delle ossa

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Isac, un ragazzino timido e introverso viene spinto dagli amici ad entrare nel vecchio convento abbandonato. Cosa potrà mai esserci lì dentro? Isac non sa ancora che le porte della cripta custodiscono arcani in immaginabili. La sua vita cambierà, aiuterà i suoi "ossuti" amici a ricordare ciò che il tempo ha reso confuso e lotterà al loro fianco contro il perfido becchino Horren Bitch e i suoi mitologici scagnozzi per trovare, infine, Il Custode delle Anime. Altalenante tra il fantasy dark e il racconto di formazione. Una storia per tutti con personaggi da ricordare. 2015 - ISBN 9788896926635- brossura - pp. 183

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Pietro Ragusa

Isac delle Ossa

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Agli abitanti della sepoltura dei Cappuccini a Bisacquino, perché la vita dei morti è nel ricordo dei vivi.

Ai giovani emigrati bisacquinesi e siciliani, perché al loro ritorno uccideranno il “Gattopardo”.

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Copyright © 2015 - Tutti i diritti sono riservati per tutti i PaesiCasa Editrice AntipodesVia Toscana, 290144 [email protected]

In copertina: disegno di Pietro Ragusa

ISBN: 978-88-96926-63-5

Pietro Ragusa, Isac delle Ossa, Antipodes, Palermo 2015

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Introduzione

Leggere Isac delle Ossa in anteprima è stato per me, appassio-nato lettore fin dalla più tenera età, un grande privilegio. E questonon soltanto perché mi ha permesso di conoscere personaggi bendelineati e vicende intriganti che s’innestano in una trama ben con-gegnata (particolare che da solo varrebbe il motivo per cui questolibro deve essere pubblicato), ma anche perché ha risvegliato inme, onnivoro divoratore di pagine, il ricordo dei migliori romanziche l’infanzia prima e l’adolescenza poi mi hanno regalato.

Isac delle Ossa è, infatti, l’unione del fantasy più genuino conle sfumature di dark più autentiche. Ma è, nello stesso tempo, unvero romanzo di formazione, perché ci permette di seguire l’evo-luzione di Isac dalla figura timida e incerta delle prime pagine finoalla piena consapevolezza della propria personalità e del proprioruolo, in una storia nella quale i nemici esistono e sono ben deter-minati a fare del male, e allora solo il bene può tentare di stravol-gere i loro piani.

Personaggi ben delineati, dicevo qualche riga più su. E lo riba-disco, in quanto non è sempre facile (e a dire il vero succede rara-mente, in genere nei grandi libri e basta) sapere assegnare aciascun attore del racconto quelle peculiarità che lo rendono unico

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e riconoscibile, e mantenerlo tale in tutto il dipanarsi della storia.Così, personaggi come il frate con il saio o il signor Matterdeskdiventano volti familiari, poiché chi legge acquista il loro stessosenso della realtà e si trova a parteggiare per loro come spesso ac-cade nella vita vera.

Molto interessante, poi, l’ambientazione. Nessun richiamo algotico, come farebbe chi si presta a scopiazzare di qua e di là, maun’originale riferimento ai luoghi cari alla memoria dell’autore,spazi scoperti nel gioco o nelle avventurose sortite dell’infanzia,luoghi riscoperti da adulto quando la curiosità che spinge a fareproprio il dantesco “fatti non foste a viver come bruti ma per seguirvirtute e canoscenza” lo ha avvolto con una spira leggera ispiran-dogli questo testo poetico e immaginifico al tempo stesso.

Ecco, Isac delle Ossa è questo. È un monumento alla memoria,un altare del ricordo, un obelisco innalzato al tempo trascorso chesi è lasciato dietro la parte preziosa e oggi riemerge ad indorare ilpresente.

Felice l’uomo che nella scrittura può lasciare traccia di sé. Lesue parole, una volta scritte, riecheggeranno per l’eternità.

Pietro Fischietti

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La sfida

«Sì, sì, sei semplicemente un codardo!» esclamò Tod. «Ma c’era da aspettarselo da te, sei sempre stato un fifone!

Scommetto che ogni sera tua madre deve correre da te perché tela fai a letto!»

E così dicendo diede una forte pacca sulla spalla ad Isac, cheper un attimo perse l’equilibrio, mentre tutt’attorno gli altri ridac-chiavano soddisfatti.

Isac aveva un fisico snello e ben proporzionato ma era piùbasso dei tre ragazzi presenti, aveva i capelli di un rosso ramatoche gli coprivano quasi del tutto gli occhi, le poche volte in cui icompagni di scuola avevano potuto scorgerli avevano affermatoche sembravano davvero inconsueti.

«Non è vero!» squittì il ragazzino «Ci sono entrato un mucchiodi volte ma oggi non mi va!»

«Ah sì? Sei entrato lì dentro, dici… bene, e allora dicci cosac’è!» lo sfidò Tod, indispettito, alzando un sopracciglio e sfog-giando un sorriso sbilenco.

«Nulla, nulla di niente. Solo polvere e…polvere» rispose Isac,che da qualche minuto teneva il suo sguardo fisso sopra le sue

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scarpette da ginnastica rosse, usurate e più grandi di due misure,che un tempo erano appartenute a suo fratello, così come i jeansche indossava.

«Bella questa, pisciasotto! Avete sentito? Non c’è nulla!»esclamò Tod, volgendosi verso i suoi degni compari Carth e Lusty.

«Beh, allora non avrai alcun problema ad entrarci ancora unavolta, no? Se è davvero vuoto questo posto non avrai nulla di cuiaver paura» aggiunse quest’ultimo.

«E poi, ci siamo passati tutti» disse Carth, girandogli attornocome fa una mosca su un leccalecca caduto per terra.

«Esatto, se vuoi entrare a far parte del nostro gruppo, iTo.Ca.Lu., devi superare questa prova, altrimenti come sappiamose puoi esserne degno?» chiese Tod, fintamente compassionevole.

«Noi siamo il gruppo più ganzo di tutta Waterbis» gli ricordòCarth.

«E se tu fai quello che ti diciamo, il gruppo cambierà nome esi chiamerà, vediamo… To.Ca.Lu.Is., bello no?» lo blandì Lusty,facendo una finta riflessione.

Isac alzò lo sguardo, ma continuò a non guardarli mentre si por-tava una mano sul naso che stingeva tra l’indice e il pollice ad in-tervalli di tempo.

«Mi promettete che, se faccio questo, entro veramente nel vo-stro gruppo e che nessuno mi prenderà più in giro?» domandò.

«Sìììì, ceeerto!» esclamò Lusty.«Per noi sarebbe il massimo accoglierti!» mentì Carth.«Dai, adesso muoviti, moccioso!» mise fine alla discussione

Tod. «Ma ricordati: vogliamo una prova.» Isac si girò e s’incamminò deciso. Il sole stava pensando di mandare a dormire quella giornata e

il vento freddo, faceva sollevare la frangetta, che velocemente ri-sistemava con un rapido movimento di mano.

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Il piccolo convento verso cui si dirigeva era conosciuto comeSt. Penitents Hooded e sorgeva vicino alla chiesa di St. GeorgeDragons: da ciò che gli aveva raccontato sua madre, era stato perlungo tempo adibito ad ospedale, prendendo il nome di HospitalRelief, per poi essere gradualmente abbandonato fino a diventarel’edificio diroccato che era adesso.

Il ragazzino si era fermato all’ingresso, sperando di trovare la fes-sura da dove i ragazzi del paese entravano per fumarsi in santa pacele sigarette o distruggere le poche cose rimaste al suo interno, ma lesue aspettative furono deluse come quando ci si aspetta una torta ge-lato ricoperta di cioccolato e fragole e invece ne arriva una al limone.

«Cavolo, sono proprio sfortunato!» sbuffò, non trovandola.Dovette, perciò, spostare una piccola tavola di legno ammuffita,

che si sgretolò in più punti quando l’afferrò per alzarla, e poi, ac-compagnato da un sinistro cigolio molto simile alla frenata di untreno che sta per deragliare, entrò.

Il primo passo risuonò per tutto il corridoio con la stessa forzadi un sasso buttato in un pozzo. Isac provò un brivido lungo laschiena, ma la sua mente lo catapultò nel sogno prospettatogli daTod: pensava alle uscite con lui e gli altri, agli scherzi che avreb-bero fatto soprattutto alle ragazze. Così continuò a camminare, nonfacendo caso, nello stato di trance in cui si trovava, alle numerosestanze che si aprivano sul corridoio e, miracolosamente, nemmenoai tratti dove il pavimento veniva pericolosamente a mancare.

Qualche minuto dopo sbucò nel chiostro, che conosceva benis-simo visto che c’era già stato diverse volte con suo fratello a gio-care a nascondino, e si ritrovò dinanzi ad un muretto ormai crollatonel quale, come una ferita, si apriva una fenditura che immettevain una stradina di terra battuta.

Con movenze che ricordavano molto un foglio di carta chepassa sotto una porta, Isac riuscì ad oltrepassarla. La stradina, mal-

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grado il sole non fosse andato a spegnersi dietro i monti più alti,era immersa nell’ombra di alcuni alberi, che lui non aveva capitoa che specie appartenessero ma che certamente erano stati piantatichissà quanti secoli prima dai monaci, i quali avevano creato unasorta di galleria dinamica, a causa del vento che faceva muovererepentinamente le foglie.

Con il cuore in gola, perché consapevole di non essersi maispinto così in là prima d’ora all’interno dell’ospedaletto, e lottandocontro i rovi le cui spine s’impigliavano nel maglione di due tagliepiù grandi, Isac continuò a camminare, chiudendo a tratti gli occhi.

“Respira, Isac pochi secondi e andiamo via… pochi secondi eandiamo via” si ripeteva come un mantra.

Inciampò su un ramo, ma riuscì a mantenersi in piedi, e subitodopo scorse un’altra porta.

Tese la mano per spingerla, ma si bloccò.“Ne vale la pena?”, pensò. Capì che quello era il momento di

dimostrare che non era un piscialetto e si convinse che sì, ne va-leva la pena se voleva cancellare il punto interrogativo che ognigiorno gli copriva la faccia e diventare finalmente qualcuno.

Perciò, spinse la porta ed entrò. Nella grande volta che sovra-stava la stanza qualcosa svolazzò, spaventandolo. Ma appena alzògli occhi, vide un piccione planare per poi risalire, cosicché sorrisee si diede dell’idiota per quell’attimo di paura. Tutto, però, cambiòquando abbassò lo sguardo.

Le pareti, affrescate con decorazioni floreali e immagini di an-geli, mettevano in bella mostra piccole cellette contenenti scheletrio mummie: ve ne erano a centinaia e di ogni tipo.

Il ragazzino rimase di sasso ed ebbe l’impulso di mettersi adurlare, ma pensò agli altri, fuori, che sicuramente lo avrebbero sen-tito e canzonato se appunto si fosse messo a strillare.

Per un attimo pensò di essere diventato lui stesso una mummia:

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