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Tribunale di Lanusei n. 152/07 R.G. LAVORO REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI LANUSEI Il Giudice del Tribunale di Lanusei, dott. Sebastiano Napolitano, in funzione di Giudice del lavoro, ha pronunciato all’udienza del 31 marzo 2009 la seguente S E N T E N Z A nella causa civile iscritta al n. 152/2007 R.G. LAVORO, vertente TRA XX rappresentato e difeso dall’avv. Marco Contini, come da procura a margine del ricorso, presso il cui studio è elettivamente domiciliato, in Lanusei, al viale Europa, n.37, RICORRENTE E Il Giudice del lavoro Dott. Sebastiano Napolitano 1

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REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE DI LANUSEIIl Giudice del Tribunale di Lanusei, dott. Sebastiano Napolitano, in funzione di Giudice del lavoro, ha pronunciato all’udienza del 31 marzo 2009 la seguente

S E N T E N Z Anella causa civile iscritta al n. 152/2007 R.G. LAVORO, vertente

TRA XX

rappresentato e difeso dall’avv. Marco Contini, come da procura a margine del ricorso, presso il cui studio è elettivamente domiciliato, in Lanusei, al viale Europa, n.37,

RICORRENTE E

YY, rappresentata e difesa dall’avv. Donato Marongiu, giusta procura a margine della memoria difensiva, presso il cui studio è elettivamente domiciliato, in Lanusei, alla via Cardudcci, n.45,

CONVENUTO

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Oggetto: Quantificazione danni da infortunio sul lavoro a seguito di accertamento penale. Riconoscimento provvisionale.

CONCLUSIONIPer il ricorrente: determinare l’esatto ammontare dei danni tutti occorsi e/o occorrenti, biologici, morali, esistenziali, patrimoniali, ecc., subiti e subendi dal dipendente della società YYSrl, con sede in ++ nella loc. +++ XX, a seguito dell’incidente occorso, alle ore 16 circa, nel cantiere in essere per l’edificazione della Chiesa di +++++ di +++ in data 31 gennaio 1997, la cui responsabilità esclusiva è da imputarsi alla società resistente, così come già accertato con sentenza n.418 della Corte d’Appello di Cagliari, in data 10 maggio 2006, passata in giudicato in data 9 ottobre 2006, nella misura che verrà determinata in corso di causa e comunque superiore a €.50.000, come indicato dalla Corte suindicata; per l’effetto condannare la YY Srl, in applicazione degli artt.2043, 2049, 2056 e 2087 c.c., secondo quanto accertato con la citata sentenza passata in giudicato e pronunciata dalla Corte d’Appello di Cagliari in data 9 ottobre 2006, al risarcimento dei danni tutti, biologici, morali, esistenziali, patrimoniali, ecc., derivati e derivandi al ricorrente XX da liquidarsi

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nella misura che verrà determinata in corso di causa e tenuto conto della documentazione medico-legale e delle determinazioni e consulenze effettuate nel corso del procedimento penale, comunque non inferiore ad €.50.000,00 oltre rivalutazione ed interessi sino al saldo effettivo; condannare il convenuto al pagamento delle spese, competenze, onorari di giudizio oltre IVA e CPA.Per la società convenuta: accertare prescritto il diritto al risarcimento di tutti i danni richiesti da XX nel presente giudizio a seguito dell’infortunio sul lavoro occorsogli il 31 gennaio 1997; nel merito: rigettare la domanda poiché infondata ed in ogni caso non provata nelle sue voci di danno richieste; in via subordinata: accertare il concorso di colta del lavoratore XX nell’infortunio-occorsogli e condannare la resistente società alla somma che sarà accertata in corso di causa così come diminuita della percentuale di responsabilità a carico del lavoratore che il Tribunale riterrà equa; con vittoria di spese.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSOCon ricorso depositato in data 13 dicembre 2007,

la parte ricorrente di cui in epigrafe, sulla premessa di essere stato assunto, il 14 settembre 1994, con contratto a tempo indeterminato della Società

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convenuta, in qualità di muratore, adiva l’intestato Tribunale, in funzione di Giudice del Lavoro, esponendo:

-che in data 31 gennaio 1997, presso il cantiere aperto per l’edificazione della Chiesa di **, in località ** di **, mentre lavorava alle dipendenze della Società YY Srl riportava un infortunio sul lavoro;

- che, invero, per la mancata predisposizione, da parte del datore di lavoro, dei più elementari presidi di sicurezza, precipitava da un ponteggio realizzato per la costruzione della volta e batteva violentemente il capo;

- che in conseguenza dell’infortunio veniva ricoverato presso il nosocomio di Lanusei dove gli veniva diagnosticato un “trauma cranico in regione temporo-parietale destra…contusione spalla destra”;

- che in sede di processo penale in data 12 febbraio 2001 si costituiva parte civile per ottenere il risarcimento dei danni e chiedeva ed otteneva la chiamata in giudizio della Società odiernamente convenuta quale responsabile civile;

- che la chiamata in giudizio del responsabile civile veniva effettuata in data 30 gennaio 2002 e la citazione, con la compiuta integrazione del contraddittorio avveniva in data 4 marzo 2002;

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- che il Tribunale di Lanusei con sentenza del 28 gennaio 2005, riconosceva la penale responsabilità di **, ma non provvedeva in ordine alla richiesta di provvisionale;

- che appellata la sentenza, la Corte di Appello, con sentenza del 10 maggio 2006, passata in giudicato il 9 ottobre 2006 condannava in solido al pagamento della provvisionale nella misura di €. 20.000,00, per i danni subiti in conseguenza dell’infortunio sia ** che la società YY Srl.

Su tali premesse, il ricorrente rassegnava le conclusioni in epigrafe trascritte.

L’udienza veniva differita d’ufficio al 27 maggio 2008.

La ditta convenuta ritualmente citata si costituiva in giudizio, in data 28 marzo 2008 eccependo in via preliminare la prescrizione del diritto e sostenendo, con varie argomentazioni, la infondatezza della domanda attorea della quale chiedeva il rigetto.

All’udienza dell’1 luglio 2008 veniva disposta CTU. Il CTU chiedeva quattro proroghe per il deposito della relazione peritale, attesa la particolare complessità. Depositato l’incarico peritale il 10 marzo 2009, all’udienza del 31 marzo 2009 la causa veniva discussa.

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Sulle conclusioni indicate nell’atto introduttivo veniva decisa come da separato dispositivo, allegato agli atti, di cui veniva data pubblica lettura al termine della camera di consiglio.

MOTIVI DELLA DECISIONEIl presente giudizio ha ad oggetto la sola

quantificazione da danno a seguito di una condanna generica al risarcimento resa in via solidale, dalla Corte d’Appello, a carico dell’imputato e del responsabile civile, odierno convenuto.

Preliminarmente devono esser precisati i contenuti della sentenza resa nel giudizio penale celebrato a carico di ** in relazione ai fatti dei quali si tratta nell’attuale giudizio e i loro effetti nel processo civile.

Sotto il primo profilo, dagli atti depositati dalla parte ricorrente (cfr. lett. P), T) della relativa produzione) , risulta:che ** veniva riconosciuto colpevole in primo grado, con sentenza n.19 del 28.1.2005 (proc. pen. 939/00 RG Tribunale di Lanusei, in cui si costituiva come parte civile XX che chiamava in causa la società YY srl, odiernamente convenuta, in persona del suo legale rapp.te p.t., in qualità di responsabile civile) per il reato di cui all’art.590 c.p., per non aver rispettato le norme che regolano la prevenzione degli

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infortuni sul posto di lavoro, in particolare per non aver fornito agli operai impiegati nel cantiere della erigenda Chiesa di**, caschi di protezione del capo, ed inoltre per aver omesso di assicurare e verificare l’idoneità e la sicurezza del piano di calpestio dei ponteggi, in tal modo cagionando al X lesioni personali colpose;che a seguito di appello dell’imputato e della parte civile, la Corte di Appello di Cagliari, decideva con sentenza n.418 del 10 maggio 2006, (proc. n. 6842/93 R.G. App.) ed in particolare, sulla doglianza, proposta dalla parte civile (la quale si doleva che nella sentenza resa in 1° grado, il Tribunale aveva omesso di pronunciarsi sulla domanda di condanna al risarcimento del danno del responsabile civile in solido con l’imputato), la Corte adita, accoglieva la richiesta e condannava la società YY srl, in solido con **, al risarcimento dei danni in favore della parte civile, da liquidarsi in separato giudizio;che la stessa Corte di Appello sulla domanda di provvisionale accertava che: gli elementi emersi nel giudizio consentono di ritenere dimostrato il danno subito da parte civile, con riferimento al danno biologico definitivo e temporaneo, e al danno morale, con criterio equitativo, quantomeno nella misura

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prudenziale e parziale di 20.000 euro…è innegabile che il danno morale per lunghe e profonde sofferenze patite nel periodo della malattia, acuite dalla sottoposizione al delicato intervento chirurgico, nonché dalla sofferenza che comporta la consapevolezza e la percezione delle limitazioni dovute ai postumi nello svolgimento del lavoro, tanto che a cagione di essi (vertigini e cefalea) XX subì altri infortuni sul lavoro, e la percezione del peggioramento della stessa qualità della vita e delle relazioni sociali anche per i sentimenti d’autosvalutazione riscontrati in conseguenza dell’infortunio, e che il danno biologico temporaneo in ragione della durata della malattia (60 giorni) e soprattutto quello definitivo in ragione della grave lesione definitiva all’integrità psicofisica accertata, non potranno che essere liquidati, secondo un apprezzamento equitativo, in misura notevolmente superiore ai 50.000 euro. Pertanto deve ritenersi provato il danno nella misura prudenziale, come detto, quanto meno di 20.000 euro, tenuto anche conto del lungo tempo trascorso dal fatto e, quindi, della stessa incidenza del conteggio degli interessi legali e del maggior danno da ritardo nella corresponsione. In tale misura (€.20.000,00) deve

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esser posta la provvisionale immediatamente esecutiva, (solidalmente) a carico dell’imputato e della società YY srl, responsabile civile”.

Con riguardo all’efficacia della sentenza, si rileva che la sentenza resa nel giudizio penale sugli interessi civili è pronunzia su una azione civile, che può essere proposta, per libera scelta della persona offesa, davanti al giudice civile o nel processo penale od anche trasferita dal giudizio civile al giudizio penale, secondo quanto dispone l’art. 75 c.p.p.

Come è noto, a seguito dell’esercizio della azione civile nel processo penale, con la costituzione di parte civile della persona offesa, la sentenza contiene congiuntamente le statuizioni di natura penale e i provvedimenti definitivi sulla azione civile, concettualmente distinti e collegati soltanto in fatto.

Nella fattispecie di causa le statuizioni civili, con la condanna generica al risarcimento del danno in solido tra l’imputato, **, e la responsabile civile, società YY srl, in persona del legale rappresentante p.t., in favore di XX, sono divenute definitive.

Peraltro, a prescindere dal rilievo assorbente dei principi appena esposti, deve darsi conto che, anche in concreto, la Corte d’Appello ha esaminato le statuizioni civili della sentenza, riconoscendo la

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responsabilità civile e la conseguente provvisionale sulle seguenti motivazioni: “la normativa antinfortunistica mira a salvaguardare l’incolumità del lavoratore non soltanto dai rischi derivanti da accidenti o fatalità, ma anche da quelli che possono scaturire da sue stesse avventatezze, negligenze e disattenzioni, purchè normalmente connesse all’attività lavorativa, cioè non esorbitante nel procedimento di lavoro…nel caso di specie dalle deposizioni dei testi, emerge in modo certo, univoco ed in equivoco che l’infortunio occorso a XX, mentre era addetto alle sue mansioni ordinarie, dipese unicamente dalla mancata adozione delle misure di sicurezza indicate nel capo di imputazione. Esattamente si verificò per l’assenza nel ponteggio dei tavoloni antisdrucciolo che avrebbero impedito al XX di scivolare mentre prendeva i blocchetti, delle cinture di sicurezza, che gli avrebbero impedito di cadere dal ponteggio, non rilevando che operasse a circa 1,80/2 metri dal suolo, e del casco che gli avrebbe impedito di battere la testa al suolo con conseguenze pregiudizievoli. Non è, invece, ravvisabile alcun comportamento colposo della persona offesa che non avrebbe, comunque, ad escludere la responsabilità penale dell’imputato, ma

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inciderebbe sulla misura del risarcimento dei danni. Ed, infatti, lo scivolamento sul ponteggio non fu neppure causato da qualche manovre avventata di XX, giacchè come spiegò il teste ++ egli scivolò su un pannello, sicuramente per la presenza di pezzi di blocchi sul ponteggio residui della lavorazione effettuata col mazzuolo…”.

L’accertamento - contenuto nella sentenza penale irrevocabile suindicata - della sussistenza di un fatto dannoso, della esistenza di un nesso causale tra l’illecito ed il pregiudizio sofferto dall’istante spiega, dunque, ex art. 651 c.p.p., efficacia vincolante nel presente giudizio.

Deriva da quanto precede che non sono pertinenti all’oggetto dell’attuale giudizio né le deduzioni sulla carenza di legittimazione passiva della parte resistente, né le richieste istruttorie articolate, in quanto concernenti la dinamica del sinistro e dunque l’an della responsabilità, per il quale è stata già resa pronunzia di accertamento.

Priva di pregio è anche l’eccezione di prescrizione sollevata nella memoria difensiva e di costituzione (da ritenersi tempestivamente proposta, in quanto la prima udienza fissata nel decreto depositato il 18 dicembre 2007 è stata differita d’ufficio con

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provvedimento depositato il 21 febbraio 2008 -cfr. Cass. SS.UU. 20 giugno 2007, n.14288), in quanto la pronuncia resa dalla Corte di Appello, che condanna il responsabile civile, YY s.r.l.,in persona del legale rappresentante p.t., al risarcimento dei danni, in solido con l’imputato, in favore della parte civile, odierna ricorrente, da liquidarsi in separato giudizio, è stata resa il 10 maggio 2006, ed il ricorso è stato depositato il 13 dicembre 2007.

Si evidenzia, in ogni caso, che il termine di prescrizione in relazione, come nel caso in esame, alla richiesta di risarcimento del danno biologico, quale conseguenza di un infortunio imputabile alla violazione del disposto di cui all’art.2087 c.c. è quello ordinario, decennale, vertendosi in un’ipotesi di responsabilità contrattuale.

Nel procedimento “de quo”, indi, occorre soltanto verificare la definitiva misura dei danni conseguenti all’infortunio di cui è causa, sostanziatisi, secondo la prospettazione di parte attorea, in danni patrimoniali, biologico, esistenziale e morale.

Quanto al danno biologico, va rilevato che dalla documentazione medica in atti emerge che il X, che aveva 37 anni all’epoca dell’infortunio, ha subito in conseguenza dello stesso “trauma cranico encefalico

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con ematoma epidurale dx trattato chirurgicamente, con conseguente sindrome del traumatizzato cranico”.

Circa la quantificazione dei postumi incidenti sull’integrità psico-fisica della persona, ritiene questo giudicante di dover far proprie le conclusioni cui è giunto il CTU nella relazione in atti, che appare immune da vizi logici e pienamente compatibile con il restante materiale in atti e ben più convincente delle deduzioni dei CTP. Da tale CTU si evince che, in conseguenza dei postumi stabilizzati e per la concorrenza delle diverse patologie indicate in relazione alla quale si rinvia sul punto, è residuato un danno biologico complessivamente valutabile nella misura del 10%.

La metodica di liquidazione preferibile - esclusa l’applicabilità al danno biologico dell’art. 4 legge n. 39/1977 (triplo della pensione sociale) riguardante il danno patrimoniale (Cass. civ. 18 settembre 1995, n. 9828; Cass. civ. 9 dicembre 1994, n. 10539; Cass. civ. 18 febbraio 1993, n. 2008) – è quella del punto tabellare (o metodo milanese) che – predisposto in modo che il valore del punto (e quindi il risarcimento) venga determinato seguendo un criterio progressivo, in relazione alla gravità della menomazione permanente, ed uno regressivo, in relazione all’età del

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danneggiato - appare perfettamente aderente alle indicazioni fornite dalla Corte Costituzionale in tema di liquidazione del danno biologico, secondo cui il criterio liquidativo dovrebbe risultare “ rispondente da un lato ad una uniformità pecuniaria di base e dall’altro ad elasticità e flessibilità per adeguare la liquidazione del caso di specie all’effettiva incidenza dell’accertata menomazione sulle attività della vita quotidiana, attraverso le quali, in concreto, si manifesta l’efficienza psico-fisica del soggetto danneggiato” (Corte Costituzionale sentenza 14.07.1986 n. 184).Tale criterio di liquidazione del danno biologico,

inoltre, non muta pur a seguito del nuovo orientamento della Suprema Corte sulla portata dell'art. 2059 c.c. espresso da Cass. Civ. 31.5.2003, n. 8827 e Cass. Civ. 31.5.2003, n. 8828 (già espresso, peraltro, da Cass. Civ. n. 16525/2003. cfr. le rispettive motivazioni), per cui nell’ambito del danno non patrimoniale rientrano anche i casi di danno da lesione di valori della persona umana costituzionalmente protetti, non potendo il legislatore ordinario rifiutarne la riparazione mediante indennizzo, che costituisce la forma minima di tutela di tali valori.

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Infatti, una volta esattamente ritenuto che il concetto di danno non patrimoniale, a cui testualmente fa riferimento l’art. 2059 c.c., non si identifichi con la formula tradizionale riduttiva di danno morale subiettivo (sofferenza o patema d'animo), limitazione estranea alla lettera della norma, ed una volta ritenuto che la lettura costituzionalmente orientata della norma comporti che, per il principio della gerarchia delle fonti, il legislatore ordinario non possa limitare, ai soli casi previsti dalla normativa ordinaria, il risarcimento della lesione dei valori della persona umana ritenuti inviolabili dalla Costituzione, ne consegue che non vi è più la necessità di allocare la tutela del danno biologico nell’art. 2043 c.c..

Riportata, quindi, la responsabilità aquiliana nell'ambito della bipolarità prevista dal codice vigente tra danno patrimoniale (art. 2043 c.c.) e danno non patrimoniale (art. 2059 c.c.) e ritenuto che il danno non patrimoniale sia risarcibile non solo nei soli casi previsti dalla legge ordinaria, ma anche nei casi di lesione di valori della persona umana costituzionalmente protetti, secondo la recente suddetta interpretazione dell'art. 2059 c.c., poiché il danno biologico, quale danno alla salute, rientra a pieno titolo, per il disposto dell'art. 32

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Cost., tra i valori della persona umana considerati inviolabili dalla costituzione, e poiché detta norma (come anche le altre che attengono a diritti inviolabili della persona) non solo ha efficacia precettiva nei confronti dello Stato ma è anche immediatamente efficace tra i privati (secondo la teoria cd. della "drittwirkung"), ne consegue, per coerenza del sistema, che la sua tutela è apprestata dall'art. 2059 c.c. e non dall'art. 2043 c.c., che attiene esclusivamente ai danni patrimoniali.

Ne deriva che, anche a seguito del nuovo inquadramento della tutela del diritto all'integrità psicofisica della persona umana nell’ambito del combinato disposto degli artt. 2059 c.c. e 32 Cost., rimangono validi, come recentemente chiarito dalla Suprema Corte (cfr. Cass. Civ. n. 3399/2004), i principi già elaborati dalla stessa Corte per il risarcimento del danno biologico.

Per quanto attiene, invece, al danno morale soggettivo, che tradizionalmente veniva fatto coincidere con un pati, cioè con la sofferenza interiore per sua natura transeunte, occorre evidenziare come le recentissimamente Sezioni Unite della Cassazione - Cass.SS.UU. dell’11 novembre 2008, n.26972 – hanno

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ritenuto che, nell’ambito di una ricostruzione bipolare della responsabilità aquiliana, vada abbandonata l’autonoma categoria del danno morale e la sofferenza morale vada ricondotta nell’ambito della categoria generale del danno non patrimoniale (cfr. in motivazione in particolare ha chiarito sotto tale profilo il supremo giudice di nomofilachia che: viene in primo luogo in considerazione, nell'ipotesi in cui l'illecito configuri reato, la sofferenza morale. Definitivamente accantonata la figura del ed. danno morale soggettivo, la sofferenza morale, senza ulteriori connotazioni in termini di durata, integra pregiudizio non patrimoniale. Deve tuttavia trattarsi di sofferenza soggettiva in sé considerata, non come componente di più complesso pregiudizio non patrimoniale. Ricorre il primo caso ove sia allegato il turbamento dell'animo, il dolore intimo sofferti, ad esempio, dalla persona diffamata o lesa nella identità personale, senza lamentare degenerazioni patologiche della sofferenza. Ove siano dedotte siffatte conseguenze, si rientra nell'area del danno biologico, del quale ogni sofferenza, fisica o psichica, per sua natura intrinseca costituisce componente. Determina quindi duplicazione di risarcimento la congiunta attribuzione del danno biologico e del danno morale nei suindicati termini inteso, sovente liquidato in percentuale (da un terzo alla

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metà) del primo. Esclusa la praticabilità di tale operazione, dovrà il giudice, qualora si avvalga delle note tabelle, procedere ad adeguata personalizzazione della liquidazione del danno biologico, valutando nella loro effettiva consistenza le sofferenze fisiche e psichiche patite dal soggetto leso, onde pervenire al ristoro del danno nella sua interezza. Egualmente determina duplicazione di risarcimento la congiunta attribuzione del danno morale, nella sua rinnovata configurazione, e del danno da perdita del rapporto parentale, poiché la sofferenza patita nel momento in cui la perdita è percepita e quella che accompagna l'esistenza del soggetto che l'ha subita altro non sono che componenti del complesso pregiudizio, che va integralmente ed unitariamente ristorato.)

Alla luce di tale osservazione, onde evitare una duplicazione di risarcimento attraverso la congiunta attribuzione del danno biologico e del danno morale, quest’ultimo, dunque, non va liquidato in percentuale (da un terzo alla metà) del primo, ma occorre procedere ad un’adeguata personalizzazione della liquidazione del danno biologico, valutando nella loro effettiva consistenza le sofferenze fisiche e psichiche patite dal

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soggetto leso, onde pervenire al ristoro del danno nella sua interezza.

La Suprema Corte, ha anche chiarito che nell’ipotesi in cui il fatto illecito si configuri come reato (poiché la tipicità, in questo caso, non è determinata soltanto dal rango dell’interesse protetto, ma in ragione della scelta del legislatore di dire risarcibili i danni non patrimoniali cagionati da reato –lesioni colpose), è risarcibile il danno non patrimoniale sofferto dalla persona offesa e dagli ulteriori eventuali danneggiati (nel caso di illecito plurioffensivo- Cass.9556/2002), come sofferenza soggettiva cagionata dal reato in sé considerata, meritevole di tutela in base all’ordinamento.

Allegati gli elementi costitutivi della responsabilità –fatto illecito, danno conseguenza, rapporto di causalità tra l’uno e l’altro- attinendo il pregiudizio (non biologico) ad un bene immateriale, il ricorso alla prova presuntiva assume particolare rilievo, e potrà costituire anche l’unica fonte per la formazione del convincimento del giudice (cfr.n.9834/2002).

Ciò premesso, è necessario ancora precisare che, in applicazione della giurisprudenza della Suprema Corte, nella sua composizione più qualificata – cfr. Cass.SS.UU.

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26972, 26973, 26974, 26975 del 2008- cui questo Giudice aderisce con convinzione:

palesemente con meritevoli della tutela risarcitoria, a titolo di danno esistenziale, sono i pregiudizi consistenti in disagi, fastidi, disappunti, ansie ed in ogni altro tipo di insoddisfazione concernente gli aspetti più disparati della vita quotidiana che ciascuno conduce nel contesto sociale, ai quali ha prestato, invece, tutela la giustizia di prossimità. Non vale, per dirli risarcibili, invocare diritti del tutto immaginari, come il diritto alla qualità della vita, allo stato di benessere, alla serenità: in definitiva il diritto ad essere felici. Al di fuori dei casi determinati dalla legge ordinaria, solo la lesione di un diritto inviolabile della persona concretamente individuato è fonte di responsabilità risarcitoria non patrimoniale.

Al danno biologico va riconosciuta portata tendenzialmente omnicomprensiva confermata dalla normativa adottata dal Dlgs n.209/05, recante il Codice delle Assicurazioni private (“per danno biologico si intende la lesione temporanea o permanente dell’integrità psico-fisica della

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persona, suscettibile di valutazione medico-legale, che esplica un’incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di produrre reddito”). In essa sono quindi ricompresi i pregiudizi attinenti agli “aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato”. L’equità consente il ricorso alle cd.tabelle per il ristoro del danno.

È compito del Giudice accertare l’effettiva consistenza del pregiudizio allegato, a prescindere dal nome attribuitogli, individuando quali ripercussioni negative sul valore uomo si siano verificate e provvedendo alla loro integrale riparazione. Il Giudice, però, deve evitare duplicazioni e, per la liquidazione, far riferimento ad un’unica voce di danno non patrimoniale inteso nei sensi descrittivi degli artt.138,139 cod. ass.

Ed allora in un’ottica di adeguata personalizzazione della liquidazione del danno non patrimoniale, valutando nella loro effettiva consistenza le sofferenze fisiche e psichiche patite dal soggetto leso, ed avvalendosi delle

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presunzioni, avendo il danneggiato allegato tutti gli elementi che nella concreta fattispecie siano idoenei a fornire la serie concatenata di fatti noti che consentono di risalire al fatto ignoto, tenuto conto di quanto riportato nelle dette tabelle (in considerazione dell’età dell’infortunato al momento del sinistro: 37 anni), si ritiene equo ex art.1226 c.c. liquidare, a titolo di danno non patrimoniale la somma di €.16.101,00 (per lesione dell’integrità fisica); vanno poi commisurate l’invalidità temporanea totale in €.4.148,40 e quella parziale in €.1382,80 [(30 gg. al 50%=) €.1037,10 + (20gg al 25%=) €.345,70].

Su tale somma si ritiene equo detrarre quanto riconosciuto dall’Inail per le medesime causali (danno biologico ed ITA). Ed invero, come statuito dalla Cassazione, la norma di cui all'art. 10 del d.P.R. n. 1124 del 1965, commi sesto e settimo, prevede che il risarcimento spettante all'infortunato sul lavoro o ai suoi aventi diritto sia dovuto solo nella misura differenziale derivante dal raffronto tra l'ammontare complessivo del risarcimento e quello delle indennità liquidate dall'I.N.A.I.L. in dipendenza dell'infortunio, al fine di evitare una ingiustificata locupletazione in favore degli aventi diritto, i quali, diversamente, percepirebbero, in

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relazione al medesimo infortunio, sia l'intero danno, sia le indennità. Tale danno "differenziale" deve essere, quindi, determinato sottraendo dall'importo del danno complessivo (liquidato dal giudice secondo i principi ed i criteri di cui agli artt. 1223 e segg., 2056 e segg., cod. civ.) quello delle prestazioni liquidate dall'I.N.A.I.L., riconducendolo allo stesso momento cui si riconduce il primo, ossia tenendo conto dei rispettivi valori come attualizzati alla data della decisione. Peraltro, con riguardo al valore capitale delle rendite a carico dell'Istituto, deve tenersi conto, anziché del meccanismo generale di adeguamento degli importi dovuti a titolo di danno al potere di acquisto della moneta, del meccanismo legale di rivalutazione triennale delle rendite previsto dall'art. 116, settimo comma, del citato d.P.R., salva, per la parte non coperta, la rivalutazione secondo gli indici ISTAT (Cass 25.5.2004, n.10035).

Con riguardo alla capacità lavorativa è sempre il decreto legislativo 209/2005 che offre e delimita lo strumento per adeguare il risarcimento, prevedendo che il giudice possa aumentare l’ammontare del risarcimento fino al trenta per cento, con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato (art. 138).

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Ordunque in forza delle considerazioni e delle conclusioni sul punto cui è giunto il CTU appare opportuno, in applicazione dell’art. 138 cit., aumentare del 30% l’importo della suddetta somma (€16.101,00 + €.4.148,40 + €.1382,80 = 21.632,20 + 30% = 6.489,66) ottenendosi quella di €. 28.121,86.

In tal modo resta esclusa ogni duplicazione risarcitoria in quanto il danno alla capacità di reddito è risarcibile solo se vi sia una specifica incidenza della lesione sulla capacità di guadagno del soggetto. Non viene, cioè, in considerazione il concetto di invalidità incidente sulla capacità lavorativa generica; solo alla dimostrazione dell’incidenza dell’invalidità sulla capacità lavorativa specifica e, quindi, alla prova di una reale flessione del reddito lavorativo conseguente all’evento deriva il risarcimento del danno patrimoniale lamentato.

E’ stato, difatti, evidenziato dalla migliore dottrina che la menomazione alla capacità lavorativa sia concetto medico-legale e che solo il danno patrimoniale, quale conseguenza della detta menomazione, sia concetto giuridico, per cui, dovendosi, appunto, tenere distinti i detti concetti, il danno patrimoniale va risarcito solo se si verifichi (e sia provata) una perdita di reddito.

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Quindi, atteso che non si deve confondere la riduzione della capacità lavorativa con il danno patrimoniale da lucro cessante, non può procedersi alla sistematica liquidazione di tale danno ogni qualvolta che si sia accertata una menomazione della capacità lavorativa, senza che, al contempo, sia data la prova, il cui onere incombe all’istante, di una effettiva perdita di guadagno eziologicamente connessa all’evento dannoso (cfr. ex plurimis: Trib. Milano, 29 maggio 1995; Cass., 28 novembre 1988, n. 6403).

Alla luce dell’orientamento prospettato poiché parte attrice non ha dato prova rigorosa di aver riportato a causa dell’incidente de quo alcuna menomazione specifica alla propria capacità lavorativa, specifica nell’accezione sopra intesa (cfr. sul punto l’elaborato peritale), il risarcimento va riconosciuto unicamente in relazione al danno all’integrità fisica (cd.biologico), come in epigrafe già liquidato.

A tali somme vanno aggiunti a ristoro per la sofferenza morale della vittima del reato in conseguenza delle ingiuste lesioni personali subite €. 14.000,00.

Il CTU ha concluso, inoltre, che: “risultano compromesse le capacità di esecuzione dei lavori in altezza ed in condizioni di precario equilibrio (ponteggi

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passerelle, ecc.) in conseguenza dei disturbi soggettivi sviluppati dal periziando rappresentati da fobia ed evitamento di tali particolari esposizioni lavorative. Attualmente il X svolge attività di capo cantiere, a dimostrazione della necessità manifestati di cambiamento di mansioni. Si rileva inoltre danno da cinestesi lavorativa in quanto l’attività lavorativa procura al periziando maggiore affaticamento, con necessità di attingere alle cd energie di riserva ( con la conseguente necessità di tempi più lunghi di riposo) e maggior sforzo psichico.”.

Orbene, con riguardo al danno esistenziale nell’ambito della responsabilità contrattuale del datore di lavoro, la giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass.SS.UU. sent. 6572/06, Cass. sentt.: 4260/07, 5221/07, 11278/07, 26561/07) ha precisato che con la violazione dell’obbligo dell’imprenditore di tutelare l’integrità fisica e la personalità morale del lavoratore (art.2087 c.c.)vengono in considerazione diritti della persona del lavoratore che, già tutelati dal codice del 1942, sono assurti in virtù della Costituzione, grazie all’art.32 Cost (quanto alla tutela dell’integrità fisica), ed agli artt.1,2,4, 35 Cost. (quanto alla tutela della dignità personale del lavoratore), a diritti inviolabili, la cui lesione dà luogo a

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risarcimento dei pregiudizi non patrimoniali, di tipo esistenziale, da inadempimento contrattuale. Si verte, in sostanza, in una ipotesi di risarcimento di danni non patrimoniali in ambito contrattuale legislativamente prevista. L’art.2087 c.c., dunque, inserendo nell’area del rapporto di lavoro, interessi non suscettibili di valutazione economica (l’integrità fisica e la personalità morale), implica che nel caso in cui l’inadempimento abbia provocato, come nel caso di specie, la loro lesione è dovuto il risarcimento del danno non patrimoniale. Come precisato dalla recente giurisprudenza della Suprema Corte – Cass sent.11 novembre 2008 n.26972- tale lesione è suscettiva di dare luogo al risarcimento del danno conseguenza, nel caso di pregiudizi alla professionalità da dequalificazione, che si risolvano nella compromissione delle aspettative di sviluppo della personalità del lavoratore che si svolge nella formazione sociale costituita dall’impresa. Nell’ipotesi da ultimo considerata si parla, nella giurisprudenza di legittimità, appunto (cfr. sent. Cass.6572/06), di danno esistenziale che altro non è che un pregiudizio attinente allo svolgimento della vita professionale del lavoratore, in ambito di responsabilità contrattuale.

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Nel caso di specie accertato l’inadempimento contrattuale ex art.2087 c.c. (sulla base delle superiori considerazioni) ed il pregiudizio alla vita professionale del lavoratore va, dunque, risarcito anche il danno esistenziale quale pregiudizio di natura non meramente emotiva ed interiore provocato sul fare areddituale del soggetto nella misura che si ritiene equa di €. 10.000,00.

In merito al danno patrimoniale, quale risarcimento del danno patrimoniale consistente nelle spese mediche in dipendenza della malattia, nessuna prova è stata offerta da parte ricorrente e con riguardo alle cure mediche future il CTU ha osservato che “allo stato attuale non si prospettano necessità di cure mediche future”.

Alla luce di quanto precede, dunque, la società convenuta va condannata al pagamento in favore del ricorrente della somma complessiva di € 52.121,86 a cui va detratto l’importo di € 20.000,00 già riconosciuto a titolo di provvisionale in sede di accertamento penale del fatto lesivo di cui è causa, nonché va detratto quanto già percepito per le medesime causali (danno biologico ed ITA) dall’INAIL, somma già rivalutata, oltre agli interessi c.d.

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compensativi, che si ritiene equo liquidare nella misura del tasso legale da computarsi sulla predetta somma devalutata sulla base dell’applicazione degli indici ISTAT e successivamente ed annualmente rivalutata, “...solo con riferimento ed a partire da ciascuna annualità” (così Cass. SS.UU. n°1712/95; cfr. Cass. n°5814/85) e per tutto il periodo della sua indisponibilità, con decorrenza dalla data del sinistro (31 gennaio 1997) e sino alla data della pubblicazione della sentenza. Sulla somma così determinata, inoltre, vanno riconosciuti gli interessi legali dal giorno della pubblicazione della sentenza sino al saldo.

Infine, in applicazione del principio della soccombenza, parte convenuta va condannata alla rifusione delle spese di lite, liquidate come da dispositivo, in favore del ricorrente; nonché, in via definitiva, a quelle della espletata c.t.u. da liquidarsi con separato decreto.

P.Q.M.

Il Giudice de lavoro, definitivamente pronunciando, così provvede:

-Condanna YY Srl, in persona del legale rappresentante p.t., al pagamento, in favore del ricorrente, della somma complessiva di € 52.121,86 ( a cui va detratto l’importo di € 20.000,00 già

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riconosciuto a titolo di provvisionale in sede di accertamento penale del fatto lesivo di cui è causa, nonché va detratto quanto già percepito per le medesime causali -danno biologico ed ITA- dall’INAIL) attuale, oltre gli interessi c.d. compensativi nella misura legale, da computarsi sulla predetta somma devalutata sulla base dell’applicazione degli indici ISTAT e successivamente ed annualmente rivalutata e solo con riferimento ed a partire da ciascuna annualità e per tutto il periodo della sua indisponibilità, con decorrenza dalla data del sinistro e sino alla data della pubblicazione della sentenza, oltre agli interessi legali sulla somma così determinata dal giorno della pubblicazione della sentenza sino al saldo;

Condanna YY Srl alla rifusione delle spese di lite liquidate in complessivi € 3.748,00, di cui € 1.242,00 per diritti e il residuo per onorario €.2.506,00, oltre accessori di legge;

condanna YY Srl al pagamento definitivo delle spese di CTU liquidate con separato decreto.

Così deciso in Lanusei, il 31 marzo 2009 Il Giudice del Lavoro

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