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Nato il 21 luglio 1899 a Oak Park, Illinois, USA, Ernest Hemingway è lo scrittore simbolo del Novecento letterario, colui il quale ha saputo rompere con una certa tradizione stilistica riuscendo ad influenzare successivamente generazioni intere di scrittori. Appassionato di caccia e pesca, istruito in tal senso dal padre, proprietario di una fattoria nei boschi del Michigan, fin da piccolo impara a praticare diversi sport, fra i quali è inclusa la violenta e pericolosa boxe: un'attrazione per le emozioni forti che non abbandonerà mai Hemingway e che rappresenta il suo segno distintivo come uomo e come scrittore. E' il 1917 quando comincia a maneggiare carta e penna, dopo essersi diplomato, lavorando come cronista al "Kansas City Star". L'anno dopo, non potendo, a causa di un difetto all'occhio sinistro, arruolarsi nell'esercito degli Stati Uniti appena scesi in guerra, diventa autista di autoambulanze della Croce Rossa e viene spedito in Italia sul fronte del Piave. Ferito gravemente dal fuoco di un mortaio l'8 luglio del 1918 a Fossalta di Piave, mentre sta salvando un soldato colpito a morte, viene ricoverato in ospedale a Milano, dove s'innamora dell'infermiera Agnes Von Kurowsky. Dopo essere stato decorato al valor militare, nel 1919 torna a casa. Nonostante sia accolto come un eroe, la sua natura irrequieta e perennemente insoddisfatta non lo fa sentire comunque a posto. Si dedica alla stesura di alcuni racconti, del tutto ignorati da editori e dall'ambiente culturale. Scacciato di casa dalla madre che l'accusa d'essere uno scapestrato, si trasferisce a Chicago dove scrive articoli per il "Toronto Star" e "Star Weekly". Ad una festa conosce Elizabeth Hadley Richardson, di sei anni più grande di lui, alta e graziosa. I due s'innamorano e nel 1920 si sposano, contando sulla rendita annua di tremila dollari di lei e progettando di andare a vivere in Italia. Ma lo scrittore Sherwood Anderson, già allora famoso per "I racconti dell'Ohio",

guardato come modello da Hemingway, lo spinge verso Parigi, capitale culturale di allora, dove la coppia addirittura si trasferisce. Naturalmente, lo straordinario ambiente culturale lo influenza enormemente, soprattutto a causa del contatto con le avanguardie, che lo spingono ad una riflessione sul linguaggio, indicandogli la via verso l'antiaccademismo. Intanto, nel 1923 nasce il primo figlio, John Hadley Nicanor Hemingway, detto Bumby e l'editore McAlmon pubblica il suo primo libro, "Tre racconti e dieci poesie", seguito l'anno dopo da "Nel nostro tempo", elogiato dal critico Edmund Wilson e da un poeta fondamentale come Ezra Pound. Nel 1926 escono libri importanti come "Torrenti di primavera" e "Fiesta", tutti grandi successi di pubblico e di critica, mentre l'anno dopo esce, non senza prima aver divorziato, il volume di racconti "Uomini senza donne". Il buon successo a cui vanno incontro i suoi libri lo galvanizza e nel 1928 eccolo di nuovo ai piedi dell'altare per impalmare la bella Pauline Pfeiffer, ex redattrice di moda di "Vogue". I due fanno poi ritorno in America, mettono su casa a Key West, Florida e danno alla luce Patrick, il secondo figlio di Ernest. Nello stesso periodo il turbolento scrittore porta a termine la stesura dell'ormai mitico "Addio alle armi". Purtroppo, un evento davvero tragico arriva a sconvolgere il tranquillo trend di casa Hemingway: il padre, fiaccato da un male incurabile, si uccide sparandosi alla testa. Fortunatamente, "Addio alle armi", viene salutato con entusiasmo dalla critica e gratificato da un notevole successo commerciale. Intanto nasce la sua passione per la pesca d'altura nella Corrente del Golfo. Nel 1930 ha un incidente automobilistico e si frattura il braccio destro in più punti. E' uno dei molti incidenti in cui incappa in questo periodo di viaggi e di avventure: mal di reni causato dalla pesca nelle gelide acque spagnole, uno strappo inguinale procuratosi mentre visita Palencia, un'infezione da antrace, un dito lacerato fino all'osso in un incidente con un sacco da pugilato, una ferita al bulbo oculare, graffi profondi a braccia, gambe e faccia prodotti da spine e rami mentre attraversa un bosco del Wyoming in sella a un cavallo imbizzarrito. Queste esibizioni vitalistiche, il fisico muscoloso, il carattere da attaccabrighe, la predilezione per le grandi mangiate e le formidabili bevute lo rendono un personaggio unico dell'alta società internazionale. E' bello, duro, scontroso e, nonostante sia poco più che trentenne, è considerato un patriarca della letteratura, tanto che cominciano a chiamarlo "Papa". Nel 1932 pubblica "Morte nel pomeriggio", un grosso volume tra saggio e romanzo dedicato al mondo della corrida. L'anno dopo è la volta dei racconti riuniti sotto il titolo "Chi vince non prende nulla". Partecipa al suo primo safari in Africa, un altro terreno per saggiare la propria forza e il proprio coraggio. Nel viaggio di ritorno conosce sulla nave Marlene Dietrich, la chiama "la crucca" ma diventano amici e lo restano per tutta la vita. Nel 1935 esce "Verdi colline d'Africa", romanzo senza trama, con personaggi reali e lo scrittore protagonista. Compra un'imbarcazione diesel di dodici metri e la battezza "Pilar", nome del santuario spagnolo ma anche nome in codice di Pauline. Nel 1937 pubblica "Avere e non avere", il suo unico romanzo d'ambientazione americana, che racconta la storia di un uomo solitario e senza scrupoli che resta vittima di una società corrotta e dominata dal denaro. Si reca in Spagna, da dove manda un reportage sulla Guerra civile. La sua ostilità verso Franco e la sua adesione al Fronte Popolare sono evidenti nella collaborazione alla riduzione cinematografica di "La terra di Spagna"

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insieme a John Dos Passos, Lillian Hellman e Archibald MacLeish. L'anno successivo pubblica un volume che si apre con "La quinta colonna", una commedia a favore dei repubblicani spagnoli, e contiene vari racconti tra cui "Breve la vita felice di Francis Macomber" e "Le nevi del Chilimangiaro", ispirati al safari africano. Questi due testi entrano a far parte della raccolta "I quarantanove racconti", pubblicata nel 1938, che resta tra le opere più straordinarie dello scrittore. A Madrid incontra la giornalista e scrittrice Martha Gellhorn, che aveva conosciuto in patria, e divide con lei le difficoltà del lavoro dei corrispondenti di guerra. E' il 1940 quando divorzia da Pauline e sposa Martha. La casa di Key West resta a Pauline e loro si stabiliscono a Finca Vigía (Fattoria della Guardia), Cuba. Alla fine dell'anno esce "Per chi suona la campana" sulla guerra civile spagnola ed è un successo travolgente. La storia di Robert Jordan, l' "inglès" che va ad aiutare i partigiani antifranchisti, e che s'innamora della bellissima Maria, conquista il pubblico e si aggiudica il titolo di Libro dell'anno. La giovane Maria e Pilar, la donna del capo partigiano, sono i due personaggi femminili più riusciti di tutta l'opera di Hemingway. Meno entusiasta si mostra la critica, a cominciare da Edmund Wilson e da Butler, rettore della Columbia University, che pone il veto alla scelta per il Premio Pulitzer. La sua guerra privata. Nel 1941 marito e moglie vanno in Estremo Oriente come corrispondenti della guerra cino-giapponese. Quando gli Stati Uniti scendono in campo nella seconda Guerra mondiale, lo scrittore vuole partecipare a modo suo e ottiene che la "Pilar" diventi ufficialmente una nave-civetta in servizio di pattugliamento anti-sommergibili nazisti al largo delle coste cubane. Nel 1944 partecipa davvero alla guerra per iniziativa della bellicosa Martha, inviata speciale in Europa della rivista Collier's, che gli procura l'incarico della RAF, l'aeronautica militare inglese, di descrivere le sue gesta. A Londra subisce un incidente automobilistico che gli provoca una brutta ferita alla testa. Conosce un'attraente bionda del Minnesota, Mary Welsh, giornalista del "Daily Express", e comincia a corteggiarla, soprattutto in versi, circostanza davvero inaspettata. Il 6 giugno è il D-day, il grande sbarco alleato in Normandia. Sbarca anche Hemingway e Martha prima di lui. A questo punto però "Papa" si getta in guerra con grande impegno, una sorta di guerra privata, per combattere la quale costituisce una sua sezione del servizio segreto e una unità partigiana con la quale partecipa alla liberazione di Parigi. Finisce nei guai per aver violato la condizione di non combattente, ma poi tutto si aggiusta e viene decorato con la 'Bronze Star'. Nel 1945, dopo un periodo di rimproveri e di stilettate, divorzia da Martha e nel 1946 sposa Mary, quarta e ultima moglie. Due anni più tardi trascorre parecchio tempo in Italia, a Venezia, dove stringe un'amicizia dolce e paterna, appena sfiorata da un erotismo autunnale, con la diciannovenne Adriana Ivancich. La giovane e lui stesso sono i

protagoniti del romanzo che sta scrivendo, "Di là dal fiume e tra gli alberi", che esce nel 1950, accolto tiepidamente. Si rifà due anni dopo con "Il vecchio e il mare", un romanzo breve, che commuove la gente e convince la critica, raccontando la storia di un povero pescatore cubano che cattura un grosso marlin (pesce spada) e cerca di salvare la sua preda dall'assalto dei pescecani. Pubblicato in anteprima su un numero unico della rivista Life, vende cinque milioni di copie in 48 ore. Vince il Premio Pulitzer. Due incidenti aerei. Nel 1953 Hemingway va di nuovo in Africa, questa volta con Mary. Ha un incidente aereo mentre si recano nel Congo. Ne esce con una spalla contusa, illesi Mary e il pilota, ma i tre rimangono isolati e si sparge nel mondo la notizia della morte dello scrittore. Fortunatamente si mettono in salvo quando trovano una barca: si tratta nientemeno che della barca affittata tempo prima al regista John Huston per le riprese del film "La regina d'Africa". Decidono di mettersi in viaggio per Entebbe su un piccolo aereo, ma durante il decollo il velivolo cade e s'incendia. Mary se la cava ma lo scrittore è ricoverato a Nairobi per trauma grave, perdita della vista all'occhio sinistro, perdita dell'udito all'orecchio sinistro, ustioni di primo grado alla faccia e alla testa, distorsione del braccio destro, della spalla e della gamba sinistra, una vertebra schiacciata, danni a fegato, milza e reni. Nel 1954 gli viene conferito il Premio Nobel per la letteratura, ma rinuncia ad andare a Stoccolma per riceverlo di persona, essendo assai provato dalle ferite riportate nei due incidenti aerei. In effetti ha un crollo fisico e nervoso, che lo affligge per diversi anni. Nel 1960 lavora a uno studio sulla corrida, parte del quale esce su Life. Scrive "Festa mobile", un libro di ricordi degli anni parigini, che uscirà postumo (1964). Un altro libro postumo è "Isole nella corrente" (1970), dolente storia di Thomas Hudson, celebre pittore americano, che perde i tre figli, due in un incidente automobilistico e uno in guerra. Non riesce a scrivere. Debole, invecchiato, malato si ricovera in una clinica del Minnesota. Nel 1961 compra una villa a Ketchum, Idaho, dove si traferisce non sentendosi più tranquillo a vivere a Cuba dopo la presa di potere di Fidel Castro, che peraltro apprezza. Tragico epilogo. Profondamente depresso perché pensa che non riuscirà più a scrivere, la mattina di domenica 2 luglio si alza di buon'ora, prende il suo fucile a canna doppia, va nell'anticamera sul davanti della casa, appoggia la doppia canna alla fronte e si spara. (In http://biografieonline.it)

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A ricordarlo sempre era zio Antonio, detto ‘u Viecchiu (il Vecchio). Egli, infatti, ebbe modo personalmente di stringere un rapporto di amicizia con lo scrittore americano. Il narratore, in occasione del passaggio della V armata U.S.A. del generale Clark alla quale apparteneva, ebbe occasione di vedere Acciaroli per la prima volta, nonché di essere attratto dalle sue bellezze. Nei primi anni del 1950 lo scrittore ritornò ad Acciaroli (dal 1950 al 1953 Ernest Hemingway è in Italia e viaggia tra Venezia, Cortina e altre città), allora piccolo e semplice borgo di superba bellezza, desioso

di vita che, con le sue case, come perle distese sugli scogli, incrostate di salsedine, inumidite dalle onde spumose e inebriate dal fresco profumo della fauna marina, riusciva a fornire caratteristiche fiabesche. Questo paese è oggi punto di riferimento di un turismo di massa che lo assale solo nei due mesi estivi; è un centro che con le sue strutture (ad eccezione del porto, delle spiagge e del mare) non fornisce, malauguratamente, tutte le risposte alle esigenze

turistiche, ma conserva, sicuramente nel suo passato, avvenimenti di rilevante interesse culturale.

Qui, un giorno, giunse da lontano uno scrittore dal whisky facile, troppo curioso per i gusti degli uomini di mare, che alla fine però riuscì simpatico con la sua generosità; a quei tempi un sorso di buon secco era tanto. E fu così che zio Antonio ‘u Viecchiu stabilì un cordiale rapporto con il grande scrittore. “Era un uomo che non faceva mai niente; si metteva sotto le giovani palme sul piazzale antistante la chiesetta, guardava il mare verso la Licosa e scriveva con a fianco la bottiglia e camminava scalzo come tutti noi, da me voleva sapere tante cose”. Così lo ricordava zio Antonio. “Egli, -sosteneva- amava il mare e quanti lo affrontano per guadagnarsi il pane per sopravvivere. Zio Antonio, ‘u Viecchiu, trascorreva intere giornate a largo, lontano dalla sua famiglia, come Santiago ed era magro e scarno ed aveva rughe accentuate alla nuca. “Il Vecchio sulle guance aveva le chiazze del cancro della pelle, provocati dai riflessi del sole sul mare tropicale.

Le chiazze scendevano lungo i lati del viso e le mani avevano cicatrici profonde, ma nessuna di queste era fresca. Erano tutte antiche come erosioni di un deserto senza pesci. Tutto in lui era vecchio tranne gli occhi che avevano lo stesso colore del mare ed erano allegri ed indomiti”. Antonio Masarone, è rimasto così fino a prima di morire; è rimasto esattamente come lo scrittore descrive Santiago nel suo piccolo capolavoro che si costituisce di una storia semplice e tragica nello stesso tempo; giovane con i suoi occhi pieni di storia

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quotidiana e colmi di vita come il mare, quel mare che ha guardato fisso e gli ha narrato il passato con avvenimenti di un personaggio che pescava su una barca a vela nella corrente del golfo per decine e decine di giorni senza prendere pesce. E di questo personaggio, zio Antonio, sentiva di avere la mente ed il cuore, in esso, il vecchio pescatore acciarolese, s’impersonava facilmente perché anche suo. Ernest Hemingway quando fu ad Acciaroli alloggiò per un periodo all’albergo La Scogliera, in Via Federico Piantieri, (Via vascio) nei pressi dell’allora piccolo approdo. Solo successivamente decise di fittare una piccola abitazione, di fianco alla Chiesa intitolata a Maria SS. Annunziata, nelle immediate vicinanze della torre normanna, posta sugli scogli e aperta al mare. La causa del suo trasferimento ci assicurò Masarone, quando ancora era in vita, fu certamente il suo continuo e smisurato bere. Il vecchio e il mare è una storia semplice come i pescatori del Cilento che narra l’esperienza di due personaggi: il pescatore Santiago e il grande pescespada, simbolo della grandezza e libertà naturale, che si trovano coinvolti in una cruda lotta nel mare furioso del golfo e che dura per ben tre giorni; alla fine è Santiago ad averla vinta sulla bestia che non riuscirà mai a condurre in porto. Il vecchio e il mare è il documento di un tempo che riecheggia e vede il perpetuarsi

della situazione del vincitore sconfitto. E’ la dimostrazione veritiera di come, anche in tempi passati, l’uomo si è sforzato ad affrontare il destino avverso e solo per il suo sforzo è riuscito a godere della vittoria nella sconfitta. Quando il romanzo fu pubblicato nel 1952, Antonio Masarone aveva cinquant’anni; egli lo lesse riconoscendo suo il contenuto, le esperienze di una dura esistenza vissuta sul mare, quel mare che fino a quando era in vita guardava con gli occhi bruciati dal sole e che segnava i battiti del suo passato, dei suoi più tristi che lieti ricordi e che, con la sua storia, colpì, quasi sicuramente, un uomo grande e sensibile, un amico che parlava un’altra lingua come Ernest Hemingway. U Viecchiu – ebbe a dire il De Marinis, un collega giornalista, in un interessante servizio su Bell’Italia, nell’agosto dell’86, – gode di grande ammirazione tra la gente del posto. Perché è il più anziano di tutti. Perché ha visto tante tempeste in mare e nella vita. E perché per molti mesi è stato amico dello scrittore americano, che qui ha trascorso lunghi periodi. Amico, certamente, come chi non parla la stessa lingua, ma capisce quella delle sensazioni e dei sentimenti e non deve parlare.. .”E così lo ricordava ancora Zio Antonio: “Drink, Tony, drink!, mi diceva sempre e io non sapevo che fosse scrittore, per me era un americano, strano e un pò

bizzarro, che beveva e scriveva tanto. Mi chiedeva dei pesci e passava lunghe ore a guardare come rammendavo le reti, seduto per terra, scalzo. Veniva alla barca, quando la sera tornavo dalla pesca e mi faceva ancora domande o guardava i pescespada che prendevo con cernie e grandi spigole. Poi mi offriva da bere. Per me quello era un periodo terribile. Avevo perso mia moglie e dovevo crescere cinque figli.

Mi ubriacavo spesso per sentirmi un pò felice”. Allora andavo a pesca col ballaccone (il fiocco della vela latina in dialetto) e l’antenna (picco), non c’erano porti da Salerno a qui e tiravamo le barche a terra con le funi. Quando soffiava tramontana si rischiava di finire in Calabria o portati al largo. La prima barca la pagai quindici lire, la seconda duecento lire. Ho iniziato a pescare da piccolo, quando avevo sei anni; qui non c’era niente, solo qualche casa, campagna e tanto mare. Oggi girano più soldi, il porto è nuovo, ma non è come prima. “Con lo scrittore americano bevevamo molto; la mattina dopo, lui scriveva e io andavo a pescare…Una volta pescai un pesce pappagallo di quattro quintali, dovetti rimorchiarlo e quando arrivai a terra qualcuno pensò che avessi preso un mostro marino”. “Tutti – notava Fabrizio De Marinis -, ricordano ad Acciaroli che ‘u Viecchiu aveva la caratteristica dei

capelli bianchi fin da giovane, come fosse un pò albino. Quando Hemingway lo conobbe aveva passato da poco mezzo secolo di vita. Doveva essere come Spencer Tracy, al quale assomigliava tantissimo, l’attore che poi impersonò il vecchio Santiago nel film di Freddy Zinnemann. La figura del vecchio Antonio Masarone, prototipo per eccellenza del pescatore cilentano, al di là della verità strettamente connessa agli elementi di ispirazione hemingwayani, sollecita un raro fascino e pratica facilmente un richiamo alla prosa Il vecchio pubblicata nel volume Il canto dei poveri:

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“Il Cilento conta calanchi aperti al mare odoroso di “lippo”, taglienti e nere scogliere; arenili infuocati: letti di sole, colata d’oro; ridenti figlie in marino pentagramma. Il Cilento, ginestreto folto che avanza nell’aria di giovane estate e graffia l’aria con sottili verdi rami, ha respiro vergine alla risacca nel pulito, immobile mattino. Il Cilento s’insaporisce di avventura e fierezza, partorisce libertà verso il Mare di Hemingway. Calante addiviene il paese e nell’aria si toccano scalcinate case in veste ora tenue, ora fresca d’esperidio e, in comunanza, portano bellezza d’ostrica perlifera. Il Cilento porta gli occhi nel grave silenzio del pensiero e carezza marosi con perdute pupille senza tempo, sole antimeridiano invade solitudine e vanno al mezzogiorno scarsi suoni ondosi di frangiflutti in alternanza. Darsena spazia fiocchi di vele latine e picchi, normanna difesa, salsedine alla pelle di sole, alle braccia grinzose, alle facce rugose. E compare, invaso di mattino, indomito nell’azzurro ancestrale marino, il vecchio; in fedele, maritato silenzio conta l’onda e, coraggioso e nobile, opulento di storia, non sogna tempeste. Lenze senza vele nella sera e occhi di mare sconfinano tempo. Invadono le ore ancora grandi silenzi e fecondano rari pensieri. La misura dello sforzo reca vittoria alla sconfitta. Veleggiare di tempo ha voltata di fatica, mette amarezza, bagna pupille di mare. Si posa la luna nel cielo del cuore muto e senza fiato. Altro sole di poveri sconfina perimetro di nottata e il Cilento in allegrezza mette l’alba”.

Piace a chi scrive, comunque, per ragioni di pura affettività campanilistica, poter credere che il romanzo “Il vecchio e il mare” di Ernest Hemingway, possa essere stato ispirato, in maniera esclusiva, dal vecchio Masarone di Acciaroli. Ma vestendo la toga dell’avvocato del diavolo, esigenza che scaturisce dalla necessità di valutare a rigore di logica e nel rispetto della verità, si arriva a sostenere la difficile probabilità di detta esclusiva ispirazione. Rileggendo il romanzo emergono, tra i diversi riferimenti, i seguenti elementi:

“..I pescatori fortunati di quel giorno erano già rientrati e avevano già squartato i loro marlin..” E qui, in nota, si

chiarisce l’entità di questo pesce: un pesce spada del genere Makair, che frequenta le coste atlantiche. Come è evidente lo stesso scrittore si riferisce a una tipologia di pesce spada caratteristica delle coste atlantiche. E poi descrivendo la capanna ove fu poggiato l’albero: “La capanna era costruita con scaglie dure di palma reale, quelle che chiamano guano, e dentro vi era un letto, una tavola, una sedia e una zona sul pavimento di terriccio dove cucinare con la carbonella. Sulle pareti brune fatte con le foglie piatte, sovrapposte, del guano resistente e fibroso, vi era una fotografia a colori del

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Sacro Cuore di Gesù e un’altra della Vergine di Cobra. Erano ricordi della moglie. La Vergine di Cobra nel Cilento è una intitolazione mariana inesistente, sconosciuta. E ancora: “..Allora vivi a lungo e riguardati – disse il vecchio. – Che cosa si mangia? – Riso e fagioli, banane fritte e un pò di stufato- “. Nel Cilento e nella minuta borgata di Acciaroli, in quegli anni, non sarà stato facile reperire banane, ma indipendentemente da ciò non rientrava né allora, né oggi l’uso di friggerle per allestire una pietanza. E poi: ..”Lo so. Ma questa è in bottiglia, è birr Hatuey, e devo portare indietro le bottiglie”, non era sicuramente reperibile in tutto il Cilento, in quel periodo, questo tipo di birra. E ancora: “Poi si guardò alle spalle e vide che la terraferma era scomparsa. Non importa, pensò. Posso sempre rientrare con le luci dell’Avana “. Avana è la capitale di Cuba ove, tra l’altro, si confezionano i sigari omonimi. Questi e diversi altri riferimenti ci inducono a pensare, con onestà intellettuale, che Santiago, protagonista del romanzo, non possa essere stato ispirato dal pescatore Masarone in maniera unilaterale ed esclusiva. La scenografia del romanzo è sicuramente di natura cubana. Occorre ulteriormente segnalare che lo stesso Hemingway, poco lontano dall’Avana, possedeva la fattoria Finca Vigia. L’amore per i racconti della gente di mare lo portavano un pò ovunque a sollecitare conversazioni con svariati pescatori. Niente di più facile che la sua sosta acciarolese e la relazione d’intesa amicale con il Masarone possano essere state esperienze significative, fortemente utili allo scrittore ai fini documentativi. Non ci sentiamo però, d’altra parte, di escludere pienamente la possibilità questa come fonte preziosa dell’Autore, così come, invece, risulta esplicita la nostra determinazione, frutto tra l’altro dell’analisi testuale, nell’affermare che la suggestività del paesaggio narrativo resta indiscutibilmente connessa alla tipologia ambientale di Cuba. Si muove a sostegno della tesi in contrasto all’ispirazione di Santiago legata al vecchio Masarone, Fernanda Pivano, che nel marzo del 1972 così affermava: “In realtà l’idea di questo libro ronzava nella sua mente (nella mente dell’Autore) da una ventina d’anni: a parte una lettera del 7 febbraio 1939 a Maxwell Perkins in cui Hemingway disse di essere molto stimolato dalla storia di un antico marinaio che viveva a Casablanca sulla costa orientale del porto di Havana, alcuni ricordavano un pezzo del 1936 che quasi faceva da materiale grezzo al romanzo diventato

famoso: un vecchio che pescava da solo in un’imbarcazione fuori delle cabane catturò un grande pesce spada che tirando la pesante cima condusse l’imbarcazione verso il mare aperto. Due giorni dopo il vecchio fu raccolto dai pescatori a 60 miglia verso est, con la testa e la parte anteriore del pesce legate lungo la barca. Ciò che rimaneva del pesce, meno della metà, pesava 800 libbre. Il vecchio era rimasto col pesce un giorno e una notte, un altro giorno e un’altra notte mentre il pesce nuotava e tirava la barca. Quando era venuto in superficie il vecchio aveva accostato la barca e lo aveva arpionato. Mentre era legato lungo la barca i pescicani lo avevano azzannato e il vecchio li combatté da solo dalla sua imbarcazione nella Corrente del Golfo, prendendoli a mazzate, a coltellate, colpendoli con un remo, finché fu esausto e i pescicani ebbero mangiato tutto quello che potevano contenere. Quando i pescatori lo raccolsero piangeva nella barca, quasi impazzito per la perdita, e i pescicani stavano ancora nuotando in giro alla barca. Un riassunto sommario del libro non si scosta molto da questa scaletta professionale. Santiago è un vecchio pescatore cubano molto povero.

Nella sua vita ha un solo affetto: un ragazzino che lo accompagna alla pesca. Ma da molto tempo la pesca è sfortunata e i genitori del ragazzino non vogliono più che vada con questo vecchio che da 82 giorni non è riuscito a pescare nemmeno un pesce, così l’83° giorno il vecchio prende il mare da solo. Un enorme pesce spada abbocca all’ amo. Dopo una lotta terribile di tre giorni il vecchio ha la meglio sul pesce e riesce ad attaccarlo morto alla barca; ma quando si dirige verso terra i pescicani nonostante i suoi sforzi per scacciarli divorano lentamente tutto il pesce. Quando Santiago rientra nel porto completamente sfinito, del pesce non resta che la testa e la lisca”.

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E’ sicuro che Hemingway con il vecchio Masarone ha avuto lunghi e appassionati confronti intorno ai temi del mare, della pesca e della diretta esperienza dello stesso pescatore acciarolese. Appunti e prime stesure di un romanzo, fuori dal comune, avranno avuto luogo, molto probabilmente, anche in Acciaroli, (“Si metteva seduto ai piedi delle palme del porto con a fianco la bottiglia, scriveva e guardava la Licosa”). In realtà Hemingway avrà considerato eventualmente questo romanzo nel corso della sosta acciarolese del 1952 e non certo quando sbarcò con la V armata statunitense nel 1943, in quella circostanza non avrà avuto di certo la serenità di pensare ad alcun tipo di stesura narrativa. Proprio nell’anno di permanenza acciarolese, stranamente, nel dicembre del 1952, Hemingway, pubblicò per i tipi della Scribner’s Sons di New York il suo romanzo The Old Man and the Sea. Questo è uno dei pochi dati certi che ci porta a valutare la probabilità di un certo condizionamento hemingwayano e a rovesciare la tesi della Pivano, ma torna a nostro convincimento l’esclusiva intesa in termini documentabili da parte dell’Autore sul quadro psicologico e intorno alla dinamica esistenziale del pescatore protagonista. Il romanzo poi, per altri aspetti, come l’ambiente narrativo, risulta esclusivamente connesso alla realtà cubana. Oggi chi arriva ad Acciaroli trova una indicazione esplicita all’ingresso del paese. La targa attribuisce la borgata ad Hemigway in maniera esplicita e inconfondibile: Acciaroli, “paese di Hemigway”. Sovente capita che per molto amor proprio, per ragioni di campanilismo esagerato, senza se e senza ma, si commetta qualche sciocchezza che si dissocia dall’amore e dal desiderio autentico di verità. Tutto sommato, comunque, nemmeno di campanilismo potremmo parlare poiché in termini propri non si può rivendicare un bel niente se non le sembianze di un vecchio pescatore in quanto “modello d’ispirazione” della narrazione

.

E’ pur vero che viviamo tempi di grande vuoto e superficialità, ma talune estremizzazione restano tali e facilmente criticabili. Un amministratore, forse più attento, in passato, riconoscibile nella persona di Marilena Di Rienzo, provò a sollevare l’errore. «Non c' è alcuna prova che lo scrittore sia stato qui», affermava giustamente la Di Rienzo. Non basta, comunque, passare di volata o sostare brevemente da qualche parte per lasciare una indelebile traccia. E’, dunque, evidente l’esagerazione, connessa ad un veniale peccato sicuramente voluto per un preciso ritorno propagandistico di campanile. E Fernanda Pivano, rilevò poi Antonio Tricomi, traduttrice di Hemingway e sua amica personale, punta il dito nel corso di un' intervista al magazine del Corriere della sera: «Per Ernest l' Italia era solo Venezia. Ad Acciaroli c' è chi racconta di esserci andato a pesca insieme, ma finora mai nessuno si era sognato di mettere un cartello per raccontare una bugia». Seguì poi a questa netta posizione il ritorno dell’ex Sindaco di allora, il compianto Angelo Vassallo. Secondo Vassallo gli elementi trovavano sicuro riscontro «Gli elementi sono certi, basta ascoltare i racconti degli ultraottantenni». Una troupe televisiva del Giappone, nel 1970, sollevò per la prima volta la questione Hemigway-Acciaroli. Negli anni ’80, giunse ad Acciaroli Margaux Hemingway, nipote suicida dello scrittore che avrebbe sostato fino al 1953 nel borgo cilentano. Qui, avrebbe tratto, la sua ispirazione per la composizione del famoso romanzo dal titolo originale “The Old Man and the Sea”.

Sessantaquattro anni fa – era il 4 maggio 1953 – Ernest Hemingway, scrive Antonella Capozzoli, (Acciaroli e ‘Il Vecchio e il mare’. 64 anni fa il romanzo di Hemingway vinse il Pulitzer) si aggiudica la più prestigiosa onorificenza letteraria riconosciuta negli Stati Uniti. Il romanzo, il cui titolo originale è “The Old Man and The Sea”, viene pubblicato per la prima volta sulla rivista Life nel settembre del 1952, ma la sua gestazione ha radici più antiche, risalenti al soggiorno dello scrittore a Cuba, alle escursioni a bordo della Pilar, ai momenti di solitudine e riflessione accompagnati soltanto dal rumore del mare. Parte della trama è ispirata dal racconto del suo consigliere di navigazione, Carlos Gutierrez, ed Hemingway ne trae un reportage molto suggestivo, pubblicato con il titolo “ Sull’acqua azzurra” nell’aprile del 1936 sulla rivista Esquire. Sedici anni più tardi, prende corpo l’intera narrazione tutta incentrata sulla fatica, la dignità e la forza d’animo del protagonista, « il Vecchio». Quel pescatore, Santiago, diventa emblema dell’asprezza e del ruvidità di una vita che nasce e muore su una barca a vela, nella Corrente del Golfo. «Tutto in lui era vecchio tranne gli occhi che

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avevano lo stesso colore del mare ed erano allegri ed indomiti». Il romanzo viene completato nell’arco di otto settimane e consegnato all’editore Scribner nel 1952. Soltanto un anno prima, per dieci giorni o più, nell’estate del 1951, Hemingway conosce il Cilento, in particolare, Acciaroli. Lo stesso scrittore avrebbe raccontato all’architetto materano, giunto a Cuba per andare a trovarlo, del viaggio in Cilento : “Raramente sono stato nel vostro sud. Solo una volta e per puro caso. Dovevamo visitare Napoli ed incontrare un gruppo di amici che non abbiamo visto e così ci siamo messi in viaggio verso Pompei e invece ci siamo ritrovati io e Mary ad Acciaroli, un paesino di pescatori, con facce abbronzate da un sole a scorza di limone. Ricordo di Acciaroli una bella chiesetta secolare, i tetti rossi delle case, il mare azzurro spumeggiante e un buon vino che non ubriaca. E poi… beh spero di rivederla presto”. Secondo questa suggestiva testimonianza, lo scrittore avrebbe soggiornato al secondo piano dell’ albergo “ La Scogliera” di Acciaroli, insieme alla sua quarta moglie, Mary Welsh, e al suo fidato taccuino, su cui è solito annotare costantemente tutto ciò che vede e ascolta. Affascinato dalle storie dei pescatori, li attende per ore sul porticciolo e ne ascolta le storie. Un uomo in particolare, Antonio Masarone, soprannominato U’ Viecchiu, racconta a Hemingway un aneddoto incredibile: un pesce spada del peso di un quintale che, data la mancanza di ghiaccio, giunto al mercato di Salerno, è andato già a male ed è stato bruciato. Sembra davvero possibile scorgere nel pescatore Santiago e nelle sue avventure il profilo e i racconti del cilentano Masarone.

Ad Acciaroli non hanno dubbi: la vistosa insegna definisce paese di Hemingway la cittadina cilentana dal 1951. Tuttavia, prove tangibili non ce ne sono: restano i ricordi degli anziani pescatori, che riescono ancora a vedere quello “straniero” passeggiare, col suo bicchiere di Amarone, fra le reti del porto, e le spoglie del vecchio albergo, ormai chiuso, che custodisce segreti che non verranno mai più svelati. Un ulteriore prezioso contributo al tema viene fornito da Emilia Di Gregorio con un interessante pezzo: Hemingway e "Il vecchio e il mare": emozioni e racconti da Acciaroli a Cuba... ai Negrita. ”Oltrepassata la zona di Licosa, dove tra i pini d’Aleppo rivive l’incanto della nota sirena del mito, proseguendo sulla costa e voltando lo sguardo un po’ più in là si scorge un lembo di terra che si affaccia sul mare: è Acciaroli. La terra regina delle Cinque Vele ci accoglie con un cartello dove campeggia la scritta “Acciaroli, il paese di Hemingway” e il volto barbuto dello scrittore ci osserva. È sempre lì, come vi arrivò nel 1951. Ebbene sì, tanti lo ignorano, ma in quegli anni il Nobel della Letteratura ha soggiornato proprio nell’unica frazione sul mare, insieme a Pioppi, del comune di Pollica che voltando le spalle agli scogli si snoda in su per le colline, prima con Cannicchio e con il pittoresco paese dei principi Capano e poi, ancora più in là, verso le pendici del Monte Stella, con Celso e il borgo letterario di Galdo. Qui, tra le memorie leggendarie e popolari, il Nobel americano avrebbe trascorso una breve vacanza nel 1951. Egli era diretto da Venezia verso Napoli con Mary, quarta ed ultima moglie, per incontrare degli amici. La gente nel posto ne parla senza essere sfiorata dal minimo dubbio della non veridicità del fatto, ognuno di loro conosce un aneddoto, un particolare, tramandato dai pescatori dell’epoca che hanno vissuto in prima persona la presenza di Hemingway. Questi avrebbe alloggiato, insieme alla moglie, al secondo piano dell’albergo “La Scogliera”, che si estendeva con il suo ristorante fin sulla spiaggia. Conduceva una vita riflessiva, passava intere giornate passeggiando sul porticciolo, col giornale sotto al braccio, e aspettava che i pescatori ritornassero per ascoltare le loro storie. Tra le mani un bicchiere del suo vino preferito, l’Amarone, e l’immancabile taccuino sul quale era solito annotare ogni cosa che potesse tornare utile al suo lavoro di scrittura. Tra i pescatori del luogo ce n’è uno in particolare: Antonio Masarone, soprannominato u’ viecchiu perché era solito travestirsi da vecchio durante la mascherata di carnevale. Da lui, Hemingway ascoltò la storia della cattura di un pesce spada che pesava più di un quintale e che, data la mancanza del ghiaccio, quando fu portato al mercato di Salerno era già andato a male e dovettero bruciarlo. Secondo tanti, di questa ed altre storie è possibile trovarne traccia nel romanzo “The Old Man and the Sea”, in italiano “Il vecchio e il mare”, tradotto per la nostra cultura da Fernanda Pivano, molto amica dello scrittore, e pubblicato per la prima volta sulla rivista Life nel 1952. «He was an old man who fished alone in a skiff in the Gulf Stream and he had gone eighty-four days now without taking a fish» «Era un vecchio che pescava da solo su una barca a vela nella Corrente del Golfo ed erano ottantaquattro giorni ormai che non prendeva un pesce» È così che inizia il racconto e proprio da queste prime righe capiamo che, forse, non è un caso che il protagonista, Santiago, si chiamasse “il vecchio” e questo elemento va ad aggiungersi ad un avvincente puzzle che ricostruisce la biografia, per alcuni ufficiale e per altri no, di un grande della letteratura, vincitore del premio

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Pulitzer nel 1953 e del premio Nobel l’anno successivo. «The old man was thin and gaunt with deep wrinkles in the back of his neck. […] his hands had the deep-creased scars from handling heavy fish on the cords. But none of these scars were fresh. They were as old as erosions in a fishless desert». «Il vecchio era magro e scarno e aveva rughe profonde alla nuca. […] e le mani avevano cicatrici profonde, che gli erano venute trattenendo con le lenze i pesci pesanti. Ma nessuna di queste cicatrici era recente. Erano simili a rocce erose in un deserto senza pesci». Forse sono questi i tratti caratteristici dell’instancabile pescatore cilentano, protagonista di una vita fatta di sacrifici, dedito al suo lavoro e devoto alla pesca come sua unica ricchezza. E ancora: «Everything about him was old except his eyes and they were the same color as the sea and were cheerful and undefeated» «Tutto in lui era vecchio, eccetto i suoi occhi, che erano dello stesso colore del mare, ed erano vispi ed imbattibili». Potrebbe essere, questo, un particolare che rivive, ancora oggi, con i pescatori del piccolo borgo marinaro, all’ombra della torre normanna, dove la dedizione alla pesca è rimasta e si tramanda di padre in figlio. Mentre la questione ancora è aperta e c’è chi, come Fernanda Pivano, nega testimonianze e certezze, il mare a largo di Acciaroli è chiamato “Il mare di Hemingway” in ricordo del soggiorno dello scrittore nella Perla del Cilento, come è stata da tanti definita la frazione pollichese.

L’amicizia e la lealtà tra Santiago e l’allievo Manolo, la solitudine e l’abbandono di chi ha fatto una vita di stenti, la sconfitta di alcuni momenti, ma non la sconfitta di un’intera vita, perché «L’uomo non è fatto per la sconfitta», sono solo alcuni dei temi che salgono a galla nell’oceano di emozioni che può regalare questo romanzo. Tra le minuziose descrizioni è inevitabile, per noi, non cercare di cogliere la cilentanità che trovò Hemingway parlando con Antonio Masarone o con altri pescatori del luogo, che poi, in realtà, sono stati, negli anni, l’emblema di questa “vita di mare”. Affiorano, dunque, la caparbietà e la tenacia, ma anche l’umiltà e la forza di volontà, il tutto tra la magia e la suggestione dell’immaginare una storia cilentana proiettata a livello internazionale. Da Cuba al Cilento un libro che lascia il segno e un’iniziativa importante che si svolgerà nel comune di Pollica il prossimo 22 e 23 luglio: U’ viecchiu,

dedicato ad Angelo Vassallo, un evento che ripercorre i temi della terra e del mare cilentano con rimandi a luoghi, profumi, sapori che fanno la storia di luoghi incantati come questi. Si sarebbe dovuto tenere il 12 e il 13 settembre scorso, tra Acciaroli e Pollica, ma, proprio pochi giorni prima, vi fu la barbara uccisione del

sindaco pescatore. Toccante fu l’immagine dell’intero paese costellato di cartelli con le frasi dello scrittore americano, turista nel Cilento. La più significativa è, forse, la seguente: «Si può uccidere un uomo, ma non sconfiggerlo». Un romanzo da leggere, una storia di pescatori da raccontare, un evento da vivere e posti da visitare dal vivo o mascherati tra le pagine di un libro. In questo senso va anche la canzone dei Negrita, “Hemingway”. Pau e soci probabilmente ignorano le vacanza cilentane del premio Nobel per la letteratura, ma nel rendergli omaggio sottolineano i tratti caratteristici del suo romanzo, dove «c’è una barca pronta dietro a un’altra pagina» ed «è solo vita che ti entra dentro».

Secondo una tradizione, corredata da sporadiche pubblicazioni e testimonianze locali, Hemingway avrebbe trascorso ad Acciaroli circa 10 giorni, tra l’agosto e il settembre del 1951, l’anno prima del romanzo “Il Vecchio e il Mare”, pubblicato nel 1952, lasciando così ipotizzare ad una possibile ambientazione della sua celebre opera in terra campana. Lo ha scritto ad esempio nel libro intitolato “Hemingway for Cuba” lo scrittore Giuseppe Recchia, che riporta il racconto del nipote di Adriana Ivancich, con la quale lo scrittore ebbe una burrascosa relazione quando già era sposato con Mary Welsh, la sua quarta e ultima moglie. Bobo Ivancich avrebbe raccontato a Recchia che Hemingway si sarebbe spinto fino ad Acciaroli, in provincia di Salerno, dopo l’annullamento di un incontro a Napoli con alcuni esponenti dell'aristocrazia partenopea. Qui avrebbe trascorso, da solo, una decina di giorni.

In “Dieci giorni nel Cilento come Ernest Hemingway”, (ANSA), torna la questione fortemente dibattuta e divenuta ormai leggendaria. Ad Acciaroli, sulle orme del celebre scrittore americano, tra antichi bastioni e borghi di pescatori che nel tempo si è comunque impressa nell’immaginario collettivo del comune salernitano,

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tant’è vero che ancora oggi, parlando con gli abitanti del posto, è possibile godere di diversi aneddoti su quei fatidici 10 giorni. Aneddoti che hanno poi dato vita persino ad originali teorie letterarie, che, fondate o meno, seducono per la loro audacia e per il loro carattere irriverente. E così sarebbero stati proprio quei 10 giorni, trascorsi fra i pescatori di Acciaroli nell’estate del 1951, ad ispirare Hemingway per il suo bestseller "Il Vecchio e il Mare" del 1952. Non Cuba quindi, in cui è invece ambientato il romanzo, ma il Cilento sarebbe il vero contesto della famosa opera di Hemingway. Non Santiago, il celebre protagonista anziano, ma Antonio Masarone, pescatore cilentano soprannominato “U’ Viecchio”, sarebbe il vero personaggio conosciuto e raccontato dallo scrittore americano. Un fantasma, quello di Hemingway, che si aggira ancora tra le antiche vie del borgo marino, lungo i pendii rocciosi della sua scogliera, in mezzo alle barche e alle reti coricate sul lido del porto, di fronte all’antica chiesa dell’Annunziata e alla Torre Normanna: un bastione che domina il mare di Acciaroli inserito nel 1233 dall'imperatore Federico II fra le torri di guardia del litorale e successivamente utilizzato anche dagli Angioini - insieme con la vicina Torre del "Caleo" - nel loro

sistema difensivo della costa. Ma la leggenda del Premio Nobel continua a vivere a Salerno anche nei piccoli rituali della vita quotidiana, come testimonia il “cocktail Martini alla Hemingway”, cioè estremamente secco, rigorosamente senza oliva, con il vermouth che deve solo "sporcare" il ghiaccio senza far sentire il suo aroma. Si dice, a tale proposito, che fu lo stesso Hemingway ad insegnare ad un barista di Acciaroli i segreti e le sue varianti preferite rispetto alla ricetta classica. Ci piace poi, il prezioso contributo del collega Oreste Mottola, fornito con l’articolo “I dieci giorni di Hemingway ad Acciaroli”: Dieci giorni a cavallo nell’estate del 1951. Sono questi i giorni che Ernest Hemingway ha passato ad Acciaroli. La conferma arriva da Bobo Ivancich, il nipote di Adriana, la ragazza

italiana che a quel tempo con lo scrittore americano ha una storia d’amore. A Venezia, lo scrittore di “Fiesta” va per incontrarla ed ha in testa una lunga fuga per l’Italia. L’automobile, con l’autista, sono pronti. La moglie, Mary Welsh, subodora qualcosa e non lo molla. Il piano va così a monte. Hemingway mantiene il progettodi un lungo tour attraverso l’Italia. Vuole raggiungere Napoli, dove ha degli amici, i Kechler. Che non si trovano in città. Decidere di vedere Pompei, poi ci rinuncia, ed è così che si spinge a sud, fino ad Acciaroli, dove si ferma. E’ uno dei capitoli del libro di Giuseppe Recchia, “Hemigway for Cuba”, edito da Shakespeare and company, e che il 28 maggio sarà presentato a Napoli, presso la libreria Guida. Bobo Ivancich ha ancora nella mente il racconto del soggiorno cilentano. “La moglie lo abbandona subito, perché s’indispettisce del fatto che lo scrittore s’invaghissca subito di una ragazza del posto. Hemingway resta da solo e comincia ad accompagnarsi con i pescatori. E come faceva sempre, riempie quaderni di appunti”. E’ anche chiaro perché non racconterà volentieri questa storia perché troppo legata alle sue controverse vicissitudini sentimentali. E non ci teneva certo a tramandarla la Welsh e nemmeno la sua traduttrice italiana, Fernanda Pivano, che ha basato le sue ricostruzioni di quei vagabondaggi hemingwayani proprio sui ricordi della consorte. Alcune cose lo colpirono di Acciaroli – racconta Bobo Ivancich: “Le ragazze, il mare azzurro spumeggiante, alcuni bravissimi pescatori ed un buon vino locale che non ubriacava facilmente”. A raccontare ad Adriana Ivancich quello che è accaduto in quello sperduto paesino di pescatori è anche l’autista dello scrittore. “Sono storie che noi conosciamo già. Le raccontavano i nostri anziani. Come zì Achille Masarone”, aggiunge Angelo Vassallo, sindaco – pescatore di Pollica, della quale Acciaroli è una frazione. Il passaggio cilentano dello scrittore non autorizza però ad immaginare che “Il vecchio ed il mare”, che lo avvicinerà al Nobel, possa essere ambientato nel Cilento. “Santiago – dice Giuseppe Recchia – è anche un po’ Masarone, ma anche certi pescatori cubani”. Ancora Mottola che con “Ernest Hemingway ad Acciaroli. L’articolo che riaprì la questione” svela una verità intorno alla quale siamo concordi. Il senso di questo a baruffa cilentana è l’amore per il territorio, la voglia di vederlo crescere. Lo scrittore americano può foraggiare lo sviluppo, è di certo un elemento trainante e di considerevole richiamo. Insomma, sostiene Mottola, Hemingway serve per aggrapparsi ancor più al territorio, a tutte le sue offerte per farle fruttare. In tanto consiste la verità che ha creato un alterco rumoroso fra più persone. “Si era piantato qui come una di quelle torri guardiane, innalzate da don Pedro di Toledo per stroncare i raid dei corsari saraceni, quasi sentendosi per generosità il guardiano di Pioppi. Alto, segaligno, bruno come un’aringa del Baltico, pescatore e oracolo, le sue parole erano saggezza e memoria. Prendeva un pugno di sabbia, lo stringeva alla maniera di una clessidra, poi ne lasciava lentamente cadere i granelli, sciogliendo il responso sulla meteorologia del golfo. Mai presa una cantonata: il suo segreto satellite conosceva ’u niro, il nido dei venti, il corso delle onde, gli umori del cielo”. Il racconto bello, davvero hemingwayano, è di Aldo De Francesco, stampato su “Il Mattino” del 17 agosto 2004. Poi se il vecchio marinaio che per più di ottanta giorni insegue il pesce che gli squali gli mangeranno è Antonio Masarone, come dicono a Pioppi o Gregorio Fuentes, pescatore cubano, come si è sempre creduto diventa questione secondaria. Cominciamo dalle

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certezze: quand’era in Italia beveva vini veneti Hemingway. Amarone e poi Valpolicella. In una notte, durante la quale si dedicava furiosamente anche alla scrittura, ne faceva fuori sei bottiglie. E se nei suoi libri poi troviamo i risultati… «È un vino rosso cordiale come un fratello con cui si va d’accordo » , così il colonnello Cantwell, personaggio protagonista del romanzo “Di là dal fiume e tra gli alberi” fa il sommelier. Quei vini non si trovavano nell’Acciaroli degli anni Cinquanta e lo scrittore americano, se tanto da tanto, per questo se ne andò. Nel frattempo accumulò materiali per quel romanzo che stava meditando nella testa e non sappiamo se quella frase struggente: “L’uomo non è fatto per la sconfitta”, dice Santiago mentre si prepara a combattere contro gli squali, ” si può uccidere un uomo ma non sconfiggerlo” l’abbia pensata durante il soggiorno cilentano oppure altrove. In queste parole c’è l’essenza della cilentanità. Il mare, a Pollica, dà ancora da vivere? In estate i 2700 abitanti i diventano trentamila e i venti quintali di rifiuti giornalieri, duecento, e un poco le sta cambiando i connotati. Nel porticciolo i pescherecci sono sempre di meno, messi in un angolo dai diportisti. Ernest vi ritrovò davvero certe atmosfere e certi tipi umani? “Era un vecchio, che pescava da solo in una piccola barca nella corrente del golfo… Il vecchio era magro e secco, con profonde rughe sul collo… Tutto in lui era vecchio tranne gli occhi, e loro avevano lo stesso colore del mare ed erano vispi ed imbattuti.” Nelle prime pagine del suo bestseller “Il vecchio e il mare“, questo è il pescatore Santiago, un vecchio cubano. Ma i cilentani sono sicuri che possa essere stato uno di loro. Masarone, per esempio.

”Il prossimo anno organizzeremo un dibattito pubblico su Hemingway. È giunto il momento di fare chiarezza” Le parole di Angelo Vassallo, sindaco di Acciaroli, si mischiano al suono cupo dei tuoni che rimbombano in mezzo al mare. Tempesta al largo. ”Non ci prende” , scommette il sindaco pescatore. E difatti, la nuvolaglia nera fila dritto verso sud, a debita distanza dalla terra delle “Cinque Vele”. Al contrario del fantasma di Ernest Hemingway, che si materializza all’improvviso, e torna a salire e a scendere gli scalini dell’albergo ”La scogliera”. Quell’albergo è ancora lì, a pochi metri dal mare. Ha

cambiato gestione, ma tutto il resto è rimasto tale e quale a cinquant’anni fa. Tre piani, l’insegna giusto sopra l’ingresso, i grossi finestroni centrali dai quali si scorge un’ampia scala che si arrampica su per i pianerottoli. Papa, come affettuosamente si faceva chiamare Hemingway, avrebbe alloggiato al secondo piano, insieme alla quarta moglie, Mary, per una ventina di giorni. ”Vede l’ultima finestra a sinistra?”, dice il sindaco, allungando il braccio in direzione dell’albergo ”Quella è la stanza di Hemingway”. Peccato non poterla visitare. È occupata. Ma tutti dicono che anch’essa, a parte il letto e l’armadio, non è cambiata per niente. Papa il macho, il toreador, il soldato, l’inviato di guerra, Papa il beone è stato qui. La gente del posto ne parla senza che li sfiori l’ombra del dubbio. Eppure, parlano tutti per sentito dire, ormai. Chi lo ha, meglio ancora chi lo avrebbe conosciuto, è morto da anni. Tutti tranne uno. Gira in Vespa alla veneranda età di 85 anni ed è stufo di rispondere alle domande dei giornalisti. La prima intervista l’ha rilasciata ai giapponesi, verso la fine degli anni ’50 e, da allora, ripete ostinatamente la sua versione dei fatti, senza cambiarla di una virgola. ”Se ne stava tutto il giorno sulla darsena, in attesa dell’ arrivo di noi pescatori. – ribadisce per l’ennesima volta Zì Achille Di Matteo, occhi vispi e baffoni brizzolati e puntuti, il viso spaccato dagli schiaffi della salsedine – Quando ormeggiavamo, gettava via i sandali e s’infilava in acqua per vedere il pescato e sentire le nostre storie di mare. Poi tirava fuori un taccuino e si metteva a scrivere. Se ne stava tutto il giorno sulla darsena o davanti al bar del porticciolo con un bicchiere di qualcosa in mano.

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Non faceva che prendere appunti e bere e girare su e giù per la darsena.” Racconto convincente, in sintonia perfetta con l’immagine che di sé ci hanno lasciato Hemingway e quelli che l’hanno conosciuto, se non fosse che a conferma del passaggio dello scrittore ad Acciaroli non c’è uno straccio di prova. Né uno scritto, né una foto, né un accenno di Hemingway con chicchessia, negli anni successivi. Eppure, tra il novero di chi crede alla storia di Hemingway da queste parti si conta un nome al di sopra di ogni sospetto: Sean Hemingway, nipote dello scrittore, che nel luglio di tre anni fa, ripercorrendo le tappe italiane del nonno, puntò dritto sul Cilento, per visitare di persona il comune di Pollica-Acciaroli e, stavolta sì , lasciando un segno del suo passaggio: un libro di memorie di guerra del nonno con tanto di dedica a Zì Achille e firma in calce. ”Acciaroli non ha bisogno di alcuna pubblicità”’, rispondeva due anni fa il sindaco Vassallo a Fernanda Pivano, icona italiana della Beat Generation nonché traduttrice di Hemingway in Italia, che dalle colonne di un quotidiano aveva decisamente negato la possibilità di un viaggio dello scrittore dell’ Illinois così in fondo allo stivale. Erano i giorni immediatamente successivi all’ultima iniziativa dell’amministrazione del centro cilentano in onore del suo ospite più illustre: un cartello all’ ingresso del paese sul quale spiccavano il volto barbuto dello scrittore e la scritta a caratteri cubitali ”Acciaroli, il paese di Hemingway”. ”Fu la volta che la Pivano andò in bestia – ricorda a distanza di tre anni Domenico Palladino, consigliere comunale con delega al Porto – Eppure, io continuo a credere ai miei concittadini e alle parole di Zì Achille. Perché dovrei dar retta alle dichiarazioni della Pivano? Ben venga un dibattito pubblico per chiarire una volta per tutte questa storia”. ”E se non sarà fatta chiarezza – aggiunge il sindaco – avremo almeno contribuito ad onorare la

memoria di uno dei più grandi scrittori del XX secolo.” E dunque, Vassallo è già al lavoro ”Contiamo nella partecipazione dei massimi esperti italiani e stranieri sulla vita e l’opera di Hemingway. Crediamo di poter realizzare un vero e proprio evento culturale, di questo potete essere certi”. Intanto, l’orizzonte marino è di nuovo sereno. Un rosso tramonto attende Acciaroli, mentre un vecchio si piega a raccogliere le reti, e subito viene in mente quella storiella che, da queste parti, si tramandano di padre in figlio. La storia di un pescatore di Acciaroli di nome Masarone, detto il vecchio, che avrebbe ispirato il romanzo ”Il vecchio e il mare”. Peccato che il libro sia stato pubblicato nel 1952 e che proprio in quell’anno Hemingway abbia messo piede ad Acciaroli. ”Beh, non siamo proprio sicuri che fosse il ’52 – ribatte prontamente un giovane pescatore del posto – Forse Hemingway venne qui nel 51, o nel 50, o giù di lì ” Giusto, non fa poi una grande differenza. Insomma, aggrapparsi al territorio, a tutte le sue offerte per farle fruttare. E’ questo il senso di quest’ultima baruffa cilentana. «E intanto continuare a fare la guardia al paese, a costo di risultare impopolare», spiega Vassallo. «Il traffico rischia di strozzare Acciaroli? Si chiude il centro storico, anche se ai commercianti non va bene. L’albergo di tradizione non è a posto e qualche turista si lamenta? Gli mando i controlli dell’Asl. Quando, ancora anni fa, sul lungomare circolava brutta gente, chiesi alle Poste di sapere quante lettere partivano da Pollica per le carceri italiane, perché c’era il rischio reale che certi parentati volessero piazzarsi qui. Beh, hanno sloggiato. Adesso, la sera, non gira più strana gente». Al massimo, qualche cinghiale sulla battigia. Racconta ancora Aldo De Francesco: “Fiocinatore senza rivali, stanava polpi a profondità impossibili; nel lancio du jaccio, rete da

pieno di cefali, era più esperto di un buttero. Durante l’inverno, in vasci e purtuni, nei cunti della gente, intenta a riempire vasetti di acciughe, si contendeva i primati marinari con i mitici pescatori cilentani: Ciccio Prota, Tanino ’u Ndilliano di Scario, ’u cullega Peppe Vassallo di San Marco, Miniello di Agropoli. Volti solcati da marosi, spugne di vento, gente che Hemingway interrogava ad Acciaroli, dicono, fortemente incuriosito dalla morca, otre di olio attaccato alla barca, da cui scorre una lenta scia per scrutare meglio i fondali”. Ecco, la questione Hemingway è chiusa. Il fatto: Ernest Hemingway ha soggiornato nell’unica locanda di un minuscolo borgo marinaro del Cilento e, affascinato dalla vita di un anonimo pescatore del luogo, detto ” ‘U viecchiu“, ne ha seguito le abitudini quotidiane accompagnandolo, di giorno, a pescare con il suo piccolo gozzo, e fermandosi la sera a dialogare con lui davanti al porticciolo del paesino. Con sé aveva una

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cassa di Amarone, il suo vino preferito. Poi il vino finì. Da questa breve ma intensa esperienza nacque “Il vecchio e il mare”, il capolavoro grazie al quale lo scrittore americano ottenne il Premio Nobel per la letteratura nel 1954. Se Hemingway non avesse terminato le casse di amarone, molto probabilmente non avrebbe lasciato il porto di Acciaroli e lì avrebbe terminato la stesura de: ”Il vecchio e il mare”. Pare sia stata proprio la ridente località cilentana, con il suo accogliente porto, ad ispirare lo scrittore americano. Al centro del libro c’è la circostanza che vede da 82 giorni Santiago che non riesce a prendere un pesce e per questo viene abbandonato anche da Manolo, il ragazzo a cui ha insegnato a pescare e a cui è legato da profondo affetto. Così, l’83° giorno, Santiago prende il mare da solo. All’improvviso un enorme pesce abbocca all’amo e trascina la barca a largo. Dopo una terribile lotta durata tre giorni e tre notti, il vecchio ha finalmente la meglio sul pesce, lo uccide e lo affranca alla fiancata della barca. Nel viaggio di ritorno però è assediato dagli squali che, un pezzo alla volta, gli strappano il bottino, lasciandogli tra le mani un simbolico scheletro. Quando Santiago, sfinito, rientra in porto, del pesce non resta che la testa e la lisca. Altre verità è quella di Mario Petillo in “Acciaroli, il paese dove Hemingway non tornerebbe”.

Ci piace rilevarne il contenuto. Estate, è tempo di migrare, in terra di mare è ora di andare. Parafrasando poemi ben più aulici, così si può riassumere l’esodo estivo di cui tanto i media amano parlare giunti i mesi festivi e oramai da tempo il dirigersi dei vacanzieri ha come meta il mare, spesso preferito alla frescura della montagna. Un’identica decisione viene presa dai “grandi” dei nostri tempi che vanno a scegliere le mete più ambite in questi periodi: da Forte dei Marmi fino alle coste d’alto livello, senza dimenticare quella che da diversi anni è catalogata dalle guide nazionali come prima spiaggia d’Italia, Acciaroli. Il paese di Hemingway – Ripeti una bugia all’infinito e prima o poi diventerà

una verità, azzardò a dire un giorno Goebbles, eroe della propaganda nazionalsocialista in tempi di Hitler, e sicuramente in molti potrebbero ripensarci arrivando ad Acciaroli. Il paese di Hemingway ogni anno si spoglia della sua reale condizione di paesino abbastanza indietro con i tempi e per questo ancora ameno e si veste di palcoscenico per la summa di Hemingway, il Vecchio e il Mare, che, secondo gli autoctoni più legati alle leggende, lo scrittore americano partorì in questa terra dopo aver conosciuto un uomo, apostrofato come il vecchio, che fece della sua vita una continua lotta con il mare. Ovvio che lottare per dimostrare il falso sarebbe sconveniente e comunque inutile, mentre continuare a giostrarsi di questa realtà rende sicuramente più alta l’illusione che si regala a chi giunge sulle coste di Acciaroli, frazione del comune di Pollica, situato in provincia di Salerno, nel Cilento, al di qua dell’Alento. Ad oggi però supponiamo sia una comune opinione, o quantomeno dei più che amano rendersi conto della realtà, che Ernest Hemingway, dovesse giungere in queste ore ad Acciaroli, di sicuro non sosterebbe per più di pochi minuti. Ad onor di mutande e panettoni – Lungi dall’essere una critica gettata al vento e ben più vicina all’essere una critica pungente nei confronti della condizione del paese attualmente.

Tralasciando per un attimo le differenze che sorgeranno in seguito tra quel che fu e quel che è e magari anche quel che sarà tal posto ameno, rendiamo onor di cronaca riportando le situazioni attuali del borgo cilentano: sempre più richiesto e ricercato, Acciaroli si fregia della bandiera delle Cinque Vele e il titolo di prima spiaggia d’Italia, come dichiarato in apertura di articolo e dalla Lega Ambiente, e di conseguenza non

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INFOSCUOLA , N° 3 – MARZO 2018

potrebbe di certo sfuggire ai vip più in attesa di riscatto o di fare scena. Ecco che al porto si blocca il mondo intero, tutti in attesa sull’orlo della strada con tutte le barche che fanno strada e si aprono come se stesse giungendo il Mosè degli yacht: è giunta a noi una casa galleggiante, riporta il nome di Duca di Castiglia VI, rossa come una Ferrari, non grande come l’Eclipse di Abramovich ma di sicuro tendente a quelle condizioni. Appartiene al gruppo della Yamamay, si dice, e il popolino va in estasi siderale, i bar puliscono i tavolini, le pizzerie cacciano i propri clienti, i ristoranti chiudono le cucine e lavoreranno solo per coloro che firmano la loro biancheria intima. Passano pochi giorni e in paese, nel dì di festa, la seconda domenica di Agosto, quando c’è da portare Maria per mare, il popolino si raduna nella piazza, grande poco più di un atrio scolastico: saldi estivi o giocoliere dell’ultimo minuto o uomo che mangia il fuoco? Niente di tutto ciò, bensì Massimo Boldi, approdato con la sua imbarcazione azzurrina, La Cipollina, e che con i suoi occhiali da sole scruta contento e soddisfatto la folla che lo guarda e ammira e sotto i baffi occhieggia: sfoggia la sua nuova compagna, di lustri più giovane e più piacente, e rimane colpito da un uomo in bianco con un clarinetto in mano.

La banda, sì, forse una novità per lui. Le strade si aprono, i bar si puliscono e si liberano, il porto si ferma, il pubblico è in disibilio. Giubilo e letizia per i commercianti. Morimmo tutti quanti a stento – Si vantano di aver accolto un premio Nobel per la letteratura, in fin dei conti, di aver ispirato il suo masterpiece, dopotutto, e si ritrovano ad ospitare i vip che si meritano, infine. Eppure in molti, sfido a dimostrare il contrario, si ricorderanno di un paese gentile e affabile, timido e ameno, che si raggiungeva dopo tante curve in una strada poco agevole, che ti accoglieva col silenzio della disabitazione e col rumore della natura che rieccheggiava libera: la sera potevi sederti dove preferivi e venivi trattato con gentilezza e sempre con piacere, perchè eri un turista, un visitatore, un apprezzatore di quella località, o quantomeno un cliente, un banale cliente, ma pur sempre un cliente. Ora invece se ti accomodi per una pizza hai pochi minuti di tempo per consumarla, altrimenti è meglio che resti a casa a mangiare, perchè i locali non possono aspettare che tu, tra un boccone e l’altro, voglia sorseggiare dell’acqua o conversare con i tuoi compagni di cena o pranzo che sia. Se ti rechi al bar e necessiti di una sedia in più, assicurati di consumare il più costoso pezzo dell’offerta che possa quindi equiparare lo sforzo dell’averti ceduto un coperto in più, un coperto che poteva servire, che so, per far sedere Stephen Meyer, o Paolo Giordano tanto per dire, ma comunque una persona che sperano potesse giungere ai loro lidi. Dopotutto a fine estate chiuderanno questi locali e l’anno successivo saranno ancora più attrezzati per ricevere i vip, le persone che contano, le persone che sfruttano la località nel momento di grande splendore: i turisti invece, quelli normali e banali, quelli che hanno contribuito alla crescita del paese, lasciamoli da parte, che se ne vadano in fretta, che paghino la loro pizza e liberino il passaggio. Hemingway non tornerebbe, statene certi, e tutto ciò meriterebbe ben più che di un migliaio di parole, ma diverrebbe lungo e prolisso, stancante e banale, e noi di dare importanza a situazioni così tristi e spiacevoli ne dovremmo avere fin sopra la forfora. Esistono realtà genuine, esistono bellezze oggettive e assolute, esistono poi i modi per rovinarli: saccenza, superbia, maleducazione, parola tanto banale quanto ottima in questo momento, forse la migliore. Poi c’è un amico che giunto in questi tempi dichiara “ho avuto la fortuna di vedere Acciaroli nel suo momento più ameno” e ti viene la malinconia. Poi c’è una persona che da tempo ha trasmesso una realtà a tutti noi: “Si è persa una dimensione”. Poi c’è Acciaroli, che ieri amava i suoi turisti gestita dagli acciarolesi, oggi cerca solo i vip gestita dagli acciarolesi che ingaggiano persone che ostentano a parlare l’italiano, domani potrebbe esserci qualsiasi cosa.

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INFOSCUOLA , N° 3 – MARZO 2018

Non riteniamo trascurabile poi il contributo di Giuseppe Galato. Questi segnala una realizzazione filmografica. Da un'idea di Andrea Marrocco nasce il film "Il sindaco, il vecchio e il mare", «dialogo tra Vassallo (interpretato da Massimo Wertmuller) ed Hemingway (Lucio Allocca)». Partendo dal presunto soggiorno di Hemingway ad Acciaroli («Vassallo amava spesso dirmi - dice il regista - "fai quello che vuoi ma non dire che non è mai stato qui"»), Marrocco, figlio di padre originario di Pollica, traccia un excursus che dall'autore de "Il vecchio e il mare" (qualcuno dice ispirato proprio ad un pescatore della zona) arriva fino all'impegno politico di Angelo Vassallo, sindaco di Pollica assassinato il 5 settembre 2010.

Il film è un modo per tracciare e portare su schermo «l’impegno di Angelo, il suo modo di fare politica, il suo approccio alla difesa del territorio. Provo sdegno per quello che è successo. Credo che abbia pagato per il suo modo di essere, per quel desiderio forte di difendere questo territorio» Dario Vassallo, fratello del “Sindaco pescatore”, Angelo, nel suo libro dal titolo “Il Sindaco pescatore”, riserva uno spazio breve alla figura di Hemingway, in congiuntura con la politica locale di Angelo. “…Anche Hemingway. era un pescatore, diverso da Angelo, ma pur sempre un pescatore. C’è un avviso, io lo chiamo così, all’ingresso di Acciaroli, in cui si racconta una storia che può essere vera oppure una dolce favola. Vi si narra che fu ad Acciaroli, negli anni Cinquanta, Hemingway, ideò e forse scrisse Il vecchio e il mare. (…) Fu Angelo a volere quell’avviso. (…) Hemingway e Il vecchio e il mare diventavano anch’essi una realtà su cui contare, da far valere con legittimo orgoglio. Il punto sperduto nel cuore del paese e del continente riprendeva ad avere un nome anche fuori dei confini, si apriva al mondo e il mondo mostrava di gradirlo. Angelo aveva tolto il velo, interrotto la lunga, lenta agonia dei secoli, l’immobilismo che può trasformare un paesaggio da sogno in un antico quadro polveroso, che nessuno ormai più apprezza perché venato di miseria, sonnolenza, fatalismo…”

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