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& SVILUPPO ORGANIZZAZIONE 33 OttObRE/NOVEmbRE/dIcEmbRE 2014 È la società attuale, a partire dagli anni Sessanta, che ha impresso una sorta di ‘turbo’ al processo di mutamento in atto, giungendo a produrre quattro diverse trasfor- mazioni in soli quarant’anni, a partire dalla società tar- do industriale, che esplode con lo shock petrolifero del 1973 e inaugura l’era della stabilizzazione dissolutiva. Una data simbolica che, come chiarisce Pombeni (Fio- re, 2012), produce una ‘transizione’ storica, non solo un ‘passaggio’ storico. Una transizione che chiude con l’età assiale (bellah, Joas, 2012) dell’ultimo periodo della mo- dernità (1494-1973) e apre la fase della post-modernità, nella quale si susseguono una serie di crisi continue di tipo economico, politico-culturale e religioso 1 . da quel momento in poi, nulla è stato più uguale a prima, Mutamento economico, sociale e culturale del- le società e fenomeno dei knowledge worker S e si osserva la parabola dello sviluppo economico delle nostre società, si può notare che mentre le società rurali e dell’artigianato sono sopravvissu- te per millenni, con caratteri strutturali tendenzialmen- te immutati, la società che nasce dalla prima rivoluzio- ne industriale (seconda metà del Settecento) introduce notevoli trasformazioni e produce un forte sconvolgi- mento nella vita lavorativa e sociale delle persone. con lo sviluppo della seconda rivoluzione industriale (ine Ottocento e inizio Novecento) si avviano quei profondi cambiamenti e innovazioni, che hanno segnato le signi- icative metamorfosi di tutto il Secolo Breve. Innovazione, sviluppo organizzativo e knowledge worker Proposte per una nuova cultura manageriale Il mondo sta cambiando e lo fa in fret- ta, molto più in fretta di quanto si possa immaginare. In uno scenario così turbo- lento e discontinuo, il saggio si propone di esaminare l’apporto di una cultura inno- vativa connessa con l’avvento della terza rivoluzione industriale e il ruolo assunto dal continuo mutamento economico, sociale e culturale in atto nelle nostre società. Si tratta di un processo, fortemente acce- lerato rispetto alle trasformazioni prodotte dalla prima e dalla seconda rivoluzione industriale, che ha generato uno scenario globale inedito nel quale svolgono un ruolo determinante l’innovazione tecnologica, lo sviluppo di nuovi modelli organizzativi e la trasformazione dei processi produttivi. In quest’ambito si situa la necessità di rideinire strategicamente una nuova mis- sion della ricerca, dell’innovazione e della cultura in favore dello sviluppo, a partire dall’apporto che potrebbero fornire le im- prese innovative e le pubbliche amministra- zioni virtuose, impegnate in un passaggio epocale, caratterizzato da un nuovo pa- radigma manageriale che mira al miglio- ramento dell’eficienza nell’impiego delle risorse, ma soprattutto all’affermazione di una leadership eficace, che punta alla va- lorizzazione delle persone in una prospet- tiva di creating shared value e di una governance social inclusive. L’autore Antonio Cocozza, presidente del corso di laurea Formazione e Sviluppo delle Risorse Umane, Dipartimento di Scienze della Formazione, Università degli studi Roma Tre. 1 con questo concetto, si intende un’‘età-perno’ attorno a cui, per un certo periodo, gira il mondo e ne caratterizza lo spirito e l’essenza. dopo tale periodo il mondo stesso non è più uguale a quello di prima. All’interno delle età assiali ci sono evoluzioni, ampliamenti e anche regressioni, ma non ne viene modiicato

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È la società attuale, a partire dagli anni Sessanta, che ha impresso una sorta di ‘turbo’ al processo di mutamento in atto, giungendo a produrre quattro diverse trasfor-mazioni in soli quarant’anni, a partire dalla società tar-do industriale, che esplode con lo shock petrolifero del 1973 e inaugura l’era della stabilizzazione dissolutiva. Una data simbolica che, come chiarisce Pombeni (Fio-re, 2012), produce una ‘transizione’ storica, non solo un ‘passaggio’ storico. Una transizione che chiude con l’età assiale (bellah, Joas, 2012) dell’ultimo periodo della mo-dernità (1494-1973) e apre la fase della post-modernità, nella quale si susseguono una serie di crisi continue di tipo economico, politico-culturale e religioso1.da quel momento in poi, nulla è stato più uguale a prima,

Mutamento economico, sociale e culturale del-

le società e fenomeno dei knowledge worker

Se si osserva la parabola dello sviluppo economico delle nostre società, si può notare che mentre le società rurali e dell’artigianato sono sopravvissu-

te per millenni, con caratteri strutturali tendenzialmen-te immutati, la società che nasce dalla prima rivoluzio-ne industriale (seconda metà del Settecento) introduce notevoli trasformazioni e produce un forte sconvolgi-mento nella vita lavorativa e sociale delle persone. con lo sviluppo della seconda rivoluzione industriale (ine Ottocento e inizio Novecento) si avviano quei profondi cambiamenti e innovazioni, che hanno segnato le signi-icative metamorfosi di tutto il Secolo Breve.

Innovazione, sviluppo organizzativo e knowledge worker Proposte per una nuova cultura manageriale

Il mondo sta cambiando e lo fa in fret-

ta, molto più in fretta di quanto si possa

immaginare. In uno scenario così turbo-

lento e discontinuo, il saggio si propone di

esaminare l’apporto di una cultura inno-

vativa connessa con l’avvento della terza

rivoluzione industriale e il ruolo assunto

dal continuo mutamento economico, sociale

e culturale in atto nelle nostre società.

Si tratta di un processo, fortemente acce-

lerato rispetto alle trasformazioni prodotte

dalla prima e dalla seconda rivoluzione

industriale, che ha generato uno scenario

globale inedito nel quale svolgono un ruolo

determinante l’innovazione tecnologica, lo

sviluppo di nuovi modelli organizzativi e

la trasformazione dei processi produttivi.

In quest’ambito si situa la necessità di

rideinire strategicamente una nuova mis-sion della ricerca, dell’innovazione e della

cultura in favore dello sviluppo, a partire

dall’apporto che potrebbero fornire le im-

prese innovative e le pubbliche amministra-

zioni virtuose, impegnate in un passaggio

epocale, caratterizzato da un nuovo pa-

radigma manageriale che mira al miglio-

ramento dell’eficienza nell’impiego delle risorse, ma soprattutto all’affermazione di

una leadership eficace, che punta alla va-

lorizzazione delle persone in una prospet-

tiva di creating shared value e di una

governance social inclusive.

L’autore

• Antonio Cocozza, presidente del corso di laurea Formazione e Sviluppo delle Risorse Umane, Dipartimento di Scienze della

Formazione, Università degli studi Roma Tre.

1 con questo concetto, si intende un’‘età-perno’ attorno a cui, per un certo periodo, gira il mondo e ne caratterizza lo spirito e l’essenza. dopo tale periodo il mondo stesso non è più uguale a quello di prima. All’interno delle età assiali ci sono evoluzioni, ampliamenti e anche regressioni, ma non ne viene modiicato

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poiché in pochi decenni si alternano, almeno nella deini-zione degli studiosi, diverse trasformazioni: la società dei servizi (anni ‘80), la società dell’informazione (anni ‘90) e la società della conoscenza (anni 2000), che aprono spazi inesplorati e imprevedibili di cooperazione e di competi-zione, o di competizione cooperativa e cooperazione com-petitiva. Si tratta di trasformazioni solo ino a pochi anni fa dificilmente immaginabili in società e organizzazioni tendenzialmente chiuse, che si ritenevano inespugnabili e inaffondabili, ma soprattutto perenni.Invece, lo scenario globale che caratterizza il secondo de-cennio del nuovo millennio si presenta con una conigu-razione complessa e poliedrica, contrassegnata da molte opportunità non semplici da cogliere, ma anche dalla pre-senza di quattro fenomeni particolarmente critici: • l’incapacità delle imprese, anche multinazionali, di far

fronte alle nuove modalità competitive, che rischiano o subiscono addirittura il fallimento;

• lo sviluppo e la forte crescita dei settori della new eco-nomy che, in una logica jobless growth (Hanusch, 2012)2 e attraverso una inanziarizzazione spinta, condizio-na l’assetto del sistema economico ino al punto che

Amazon, società di vendite online, arriva ad acquistare il Washington Post, il secondo giornale per importan-za negli USA dopo il prestigioso New York Times;

• il coinvolgimento in questo declino delle public policy e delle stesse istituzioni pubbliche locali e nazionali, ancora ferme a una logica di sviluppo fordista e a un sistema di welfare essenzialmente statalista;

• l’avanzata dei nuovi Paesi Brics (Brasile, Russia, Cina, India, corea, Sud Africa) nel club dei Paesi indu-strializzati e il passaggio di testimone, nel tentativo di governare i processi globali, da un assetto basato sul confronto tra i Paesi del G8 a quelli del G20.

Infatti, l’elenco dei colossi industriali occidentali caduti in quest’ultimo periodo sarebbe troppo lungo da ricor-dare, a partire dalla Pan American World Airways ino alla Enron corporation, non dimenticando il fallimen-to per comportamenti non etici di aziende importanti come Lehman brothers Holdings o le imprese italiane cirio e Parmalat. così come il fallimento della città di detroit o la situazione di estrema crisi in cui versano paesi come la Grecia, il Portogallo, in parte l’Irlanda o, in maniera più lieve, l’Italia, con una situazione parti-

il tratto essenziale, dalle nuove caratteristiche strutturali non si può tornare indietro. Il concetto di età assiale è stato sviluppato originariamente da Jaspers, poi ripreso da Eisenstadt e Schluchter, più recentemente dai sociologi americani bellah e Joas.2 Si tratta di un processo tecnologico che vede crescere l’economia e i risultati delle imprese, senza una corrispondente crescita dell’occupazione, sia nei Paesi occidentali caratterizzati da un processo di industrializzazione matura sia nei Paesi brics.

Una scena del ilm di Wes Anderson “Moonrise Kingdom” (2012)

Antonio Cocozza

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colarmente grave in alcune regioni e comuni struttural-mente indebitati. Allo stesso modo il crescente fenomeno della penetrazione dei mercati mondiali da parte dei paesi di nuova industria-lizzazione brics sta creando non pochi problemi di tenuta ai sistemi economici occidentali.In questa direzione, l’assetto economico mondiale è cam-biato strutturalmente, se si considera la provenienza delle prime 500 aziende al mondo. Secondo le statistiche ela-borate dalla rivista Fortune nel 2012, i primi 15 paesi di riferimento (con il numero di imprese ivi allocate) sono i seguenti: USA (132); cina (73); Giappone (68); Francia (32); Germania (32); Regno Unito (26); Svizzera (15); Ko-rea del Sud (13); Paesi bassi (12); canada (11); Italia (9); Australia (9); brasile (8); India (8); Spagna (8). I dati dimostrano chiaramente che si tratta di una nuova immensa sida rivolta al sistema economico e sociale euro-peo e a quello italiano in particolare. Una buona risposta a questa sida, inalizzata a riprendere la corsa in una di-rezione che renda compatibile e sinergica la ricerca di un livello di maggiore eficacia ed eficienza e una logica social

inclusive, potrebbe essere rappresentata dal programma di ricerca e di sviluppo Horizon 2020 lanciato dalla commis-sione Europea. Si tratta del programma quadro dell’UE per la ricerca e l’innovazione relativo al periodo 2014-2020, che riunisce in un’unica strategia di inanziamento la ricerca e sviluppo attualmente previsti nel settimo Pro-gramma Quadro (PQ), con le attività legate all’innovazio-ne del programma quadro per l’innovazione (cIP) e l’Isti-tuto Europeo di Innovazione e tecnologia (IEt). con un bilancio di circa 80 miliardi di euro, Horizon 2020 è il meccanismo di inanziamento che mira ad assicura-re la posizione globale dell’UE nel campo della ricerca, dell’innovazione e della tecnologia, per creare nuova cre-scita e posti di lavoro in Europa. Il progetto si propone di perseguire tre diverse priorità chiave: eccellenza scientii-ca, leadership industriale e side sociali.In merito all’eccellenza scientiica Horizon 2020, attraverso il contributo del consiglio europeo della ricerca, si propo-ne il supporto di scienziati di fama mondiale nel campo della ricerca blue sky; lo sviluppo delle tecnologie future ed emergenti e la ricerca collaborativa per aprire nuovi cam-pi di innovazione internazionale; l’offerta di formazione e opportunità di sviluppo di carriera; la creazione di in-frastrutture di ricerca europee e il supporto per accedere a strutture di livello mondiale. In merito alla leadership industriale, s’intende promuovere la leadership nelle tec-nologie abilitanti e industriali; il sostegno all’innovazione, aumentando la penetrazione nel mercato e stimolando la creazione di posti di lavoro nel settore delle Ict, le na-notecnologie, i materiali avanzati, la biotecnologia; così

come l’accesso al capitale di rischio, attraverso l’incentiva-zione degli investimenti privati e di capitale di rischio nel settore della ricerca e dell’innovazione; l’innovazione nelle PmI e il rafforzamento delle PmI a progetti innovativi. Sul piano sociale, invece, il programma si pone diverse si-de, correlate con la salute, il cambiamento demograico e il sistema di welfare, così come la protezione della libertà e la sicurezza dell’Europa e dei suoi cittadini.In questa direzione di sviluppo social inclusive ed ecoso-stenibile, i progetti potrebbero riguardare: il sostegno dei cittadini europei a favore di una vita più lunga e più sana; una bio-economia europea, basata su investimenti per una maggiore sicurezza nell’approvvigionamento alimentare, per l’agricoltura sostenibile e la silvicoltu-ra, marina e marittima e la ricerca delle vie navigabili; un’energia sicura, pulita ed eficiente; lo sviluppo di si-stemi di trasporto più intelligenti e più sicuri; azioni per il miglioramento del clima e una maggiore eficienza delle risorse e materie prime.Di fronte a queste side che rispondono a un processo di mutamento continuo e irreversibile, grande importanza è attribuita a una nuova particolare igura professionale, quella dei knowledge worker, tipica delle organizzazioni in-novative ispirate ai principi della learning organization e con elevate competenze specialistiche. Questa nuova igura professionale e organizzativa identiica un fenomeno già analizzato con particolare attenzione da numerosi studio-si (Nonaka, takeuchi, 1995; drucker, 1987; 1996; 2010; callieri, 1999; Prandstraller, 2000; Iacono, 2000; chie-sura, 2001; Heller, 2001; Farabegoli, trinchillo, 2002; davenport, 2006; Foray, 2006; mcKercher, mosco, 2007; butera, 2008; Pasquarella, 2011; cocozza, 2006; 2012). I lavoratori della conoscenza sono manager che non hanno particolari e formali responsabilità gerarchiche; sono esperti, professionisti d’impresa, tecnici di alto pro-ilo. Rappresentano igure caratterizzate dall’intreccio fra competenze di management, capacità relazionali e di cooperazione, con competenze tecnico-professionali spe-cialistiche, messe a disposizione in un’ottica di team. Essi rappresentano “gli asset più preziosi per un’azienda”, un fenomeno organizzativo analizzato per primo da Nona-ka (1995) e da Peter drucker (1996), che ha elaborato il concetto stesso di knowledge worker e lo ha deinito come il “fenomeno economico e organizzativo più importante del XXI secolo”. come è noto, lo stesso Nonaka (1995) a sua volta ha affermato che: “In una economia dove la sola certezza è l’incertezza, l’unica fonte sicura di vantaggio competitivo è il knowledge ed esso proviene sempre dall’ap-porto dei propri collaboratori”. Nel dibattito italiano un ruolo importante è svolto da di-versi contributi di butera, in particolare dal saggio Know-

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Antonio Cocozza

ledge working. Lavoro, lavoratori, società della conoscenza (2008), che raccoglie i risultati di una ricerca condotta in Francia, Germania, Italia, Regno Unito, Stati Uniti sul lavoro di scienziati, manager, professional e tecnici superiori che hanno raggiunto quote signiicative della popolazione lavorativa nelle imprese innovative. Queste igure operano su proces-si immateriali, il cui output immediato è la produzione di nuova conoscenza, ovvero generano idee attraverso idee. Un’identità professionale sempre più legata alla necessità di esprimersi attraverso il lavoro creativo, in modo tale da poter mettere in evidenza il proprio sistema di valori che orienta il comportamento organizzativo, in una logica di coincidenza e condivisione con quelli aziendali.In questa nuova direzione euristica, come mette in eviden-za Strati (2008; 2010), una particolare attenzione alla dimensione culturale, estetica e relazio-nale si è affermata negli studi organizza-tivi e di management, conigurando un nuovo campo di analisi e una nuova consapevolezza metodolo-gica. Alla comprensione della vita delle organizzazioni tradizionali, dominata dal paradigma logico-razionale, succede un nuovo ap-proccio di tipo qualitativo che punta ad analizzare le strate-gie personali e organizzati-ve agite, mettendo in gioco il vissuto dei soggetti nella loro pratica lavorativa, in cui il ruolo delle emozioni, della sensibilità, del gusto, della fanta-sia, della passione sono elementi fondamentali per la comprensione dell’agire organizzativo. dal punto di vista metodologico, la comprensione estetica delle organizzazioni può dar conto del-le dinamiche più profonde della vita organizzativa, che orientano in maniera rilevante i processi produttivi e le relazioni interpersonali. In questa direzione euristica, Attila e Gherardi con il loro saggio Studiare le pratiche lavorative (2007), chiariscono che nel nuovo scenario tecnologico e organizzativo il lavoro si caratterizza proprio per il suo crescente contenuto di conoscenza, in cui il sapere necessario a portare a termine un compito complesso è sempre più elaborato e ‘racchiu-so’ all’interno di comunità professionali di persone, che condividono un particolare sapere e determinate pratiche lavorative; un paradigma interpretativo che rielabora gli strumenti e le metodologie di studio delle organizzazioni, del lavoro e delle particolari interazioni tra persone, ruo-

li, strutture, processi e valori oggetto di approfondimento della nuova sociologia economica.

L’era della transizione storica

Si vive nell’era di una consistente transizione storica, nel senso che, come chiarisce Eco in un’intervista (Fiore, 2012): “Scrivere a macchina anziché con la penna è un progresso. ma scrivere con il computer è una transizio-ne: acquisisco potenzialità che cambiano la mia imposta-zione mentale”.Per queste ragioni, in uno scenario globale sempre più indeterminato e indeterminabile, non è semplice giun-gere a conclusioni deinitive, poiché nella natura stessa di questa nuova era socio-economica vi sono elementi

di imprevedibilità che condizionano le capacità di previsione, anche di

quelle basate su evidenze empi-riche o su teorie scientiiche veriicate e controllate.Infatti, come rileva Elster in La spiegazione del com-

portamento sociale (2010): “Sono due le ragioni per cui le scienze sociali non sono in grado di prevede-

re e spiegare in senso forte. La prima è che, persino nei

casi in cui le credenze e pre-ferenze sono note, è possibile

che l’azione resti in qualche mi-sura indeterminata (ossia) imprevedi-

bile. Quando le decisioni da prendere sono avvolte nell’incertezza o molto complesse, è possibile che il compor-

tamento alla ine adottato sia da ricondurre a quelli che Keynes ha deinito ‘spiriti animali’, più che a

caratteristiche identiicabili della situazione alle quali si possa reagire in modi deiniti. Certo, in questi casi, la gente agisce in genere adottando regole pratiche: il pro-blema è che ne esistono troppe. Per esempio, possono esistere più punti focali alternativi: fai come si è fatto in pas-

sato contro fai come ha fatto il vicino”. del resto, a proposito della complessità dei comporta-menti sociali e organizzativi, come rileva lo stesso autore, la loro dinamica è basata su una tendenziale intercon-nessione, che si può spiegare più eficacemente se si fa ricorso a uno schema esplicativo articolato sulla base di due grandi dicotomie: egoismo contro altruismo e mio-pia temporale contro lungimiranza. In questo schema dicotomico è possibile riassumere il focus centrale della

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comprensione dei nuovi fenomeni organizzativi e le pos-sibili linee guida per affrontare e gestire le attuali e future questioni organizzative.Anche se poi lo stesso Elster mette in evidenza, in ma-niera illuminante, la tesi che individua una tendenziale indeterminatezza nei comportamenti sociali e organiz-zativi, basandosi sulla seguente affermazione: “L’insieme delle motivazioni umane è una torta che si può tagliare in molti modi” (2010). Una conclusione certamente non facile da assumere, poiché talvolta anche per gli studiosi delle scienze sociali, il cui compito dovrebbe essere quel-lo di spiegare e prevedere determinati fenomeni “la com-plessità e instabilità del comportamento umano appare semplicemente impressionante e irriducibile” (Elster, 2010).In linea con questa impostazione, emerge che le organiz-zazioni – secondo la particolare logica di governance che le distingue –, per poter sopravvivere debbono far fron-te ai processi di continua trasformazione dei mercati (o del contesto istituzionale di riferimento nel caso di enti pubblici) e cambiare spesso strategie, politiche, strutture, tecnologie, processi, strumenti operativi e di coordina-mento, in una prospettiva collaborativa, allo scopo di rendere più eficace la loro cultura e le forme di appren-dimento organizzativo per poter gestire i mutamenti in corso. In quest’ambito si situano le proposte di Argyris e Schon (1998), relativamente alla learning organization e al life long learning, con le quali si mette in evidenza l’im-portanza ‘dell’imparare a imparare’, attraverso speciici training group, mirati ad analizzare i successi e i fallimenti organizzativi, così come i fattori che hanno facilitato op-pure ostacolato tali processi innovativi e di mutamento. L’interessante tesi sostenuta da Argyris e Schon (1998) poggia sulla convinzione che, per non scomparire, anche le organizzazioni più solide devono imparare ad accor-gersi dei segnali di cambiamento. Per questa ragione la necessità di evolversi, attraverso l’apprendimento conti-nuo, rappresenta una garanzia di competitività. In deinitiva, le organizzazioni per poter cambiare ef-icacemente hanno bisogno di avere una massa critica dimensionale adeguata e una quantità e qualità di risor-se (umane, economiche e tecnologiche) proporzionate agli sforzi innovativi che dovranno sostenere. Per questo motivo si pone, prepotentemente e urgentemente nel panorama italiano, il problema del dimensionamento di fronte alle side dell’innovazione e della globalizzazione per le piccole e medie imprese, così come per i comuni e le province che hanno una quantità di popolazione/utenti poco consistente e insuficiente al raggiungimento di un eficace break even point economico per la fornitura di servizi di qualità, mirati e personalizzati.

Il ruolo strategico della ricerca, innovazione e

cultura a favore dello sviluppo

In questa prospettiva di indeterminatezza strategica e di mutamento continuo, vale la pena di ricordare quan-to suggeriva già diversi decenni fa drucker (1987): “[...] L’impresa innovativa si organizza per abbandonare ciò che è vecchio, obsoleto, non più produttivo, ragion per cui, ogni tre anni circa, si fa un ‘processo’ al ciclo di vita di ogni prodotto, o servizio, o mercato, e si decide di uscire da quelli giudicati obsoleti”.Se questa indicazione risale a un’era economica passata, quella dell’economia fordista, attualmente nell’economia della lessibilità e dell’indeterminatezza l’analisi del ciclo di vita, svolta in modo approfondita e partecipata da parte di tutti i rappresentanti degli stakeholder, dovrebbe essere più ravvicinata, e in alcuni settori potrebbe assumere una tempistica annuale o addirittura semestrale/trimestrale/mensile. I tempi di analisi e di decisione, dunque, si ac-corciano e condizionano non solo l’assetto e il funziona-mento delle strutture e l’articolazione stessa dei processi, ma richiedono una nuova cultura organizzativa orientata a un paradigma improntato al mutamento e alla valoriz-zazione delle persone e delle diversità presenti nelle or-ganizzazioni, intese come asset strategico per condurre in porto in modo eficace un progetto di innovazione reale. Un’innovazione che migliori i risultati della performance complessiva dell’organizzazione, in modo non efimero e transitorio bensì in maniera duratura, poiché è basata su un completo rinnovamento consapevole e partecipato dei comportamenti personali, professionali, produttivi (ammi-nistrativi nelle amministrazioni pubbliche) e organizzativi (cocozza, 2011).In questo nuovo scenario risulta essere fondamentale la capacità di analisi della struttura e della cultura organiz-zativa, che non dovrebbe appartenere a una casta sparu-ta di super esperti ma essere una competenza diffusa tra tutti i manager responsabili di strutture, processi, tecno-logie e persone. Per questa ragione, si pone la necessità di mettere in campo un’attività di studio e di riprogettazione organizzativa continua, che dovrebbe coinvolgere il più possibile, seppure con gradi di responsabilità diversi, tutti i gruppi professionali presenti nelle organizzazioni, por-tatori di tacit skill, preziose sia per l’operazione di diagnosi sia per quella di rielaborazione.Infatti, nelle organizzazioni innovative, come suggerisce drucker in The ive most important question self assessment tool: facilitator’s guide (2010), nei processi di riprogettazione or-ganizzativa, occorre puntare l’attenzione sulle seguenti variabili:• deinire una procedura per la progettazione e la con-

duzione di un modello organizzativo di autovalutazio-

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Antonio Cocozza

ne, comprese le modalità per ottenere impegno del gruppo e formare una squadra;

• individuare gli obiettivi, raccogliere e analizzare dati, preparare e impegnarsi nel dialogo e valutare l’attua-zione strategica e operativa dei piani;

• predisporre uno script workshop introduttivo, illu-strando obiettivi e metodologie ‘passo-passo’ e fornire ai partecipanti le informazioni necessarie;

• creare un dialogo con i componenti del team work e dare vita a laboratori di preparazione delle risorse coinvolte nella progettazione, anche la realizzazione di workshop;

• preparare una o più presentazioni in PowerPoint, per l’esecuzione di esercitazioni nell’ambito del workshop, da consegnare in copia nella cartella di lavoro del par-tecipante.

In altri termini, si tratta di rendere più eficace e adatti-va la cultura e i comportamenti organizzativi (individuali, professionali e istituzionali), muovendosi verso una logica di bridging e networking capace di creare squadra e di dar vita a una rete integrata e social inclusive, poiché dalla solidità del sistema di relazioni dipendono i risultati complessivi della business performance. Un processo di trasformazione culturale particolarmente complesso, non semplice e non deterministico, che non è possibile improvvisare o ‘importare’ acriticamente da altri contesti organizzativi a livello micro o di sistema paese, né determinare attraverso una logica dirigistica, ma che dovrebbe essere basato, invece, su un’evoluzione della cul-tura organizzativa che valorizzi il merito, i comportamenti coerenti con gli obiettivi istituzionali, i valori e la respon-sabilità condivisa.In una prospettiva nella quale la cultura svolge un ruo-lo sempre più determinante, come suggeriscono Senge, Scharmer, Jaworski e Flowers (2013), nell’attuale conte-sto economico, sociale e organizzativo in continuo muta-mento, è necessario pensare l’organizzazione come una comunità umana in cui la persona è arteice della sua con-duzione. Gli autori, studiosi e manager pionieri dell’ap-prendimento organizzativo, con questo volume esplorano le dinamiche del cambiamento trasformativo e le possi-bilità che esso offre a un mondo che ha pericolosamente perso l’equilibrio. Per questa ragione invitano a promuo-vere livelli di apprendimento più profondi e trasversali, in modo da essere più presenti nel mondo e acquisire una consapevolezza di noi stessi come parte di un qualcosa di più ampio, di un contesto organizzativo più o meno strut-turato, nel quale consapevolmente o inconsapevolmente è possibile svolgere un ruolo importante.Anche se, purtroppo, come suggeriscono acutamente Acemoglu e Robinson (2013) nel saggio Perché le nazioni

falliscono. Alle origini di potenza, prosperità, e povertà, mettendo in guardia sull’estrema complessità degli eventi, le origini di questi tristi fenomeni (povertà, decadenza e subordina-zione) risiedono nella qualità delle istituzioni politiche ed economiche che le nazioni si danno. Se si analizza appro-fonditamente la storia dei grandi imperi, dall’Impero Ro-mano alla Venezia medievale, dagli Inca ai maya distrutti dal colonialismo spagnolo, al devastante impatto della tratta degli schiavi sull’Africa tribale, dalla cina assolutista delle dinastie ming e Qing al nuovo assolutismo di mao Zedong, dall’Impero Ottomano alle autocrazie medio-rientali, si scopre che spesso le élite dominanti preferiscono difendere i propri privilegi ed estrarre risorse dalla società piuttosto che avviare un percorso di benessere per tutti.Nella determinazione del successo organizzativo e nel mi-glioramento dei risultati complessivi, dunque, nelle impre-se, così come nelle organizzazioni più complesse (gli Stati), le culture, i valori e il ruolo delle istituzioni giocano un ruolo decisivo e imprescindibile.

Knowledge worker e leadership eficace per una governance social inclusive

Per questa ragione, è assolutamente necessario favorire l’acquisizione di competenze e visione valoriale da parte del management pubblico e privato, in modo tale da ac-compagnare il passaggio dal ruolo di manager a quello di leader, poiché come chiarisce acutamente bennis (1999) “il leader fa le cose giuste, mentre il manager fa le cose nel modo giusto”. Il leader ha un’ampia visione del futuro e si muove verso di esso, si occupa del cosa e del perché, pensa in termini di innovazione e di sviluppo; il manager, invece, ha una visione focalizzata, si occupa del come, punta al controllo, cerca la stabilità e gestisce il presente. Inoltre, nel ventennale della nuova versione del noto sag-gio di bennis On becoming a Leader (2009), si sintetizzano così le principali differenze tra le due igure precisando che: “Il manager amministra e il leader innova; il mana-ger sostiene e il leader sviluppa; il manager si concentra sui sistemi e la struttura, il leader si concentra sulle perso-ne; il manager si basa sul controllo, il leader ispira iducia; il manager accetta la realtà, il leader si interroga e ricerca nuove realtà e situazioni; il manager ha una vista a cor-to raggio, il leader ha una prospettiva a lungo raggio; il manager chiede come e quando, il leader chiede cosa e perché; il manager ha il suo occhio sempre sulla linea di fondo, il leader ha il suo occhio verso l’orizzonte; il mana-ger accetta lo status quo, il leader lo sida”.In questa prospettiva, si tratta di accettare una sida emo-zionante, non più rinviabile, rivolta agli studiosi in una lo-gica interdisciplinare, ma anche al management e ai vari responsabili delle organizzazioni, inalizzata a mettere in

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Innovazione, sviluppo organizzativo e knowledge worker

campo una sinergia di culture, competenze ed esperien-ze, seppur proveniente da ruoli diversi, per governare più eficacemente progetti di razionalizzazione dei processi produttivi, di innovazione tecnologica pervasiva, di ge-stione delle risorse umane, di comunicazione, formazio-ne, sviluppo e valorizzazione delle persone.In una tale signiicativa prospettiva progettuale e valoria-le, come sostiene in maniera lungimirante Sen, nel suo La ricchezza della ragione (2000), nell’azione economica “i valori giocano un ruolo importante nel determinare la performance economica e variano da area ad area in modo suficiente da poter spiegare i successi e le dificoltà economiche. Le differenze di valori, comunque, non sono immutabili e l’importanza di studiare questo argomen-to consiste in parte nel capire il mondo in cui viviamo, ma anche nel selezionare materiale utile per l’analisi e il dibattito sulla natura e sui meriti dei nostri valori. Se, in questo campo, abbiamo – come ritengo – un debito di gratitudine nei confronti di autori come max Weber, ciò è dovuto al loro contributo nel suggerire una buona domanda piuttosto che nel dare una buona risposta. La domanda relativa al ruolo dei valori nel successo econo-mico richiede una risposta ricca da un punto di vista in-formativo e strutturalmente articolata, non una formula con una sola variabile che si concentri su fattori come il protestantesimo, la cristianità, il confucianesimo o l’asia-nesimo. dobbiamo elaborare teorie, non slogan”.È necessario, dunque, acquisire una visione profonda dei fenomeni analizzati e delle loro interazioni sistemiche, in una prospettiva di sviluppo ampia e di medio-lungo periodo, per poter comprendere adeguatamente il muta-mento in atto e attrezzarsi per governarlo eficacemente, in una prospettiva di leadership partecipativa (cocozza, 2004).del resto, come indicava acutamente il Generale Eisen-hower: “Leadership is the art of getting someone else to do something you want done because he wants to do it”. Sulla stessa lunghezza d’onda, come chiariscono Haslam, Reicher e Platow (2013), in un recente saggio sulla psico-logia del leader e la sua identità, l’inluenza e il potere, il senso della leadership, non consiste nel pretendere che le persone ‘facciano’ questo o quello, ma ottenere che esse ‘vogliano fare’ questo o quello. con questa apertura culturale a 360° verso l’innovazione, il coinvolgimento e la partecipazione, occorre ricordare che tutte le epoche storiche si sono poste, anche se in ma-niera diversa, il problema della leadership. A questo pro-posito, un’interessante e originale lettura della necessità di una leadership già presente nel mondo antico e una rilessione sul ruolo dei leader nella Bibbia è offerta da un volume di di marco (2013). Secondo l’autore, la bibbia

descrive l’azione di coloro che sono portatori di un’inve-stitura divina, racconta le loro gesta, li onora, ne mette in risalto i caratteri, a partire da Abramo che, con geniale intuizione e tramite un segno rituale, trasforma un grup-po di parenti e di servi in un popolo. tutti i leader biblici hanno una caratteristica che li contraddistingue: condi-vidono con altri e alimentano insieme una dimensione trascendentale (condivisione di valori di riferimento) e, nei loro sogni (la vision), sono capaci di immaginare (fare ‘pre-visioni’) e per questo, anche in presenza di eventi ne-gativi, sono in grado di governarli più agevolmente.Per rispondere a queste side, dunque, come indica Mo-rin, citando montaigne, si tratta di formare futuri leader che abbiano “teste ben fatte” e non “teste ben piene”, e siano in grado di disporre di “un’attitudine generale a porre e a trattare i problemi; principi organizzatori che permettano di collegare i saperi e di dare loro un senso” (2000).Una dimensione euristica interessante e innovativa che trova spazio anche nell’analisi di Strati (2008), quando sostiene che la comprensione della vita organizzativa, convenzionalmente dominata dall’approccio logico-ra-zionale, è invece legata anche all’estetica, all’analisi delle dimensioni percettive, sensoriali, o spesso a variabili affet-tive ed extra razionali come argomenta cocozza (2005) o, come suggerisce Goleman (2011) all’intelligenza emotiva, fatta di autocontrollo, pervicacia, empatia e attenzione agli altri. In altri termini, come ricorda Strati (2008), il vissuto dei soggetti nella loro pratica lavorativa, il ruolo delle emozioni, della sensibilità, del gusto, della fantasia, della passione sono elementi fondamentali per la com-prensione e il governo dell’agire organizzativo. Una prospettiva di sviluppo organizzativo di tipo rilessi-vo e relazionale che si raccorda molto eficacemente con quanto sostenuto da butera e de michelis nel loro L’Italia

che compete. L’Italian Way of Doing Industry (2011), nel quale si discute l’ipotesi che stia emergendo un modello socio-economico e una nuova tipologia di impresa ancora allo stato embrionale diverso dai ‘castelli’ industriali, dai di-stretti, dal ‘piccolo è bello’, frutto di un vigoroso processo bottom-up promosso da imprese, organizzazioni e territori che si incontrano e si coordinano in nuovi “crocevia ter-ritoriali di mondi vitali e di reti lunghe”.In questa direzione, come suggerisce chiaramente Pini (2013), la bassa crescita dell’Italia dipende da molteplici fattori. Tuttavia spesso si trascura il peso del deicit di innovazioni nell’organizzazione del lavoro e dello scarso coinvolgimento di dipendenti e rappresentanze sindaca-li. Il nostro Paese in questo campo è uno dei fanalini di coda in Europa. Infatti, in una ricerca europea condotta da Eurofound (2011), relativa all’adozione di best work

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organization practice3, che ha coinvolto oltre ventisettemi-la stabilimenti industriali e dei servizi, su trenta paesi l’Italia si colloca in coda, solo prima di malta, turchia e Grecia. Si tratta di una ricerca che prende in conside-razione cinque gruppi di pratiche di lavoro: lessibilità degli orari, retribuzioni legate alle performance, for-mazione, lavoro a squadre con autonomia decisionale, coinvolgimento dei lavoratori e delle rappresentanze nel deinire l’organizzazione del lavoro. La lessibilità dell’orario di lavoro e la formazione sono quelle più dif-fuse, in un terzo degli stabilimenti; gli incentivi inanzia-ri ed economici e il coinvolgimento dei lavoratori sono presenti in circa un quarto degli stabilimenti; in circa un terzo degli stabilimenti si utilizzano almeno due gruppi di pratiche innovative. Il dato interessante è determi-nato dal fatto che il fenomeno dell’adozione multipla di più pratiche produce il noto effetto di complementa-rietà, secondo il quale i beneici totali dell’adozione in cluster sono maggiori della semplice somma dei beneici derivanti dalle singole pratiche. Infatti, come ricorda Pini (2013), solo la lessibilità oraria induce effetti deboli sulle performance, mentre formazione, coinvolgimento

dei lavoratori e delle rappresentanze e l’istituzione di gruppi di lavoro hanno effetti fortemente positivi sia su condizioni lavorative e gestione delle risorse umane sia su performance economiche e produttività complessiva dell’impresa.Un’impostazione che viene richiamata in un interes-sante intervento dell’ex ministro delrio – già Presiden-te dell’Anci e oggi Sottosegretario alla Presidenza del consiglio dei ministri –, sulla rivista Technlogy Review in merito a una tematica di grande complessità e di forte attualità relativa al ruolo delle smart city nelle politiche di mobilità sostenibile. Secondo delrio (2012) per ot-tenere risultati apprezzabili occorre una doverosa e ir-rinunciabile interconnessione strategica e organizzativa tra politiche e strutture pubbliche e private, poiché, in quest’ambito “la madre di tutte le innovazioni nel nostro paese risiede indubbiamente nella capacità di governo strategico dei processi. Serve un approccio che guardi lontano e che attraversi le politiche, in una governance in cui il pubblico, ai vari livelli istituzionali, sappia fare la regia e scegliere l’indirizzo per creare le condizioni delle città intelligenti, governare i processi autorizzativi

3 Per una rassegna della letteratura sulle best work organization practice si veda Leoni, R. (2013), Organization of Work Practices and Productivity, in Grandori, A. (a cura di), Handbook of Economic Organization, Cheltenham, Edward Elgar.

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Innovazione, sviluppo organizzativo e knowledge worker

e le selezioni, controllare severamente le esecuzioni, ma sia poi il player privato, in partenariato con il sistema pubblico, a mettere in gioco la propria competenza e capacità imprenditoriale a beneicio di una vita più in-telligente, inclusiva e sostenibile”.Il modello di governance qui richiamato, se opportuna-mente comunicato e discusso, sostenuto e valorizzato, può creare un innovativo sensemaking, ovvero conta-giare positivamente imprese, organizzazioni e territori e suggerire politiche di sviluppo appropriate. Un modello che però, come sostengono gli stessi butera e de miche-lis (2011), oggi è ancora fragile richiede interventi di ri-cerca e comunicazione, servizi reali alle imprese, politi-che economiche e concertazione di politiche pubbliche che attualmente sono del tutto insuficienti.In questo quadro, nell’ambito del rilancio della comu-nicazione organizzativa (cocozza, 2006; 2012), si tratta di sviluppare una nuova politica di “comunicazione for-mativa”, che si realizza nell’ambito dell’attività di for-mazione sui temi della comunicazione interpersonale e organizzativa e si propone di fornire (ai dipendenti e collaboratori) i contenuti e i metodi necessari per mi-gliorare la cooperazione produttiva e rafforzare il senso di appartenenza all’organizzazione. È rivolta princi-palmente ai pubblici interni, benché possa coinvolgere anche alcuni collaboratori esterni, come i fornitori, ed è gestita dalla struttura formativa (professionisti) o dai manager di linea. In questa dinamica è fondamentale che i formatori pongano in essere adeguate modalità di feedback comunicazionali con i propri collaboratori, af-inché quest’ultimi possano applicare le stesse modalità di approccio e di relazione con i clienti, interni ed ester-ni. Allo stesso modo, occorre valorizzare maggiormente anche la comunicazione creativa, che si realizza nelle situazioni di scambio e dialogo (verticali e orizzontali) e di creazione di nuove reti relazionali e comunicative anche attraverso modalità organizzative informali o ad

hoc. Si pratica nei circoli di qualità, nei gruppi di mi-glioramento e nelle task force e si propone di realizzare la generazione e la trasmissione di un sapere innovativo, la creazione di ambiti di maggiore cooperazione profes-sionale, alternativi al tradizionale modello gerarchico-funzionale. Questa particolare forma di comunicazione viene sperimentata attraverso strumenti comunicativi e organizzativi innovativi, quali il brainstorming e i group-

ware, allo scopo di diffondere il peso e ampliare il ruolo dei knowledge worker nelle aziende e nelle organizzazioni pubbliche innovative.A questo riguardo, come suggerisce Grassini nel recente saggio L’orizzonte breve. Rischi di morte per il nostro capitali-

smo, è necessario cercare di capire quanto i principali

sistemi capitalistici – quello anglosassone personiicato dagli Usa, quello tedesco, quello nipponico e quello ita-liano – operino con lo sguardo suficientemente orien-tato al futuro in modo da mantenere alto il livello degli investimenti senza trascurare anche chi lavora e consu-ma. Infatti, non sono ancora molti gli attori istituzionali, economici e sociali che si sono resi conto che la questio-ne dell’orizzonte temporale entro cui vengono assunte le decisioni delle imprese, degli investitori e degli stessi regolatori è diventata la più delicata e la più importante per il sistema economico e politico nel quale viviamo. Ancora meno sono coloro che hanno anche formulato suggerimenti su come migliorare tale situazione di estre-ma criticità, a partire da un rilancio dell’etica nelle scel-te inanziarie, economiche, organizzative e produttive. In questa prospettiva, è necessario sviluppare nuove po-litiche di direzione strategica delle risorse umane (co-cozza, 2012; 2014), che trovano concreta applicazione nelle imprese innovative medie e grandi, fortemente esposte alla concorrenza internazionale. Politiche stra-tegicamente orientate all’innovazione di prodotto, che operano in ambienti tecnologici concorrenziali e per-turbati, dove si riscontra una notevole dinamicità degli attori economici e si registra una diffusa competenza all’intrapresa. Si tratta di quei contesti organizzativi dove è presente una buona diffusione di knowledge wor-

ker, e dove ciascuna risorsa umana ha un elevato livello di autonomia professionale e un consistente margine di responsabilità decisionale, che la porta a divenire im-prenditrice di se stessa. L’evoluzione e il consolidamento di queste ultime caratteristiche contribuiscono non solo alla creazione di valore per l’impresa, ma permettono l’affermazione di un nuovo ruolo professionale/impren-ditoriale che acquisisce competenze necessarie da poter spendere sia sul mercato interno sia, eventualmente, su quello esterno.In deinitiva, le profonde trasformazioni che hanno riguar-dato il diverso assetto gestionale e organizzativo delle strut-ture produttive e il nuovo ruolo del management, renden-do obsolete le politiche tradizionali, generiche e indistinte, hanno superato, per certi versi, anche l’epoca dell’indivi-dualizzazione delle politiche, avviando l’era di progetti mi-rati a una reale personalizzazione, passando dall’eficienza (centrata sul potenziamento del know how), alla motivazione (know what) e soprattutto sul senso dell’agire umano delle persone e sul commitment nel contesto lavorativo, inve-stendo sul know why (cocozza, 2006; 2012). Per queste ragioni, come spesso è accaduto in questi ul-timi due decenni, è necessario confermare l’invito agli attori istituzionali, economici e sociali interessati a inno-vare (cocozza, 2009; 2012; 2014), per guardare lontano

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ed elaborare una strategia concertata volta a investire in conoscenza, relazioni e capitale umano, innovazio-ne, ricerca e capitale sociale in modo da far ripartire, attraverso una piena valorizzazione delle persone, strut-ture snelle, autonome e autoresponsabili, inalizzate a produrre uno sviluppo equo e duraturo orientato a una logica social inclusive.

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DALLA TEORIA ALLA PRATICA

a cura della redazione

Con la terza rivoluzione industriale l’innova-zione tecnologica assume centralità nello svi-luppo delle imprese. L’arrivo di una cultura

‘creativa’ – e dei cosiddetti knowledge worker – costringe le aziende a ripensare i propri modelli organizzativi e i propri processi produttivi.Assistiamo così a un mutamento di paradigma che ri-chiede un enorme sforzo di adattamento: da parte di imprese e persone.Quali le possibili risposte delle aziende? Paura e ritrosia o coraggio e apertura al nuovo? come muta l’approc-cio al management? Come si conigura un paradigma organizzativo che risponda idealmente alle side offerte da questo scenario socio-economico? Quali le soluzioni per una leadership innovativa e un moderno modello di governance?ci siamo confrontati con alcuni operatori del settore; ecco cosa ci hanno risposto.

Carlo S. romanelli, psicologo del lavoro

e presidente di Net Working

“Il fatto che ci si trovi di fronte a nuovi paradigmi su quasi tutti i fronti dell’econo-mia e della società – e quin-di delle organizzazioni, che altro non sono se non modi per interpretare tali paradig-mi – è fuori discussione. così è senza ombra di dubbio, nonostante la resistenza di molti sistemi e dei loro pro-

tagonisti. In relazione all’articolo del Prof. cocozza, mi soffermerei su tre elementi che devono necessariamente coinvolgere il management e gli approcci di governance ai vari livelli nei quali questa si deve esprimere. Il pri-

mo è il prevalere della proittabilità nel breve periodo, che riguarda i processi decisionali della maggior parte delle organizzazioni e che inluenza, come mai in pre-cedenza, la possibilità reale di esprimere visioni agibili nel medio periodo, che pure è il loro contesto naturale. In questo, la sida per il management è quella di trovare modelli di governance che guardino alla crescita e alla proittabilità come dimensioni da agire non nell’imme-diato ma in prospettiva almeno di medio orizzonte. La seconda è il venir meno del sentimento di appartenenza all’organizzazione, sostituito progressivamente quanto velocemente da quello al proprio ruolo e alla propria community professionale: i knowledge worker non si iden-tiicano più in organizzazioni, delle quali sanno che non faranno parte a lungo, piuttosto nei loro saperi e nei network professionali, in una prospettiva di mobilità in-cessante; se si considera che l’appartenenza è stato uno dei cavalli di battaglia della governance organizzativa per circa cent’anni, siamo di fronte a una sida ancora irrisolta. La terza è che in tale contesto, e di fronte a tali dinamiche, conta sempre meno il modello di struttura organizzativa e sempre più la sua cultura e la capacità di adattarsi velocemente e a costi accettabili per le orga-nizzazioni e le persone, pena il decadimento. Su questi terreni, e ovviamente non solo, si devono esprimere e manifestare nuove forme di leadership organizzativa.”

giorgio Elefante, associate partner PwC

e family business specialist

“Panta rei. come sempre, ma velocemente, frequente-mente e deinitivamente come mai prima d’ora. Ciò richiede il superamento dei modelli organizzativi tradi-zionali ed espone le imprese familiari a side nuove: il successo è transitorio, le fonti del vantaggio competitivo sono efimere, lo spazio e il tempo sono relativizzati. E, al contempo, occorre essere maggiormente inclusivi e

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DALLA TEORIA ALLA PRATICA

genuinamente rispettosi delle diversità culturali; non perché ciò sia politicamente opportuno, bensì perché conviene.Quali implicazioni dunque in termini organizzativi e

di governance, in termini ma-nageriali e di leadership? E quanto la realtà italiana dif-ferisce da quella delle estere sue omologhe?L’individuo e le famiglie evolvono e queste, con il tempo, divergono. ciò pro-duce, troppo spesso, lace-razioni, conlitti e tentativi improvvisati di soluzione e

talvolta di prevenzione. Le cause di conlitto più comuni in Italia? Il processo decisionale, lo stile di leadership e l’ingresso dei membri delle nuove generazioni all’inter-no dell’impresa (ruoli e responsabilità, percorsi di car-riera e compensi). da noi senza prevenzione.cosa occorre per la continuità dell’impresa attraverso le discontinuità generazionali e del contesto?Imparare a imparare. Imparare a meritare e a far meri-tare. Imparare a governare. Imparare a invecchiare.chi sarà il leader di domani? chi è capace di avere una visione anticipata del futuro, di ispirare per il suo per-seguimento, con coraggio e forza, personale e profes-sionale.”

Enrico Maria Bignami, socio fondatore dello

Studio Bignami associati

“Lo scenario del professor cocozza è molto condivisibi-le. La velocità di cambiamento del sistema economico-sociale rappresenta una sida importante che deve esse-re raccolta.Sostengo da tempo che, soprattutto per l’Italia, è cruciale

indurre un processo di cambiamento culturale che porti le organizzazioni a valorizzare il lavoro in gruppo, la de-

lega – intesa come indissolu-bile presenza di chiara attri-buzione delle responsabilità e feedback sul loro esercizio – e a enfatizzare la crescita culturale, i valori e le regole condivise nell’organizzazio-ne, che ne costituiscono il dNA, in grado di orientare positivamente i comporta-menti delle persone.

Altro spunto importantissimo è quello sul cambiamento di orizzonte: bisogna staccarsi da obiettivi e risultati di breve termine, per focalizzarsi sulla creazione di valore nel medio-lungo termine.Le aziende possono affrontare il cambiamento realiz-zando deinitivamente che il paradigma “sono vent’an-ni che facciamo così” oggi rappresenta la sicura morte dell’impresa. Questo è un passaggio tutt’altro che sem-plice – soprattutto nelle PmI – perché implica in mol-tissimi casi un cambiamento epocale nelle modalità con cui porsi. Signiica, per esempio, imparare a sbagliare, sapendo che è meglio del non cambiare.I modelli organizzativi da adottare dipendono indisso-lubilmente dagli obiettivi strategici e da come questi si intendono declinare, tenendo conto dei rischi che l’or-ganizzazione intende assumere.Il vertice dell’organizzazione esercita un ruolo fonda-mentale: attraverso la leadership, la diffusione dei va-lori e della cultura, il buon esempio, il leader evidenzia la via per lo sviluppo dell’organizzazione. Le principali caratteristiche che deve avere un leader sono passione, ideologia e vision, ma anche molta competenza e auto-revolezza.”