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Dipartimento di Ingegneria
Corso di Laurea Magistrale in
INGEGNERIA CIVILE PER LA PROTEZIONE DAI RISCHI NATURALI
Relazione di fine tirocinio (a.a 2016-2017)
Validazione di un modello numerico basato sulla mild slope equation,
implementato mediante il software FIDELL
Tutor: Tirocinante:
Prof. Giorgio Bellotti Verdiana Iorio
Matricola
503714
Validazione di un modello numerico basato sulla mild slope equation, implementato mediante il software FIDELL
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Indice
SOMMARIO ................................................................................................... 2
1. INTRODUZIONE ......................................................................................... 3
1.1 Tsunami: origine, propagazione ed effetti ..................................................... 3
1.2 Rassegna dei modelli sviluppati per lo studio degli tsunami ......................... 3
2. MODELLO NUMERICO ................................................................................ 6
2.1 Mild slope equation ....................................................................................... 6
2.2 Il software FIDELL ........................................................................................... 7
3. MODELLO FISICO ....................................................................................... 9
4. VALIDAZIONE .......................................................................................... 12
4.1 Confronto per la profondità di immersione d=61 mm ................................ 14
4.2 Confronto per la profondità di immersione d=120 mm .............................. 16
4.3 Confronto per la profondità di immersione d=189 mm .............................. 17
5. CONCLUSIONI .......................................................................................... 18
BIBLIOGRAFIA ............................................................................................. 19
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SOMMARIO
L'attendibilità di un modello può essere valutata attraverso il confronto tra dati sperimentali e
risultati delle simulazioni numeriche. Nei seguenti capitoli si procede con la validazione di un
modello numerico basato sulla mild slope equation (MSE), un'equazione integrata sulla verticale in
grado di rappresentare la dispersione in frequenza delle onde di piccola ampiezza su fondali
debolmente inclinati. La MSE quindi si adatta bene a simulare la propagazione delle onde di
maremoto (tsunami) in acque profonde, poiché è stato dimostrato che queste, benché molto
lunghe, sono caratterizzate da un comportamento dispersivo. Nella presente relazione l'attenzione
è concentrata su gli tsunami generati da frane sottomarine.
Nel primo capitolo ci si sofferma su una descrizione generale delle onde di maremoto e su gli effetti
da esse prodotti. Inoltre viene fatto un breve excursus dei modelli sviluppati per lo studio degli
tsunami. Nel secondo capitolo viene introdotto il modello matematico, costituito dalla MSE
accompagnata dalle opportune condizioni al contorno. Segue la descrizione del codice di calcolo
FIDELL, applicato per la prima volta come solutore della MSE nel campo delle frequenze. Nel terzo
capitolo viene presentato l'esperimento condotto da Enet e Grilli (2007) all'interno di una vasca nel
Ocean Engineering Department della University of Rhode Island. Il modello fisico riproduce la
generazione di uno tsunami a seguito del verificarsi di una frana sottomarina. In particolare la frana
viene modellata da un corpo rigido che si muove su una guida lungo un piano inclinato per effetto
della gravità. Nel quarto capitolo si confronta l'elevazione della superficie libera nel tempo misurata
da quattro sonde di livello con l'andamento ottenuto dal modello numerico nei corrispondenti
punti. Infine nel capitolo cinque seguono le conclusioni.
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1. INTRODUZIONE
1.1 Tsunami: origine, propagazione ed effetti
I maremoti sono delle onde lunghe generate da improvvisi spostamenti del fondale o della
superficie libera, generalmente causati da terremoti, eruzioni vulcaniche e frane. Queste onde
possono svilupparsi negli oceani, nelle baie, nei fiumi e anche nei bacini idrici. Nella comunità
scientifica solitamente vengono indicati con il termine giapponese tsunami. In particolare la parola
tsu significa porto, mentre nami vuol dire onda ed è correlata al fenomeno della risonanza che si
verifica quando queste onde entrano all'interno dei porti. L'energia trasferita dall'evento impulsivo
iniziale consente agli tsunami di percorrere distanze molto elevate, andando a colpire zone distanti
migliaia di chilometri dall'area di generazione. In acque profonde essi presentano lunghezze d'onda
nell'ordine di centinaia di metri, celerità che si aggirano intorno ai 600 − 800 chilometri all'ora e
altezze d'onda di pochi centimetri. Proprio questa configurazione rende particolarmente
complicato riconoscerli in mare aperto. In prossimità della costa la celerità si riduce e l'altezza
d'onda aumenta notevolmente, superando anche i 20 � . Gli tsunami possono provocare
allagamenti nei centri abitati costieri con conseguenze devastanti sia dal punto di vista economico
che sociale. Ben noto è l'evento verificatosi il 26 Dicembre del 2004 quando uno dei più grandi
terremoti mai registrati colpì la costa settentrionale dell'Indonesia, generando un'onda di tsunami
che attraversò l'Oceano Indiano causando centinaia di migliaia di vittime. Neanche il Mediterraneo
è immune da questo rischio, come dimostra il maremoto avvenuto il 20 Dicembre 1908 a Messina,
che portò alla morte di 120,000 persone. Un altro esempio che dimostra quanto sia importante
studiare questi fenomeni per cercare di mitigarne gli effetti è lo tsunami verificatosi in Giappone
l'11 Marzo 2011. In questo caso l'onda non solo provocò decine di migliaia di vittime ma rese
inutilizzabile il sistema di raffreddamento della centrale nucleare di Fukushima Daiichi. Come
risultato si verificarono delle esplosioni all'interno di alcuni reattori, con conseguente
contaminazione delle aree circostanti. Appare chiara quindi la necessità di sviluppare modelli
numerici in grado di simulare questi scenari e di garantire sistemi di preannuncio che consentano di
mettere in sicurezza per tempo attività economiche e vite umane.
1.2 Rassegna dei modelli sviluppati per lo studio degli tsunami
Gli tsunami hanno lunghezze d'onda molto elevate e per questo in passato venivano utilizzati
modelli basati sulle nonlinear shallow water equations (NLSWE). Alcuni studi dimostrarono inoltre
che nelle zone in cui è possibile considerare l'ampiezza molto piccola rispetto alla profondità, la
propagazione delle onde è ben descritta dalle teorie shallow water in campo lineare. Nel corso
degli anni tuttavia è stato accertato che nonostante gli tsunami nascano come onde solitarie, in
acque profonde si propagano evolvendo in un treno d'onda per effetto della dispersione in
frequenza. In particolare Kulikov et al. (2005) attraverso le registrazioni da satellite dello tsunami
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verificatosi nell'Oceano Indiano il 26 dicembre 2004, sono riusciti a dimostrare che le onde
generate da tale terremoto erano fortemente dispersive in frequenza. Quando gli tsunami si
propagano in vaste aree oceaniche mantengono un'altezza che è molto più piccola rispetto al
tirante idrico (si parla di altezze di qualche centimetro contro profondità di centinaia di metri). Per
di più anche la ripidità è molto bassa, mentre la lunghezza d'onda è nell'ordine di centinaia di
chilometri. In queste circostanze la non linearità assume un ruolo marginale se paragonata alla
dispersione in frequenza. Appare quindi chiara l'inadeguatezza dei modelli shallow water. Infatti se
da un lato le NLSWE riescono a ricalcare gli effetti della non linearità, dall'altro trascurano
completamente la dispersione in frequenza. Tadepalli & Synolakis (1996) hanno scoperto altri
aspetti legati alla propagazione degli tsunami, prevedibili considerando equazioni che tengano in
conto la dispersione in frequenza. In altre parole essi proposero un modello in cui lo tsunami è
caratterizzato da una forma N wave con cavo che precede la cresta, aspetto rilevato nei loro studi.
Tale modello consiste nelle equazioni di Korteweg-de Vries (che tengono in conto gli effetti della
non linearità e della dispersione) applicate nel campo lontano e delle LSWE utilizzate in prossimità
della costa. Nel passato più recente le Boussinesq-type equations (BTE) (Peregrine, 1967; Madsen et
al, 1991; Wei & Kirby, 1995; Nwogu, 1993) sono diventate il modello più utilizzato per lo studio
della propagazione degli tsunami. Ciò è dovuto al fatto che attraverso queste equazioni è possibile
tenere in conto sia gli effetti della non linearità che quelli legati a una debole dispersione in
frequenza, riuscendo perciò a simulare la propagazione in zone in prossimità della costa piuttosto
che in acque profonde. Sono state sviluppate diverse versioni delle BTE . La complessità delle
equazioni cresce di pari passo con la capacità di riprodurre gli effetti di non linearità e dispersione.
Grilli et al. (2005) si occuparono degli tsunami generati da frane aeree e sottomarine, svolgendo
esperimenti e simulazioni numeriche. Essi dimostrarono come la dispersione in frequenza assuma
un'importanza ancora maggiore in queste situazioni, poiché il movimento di una frana in acque
profonde genera onde corte rispetto alla profondità. Lynett & Liu (2002) proposero un modello
matematico in grado di descrivere lo sviluppo e la propagazione delle onde generate da frane
sottomarine. Tale modello, costituito dalle equazioni di continuità e della conservazione della
quantità di moto integrate sulla verticale, tiene conto degli effetti della non linearità e in misura
minore della dispersione in frequenza. Lynett & Liu misero in evidenza anche la differenza tra
tsunami generati da frane sottomarine e da terremoti sottomarini. Innanzitutto un evento di frana
si protrae più a lungo nel tempo, non è una forza impulsiva, ma al contrario influenza le
caratteristiche delle
onde generate. In secondo luogo le lunghezze d'onda di questi tsunami sono più piccole, ciò vuol
dire che l'effetto della dispersione è maggiore e riguarda anche l'area di generazione. Gli studiosi
inoltre misero a punto una nuova versione delle BTE, sviluppata a partire da una condizione sul
fondo che tiene conto della deformazione del terreno causata dalla frana.
Le equazioni inglobano gli effetti derivanti dalla deformazione del terreno e perciò riproducono in
maniera efficace l'effetto della dispersione in frequenza. Sammarco & Renzi (2008) derivarono un
modello analitico bidimensionale basato sulle LSWE atto a riprodurre le caratteristiche degli
tsunami generati da frane lungo coste rettilinee. Dopo un breve transitorio che si verifica a seguito
dell'evento di frana, il moto sembra essere intrappolato alla battigia. In seguito risultano essere
presenti solo onde di bordo che viaggiano lungo riva.
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Vengono a formarsi dei treni d'onda con in testa le onde lunghe, più veloci, seguite da una coda di
onde corte. Lo stesso non accade nelle coste inclinate: in questo caso le onde lunghe non si trovano
in capo al treno d'onda, ma sono spostate verso la metà.
Come verrà spiegato nel prossimo capitolo la MSE è un'equazione integrata sulla verticale, che,
corredata dalle opportune condizioni al contorno, consente di studiare la propagazione delle onde
di piccola su fondali debolmente inclinati. Proposta per la prima volta da Berkhoff (1972) per onde
puramente armoniche, venne modificata nel corso degli anni per ampliarne l'utilizzo alle onde
periodiche e poi casuali.
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2. MODELLO NUMERICO
2.1 Mild slope equation
L'MSE fu sviluppata da Berkhoff (1972) come un' equazione di natura ellittica volta alla
determinazione del campo d'onda stazionario generato da onde puramente armoniche; in seguito
Copeland (1985) ne diede una versione iperbolica, dipendente dal tempo, valida per ricavare il
campo d'onda stazionario indotto da onde periodiche (come anche Madsen e Larsen 1987). Allo
stesso risultato giunsero Smith e Sprinks (1975) e Radder e Dingemans (1985).
Come già detto in precedenza la MSE consente di riprodurre il comportamento dispersivo delle
onde di piccola ampiezza. Tale peculiarità consente di poter utilizzare l'equazione per simulare la
propagazione degli tsunami nel campo lontano, ossia in acque profonde ( ≪ ℎ), dove gli effetti
della non linearità possono essere trascurati se paragonati alla dispersione in frequenza. La MSE nel
dominio del tempo è un'equazione iperbolica espressa in termini di potenziale di velocità (2.1.1) o
di elevazione della superficie libera (2.1.2):
��� − ∇� ∙ ����∇��� + ��� − ������� = 0 (2.1.1)
−��� − ∇� ∙ ����∇��� + ��� − ������� = 0 (2.1.2)
dove
• ���, �, ) è il potenziale della velocità alla superficie libera;
• ���, �, ) è l'elevazione della superficie libera;
• � è la celerità di fase;
• �� è la celerità di gruppo;
• � è la pulsazione;
• � è il numero d'onda;
Nel caso in cui l'onda venga generata da un dislocamento del fondo, la (2.1.2) deve inglobare un
termine forzante che ne modelli gli effetti. Il termine sorgente viene derivato integrando lungo la
verticale l'equazione di Laplace, così come fatto per la (2.1.2), con la differenza che in questo caso il
tirante idrico ℎ��, �, ) varia del tempo. In particolare ℎ��, �, ) viene valutato come la differenza
tra la profondità del fondo ℎ!��, �) e lo spessore della frana ℎ"��, �, ) (Cecioni e Bellotti, 2010).
In definitiva si ottiene:
−��� − ∇� ∙ ����∇��� + ��� − ������� = − 1�#$ℎ ��ℎ!) ℎ�� (2.1.3)
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Kubo et al. (1992) e Kirby et al. (1992) studiarono l'applicabilità della versione iperbolica dell' MSE
alle onde casuali. I loro lavori dimostrarono che l'MSE è in grado di simulare solo i campi d'onda
caratterizzati da uno spettro in frequenza a bande molto strette. Questo perché alcuni coefficienti
presenti nell' equazione devono essere calcolati considerando ogni componente in frequenza
dell'onda.
Poiché gli tsunami generalmente esibiscono spettri a banda larga viene adottato un approccio
spettrale, caratterizzato dalla ricerca della soluzione nel dominio delle frequenze. Applicando la
trasformata di Fourier all'equazione (1.1.3) si ottiene:
∇� ∙ ����∇�%� + �����% = − 1cosh��ℎ!� ** �ℎ��) (2.1.4)
dove
• %��, �, �) è la trasformata di Fourier di ���, �, );
• ** �ℎ��) è la trasformata di Fourier del termine sorgente.
In questo modo il problema viene superato e la soluzione trovata risolvendo tante MSE ellittiche
quante sono le frequenze di interesse.
L'elevazione della superficie libera nel tempo si ottiene infine applicando l'antitrasformata di
Fourier.
Il modello matematico viene completato con le opportune condizioni al contorno. Queste possono
essere: condizioni di completa riflessione in corrispondenza dei confini solidi (fully reflective
condition); condizioni che consentono alle onde di uscire liberamente dal dominio (radiation
condition); condizioni che ricalcano i meccanismi di generazione degli tsunami (wave-maker
condition). In realtà i fenomeni di sviluppo delle onde possono essere modellati in due modi
differenti: se il meccanismo di generazione è vicino a un confine del dominio si può imporre la
wave-maker boundary condition, altrimenti si può introdurre un termine sorgente all'interno
dell'equazione di campo (come è stato fatto nell'equazione (2.1.3)).
2.2 Il software FIDELL
La MSE in versione ellittica viene risolta con l'ausilio di FIDELL (FInite Differences ELLiptic wave
equation solver), programma basato sul metodo delle differenze finite,
implementato dal Relatore della presente tesi. Il software presenta un'interfaccia utente (figura
2.1) che consente agevolmente di inserire i dati necessari allo svolgimento del calcolo (ordinati in
file .mat). In particolare per caricare il file contenente la griglia di calcolo basta premere il pulsante
Load Grid, mentre i parametri necessari alla soluzione delle equazioni nel campo delle frequenze
possono essere caricati dal pulsante Load FREDIMO par.
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Nel caso in cui il calcolo debba essere effettuato per una singola frequenza, questa può essere
aggiunta nella casella Wave frequency (Hz). E' necessario inoltre specificare il coefficiente di
riflessione all'interno della casella Refl. Coeff R, che ha come valore predefinito 0.6. Per lanciare il
programma è sufficiente premere il pulsante Run Model; nella casella di destra compariranno tutte
le frequenze per cui viene risolta l'MSE. Infine i risultati ottenuti verranno salvati in un file .mat , il
cui nome specifica la data e l'ora corrente.
Figura 2.1. Interfaccia utente del software Fidell con rappresentazione della batimetria per il caso in esame
Il procedimento di calcolo può essere suddiviso in diversi passi:
• Foglio di calcolo preparatorio (.m) : viene definita la griglia di batimetria, modellato il
termine sorgente dell' equazione (la frana), definiti i parametri necessari per risolvere l'MSE
nel dominio delle frequenze e applicata la trasformata di Fourier al termine sorgente.
I dati di input vengono salvati in due file, uno per la batimetria (test05batimetria.mat) e
uno per i restanti parametri fondamentali per la soluzione delle equazioni
(for_fidell_test05CB.mat).
• Programma FIDELL: riceve come input i file .mat generati dal foglio di calcolo precedente ,
risolve alle differenze finite le MSE ellittiche per le frequenze scelte e salva i risultati in un
file .mat nominato con data e ora corrente.
• Foglio di inversione (.m): riceve come input il file .mat generato al passo precedente,
sistema i dati per l'inversione e permette il passaggio dal dominio delle frequenze a quello
del tempo. I valori di elevazione della superficie libera in ogni punto per ogni istante
vengono forniti attraverso la matrice +,-� , �, �) e in seguito rappresentati con l'ausilio di
grafici.
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3. MODELLO FISICO
Il dati impiegati per la validazione del modello numerico sono stati misurati durante gli esperimenti
condotti da Enet e Grilli (2007). La finalità di queste prove era duplice: da una parte studiare gli
tsunami generati da frane sottomarine, dall'altra acquisire misure sufficienti a validare un modello
numerico tridimensionale.
Gli esperimenti sono stati svolti all'interno di una vasca lunga 30 �, larga 3.7 � e profonda 1.8 �,
situata all'interno del Ocean Engineering Department dell' Università di Rhode Island. L'apparato
sperimentale è costituito da un piano inclinato lungo 15 � e largo 3.7 �, posto a metà lunghezza
della vasca. L'angolo di inclinazione è 2 = 15°, la profondità nella vasca viene mantenuta costante
e pari ℎ4 = 1.5 � (figura 3.1). L' elevazione della superficie libera viene misurata attraverso
quattro sonde di livello. Lo spostamento s della frana lungo il piano inclinato è ricavato a partire dai
dati di accelerazione misurati con l'ausilio di un micro accelerometro posto nel centro di massa
della frana.
Figura 3.1. Sezione verticale del modello fisico. La frana ha la forma di una Gaussiana di lunghezza 5, larghezza 6 e
spessore ,; la posizione iniziale coincide �4
La frana ha la forma di una Gaussiana di lunghezza 5 = 0.395 �, larghezza 6 = 0.680 � e
spessore , = 0.082 �, modellata attraverso dei fogli di alluminio bullonati e incollati tra di loro. La
geometria viene inoltre determinata analiticamente per mezzo delle funzioni secanti iperboliche,
troncate con un apposito coefficiente e definite in un sistema di riferimento ortogonale solidale con
la frana �8, �) . Ne discende l'equazione:
9 = ,1 − : {sech��=8) sech��>�) − :} (3.1)
con : = 0.717 parametro di troncamento; @ = acosh BCDE ; �= = �F= ; �> = �F> .
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Il movimento del corpo lungo il piano inclinato avviene su una guida, con il supporto di cuscinetti di
acciaio inossidabile nel piano verticale e di teflon nel piano parallelo (figura 3.2). E' stato dimostrato
che l'attrito tra frana e piano inclinato è trascurabile, specie se paragonato alla resistenza
idrodinamica sviluppata durante gli esperimenti.
Figura 3.2. Sezione verticale dell'apparato sperimentale
Seguendo i dettami della meccanica classica il moto della frana è coincidente con quello del suo
centro di massa. Mediante un bilancio delle forze agenti (gravità, inerzia,galleggiamento, attrito di
Coulomb, attrito idrodinamico, forze di drag) e successiva integrazione viene ricavata la seguente
legge oraria:
$� ) = $4 ln I�#$ℎ I 4JJ
(3.2)
dove
$4 = KLMNO è la lunghezza caratteristica;
4 = KLNO è la durata del moto.
L'accelerazione iniziale della frana 4 vale:
4 = P$QR2 I1 − RS R2J I T − 1T + @UJ (3.3)
con @V = RS coefficiente d'attrito di Coulomb, T = WXWY densità relativa della frana (rapporto tra
densità della frana Z= e densità dell'acqua Z> ) e @U coefficiente di massa aggiunta.
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La velocità finale della frana [� si calcola come:
[� = \P]^5$QR2] I1 − RS R2J �T − 1)@_2�*� − :)* − :
(3.4)
con * = �F R`CaDCbD , ] profondità di immersione della frana e @_ coefficiente globale di drag.
La posizione iniziale del corpo è �4 = _�NVc + defVc , in accordo con il sistema di riferimento mostrato
in Figura 3.1. L'esperimento viene svolto considerando tre differenti profondità di immersione
della frana: ] = 61 ��, ] = 120 ��, e ] = 189 ��. Nella tabella 1 sono elencati i valori assunti
dai parametri al variare della profondità ].
L'andamento dell'elevazione della superficie libera � nel tempo è ottenuto attraverso le misurazioni
effettuate da quattro sonde di livello. La Sonda 1 si trova sopra la frana in corrispondenza del punto
di minima immersione � = �4 = _�NVc + defVc , � = 0 ; le altre sonde si trovano nei punti
����), ����)� =Sonda2 (1.469,350); Sonda3 (1.929,0); Sonda4 (1.929,500).
Tabella 1. Parametri legati alla profondità di immersione della frana d
d (mm) 61 120 189
x₀ (m) 0.5445 0.7647 1.02
a₀ (m/s2) 1.12 1.17 1.21
ut (m/s) 1.70 2.03 1.97
t₀ (s) 1.52 1.735 1.63
Cm 0.61 0.685 0.582
Cd 0.473 0.332 0.353
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4. VALIDAZIONE
Il modello fisico descritto nel capitolo precedente viene riprodotto analiticamente con uno script
del codice di calcolo MATLAB.
Il dominio viene discretizzato attraverso maglie quadre di dimensione ]� = ]� = 0.01 �. Per
quanto riguarda lo sviluppo temporale si è scelto un ] = 0.01 $. La simulazione ha una durata
temporale di 20 $. Al fine di alleggerire i costi computazionali la griglia di calcolo viene limitata a 2.5 � lungo l'asse x e 1 � lungo l'asse y.
Figura 4.1. Rappresentazione del dominio di calcolo e della batimetria implementati nello script di MATLAB
Le condizioni al contorno prescritte sono le seguenti (figura 4.1):
• al contorno inferiore e superiore si impone una condizione di completa riflessione (in
modo da riprodurre un canale artificiale);
• al confine destro si impone una radiation condition, ovvero onde libere di uscire dal
dominio.
Il contorno sinistro invece è naturalmente un confine riflettente perché il tirante idrico si annulla.
Il termine sorgente viene modellato combinando le equazioni (3.1) e (3.2).
Nelle figure 4.2 e 4.3 è rappresentata la frana nella posizione iniziale (all'istante = 0 $ ) e nella
posizione finale (all'istante = 19.99 $).
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Figura 4.2. Posizione iniziale della frana ( = 0 $)
Figura 4.3. Posizione finale della frana ( = 19.99 $)
La simulazione viene svolta per le tre profondità di immersione ] = 61 ��, ] = 120 ��, e ] =189 ��. Gli andamenti della superficie libera nel tempo nei quattro punti rappresentanti le sonde
di livello sono estratti da un secondo script di MATLAB.
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4.1 Confronto per la profondità di immersione d=61 mm
In questo caso la frana parte dalla posizione �4 = 0.5445 � e ha uno spostamento finale $ = 1.11 �. Le frequenze prese in considerazione per la soluzione dell' MSE in versione ellittica
sono quelle comprese nell'intervallo 0 ≤ * ≤ 4 ij (figura 4.4).
Figura 4.4. Spettro di energia associato al termine sorgente. In rosso è evidenziata la massima frequenza per cui viene
risolta l'MSE (f=4 ij)
Nella figura 4.5 è mostrato il confronto tra l'elevazione della superficie libera calcolata dal modello
numerico e le misurazioni effettuate dalle sonde di livello nei test di Enet e Grilli.
Figura 4.5. Confronto tra elevazione della superficie libera nel tempo ottenuta attraverso il modello numerico ( ) e
valori misurati dalle sonde in due ripetizioni dell'esperimento run1( ) e run2( ). Gli andamenti sono riferiti ad una
profondità di immersione ] = 61 ��, avendo considerato una durata della simulazione = 20 $
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Il confronto viene ripetuto modificando alcuni parametri al fine di migliorare l'adattamento del
modello numerico: nel primo caso (figura 4.6) si assume ] = 0.002 $ (pari all' intervallo di
campionamento delle sonde) e un range di frequenze 0 ≤ * ≤ 6 ij; nel secondo caso (figura 4.7)
viene fissata una durata della simulazione pari a = 50 $, lasciando invariati gli altri termini. In
entrambe le situazioni non si riscontrano notevoli miglioramenti nella riproduzione dell'elevazione
della superficie libera da parte del modello.
Figura 4.6. Confronto tra elevazione della superficie libera ottenuta attraverso il modello numerico ( ) e valori misurati
dalle sonde in due ripetizioni dell'esperimento run1( ) e run2( ). Gli andamenti sono riferiti ad una profondità di
immersione ] = 61 ��, avendo assunto ] = 0.002 $ e 0 ≤ * ≤ 6 ij
Figura 4.7. Confronto tra elevazione della superficie libera ottenuta attraverso il modello numerico ( ) e valori misurati
dalle sonde in due ripetizioni dell'esperimento run1( ) e run2( ). Gli andamenti sono riferiti ad una profondità di
immersione ] = 61 ��, avendo considerato una durata della simulazione = 50 $
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4.2 Confronto per la profondità di immersione d=120 mm
La posizione iniziale della frana è �4 = 0.7647 �, con uno spostamento finale di $ = 1.52 �.
Questa volta viene scelto un intervallo di frequenze compreso tra 0 ≤ * ≤ 6 ij (figura 4.8).
Figura 4.8. Spettro di energia associato al termine sorgente. In rosso è evidenziata la massima frequenza per cui viene
risolta l'MSE (f=6 ij)
Nella figura 4.9 è mostrato il confronto tra risultati numerici e misure sperimentali.
Figura 4.9. Confronto tra elevazione della superficie libera ottenuta attraverso il modello numerico ( ) e valori
misurati dalle sonde in due ripetizioni dell'esperimento run1( ) e run2( ). Gli andamenti sono riferiti ad una
profondità di immersione ] = 120 ��, avendo considerato una durata della simulazione = 20 $
Come nel caso precedente le simulazioni vengono ripetute per tempi più lunghi di 20 $ senza
ottenere significativi miglioramenti nell'adattamento del modello alle misure reali.
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4.3 Confronto per la profondità di immersione d=189 mm
La posizione iniziale della frana è �4 = 1.02 � e lo spostamento finale è pari a $ = 1.38 �.
L'intervallo di frequenze scelto è nuovamente quello compreso tra 0 ≤ * ≤ 6 ij (figura 4.10).
Figura 4.10. Spettro di energia associato al termine sorgente. In rosso è evidenziata la massima frequenza per cui viene
risolta l'MSE (f=6 ij)
Nella figura 4.11 è mostrato il confronto tra risultati numerici e misure sperimentali, anche in
quest'ultimo caso pur ripetendo la simulazione per tempi maggiori di 20 $ non si sono ottenuti
miglioramenti nella rappresentazione del modello.
Figura 4.11. Confronto tra elevazione della superficie libera ottenuta attraverso il modello numerico ( ) e valori
misurati dalle sonde in due ripetizioni dell'esperimento run1( ) e run2( ). Gli andamenti sono riferiti ad una
profondità di immersione ] = 189 ��, avendo considerato una durata della simulazione = 20 $
Validazione di un modello numerico basato sulla mild slope equation, implementato mediante il software FIDELL
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5. Conclusioni
Il primo aspetto da sottolineare è il carattere dispersivo delle onde generate durante l'esperimento.
Il verificarsi del fenomeno della dispersione è legato alle profondità di immersione scelte, le quali
garantiscono il verificarsi della condizione di acque intermedie. In particolare osservando
l'elevazione della superficie libera misurata dalle prime due sonde, quelle più vicine all'area di
generazione, si può notare come a seguito del verificarsi dell'evento di frana si sviluppi una
configurazione costituita da un cavo seguito da una cresta. Questa è la tipica forma che gli tsunami
assumono in prossimità dell'evento che li ha generati. Osservando le sonde 3 e 4 appare evidente
come per effetto della dispersione in frequenza tale struttura evolva in un treno d'onde. Il modello
numerico riesce a riprodurre questo comportamento. Le figure 4.5, 4.9 e 4.11 mostrano come per
la sonda 4 la modellazione del fenomeno migliora all'aumentare di ]. Lo stesso non si può dire per
la sonda 3. In questo caso l'approssimazione sembra migliore per la minima e la massima
profondità di immersione, mentre risulta inadeguata per ] = 120 ��. Per quanto riguarda la
sonda 2 la posizione di cavi e creste sembrerebbe traslata indietro rispetto alla realtà. Tuttavia
anche in questo caso la situazione migliora all'aumentare della profondità. Infine osservando la
sonda 1 sembrerebbe che l'ampiezza del cavo venga sottostimata per ] = 61 �� e sovrastimata
per ] = 189 ��, la posizione invece appare più aderente alla realtà per ] = 61 ��. La cresta
viene sovrastimata in tutti e tre i casi.
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Bibliografia
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