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IN QUESTO NUMERO:

EDITORIALE SU Social Network: Conservatori vs. Progressisti

TESTIMONI DI CRISTO RISORTO Don Primo Mazzolari

DOSSIER BENE COMUNE A PUNTATE…parte prima

MERCATO E REGOLE

ECONOMIA E LAVORO: ECCO LA VOCE DEI GIOVANI

BIO... CHE? BIOLOGICO

ESTATE … A GUARDARE

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SOCIAL NETWORK: CONSERVATORI VS. PROGRESSISTIScherzando un po’ sui termini si potrebbe dire che esiste una scuola conservatrice ed una progressista. I conservatori sono coloro che tendono ad usare i Social Network (ed in senso lato tutti i siti che hanno funzioni social) in modo da replicare online i legami che si creano offline. In questo modo internet diventa un prolungamento del mondo reale. I progressisti invece tendono a costruirsi su internet un mondo autonomo ma collegato a quello reale: le attività sociali sono usate per acquisire nuove connessioni e conoscenze, esattamente come nel mondo reale, mischiando i contatti presi nell’uno e nell’altro. Dipende dal Social Network: se lo usi per svago o per lavoro. I conservatori “puri” sono davvero pochi. La maggior parte di coloro che vive sul web usa un approccio misto, tende ad essere progressista su social network come Facebook, informali e dedicati al tempo libero, e conservatore su social network direttamente connessi alla vita reale (come LinkedIn). Questa è una libera scelta, ma di certo ogni volta che si agisce in modo conservatore, si precludono le possibilità di nuove connessioni.Dipende dalle opzioni del Social Network: Segmentare. In realtà il problema tende a porsi in network come LinkedIn, che nel tempo hanno dimostrato di assimilare con lentezza le opzioni tipiche dei social network (gruppi, messaggistica). Facebook così come la maggioranza dei social-cosi, ha implementato la possibilità di segmentare i contatti creando liste utenti. Una segmentazione aperta insomma. Molti altri (Flickr ad esempio) consentono una segmentazione chiusa, nel senso che è possibile scegliere fra 2-3 opzioni (ad esempio family, contact, friend, business) ma non creare liste utenti.La segmentazione degli utenti è uno strumento fondamentale soprattutto per chi utilizza le connessioni sociali online in modo costante, tendendo ad avere un numero di connessioni alto. In questo modo l’assenza di segmentazione rende complessa e farraginosa la gestione delle interazioni. Un metodo interessante e minoritario è quello invece proposto da Sixient, che consente la segmentazione dei profili: una volta registrati sarà possibile creare diversi profili (di default 3: Personale, Professionale, Pubblico) a cui associare alcune informazioni piuttosto che altre. Ancorando gli utenti al tipo di profilo, sarà possibile mostrare solo alcune informazioni anziché altre senza doversi privare di accettare nuove connessioni per paura di condividere informazioni sensibili con sconosciuti e potendo scegliere di distinguere fra diverse classi di contatti accettando comunque anche connessioni da perfetti sconosciuti.

I social network stanno riscuotendo un grosso successo da parte degli utenti di Internet e sono sempre più usati, ma a volte possono presentare dei rischi in termini di riservatezza personale e di protezione della privacy. In genere questi problemi vengono causati da un uso non basato su atteggiamenti prudenti, che invece vanno incentivati.Per ottenere questo obiettivo il Garante per la privacy ha realizzato una guida che è disponibile sia in versione cartacea che online. Il principale scopo è quello di rendere gli internauti più consapevoli nel momento in cui utilizzano le reti sociali.Il titolo dell’opuscolo è “Social network: attenzione agli effetti collaterali” ed è diviso in quattro capitoli. Il primo, “Avviso ai naviganti”, offre delle riflessioni sul funzionamento dei social network e sui rischi in cui si può incorrere usandoli. Il secondo si intitola “Ti sei mai chiesto?” e contiene una serie di domande che gli utenti dovrebbero porsi prima di decidere di pubblicare sul Web informazioni e dati che riguardano da vicino la loro sfera personale. La terza parte della guida contiene i consigli del Garante per la privacy per difendersi dai possibili pericoli in cui si può cadere nella rete. Infine il quarto capitolo contiene la spiegazione dei termini che rientrano nel gergo dei social network. Il Garante per la privacy ha così dimostrato di essere attento ad un fenomeno importante di diffusione di Internet e dei social network, i cui effetti sociali non stanno tardando a farsi sentire anche in termini di sicurezza.

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TESTIMONI DI CRISTO RISORTODON PRIMO MAZZOLARI, PARROCO DI FRONTIERADon Primo Mazzolari è nato al Boschetto, frazione di Cremona, il 13 gennaio 1890 da genitori legati alla terra da motivi di lavoro e di atavico attaccamento. Ben presto, nel 1899, la famiglia, che si componeva di due figli, Primo e Peppino, e di tre figlie, Colombina, Pierina e Giuseppina, si trasferì a Verolanuova. Qui Primo Mazzolari rimase ben poco: a dieci anni, seguendo la vocazione sacerdotale, entrò nel seminario di Cremona dove proseguì gli studi fino all’ordinazione che gli venne data da monsignor Giacinto Gaggia il 24 agosto 1912. Dopo pochi mesi fu inviato come vicario a Spinadesco, e subito dopo, richiamato in seminario a Cremona come insegnante di Lettere. Scoppiata la Prima guerra mondiale, vi partecipa con il fervore dei giovani in quel momento. Congedato nel 1920 andò parroco a Bozzolo, provincia di Mantova, ma diocesi di Cremona, dove cominciò ad assumere posizioni di difesa dei diritti dei poveri. Nel 1922 venne nominato parroco di Cicognara, «il paese delle scope». Qui iniziò la sua opposizione al fascismo. Nel 1932 fu inviato nuovamente a Bozzolo e nel 1949 fondò e diresse il periodico «Adesso» la cui pubblicazione fu sospesa nel 1951. Nel 1957 predicò la Missione a Milano, chiamato dal cardinal Montini. Con l’elezione di Giovanni XXIII entrò nella chiesa una ventata nuova e le idee di don Primo ebbero piena cittadinanza. Il 5 febbraio 1959 venne ricevuto in udienza privata da papa Roncalli: l’accoglienza che egli ebbe dal Pontefice, come disse al ritorno a Bozzolo ad amici e parenti, lo ripagava di ogni amarezza sofferta. Morì il 12 aprile 1959 nella casa di cura San Camillo di Cremona. Ma le sue idee camminano ancora.IL PENSIERO

• Primato della Parola di Dio: Essa contiene sempre quel germe intatto di novità che può far saltare tutte le postazioni di comodo e tutte le giustizie farisaiche dello status quo.

• Teologia della Croce: “Cosa vuol dire credere nel bene? Vuol dire che domani mattina tornerà la luce e tornerà il sole. Non sono i tiranni che fanno la storia, non sono le dittature che fanno la storia […] Sono gli offerti, sono questo calvario che non ha nome: Cristo che si offre. E c’è un solo simbolo: la croce. Anche quando non si sa neanche cosa vuol dire la croce, perché tutti coloro che offrono la propria vita non sono, o miei cari fratelli, che delle immagini viventi del Cristo, l’Agnello”.

• Ecclesiologia ecumenica: “La fede non è un approdo, ma un sicuro orientamento di grazia verso l’approdo. La traversata continua e faticosamente. Chi non ha la grazia di credere è tentato dall’incertezza e dal timore del niente. Chi ha la grazia di credere è travagliato dalla luce stessa che gli fu comunicata”.

• Utopia della pace: Un cristiano deve fare la pace anche quando venissero meno “le ragioni di pace”. Al pari della fede, della speranza e della carità, la pace è vera beatitudine quando non c’è tornaconto né convenienza né interesse di pace, vale a dire quando incomincia a parere una follia davanti al buon senso della gente “ragionevole”.

• Corresponsabilità dei cristiani laici: queste idee anticipano l’ecclesiologia del CV II dove la chiesa è definita come popolo di Dio più larga della chiesa istituzionale, una chiesa dove ciascuno ha la sua parte di responsabilità. In una lettera don Primo ebbe a scrivere [ndr]: “in questo tempo senza uomini anche la più piccola responsabilità da paura e ci si scarica su Roma”.

• Recupero dei valori evangelici per preti, religiosi e suore: vivere l’onere di questa vocazione piuttosto che l’onore!

• Rinnovamento dell’individuo per il rinnovamento della società, nella libertà, nella giustizia e nella solidarietà.

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BENE COMUNE A PUNTATE…parte primaIl concetto di bene comuneIl bene comune è un impegno che «viene da lontano», come è stato ricordato nella settimana sociale della Chiesa italiana del 2007, ma nel panorama culturale e politico attuale sembra un principio un po’ demodé, ridotto a uno slogan senza contenuti precisi.I motivi sono legati al termine stesso: dire bene è affermare un principio etico, ma oggi prevale un’idea plurale di bene, legata a quel pluralismo etico che porta a dire che non c’è un bene ma tanti beni in base alle scelte e preferenze delle persone; dire comune è riconoscere un legame, una comune condizione umana che ci lega, cosa questa che non va d’accordo col clima di profondo individualismo che domina la nostra cultura.Bene comune perché condividiamo la stessa condizione umanaL’insegnamento sociale della Chiesa definisce così il bene comune: «Insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono ai gruppi, come ai singoli membri, di raggiungere la propria perfezione più pienamente e più celermente» (cf. Gaudium et spes 26).Sullo sfondo di questo principio troviamo la consapevolezza che la persona umana è un essere costitutivamente sociale che non può trovare compimento a prescindere dal suo essere con e per gli altri. Diciamo oggi, nel contesto della globalizzazione, che apparteniamo alla famiglia umana e questo, oggi, è ancor più evidente. Un filosofo, Paul Ricoeur, diceva che non basta più il binomio io-tu, ma deve entrare anche un terzo soggetto, colui che non vedrò mai perchè è il lontano o che non incontrerò mai perché parte della generazione che verrà dopo.La persona realizza se stessa nell’esperienza della famiglia, nelle relazioni a lei più vicine, come quelle del mondo del lavoro, e poi nella città, nella propria nazione e, infine, come membro della famiglia umana. Ciascun uomo nasce da una relazione, cresce e matura dentro una trama di relazioni e trova nella relazione con Dio il fine della sua vita.Quando divento consapevole che questa dimensione sociale mi appartiene, non posso non pormi anche delle domande per viverla a partire dalla mia coscienza e responsabilità. Il bene comune chiede di non dare per scontato questo legame stretto tra ciascuno di noi, gli altri, la società intera e anche quelli che verranno dopo di noi. Possiamo allora capire che il bene comune non è qualcosa che arriva dall’esterno perché di fatto esistono anche gli altri, ma mi appartiene interiormente perché io vivo e cresco con gli altri e dentro strutture sociali che vorremmo fossero giuste e quindi capaci di farci stare assieme nel miglior modo possibile.Il bene comune rimanda ad una comune base di valori condivisi, che va cercata senza voler negare il pluralismo. La Costituzione italiana, le carte dei diritti umani e, perché no, anche le radici cristiane della nostra storia sono un punto di riferimento importante per dare spessore a dei valori condivisi. Il bene comune è l’espressione di questo nesso che va sempre cercato tra il bene di tutto l’uomo e di tutti gli uomini, a partire da una comune piattaforma di valori condivisi. Esso non è mai raggiunto una volta per tutte, ma va sempre ripensato in contesti nuovi e alla luce delle nuove sfide che emergono. Per usare ancora le parole di Paul Ricoeur, potremmo dire che quella del bene comune è la «prospettiva della vita buona con e per l’altro all’interno di istituzioni giuste».Un bene indivisibile perché ogni persona è importanteIl bene comune, quindi, è il bene di tutto l’uomo e di tutti gli uomini: ecco la caratteristica della sua indivisibilità. Non è la somma dei beni particolari delle persone o dei diversi gruppi sociali: se fosse così potremmo trovarci davanti ad una molteplicità di interessi, di individualismi e anche di egoismi particolari che lo stato dovrebbe cercare di far stare insieme, da una parte in modo che nessuno pesti i piedi agli altri, dall’altra definendo dei limiti alle persone e ai gruppi che permettano di far camminare insieme il corpo sociale. Non si tratta cioè di far stare assieme i miei interessi, quelli tuoi, quelli dei ricchi e dei poveri, degli imprenditori e degli operai, degli studenti e degli insegnanti, degli italiani e degli immigrati.Da questo modello, che ruota attorno all’idea del compromesso tra interessi diversi, nasce anche il concetto parziale che la mia libertà finisce dove inizia quella dell’altro, dietro il quale emerge una visione individualista della vita sociale, come se stare insieme fosse questione di non pestarsi i piedi. La libertà non può essere un fare quello che si vuole, senza però disturbare gli altri: c’è vera libertà quando c’è una buona vita sociale, quando non solo ci si rispetta, ma anche ci si aiuta, si è solidali e si lavora perché all’indifferenza reciproca subentrino anche forme di amicizia e solidarietà.Il bene comune «essendo di tutti e di ciascuno è e rimane comune, perché indivisibile e perché soltanto insieme è possibile raggiungerlo, accrescerlo e custodirlo, anche in vista del futuro» (Compendio della dottrina sociale, n.164). Non si tratta, quindi, di un pratico compromesso tra interessi diversi, ma si tratta di definire quelle mete a lungo termine e quelle scelte di oggi che possono far crescere le persone e i gruppi sociali perché facciamo parte della medesima famiglia umana, e che chiedono a tutti di essere assunte, di essere portate avanti, anche sacrificando qualche bene parziale, perché insieme si possano raggiungere a vantaggio di tutti e di ciascuno.

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Io sto bene se vivo in una società buona, se ci sono relazioni buone, se l’aria è respirabile, se c’è pace e giustizia. Non siamo delle isole in questo mondo, ma siamo costantemente contagiati dagli altri e a nostra volta contagiamo gli altri. Posso, per esempio, lavorare per trasmettere dei valori ai ragazzi dell’ACR, ma se poi tutti i loro coetanei vanno da un’altra parte il mio sforzo è destinato a fallire.Ci può aiutare l’immagine della famiglia, dove volersi bene è prendersi cura di tutti e di ciascun membro della famiglia. Se un figlio sta male stiamo male tutti; se un figlio fa bene a scuola, ma ha una salute cagionevole stiamo male tutti. Curare la famiglia è curare ciascuno in tutti gli aspetti della sua vita e curare tutti insieme. Si sta bene tutti insieme o si sta male un po’ tutti. Si sta bene se va bene ogni aspetto e non solo qualcuno. La Chiesa parla del mondo chiamandolo famiglia umana e quindi possiamo ritenere questo paragone molto più che un semplice esempio.Se allora il bene comune non è una somma i cui addendi sarebbero i beni individuali o dei gruppi, possiamo dire, usando la stessa immagine aritmetica, che il bene comune è un prodotto. Nella somma, anche se tolgo degli addendi, il risultato alla fine rimane positivo, anzi potrebbe crescere. Nel prodotto, invece, se riduco a zero un elemento il risultato finale è zero. Nel bene comune, cioè, non si può sacrificare il bene di qualcuno, perché tutti sono persone umane; se lo facessimo non sarebbe più una vera ricerca del bene comune.Un bene arduoIl bene comune, dice la sua definizione, è un insieme di condizioni. In questa affermazione ritroviamo tutta la difficoltà di riconoscerlo e definirlo in modo preciso, perché è in continuo movimento in base a tantissime variabili legate al contesto sociale, alle risorse a disposizione, alle urgenze di un certo tempo e luogo, ai passi possibili in un contesto dove ci sono pensieri ed opinioni diverse.Si tratta veramente di un bene arduo, che chiede la partecipazione di tutti e una costante ricerca che sa realizzare tappe parziali e possibili senza mai perdere di vista l’orizzonte più ampio, che rimane il bene di tutto l’uomo e di tutti gli uomini.Il mondo è pieno di uomini e di donne di buona volontà. La strada della storia è segnata da uomini giusti che hanno cercato e amato il bene di tutti, spesso attraverso lotte e fatiche contro ogni forma di oppressione, di prepotenza, di povertà, di schiavitù e dando vita a segni concreti di fraternità, di uguaglianza, di pace, di sviluppo umano e sociale. Veri ricercatori del bene comune, partendo spesso da mondi ideali diversi da quelli dei cristiani, da ragioni filosofiche e religiose diverse, dentro culture distanti l’una dall’altra.La storia insegna a noi, cercatori del bene comune nel terzo millennio, che solo insieme si può cercare e costruire il bene comune. Solo mettendo a confronto ragioni diverse, le ragioni di tutti senza esclusioni aprioristiche e ideologiche, si costruisce la strada che permette di fare passi avanti nella costruzione del bene comune. Il bene comune infatti non è possesso di qualcuno, né di poteri politici, economici, ideologici, religiosi; non sta scritto in qualche documento illuminato; è un percorso che richiede a tutti di camminare insieme.Il bene comune e i compiti della politicaL’economista Stefano Zamagni scrive che il bene comune è l’antidoto all’anti-politica. Siamo tutti pieni di pregiudizi verso la politica e se ci guardiamo attorno ne abbiamo tutte le ragioni. Scrive Zamagni: «La tentazione dell’anti-politica che serpeggia e si diffonde nel paese, si nutre di quelle che Spinoza chiamava le “passioni tristi”. Non si tratta della tristezza del pianto o della sofferenza, ma dell’impotenza, della delusione, della frammentazione. È questo tipo di tristezza che spegne lo slancio vitale di cui sarebbero capaci non pochi soggetti individuali e collettivi del nostro paese». Come dire che la prospettiva del bene comune potrebbe curare quella malattia che affligge la nostra società e che porta anche i giovani a rinchiudersi nel proprio piccolo mondo.L’insegnamento sociale della Chiesa ricorda che il bene comune è la ragion d’essere e il fine della politica, che «esiste proprio in funzione del bene comune nel quale essa trova piena giustificazione e significato e dal quale ricava il suo ordinamento giuridico originario e proprio» (Gaudium et spes 74). Il bene comune dà valenza etica alla politica, la fa essere non a servizio del potere o dei politici di professione, non a servizio di interessi di parte, ma dà la giusta prospettiva al potere indirizzandolo alla promozione del bene di tutti e di ciascun cittadino. Nella comunità politica l’autorità ha il compito di dirigere le energie di tutti i cittadini verso il bene comune e lo fa con quelle leggi che, quando sono nell’ambito della legge morale, obbligano i cittadini in coscienza ad obbedire.Il bene comune è allora parte integrante delle virtù di un buon politico. Non un vago senso dell’onestà, ma la capacità di sintesi, senza manicheismi che vedono nemici invece di avversari con cui confrontarsi. Con la capacità di stare nei conflitti per cercare sintesi sempre nuove, facendosi carico della dialettica politica ed esercitando saggezza politica.

…to be continued

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MERCATO E REGOLE12.000 miliardi di dollari dei risparmi delle famiglie sono stati bruciati in venti mesi. Ma in effetti la metafora è sbagliata, non sono andati in cenere. Sono passati di proprietà. Erano ipoteche sul futuro di cui pochi si sono appropriati.I mercati, lasciati liberi, non tendono a niente. Ma dovremmo comprendere che non sono mai “liberi”. Possono essere “liberi” dei controlli statali, di organismi elettivi, ma saranno subordinati a qualche altra regola, magari di fatto e non votata da nessun parlamento.Akerlof e Shiller hanno scritto Spiriti animali. Come la natura umana può salvare l’economia, Rizzoli. Reagan, Thatcher, Friedman, scuola di Chicago: semplicemente “hanno sbagliato”.Negli Usa ci sono 1,3 miliardi di carte di credito. Più di 4 per abitante, e comprendendo anche i neonati. Non ci basiamo solo sulla base dei numeri, ma anche su narrazioni. Già alla fine anni ’80: Galbraith aveva scritto Breve storia dell’euforia finanziaria (Bur). Secondo il Rapporto Onu l’uno per cento della popolazione possiede il 4°% della ricchezza. Se la popolazione fosse di 10 persone, 9 avrebbero in tasca 1 dollaro, e una persona 99 dollari.Kahnemann, nobel per l’economia, sostiene che occorre elaborare un National Well-Being Account, l’indice del benessere di una nazione- assieme all’indice di sviluppo umano di A. Sen.Smith scrive ne La ricchezza delle nazioni: “Ogni individuo si sforza costantemente di trovare l’utilizzo più vantaggioso per qualsivoglia capitale egli abbia a disposizione. Di fatto, ciò cui egli aspira è il proprio tornaconto, non quello della società. Ma l’analisi del proprio tornaconto lo induce naturalmente, o piuttosto necessariamente, a preferire un utilizzo che è quanto mai vantaggioso per la società”.Commenta Rifkin: “Smith credeva in pratica che una mano invisibile reggesse le sorti del mercato, garantendo che tutti in fin dei conti ne avrebbero tratto vantaggio, a patto che i meccanismi di mercato fossero lasciati del tutto liberi. Gli economisti e i politici neoconservatori lo credono ancora adesso. In realtà la mano invisibile ha finito col rivelarsi invisibile davvero. Abbandonato alla sua logica interna, il mercato del tutto privo di vincoli non conduce a una più grande fetta economica per tutti, bensì piuttosto al gioco decisivo del chi vince prende tutto. In che altro modo potremmo spiegare il fatto che il modello di mercato americano senza briglia ha infine dato vita a un drammatico peggioramento del gap tra ricchi e poveri, in rapporto diretto con la maggiore flessibilità dei controlli terni sulle sue pratiche commerciali?”Ovviamente diceva questo non nel 2008 o 2009 ma in una dichiarazione del 2005.

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ECONOMIA E LAVORO: ECCO LA VOCE DEI GIOVANILa voce dei giovani al seminario dell’istituto V.BacheletEcco il tema del seminario che si è tenuto a Roma il 13 giugno, organizzato dal SettoreGiovani e dall’Istituto di studi storico politici “V. Bachelet”, che ha visto i giovani confrontar-si con figure istituzionali, studiosi e rappresentanti del mondo dell’impresa e dell’econo-mia.La prima sfida affrontata è stata quella, attualissima, della crisi: un terremoto che ha inve-stito il mondo economico, ma che ha assottigliato anche alcuni legami del tessuto sociale. I giovani non sono più convinti che avranno una vita migliore dei loro genitori, convinzione che accomunava le generazioni che ci hanno preceduto; allo stesso tempo cala la fiducia in quelle istituzioni che non sempre sembrano dare la priorità a politiche e iniziative capaci di favorire le capacità e il protagonismo giovanile.È un tema che sta a cuore a tutta la Chiesa, come testimoniato dall’impegno concreto delfondo di solidarietà della Conferenza Episcopale Italiana e dalle parole contenute nel co-municato finale dell’ultima assemblea generale della CEI. E’ necessario formare giovani cristiani in grado di portare una testimonianza significativa nel mondo dell’economia e del-la politica, come chiedeva il Santo Padre nel suo discorso a Cagliari, capaci di avere una visione a lungo termine e di saper sempre metter la persona al centro delle loro scelte.La seconda sfida messa a tema nel seminario consisteva nel tentativo di tracciareresponsabili per promuovere il protagonismo e la partecipa-zione dei giovani nelmondo del lavoro. Troppo spesso il capitale sociale dei giovani, la loro capacitàd’innovazione, l’intelligenza e la creatività sono mortificate da precarietà e incertezza.Si tratta di trovare parole e azioni per ribadire che i giova-ni, come tutti lavoratori,non sono una zavorra ma una risorsa preziosa per la crescita economica e socialedel Paese.La terza sfida, infine, è stata quella della valorizzazione dello spirito d’iniziativa e della ca-pacità imprenditoriale dei giovani: la crisi, pur con tutte le difficoltà che comporta, non deve diventare un alibi per l’immobilismo o la paura di sperimentare nuove forme di attività e di lavoro. Il seminario ha voluto essere un’occasione per riflettere sulla capacità creativa dei giovaninell’economia, sul modo di tradurre la loro attitudine progettuale e innovativa in iniziativeeconomiche per la produzione di beni e servizi utili. Esiste tanta creatività e intelligenzache con coraggio e libertà possono essere investite in un numero incredibile di attività economiche - dalle cooperative alle imprese di servizi per la persona, fino alle attività nel campo delle energie rinnovabili - in grado di coniugare etica ed economia.Tutte queste sfide si potrebbero riassumere allora in un unico impegno per i giovani di AC:umanizzare il mondo dell’economia e del lavoro.

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BIO...CHE? BIOLOGICOL'aspetto lessicaleL'accezione più ampia del termine agricoltura integra le pratiche di ingegneria agraria con la scienza delle coltivazioni arboree ed erbacee e con la zootecnia. Chiunque intuisce che l'attività agricola è intrinsecamente legata, e nella sostanza identificata, con la biologia delle piante e del bestiame utili per l'uomo, essendo il suo scopo fondamentale quello di fornire prodotti per l'alimentazione, anche se i prodotti agricoli possono interessare una varietà di settori, dalle costruzioni (legnami), ai materiali (cellulosa, polimeri naturali biodegradabili, ecc.) per finire ai combustibili (biodiesel ecc.).L'imprescindibile legame che lega agricoltura a botanica e zoologia rende l'espressione "agricoltura biologica" ridondante, con l'aggettivo biologico superfluo poiché non aggiunge nulla al significato del sostantivo agricoltura, che altro non è che biologia applicata alla produzione di risorse alimentari.Inoltre, poiché la base della vita sta nella struttura e nella chimica dei suoi costituenti molecolari, anche la più rara espressione "agricoltura chimica", usata talora in contrapposizione ad "agricoltura biologica", ha poco senso.Poiché la forma è anche sostanza, ne consegue che la locuzione "agricoltura biologica" andrebbe sostituita con una più appropriata, sulla base del significato vero che il linguaggio corrente e la legislazione attribuisce ad essa.Nella lingua inglese, evidentemente più sensibile al nesso tra il termine linguistico adottato ed il significato autentico del concetto che si intende esprimere, i termini "biological agriculture" o "biological farming" risultano assai meno utilizzati dell'espressione di gran lunga più appropriata di "sustainable agriculture".Nell'espressione "agricoltura sostenibile", l'aggettivo aggiunge il significato di una gestione che non alteri la qualità dell'ambiente in funzione dell'utilizzo che andrà garantito alle generazioni future. Accanto alla visione a lungo termine, si aggiunge nel breve l'obiettivo di produrre cibo sano per uomini sani usando un suolo sano con piante e animali sani.Il concetto.Due grandi fenomeni hanno portato nel secolo scorso ad adottare pratiche che hanno trasformato la vecchia agricoltura nella moderna e spesso discussa, non senza buone ragioni, agricoltura industriale.

• Negli anni 30 si era affermata la teoria di Liebig sui nutrienti delle piante, dalla quale derivava come, conoscendo le esigenze di azoto, fosforo e potassio di una specie vegetale, fosse sufficiente apportare artificialmente queste sostanze nella forma di sali inorganici e urea per non impoverire il terreno. Non era più necessario per le aziende agrarie dipendere dalla rotazione delle colture, ma ci si poteva specializzare in un unico indirizzo produttivo (orticolo, frutticolo, foraggiero, zootecnico, avicolo, ecc.).

• Il secondo aspetto, enormemente sviluppatosi nel II dopoguerra, vedeva l'industria agrochimica immettere in commercio tutta una gamma di fitofarmaci ed antiparassitari (DDT, esteri fosforici, ecc) a basso costo (si trattava di prodotti di semplice sintesi direttamente derivati dalla cosiddetta chimica di guerra), a fronte di un progressivo aumento delle "malattie" in agricoltura. Questo fenomeno era la conseguenza del sempre più facile scambio di merci ed è in un certo senso un effetto negativo della globalizzazione che tende a diffondere in modo omogeneo in ogni parte del mondo parassiti e quant'altro. Contando su un basso tasso d'informazione, sfruttando una rete capillare di tecnici (in realtà puri e semplici venditori) che garantivano produttività per ettaro eccezionali attraverso un uso massivo di prodotti sintetici, l'abuso di sostanze non selettive per le specie da combattere e addirittura tossiche per gli organismi superiori e per l'uomo, nonché di sostanze persistenti nell'ambiente per decenni (es. DDT), giunse negli anni 70-80 a livelli non più tollerabili.

Alla fine degli anni 80 la sola Emilia-Romagna consumava più concimi e fitofarmaci di tutta la Germania occidentale. Fenomeni di deterioramento grave della tessitura dei terreni per perdita della componente organica umica, erosione dei suoli, inquinamento delle falde freatiche iniziavano

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a diventare sempre più oggetto di allarme diffuso.Ovviamente si erano anche registrati importanti progressi in agrochimica, con lo sviluppo e commercializzazione di insetticidi, erbicidi ecc., sempre più selettivi e meno dannosi per l'ambiente (degradabili, non tossici o quanto meno meno tossici per gli organismi superiori), ma anche molto più costosi; inoltre nasceva da una parte la lotta integrata basata sull'uso di feromoni che riduceva sensibilmente la quantità di prodotti erogati sulla pianta, e dall'altra si sviluppavano le nuove tecniche di lotta biologica che vedono uno dei loro massimi cultori, Giorgio Celli, operare presso il nostro ateneo.In questo contesto nasce prima negli USA poi in Europa, parallelamente all'ambientalismo, l'urgenza di proporre un'agricoltura alternativa, basata su quel patrimonio culturale di osservazioni e sperimentazioni che in agricoltura si erano sedimentate e consolidate per millenni e che pochi anni di industrializzazione e pratiche intensive avevano quasi spazzato via.Il Regolamento 2092 della Commissione Europea varato nel 1991 definisce "agricoltura biologica" un sistema di gestione dell'azienda agricola che comporta restrizioni sostanziali nell'uso di fertilizzanti ed antiparassitari, ai fini della tutela dell'ambiente e della promozione di uno sviluppo agricolo durevole. Per definire il concetto di agricoltura biologica la normativa comunitaria fa riferimento alla definizione elaborata dal Codex Alimentarius sulla base di contributi di esperti a livello mondiale. Il Codex considera l'agricoltura biologica come un sistema globale di produzione agricola (vegetale e animale) che privilegia le pratiche di gestione piuttosto che il ricorso a fattori di produzione di origine esterna. Secondo questa visione, i metodi colturali, biologici e meccanici vengono impiegati di preferenza al posto dei prodotti chimici di sintesi.Secondo le linee direttrici del Codex, l'agricoltura biologica deve contribuire al conseguimento dei seguenti obiettivi:• aumentare la diversità biologica nell'insieme del sistema; • accrescere l'attività biologica dei suoli;• mantenere la fertilità dei suoli a lungo termine;• riciclare i rifiuti di origine vegetale e animale, al fine di restituire gli elementi nutritivi alla terra, riducendo in tal modo il più possibile l'utilizzo di risorse non rinnovabili;• fare assegnamento sulle risorse rinnovabili nei sistemi agricoli organizzati localmente;• promuovere la corretta utilizzazione dei suoli, delle risorse idriche e dell'atmosfera e ridurre nella misura del possibile ogni forma di inquinamento che potrebbe derivare dalle pratiche colturali e zootecniche;• manipolare i prodotti agricoli con particolare attenzione ai metodi di trasformazione, allo scopo di mantenere l'integrità biologica e le qualità essenziali del prodotto in tutte le varie fasi;• essere praticata su un'azienda agricola esistente, dopo un periodo di conversione, la cui durata deve essere calcolata sulla base di fattori specifici del sito,quali le informazioni storiche sulla superficie e i tipi di coltura e di allevamento previsti.Della stessa opinione appare l'IFOAM, la Federazione Internazionale dei Movimenti per l'Agricoltura Biologica (International Federation of Organic Agriculture Movements), che definisce l'agricoltura biologica: "Tutti i sistemi agricoli che promuovono la produzione di alimenti e fibre in modo sano socialmente, economicamente e dal punto di vista ambientale. Questi sistemi hanno come base della capacità produttiva la fertilità intrinseca del suolo e, nel rispetto della natura delle piante degli animali e del paesaggio, ottimizzano tutti questi fattori interdipendenti. L'agricoltura biologica riduce drasticamente l'impiego di input esterni attraverso l'esclusione di fertilizzanti, fitofarmaci e medicinali chimici di sintesi. Al contrario, utilizza la forza delle leggi naturali per aumentare le rese e la resistenza alle malattie".Dare una definizione coincisa di agricoltura biologica, come si riscontra dalla normativa riportata sopra, risulta essere piuttosto difficile poiché bisogna comprendere molti aspetti di varia natura…ma in conclusione basta ricordare che con il termine "biologico" si intende tutto ciò che viene ottenuto attraverso un metodo produttivo che non ricorre ai prodotti di sintesi e che rispetta una serie di norme che vincolano il produttore nel modo di operare.

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BEACH COMUNITARIO – le pagelle di Ricky & MarioIl seguito alla settimana comunitario di quest'anno associativo è stato un beach comunitario svoltosi Mercoledì 1 Luglio. Dopo un momento di verifica alla settimana comunitaria stop alle chiacchiere e tutti in campo!

Partiamo dalla squadra più triste e dai giocatori più tristi:Federica: la prossima volta stai a casa, non servi a niente, potevi almeno tenere i punti o pagare il gelato. Voto 2Marta: tanto ficcante in battuta, quanto statica in ricezione, quanto oscena sotto rete. Voto 5,5Lele: il suo palleggio all'indietro lascia il segno...e i punti agli altri. Voto 6Ivan: poco scenico ma molto concreto. Voto 6Raffa: ha colpi di genio ma ogni tanto si reincarna in Billy Elliot. Piacevole sorpresa. Voto 6,5Morena: tiene spesso in scacco la squadra avversaria, ma predica nel deserto dei Torraz-zi. Voto 7

E ora veniamo ai vincitori materiali, morali, unici e irripetibili della serata:Luca: eterna promessa mai sbocciata nel panorama internazionale del beach volley. Voto 5,5 (sarebbe 6 ma per non far sentire sola la Marta....)Vale: più valida la presenza scenica al ballo che la prestazione priva di sostanza. Voto 6Laura: meglio del previsto. Voto 6,5Carla: dopo un primo set terrificante, trascina la squadra alla vittoria non sbagliandone più una. Voto 6,5Richi: uomo dai molti registri, da lezioni o le prende. Voto 6,5Mario: paradisiaco. Voto 7,5

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ESTATE… A GUARDARETalvolta mi capita di portare a termine quanto programmato ben prima di quanto la mia perfetta programmazione prevedeva e, così, di avanzare del tempo… mi è accaduto an-che la settimana scorsa. Il tempo non era sufficiente per infilarci nient’altro evisto che c’era una panchina nelle vicinanze ho deciso che mi sarei goduto qualche minu-to per osservare il mondo in corsa che mi passava accanto. Invece sono stato attratto da una scritta sulla panchina. Per una volta non erano un insieme di volgaritàma era l’accorato “dolore” del cuore di qualche adolescente lasciata dal primo amore. Lì per lì ho pensato che era esagerata e che la vita con il tempo l’avrebbe fatta sorridere al ricordo di quel momento… poi però mi ha fatto riflettere su un altro aspetto: l’esigenzache ha l’uomo di ogni età e di ogni epoca di lasciare una traccia di se stesso, del proprio pensiero, del suo dolore, della sua gioia, del suo disagio. E tutto ciò diventa una sorta di dono al cammino della storia umana. Se andiamo a cercare le origini della parola scritta ci accorgeremo di aver fatto un lungo percorso a ritroso perché fin dagli inizi dell’umanità l’uomo ha cercato di comunicare con qualcosa che rimanesse “eterno”. Non è più facile e immediato usare la voce? Non è la stessa cosa. Vorrei azzardare a dire che se parlo uso la ragione e la mente; se scrivo uso il cuore e l’anima. Arte ben più difficile la seconda che la prima! Sono convinto che tutti noi ricordiamo con gioia di aver ricevuto una lettera: ci ha fatto compagnia in un momento di solitudine o di difficoltà, ci ha portato belle notizie, ci ha raccontato la bellezza di un’amicizia, la tenerezza di un amore. Una lettera resta per sem-pre, si può leggere e rileggere, la si può mettere dentro un libro e ritrovarla dopo annie accorgersi che conserva ancora tutta la sua ricchezza. Che bello pensare che una pagi-na bianca si riempia di piccoli segni che sono l’espressione di ciò che siamo dentro, che sono la testimonianza di quello che il nostro cuore ha visto e vuole raccontare ad un altro cuore per condividere un’emozione! Forse è per questo che è così difficile scrivere: civuole tempo, silenzio e coraggio per lasciare che ciò che abbiamo dentro prenda la paro-la. Ma se è difficile non è detto che sia impossibile… possiamo almeno provarci.Eppure senza accorgercene siamo circondati da moltissime testimonianze che la storia dell’umanità ci ha lasciato e continua a lasciarci scritte. Vi sarà successo di percorrere la solita, abituale strada di tutti i giorni e, forse distratti da un insolito rumore, alzando latesta, scoprire che sul muro di una casa vi è l’af-fresco di una Madonna in trono e cominciate a chie-dervi se è apparsa durante la notte, ma poi vi accorge-te che porta una data e quell’affresco sta lì dal lon-tano 1600. E se approfon-diste il mistero scoprireste che racconta una storia af-fascinante fatta di persone, di volti, di scelte, di batta-glie, di scommesse, di spe-ranza. E che la stessa per-sona che l’ha dipinta ha vo-luto dire qualcosa di sé, che i colori non sono messi a caso e raccontano an-

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ch’essi un altro pezzetto di storia. Se qualcuno vi chiedesse su “due piedi” quanti altari ci sono nella vostra chiesa parrocchiale e a chi sono dedicati, quanti ne sapreste raccontare? Eppure chi più di voi conosce la vostra chiesa parrocchiale che frequentate da una vita?Abbiamo perso un po’ il gusto di osservare e con esso di approfondire, preferendo la fuga-ce e superficiale esclamazione: «Che bello!». Siamo attorniati da espressioni e da espe-rienze profonde e significative anche riguardo alla nostra fede, alle sue radici ma abbiamo perso il codice per leggerle. Un po’ come da bambini, quando ci si inventava un alfabeto segreto per comunicare solo con gli amici più cari; se però perdevi il fogliettodove i segni erano tradotti eri fritto… non capivi più nulla. Qualcuno di voi starà pensando che mi sono scordato che adesso esiste internet e che con due tasti e la parola giustasi può comprendere tutto. È anche vero! Ma io voglio proporvi una sfida per questo tempo d’estate: spegnete internet, il cellulare, la tv e dedicatevi alla riscoperta della vostra città, della vostra chiesa parrocchiale, del luogo dove andate in vacanza. Cominciate con l’os-servare le tradizioni cominciando dalle più piccole come l’uso di certe espressionidialettali; fermatevi ad osservare qualche capitello, qualche affresco. Non limitatevi all’os-servazione oculare, provate ad osservare con il cuore per vedere se quella testimonianza “umana” a voi dice qualcosa. E se vi incuriosisce ancora, provate a ricercare in biblioteca qualche fonte scritta che esaudisca le vostre curiosità.E per ultimo prendete carta e penna e regalate questa scoperta a qualcuno che pensiate possa condividerla e conservarla. Ai bambini si danno i compiti delle vacanze perchési dice sia necessario tenerli in allenamento; ma noi adulti abbiamo davverogià conquistato tutto? Non abbiamo forse qualche volta bisogno di rimetterci in allenamen-to per non perdere il codice segreto della “relazione” con l’altro? Se qualcunoprima di noi non ci avesse lasciato il codice per leggere la gioia e il dolore di ogni giorno saremmo senza memoria. Ma gli esperti in materia mi insegnano che anche i computer senza memoria non servono a nulla. La mia nonna mi ripete spesso che ciò che lascere-mo di noi su questa terra non saranno né i titoli nobiliari, né i diplomoni scolastici: ciò che lasceremo saranno le parole, spesso mute perché fatte di gesti di quotidianità, che il cuore di ognuno di noi regala al cuore di chi incontriamo sulla strada della vita. Non resterà nul-l’altro. Perché lasciarci sfuggire questa occasione di “immortalità”?Foscolo ha scritto “I Sepolcri” ed è rimasto immortale, ma che tristezza… Noi proviamoci con qualcosa di più semplice, che magari ci darà meno “gloria” del suddetto poeta ma cheriuscirà a far sorridere il volto e il cuore di un altro uomo come noi. Voi conoscete una gio-ia più bella? Basta poco: una cartolina, una lettera, una gita insieme, una telefonata, una sorpresa… proviamo a cancellare la pigrizia e il tornaconto, lasciamoci incantaree affascinare dalla meravigliosa storia che l’uomo di oggi se vuole sa ancora scrivere… facciamo la nostra parte.

ESTATE A GUARDARE... I CAMPEGGI!Anche al termine di qeust'anno associativo la nostra associazione propone diversi campeggi, diocesani e parrocchiali, di ACR, di gruppi giovanissimi e di adulti.Vi chiediamo al termine della vostra esperienza di scriverci poche righe o anche un titoletto e di inviarci una foto (non di più per ovvi motivi di spazio) alla casella di posta [email protected] così al ritorno dall'estate, in settembre avremo un numero ricco di foto e racconti. E non esitate a raccontare e far raccontare soprattutto i protagonisti delle esperienze estive che vivremo!!!

BUONA ESTATE A TUTTI!!!

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