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INNOVARE LA DIDATTICA CON LAPPRENDIMENTO COOPERATIVO: RISORSE DI PROGETTAZIONE E VERIFICA Pubblicato in: Psicologia Scolastica, 3(1), p.73-99. Maurizio Gentile 1 Dottore di Ricerca in psicologia e consulente scolastico. Docente presso la SSIS, Università del Lazio e la Facoltà di Scienze della Comunicazione Sociale, Università Salesiana di Roma. Introduzione Gli insegnanti tendono a considerare le innovazioni didattiche come troppo teoriche e, quindi, non applicabili. Le ragioni sono molteplici. Essi sono immersi, quotidianamente, nella pratica mettendo in gioco ogni giorno loro stessi e la professionalità di fronte ai problemi comportamentali, motivazionali e cognitivi degli alunni. Innovare, cercare nuove strade, riflettere sulla didattica e le pratiche d’insegnamento appaiono come compiti difficoltosi. Tali difficoltà si possono spiegare ricorrendo ad alcune ragioni facilmente intuibili. L’assenza nel nostro paese di un sistema di servizi formativi e di consulenza in grado di dialogare con le scuole e di fornire soluzioni secondo criteri di qualificazione professionale alta, metodi aggiornati, capacità di controllo diffuso degli esiti. Il ritardo storico, accumulato nella preparazione universitaria degli insegnanti, ha fatto sì d’avere docenti eruditi nei diversi ambiti disciplinari. Con un fardello, però, di difficoltà concernente due aree critiche di conoscenze professionali approfondite. Da un lato gli aspetti tecnici della docenza: principi, strumenti e schemi di valutazione; costrutti e teorie dell’apprendimento; metodi, tecniche e strategie didattiche. Dall'altro le pratiche d’insegnamento tali come la capacità di esercitare sugli allievi una pressione ad imparare; di fornire un sostegno agli studenti; di curare la qualità dei rapporti tra studenti e docenti. Questo quadro generale è una minaccia all’efficacia pedagogica complessiva del nostro sistema scolastico. Se la didattica e le pratiche d’insegnamento si basano, semplicemente, sul “buon senso”, sull’esperienza dei docenti, e su teorie implicite (riguardanti, ad esempio, gli obiettivi da perseguire, i contenuti da insegnare e i metodi da applicare) una delle conseguenze più probabili sarà la 1

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INNOVARE LA DIDATTICA CON L’APPRENDIMENTO COOPERATIVO: RISORSE DI PROGETTAZIONE E VERIFICA Pubblicato in: Psicologia Scolastica, 3(1), p.73-99.Maurizio Gentile1 Dottore di Ricerca in psicologia e consulente scolastico. Docente presso la SSIS, Università del Lazio e la Facoltà di Scienze della Comunicazione Sociale, Università Salesiana di Roma.

Introduzione

Gli insegnanti tendono a considerare le innovazioni didattiche come troppo teoriche e, quindi, non applicabili. Le ragioni sono molteplici. Essi sono immersi, quotidianamente, nella pratica mettendo in gioco ogni giorno loro stessi e la professionalità di fronte ai problemi comportamentali, motivazionali e cognitivi degli alunni. Innovare, cercare nuove strade, riflettere sulla didattica e le pratiche d’insegnamento appaiono come compiti difficoltosi. Tali difficoltà si possono spiegare ricorrendo ad alcune ragioni facilmente intuibili. L’assenza nel nostro paese di un sistema di servizi formativi e di consulenza in grado di dialogare con le scuole e di fornire soluzioni secondo criteri di qualificazione professionale alta, metodi aggiornati, capacità di controllo diffuso degli esiti. Il ritardo storico, accumulato nella preparazione universitaria degli insegnanti, ha fatto sì d’avere docenti eruditi nei diversi ambiti disciplinari. Con un fardello, però, di difficoltà concernente due aree critiche di conoscenze professionali approfondite. Da un lato gli aspetti tecnici della docenza: principi, strumenti e schemi di valutazione; costrutti e teorie dell’apprendimento; metodi, tecniche e strategie didattiche. Dall'altro le pratiche d’insegnamento tali come la capacità di esercitare sugli allievi una pressione ad imparare; di fornire un sostegno agli studenti; di curare la qualità dei rapporti tra studenti e docenti. Questo quadro generale è una minaccia all’efficacia pedagogica complessiva del nostro sistema scolastico. Se la didattica e le pratiche d’insegnamento si basano, semplicemente, sul “buon senso”, sull’esperienza dei docenti, e su teorie implicite (riguardanti, ad esempio, gli obiettivi da perseguire, i contenuti da insegnare e i metodi da applicare) una delle conseguenze più probabili sarà la difficoltà di condividere norme comuni di sviluppo sistematico della professione. E sebbene sia disponibile sul piano legislativo un provvedimento che va in questa direzione, in altre parole l’autonomia di ricerca, sperimentazione e sviluppo, riconosciuta alle scuole dal DPR 275/99, essa a tutt’oggi è ignorata e poco praticata. Manca la tradizione su questo terreno occupato da sempre dal mondo accademico e scientifico. La scuola, per quanto autonoma, non fa ricerca, tutt’al più è campo di ricerca e, perciò continua a mantenere la distanza dalle teorizzazioni.

La questione si complica quando ai docenti è proposto, come nel caso descritto in queste pagine, di coniugare la didattica delle discipline con lo sviluppo di legami solidali all’interno della classe. È il caso di tutte quei metodi didattici a mediazione sociale, con i quali si tenta di promuovere un’interdipendenza sociale tra gli alunni durante il processo d’apprendimento.

Si può, quindi, ragionevolmente prevedere che tali fattori possano generare nei docenti incertezze, resistenze, demotivazione. Un’esemplificazione di quanto detto, risiede in un dialogo che l’autore ha avuto con un gruppo d’insegnanti durante un progetto di ricerca, condotto tra il 1996 e il 1998 (si veda per maggiori dettagli, Gentile, 2000). Nel riportare il dialogo si è preferito uno stile narrativo per rendere più vividi i fatti accaduti durante la riunione. Il nome dell’insegnante è fittizio:

«La Prof.ssa Salini venne incaricata dai suoi colleghi di fare da portavoce.

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“Abbiamo riflettuto molto prima di dirle queste cose … Noi pensiamo che avremmo voluto avere molto più tempo per provare e sperimentare queste nuove tecniche … è come se non avessimo avuto tempo a sufficienza per cucirci addosso un vestito nel quale potevamo stare bene e sentirci a nostro agio”. Seguì un breve silenzio, dopodiché la professoressa continuò. “Questo modo così rigido di programmare che ci state imponendo ci fa sentire come in una gabbia di piombo e non ci permette di lavorare bene … poi abbiamo bisogno di maggiore gradualità … ci state chiedendo veramente molto e noi abbiamo deciso di non applicare più il metodo”. Dopo aver parafrasato ciò che aveva ascoltato, lo sperimentatore invitò la professoressa a dire di più. “Non riusciamo più a gestire le classi… sono continuamente nel caos, molti nei gruppi oziano e non fanno niente; alcuni nonostante quello che ci avete detto hanno un basso profitto, non rispettano i turni, non parlano a bassa voce … per farla breve noi vogliamo ritornare al metodo tradizionale”. Lo sperimentatore ebbe l’impressione che non tutti davano la stessa valutazione della gravità dei problemi e propose, a ciascuno dei professori presenti, di esprimere una valutazione più precisa dei problemi che la Salini aveva esposto. Egli fece utilizzare una scala di valutazione da “1” (bassa gravità del problema) a “10” (alta gravità del problema). Emerse che non tutti i problemi avevano un’alta gravità e che comunque il problema che sentivano come più grave era il profitto scolastico individuale. Li invitò, infine, a fare un elenco delle cose che avrebbero salvato […].» (Gentile, 2000, p. 111s).

L’episodio descritto materializza una serie di problemi: “mancanza di gradualità e tempo”, “difficoltà di conduzione della classe”, “percezione dei benefici associati ad un’innovazione”. Quanto riportato, aiuta ad evidenziare come il compito di innovare la didattica implichi un forte rinnovamento professionale. Le questioni espresse rimandano, certamente, alla necessità di elevare la qualità di risposta dei docenti ai progetti d’innovazione. Si tratta in altri termini di ricercare condizioni facilitanti orientate a formare, docente per docente, le conoscenze necessarie per trasferire in classe nuove attività d’insegnamento.

Assistere gli insegnanti su un compito così articolato implica un approfondimento dei fattori utili per condurre con efficacia un progetto. L’avvio di questa prospettiva implica una discussione approfondita dei seguenti temi: con quale metodologia promuovere innovazione didattica per la scuola? Di quali opzioni operative si potrebbe dotare tale metodologia? Su quali linee di azione articolare il lavoro? Un progetto d’innovazione didattica, deve necessariamente assumere i tratti di un percorso di formazione in servizio dei docenti; a tal riguardo quali potrebbero essere gli elementi strutturali e il flusso d’azioni che lo costituirebbero? Quali risorse elaborare per assistere i docenti nell’assimilazione di nuove attività d’insegnamento? Con quali strumenti osservare i possibili cambiamenti attivati dall’innovazione didattica?

L’articolo tenta di rispondere a questi interrogativi discutendo un progetto basato sui seguenti principi:

a. cambiamento professionale e scelte operative coerenti con tale concetto; b. innovazione didattica come opportunità per favorire l’accesso a risorse conoscitive; c. verifica dei risultati sia per quanto riguarda gli alunni sia i docenti.

Il progetto è stato realizzato durante l’anno scolastico 2001-2002, per una rete di scuole che ha coinvolto scuole dell’infanzia, scuole primarie e scuole secondarie di primo grado. La prima parte dell’articolo analizza l’innovazione didattica su cui ha insistito il progetto. I responsabili istituzionali hanno scelto una specifica metodologia che ha implicato la formazione e l’avvio d’esperienze d’Apprendimento Cooperativo. Tale metodo è stato interpretato come uno strumento di formazione cognitiva e sociale degli alunni e come opportunità per favorire lo sviluppo professionale dei docenti. Nella seconda parte si presenta l’impostazione metodologica. Con essa si è cercato di capire con quali criteri condurre un intervento che permetta a un gruppo di docenti di comprendere, applicare e interiorizzare

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un’innovazione didattica. La terza parte descrive la struttura e il processo realizzativo del progetto. Questo prende le mosse dal Piano Integrato d’Area (P.I.A.) relativo all’area territoriale Empolese Val d’Elsa, Sub-Area Bassa Val d’Elsa (Firenze). Il piano si colloca nell’ambito di una serie di linee di azione sostenute dalla legge regionale n. 53/81, integrata dalla legge regionale n. 41/93 e dalla direttiva ministeriale n. 292/99. Il P.I.A. è stato strutturato con lo scopo di:

1. fornire alle scuole la consulenza da parte di esperti dell’ambito psicologico e pedagogico;

2. favorire la ricerca di metodologie attive di insegnamento-apprendimento da utilizzare nell’azione didattica quotidiana, attraverso l’azione di consulenti ed esperti;

3. attivare percorsi di orientamento in collaborazione con agenzie formative extrascolastiche ed il mondo del lavoro.

In riferimento alla seconda linea di azione, i responsabili hanno optato per uno specifico metodo d’insegnamento che ha implicato la progettazione e il trasferimento in classe di attività didattiche d’Apprendimento Cooperativo. Il paragrafo successivo ha lo scopo di guidare il lettore nella comprensione degli elementi base del metodo. A tal proposito sarà fornita da un lato una definizione essenziale, e dall’altro saranno discusse sia le evidenze empiriche sia i principi sottostanti che sembrano sostanziarne l’efficacia.

1. L’Apprendimento Cooperativo

Prima di considerare le caratteristiche del metodo, ci è sembrato interessante esaminare le ragioni o le problematiche sulle quali è stata fondata tale preferenza. Per approfondire quest’aspetto è stata preparata un’intervista rivolta alla dirigente pro-tempore responsabile per il P.I.A. dell’attuazione della seconda linea di azione. La tabella 1 riporta sia le domande sia le risposte date all’intervista.

Tabella 1: Intervista di approfondimentoDomanda 1In che modo la vostra scuola è venuta a conoscenza del tema Apprendimento Cooperativo? RispostaL'idea di partire con un percorso d’apprendimento cooperativo è nata da una proposta di una docente che aveva approfondito autonomamente questa tematica. La docente ha ruolo di tutor in uno dei plessi afferenti all’Istituto Comprensivo. Domanda 2 Su quale esigenza formativa e/o su quale difficoltà o problema presente nella vostra scuola avete fatto richiesta di un intervento sull'Apprendimento Cooperativo? RispostaLa motivazione principale è quella di lavorare sul gruppo-classe come risorsa per il superamento del disagio e della conflittualità molto presente nelle classi. Inoltre era avvertito il bisogno di introdurre metodologie alternative alla lezione frontale. Domande 3 In che modo avete attivato e coinvolto i docenti ed, eventualmente, i non docenti nel progetto sull'Apprendimento Cooperativo che state realizzando? RispostaUna parte dei docenti era già stata coinvolta precedentemente poiché il corso era stato pubblicizzato nei collegi dei docenti. Agli iscritti al corso è stata fornita una copia del testo "Apprendimento cooperativo in classe" prima dell'attivazione del corso stesso. Gli iscritti al corso sono soprattutto docenti di scuola elementare.

Le risposte permettono di comprendere i presupposti che hanno favorito la decisione. Questi sono legati essenzialmente:

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a. all’azione d’approfondimento e divulgazione svolta da un docente; b. all’obiettivo pedagogico ispiratore (vale a dire l’ipotesi di utilizzare il gruppo classe

come risorsa per il superamento di condizioni di disagio scolastico); c. alle azioni di coinvolgimento dei docenti (organizzazione d’un corso e distribuzione di

una pubblicazione).

In sintesi, la scelta non sembra casuale poiché ancorata sia ad un piano istituzionale sia a delle azioni di comunicazione sull’efficacia probabile del metodo d’insegnamento. In questa prospettiva, esso è stato pensato come soluzione didattica per affrontare il disagio scolastico e le condizioni conflittuali dei gruppi classe. Esiti probabilmente associati alla presenza nelle classi di alunni con diverso livello di abilità, caratterizzati da problemi comportamentali e di personalità, appartenenti a culture ed etnie diverse.

1.1. Cosa s’intende per Apprendimento Cooperativo

L’Apprendimento Cooperativo, molto diffuso negli Stati Uniti, nel nord Europa e in Israele, viene da alcuni anni sperimentato anche in Italia (Comoglio, 1996, 1998; Comoglio e Cardoso, 1996; Ellerani, Gentile e Pavan, 2000; Gentile, 1998; Gentile e Ramellini, 1999, 2000). Si tratta di una metodologia di insegnamento/apprendimento che limita l’utilizzo della lezione trasmissiva a favore di attività didattiche che responsabilizzano gli studenti nel compito di apprendere.

Il metodo ha una lunga storia. Il lavoro d’ottimizzazione degli impianti e, al contempo, di verifica sperimentale dei risultati, ha permesso da un lato di fondare il metodo su evidenze sperimentali (Slavin, 1995), dall’altro di essere riconosciuto come una delle nove categorie didattiche più efficaci nella promozione di apprendimento scolastico (Marzano, Pickering, e Pollock, 2001). Questa modalità di conduzione della classe non ha alcun rapporto con i tradizionali gruppi di lavoro. Dell’Apprendimento Cooperativo si conoscono una varietà di modelli applicativi2: il Learning Together di D.T. Johnson e R.T. Johnson (Johnson, Johnson e Holubec, 1994); lo Student Team Learning di R. Slavin (1988); lo Structural Approach di S. Kagan (Kagan, 1994), il Group Investigation di S. e Y. Sharan (1992), la Complex Instruction di E. Cohen (1994).

1.2. Interdipendenza positiva e responsabilità personale

L’Apprendimento Cooperativo utilizza sia il concetto d’interdipendenza positiva sia quello di responsabilità individuale (Comoglio, 1998). L'interdipendenza positiva esiste quando per raggiungere uno scopo o svolgere un compito non è possibile agire da soli: gli altri sono necessari e indispensabili. L’interdipendenza positiva è il fattore più rilevante di una didattica cooperativa. Questa si realizza quando gli allievi di un piccolo gruppo comprendono che il raggiungimento di uno scopo richiede cooperazione tra loro ed esige impegno da parte di tutti. La responsabilità individuale esiste quando gli studenti sono responsabili del proprio apprendimento e dell'apprendimento degli altri membri del gruppo (per esempio, quando ciascun membro di un gruppo ha compiti e ruoli chiari da svolgere). La responsabilità personale è l’impegno offerto da un singolo individuo per il raggiungimento di un obiettivo di gruppo. È proprio l’impegno personale a rendere efficace la cooperazione.

La responsabilità personale può essere ottenuta strutturando una condizione di interdipendenza, e verificando il risultato raggiunto dai singoli membri in termini di completamento del compito assegnato o di apprendimento. In quest’ottica la responsabilità individuale è sempre l’effetto di una struttura d’interdipendenza positiva.

1.3. Evidenze sull’efficacia dell’interdipendenza positiva

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Sono stati raccolti numerosi dati che illustrano la maggiore efficacia dell’interdipendenza positiva rispetto all’assenza d’interdipendenza o ad un’interdipendenza negativa, propria ad esempio delle situazioni competitive. Le ricerche hanno coinvolto soggetti di diversa età, utilizzato differenti compiti di apprendimento e discipline scolastiche, e applicato i trattamenti sperimentali in vari paesi dell'Europa, del Sud e del Nord America, dell'Africa, dell'Asia e del Medio Oriente (Johnson e Johnson, 1995a,b). Questo lavoro d’indagine ha permesso di comprendere l’interdipendenza positiva tende a produrre risultati maggiori rispetto a situazioni di lavoro individualistico, competitivo, e ai lavori di gruppo tradizionali (Johnson e Johnson, 1989). Numerose sperimentazioni hanno controllato i suoi risultati con riferimento al: rendimento scolastico, apprendimento di varie discipline, sviluppo d’abilità cognitive, promozione d’abilità sociali e di comportamenti prosociali, clima della classe, integrazione di ragazzi con difficoltà d’apprendimento, amicizia e accettazione tra individui appartenenti a etnie diverse.

L’interdipendenza è ampiamente riconosciuta come una soluzione didattica da utilizzare per una molteplicità di scopi educativi rilevanti, quali:

a. promuovere motivazione ad apprendere (Ames 1984a,b; Johnson e Johnson, 1989);b. valorizzare le diversità intellettive dei singoli membri (Kagan L., 2000; Kagan S.,

1998; Kagan S. e Kagan M., 1998); c. fornire risorse ad alunni con difficoltà di apprendimento (Pavan e Daminato, 2001;

Ianes, 1999; Meijer, 2001); d. promuovere condotte prosociali (Solomon et. al., 1990; Weigel, Wiser e Cook, 1975); e. modellare condotte cognitive di apprendimento (Gentile, 2000; Stevens, Slavin e

Farnish, 1991).

2. Opzioni operative

I dati prodotti dagli sperimentatori stanno fornendo prospettive incoraggianti da cui trarre spunto per organizzare la didattica e i processi d’apprendimento (Marzano, Pickering, e Pollock, 2001). Tuttavia, al di fuori d’analisi sperimentali, nella pratica quotidiana, l’efficacia di una scelta didattica dipende da molteplici condizioni. Con riferimento a ciò, l’introduzione nella scuola di un nuovo metodo d’insegnamento implica un’attenta riflessione sui fattori che possono favorire l’assimilazione dell’innovazione didattica (Guskey, 1995). Per tali ragioni il progetto è stato basato su uno sfondo operativo costituito da una combinazione di scelte sulle quali si è registrato un giudizio d’efficacia (Gentile, 1999; Guskey, 1995).

Una conclusione degli studi sulla crescita professionale degli insegnanti è la seguente: la percezione della complessità di un compito è negativamente correlata alla probabilità che l’acquisizione di un’innovazione avverrà con successo (Guskey, 1991). Essa è, dunque, una variabile di massima importanza. La probabilità di introdurre stabilmente nuove strategie didattiche dipenderà dal giudizio che gli insegnanti esprimono circa la complessità dell’impegno richiesto. Questo dato può spiegare resistenze ed opposizioni espresse verso proposte innovative. Quando queste implicano un forte rinnovamento individuale, la scelta operativa più appropriata è programmare la realizzazione dell’innovazione secondo mete parziali (Locke e Latham, 1994; Locke, Shaw, et al. 1981) e forme graduali e progressive di crescita professionale (Crandall, Eiseman e Louis 1986; Fullan, 1992; Sparks, 1983).

L’introduzione in classe di un’innovazione didattica è un compito difficile, faticoso e ricco di incertezze. È un lavoro che richiede tempo e spesso implica un processo applicativo poco lineare ed uniforme (Fullan e Miles, 1992; Joyce e Showers, 1980; Joyce e Clift, 1983). Ogni progetto il cui scopo è accrescere la funzione docente richiede tempo, disponibilità a sperimentare ed una quantità di lavoro extra. In questa prospettiva è inevitabile considerare

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l’applicazione in classe come un compito continuo, che prende luogo all’interno di condizioni capaci di garantire assistenza ed incoraggiamento a persistere. Questi possono essere fattori determinanti per il successo di un progetto di formazione e sperimentazione (Fullan e Miles, 1992; Joyce e Showers 1988; Massarella 1980; McLaughlin e Marsh, 1978; Waugh e Punch, 1987).

L’acquisizione stabile di un’innovazione didattica è associata alla possibilità di condurre una verifica dei risultati. La verifica dei risultati si rivela di estrema importanza se gli insegnanti giudicano la propria efficacia professionale in base alla capacità di influenzare positivamente la crescita degli allievi (Huberman, 1992; Guskey, 1984). L’adozione di specifici strumenti e modalità di verifica dipende dai fini generali e dagli obiettivi specifici di un progetto. Una discussione di questo tema va al di là degli scopi di questo articolo. Per un approfondimento si rimanda il lettore ai seguenti contributi: Guskey (1995); Block, Efthum e Burns (1989); Bloom (1971); Bloom, Madaus e Hastings (1981); Stallings (1980); Fiedler, (1975); Smylie (1988).

Le opzioni operative discusse hanno suggerito l’articolazione di sei linee d’azione.

- LINEA DI AZIONE 1. Training. L’obiettivo è stato permettere l’apprendimento d’abilità e conoscenze relative all’innovazione didattica. Le attività di training sono state basate su spiegazioni teoriche, dimostrazioni, attività pratiche, riflessioni..

- LINEA DI AZIONE 2. Sviluppo d’attività di breve durata. L’obiettivo specifico è stato l’applicazione di brevi unità o serie di lezioni strutturate. Questa fase è stata caratterizzata da un’assistenza diretta. Tale assistenza è stata offerta durante la pianificazione delle attività didattiche.

- LINEA DI AZIONE 3. Applicazione in classe. L’applicazione è stata definita all’interno di un arco temporale di un mese; ciò ha richiesto un tempo d’esposizione degli alunni da due a quattro ore settimanali, per almeno quattro settimane di lavoro.

- LINEA DI AZIONE 4. Verifica dei risultati. Consulente e docenti hanno preso accordi sulle modalità di verifica dei risultati. A questo riguardo è stato utile comunicare le ragioni dell’operazione e selezionare le modalità più appropriate con cui farlo.

- LINEA DI AZIONE 5. Analisi dei risultati. Quest’azione mira a stimolare ulteriormente la riflessione sui benefici e i problemi legati all’uso delle nuove attività didattiche, valorizzando gli esiti positivi e incoraggiando l’inserimento d’elementi di soluzione in relazione a specifici problemi emersi.

- LINEA DI AZIONE 6. Comunicazione dei risultati. La comunicazione dei risultati è stata pensata per soddisfare i seguenti standard: utilità, correttezza e precisione3. I criteri di utilità contribuiscono a stabilire se le informazioni verranno lette dai non esperti. I criteri della correttezza determinano la precisione delle informazioni.

3. Risorse conoscitive per lo sviluppo della funzione docente

I progetti d’innovazione didattica possono essere visti come opportunità attraverso le quali favorire l’accesso a risorse conoscitive. Questo implica la produzione di un “sapere pratico” focalizzato sulle esigenze di sviluppo della funzione docente. Tali esigenze sono essenzialmente di natura conoscitiva, e fanno riferimento a:

a. la conoscenza degli elementi che compongono le attività didattiche e le condizioni nelle quali applicarle: una chiara comprensione di questi aspetti ne rende più probabile l’applicazione (Tilemma e Veenman, 1987);

b. l’applicazione pratica delle attività didattiche e la comprensione dei principi esecutivi che le regolano (Joyce e Showers, 1980);

c. l’analisi dei risultati delle attività didattiche sugli studenti (Guskey, 1994).

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In questa prospettiva i progetti, da un lato, garantire una chiara conoscenza degli elementi costitutivi di un’opzione didattica e delle condizioni nelle quali applicarla, e dall’altro, sostenere i tentativi di trasferimento al contesto reale della classe verificando gli impatti sia sugli studenti sia sui docenti. In funzione di ciò sono stati progettati due gruppi di risorse: risorse di progettazione, risorse di verifica.

3.1. Risorse di progettazione

Le risorse di progettazione sono state riferite sia alla presentazione di procedure didattiche sia all’utilizzo di linee guida per la pianificazione didattica. Tali risorse sono state pensate per incoraggiare un livello di “partecipazione attiva” durante le fasi di sviluppo delle attività.

Nel definire il livello di partecipazione si è fatto riferimento ai suggerimenti avanzati da Boudah e Lenz (2000), i quali sottolineano l’importanza di definire in anticipo il livello specifico di partecipazione degli insegnanti al processo di ricerca. Gli autori suggeriscono di utilizzare la categorizzazione proposta da Spradley (1980). Quest’ultimo individua sei livelli di partecipazione osservabili: essi vanno da un grado di “nessuna partecipazione” ad un livello di “determinazione autonoma dei cambiamenti”. La tabella 1 schematizza ed esemplifica i sei livelli, associandoli a possibili risultati. Un progetto che favorisce livelli alti di partecipazione, ha maggiori probabilità di incidere sullo sviluppo dell’azione d’insegnamento.

Tabella 2: Livelli di partecipazione osservabili Livello di

partecipazione Esempio Possibili risultati

1. NESSUNA Il consulente osserva attraverso uno specchio unidirezionale ciò che accade in classe.

I partecipanti non sono consapevoli della presenza o del lavoro del ricercatore.

2. PASSIVA Il consulente, seduto in un angolo della classe, osserva l’insegnante durante una spiegazione.

La sola presenza del ricercatore condiziona le azioni dei partecipanti.

3. MODERATA Il consulente comunica all’insegnante cosa sta osservando facendogli domande per ottenere dati.

Le osservazioni e le interviste condizionano le azioni dei partecipanti.

4. ATTIVA* Il consulente realizza un intervento e può chiedere l’aiuto degli insegnanti nel condurre la ricerca.

Le azioni didattiche dei partecipanti sono condizionate perché il ricercatore chiede loro di fare qualcosa di diverso.

5. DINAMICA Il consulente e l’insegnante pianificano e conducono la ricerca in classe con modalità collaborative.

Le azioni didattiche dei partecipanti sono condizionate dalla partecipazione a molteplici aspetti della ricerca.

6. AUTO-DIRETTA L’insegnante studia i cambiamenti nelle sue modalità d’istruzione come risultato di una nuova tecnica.

Le attuali e future azioni didattiche dei partecipanti sono condizionate dal suo studio. Dopo la condivisione dei risultati anche altri insegnanti cambiano la loro didattica.

*La tabella evidenzia il livello di partecipazione agita all’interno del progetto.

Adattato da: D.J, Boudah., e B. K. Lenz, (2000). And now the rest of the story: The research process as intervention in experimental and qualitative studies. Learning Disabilities Practice, 15(3), p.154.

Risorsa 1- Comprensione di procedure didattiche

La risorsa ha lo scopo di sviluppare una conoscenza base relativa ad esempi di procedure didattiche sperimentate da altri insegnanti in contesti scolastici simili. Secondo Gliessman e

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Pugh (1987), gli insegnanti sono più disposti ad acquisire ed esercitare una procedura didattica quando gli elementi costitutivi sono chiaramente compresi. La comprensione concettuale rende più probabile l’applicazione in classe. Le procedure didattiche sono state illustrate in termini di elementi che le organizzano e di condizioni applicative. Per condizioni applicative si è inteso:

a. la descrizione in termini di causa ed effetto delle ragioni che sostengono l’applicazione di ciascuna procedura (perché applicarlo);

b. l’indicazione delle circostanze didattiche in cui utilizzarla (quando applicarlo); c. la descrizione della sequenza d’applicazione (come applicarlo).

Nell’ambito del progetto, l’attenzione degli insegnanti è stata focalizzata sulla comprensione di 19 attività didattiche: 9 esempi di strutture di apprendimento interdipendente; 8 tecniche per la formazione di piccoli gruppi di lavoro; 2 attività per la valorizzazione delle diversità intellettive4.

Risorsa 2 – Progettazione didattica

L’attività d’insegnamento è strettamente dipendente dall’assunzione di uno schema di progettazione didattica. Nell’ambito di questo lavoro si è scelto di generare tali attività da uno schema costituito da tre categorie.

Tabella 3: Guida per la progettazione delle attività didattiche

Da quanti membri è costituito il gruppo?

Qual è il compito di ciascun membro?

Qual è il ruolo di ciascun membro?

Qual è il contenuto oggetto di apprendimento?

Quali materiali bisogna costruire per condurre l’attività?

Quali materiali bisogna reperire?

Cosa produce l’alunno al termine dell’attività?

Cosa produce ogni singolo gruppo al termine dell’attività?

Quale processo cognitivo viene principalmente sollecitato con l’attività?

Quali altri processi cognitivi vengono coinvolti?

Struttura di gruppo

Contenuto disciplinare Materiale didattico Obiettivo didattico Processo cognitivo

Quali sono i singoli passi da seguire nel condurre l’attività?

1. Formazione dei gruppi2. Spiegazione dell’attività

3. Primo passo dell’attività4. Secondo passo dell’attività

5. Terzo passo dell’attività6. Ecc.

Sequenza di applicazione

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La prima fa riferimento alla classe condotta a piccoli gruppi. Questa scelta è basata sul concetto d’interdipendenza positiva e sui risultati educativi osservati (Comoglio, 1996; Gentile, 2000). La scelta di questa categoria risponde alla domanda: come creare attività nelle quali gli alunni si distribuiscono la responsabilità di apprendere.

Il secondo elemento riguarda la modificazione dei contenuti scolastici alla luce dei criteri suggeriti dal concetto d’interdipendenza sociale nell’apprendimento. Questo ha implicato la progettazione di attività fondate su modelli di lavoro cooperativo piuttosto che individualistico o competitivo (Comoglio, 1998; Johnson e Johnson, 1989).

Il terzo elemento ha avuto attinenza con i processi cognitivi caratterizzanti l’apprendimento scolastico. Si è trattato di definire quali processi cognitivi attivare, deliberatamente, per determinare di volta in volta un apprendimento significativo. I processi a cui si fa riferimento sono: percezione, attenzione e concentrazione, memoria, pensiero, lettura e comprensione, studio strategico, motivazione (De Beni, Pazzaglia, Molin, Zamperlin, 2001).

Questo schema rischia di apparire eccessivamente astratto se i docenti non ricevono un’assistenza diretta nella progettazione. La ricerca e l’esperienza pratica hanno permesso di concettualizzare l’insegnamento come processo decisionale: un insegnante prende decisioni prima, durante e dopo la realizzazione di un’attività didattica (Berliner, 1984; Mosston e Ashworth, 1990). Al fine di favorire il processo decisionale sono state fornite delle linee guida. Queste hanno assistito le decisioni dei docenti con riferimento alle seguenti aree: la struttura di gruppo; il contenuto disciplinare; il materiale e l’obiettivo didattico; i processi cognitivi da attivare; la sequenza d’applicazione. Le domande sono state raccolte all’interno di una guida (si veda per maggiori dettagli la tab. 2).

3.2. Risorse di verifica

Con le risorse di verifica il progetto ha concretizzato la linea d’azione 4, strettamente connessa ad uno dei fattori discussi all’interno del paragrafo due (si veda verifica dei risultati). I metodi e gli strumenti di verifica, sono stati pensati con lo scopo di creare una stretta relazione tra la problematica che ha motivato il progetto e gli esiti raggiunti. La verifica quindi è stata un momento centrale ed importante; parte integrante del progetto. Con essa si è cercato di giudicare la qualità, l’utilità, l’efficacia, il significato dei risultati ottenuti; dall’altro di acquisire informazioni rilevanti da analizzare e valutare5.

Si è scelto di focalizzare l’attenzione sulle dimensioni psicosociali del processo d’insegnamento e apprendimento. Più specificamente il progetto ha preso in esame:

a. i modelli di simbolizzazione affettiva espressi dagli alunni in riferimento sia alla relazione con l’adulto, sia alla relazione con i pari;

b. l’indice di preferenza ricevuta e di rifiuto ricevuto estratti mediante l’analisi del sociometrico di Moreno;

c. la percezione di sé (da parte dell’insegnante) nella classe; d. la valutazione dell’innovazione didattica.

Ci è sembrato interessante focalizzare l’attenzione su tali variabili poiché nel panorama delle ricerche nazionali e internazionali non emergono studi e ricerche che pongono in relazione l’Apprendimento Cooperativo con variabili psicosociali, vale a dire con i significati che i soggetti attribuiscono al contesto di riferimento. Inoltre non risultano indagini nei quali si utilizzano misurazioni proiettive ed elaborazioni statistiche basate su tecniche d’analisi testuale. Il progetto, quindi, ha tentato di esplorare una nuova area d’indicatori per mezzo dei quali misurare l’efficacia del metodo.

Con riferimento ai primi due focus è stato definito un piano di verifica quasi-sperimentale. L’obiettivo del piano è stato: comprendere la ridefinizione dei significati attribuiti all’adulto

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e al compagno in seguito all’introduzione in classe di attività di apprendimento cooperativo. I dati relativi alla percezione che l’insegnante ha di sé nella classe sono stati estratti mediante l’applicazione di un differenziale semantico, un questionario organizzato su aggettivi bipolari semanticamente opposti. Lo scopo è stato verificare in che misura l’esperienza d’applicazione ha generato spostamenti nella percezione di sé. La valutazione dell’attività didattica è stata realizzata mediante un’intervista: lo scopo è stato quello di isolare i fattori di successo delle attività didattiche.

Risorsa 3- Piano di verifica quasi-sperimentale

Un’innovazione didattica può essere valutata mediante progetti di ricerca formale che prevedono la raccolta di prove empiriche a supporto dei modelli teorici di riferimento; oppure attraverso progetti d’indagine pratica specificamente mirati alla comprensione delle problematiche e dei dilemmi relativi all’agire didattico. Sia i progetti di ricerca formale che pratica possono promuovere interventi di cambiamento (Iaccarino e Gentile, 2001).

Gli interventi di cambiamento possono essere di due tipi: diretto ed indiretto. L’intervento diretto si verifica quando viene identificato un problema (variabile dipendente) a cui si associa una soluzione (variabile indipendente). La misura della variabile dipendente viene, poi, utilizzata per valutare gli impatti della variabile indipendente. Per contro, l’intervento indiretto si serve della ricerca qualitativa. Essa è associata con l’impegno di capire la natura del fenomeno nel contesto reale (ad esempio “il funzionamento organizzativo di una rete di scuole situate in un’area rurale”). La ricerca qualitativa ha finalità di comprensione piuttosto che di trasformazione.

Figura 1: Piano di valutazione quasi-sperimentale “pre-test post-test con gruppo di controllo”

Gruppo di sperimentale O1 VI O2

O3 O4 Gruppo di controllo

Innovazione didattica

Assenza d’innovazione didattica

On = Misurazioni delle variabili dipendenti (O1 e O3 prima, O2 e O4 dopo)VI = Variabile indipendente = Non perfetta equivalenza tra i gruppi

Nell’ambito di questo progetto si è scelto di condurre la verifica mediante intervento diretto. Più specificamente, è stato disegnato un piano di osservazione quasi-sperimentale. Il gruppo di controllo e quello sperimentale non sono stati scelti in modo casuale dalla stessa popolazione, ma intuitivamente, cioè sulla base d’informazioni che hanno permesso di ritenere che i gruppi erano relativamente simili. Lo schema e la dicitura del piano di valutazione sono riportati nella figura 1.

L'importanza di applicare un piano di verifica basato su gruppi diversi consente di cogliere in che misura le attività didattiche cooperative fanno la differenza rispetto ad attività non cooperative. Si è cercato, quindi, di comprendere come l’innovazione messa in campo potesse contribuire a ridefinire i tre indicatori psicosociali (l’indice di coesione della classe, la simbolizzazione dell’adulto e del compagno).

Risorsa 4 – Vignette stimolo per l’analisi dell’immagine d’adulto e dei pari

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Come dichiarato in precedenza si è scelto focalizzare la verifica sui significati che gli alunni attribuiscono all’esperienza scolastica. A tal proposito, si è utilizzato lo strumento delle vignette stimolo6.

Lo strumento permette di analizzare le immagini di adulto e di compagno possedute dagli allievi; ovvero le rappresentazioni condivise da alunni di un determinato contesto scolastico (classe o istituto). Con esse, una classe può interpretare e dare senso alla relazione con il mondo adulto, alla relazione con i pari, al contesto scolastico e alle pratiche di apprendimento che lo attraversano e sostanziano.

L’analisi delle rappresentazioni è stata basata sul testo che gli alunni producono durante l’applicazione della prova: il testo è analizzato secondo il metodo ALCESTE (Reinert, 1995). Agli alunni si chiede di scrivere nelle nuvolette che cosa secondo loro si dicono i personaggi (si veda la fig. 2). La prova è stata somministrata in classe, collettivamente, durante l’orario di lezione.Figura 2: Vignette stimolo per l’analisi delle simbolizzazioni

Vignetta 1 Bambino - Bambino Vignetta 2 Adulto - Bambino

Risorsa 5 - Questionario sociometrico

L’indice di coesione è stato analizzato mediante la tecnica sociometrica di Moreno, (1964). La sua concezione si basa essenzialmente sul fatto che la realtà sociale si costituisca da una serie di relazioni interpersonali affettive che attraggono, respingono o rendono indifferenti le persone. Scopo del questionario sociometrico è quello di evidenziare la struttura “nascosta” (nel senso di non sempre consapevole) di una classe e di tradurla in termini leggibili. Il questionario fa emergere le relazioni attrattive, repulsive (od anche di ignoramento) e ciò sollecita ad esprimersi in termini di scelta nei confronti di ciascun membro.

Nel caso specifico lo strumento è stato adattato alle necessità del progetto contemplando sia scelte di accettazione e sia di rifiuto. Gli alunni hanno espresso 3 preferenze di rifiuto e di scelta riguardo a due situazioni-stimolo: “Quali sono i tre compagni per i quali provo maggiore amicizia” – “Quali sono i tre compagni per i quali provo minore amicizia”. Anche se la forma strutturata del questionario ne facilita certamente la compilazione, è utile richiamare l'attenzione sulla necessità di rispettare il numero delle scelte previste per ogni situazione-stimolo. La durata di compilazione è oscillata tra 20 e 30 minuti. Dopo la raccolta delle risposte, i risultati sono stati collocati all’interno di una sociomatrice, codificando con +1 le scelte positive e con –1 le scelte negative (si veda la fig. 3).

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Figura 3: Sociomatrice riferita ad una terza classe di primo ciclo formata da 17 alunni

Alunni 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 171         -1   -1     +1     +1 +1   -1  2     +1         +1         -1 +1   -1  3   +1         +1 +1   -1     -1        4         +1       +1 -1 +1   -1 -1      5           +1     -1   +1   -1       +16                 -1 -1   +1 -1     +1 +17 -1 +1 +1     -1   +1   -1     -1        8   +1 +1             -1     -1 -1      9       +1 +1   -1 -1   -1 +1            10   +1 +1       -1 -1         -1 +1      11       +1 +1 +1 -1 -1 +1 -1              12                 -1 -1     -1     +1 +113       -1     +1     -1       +1   -1  14   +1 +1         +1   -1     -1   -1     15 -1 +1 +1 -1     -1 +1                  16                                  +117           +1     -1 -1   +1 -1      

Totale +

0 6 6 2 3 3 2 5 2 1 3 2 1 4 0 3 4

Totale - 2 0 0 2 1 1 5 3 3 11 0 0 11 2 1 3 0

Risorsa 6 – Differenziale semantico

Il differenziale semantico è uno strumento ideato da Osgood per lo studio della componente affettiva degli atteggiamenti (Osgood e Suci, 1957). Lo strumento ha proposto 16 coppie di aggettivi bipolari (ad esempio: “Insicuro versus Fiducioso; “Non a suo agio” versus “Molto a suo agio”; “Teso” versus “Disteso”). I docenti hanno risposto collocando su una scala da 1 a 10 il valore più vicino al modo attuale di percepirsi. Il questionario è stato somministrato collettivamente, prima e dopo il periodo d’applicazione.

Risorsa 7 – Intervista di valutazione dell’attività didattica

Si tratta di un’intervista semi-strutturata che permette ai docenti di ricostruire l’esperienza d’applicazione. L’analisi dei resoconti è stata, poi, utilizzata per derivarne implicazioni operative. Scopo dell’intervista è stato quello di isolare sia i fattori applicativi di successo sia gli impedimenti critici.

L’intervista è stata preceduta da una fase preparatoria: all’inizio dell’incontro è stata concordata un’agenda degli interventi; solo in seguito sono stati raccolti i resoconti. Questi sono stati solleticati da due frasi stimolo. La prima frase è stata: «descrivete le attività»; la seconda: «parlate delle vostre scoperte, cioè cosa avete notato, quali aggiustamenti avete inserito, quali reazioni hanno avuto gli alunni». La valutazione dell’attività didattica è stata articolata in due momenti:

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a. estrazione delle informazioni a partire dai resoconti, con lo scopo di isolare le implicazioni operative;

b. comunicazione degli elementi che hanno contribuito alla buona riuscita delle attività con lo scopo di generare una credenza condivisa sui fattori di successo.

3.3. Lo schema risorse/risultati

Un progetto per l’innovazione didattica può essere visto come un’opportunità nella quale si progettano risorse conoscitive ai docenti. Tali risorse fanno riferimento alla conoscenza di attività didattiche, alla loro applicazione e all’analisi dei risultati ottenuti. Questi ultimi sono i prodotti delle risorse, cioè gli stati finali raggiunti per effetto dei processi trasformativi messi in atto mediante azioni di progettazione e verifica, e realizzati per mezzo di specifici strumenti e metodi.

Figura 4: Lo schema risorse/risultati utilizzato nel progetto

La figura 4 mostra il quadro concettuale elaborato nell’ambito del progetto. Appare con molta evidenza come questo sia un organizzatore logico, cioè con esso si possono assegnare collocazioni funzionali a tipologie specifiche di risorse e risultati. C’è da dire comunque che le risorse sono sempre contingenti, ossia possono cambiare in rapporto agli obiettivi del progetto, alle problematiche che lo hanno mosso, all’opzione didattica proposta. Pertanto quelle indicate nello schema non hanno carattere prescrittivo.

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Ris

orse

di P

roge

ttaz

ione

Funzionedocente

Ris

ulta

ti di

Pro

gett

azio

ne Risultati di V

erificaR

isorse di Verifica

Modellioperativi

Guida per laprogettazione

didattica

Vignette stimolo

Piano di osservazione

Questionario sociometrico

Differenzialesemantico

Intervista di valutazione

Attività didattiche

Percezione disé nella classe

Indice di coesione

Rappresentazioni condivise

Modelli di significato

Ris

orse

di P

roge

ttaz

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Funzionedocente

Ris

ulta

ti di

Pro

gett

azio

ne Risultati di V

erificaR

isorse di Verifica

Modellioperativi

Guida per laprogettazione

didattica

Vignette stimolo

Piano di osservazione

Questionario sociometrico

Differenzialesemantico

Intervista di valutazione

Attività didattiche

Percezione disé nella classe

Indice di coesione

Rappresentazioni condivise

Modelli di significato

L’ipotesi sottostante al quadro concettuale può essere restituita in questi termini: la relazione risorse/risultati può contribuire allo sviluppo della funzione docente, intesa come competenza di analisi e di applicazione di “sapere pratico” all’ambito didattico.

4. Struttura e realizzazione del progetto

Dopo aver preso in esame il metodo d’insegnamento e le scelte metodologiche sottostanti al progetto, in quest’ultimo paragrafo si illustreranno i dettagli realizzativi del lavoro. Il progetto ha coinvolto 24 insegnanti suddivisi in: 1 di scuola dell’infanzia, 20 di scuola elementare e 3 di scuola media. Le classi coinvolte nel progetto sono state 23, suddivise così: 1 di scuola dell’infanzia, 18 di scuola elementare, 4 di scuola media. Il numero totale di alunni è stato di 476, mentre la media di alunni per classe è stata pari a 21,6.

Il lavoro è stato articolato in sei moduli. L’allegato 1 mostra in dettaglio gli elementi che costituiscono ciascun modulo. Per modulo s’intende un aggregato logico d’obiettivi, attività, strumenti e quantità di tempo impiegato per la sua realizzazione. I moduli possiedono funzioni differenti. Ad esempio uno dei moduli assiste i docenti nella progettazione delle attività didattiche. Gli elementi che lo compongono si differenziano rispetto alle parti di un altro modulo il cui scopo è la verifica delle attività didattiche.

Le prime azioni progettuali sono state attuate in autunno, mentre l’ultimazione è stata fissata in coincidenza con il periodo di inizio delle lezioni dell’anno successivo. Durante l’attuazione dei moduli i 24 insegnanti sono stati suddivisi in tre sottogruppi. Questa riduzione ha permesso un intervento maggiormente sensibile alle necessità didattiche espresse dai docenti. All’interno del Modulo I il team di consulenza ha redatto gli strumenti per assistere i docenti nella progettazione e conduzione delle attività didattiche in classe. Con il Modulo II si è voluto presentare l’Apprendimento Cooperativo sia da un punto di vista teorico, sia su un piano applicativo. In particolare sono stati affrontati i temi della formazione dei gruppi, dell’interdipendenza positiva e della valorizzazione delle diversità intellettive. Il Modulo III e IV è stato interamente dedicato alla progettazione e all’applicazione delle attività didattiche. L’approccio utilizzato durante la progettazione è stato il seguente: dai contenuti selezionati, consulente ed insegnanti hanno disegnato attività di piccolo gruppo cooperativo. In fase di applicazione i docenti hanno operato in autonomia seguendo i piani didattici sviluppati precedentemente. Non è stata offerta in questa fase nessuna forma di supporto specifico. Il Modulo V è stato dedicato alla verifica. La verifica è stata basata sui dati estratti dalle prove psicosociali somministrate prima e dopo il periodo di applicazione; e sul racconto fatto dai docenti sull’esperienza di applicazione in classe.

L’ultimo modulo è stato dedicato alla presentazione dei risultati. A tal proposito un gruppo formato da un consulente, dal dirigente scolastico, dal responsabile P.I.A. e da 3 insegnanti, ha discusso la modalità più opportuna per la comunicazione dei risultati del progetto. Due sono apparse le scelte più appropriate: una pubblicazione presso un editore locale o nazionale7; l’organizzazione di una giornata evento rivolta ai docenti degli istituti scolastici

1 Le idee espresse in questo articolo non sono rappresentative delle istituzioni alle quali è affiliato temporaneamente l’autore. Naturalmente la responsabilità dei contenuti e delle proposte discusse in questa sede è dell’autore.

2 L’espressione “modelli applicativi” è associata a un significato funzionale piuttosto preciso. Per modelli applicativi s’intendono specifici filoni applicativi caratterizzati da almeno tre elementi: un insieme di principi che ne spiegano l’efficacia, una serie di tecniche, e uno schema di pianificazione per la progettazione didattica.

3 Si veda per maggiori dettagli: Iaccarino C. e Gentile M. (2002). La ricerca-intervento nella scuola a supporto dell'agire didattico. Psicologia Scolastica, 1(1), p.81-92

4 Si veda per maggiori dettagli il paragrafo 3.5 L’illustrazione e la discussione dei dati della verifica sarà oggetto di un articolo successivo.6 Lo strumento è stato implementato all’interno del progetto FA.S.S. Per maggiori dettagli si rimanda il

lettore a: Gentile M. e Salvatore S. (2001). Modelli culturali di rappresentazione del servizio scolastico espressi da docenti e famiglie. Primi dati del Progetto FA.S.S. Veneto. ISRE 8(3), 9-28.

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dell’area territoriale. In entrambe i casi si è deciso di esaminare i risultati del progetto in termini di: attività didattiche prodotte, dati ottenuti dagli alunni, prospettive di sviluppo.

Rilievi conclusivi

In un contributo apparso di recente su una rivista italiana si afferma che:

«[…] elemento qualificante della professionalità di un insegnante non è il possesso di un ricco patrimonio di conoscenze disciplinari, di tecniche o di strategie d’insegnamento, ma la capacità di “imparare sempre” attraverso la riflessione costante sulla pratica svolta, e che i confini entro i quali si esprime questa professionalità siano molto più sfumati o indefiniti rispetto ad alti apparentemente distanti.» (Comoglio, 2003, p. 27).

La prospettiva evocata dall’autore è certamente condivisibile, a condizione che sussista, ad esempio, una rete consistente di agenzie indipendenti o pubbliche capaci di svolgere un’opera di diffusione sistematica di conoscenze fondate sulle evidenze prodotte dalla ricerca psicopedagogica, per mezzo delle quali fornire modelli operativi per la conduzione della didattica in classe. Se questa condizione fosse presente, chi scrive non può che concordare con la visione dell’autore citato. In una situazione di abbondanza informativa uno dei principali settori di lavoro può, plausibilmente, consistere con lo sviluppo di una meta-competenza riflessiva. Si supponga che tale condizione si verifichi e che siano presenti servizi di supervisione e sviluppo, capaci di fornire supporti qualificati allo sviluppo di un approccio analitico e riflessivo all’attività d’insegnamento. Anche in presenza di tali risorse, si ipotizza che un’elaborazione di conoscenze di “secondo ordine”, non sia del tutto sufficiente per avviare programmi d’innovazione didattica. Tali servizi, non possono, comunque, evitare di cimentarsi con il compito di promuovere l’assimilazione di soluzioni operative. La natura di tali soluzioni non può che essere procedurale. In ragione di ciò esse danno vita a un sistema di conoscenze di “primo livello”. Sta quindi ai fornitori del servizio decidere per quali livelli conoscitivi organizzare sia gli obiettivi sia gli aspetti realizzativi di un progetto: se, ad esempio, includerli entrambi, o preferire il lavoro sul primo ordine per accedere al secondo, e viceversa.

Al di là degli scenari tracciati, l’impressione che emerge, stando a contatto con gli istituti scolastici, è che i docenti abbiano una frequente difficoltà ad accedere ad informazioni di “primo livello”. Si considerino, solo a titolo esemplificativo, i seguenti settori d’indagine: strategie, metodi e tecniche d’insegnamento; modelli di attività didattiche; procedure di progettazione; strumenti e principi di valutazione del profitto scolastico; scelta delle opzioni didattiche più pertinenti per promuovere apprendimento; principi e modelli per un’istruzione differenziata; processi cognitivi e motivazionali che caratterizzano l’esperienza di apprendimento scolastico. Ognuno di questi implica la definizione di una fitta agenda di conoscenze specifiche. Pertanto sembra degna di ulteriori approfondimenti la seguente questione: con quali modalità favorire l’assimilazione sistematica di un “sapere pratico”, organizzato attorno a procedure, che a loro volta sono informate da evidenze mutuate sia dalla prassi sia dalla ricerca formale.

Il progetto discusso in quest’articolo riflette il tentativo di produrre condizioni facilitanti per l’elaborazione di “sapere pratico”. Esso ha coinvolto i docenti in operazioni di comprensione, progettazione e applicazione in classe d’attività didattiche. Tali operazioni rendono concreta l’idea di sviluppo della funzione docente come processo di arricchimento continuo di conoscenze e abilità. In quest’accezione, il concetto è sinonimo di crescita di conoscenze professionali. Oltre a cio, la linea di ragionamento seguita, ha individuato nella didattica un’area mediante la quale creare opportunità di crescita culturale e cognitiva degli

7 Si rimanda il lettore al seguente volume: Gentile, M. e Petracca, C. (2003). Apprendimento Cooperativo. Spunti per l’innovazione didattica. Torino: Paravia Bruno Mondadori.

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allievi. In breve, l’individuazione di una metodologia comune d’insegnamento/apprendimento può permettere ai docenti di definire e lavorare all’interno di un settore che può incidere sulla qualità finale dell’offerta formativa. La didattica può assumere un ruolo notevole nella produzione del servizio scolastico.

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ALLEGATO 1: Presentazione descrittiva dei moduli di lavoro

Modulo Obiettivi Attività Strumenti TempiI. Produzione

dei modelli operativi

Fornire materiali concettuali e operativi a supporto della comprensione e dell’applicazione dell’innovazione.

Il team di consulenza ha redatto gli strumenti per assistere i docenti nella progettazione e conduzione delle attività didattiche in classe.

Modelli di attività didattica.

Scheda per la progettazione dell’attività didattica.

Saggi brevi di natura concettuale e operativa.

28 ore

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II. Training Sperimentare e comprendere attività didattiche basate su cooperazione, saperi scolastici, processi cognitivi.

Sono state illustrate e sperimentate attività e tecniche per la formazione di piccoli gruppi di apprendimento.È stata proposta una rassegna concettuale sulle nozioni di interdipendenza e di intelligenze multiple applicate alla scuola materna, elementare e media.Sono state sperimentate attività di interdipendenza applicati a compiti curricolari.

Schede di lavoro riferite ad attività di piccolo gruppo cooperativo.

Saggi brevi di natura concettuale.

3 incontri di 4 ore

III.

Progettazione

Pianificare attività didattiche da applicare in classe lungo 4 settimane.

Gli insegnanti sono stati suddivisi in sottogruppi (per team, modulo o ciclo) e ciascun gruppo ha definito il contenuto e gli obiettivi sui quali voleva lavorare.Gli insegnanti di ciascun gruppo, con la guida di un consulente, hanno sviluppato o adattato attività didattiche a contenuti disciplinari.

Schede per l’elaborazione delle attività didattiche.

2 incontri di 4 ore con ciascun sottogruppo.

IV. Applicazione Applicare in classe le attività didattiche.

Gli insegnanti hanno applicato in classe le attività didattiche.

Le attività didattiche e i piani di lavoro sviluppati all’interno del Modulo 2.

Da un minimo di 4 ore a un massimo 16 ore di lavoro in classe.

V. Verifica Verificare i cambiamenti prodotti negli insegnanti e negli alunni. Con riferimento agli alunni l’obiettivo è stato valutare i risultati delle attività didattiche in termini psicosociali. Riguardo ai docenti, lo scopo è stato verificare i cambiamenti nella percezione di sé rispetto alla classe.

Gli insegnanti hanno somministrato test e prove psicosociali prima e dopo la fase di applicazione.

Gli insegnanti hanno risposto ad un questionario sulla percezione di sé nei confronti della classe.

Il team di consulenza ha elaborato e analizzato i dati.

Il consulente ha raccolto i resoconti degli insegnanti relativi alla somministrazione

Prove psicosociali. Intervista di

valutazione dell’attività didattica.

1 incontro di 4 ore con ciascun sottogruppo. 1 incontro di 4 ore con tutti i sottogruppi.

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delle attività didattiche.

Il team di consulenza ha analizzato i dati.

VI. Divulgazione dei risultati8

Redigere un rapporto tecnico nel quale si riportano descrizioni dettagliate sul progetto.

Organizzare una giornata/evento per la presentazione dei risultati.

Il team di consulenza ha redatto il rapporto. di ricerca articolato nei seguenti punti: la struttura del progetto, lo strumento didattico, la metodologia, i risultati.

Un consulente, i docenti, un dirigente scolastico e il consulente del Piano Integrato di Area, hanno organizzato una giornata per la diffusione dei risultati del progetto.

209 ore totalidi cui 10 per la preparazione e rilascio della giornata/ evento, e 209 per le elaborazioni statistiche e la redazione del manuale.

AutoreDr. Maurizio Gentile, Dottore di Ricerca in psicologia e consulente scolastico. Docente presso la SSIS, Università del Lazio e la Facoltà di Scienze della Comunicazione Sociale, Università Salesiana di Roma.Via Colli della Serpentara 76/E 00139 RomaE-mail [email protected] Riassunto

L’articolo presenta un progetto d’innovazione didattica svolto durante l’anno scolastico 2001-2002, presso la rete di scuola della Bassa Val d’Elsa, Firenze. Il progetto implementa un approccio basato sui seguenti criteri: 1. produrre crescita professionale mediante scelte operative che possano favorirla; 2. interpretare i progetti d’innovazione didattica come mezzi per favorire l’accesso a risorse conoscitive; 3. verificare i risultati del progetto sia sugli alunni sia sui docenti mediante l’applicazione di una serie di strumenti valutativi. L’articolo discute la struttura e il processo realizzativo; l’impostazione metodologica; e lo strumento didattico introdotto negli istituti scolastici partecipanti al progetto.

AbstractA research-based intervention was conducted during 2001-2002, for a school network sited

in Bassa Val d’Elsa, Florence. The project implemented an approach based on the following guideline: 1. Operating for teacher professional growth through a series of practical options, which may promote it; 2. Promoting the comprehension of a teaching method, providing specified professional resources; 3. Observing effects of intervention both on student and teacher through a package of evaluation instruments. The article discusses the structure and process of the project, the theoretical approach and the proposed teaching method to school network.

8 È utile fornire una precisazione rispetto al modulo 6. Delle 219 ore impiegate, 28 sono state finanziate dal P.I.A., mentre il resto è stato finanziato dal gruppo di ricerca. Il numero di ore totali va inteso quindi come esito sia di una decisione progettuale concordata, sia come conseguenza di una decisione autonoma di realizzare un’operazione percepita rilevante da un punto di vista metodologico.

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RingraziamentiL’autore sente il dover ringraziare quanti hanno contribuito a realizzare il progetto e la stesura dell’articolo.

Entrambi sono i frutti di un impegno collettivo. Prime fra tutti la prof.ssa Margherita Carloni, dirigente pro-tempore dell’Istituto Comprensivo di Montespertoli (Firenze), e la dott.sa Antonella Brighi, consulente per il Piano Integrato d’Area. La loro opera di reperimento e gestione amministrativa dei fondi, e d’investimento progettuale, hanno consentito di dare al progetto una stabile cornice organizzativa. Un grazie agli insegnanti sperimentatori e ai loro alunni, veri attuatori finali del progetto. Il loro contributo ha reso possibile l’opera d’innovazione didattica, e la sua integrazione con le costrizioni, i limiti e le opportunità dell’attuale scuola italiana. Si ringrazia in ultimo il direttore della rivista e i due valutatori anonimi per le critiche e i suggerimenti forniti alla prima e alla seconda bozza dell’articolo.

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