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Introduzione Una delle innumerevoli sfide che il nostro tempo pone — all’interno di una fittissima trama di rapporti e relazioni sempre più digitali, sempre meno emozionali — è la pre- parazione richiesta a ognuno di noi di saper decodificare una marea enorme di informazioni che quotidianamente ci giungono a intervalli regolari e che strutturano dentro di noi; percezioni prima, comportamenti, poi. Queste in- formazioni, quando hanno a che fare con l’altro diverso da noi, con lo straniero, il migrante, il clandestino, pos- sono, se non correttamente interpretate, determinare at- teggiamenti che spesso concludono in forme di razzismo involontario, o peggio ‘democratico’, e alimentare così il dilagante sistema dei pregiudizi paradossalmente finanche su se stessi. Obiettivo principale della nostra ricerca è la percezione che si ha degli stranieri presenti in Italia e dei migranti “clandestini” in particolare. Percezione, in sintonia con i continui e diversi stimoli alla quale i ripetuti spostamenti dei migranti chiamano tutti noi quotidianamente invece a rispondere. Difatti la percezione è cosa diversa dalla sen- sazione, legata a reazioni immediatamente riconducibili ad alcuni segnali che ci giungono dall’esterno, e che per questo possono anche approdare in conclusioni approssi- mative perché non meglio definite, per l’assenza del tempo a tale scopo necessario. La percezione è il processo finale invece di un sistema di elaborazione delle informazioni da

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Introduzione

Una delle innumerevoli sfide che il nostro tempo pone —all’interno di una fittissima trama di rapporti e relazionisempre più digitali, sempre meno emozionali — è la pre-parazione richiesta a ognuno di noi di saper decodificareuna marea enorme di informazioni che quotidianamenteci giungono a intervalli regolari e che strutturano dentrodi noi; percezioni prima, comportamenti, poi. Queste in-formazioni, quando hanno a che fare con l’altro diversoda noi, con lo straniero, il migrante, il clandestino, pos-sono, se non correttamente interpretate, determinare at-teggiamenti che spesso concludono in forme di razzismoinvolontario, o peggio ‘democratico’, e alimentare così ildilagante sistema dei pregiudizi paradossalmente financhesu se stessi.

Obiettivo principale della nostra ricerca è la percezioneche si ha degli stranieri presenti in Italia e dei migranti“clandestini” in particolare. Percezione, in sintonia con icontinui e diversi stimoli alla quale i ripetuti spostamentidei migranti chiamano tutti noi quotidianamente invece arispondere. Difatti la percezione è cosa diversa dalla sen-sazione, legata a reazioni immediatamente riconducibiliad alcuni segnali che ci giungono dall’esterno, e che perquesto possono anche approdare in conclusioni approssi-mative perché non meglio definite, per l’assenza del tempoa tale scopo necessario. La percezione è il processo finaleinvece di un sistema di elaborazione delle informazioni da

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parte di un organismo vivente.Chiarito l’ambito della nostra ricerca, verificheremo

come l’esperienza migratoria maturata da parte di alcunicittadini italiani — e nel nostro caso del Comune di Bisi-gnano, in Provincia di Cosenza — pesi ed in che modosulla percezione generale che essi hanno sugli stranieriattualmente presenti in Italia, da una parte, e su quellipresenti nel loro stesso Comune di residenza dall’altra.

Oggetto privilegiato della nostra osservazione sarà dun-que capire perché, e se vero, che latiti in questo contesto latentazione di interrompere qualsiasi forma di accoglienza,o di possibile integrazione tra uomini e donne di Paesi di-versi, escludendoli per questo da ogni possibilità concretadi concedergli, nel tempo, le medesime possibilità a noipiù volte offerte, come quelle — tra le altre — di costruirsiun progetto di vita all’insegna della reciproca tolleranza eopportunità. A questa domanda la nostra ricerca tenterà dirispondere attraverso l’aiuto della categoria della dissonan-za cognitiva, da una parte, e del long life learning dall’altra,per giungere ad una exit road possibile per decostruire ilpregiudizio in danno degli stranieri. Per l’esatta forma-lizzazione delle nostre ipotesi indugeremo inizialmentesulla prima categoria presa a riferimento, e in altri terminisul fenomeno prevalente della dissonanza cognitiva comecausa della disconnessione dai propri ricordi. Il long lifelearning sottoporrà a verifica invece il costrutto che vedeprevalentemente nella memoria lunga la possibilità di po-ter recuperare momenti positivi delle proprie esperienzevissute, per ripristinare poi i corti circuiti del passato e ren-dere quegli istanti recuperati, positivamente fruibili. L’usodi tali categorie si rende necessario per superare il deficitdi studi esaustivi vista la recente comparsa del fenomenosociale da noi indagato. Nelle conclusioni, si approderà

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invece all’esigenza di ampliare il significato del long life lear-ning, quale mezzo di collegamento tra il passato prossimoed il futuro anteriore, e in altri termini della necessità di uninsegnamento continuo dell’esperienze vissute dagli inter-vistati, da intendersi come cinghia di trasmissione socialeper la creazione di un patrimonio futuro al quale poteresaustivamente attingere. Questo sarà possibile appena, leesperienze passate saranno riconnesse e riconosciute cometali e dunque decodificate come esperienze positive e perquesto capaci di ergersi contro le ‘inesperienze’ indottedalla mediazione dei mezzi di comunicazione di massache deprivano dell’uso corretto della propria memoria.

Si vuole verificare, dunque, se le esperienze migratorieriportate alla memoria attraverso le interviste fatte allepersone coinvolte aprano a questa prospettiva, e — comeipotesi secondaria — se e come l’immagine sugli stranierie la percezione che si ha di essi risulti compromessa daimezzi di informazione e dai pregiudizi in essa ridondanti.Ulteriore aspetto della nostra ricerca è verificare infatti, lapercezione che si ha degli immigrati senza documenti incoincidenza della fatale stigmatizzazione di ‘clandestino’ indanno di molti stranieri e all’interno di questa costruzionesociale quali possibilità possano essere riconosciute a tuttiquei migranti definiti illegali per legge, al pari dei brigantinel passato. Illegale è tutto ciò che eccede i confini dellenorme, e l’extra iuris, che definisce i migranti come clan-destini senza aver commesso alcun reato e solo per averinfranto le barriere di uno spazio definito in loro danno,appunto come per i briganti del passato. È utile segnalareche allo stato attuale, mentre diverse tra loro sono le ricer-che circa la percezione degli stranieri in Italia analizzateattraverso il ruolo e la responsabilità dei mezzi di comu-nicazione, oppure attraverso gli stranieri ed il mercato

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del lavoro, nessuna ha ancora indagato a qualsiasi livello(nazionale, regionale o locale) tale fenomeno attraversointerviste a cittadini autoctoni che hanno vissuto nel tempocondizioni similari di vita e di lavoro dei migranti.

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Capitolo III

Il discorso razzista

Attribuire importanza alle diverse informazioni, e soprattuttoattribuire maggiore importanza ad alcune rispetto ad altre, èforse il compito più sconcertante e la decisione più difficile.L’unico criterio pratico su cui basarsi è la pertinenza momen-tanea; ma anch’essa cambia di momento in momento e leinformazioni assimilate perdono di significato appena utiliz-zate. Anch’esse, come altre merci sul mercato, sono destinatea un utilizzo istantaneo, sul posto e una tantum. [...] Non cisiamo mai trovati, prima d’ora, in una situazione simile. L’artedi vivere in un momento sovra–saturo d’informazione nonè stata ancora appresa. E lo stesso vale per l’arte, ancor piùdifficile, di preparare gli uomini a questo genere di vita.

Quanto è finora emerso è reso possibile dalle continueecdisi che il razzismo da sempre dimostra di saper metterein campo, adattandosi a ogni eventuale mutazione ambien-tale che dovesse configurarsi in suo danno. il razzismoha, per intenderci, un sistema circolatorio evoluto che im-mediatamente riesce a riequilibrare gli scompensi ai quali,volta per volta, può essere sottoposto in coincidenza dell’e-mergere di una coscienza maggiore in nome della difesadei diritti umani, del riconoscimento dell’altro o del supe-ramento dello stesso concetto di razza; coscienza capace

. Z B, Capitalismo parassitario Editori Laterza, Bari, ,pagg. –.

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di immettere maggiori quantità di ossigeno disponibili nelsistema circolatorio da trasportare a favore del cuore.

Ora, se il nostro sistema di relazioni sociali si basa strut-turalmente sullo scambio di informazioni sempre più dif-ficili da decodificare nel merito, sulla velocità e capacitàdi queste di generare concezioni da sottoscrivere, è sicu-ramente indispensabile capire come le stesse, circolando,volgano a favore di un atteggiamento in massima par-te intollerante. La perdita istantanea di significanza delleinformazioni, infatti, infiltrandosi nelle modalità del lin-guaggio in uso comune agli uomini impreparati a viverequesto momento sovra–saturo di informazioni, messaggi,definizioni, azioni e reazioni, contribuisce ad alimentarecomportamenti razzisti ai quali soccombiamo purtroppoe spesso con indifferente assuefazione.

A questo proposito sostiene Palidda:

In Italia si possono identificare tre nuclei nei quali istituzioni,pratiche e linguaggi producono agglomerati riconoscibili. Ifronti di trattamento e controllo dell’immigrazione [...] sonoda sempre quello esterno (il pattugliamento delle frontiere, lagestione dei Cpt/Cie) e quello interno (le operazioni di polizia— sgomberi, perquisizioni, pattugliamenti, controlli — nellearee urbane) ai quali si è aggiunto dal quello internaziona-le (che non fornisce tanto dei luoghi comuni quanto piuttostodelle pratiche che danno visibilità: le indagini sul terrorismointernazionale). La grande maggioranza delle notizie sull’im-migrazione messe più in evidenza è riconducibile a uno diquesti tre fronti, nei quali lo Stato riproduce la propria sovrani-tà, conferma le sue prerogative, riafferma e allo stesso temporidefinisce i propri confini materiali e simbolici, e dunque sestesso. L’identificazione di una minaccia non redimibile, cherappresenta il male assoluto [...] comporta l’uso del linguaggiodell’annientamento [...] il giornalista da una parte raccogliele proteste e il linguaggio dei cittadini mobilitati [...] dall’altra

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. Il discorso razzista

testualizza il suo racconto animandolo.

Attesa la complessità della questione circa la qualità equantità delle informazioni che viaggiano ogni giorno econ ogni mezzo, e il peso che le stesse assumono nellaformazione e formulazione di stereotipi e pregiudizi, ri-correremo invece all’evoluzione dei — sistemi circolatori— degli animali per capire, attraverso quest’ultimi, e peril mezzo di uno in particolare, le attuali modalità di pro-duzione e circolazione delle informazioni. Ci interessano,in altri termini i diversi livelli tra di loro interrelati perdimostrare che, se al verificarsi di mutamenti ambientaligli animali ricorrono a ogni adattamento indispensabilealla loro riproduzione, allo stesso modo al mutarsi di alcu-ne condizioni ambientali reagisce invece il sistema delleinformazioni.

.. (Ri)produrre il razzismo

Le affermazioni di Palidda sono, infatti, un valido elemen-to di analisi della questione posta, ma non risolvono lanostra prospettiva: in altri termini il linguaggio sugli stra-nieri non è sempre stato così; recuperando la dimensioneprecedente si può svelare, infatti, il mutamento e gli adat-tamenti successivamente imposti e interposti che si sonodunque definiti e affermati. Mutamenti imposti dalle logi-che dominanti di controllo dei mezzi di comunicazionee adattamenti interposti sempre più tra noi e gli altri, permediare e dividere.

. S P, Razzismo democratico – la persecuzione deglistranieri in Europa, X Book, Milano , pagg. –

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Un esempio può essere pensare a cosa accadde sulla ter-ra quando arrivarono i vertebrati acquatici e ai successiviadattamenti quali il passaggio dalla respirazione branchia-le a quella polmonare. Allo stesso modo importa capirecome sia stato possibile rendersi concreto il passaggio dalsistema di circolazione dell’informazione di massa, alla di-sinformazione circolare di massa, e al suo interno arrivareal cuore dell’informazione contro le masse straniere.

Per i grandi animali è indispensabile avere un apparatocircolatorio con il quale portare il sangue in tutti i tessutidel corpo; la sua efficienza si misura anche nei terminidella qualità delle relazioni che riesce, circolando, a co-struire. Il sangue, passando prima nel cuore, nei polmonipoi, e con l’ossigeno che giunge ai capillari per formareuna rete di vasi sanguigni tra le cellule dei tessuti, crea unatrama di relazioni e circolazione tale che nessuna sostanzadebba compiere per diffusione tragitti troppo lunghi nellecellule. Ma taluni animali, e qui troviamo l’aderenza neces-saria al nostro ragionamento non posseggono affatto unapparato circolatorio; un esempio è l’idra, la quale scambiamateriali direttamente con l’acqua circostante. L’idra nonpossiede sangue e non ne ha alcun bisogno, eliminandopertanto la faticosa prassi della circolazione che crea rela-zioni vincolanti con i tessuti — le diverse società — coni quali avrebbe dovuto confrontarsi; questa metafora cisuggerisce la comprensione dei sistemi circolatori delle in-formazioni correnti del nostro tempo che hanno espulsol’altro, attraverso la bocca della società per il mezzo delloro linguaggio.

S’inquina con il linguaggio l’ambiente a noi circostante,si avvelenano gli animi e si alimenta in altri termini l’o-dio razziale. Il sangue non occorre più per ossigenare ilcuore del problema. È lo stesso cuore del problema che

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è stato rimosso: anziché informare sulle condizioni postea base dei flussi migratori, capire e indagare l’origine de-gli spostamenti di milioni di persone, si de(in)forma sulleconseguenze dell’ennesima invasione di razze diverse dal-la nostra, e si insiste su i problemi conseguenti alla loropresenza tra di noi. Non sono come noi, hanno un’altrareligione, si comportano in maniera diversa da noi e tuttoacquista legittimità e a volte addirittura scientificità, perchéle opinioni espresse su carta o da persone con ruoli impor-tanti nelle istituzioni o nel mondo della comunicazionehanno la significanza di fornire legittimità a discorsi e com-portamenti razzisti. In questo sistema, l’altro è espuntodal diritto a ottenere la parola, e difatti nell’informazionecorrente la prospettiva dell’altro è assente, le motivazionidell’altro non hanno diritto di accoglienza, d’asilo, di resi-denza e di cronaca, non esiste quella circolarità del sangueche raggiunge ogni organo necessario alla vita comples-siva del sistema. Il nostro modello circolatorio, abbiamogià detto, è quello dell’idra, che non ha necessità alcunedi questo genere, potendo vivere senza doversi confron-tare con l’importanza della circolazione del sangue, cosìcome i nostri mezzi di comunicazione, possono agire etenere in vita una società razzista senza doversi confronta-re con l’esigenza e l’importanza della libera circolazionedell’informazione e dei diritti degli altri.

Vent’anni circa di pratiche e discorsi sull’emigrazione hannoprodotto un lascito che si è oggettivato nel linguaggio. [...]Le immagini, le narrative, i concetti impiegati nel discorsosull’immigrazione sono prevalsi sulle loro possibili alternativein una competizione di discorsi che, contrariamente a quantoil termine suggerisce, ha avuto per molti versi un esito prede-terminato. [...] Sin dalla sua costituzione nel discorso pubblicol’immigrazione è stata oggetto di politiche speciali, che han-

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no ricevuto un’attenzione speciale e che hanno costruito inambiti diversi il vocabolario con il quale noi oggi ne parliamo.[...] I mezzi di informazione hanno tradotto questo discorsoe le sue priorità in linguaggio pubblico, nei costrutti e nelletipizzazioni che usiamo nella vita quotidiana.

Si struttura in Italia perciò un forte inasprimento dellerelazioni sociali in danno degli stranieri all’interno di unatrama anche linguistica per difendere identità e risorsescarse. Questo sarà il segno di una politica che, nella teoriaa noi nota dei vasi comunicanti, produrrà una fatale intesatra media, popolazione e istituzioni terminata a volte intaluni atti d’inaudito razzismo contro gli stranieri.

Nella prospettiva dell’Europa unificata [...] gravi violenze emanifestazioni sociali e politiche del medesimo segno si sonoavute [...] e come sappiamo anche in Italia. Di molti episodi sisa, di moltissimi altri, verosimilmente, non siamo informati.Questo razzismo violento è entrato a far parte della nostravita di europei.

Questo lo scenario che si apre davanti a noi negli anniin cui l’Italia diventa la porta d’ingresso nel Mediterraneoper giungere fino alla fortezza Europea, difesa non solodalle sue leggi, ma anche dalle vigili manifestazioni degliabitanti del luogo e dalle imponenti manifestazioni d’infor-mazioni poste al presidio della nostra integrità contro glistranieri. Il passaggio successivo, «cruciale nella diffusionedi comportamenti d’intolleranza è quello che dall’ostilità

. S P, Razzismo democratico, la persecuzione deglistranieri in Europa, Xbook, Milano, , pagg. –.

. L B, L M, I razzismi reali, Feltrinelli, Milano ,pagg. –.

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occasionale (episodi di razzismo) può portare al rifiuto ealla discriminazione sistematica (situazioni di razzismo)».

Al problema dei flussi migratori e alle cause scatenan-ti nei luoghi d’origine, il nostro paese, a cui la posizionegeografica assegna il ruolo di Porta sul Mediterraneo, ri-sponde dagli anni Novanta del XX secolo con restrizioniche liquidano ogni forma di cooperazione tra i popoli,chiudendo i confini del suo stato–casa–razza. Non è uncaso, infatti, che l’evoluzione del razzismo coincida conl’involuzione politica, sociale e istituzionale peggiore cheil nostro paese abbia conosciuto. Un’involuzione che se-dimenta le sue radici nella frattura sociale apertasi con lafine della prima Repubblica. In questo vuoto, mentre ilpotere tenta di riposizionarsi nello spazio sociale per go-vernare, una marea di luoghi comuni, abilmente diluitinell’informazione contro gi stranieri, concorrono come di-mostra tra gli altri Alessandro Dal Lago a costruire quegliabiti sociali e quella legittimazione contro gli stranieri chearriva addirittura da intellettuali, giornalisti e opinionisti.Da questo spartiacque origina l’incitamento all’intolleran-za che trova sempre più spazio nei giornali, nei media,nei programmi politici, nei dibattiti televisivi, come nellediscussioni dal parrucchiere, originando in altri terminiil convivio dei luoghi comuni. Originano sempre più incoincidenza di politiche repressive l’intolleranza e il raz-zismo del nostro tempo che prende forma sempre più,anche in un linguaggio selvaggio. Un contagio trasmessodai media, veicolato nel senso comune dei luoghi comuni,da politici, intellettuali, giornalisti e da quanti hanno uninteresse primordiale ad avere un nemico su cui scaricareodio, rabbia, ma spesso anche frustrazioni.

. Ivi, pag.

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Il senso comune è un insieme di conoscenze, di abitudini, diregole e di convinzioni che formano il substrato della nostraesistenza. Si tratta di presupposti della vita sociale. [...] Nelsenso comune si esprimono un orizzonte di significati condi-visi, un orizzonte di comune memoria sociale, un orizzontedi credenze, un orizzonte di pregiudizi. Il senso comune ha ache fare con la memoria e con la tradizione di una comunità,ma i suoi contenuti sono forme di interpretazioni del mondo.

I branchi metropolitani, per esempio, altro non sonoche la somma di tante frustrazioni e luoghi comuni rias-sumibili in molti di quegli orizzonti prima citati che tro-vano nell’unico e isolato migrante di passaggio, il nemicoda pestare, esaltati come sono da quegli abiti sociali chefomentano odio e razzismo.

Concetti specifici come “aggressività umana”, “tradizione cul-turale” , “altruismo preferenziale” [...] connotano quel “nuovorazzismo” che viene tematizzato all’inizio degli anni ottan-ta da Martin Barker [...] che sostituisce alla mitologia bio–inegualitaria l’idea della differenza culturale (Barker,). Sitratta di una costruzione sociale che divide, di nuovo, in mo-do irreversibile gli esseri umani: questa volta in nome di unapresunta differenza culturale. Un neorazzismo, un razzismosenza razza, per il quale Taguieff conia il concetto di razzismodifferenzialista. Bersaglio principale di tale configurazione raz-zista nuova è l’immigrazione come fattore di distruzione dellanazione e dell’identità nazionale.

Pur non concordando pienamente su tale configura-zione razzista nuova se lasciata libera da una datazioneprecisa, la teniamo comunque a tema nella nostra analisiperché segna il debutto di un nuovo bersaglio. Motivo di

. R S, Il razzismo. Il riconoscimento negato, Carocci editore,Roma, , pag. –.

. Ivi, pag. .

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disaccordo è se in altri termini tale configurazione razzi-sta nuova sia una novità a partire dalle migrazioni postguerra o da quelle esplicatesi a partire dal trentennio li-berista. La differenza in questo caso non è di poco conto,rappresentando e documentando come faremo in segui-to viceversa un modello d’immigrazione possibile e nonaffatto differenzialista.

Ora,

ciò che appare importante e urgente è indagare sul fatto se èin quale misura la giustificazione nuova, culturale, si traducain nuove forme di pratiche sociali, di rappresentazioni e dimovimenti politici.

Compare sulla scena sociale, in questa nuova dimensio-ne differenzialista, il cittadino che diventa imprenditoremorale. In quest’assurda corsa all’emulazione del sentirecomune, un partito più di ogni altro incarnerà i tratti so-matici degli imprenditori morali, assumendone riti, miti esimboli che richiamano direttamente alla mente le fasi chehanno generato i regimi fascisti. Questo partito, la Lega,fa della battaglia contro gli stranieri il suo volano di attra-zione e di consensi che si consolidano nel senso comunecolpevolmente incontrastato. La Lega, partito finanziatoda imprenditori, assume i cittadini come operai moralida impiegare e dispiegare in una battaglia xenofoba senzaprecedenti dal dopo guerra a oggi, spesso restringendo glistessi confini geografici accumunando nella lotta controgli immigrati anche i sudici meridionali.

A monte di questa catastrofe mondializzata dei diritti fonda-mentali c’è innanzitutto l’asimmetria di potere e ricchezza [...]

. Ivi, pag. .

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da un lato e, dall’altro lato, gli immigrati e i più deboli, ancheautoctoni.

Il potente motore della macchina dell’odio contro l’in-vasione dei nuovi barbari, come anche alcuni opinionistidi sinistra ebbero a dire, è fatalmente partito. Insieme conessa parte una vera e propria caccia all’immigrato che in-carna il male, la minaccia alla nostra tranquillità come allanostra stessa morale, e soprattutto alla nostra sicurezza.

Ma il conflitto è nelle interpretazioni e nei linguaggi e va soste-nuto dappertutto e da tutti. In pochi ci chiediamo, leggendosulle cronache che si sta difendendo la nostra sicurezza (lalocuzione è oramai diffusa): “nostra di chi? Chi è fuori delNoi”? Chi vuol condividere la responsabilità linguistica e mo-rale di ridurre la sicurezza a merce a cui hanno accesso alcuniprivilegiati (noi) e che è minacciata da altri (loro)?

.. Gli invasori fra noi

La stampa Padana e altre testate nazionali lanciano cosìuna nuova offensiva contro gli invasori e dai giornali al-le televisioni, dai partiti al Parlamento, parte un’opera dipropaganda che suggella a fonte di ogni problema, lo sfal-damento dello stato sociale o l’occupazione che diminuiscein un unico colpevole dal luogo comune già identificato.

Costui è lo straniero. Alla concettualizzazione dello stra-niero delinquente nel linguaggio e nella prassi dei gestiquotidiani si aggiunge la categoria degli scienziati, degli

. S P, Razzismo democratico, la persecuzione deglistranieri in Europa, Xbook, Milano, , pag. .

. G F, Lessico del razzismo democratico, le parole che escludono,DeriveApprodi, Roma, , pag. .

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intellettuali e degli specialisti che adottano teorie che incontrasto con il ruolo della scienza; invece di indagare,scoprire e spiegare origini e cause di fenomeni o scoper-te, prediligono abbandonarsi viceversa alla triste arte deivaticini. Statisti, demografi, biologi e non solo, concorro-no alla teorizzazione delle invasioni bibliche, all’allarmedi esodi che sconvolgeranno economie e culture con ilrischio della stessa sopravvivenza degli occidentali comerazza, e dunque esortano e presentano soluzioni tra di lorodiverse, ma tutte attratte da un unico comune denominato-re. Respingere, confinare ed eventualmente tollerare unapresenza — non gradita — che deve riportarsi alle regoledomestiche dell’ospitalità e dunque della possibilità delloro allontanamento in qualsiasi momento come ospitenon gradito.

Quest’aspetto, ripreso da Dal Lago, è teorizzato in unadelle dieci tesi della filosofa Agnes Heller e precisamente“l’emigrazione è un diritto dell’uomo, l’immigrazione no”.Ciò concorre a de–umanizzare gli immigrati e ridurli asemplici importatori di regole che viola principi indefetti-bili come il valore della vita e i diritti a essa intimamenteincorporati e connessi e non eventualmente e temporal-mente concessi, come la logica domestica presuppone.Quindi la visione che prende piede anche nel linguaggio èche l’immigrato viene sempre e comunque dopo i membridella società ospitante.

Si consideri l’uso degradato della parola “ospite”. Da anni il

. Vedi “Gli intellettuali scendono in campo” e “Scienziati e immigrati”,tratti dal libro Non persone di Alessandro Dal Lago, Giangiacomo FeltrinelliEditore, Milano .

. A D L, Non Persone, Giangiacomo Feltrinelli Editore,Milano , pag. .

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suo significato viene lavorato ai fianchi, soprattutto nei bare nella chiacchiera più superficiale, che, dimenticando la di-mensione sacra dell’ospitalità– grazie alla quale si ripulisce lacasa [...] si prepara il cibo più buono [...] riscopre la parentelatra “hospes”e “hostis”, tra ospite e nemico. Naturalmente [...]è necessaria una mediazione colta, una legittimazione sullaprima pagine dei giornali o nelle sentenze dei tribunali. [...]Contro una sentenza di assoluzione per un cittadino straniero[...] ecco la reazione della Procura: “Non si può piegare l’auto-rità del nostro Stato e la cultura millenaria che ci appartienealle esigenze ( o, rectius, pretese?) di immigrati stranieri inlarghissima misura entrati in origine irregolarmente e cheinvece [...] devono sottostare, quali ospiti, alle regole e agli usiadottati dal padrone di casa”.

Si badi bene che questo è uno degli artefatti maggior-mente in uso nel nostro lessico quotidiano e soprattuttopresente nella pratica di chi si professa, non razzista, ma. . . !Questa è una delle espressioni lessicali più utilizzate dichi inizia il proprio discorso, quasi in una sorta di artifi-zio di razzismo–sostenibile esordendo: «non sono razzistama. . . . quando vengono qua, devono rispettare le nostreregole, usanze e tradizioni». La saldatura tra teorie filo-sofiche, prassi e norme legali, chiacchiera da bar comeda prime pagine di giornali ha così la capacità di rende-re in uso comune la convinzione che noi siamo padronidi uno spazio, il suolo nazionale, che non può in nessunmodo essere calpestato da ospiti non graditi, o meglio dapersone non riconosciute come tali, che sono solo altroda noi. Eliminando ora l’ovvietà e il peso di molti luoghicomuni nel linguaggio tuttora presenti, come tra gli altri,“italiani brava gente”, “italiani gente ospitale”, superandotatticismi retorici che ci inchioderebbero ad equilibrismi

. Ivi, pagg. –.

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. Il discorso razzista

inutili, è allo stesso tempo necessario capire perché siamoinvece inospitali e tutt’altro che brava gente. È chiaro cheserve, se pur velocemente, puntualizzare almeno perchébrava gente risulta essere un luogo comune, artefatto eprivo di riscontri storici, nonostante abilmente nascostonel nostro linguaggio quotidiano.

Costanti del colonialismo italiano, da quello ottocentesco aquello di epoca fascista, sembra invece siano state [...] non latolleranza, ma [...] l’abuso dei tribunali militari straordinari,il massiccio impiego di metodi coercitivi e punitivi, [...] il di-sprezzo per le popolazioni africane [...] e per finire, l’eserciziodi leggi e di pratiche inconfondibilmente razziste (Del Boca, p.). Ma il mito del colonialismo bonario degli italianiviene tranquillamente coltivato [...]. Una rimozione paralle-la e altrettanto grave colpisce in generale il razzismo comeideologia. Con una auto rappresentazione, “noi italiani nonsiamo razzisti”, durata almeno fino alla fine degli anni ’, eche resiste ancora.

Le diverse strutturazioni lessicali del linguaggio, cometestimoniano le notizie sui media o gli stessi discorsi pub-blici e privati, passano nel tempo dal modello di avversioneprimordiale–razzista a quello di avversione persuasiva–razzista. In mezzo s’incunea e trova legittimazione unaben più pericolosa e nutrita schiera di “gente di mezzo”.In altri termini una serie di persone non volendosi ricono-scere nella primordiale forma di avversione razzista — adistanza di vent’anni risultante imbarazzante all’internodelle nuove relazioni liquide — non per questo meno in-tolleranti, con garbo e sottovoce se è il caso, adottano ilsenso del pudore pubblico e, sollecitati dalle nuove forme

. P T, La pelle giusta, Giulio Einaudi Editore, Torino, ,pag. IX.

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del linguaggio che chiama “persone di colore” i neri, siarruolano nelle truppe dei non razzisti a condizione. Èquella moltitudine contagiata dalle migrazioni clandestinedel razzismo, che arriva lì dove ogni controllo non arriva,per sdoganare il concetto — non sono razzista, ma. . . !

Soprattutto ai livelli locale, semantico e retorico, molte affer-mazioni negative sulle minoranze sono precedute o seguitedalla mossa strategica che consiste nell’offrire una positivapresentazione di sé, la cui forma proto tipica è ben nota: “Nonho pregiudizi (non sono razzista) (non ho nulla contro di loro),ma . . . ”.

Questo è il linguaggio prevalente di oggi, quello chesatura le intermediazioni mediatiche e i comportamentiquotidiani e lessicali di prassi e senso comune, dove l’opi-nione prevalente è quella che gli stranieri devono restarelontano da noi.

Così un’opinione intrisa di pregiudizio, o una rappresentazio-ne sociale, scivola dalla classificazione di una diversità a quelladi una inferiorità. Con ciò si svela per quello che è: non un’im-magine è un giudizio che deriva dai fatti, ma la forza che licostruisce. “La sua prestazione specifica è quella di trasforma-re giudizi che non provengono dai fatti in fatti che impongonoun giudizio. Che giudizio? (Quello che — noi siamo noi — eche — noi siamo meglio) ( Jedlowski, , pp. –). Occorreprendere molto sul serio tali assunti perché ci consentono diaffrontare in modo radicale i nodi del razzismo, anche a costodi esagerare. E quale modo più radicale che quello di scorgerein fondo a tutti questi fenomeni il nostro coinvolgimento e lanostra responsabilità personale?

. T D, Il discorso razzista, Rubbettino Editore, SoveriaMannelli, , pag. .

. R S, Il razzismo. Il riconoscimento negato, Carocci editore,Roma, pag. .

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. Il discorso razzista

Proprio su quest’ultimo aspetto della nostra responsabi-lità personale, e con riferimento alla chiacchiera da bar, dalparrucchiere o da piazza che molte volte è liquidata superfi-cialmente come priva di sostanza e di termini di paragone,è utile invece soffermarsi. Serve a nostro avviso precisar-ne la sua natura autentica nelle posizioni assunte in unsenso e nell’altro dalle persone coinvolte in questi luoghiterzi. In uno, quello che è importante, è sottolineare, ladeterminazione con la quale si sostengono le proprie con-vinzioni in questi luoghi, a differenza invece dai luoghi info— media — pubblici dove viceversa i ragionamenti sonocostruiti all’interno di palinsesti, scalette, argomentazioni,stereotipi e pregiudizi spesso privi di autentica convinzio-ne o addirittura coerenza. Pertanto la chiacchiera da bardeve assurgere a potente strumento di comunicazione eper questo essere caricata del peso di responsabilità chegli deriva dall’asserire e difendere l’essenza del propriopensiero e non la ricostruzione soltanto delle opinioni edei pregiudizi degli altri. La chiacchiera insomma non èsoltanto la summa delle intermediazioni mediatiche, matrattiene in sé se pur minimamente una sua componentenaturalmente razzista.

Questa ridondanza, struttura e sempre più una termi-nologia, entro cui restringere il migrante, si ripresenta infatti e atti rilevatori di un atteggiamento che guarda all’infe-riorizzazione oggettiva degli stranieri, non più in terminidi eugenetica e di pulizia del mondo, ma che apre le porteanche all’inferiorizzazione culturale–educativa.

Questo nuovo spazio è pertanto disponibile a essereriempito da pseudo riflessioni antropologiche–scientifichedi ogni genere. Nella raffinata terminologia che va struttu-randosi continua comunque a nascondersi la necessità ditenere viva una divisione anche quando si usano termini

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innocui, iniziando così l’ulteriore evoluzione del linguag-gio che da selvaggio diventa da ammarraggio. Si passa,infatti, dal linguaggio forte che si presenta nella sua cru-da, ma onesta rappresentazione, senza ricorso alcuno aeufemismi, a quello più soft, meno crudo, che anzi predili-ge rappresentazioni sofisticate che ammarano su specchid’acqua che altro non sono che specchi per le allodole. Ilviaggio del linguaggio, nonostante arrivi dall’alto — dallatesta e per questo ragionato — e non dal basso, in altri ter-mini dalla pancia, conclude il suo ammaraggio per portarein salvo ancora una volta solo stereotipi e pregiudizi. Cam-biano le strutture lessicali, meno aggressive, cambiano leforme del razzismo urlato; prevale quello sottovoce daldialogo apparente, cambiano gli stessi bersagli, il corpo ela pelle del razzismo, ma non cambiano affatto le modalitàintrinseche del linguaggio e dei suoi effetti in danno deglistranieri. L’ammaraggio non porta in nessun caso in salvo,nel suo atterraggio di salvataggio, la specie umana nellasua interezza, poiché ancora una volta le dogane dell’in-coscienza, i confini mentali, i sistemi di sorveglianza dellenostre claustrofobiche paure hanno lasciato a terra moltidi noi.

La composizione del linguaggio razzista nel nostro Pae-se, possiamo concludere, inizia a strutturarsi dunque consempre maggior timore e rigore a partire dagli anni No-vanta del secolo scorso, ovvero da quando come sistemaPaese maturiamo il passaggio definitivo da terra di esodoa terra di approdo. In altri termini smettiamo di essereun Paese di emigrati che lasciano la loro terra per recarsiin Paesi stranieri e cominciamo a diventare un Paese chealmeno in quegli anni avrebbe dovuto accogliere e offrirelavoro solo a qualche migliaia di stranieri. Si struttura, apartire da quegli anni, il linguaggio del timore e del rigo-

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re che preluderà fatalmente poi, al linguaggio del livore,razzista e nazionalista.

Ma qual è il significato singolo e interrelato — nellapiù ampia produzione di una significazione complessiva— che assumeranno queste tre non più semplici parole,trasformatesi in pilastri per la costruzione di una societàrazzista, come quella italiana? Per capire tutto ciò, è neces-sario seguire, prima separatamente, l’affermarsi di ognunadelle parole da noi individuate, per poi giungere alla lo-ro novella funzione di un’architettura complessiva checonclude nel disegno di una scenografia razzista tutt’oradominante.

Ritornando alla comparsa del linguaggio razzista, essodebutta attraverso la pratica di esasperare i toni del timoreattingendo al profondo del suo significato, e addiritturaanche al suo contrario; infatti, per timore s’intende la con-dizione, lo stato d’animo di chi teme, di chi pensa possaverificarsi un evento dannoso, doloroso o comunque spia-cevole, al quale vorrebbe sottrarsi (il contrario di speranza).Timore, questa la parola più abusata in quegli anni, e rima-sta tutt’ora preminente nella costruzione sociale dell’altro,è la paura di esseri invasi, contaminati, minacciati, violenta-ti, derubati, infastiditi e insidiati culturalmente, nella fedee nel posto di lavoro.

Il “timore” del diverso da noi e degli stranieri scateneràvecchie e nuove paure e rappresenterà ancora una volta lapartita da giocare senza esclusione di colpi per resistere esopravvivere alla paura dell’assedio, che presto diverrà unabattaglia a cui tutti devono partecipare con spirito di rinno-vato sacrificio nazionale. Una battaglia che nessun cittadinoarmato di amor proprio e patrio può disertare. Il linguag-gio del timore sui mezzi di comunicazione troverà cosìspazi enormi e proficui per fecondare il germe della guer-

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ra contro lo straniero, che si estenderanno nel linguaggiopolitico e securitario. Abbiamo timore per la nostra federeligiosa, per quelle chiese che quasi nessuno più cristia-namente frequenta, abbiamo timore per il nostro lavoro,per quell’apparato industriale fortemente parassitario chesussume risorse pubbliche e licenzia contro le stesse leggi,abbiamo timore per la nostra sopravvivenza. Falsi timoridunque, che reclameranno, rigore vero.

Per “rigore” è da intendersi qui, la rigida severità concui si esige l’osservanza di una legge, di una regola o diuna norma, e che si esercita punendone le violazioni e tra-sgressioni. Questo termine conoscerà nel secolo scorso, e,ancora in parte tutt’oggi — con l’unica eccezione riferibileal periodo fascista — un utilizzo sicuramente esponenzia-le in termini di produzione giuridica per un verso, e perl’altro per una produzione di luoghi di chiusura e interna-mento superiori questa volta forse anche allo stesso perio-do fascista. Una produzione di leggi, norme e prassi cherestringono ogni possibilità concreta di accesso agli stranie-ri che vogliono venire in Italia e, che lì co(re)stringono inipotetici e improbabili Centri dove dimostriamo la nostraidea di Accoglienza soprattutto Temporanea.

Il linguaggio del rigore debutterà, in quegli anni, nellaproduzione illimitata di leggi, norme, circolari e ordinanzecontemporaneamente all’illimitatezza della criminalizza-zione degli stranieri. Infatti, tutti quelli che cercherannoaccoglienza presso e tra di noi sono, — per il noi collet-tivo — criminali che fuggono dai loro paesi, dove hannosicuramente compiuto crimini efferati e contro natura,offendendo i luoghi comuni del nostro comune pudore.Insomma, costruiamo sull’ipotetico immaginario di unanazione sana e ancorata a determinati principi e valori —quali fra gli altri, il rispetto per le donne, i bambini, gli

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anziani, l’ambiente, gli animali e il patrimonio pubblico —un linguaggio del rigore che reclama rispetto per l’identi-tà e l’integrità nazionale, altrimenti compromessa. Ma èuna finzione enorme, che produrrà invece la funzione dicriminalizzare persone, gli stranieri, che fuggono, ma daguerre, torture, stupri e pulizie etniche di massa, oltre chedalla fame e dai mutamenti climatici sempre più violenti.

Un aspetto, quello dell’internamento degli stranieri che,al di la delle sigle che cambiano con l’inasprirsi della pro-duzione legislativa razziale, restringono sempre più anchela libertà di espressione e il diritto stesso dell’esistenza, al-l’esistenza e all’assistenza di un numero sempre maggiore,di persone che finiranno per diventare non–persone. Nonè, quello dell’esistenza di questi luoghi invalicabili — quasicome non esistessero — e dei diritti legati all’esistenzadi persone (l’assistenza umanitaria, medica e sociale) inquesti — non luoghi — , un mero esercizio linguistico, mauna prassi invece e una pratica contro gli stranieri siste-maticamente fatti oggetto di violente privazioni e di gravie pesanti violazioni di alcuni principi inviolabili presentinella stessa carta dei diritti dell’uomo. Ma nel linguaggiocomune, grazie anche ai media, questi lager dell’era con-temporanea finiranno per assumere talvolta addirittura nelconvivio dei luoghi comuni, l’aspetto di isole felici, doveprivilegiati stranieri consumano risorse pubbliche, mentregli autoctoni soffrono l’invasione e la crisi economica daglistranieri provocata.Continua, nonostante tutto, e nell’asso-luta incoscienza nazionale, la metamorfosi del linguaggioche approda dopo il timore e il rigore, a un livore sen-za precedenti nei confronti degli stranieri, mentre noirimaniamo estranei al capire, e forestieri al comprendere.

Per “livore”, intendiamo, l’aspetto livido del volto di chiè tormentato dall’invidia e l’invidia ci riporta alla categoria

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dei sentimenti forti, passionali. Per invidia, infatti, si men-te, si odia, si denigra, si accusa, si ruba, e perfino si uccide.Livore è, la parola che meglio di ogni altra rappresentaanni di falsi timori e di autentico rigore nei confronti e indanno di uomini e donne aggredite, razzizzate e spersona-lizzate all’interno di un linguaggio sempre più aggressivoe per lo mezzo di gesti quotidiani sempre più intolleran-ti. Un livore che trasuda in ogni angolo della nostra vitaquotidiana sia essa pubblica che privata, dove rimarrannoimpresse a futura memoria gli stenti e i soprusi in dannodei deboli consumati dagli autoctoni con invidia e violentacupidigia contro le bestie straniere. Un tormento non solofisico, ma anche mentale che ci attanaglia e ci scuote fino adare corpo al profondo dei nostri abissi dove affondiamola vita e le richieste dell’altro diverso da noi che temiamo,forse non tanto e soltanto per quello che gridiamo, ma piùconcretamente forse anche per quello che abbiamo pauradi ammettere. L’altro diverso da noi è sano, parla moltelingue, si accontenta, e capace di risparmiare, si adatta, eculturalmente preparato, sa fare a meno del superfluo, inaltri termini non lo ha ancora pressoché mai conosciuto,e capace inoltre di grandi sacrifici per la propria famiglia,clan o tribù che sia, e tutto questo e molto altro ancora,è in altri termini tutto quello che noi abbiamo smessodi essere, convinti com’eravamo della non finitudine delnostro benessere.

In questo campo sterminato di diritti negati il linguag-gio muta, si ripulisce dalle vecchie incrostazioni per dimo-strare invece la sua democratica evoluzione, che altro nonsottende che a un’ulteriore involuzione di diritti negati neiconfronti degli stranieri razzizzati, in nome della culturae del differenzialismo, che li riproduce come clandesti-ni da poter accogliere nei campi dell’odio, o nei cantieri

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. Il discorso razzista

dell’infamia, o nelle industrie dello sfruttamento. Quelloche riuscirà a produrre l’intersezione di queste tre parolesottomesse alla costruzione sociale dell’intolleranza, al-tro non è che una costruzione mentale perversa con ildifetto imperdonabile della dissimmetria strutturale. Unacostruzione mentale e nel nostro caso del linguaggio, chesedimenta su secoli di contrastanti risultati: da una parte,i racconti di viaggi, scoperte, conoscenze e mescolanzadi persone e saperi che esaltano l’incontro con gli altri,dall’altra, invece, cronache di fatti che ricostruiscono unclima, una percezione, una modalità ostile nel pensare enell’agire contro gli stranieri.

Nelle notizie e nei servizi speciali dei giornali, della televisione[...] le minoranze etniche sono rappresentate con regolarità,in termini solitamente negativi. Ma anche i film, i fumetti, lapubblicità, i libri di testo [...] contribuiscono alla costruzionedi un consenso a base ideologica che assicura lo status quoetnico o razziale. Gli scritti e i discorsi non solo regolano granparte della nostra vita quotidiana, ma funzionano anche comestrumenti essenziali per la riproduzione delle condizioni dipotere.

Una delle chiavi di volta è proprio decodificare la dif-ferenza tra il narrare, annotare, catalogare e imparare, si-tuazioni tipiche tutte preliminari al confronto con l’altro,differenti dal ricostruire, immaginare, opinare e sentenzia-re come sempre più e spesso fanno i rapporti, le cronachee i giornali chiamati a pronunciarsi su taluni fatti e, comenel nostro caso, sul difficile rapporto con l’altro diverso danoi.

. T D, Il discorso razzista, Rubbettino Editore, SoveriaMannelli, , pag. .

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In altri termini, quello che poniamo a questione è lacapacità di saper decifrare ancora una volta le forme clan-destine nelle quali il razzismo migra nelle sue continuemutazioni. Tutti poniamo maggiore attenzione e pudicoorrore al linguaggio selvaggio e discriminatorio, proprioper la violenza con la quale si manifesta contro gli stranieririspetto ad altre modalità meno aggressive — o addiritturaa volte percepite come tolleranti per le raffinate costruzio-ni lessicali che frappone e interpone tra se e l’altro. Maoccorre ricordare che il linguaggio discriminatorio nondebutta nella fase liberista dei flussi migratori della nostrastoria recente delle immigrazioni, ma è figlio prediletto difatti e discriminazioni a noi lontane. Una ricostruzione tipi-ca del linguaggio discriminatorio è per esempio la cronacadi un’inchiesta compiuta da alcuni ispettori che descrive lecondizioni in cui versano un gruppo di stranieri in attesadi spostarsi da un luogo a un altro, attraverso un viaggiointessuto nella penelope, trama dell’esistenza degli uominie delle donne, in ogni tempo vissuti. Un resoconto che siautoalimenta con quelli che sono le opinioni delle personee con gli articoli e i titoli dei giornali del posto, in queltempo:

Già sulla scala ci venne incontro un’aria calda e puzzolenteproveniente dalla sala che si trovava nel sotterraneo. In questolocale la situazione era insostenibile e molti [...] erano stesisulle panche completamente vestiti, sudati e maleodoranti. [...]Tutto il locale era molto sporco. Carta, bucce d’arance, restidi cibo d’ogni genere, pelli di salumi ecc. erano sparsi in granquantità sulle panche sui tavoli e soprattutto sul pavimento,i servizi igienici adiacenti erano particolarmente sudici. Letazze dei gabinetti erano in parte stracolme di carta e di feci; letavolette dei water molto sporche e sul pavimento si trovavanomasse di feci poiché i servizi igienici non venivano più usatidalle persone che defecavano sul pavimento. [...] Mi ritrovai

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. Il discorso razzista

in una specie di bettola [...] ripiena di operai, in cui l’odoreacre di liquore, di vino, di fumo, di tabacco e l’aria grave,nauseabonda, facevano sentire il bisogno di risalire subito. [...]E i nostri operai stanno in questo androne, vi passano anche lanotte aspettando i treni? Si, si, stanno qui [...] e gli svizzeri nonrare volte vengono là sopra (e mi indicano le aperture dellavia) ci guardano, scuotano la testa e ridono. Sa cosa dicono?Dicono: ecco gli zingari d’Italia.

Possiamo ancora oggi utilizzare per esempio l’interostralcio dell’inchiesta sopra riportato cambiando solo leultime quattro parole? Anzi, quanti leggendo questo reso-conto hanno approssimato conclusioni affrettate su qualepotesse essere la razza in discussione e vittima di discrimi-nazioni oggettive e immateriali come gli stigmi sulla pelledi quelle persone? Possiamo insomma sostituire quelleultime quattro parole con: “ecco gli zingari rumeni” comemolti hanno già fatto prima che si arrivare alla fine delresoconto? Purtroppo sì. Nonostante da quel rapporto siapassato un secolo (eravamo, infatti, nella Svizzera del e gli zingari eravamo noi), tutto nel linguaggio è rimastoidentico e, in effetti, sembra un rapporto o un’inchiestagiornalistica degli anni Novanta del secolo appena trascor-so, e addirittura ancora finanche di qualche mese fa. Manon è questo il solo linguaggio del quale avere paura. Quel-lo che sfugge, e produce ora maggiori effetti devastanti, èla raffinata forma di esprimere concetti fortemente razzistipassando attraverso un linguaggio morbido e comprensi-vo. Come quello di dovere creare le giuste occasioni dilavoro nei luoghi di origine dei migranti e nel frattempoattivare politiche sensibili finalizzate alla dissuasione deiflussi migratori in collaborazione con gli Stati di transito

. A, Storia dell’emigrazione italiana, Donzelli editore, pag. .

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dei migranti. Un artificio linguistico e lessicale per dire, insostanza, che gli unici fondi resi disponibili e che le unichepolitiche sensibili sono quelle dei pattugliamenti delle co-ste che respingono, ancor prima di verificare la presenza direquisiti e diritti in capo agli stranieri, le imbarcazioni checercano di avvicinarsi alle nostre coste e le collaborazioniattive con alcuni stati (come la Libia) che diventano neifatti un inferno fatto di carceri, torture, sevizie e stuprifinanziato con soldi pubblici italiani. Questo è un esempioclassico di quello che noi abbiamo definito il linguaggiod’ammaraggio.

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Capitolo IV

Gli effetti del razzismo

.. Diversi da chi?

Molte delle finestre di analisi che abbiamo finora apertosul più ampio cortile del razzismo meritano singolarmen-te una più rigorosa evidenza scientifica e sociologica; lestesse, comunque, per ora solo socchiuse, ci occorronoper comprendere come sia stato possibile passare ‘dalleparole ai fatti’: in altri termini, dagli enunciati riposti nellinguaggio selvaggio, ai crucciati modi di un nuovo raz-zismo, appunto quello liquido, senza essercene ancorapienamente accorti. È il paradosso dei cambiamenti: ne vi-viamo già gli effetti, ma ci muoviamo ancora all’interno divecchie categorie, convinzioni e supposizioni. Nel nostrocaso, la contraddizione è il pensare erroneamente che ilrazzismo depredi e pregiudichi solo gli altri diversi da noi.Ma chi sono gli altri diversi da noi? Sono solo gli extraco-munitari, i clandestini, gli stranieri, gli africani e i rumeni,o anche i senza tetto, lavoro, reddito, cibo, marito o moglieo genitori, i senza un ruolo, un posto, un anfratto; i tossici,i carcerati, le prostitute e i pensionati al minimo, e cheal massimo possono vivere sotto la soglia di povertà e incondizioni inumane, in compagnia di tutta questa moltitu-dine stigmatizzata e disumanizzata? Siamo clandestinamenteintrisi di pregiudizi nei confronti di tutta questa miserevole

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moltitudine? Siamo o non siamo sempre più forestieri alledifficoltà di tutti gli esclusi, e clandestinamente attrezzati aritenerli stranieri alle nostre stesse vite, da difendere dachiunque, e indipendentemente dalla lingua che parla odalla pelle che indossa?

Vi sono nella storia europea chiari esempi della funzionepolitico–sociale dello schifo nei rapporti con gruppi mino-ritari, a partire dal disgusto verso gli ebrei in epoca medievale.[...] Gli ebrei sono considerati, insieme ad altre categorie qualizingari, viandanti, mendicanti, pezzenti, vagabondi, ecc. co-me pericolosi e contaminanti, ad esempio i bandi emanatia Bologna in età moderna, e ancora considerati “individuiimmondi” e fetidi tra Settecento e Ottocento a Parigi.

Le migrazioni economiche e le contraddizioni globalici svelano dunque, tra le altre cose, come buona parte an-che della sinistra emergente e dei movimenti antirazzistisiano stati anch’essi abbagliati dal senso comune, finendoper non riconoscere le sottocondizioni preliminari a unarazzizzazione di massa, dentro e fuori ogni inutile confineche si vuole frapporre fra uomini e donne provenienti dadiversi posti, ma con medesimi diritti.

Nella società liquido–moderna la condizione di indesideratoassume una gravità se possibile ancora maggiore. Qui, ora,vengono prodotti come indesiderabili tutti coloro che per unaragione o per un’altra non riescono a raggiungere la soglia mi-nima del consumo. Indesiderato diventa colui che non riescead indossare l’uniforme del consumatore e, dunque, non haalcuna possibilità di mimetizzarsi nel gregge dei desideranti.

. P T, La pelle giusta, Giulio Einaudi Editore, Torino, ,pag. XXXVII, XXXVIII.

. R C, Razzismo e Indifferenza, Edizioni Sensibili alle foglie,Acqui Terme, , pag. .

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. Gli effetti del razzismo

Nonostante le tante Convenzioni firmate — molte altrenon ratificate — accordi e protocolli, rimaniamo cittadinidi un Paese capaci di intermediare su ogni cosa che ri-guarda la vita e le aspettative dei migranti. Intermediamosulle loro aspettative, sui loro ingressi (resi illegali e perquesto remunerativi), sulle abitazioni, sul lavoro, sul cibo,cure, assistenza e sulla loro legittima aspettativa di poterottenere i documenti necessari, per sottrarsi alla vita diinvisibili che li fagocita, nonostante contribuiscano con illoro lavoro a rendere possibile e visibile il nostro benesserecollettivo. Quello che aspetta tutti loro al contrario è inve-ce il solo regresso nel mondo del lavoro nero, resi invisibilie schiavizzati per questo catturati dai caporali prima e dallesanzioni legislative poi, quando ai circuiti criminali dellanostra economia non servono più.

Gli abusi in danno dei migranti, indipendentemente dalloro status giuridico, non conoscono confini, quasi a volerdimostrare il cinismo con il quale si riproduce ovunqueoccorrono stranieri per mandare avanti la nostra econo-mia, emersa nei rating della finanza e sommersa nel nerodelle sue chiare pratiche. Presenza necessaria, quella del-l’esercito degli immigrati, resi impercettibili e sempre piùsottomessi alle condizioni di sfruttamento in loro danno eper questo rassegnati nella solitudine della sopportazionedegli abusi — come tutti quelli che potremmo documen-tare e che non riguardano solo la Calabria, Rosarno e gliirregolari, ma sempre più spesso la Lombardia, Milano,e i regolari. Sottolineiamo ancora una volta questa circo-stanza della regolarità a sostegno della nostra convinzione,perché, è il nostro rapporto con l’altro che bisogna tenerea tema con i problemi che pongono le migrazioni, e nonsolo l’aspetto singolo delle stesse.

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Razzismo migrante e strutture clandestine

Alla simmetria dell’inclusione nella coscienza nazionaledell’emergenza clandestini, alla possente opera di luoghicomuni, alla velenosa opera di normalizzazione nel no-stro Paese è asimmetrica l’incoscienza dell’esclusione esoppressione continua del migrante irregolare.

Infatti, uno dei limiti imposti alla piena presa di coscien-za di questo violento cambiamento nella nostra società— e più in generale in tutte quelle dei Paesi occidentali —è l’ingegno con la quale i governi e le forze liberiste (e lanuova genesi democratica imperante), riescono a tenereseparati i razzizzati senza consentire loro di riconoscer-si; anzi, al contrario, alimentano forme di mediazioni ecomunicazioni pregiudizievoli che hanno la capacità diannebbiare il riconoscimento dei fatti. E pertanto, e an-cora una volta, se le pensioni sono al minimo, se ci sonomeno abitazioni, meno occasioni di lavoro, la colpa è solodegli stranieri che bisogna mandare via. Questo è uno de-gli inganni maggiormente riproposti e resistente, perchéin realtà esistono case, lavoro e opportunità per tutti —certo all’interno del nostro libero arbitrio e dei sacrificiche siamo disposti a fare — ma soprattutto all’interno deidiritti un tempo tutelati, e ora sempre più stranieri a noi,e paradossalmente ‘altro da noi’.

La nuova dimensione tridimensionale è dunque quelladel razzismo da convivio, tenero e persuasivo, intessutonella più complessa fase liquida del razzismo impercettibi-le. Un razzismo capace di incunearsi e raggiungere ogniinterstizio della società, e per questo abile a stigmatizzarecon cura chiunque incontri nella sua nuova genesi demo-cratica. Ora tutti sono razzizzabili, perfino gli autoctoni.Pertanto, le pratiche razziste del terzo millennio risultanoproprio per questo inedite ai più. Quest’ultima considera-zione, insieme con altre, avrà un approfondimento altro

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. Gli effetti del razzismo

rispetto alla nostra riflessione, ma queste nostre approssi-mazioni concorrono a svelarci ora le continue ecdisi di cuiè capace il razzismo, sulle quali bisogna iniziare a confron-tarsi per pretendere il pieno riconoscimento della dignitàe identità di tutti, e non solo degli stranieri.

Quello che i pregiudizi, gli stereotipi, il lessico e il lin-guaggio provocano all’interno del nostro quotidiano mo-do di vivere e di essere, e le pratiche a esso collegate, altronon sono che forme di assuefazione/dipendenza di ciòche ci viene a intervalli regolari somministrato. Pertanto,all’interno delle strutture più complesse — quali i tempie le modalità della vita nei quali siamo terapeuticamen-te immersi — se quello che ci viene somministrato concura, con intervalli regolari, (pensiamo per esempio agliintervalli certi dei notiziari televisivi o radiofonici) sonosolo una serie di messaggi che incitano prevalentemente ilnostro inconscio verso l’intolleranza, la discriminazionee il non riconoscimento dell’altro, molto probabilmentela maggior parte di noi reagirà ‘positivamente’ alla curamediatica — somministratagli.

Più semplicemente parliamo dell’effetto placebo. Disolito ciò che circola all’interno delle modalità del placebosono parole o farmaci, dal contenuto positivo, o al massi-mo dal carattere neutro — innocuo appunto — utilizzatenei confronti di persone depresse o malate, capaci di sti-molare una serie importante di reazioni. Nel nostro casol’analisi è più complessa, atteso che ciò che circola, crean-do un effetto di reazione positiva agli stimoli ricevuti, nonsono certo parole o informazioni positive o neutre, anziil contrario. E soprattutto preoccupa la ridondanza nega-tiva di parole e informazioni capaci da sole di rafforzarepregiudizi e comportamenti deleteri nelle persone reselentamente dipendenti al razzismo. È questo, in altri ter-

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mini, l’effetto perverso del nocebo il contrario del placebo,capace da solo di scatenare effetti psicogeni di massa. Macosa sono il placebo e il nocebo? E cosa hanno a che farecon la nostra analisi sul razzismo? E quali sono ancora glieffetti che essi determinano?

Con il termine placebo riconosciamo una pratica neu-tra, priva di qualsiasi attività terapeutica, medicamentosao farmacologica, capace di generare comunque un effettopositivo. Se dunque il solo pensiero positivo può liberarcidalla malattia, si pensi al contrario a quali effetti posso-no avere i pensieri negativi sulla nostra salute e sui nostricomportamenti. Tale effetto, chiamato appunto nocebo,è altrettanto potente. Pensieri negativi ed eventi improv-visi, possono scatenare su psiche, cervello e organi vari,patologie a volte anche dirompenti.

Una parola, un discorso, un intero linguaggio mal strut-turato da persone con ruoli istituzionali e non, possonoscatenare un precipizio interiore pericolosissimo in perso-ne sensibilmente deboli o socialmente claustrofobiche etimorose. Le convinzioni — informazioni dunque, positi-ve o negative che siano, quotidianamente somministratea milioni di uomini e donne, non hanno solo un impattosulla salute, ma su ogni aspetto della loro vita, e soprattuttosulla percezione che definiranno in danno delle tossine–migranti da espellere dal loro corpo. Ogni giorno, infatti,riceviamo un numero esponenziale di notizie che sono ingrado di condizionarci se non decodificate correttamente,come quella più comune del rischio di invasione dei nostrispazi da parte di orde di stranieri, spesso nemmeno ben de-finiti, che attentano alle nostre risorse scarse. Gli stranierisono di volta in volta, infatti, all’interno della terapia far-macologica delle informazioni somministrate (criminali,delinquenti, extracomunitari, belve, clandestini ecc.).

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. Gli effetti del razzismo

La pressione continua di notizie allarmanti, o di discorsicon ricadute pubbliche che inneggiano a un futuro negati-vo, intriso di fatalismo per la nostra stessa sopravvivenza,per effetto del nocebo riproducono paure e ansie socialiche degradano in effetti psicogeni di massa, strutturatisiin intolleranza diffusa e generalizzata. Pertanto, l’effettomediatico sperato si concreta in un riscontro sempre piùistantaneo, liquido appunto, di richiesta di esclusione edespulsione dell’altro diverso da noi, e questo effetto di pau-ra deraglia in atteggiamenti d’intolleranza di massa, propricome quelli psicogeni dall’effetto nocebo. Su tali effetti dimassa hanno poggiato parte della propria riuscita partiti,organizzazioni, mezzi di comunicazione e carta stampata,che hanno generato una psicosi razzista pregna di pauree pregiudizi. E questi effetti sono tanto più forti, tantoquanto, più debole e in crisi è la società dove gli stessi simanifestano.

Così come cambiano le fasi socio–economiche e gliinteressi sottesi, così cambia e ancora una volta pelle ilrazzismo. Pelle — la nostra questa volta — sulla qualeappaiono i segni evidenti di violente campagne xenofobemediate dai mezzi di informazione, che si manifestanoproprio attraverso i tratti tipici delle malattie psicogenedi massa con il diradarsi di ogni pratica forma di tolle-ranza e perdita consistente di valori quali l’accoglienza,la democrazia, il riconoscimento e le pari opportunità.Valori dunque che compongono la chioma della democra-zia sempre più a rischio alopecia globale. Un’alopecia cheprovoca un diradamento totale dei comportamenti intes-

. Cospe, Analisi dei casi di razzismo e discriminazioni sulla base dell’ap-partenenza “etnico–razziale” nazionale e religiosa, apparsi sulla stampa dal ottobre al novembre ; Osservatorio Europeo sulla sicurezza, Lasicurezza in Italia: significati, immagini e realtà,

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suti nelle trame quotidiane dei rapporti tra noi e l’altro,sempre più rarefatti, sempre più disintegrati.

.. Rarefazione urbana e disintegrazione sociale

A questo livello è comunque necessario entrare nel me-rito delle categorie ipotizzate, che faranno da sfondo alledirettrici principali della dissonanza cognitiva e del long lifelearning, precisando che per rarefazione urbana intendia-mo la bassa concentrazione di risorse prima disponibili inabbondanza in un determinato ambiente, luogo, spazio osistema fisico. Quello che sempre più si avverte, infatti, èla totale incapacità delle istituzioni pubbliche di saper dise-gnare la fisionomia delle città del futuro, ovvero di saperconcepire idonei spazi di socializzazione urbana capaci diaccogliere gli stranieri, al fine di garantire a ognuno di lorol’opportunità di una vita dignitosa che apra alla prospet-tiva dell’integrazione tra persone che vivono comunquegli stessi luoghi. Viceversa, questa prima incapacità dellascenografia mentale lascia inevitabilmente spazio alla ra-refazione dell’intero sistema urbano, sottraendo a esso —a tutti quelli che lo vivono, ovvero agli stessi autoctonied agli stranieri — tutte quelle risorse che sotto forma diopportunità erano prima presenti in abbondanza per tutti.Pensiamo per esempio da una parte all’uso limitato chemolte persone fanno dei parchi, per paura di incontrarequalche straniero, e dall’altra, al divieto imposto agli stessistranieri di sostare o attraversare gli stessi parchi in alcunecittà. A entrambi è precluso l’uso di una risorsa primaabbondante.

. http://www.google.com/dictionary?hl=it&sl=it&tl=it&q=rarefazione

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. Gli effetti del razzismo

Dobbiamo prevedere una società italiana che certamente rice-verà flussi ingenti di immigrati e ne sarà modificata; che sareb-be demagogico dire che possa accogliere tutti e comunque,ma che viceversa rifiuta l’ipotesi di farsi cittadella chiusa, ofortezza. Si tratta, dunque, di elaborare soluzioni, nello spaziostretto tra valori e principi guida, e pratiche effettive.

Proprio sul significato e sulle dimensioni degli spaziurbani è necessario indugiare, al fine di poter meglio com-prendere le implicazioni nascoste nell’uso degli stessi dauna parte, e per saper opportunamente ridisegnarne dal-l’altra i confini, ristretti al limite della sopportazione/ cir-colazione. La nostra definizione e idea di spazio, per tuttoquesto non sarà coincidente dunque con il senso e la mi-sura comune. Lo spazio fisico urbano, infatti, risente ereagisce sempre a ogni modificazione al quale è sottopo-sto, al di là di chi se ne renda protagonista; pertanto, èsubito utile avere chiara un’idea complessiva dello spazioche non può mai coincidere con i soli confini delle muradelle proprie abitazioni, ovvero della piazza sottostante.Questa visione claustrofobica degli spazi non include mail’Altro, ma come spesso e sempre più accade, non includenemmeno lo stesso vicino di casa o di pianerottolo — au-toctono o straniero che sia — concludendo nel vivere viteparallele in un percorso di disconoscimento reciproco.

Noi assumiamo questi limiti fisici, ma anche mentali,come indefettibili, che tuttavia si riverberano quando sitratta degli stranieri con una maggiore indifferenza e intol-leranza. Non vogliamo condividere insomma nessuno deinostri spazi urbani, aprendoci di fatto ad una rarefazione dispazi possibili di condivisione che si assottigliano sempre

. L B, L M, I razzismi possibili, Feltrinelli Editore,Milano, , pag. .

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più, come nel caso limite delle ordinanze in danno deglistranieri di non poter stare seduti sulle scalinate delle chie-se oppure addirittura dentro ad alcune di esse, oppure disostare in alcuni luoghi pubblici, e la continua esclusione diogni possibile forma d’insediamento dei barbari–forestierinel centro delle nostre città, vissute anch’esse come luogoe spazio da proteggere dallo straniero invasore in una ripro-posizione dello schema militare delle battaglie del passato:lo straniero accampato fuori le mura delle città–stato cheassedia e che attenta alle nostre vite ed alle nostre risorse.Dimentichiamo purtroppo, rimuovendo il passato e la sto-ria degli uomini — e imprimendo a unica verità la storiafatta di circolazione di merci e capitali — che spesso legrandi città, le grandi civiltà, sono state rese possibili spes-so dopo che l’assedio è stato tolto o quasi sempre ancorprima che lo stesso potesse avere ragione di esistere: quan-do gli uomini insomma potevamo liberamente viaggiare,errare, incontrarsi e conoscersi.

Qui trova sedimento la nostra categoria della rarefazio-ne urbana: nel limite imposto alla piena fruibilità di risorsee opportunità prima abbondanti per tutti, come lo scam-biarsi conoscenze, rimedi, medicamenti, filosofia, cultura,musica, pittura, amori, modi e mezzi di lavorare per ri-prodursi pacificamente. Le nostre città hanno una capacitàurbana notevolmente superiore a quella che si rende di-sponibile per loro ma, nonostante ciò, lo straniero dimoraquasi sempre confinato in situazioni di fortuna fatte diponti e cartoni.

A questo livello, per corroborare la nostra tesi, è utile ri-portare parte di un articolo apparso sulla cronaca cittadinadi Roma:

Tra cumuli di rifiuti nascosti nella collina di Monte Mario,

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. Gli effetti del razzismo

sono tornati a costruire nuove baracche altri invisibili [...]sono tornati a vivere con donne e bambini. Un vero e propriovillaggio, casette costruite una accanto all’altra, per sentirsipiù sicuri. I bambini giocano tra cumuli di spazzatura comeavviene in certe megalopoli africane. Il degrado è sotto gliocchi di tutti, giorno e notte. Con il calar del sole la collina,pare un piccolo presepe.

A questa visione di denuncia del degrado, quasi roman-tica per alcuni aspetti, si sovrappone in un box, all’internodello stesso articolo, e a firma della stessa giornalista:

Blitz in casolari e insediamenti abusivi: arresti. Uno straor-dinario servizio di controllo è stato svolto, l’altra notte, daicarabinieri a Roma e provincia, un’operazione pianificata cheha portato all’arresto di diciannove persone, di cui tredici cit-tadini romeni. [...] i militari hanno pattugliato [...] abitazioni,stabili incustoditi, casolari ed accampamenti rom. Si tratta diun servizio preventivo su tutto il territorio [...] dove sonostati trovati molti casolari abbandonati usati, appunto comerifugio.

Si passa così in un attimo dalla visione romantica delpresepe della collina di Monte Mario, all’esaltazione del-l’azione repressiva di sgombero e demolizione di quellostesso scenario prima con enfasi solidale raccontato.

Continua pertanto la modalità di doversi liberare dal-l’assedio e dunque, il riprodursi di un approccio e un atteg-giamento ancora e solo militare — novelli paladini controvecchi saladini — ed al suo interno la facilità di praticareogni forma di violenza è giustificata dal solo fatto di fare

. «Il Messaggero», Cronaca di Roma, “La città e il degrado”, edizionedi domenica febbraio , pag. .

. Ibidem.

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dello straniero un nemico ed una minaccia per la nostrastessa vita.

Incarnazione di una minaccia, persino di una minaccia di mor-te, la categoria resa estranea rientra in quella di nemico asso-luto, rispetto al quale tutte le misure di autodifesa vengonogiustificate, o addirittura esaltate. I maggiori effetti di condi-zionamento ideologico dovuti a una propaganda razzista, checostruisce il nemico come un demonio un animale pericoloso,si manifestano in un contesto di guerra, in cui la polarizzazio-ne sulla coppia Noi versus Loro — anima il campo di battaglia— e favorisce la brutalizzazione dei soldati, trasformando degliuomini comuni in assassini di professione. La disumanizzazio-ne del nemico, demonizzato o bestializzato, crea una distanzapsicologica tra il carnefice e la vittima, senza cui l’assassiniodi massa, più o meno camuffato, non può aver luogo.

Le parole e le leggi hanno sostituito i campi di batta-glia, ma gli assassinii di massa rimangono, presentandosispesso sotto forma di drammatiche fatalità, come nel ca-so dei barconi che s’inabissano nel mare Mediterraneoo delle tendopoli che prendono fuoco. Partoriamo cosìcontinuamente, in forme confuse e spesso contradditto-rie, pregiudizi che danno alla luce piccole e grandi rivoltecontro la presenza fisica e urbana degli stranieri. Tenendoin vita questi pregiudizi costringiamo gli stranieri — amuovere i loro primi passi in spazi sempre più angusti edistanti dalle nostre traiettorie, riservando loro una vitavissuta solo ai confini del nostro agire.

E qui, per non cadere in contraddizioni con la nostrapremessa iniziale, è utile capire come si manifesta la rare-fazione urbana in spazi fisici ridotti come nei piccoli paesi,

. P–A T, Il razzismo. Pregiudizi, teorie, comportamenti,Raffaello Cortina Editore, Milano, , pag.

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e se esiste, attraverso quali forme diverse da quelle deigrandi luoghi delle metropoli si rende visibile. In questipaesi si vive ancora, per esempio, in una prospettiva diver-sa rispetto a quella vissuta nelle città, con riferimento allafacilità per esempio d’interazioni con i vicini, che sfocianoa volte in forme di vere e proprie convivenze di spazi esituazioni personali che rendono vivere l’altro come vivereparte di se. Difficilmente si vivono vite parallele e separate,ma più semplicemente, in questi posti, si vive ancora lavita quotidiana fatta di interazioni e incroci continui trale persone. Già questo, se pensiamo alla modalità delleinterazioni umane presenti nelle grandi città, rende inevi-tabilmente diverso il contesto complessivo; ma nonostanteciò la rarefazione urbana compare anche qui, assumendoperò un volto diverso dalla protesta contro la presenzadegli stranieri rispetto alle aree metropolitane.

Un volto per alcuni aspetti meno strutturato, ma nonper questo meno innocuo che conclude per esempio nel-l’esprime preoccupazione circa il possibile contatto tra glistessi panni degli stranieri e degli autoctoni, quando questisono vicini tra loro.

È di tutta evidenza come questo ossimoro affondi nellepaure ataviche, quasi primordiali, originate da una lungadisconoscenza incrostatasi tra e dentro di noi, ma vi è dipiù:

Questi processi si svolgono a livello di dinamiche psichichee, come tali, non corrispondono in modo lineare a processiche caratterizzano la realtà materiale e sociale. Tuttavia, moltiatteggiamenti vengono acquisiti attraverso l’apprendimentodurante il processo di socializzazione. Il senso di superiorità, ildisprezzo, ma anche la paura e lo schifo. Lo schifo costituisceuno strumento di primaria importanza per la interiorizza-zione dei divieti culturali, è cioè un mezzo importante di

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socializzazione. Si tratta di una socializzazione negativa.

Un razzismo ancora puro, immune da fattori di xe-nofobia radicati in maniera viscerale, in nessuno modogiustificabile, perché produce allo stesso tempo intolle-ranza, prima che intolleranti forme di indifferenza. Unrazzismo mediato, ma vissuto ancora da molti in manierapassiva, e che non produce ancora per questo forme attivedi contrapposizioni violenti, seppur latenti, a causa dellecontinue pressioni mediatiche.

La trasmissione sociale ha un ruolo fondamentale nella crea-zione del disgusto, e la reazione di disgusto viene stimolatadall’osservazione del disgusto altrui. Il disgusto cioè si diffondeper condizionamento sociale e apprendimento.

Altro elemento tipico dei nostri paesi è sempre stato lapossibile forma di vita attiva e partecipata che si riusciva acreare nei piccoli quartieri. Ora, nonostante quegli stessiquartieri siano da tempo interessati a forme massicce dispopolamento a favore delle nuove aree urbanizzate delpaese, quella forma di vita e di chiacchiericcio confuso èora ripreso, grazie alla capacità degli stranieri presenti dirivitalizzare con canti, radio e discussioni la vita dei quar-tieri, durante le pulizie di casa come avveniva in passato econ i bambini che giocano davanti le porte. Queste moda-lità vengono oggi rinnegate e additate a motivo di disturbodella nostra quiete e del nostro stile di vita, compromesso

. R S, Il razzismo. Il riconoscimento negato, Caroccieditore, Roma, , pag. .

. P T, La pelle giusta, Giulio Einaudi Editore, Torino, ,pag. XXXVI.

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dalle ‘barbare’ usanze di questi stranieri.Allora è necessario saper ridisegnare i confini dello spa-

zio urbano e ribaltarne l’uso distorto che ne viene fattonelle grandi città da una parte, e nei piccoli paesi dall’al-tro. È necessario comprendere che bisogna superare laclaustrofobia dello spazio extra–domestico e comprendereancora che si può anche vivere in una bellissima casa, con-fortevole ed accogliente, oppure in un quartiere tranquillo,ma se le città in cui viviamo poggiano le loro fondamentasu una cintura urbana nella quale vengono segregati glistranieri, è necessario allora capire e convenire che forseviviamo in uno spazio urbano complessivamente asfitticoe poco accogliente, che ingloba necessariamente anchequello domestico. Uno spazio urbano nel suo insieme inte-so come luogo di vita dunque stravolto dalle modificazionie limitazioni imposte ai naturali movimenti del divenire edell’integrazione tra le persone.

Movimenti di uomini e donne che lasciate libere vice-versa di interagire, e restituite alla capacità di attingereai propri ricordi del passato, utilizzando la memoria —modalità compromessa dai modelli di politiche e di co-municazione imperanti — potrebbero riuscire a crearenuove fonti di ossigeno da immettere nel sistema circo-latorio delle arterie piene di pregiudizi e di razzismi checompongono il reticolo dell’intolleranza delle nostre cittàattuali. Potrebbero, in una sola parola, riportare nell’or-ganismo urbano un’alta concentrazione di nuove formespaziali e valoriali, capaci di rilasciare nell’urbano coabita-to una nuova fonte di opportunità per tutti, al momentocompromessa. Ma mentre nel primo caso, ovvero nelle

. Anche se in verità io ricordo di essere vissuto a questo punto, moltobarbaramente, quand’ero piccolo

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aree metropolitane tipiche del Nord del nostro Paese, lararefazione urbana si dà anche come conseguenza di po-litiche xenofobe e ghettizzanti sostenute nei fatti ancheattraverso gli atti di amministratori pubblici, che sostanzia-no quello che Taguieff definisce il razzismo implicato nelnazionalismo, nel secondo caso — e dunque nei piccolipaesi del Sud — si dà non tanto e solo per politiche attivediscriminatorie ma quasi sempre per la nostra inconsape-volezza circa la natura e cultura dell’altro diverso da noirimuovendo porzioni del nostro passato fatto di continuiviaggi per conoscere, lavorare ed imparare.

È proprio il viaggiare come sosteneva Michel de Montaignegià nel XVI è il mezzo migliore “per levigare e lucidare ilnostro cervello contro quello degli altri”.

Uno spazio esaustivo e relazionale non può compren-dere soltanto i confini sempre più recintati e sorvegliatidelle nostre mura domestiche e mentali, ma viceversabisogna muoversi ed adoperarsi per comprendere che lanostra fissità domestica è solo il prodotto deviato di unamisurazione errata, ovvero è soltanto un piccolo punti-no irrilevante in uno spazio urbano molto più grande esignificativo. Sosteneva infatti Erodoto, conoscendo la na-tura sedentaria dell’uomo, della quale la fissità domestica,prima evocata, ne è in parte anche concausa che

per entrare in contatto con gli altri bisogna mettersi in cammi-no, giungere fino a loro e manifestare il desiderio di incontrarli[...] visita egizi e sciti, persiani e lidi, ricordando sia quello cheviene a sapere da loro sia quello che vede con i propri occhi. Inuna sola parola, vuole conoscere gli altri, consapevole com’è

. T B J, Il razzismo spiegato a mia figlia, Bompiani,Milano, , pag.

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che per conoscere se stessi bisogna conoscere gli altri: gli altrisono lo specchio nel quale ci vediamo riflessi.

Ma altrettanta praticità dobbiamo assumere per abbat-tere anche i recinti della nostra memoria, adoperandocinel rimuovere i confini delle chiusure preconcette con-tro gli stranieri e comprendere che il nostro pensiero de-ve confrontarsi per rimanere vivo con le sfide che l’eracontemporanea ci pone; quindi, essere contro ogni fissitàideologica significa aprirsi al confronto, alla velocità edall’ampiezza degli stimoli che riceviamo da qualsiasi luogoessi provengano ed in qualsiasi forma essi si esprimano.Solo così possiamo superare la paura dell’altro che degradanell’asfissia dell’era contemporanea, che restringe spazied opportunità prima abbondanti per tutti. Accanto allanostra definizione di rarefazione urbana si può introdur-re, a dimostrazione della complessità di questo singoloaspetto, la categoria di sofferenza urbana individuata da Be-nedetto Saraceno. Egli sostiene infatti, partendo dai suoistudi psichiatrici, che

dobbiamo guardare e andare avanti, ponendoci un problemache va oltre la psichiatria perché la sofferenza urbana è unconcetto dallo spettro molto più ampio, sul quale si riflettonoproblematiche nuove, legate alle migrazioni o alla globalizza-zione, oltre alla trasformazione del tessuto, e , direi anche deltessuto urbano [...]. La città pone dei problemi rispetto a dellepopolazioni sofferenti per malattia, per esclusione, per margi-nalizzazione, per stigmatizzazione. Per questo ha senso parlaredi sofferenza urbana:perché vogliamo uscire dal mondo sanita-rio per ribadire che nelle dinamiche urbane ci sono problemi,come quelli dell’immigrazione o della disoccupazione, che

. R K, L’altro, Feltrinelli, Milano, , pag.

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meritano tutt’altro ascolto e attenzione.

Dire se la rarefazione urbana sia una delle conseguenzedella disintegrazione sociale che vive il nostro Paese, oppuresostenere il contrario, riteniamo essere un falso problema.A questo punto diventa ovviamente indispensabile invecedefinire il significato dell’altra categoria da noi ipotizzata,la disintegrazione sociale ovvero frantumare, sgretolare eridurre in frammenti qualcosa o qualcuno, privando dicoesione un gruppo distrutto in piccoli frammenti.

Orientarsi per questo, e a questo punto, nella difficileconclusione se sia più urgente adoperarsi per una politicaurbana cosmopolita, oppure prima privilegiare forme diaccoglienza universali, significa in entrambi i casi riman-dare a percorsi da sviluppare tra il breve e medio periodo.Non significa che queste questioni non siano necessarie:anzi, proprio perché quest’ultime possano raggiungere pri-ma e meglio la possibilità di farci vivere l’altro senza pauraed alla pari, è necessario ricorrere ad una fonte imme-diatamente disponibile — in abbondanza ed a costo zero— ovvero all’uso dei nostri ricordi e del nostro passatoprossimo.

Urge trovare risposte [...] contro le diverse manifestazioni dirazzismo, così ci sollecita Pierre Andrè Taguieff in un librodedicato a tutti coloro che vogliono fare qualcosa sulle que-stioni di immigrazione e di razzismo. La medesima urgenzasi pone da noi [...]. Proponiamo dunque un percorso che haal centro due modalità, o strategie: . creare spazi–cernierae figure–cerniera. [...] . Abituarci a una cultura o, meglio, apratiche quotidiane e concreti atti di non razzismo [...]. Inevi-

. “Dalla città fortino alla città ospitale”. Intervista su «Vita» del maggio , pag. .

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tabilmente, in assenza di spazi e figure cerniera, si consolideràil processo di segregazione, già in atto nelle società italiana.

.. Dimenticare la memoria

Effetti perversi della disintegrazione sociale in atto controgli stranieri sono i limiti imposti, tra gli altri, a un loropieno accesso alla sanità, all’istruzione pubblica, al mon-do del lavoro regolare a una piena espressione delle lorosoggettività comprendenti tradizioni, religioni e libertàdi espressione. Ma tutto questo, queste stesse limitazio-ni, non riguardano anche una buona parte di autoctoniche non riescono ancora a percepire l’attacco in corsoalle loro stesse libertà? Quest’ultima considerazione, giàpiù volte da noi sostenuta, ci riporta a una delle nostreipotesi centrali con riferimento al razzismo migrante ealle sue imprevedibili implicazioni, come quella di strut-turarsi clandestinamente finanche su quanti si pensavanonon–razzizzabili.

In una società razzista, razzismo ed etnicismo operano inogni rapporto sociale. . . atti di razzismo quotidiano consoli-dano la struttura delle diseguaglianze etiche o razziali e con-tribuiscono a determinare diseguaglianze nuove (Essed, :).

Effetti disgregativi e diseguaglianze nuove — appuntonon prevedibili — come l’estensione e la dilatazione della

. L B, L M, I razzismi reali, Feltrinelli, Milano ,pag. .

. L B, L M, I razzismi possibili, Feltrinelli, Milano, pag. .

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moltitudine di persone razzizzabili, che non sono più e sol-tanto gli stranieri, gli extracomunitari, i clandestini, i neri,i rumeni, i musulmani, ma tutti quelli che occorre teneredisintegrati tra loro per comprometterne la resistenza. Ab-biamo accennato nei capitoli precedenti al paradosso dellamimosa pudica per dipanare uno dei luoghi di maggiorconflitto con riferimento all’origine dello stesso razzismo.Ora, a sostegno della progressiva rarefazione degli spazi edelle risorse naturali, utilizzeremo un esempio.

Pensiamo per iniziare all’immagine di una sfera comerappresentazione grafica del mondo, e a un sistema di cer-chi tra di loro concatenati che sostanziano la dimensioneesaustiva territoriale del mondo nella sua interezza; in altritermini, si pensi alla rappresentazione simbolica dei conti-nenti affidata ai cinque cerchi tra di loro interrelati. Inter-relazione che porterà, cerchio dopo cerchio, a un sistemadi asfissianti divisioni, come tra poco dimostreremo.

Partiamo dal primo cerchio e pensiamolo libero daqualsiasi divisione, pertanto reso disponibile come spazioaperto alle immense opportunità rivenienti da movimentie relazioni in esso possibili in assenza di vincoli di qualsiasinatura. Passiamo ora al secondo cerchio, e introduciamoun’unica retta verticale tale da provocare una divisione indue dello spazio, ognuno di essi occupato rispettivamentedall’Occidente e dall’Oriente. Nel terzo cerchio introdu-ciamo questa volta due rette orizzontali, che produrrannoquindi una divisione in tre dello spazio, occupati dal primo,secondo e terzo mondo. Comincia così l’asfissia progres-siva delle divisioni, ma nel frattempo introduciamo nelquarto cerchio due rette, che tra di esse incrociandosi, pro-durranno una divisione dello spazio in quattro quarti tra diloro identici e ognuno di loro occupato, questa volta, dallequattro confessioni religiose maggiormente professate e

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. Gli effetti del razzismo

dunque cristianesimo, islamismo, buddismo e induismo.Introduciamo ora nell’ultimo cerchio quattro rette oriz-zontali, che produrranno una divisone in cinque deglispazi sempre più indisponibili e ognuno di essi, questavolta fuori dalla metafora, popolato da uomini e donne dalcolore della pelle tra loro diverse, partendo dal livello ‘piùbasso’ con i negri, i meticci, i gialli, gli olivastri e conclu-dendo con il livello ‘più alto’ dei bianchi. Ora, ritornandoal nostro primo cerchio e agli spazi in esso illimitatamentedisponibili, passando poi di cerchio in cerchio, e attraversol’invasione e l’intrusione dei derivati della cultura e dellereligioni quello che si sostanzia è una crescente limitatezzadelle opportunità in nome degli spazi da difendere, delleeconomie da sostenere, delle religioni da imporre e infinedei colori della pelle da discriminare.

È necessario allora prendere atto al più presto di questiartifizi divisori, decostruirli sistematicamente con estremae rigorosa dovizia, e restituire gli uomini e le donne alla lo-ro libertà di esprimersi e rappresentarsi all’interno di unarinnovata dimensione spaziale e in una ritrovata e neces-saria resistenza contro ogni tentazione di auto segregarsi.Queste questioni vanno necessariamente alimentate dauna nuova resistenza che si concretizzi nel riappropriarsidell’uso delle proprie soggettività dissociate per approdaread una comunità consapevole. Questo può essere reso pos-sibile proponendo e agendo un’inversione della questione:in altri termini, occorre recuperare soprattutto la storia ei protagonisti ancora in vita delle nostre emigrazioni neltempo e nello spazio succedutesi, possessori di informazio-ni di prima mano. Informazioni, quest’ultime, le unichecapaci di potere e sapere destrutturare il dilagante imperodelle informazioni di seconda mano che condizionano ilcomportamento e linguaggio di molti.

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Razzismo migrante e strutture clandestine

È qui che bisogna intervenire: far capire l’utilità del no-stro passato, della memoria ereditata e vivente, e occupareogni minimo anfratto che si renda disponibile o che ren-diamo tale, assumendo il compito di ampliare lo spettrodelle nostre relazioni e stimolare ogni nipote alla storiadelle migrazioni dei suoi nonni, per offrirgli la possibilitàdi imparare a riconoscersi.

Per superare gli effetti devastanti della disintegrazio-ne sociale, che scompone e frantuma la soggettività degliesseri umani, che sgretola ogni possibilità di condividerel’altro perché riduce in frantumi ogni via d’accesso ver-so l’altro, che scompone la stessa coesione di un identicogruppo dividendolo e frantumandolo in infiniti brandellidi uomini e donne tra loro regolari e irregolari, è neces-sario rimuovere pregiudizi e stereotipi; ma soprattutto èurgente disintegrare a nostra volta le forme di interme-diazioni che si frappongono tra noi e l’altro, ma anche lostesso uso che si fa di questa categoria dicotomica. ScriveTaguieff:

Il razzismo consiste nell’interpretare la distinzione tra Noie Loro, o tra Noi e gli Altri, come una distinzione tra duespecie umane, la prima delle quali — quella dell’enunciatoredella distinzione — viene giudicata più umana della seconda,o persino la sola veramente umana tra le due.

Non è possibile avere un’idea sull’altro, sullo straniero,fatta soltanto da percezioni narrate dai media e rinunciareall’interazione diretta con gli stranieri che incontriamoper strada o sul posto di lavoro, perdendo l’occasione diavere così una conoscenza diretta, o ancora, dai ricordi

. P–A T, Il razzismo. Pregiudizi, teorie, comportamenti,Raffaello Cortina Editore, Milano, , pag.

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. Gli effetti del razzismo

immediatamente recuperabili, perché siamo, ancora oggi,uno dei maggiori popoli migratori, e quindi con un grannumero di ricordi da decodificare e da poter mettere afattor comune. Ricordi immersi in tanti angoli di storievissute, intrise di sofferenze, rinunce, umiliazioni; chiusinelle immagini dei tanti emigrati ritornati da ogni parte delmondo e nascoste negli abissi della nostra memoria, chenon avrebbero nessun costo per essere riportate a galla,se non quello del tempo necessario per essere ascoltateed interpretate. Ma bisogna fare in fretta, perché il tempopresente disponibile è sempre più rarefatto dall’incalzaredel tempo futuro indisponibile.

Smarrita la memoria resta soltanto il grande deserto dell’oblio.Una perdita dei ricordi che dissipa un patrimonio straordinariodi esperienze vissute da chi lo stigma — dell’emigrato inferio-re e negroide — lo aveva pesantemente e per lungo temposubito. Oblio come dissipazione dunque, come sperpero diricchezza culturale collettiva e di risorse accumulate tra millesofferenze per neutralizzare gli effetti devastanti del rifiuto,della riduzione a cosa senza valore, a bestia da lavoro.

Ma perché se il razzismo compie questo nuovo impo-nente salto, che fagocita allo stesso tempo e nel medesimoluogo stranieri e autoctoni riesce nonostante tutto a con-quistare a sé sempre più razzisti? Perché al crescere dellemedesime discriminazioni imperanti a livello globale —con le sole eccezioni significative relative alla stagione deinuovi diritti globali che sta vivendo l’America latina — nelresto del mondo è l’intolleranza verso l’Altro a rimanerepreminente? Qui entra in gioco il ruolo delle interme-diazioni dissimulanti dei fatti che sostanziano le informa-

. R C, Razzismo e Indifferenza, Edizione Sensibili alla foglie,Acqui Terme, , pag. .

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Razzismo migrante e strutture clandestine

zioni di seconda mano, come sostiene tra l’altro, RenateSiebert.

A mio giudizio, infatti, a monte delle nostre discrasierisiede la convinzione del nostro non essere razzizzabili epertanto naturalmente e culturalmente diversi dagli altri.Questo è uno degli inganni più potenti, ma nonostantetutto, ciò che si oppone è che noi siamo regolari, men-tre gli stranieri sono irregolari, dunque criminali. Quelloche si ripresenta all’interno di questo nuovo dicotomicodispositivo razzizzante è dunque la categoria del dentroe il fuori, che è un marcare non solo un confine, un pe-rimetro sorvegliato, ma anche una distanza sociale, unadifferenza di razza, una possibilità preclusa per tutti quelliche rappresentano il fuori e che sono altro da noi. È anchel’eterna lotta della tattica in contrapposizione della stra-tegia: ‘disintegrare’ gli stranieri in regolari e irregolari èoggi rappresentativo dell’essere pervenuti all’esaltazionedei meccanismi di sofisticazione dei rapporti umani. Innome dell’irregolarità, dei migranti–briganti extra iurissi riproducono gli stranieri immediatamente e ancor pri-ma di aver commesso un nonnulla, come categoria giàcriminalizzata ed espellibile anche e se cittadini comuni-tari come lo sono tutti i cittadini Rom rumeni. Pertanto,l’estensione dell’apparato securitario riproduce un’imma-gine fortemente stereotipata degli stranieri irregolari, oclandestini che dir si voglia, che altro non sono, nella pra-tica effettiva, persone a volte senza documenti e a volteancora che cercano di entrare oltre i flussi migratori au-torizzati. Ma si può subordinare all’autorizzare o meno diuna richiesta la necessità delle persone, viceversa protesa a

. R S, Il razzismo. Il riconoscimento negato, Carocci editore,Roma, , pagg. –.

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. Gli effetti del razzismo

raggiungere i luoghi della valorizzazione del capitale indi-spensabili alla loro stessa sopravvivenza? Avere accettatoil gioco dissimulante della divisione dei flussi migratoriin regolari e non, è stato uno degli errori più imponentie devastanti di questo secolo appena iniziato e le conse-guenze che produrrà saranno probabilmente ancora piùdevastanti.