INAUGURAZIONE DELL’ANNO GIUDIZIARIO 2017 · ed indipendenza che l’ordinamento commette al “...
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CAMPOBASSO, 17 FEBBRAIO 2017
INAUGURAZIONEDELL’ANNO GIUDIZIARIO
2017
RELAZIONE DEL PRESIDENTETommaso Viciglione
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE MOLISE
UDIENZA PUBBLICA
Campobasso, 17 febbraio 2017
RELAZIONE DEL PRESIDENTE TOMMASO VICIGLIONE
SEZIONE GIURISDIZIONALE
PER LA REGIONE MOLISE
INAUGURAZIONE
DELL’ANNO GIUDIZIARIO 2017
“Iura non in singulas personas, sed generaliter constituuntur”
D. 1.3.8, Ulpiano, Libro 3, Ad Sab.
“Posteriores enim cogitationes, ut aiunt,
sapientiores solent esse”
Cicerone, Filippiche, 12
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INDICE
1. INTRODUZIONE …………………………………………………………….………. P. 3
2. ATTIVITÀ DELLA SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE MOLISE …. P.7
2.1 QUESTIONI MAGGIORMENTE RILEVANTI IN MATERIA DI RESPONSABILITÀ …………………………………………………………….. P. 7
2.2 QUESTIONI IN MATERIA DI GIUDIZI AD ISTANZA DI PARTE ...….... P. 23
2.3 IL SETTORE DEI CONTI GIUDIZIALI ………………………………..…… P. 25
2.4 I GIUDIZI MAGGIORMENTE RILEVANTI IN MATERIA PENSIONISTICA
……………………………………………………………………………………. P. 35
3. LA GIURISPRUDENZA CONTABILE NEL 2016: PRONUNCE RILEVANTI …..… P. 39
4. NOVITÀ LEGISLATIVE CHE HANNO RIGUARDATO LA CORTE DEI CONTI NELL’ANNO 2016 …………………………………..……………………………….. P. 45
4.1 LA RIFORMA DEL PROCESSO CONTABILE DI CUI AL D. LGS. 26 AGOSTO
2016, N. 174. IL NUOVO CODICE DI GIUSTIZIA CONTABILE ……..…… P. 45
4.2 LA RIFORMA DELLE PARTECIPAZIONI PUBBLICHE DI CUI AL D. LGS. 19 AGOSTO 2016, N. 175 ……………………………………………..………… P. 53
4.3 D. LGS. 18 APRILE 2016, N. 50 (CD. “CODICE DEI CONTRATTI PUBBLICI”) – ARTT. 162 E 213, COMMA 6 ……………………………………………………. P. 63
5. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE …………………………………..………………P. 65
6. QUADRI STATISTICI ………………………………………………………………. P. 69
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1. INTRODUZIONE
Come è noto, l’art. 2, comma 29°, della legge 25 luglio 2005, n. 150 (“Delega al Governo per la
riforma dell'ordinamento giudiziario di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, per il
decentramento del Ministero della giustizia, per la modifica della disciplina concernente il Consiglio
di presidenza, della Corte dei conti e il Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa,
nonché per l'emanazione di un testo unico”), innovando nel previgente ordinamento, ha affidato,
al Presidente dei Consessi giudiziari ordinari, il compito di formulare la relazione annuale sullo
stato dell’amministrazione della giustizia, in tal modo riconducendone l’esposizione nell’alveo
delle funzioni proprie dell’organo giudicante, al fine di paludarla delle connotazioni di terzietà
ed indipendenza che l’ordinamento commette al “ius dicere”.
Tale disciplina è stata, da tempo, applicata anche alle cerimonie di apertura dell’anno
giudiziario innanzi ai Consessi giudiziari della Corte dei conti.
Da ultimo, il Consiglio di Presidenza di questa Corte, con la deliberazione n. 210 in data
25.11.2016, ha approvato - in sostituzione della disciplina dettata con la precedente
deliberazione n. 425/CP/2005 - le linee guida sullo svolgimento della cerimonia di inaugurazione
dell'anno giudiziario innanzi alle Sezioni Riunite ed a quelle giurisdizionali regionali della Corte
medesima.
Con detta deliberazione si dispone, in particolare, quanto segue:
“6. In sede regionale compongono il Collegio il Presidente e tutti i magistrati assegnati alla Sezione
giurisdizionale o che comunque abbiano integrato il Collegio nell'anno precedente per almeno cinque
udienze.
7. Il Presidente della Sezione giurisdizionale svolgerà la relazione, redatta nella forma scritta e
previamente scambiata, con reciprocità, con il Procuratore regionale, contenuta nei limiti di 30
minuti, che sarà, poi, inviata al Consiglio di presidenza. Tale relazione illustrerà l'attività della
Sezione medesima con cenni agli interventi legislativi e normativi che hanno riguardato la Corte
nell'ultimo anno e con l'eventuale indicazione di indirizzi giurisprudenziali di particolare rilievo.
8. Seguiranno le relazioni del Procuratore regionale e del Presidente del Consiglio dell'Ordine degli
avvocati, nei limiti di 15 minuti ciascuna. La relazione del Procuratore regionale sarà redatta nella
forma scritta e sarà, poi, inviata al Consiglio di presidenza.
9. Seguiranno gli interventi, da contenere nei limiti di 10 minuti, del Presidente della Sezione
regionale di controllo, e da contenere nel limite di 5 minuti, del rappresentante del Consiglio di
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presidenza della Corte dei conti e del rappresentante dell'Associazione Magistrati della Corte dei
conti.
10. Non sono consentiti interventi da parte dei rappresentanti delle Istituzioni locali.
11. Al Presidente della Sezione giurisdizionale è attribuita la funzione di disciplinare lo
svolgimento della cerimonia di inaugurazione nella massima sobrietà.
12. Il Presidente della Sezione medesima, al termine degli interventi, su richiesta del Procuratore
regionale, dichiarerà l'apertura dell'anno giudiziario.
13. In margine alla cerimonia sono consentiti contatti con la stampa, limitatamente a profili
istituzionali, coerenti con i contenuti trattati nella relazione …”.
Alla luce e con l’osservanza di dette disposizioni viene, dunque, disciplinato lo svolgimento
della presente cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario 2017 della Sezione
giurisdizionale della Corte dei conti per la regione Molise.
Il carattere di “massima sobrietà” nella celebrazione di tale cerimonia, prescritto dalla
summenzionata deliberazione, unitamente alla previsione del 2° comma dell’art. 5 del Codice
di Giustizia Contabile, approvato con Decreto Legislativo 26 agosto 2016, n. 174 (il quale
statuisce che “Il giudice, il pubblico ministero e le parti redigono gli atti in maniera chiara e
sintetica”) hanno consigliato di concepire la presente relazione in forma sensibilmente più
sintetica rispetto a quella delle precedenti cerimonie di inaugurazione, anche al fine di
facilitarne la lettura e di favorire la conseguenziale formazione di una visione complessiva della
fenomenologia processuale, giurisprudenziale e normativa dei temi trattati.
Le più rilevanti questioni, concernenti le fattispecie di devianza comportamentale e gestionale
sottoposte alla cognizione della Sezione giurisdizionale per la regione Molise e giudicate nel
corso dell’anno 2016, sono state, di seguito, illustrate secondo una prospettazione intesa a
valorizzarne il significato giuridico-processuale nel contesto dei rapporti giuspubblicistici e
giuscontabilistici degli agenti pubblici con le Istituzioni di appartenenza.
Le più significative novelle legislative, coinvolgenti le funzioni di questa Corte, intervenute
nell’anno 2016, sono state illustrate secondo una trattazione intesa a valorizzarne e ad
evidenziarne, in linea meramente generale, il portato innovativo e le eventuali problematiche
applicative, con espressa salvezza degli indirizzi interpretativi che la giurisprudenza si
incaricherà di scolpire, sul campo, nell’esercizio della sua attività ermeneutica sulla base del
fatto narrato e, quindi, del caso concreto.
E’ stata, altresì, fornita una illustrazione di carattere generale di alcuni fra i più significativi
indirizzi giurisprudenziali formatisi nell’anno 2016.
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Quanto ai risultati dell’attività giudiziaria svolta da questa Sezione nel decorso anno, non ci si
può esimere dall’evidenziare come essi appaiano particolarmente significativi laddove soltanto
si consideri il contesto estremamente difficile, se non, addirittura, proibitivo nel quale sono
stati conseguiti.
Infatti, per oltre la metà dell’anno 2016, nell’organico di fatto della Sezione – in linea con i
soverchianti vuoti di organico venutisi a creare, negli ultimi tempi, nella Corte dei conti – ha
potuto militare un solo giudice a latere del presidente; sicché, per poter celebrare le udienze di
rito, si è dovuti ricorrere, in applicazione della deliberazione del Consiglio di presidenza n.
183/2012, all’integrazione del collegio, senza carico, con uno dei magistrati in servizio presso la
Sezione regionale di controllo per il Molise.
Inoltre, in conseguenza della destinazione di un magistrato ad altre funzioni, non si è potuto
acquisire e, quindi, pubblicare, nell’anno 2016, un discreto numero di sentenze, pur a fronte
dell’intervenuta definizione delle controversie giudiziarie di riferimento.
Per di più, il trasferimento di un altro magistrato ad un’altra Sezione non ha consentito di
poter accelerare i tempi di deposito di altre sentenze, onde consentirne la pubblicazione entro
il 2016, anche qui, pur a fronte di giudizi definiti nelle camere di consiglio di fine anno.
Ciononostante, nell’esercizio della funzione giurisdizionale in materia di contabilità pubblica,
nel corso del 2016 (senza tener conto di tutte le decisioni deliberate nel 2016 ed in corso di
pubblicazione nel 2017), a fronte di n. 176 Giudizi in carico, la Sezione ne ha definiti n. 74 (n.
12 in più rispetto all’anno 2015, in cui la Sezione aveva operato ad organico pieno) dei quali n.
15 con procedimento monitorio. I giudizi in tal modo definiti hanno dato luogo all’emissione
di n. 55 sentenze (di cui n. 7 in corso di pubblicazione, per n. 32 di condanna), oltre a n. 15
ordinanze monitorie e n. 4 ordinanze in materia di sequestro conservativo (n. 2 in più rispetto
all’anno 2015, in cui la Sezione aveva operato ad organico pieno), ed hanno propiziato un
recupero complessivo, per l’Erario, di circa € 2.138.870, oltre accessori di legge.
Per quanto più specificamente concerne il settore dei conti giudiziali, a fronte di un carico
complessivo di n. 3933 conti (fra quelli già in carico dal 1° gennaio e quelli pervenuti nel corso
dell’anno), ne sono stati definiti n. 176. Nell’ambito dei ricorsi pensionistici, sono state
pronunciate n. 14 sentenze, di cui n. 3 di accoglimento.
E’, infine, il caso di sottolineare che, a rendere ancor più impegnativa l’attività dispiegata negli
ultimi mesi dell’anno, ha concorso, in modo rilevante, l’immediata entrata in vigore di gran
parte delle nuove norme introdotte dal predetto Codice di Giustizia Contabile (approvato con
Decreto Legislativo 26 agosto 2016, n. 174), la quale, come sempre avviene in consimili casi,
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ha posto problemi applicativi ed ermeneutici di non poco rilievo, soprattutto in cospetto di
vicende processuali già impostate secondo il previgente ordinamento.
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1. ATTIVITÀ DELLA SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE MOLISE
2.1 Questioni maggiormente rilevanti in materia di responsabilità
Varie sono le fattispecie pervenute all’attenzione della Sezione.
Con il Decreto presidenziale in data 29 agosto 2016, la Sezione Molise ha stabilito un innovativo
precedente circa l’accoglibilità dell’istanza di sequestro conservativo ante causam, ex art. 5,
comma 2 del decreto legge 15 novembre 1993, n. 453.
Nell’esercizio del proprio potere di pronunciare in merito all’ istanza di sequestro conservativo,
ante causam, del Pubblico Ministero, il Presidente, con proprio decreto, non ha autorizzato la
misura cautelare de qua, richiesta, dalla Procura Regionale, nei confronti di alcuni funzionari
comunali ai quali era stato imputato un danno erariale per mancato aggiornamento
quinquennale degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria.
In particolare, quanto alla sussistenza del requisito del periculum in mora - ipotizzata dalla
Procura istante - nel provvedimento presidenziale, “sotto il profilo del criterio soggettivo riferibile
ad eventuali comportamenti degli intimati, depauperativi della garanzia generica del credito
risarcitorio”, è stato evidenziato come la relativa prospettazione non possa fondarsi “su
valutazioni meramente potenziali ed astratte, ma deve ancorarsi alla dimostrazione (che, però, nel
caso di specie non è stata fornita dall'Ufficio requirente) della sussistenza di precisi e concreti
elementi fattuali e fattoriali che lascino presagire l'imminente dispersione del patrimonio degli
intimati ed inducano il fondato timore del probabile compimento di atti di disposizione patrimoniale
preordinati ad impedire o a diffìcultare il futuro soddisfacimento delle pretese creditorie (sul punto,
cfr., ex plurimis, Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la Regione Siciliana, 3 aprile 2006,
n° 137 ord. e 3 febbraio 2003, n. 54 ord., con giurisprudenza conforme ivi citata; cfr. anche Sezione
giurisdizionale per le Marche, 21 ottobre 2002, n° 128 ord.; Corte di cassazione, Sezione III civile,
13 febbraio 2002, n° 2081 e conformi, ecc.), e (lo si sottolinea ad abundantiam) ciò a maggior
ragione quando, come nella fattispecie, non solo la notitia damni, ma anche l'esito delle ispezioni
ipotecarie e visure catastali, concernenti i diritti immobiliari degli intimati, risalgano ad oltre tre
mesi prima del deposito dell'istanza di sequestro, e siano state comunicate alla Procura sulla base
di un'articolata e corposa informativa […] redatta dal Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia
di Finanza; mentre il seguito di cui alla successiva missiva del medesimo Nucleo appare
semplicemente confermativo dei criteri di rilevazione degli elementi per la determinazione del danno
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già ampiamente illustrati […] né, comunque, l'Ufficio requirente, nell'istanza di sequestro, ha
dedotto eventuali significative novità […] né ha, conseguenzialmente motivato in ordine ad esse”.
Sotto il profilo del fumus boni iuris, nel decreto viene sottolineato che “in disparte ogni altro
aspetto da approfondirsi in sede di plena cognitio, e salvi, comunque, le risultanze e l'esito finale
dell'esame di merito […] non appaiono essere state precisate, nell'istanza di sequestro, le quote o
porzioni di danno poste a carico di ciascun degli intimati, né è stata dedotta la sussistenza, nella
fattispecie, delle ipotesi di illecito (dolo o illecito arricchimento : cfr. art. 1, commi 1 quater e 1
quinquies della L. 14 gennaio 1994, n. 20) legittimanti l’evocazione a titolo di responsabilità
solidale)”; e si aggiunge che “al riguardo, non potrebbero – quantomeno ai fini che ne occupano
nella presente sede a cognizione sommaria - supplire a tale mancanza né la mera esposizione,
nell’istanza di sequestro, di una tabella contenente l’indicazione dell’importo di danno riferibile a
ciascuna delle annualità considerate, né la mera descrizione (rinvenibile nel corpo dell’istanza) dei
periodi di servizio o di esercizio delle funzioni da parte di ciascun intimato, e ciò in quanto, non solo
la P.R. non esplicita di intimare i soggetti de quibus […] in ragione dei periodi di servizio o di
esercizio delle funzioni prestati da ciascuno di essi, ma sussiste una evidente sovrapposizione dei
periodi di funzioni degli Assessori con quelli dei Funzionari, né, come innanzi dicevasi, è stata
dedotta la sussistenza, nella fattispecie, delle ipotesi di illecito (dolo o illecito arricchimento: cfr. art.
1, commi 1 quater e 1 quinquies della L. 14 gennaio 1994, n. 20) legittimanti l’evocazione a titolo
di responsabilità solidale, in forza della quale si sarebbe – salva l’incidenza, al riguardo, di ogni
altra pertinente considerazione – potuta, in ultima analisi, inferire la parità delle quote in assenza
di precisazione della ripartizione interna della responsabilità medesima”, sottolineandosi, altresì,
che “le suesposte perplessità – come innanzi si sottolineava – riverberano, peraltro, i propri effetti
corroborativi sulla valutazione dell’insussistenza di idonea dimostrazione in ordine al periculum in
mora”.
Inoltre, con il decreto de quo - in adesione agli orientamenti più garantistici elaborati dalla
giurisprudenza con riferimento alla fase successiva all’emissione del decreto presidenziale non
autorizzativo della misura cautelare - è stata fissata l’udienza innanzi al Giudice Designato,
chiarendosi come nell’ipotesi di reiezione, da parte del Presidente della Sezione giurisdizionale
regionale (sulla base di decreto motivato, pronunciato, inaudita altera parte, ai sensi della
menzionata normativa di riferimento), dell’istanza di autorizzazione al sequestro conservativo
presentata dalla Procura regionale, le norme applicabili, “alla presente fase cautelare (cfr,, in
particolare : art. 5, comma 1, del decreto-legge 15 novembre 1993 n° 453, convertito, con
modificazioni, dalla legge 14 gennaio 1994 n° 19, come sostituito dall’art. 1, comma 3-bis, del
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decreto-legge 23 ottobre 1996 n° 543, convertito dalla legge 20 dicembre 1996 n° 639; artt. 669 e ss.
del c.p.c., con particolare riferimento agli artt. 669-sexies e 669-terdecies; artt. 24 e 111 della
Costituzione, ecc.)”, non possano essere interpretate (ostandovi i principi del giusto processo e
le prerogative difensive delle parti costituzionalmente garantite), nel senso che la predetta
modalità di reiezione importi il venir meno della successiva fase del procedimento cautelare, da
celebrarsi, nella pienezza del contraddittorio, innanzi al giudice monocratico all’uopo
designato, cui è commesso il potere di confermare, modificare o revocare, con ordinanza, il
provvedimento presidenziale, all’udienza di cui alla lettera a) del comma 3 dell’art. 5 del
decreto-legge n. 453/1993; inoltre, con il provvedimento in questione, si pone in rilievo come le
suesposte considerazioni acquistino più cospicua evidenza laddove si consideri che, contro il
decreto presidenziale reiettivo de quo non sia proponibile, per saltum, il rimedio del reclamo ex
art. 669-terdecies c.p.c., posto che, come agevolmente si desume dalla stessa formulazione di
detta norma, quest’ultimo può essere esperito esclusivamente avverso “ordinanze” (e, quindi,
avverso provvedimenti pronunciati a contradditorio integro), restandone,
conseguenzialmente, esclusi i “decreti”, i quali, in subiecta materia, vengono pronunciati
inaudita altera parte e non presentano un contenuto decisorio, posto che gli effetti da essi
prodotti, per loro natura, instabili ed interlocutori, risultano inevitabilmente sottoposti
all’esito della pronuncia del giudice designato (cfr., sul punto, anche Corte dei conti, Sezione
giurisdizionale per la Liguria, 28 dicembre 1995, n° 88 ord.; Sezione giurisdizionale per la
Sardegna, 25 marzo 1998, n° 45 ord.; Sezione giurisdizionale per la Regione Siciliana, 7 gennaio
1998, n° 1; cfr. anche Sezione giurisdizionale per la Regione Siciliana, 2006, n° 137 ord. ecc.).
Con ordinanza n. 23/2016, il Giudice designato confermava il succitato provvedimento
presidenziale, osservando, preliminarmente, come la fase cognitoria del giudizio cautelare a lui
demandata non potesse considerarsi caratterizzata da alcun effetto devolutivo in rapporto al
predetto decreto presidenziale (assunto “inaudita parte”) di rigetto dell’istanza di sequestro,
ferma restando la reclamabilità della statuizione assunta nel giudizio di conferma.
Il G.D. proseguiva sottolineando che “nella presente sede dovranno essere in piena autonomia
delibati entrambi i requisiti fondanti il proposto sequestro, alla luce del contraddittorio integro e
pieno emerso, sia in sede di deposito delle memorie di costituzione in giudizio che nel corso del
celebrato dibattimento, elementi questi che erano evidentemente preclusi in sede di primo vaglio
presidenziale”.
Così delimitato il perimetro della cognizione a lui rimessa, il G.D. passava allo scrutinio dei
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requisiti di ammissibilità della tutela richiesta, evidenziando come, “Circa la fondatezza del
requisito del “fumus boni iuris” sussistessero una pluralità di elementi di incertezza che investivano,
ad un tempo, i connotati sia qualitativi che quantificatori dell’ipotesi accusatoria”.
Al riguardo, affermava il G.D. che “[…] In particolare deve sottolinearsi che l’asserito, rilevante,
nocumento erariale non emerge con l’indispensabile evidenza imposta dalla peculiare natura del
presente giudizio cautelare (che non consente approfondimenti di tipo istruttorio per la celerità e
sommarietà che lo caratterizza e che dovrebbe permettere, quasi ictu oculi e allo stato degli atti,
un’immediata e agevole percezione del contesto normativo), ma piuttosto scaturisce da un complesso
calcolo degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria, di non agevole percepibilità nella
prospettazione attorea”.
La conseguenza è stata “un’oggettiva insormontabile difficoltà di cognizione sia dell’an che del
quantum debeatur”, atteso che “non vengono rappresentate […] le specifiche modalità con cui si è
concretamente manifestata la condotta asseritamente colpevole dei convenuti, configurandosi la
stessa come meramente tautologica, nel senso che essa di fatto viene a coincidere con il mero evento
materiale dell’ipotizzato nocumento erariale”.
Parimenti, quanto alla delimitazione dell’apporto causale fornito da ciascuno dei convenuti ed
alla quantificazione della quota di danno ad esso corrispondente, il G.D. ha constatato che “la
parte attrice non ha in alcun modo precisato, nell’istanza di sequestro, le quote o porzioni di danno
poste a carico di ciascun intimato”, ed ha posto in rilievo che “... nel procedimento per sequestro
conservativo (a differenza che nell’ordinario procedimento giurisdizionale di accertamento della
responsabilità contabile), vi è già una sostanziale compressione delle posizioni soggettive dei
convenuti, circostanza questa che impone, in sede di decisione, un vaglio attento e calibrato
nell’apposizione del vincolo cautelare. Ne consegue che il carattere sommario del rito cautelare,
unitamente all’insussistenza di adeguati elementi prognostici ai fini dell’ascrivibilità delle quote di
danno imputabili ai convenuti, non consente al G.D. (a differenza di quanto, di regola, accade nel
giudizio di merito) un’efficace, esaustiva attività di parametrazione del nocumento erariale
soggettivamente ed oggettivamente ascrivibile ai vocati in giudizio. Diversamente opinando, il G.D.
esprimerebbe, in un contesto processuale a cognizione sommaria, una valutazione di esclusiva
pertinenza della parte attrice, onerando impropriamente in misura maggiore, in ipotesi, con una
propria misura valutativa un convenuto piuttosto che un altro, in carenza, peraltro, del possibile
correttivo rappresentato, in caso di incertezza, dal supporto di un approfondimento istruttorio che
l’urgenza recata dalla procedura cautelare evidentemente preclude. In ogni caso, sul predetto punto
controverso, parte attrice non ha indicato alcun criterio differenziale, neppure di tipo paritario tra i
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convenuti”.
Il G.D. poneva, poi, in rilievo come la motivazione dell’istanza di sequestro non chiarisse né
escludesse, in radice, l’eventuale contributo eziologico dell’asserito danno, offerto da altri
soggetti che, pur non evocati direttamente (consiglio comunale), non sembravano estranei alla
dinamica dei fatti e che, pertanto, per tale ragione, introducevano un oggettivo elemento di
incertezza nell’accertamento del nesso causale, allo stato degli atti, certamente dirimente.
Anche in ordine al secondo requisito per la concessione della richiesta tutela cautelare, il
periculum in mora, il G.D. formulava esplicite riserve, osservando come non fosse stato “fornito
alcun elemento probatorio o principio di prova attestante una reale situazione di pericolo in
ordine alla dispersione della garanzia patrimoniale ad opera dei convenuti”, e come, per altro
verso, non risultassero documentati, neppure in via presuntiva o indiziaria, elementi che
attestassero, alla luce della condotta complessiva dei convenuti, la sussistenza di un rischio
oggettivo di probabile depauperamento del patrimonio degli intimati.
Premettendo che il “periculum in mora richiede l’attualità del pericolo e non l’effettivo
depauperamento, non richiedendosi il riscontro di un’attività di distrazione in atto”, il G.D.
rilevava che “nessun elemento prognostico può essere tratto dall’assunto che il periculum
discenderebbe: “”dalla gravità degli illeciti a lungo perpetrati dagli invitati, unitamente all’ingente
importo del danno erariale””, precisando conclusivamente che “non è tanto (o quanto meno non
è solo) l’eventuale sproporzione tra patrimonio del convenuto ed entità risarcitoria del danno
ipotizzato, il criterio discretivo a fondamento dell’accoglimento della cautela, quanto piuttosto la
riscontrabile sinergia, tanto di elementi soggettivi che oggettivi. Diversamente opinando si
introdurrebbero elementi spuri di valutazione giudiziale, estrinseci (se isolati) al disvalore della
condotta e comunque estranei alla dinamica dei fatti, in quanto anteriori all’evento e di fatto
discriminatori (condizione economica e stato patrimoniale del convenuto)”.
Sempre in materia cautelare, fra le più significative ordinanze pronunciate dal Giudice
designato per la conferma, modifica o revoca del provvedimento presidenziale concernente
l’istanza di sequestro, viene in rilievo l’ord. di conferma n. 7/2016, con la quale – sia pure nei
limiti della sommaria cognizione - non viene riconosciuto pregio alla sollevata eccezione di
prescrizione quinquennale, sia per la sussistenza di una condotta, quanto meno elusiva,
riconducibile alla convenuta e sia perché non è dirimente la circostanza che i controlli in precedenza
effettuati (tra l’altro, con diverse finalità […]) non abbiano rilevato irregolarità della medesima
natura nella presente sede contestate, a fortiori, tenuto conto che solo accertamenti mirati e più
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approfonditi eseguiti dalla Guardia di Finanza hanno potuto rilevare situazioni di illiceità,
sostanzialmente dissimulate”.
Con la sent. n. 42/2016, nell’alveo ancora poco esplorato delle spese dei Gruppi consiliari, sono
state affrontate alcune complesse questioni in materia di ammissibilità delle spese dei Gruppi
consiliari, fissandosi, in particolare, al riguardo, il principio secondo il quale non possa
considerarsi come plausibile e funzionale ai predetti fini, l'attività “atomisticamente” riconducibile
al singolo consigliere regionale ed apoditticamente ritenuta, in ogni caso ed in re ipsa, ascrivibile al
gruppo consiliare di riferimento.
Così opinando, infatti, si determinerebbe un'inammissibile frammentazione delle iniziative
ammesse a finanziamento pubblico, una incontrollata moltiplicazione di esse, con conseguente
dilatazione della spesa pubblica, con compressione altresì del budget astrattamente a disposizione
dei gruppi consiliari unitariamente intesi.
In altre parole, la generica riferibilità delle spese oggetto della richiesta di rimborso al gruppo
consiliare di appartenenza, non giustifica né legittima la riconducibilità delle somme di denaro
impiegate, laddove il nesso funzionale con l'organo ("gruppo consiliare"), appaia vago e non
sufficientemente circostanziato: e diversamente intesa, la nozione stessa di: “attività politica del
gruppo consiliare”, acquisirebbe una dilatazione semantica, assolutamente irragionevole tale da
contemplare nella nozione di atto politico, suscettibile di rimborso, qualsivoglia iniziativa, che
presenti anche solo un tenue nesso eziologico con l'azione del gruppo consiliare”.
Nella stessa pronuncia, viene, altresì, data una compiuta sistemazione al tema – spesso
ricorrente nelle difese svolte dai convenuti in subiecta materia – del valore scriminante riferibile
all’assenza di una specifica fonte normativa sull’erogazione dei rimborsi.
Secondo la pronuncia, infatti, “non può costituire esonero da responsabilità o motivo di
attenuazione della colpa il fatto che la legge regionale non prevedesse, in modo elencativo, le spese
dei gruppi ammissibili, essendo principio pacifico (confortato da pacifica e risalente
giurisprudenza (cfr. Sez. Veneto sent. 456/96; Sez. Il app. n. 162/98; Sez. Basilicata 129/200;
Sez. Friuli sent. 11/2014 e 90/14) la necessità, da un canto, di produrre adeguata documentazione
a supporto della spesa, ma anche e soprattutto di offrire adeguata ponderazione della loro pertinenza
ad un concreto e attuale interesse del gruppo consiliare.
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A nulla varrebbe opporre, in ipotesi, una generale prassi amministrativa, atteso che, a fronte di una
consuetudine illegittima ed in violazione dello stesso canone di ragionevolezza, non può certo
configurarsi un'attenuazione della colpa”.
Anche sulla legittimazione passiva e sull’apporto causale individuale al fatto dannoso, la
menzionata sentenza, ricca di spunti e di interessanti snodi argomentativi, ha stabilito che
“Alla luce della previsione normativa di cui all’art. 7 del Regolamento del Consiglio Regionale e
dell’art. 15 dello Statuto allora vigente, non è dato ravvisare a carico del Presidente del Consiglio
Regionale e dell’Ufficio di Presidenza (cui ciascun Gruppo Consiliare trasmette il proprio
rendiconto), una corresponsabilità nella mancata rilevazione di spese indebite, anche in virtù di
un’esimente politica che caratterizza, nel caso di specie, i compiti loro delegati dalla legge, non
essendo configurabili penetranti poteri in ordine al vaglio della documentazione giustificativa delle
spese dei Gruppi Consiliari”.
La pronuncia prosegue, però, prendendo in considerazione, sia pure ai soli fini della
quantificazione del danno, l’incidenza causale del comportamento di alcuni soggetti, anche
componenti di organi collegiali, non evocati in giudizio, affermando, al riguardo, che Tuttavia
il Collegio non può non tener conto, sia pure ai soli fini della quantificazione del nocumento,
dell’apporto causale, quanto meno indiretto, offerto dal ruolo di Capogruppo consiliare (al quale
viene sottoposta la liquidazione delle spese), disimpegnando i relativi oneri di carattere gestionale e
di verifica sulle spese del Gruppo che era chiamato ad appurare, sotto il profilo di una “culpa in
vigilando”.
Sul punto merita di essere segnalata la sentenza della Cassazione Pen. Sez. VI n. 1053/13 e n.
49976/12 secondo cui: “”Il Presidente di un Gruppo Consiliare riveste la qualità di pubblico
ufficiale, esercitando una pubblica funzione che lo istituisce come partecipe diretto della procedura
di controllo del vincolo di destinazione dei contributi erogati al Gruppo consiliare con l’obbligo di
rendicontazione, rispondendo personalmente per peculato per l’utilizzo di fondi per finalità estranee
a tale vincolo””.
Del pari, dovrà considerarsi la posizione del Collegio dei Revisori dei Conti che è stato chiamato ad
esprimere un parere tecnico di regolarità sul rendiconto dei Gruppi Consiliari.
Tale condotta sostanzia, pertanto, nel suo insieme un evidente inadempimento, tanto degli obblighi
di controllo, volti alla salvaguardia degli equilibri di bilancio, quanto dell’obbligo di denuncia
esplicita della fattispecie alla Procura territorialmente competente.
Tutto ciò premesso, in conclusione, il Collegio reputa fondata nel merito la pretesa attrice, sia in
punto di illeceità della spesa, che di elemento psicologico, alla stregua della colpa grave, atteso che al
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convenuto non poteva sfuggire l'estraneità del rimborso richiesto alle esigenze di funzionamento del
Gruppo consiliare e che l'esistenza di una siffatta “prassi” non potesse avere valore di esimente.
Allo stesso tempo, il Collegio ai fini della effettiva ascrivibilità del nocumento erariale non può non
valutare, in via virtuale, l’apporto causale offerto in merito dal Collegio dei Revisori dei Conti e dal
Capogruppo Consiliare”.
Con la sentenza n. 53/2016 si affronta la vexata quaestio della rilevanza, in termini di nullità
dell’azione di responsabilità, della dilatazione, oltre il periodo temporale contemplato
dall’acquisita “notitia damni”, dell’attività istruttoria dispiegata dal P.M. contabile.
Al riguardo, è stato osservato che “lo sfalsamento temporale cui fanno riferimento le difese dei
convenuti (secondo cui l’esposto del 2009 non avrebbe potuto estendersi oltre il predetto anno, né
comunque legittimare il Requirente ad un’estensione temporale delle proprie indagini), omette di
considerare l’attività di ricerca della prova che non può che articolarsi nel tempo, obbedire ad una
scansione cronologica subordinata alla disponibilità degli organi di indagine a tale fine delegati, ad
una costante interlocuzione tra soggetto delegante e delegato e, sovente, a difficoltà nel reperimento
del materiale probatorio e nella corretta ricostruzione degli avvenimenti.
Pertanto, nel corso dell’istruttoria, segnatamente nei casi in cui le condotte indebite vengano reiterate
nel tempo, come nel caso in esame e risultino qualitativamente e teleologicamente sovrapponibili, è
inevitabile riscontrare una dilatazione temporale dell’originario perimetro cronologico recato
dall’esposto-denuncia e che, tuttavia, non rinnega, né lede i requisiti di specificità e concretezza della
“notitia damni” sopra indicati, né configura un ampliamento indebito del thema decidendum in
giudizio”.
Nella medesima pronuncia, si prende posizione anche in ordine alla natura della responsabilità
dirigenziale conseguente alla violazione dell’art. 7, d. Lgs. n. 165/2001, in materia di
affidamento di incarichi esterni di natura occasionale o coordinata e continuativa.
Confutando alcuni assunti defensionali ravvisativi, nella norma citata, di una fattispecie di
responsabilità sanzionatoria (con l’effetto di volerne vedere imputate le conseguenze al solo
funzionario stipulante), la sentenza in esame ha ritenuto venire in rilievo, nel caso di specie,
una forma di responsabilità di tipo gestorio, sottolineando, in particolare, che non è dato rinvenire
nel caso di specie, né una tipizzazione della condotta dell’agente, né una quantificazione ex ante
dell’addebito ed aggiungendo che Peraltro, la responsabilità sanzionatoria postula necessariamente
l’ accertamento della sussistenza, quanto meno del livello di colpa grave, similmente per quanto
accade per l’illecito contabile risarcitorio (corte dei conti SS.RR. n. 12/QM/12; Sez. Molise sent.
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n. 102/2015). Ne consegue che, quale che sia la natura della responsabilità oggetto del giudizio,
certamente essa non postula alcun automatismo nell’ ascrivibilità del danno ai vocati in giudizio,
sulla base della sussistenza della sola illegittimità dei provvedimenti assunti. […] Pertanto la
norma richiamata (art. 7 D. lgs. 165/01), oltre a non fondare un’ipotesi di responsabilità oggettiva,
non esclude né comprime il perimetro dell’azione di responsabilità contabile che ben può, utilmente
e legittimamente, estendersi, a tutti coloro che hanno offerto il proprio cosciente contributo causale
alla verificazione del fatto lesivo (organo politico)”.
La Sezione ha pertanto ritenuto la sussistenza della responsabilità collegiale di tutti i
componenti dell’organo Giuntale, oltre che del funzionario stipulante, in ordine al danno
derivante dall’illegittimo affidamento di incarichi di collaborazione coordinata e continuativa,
al di fuori delle condizioni previste dall’art. 7 citato, ripartendola tra detti soggetti in ragione
del diverso ruolo assunto da ciascuno di essi nella integrazione della fattispecie dannosa.
Con la sent. n. 6/2016 la Sezione ha respinto l’eccezione di inammissibilità proposta dalla parte
convenuta in ordine alla prova assunta nell’ambito del procedimento penale vertente sulla
medesima fattispecie per cui era stato attivato il giudizio di danno erariale.
In particolare, pur prendendo atto delle argomentazioni sulla rilevanza della prova conseguita
mediante le indagini di polizia giudiziaria, il Collegio ha osservato “che il principio del
contraddittorio desumibile dall'art. 24 della Costituzione e i principi del giusto processo sanciti
dall'art. 111 Cost., non sono vulnerati dall’utilizzo, in sede di giudizio contabile, di materiale
probatorio proveniente dall'istruttoria penale, sempre che venga garantito il contraddittorio differito,
ovvero una successiva valutazione critica del materiale raccolto ed una eventuale successiva
produzione di controprove.
Infatti, la Legge costituzionale n. 2/99 non ha interessato il processo di responsabilità
amministrativa, in quanto l'art. 111 della Costituzione fissa solo per il processo penale il principio
delia formazione della prova nel contraddittorio delle parti, per cui, nei giudizi civili o
amministrativi, il legislatore è libero di disciplinare la formazione della prova in maniera elastica,
anche alla stregua delle acquisizioni effettuate stragiudizialmente dal P.M. contabile, che ben
possono configurarsi come elementi di convincimento del giudice e come tali liberamente valutabili,
sia pure nei limiti e nel senso sopra precisati.
La fonte normativa di tale principio può individuarsi nell'ampio tenore della disposizione di cui
all'art. 116 c.p.c. in tema di valutazione delle prove.
Nulla osta, pertanto, all'utilizzo, nel presente giudizio, delle dichiarazioni testimoniali rese in sede
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di indagini penali come elementi di prova valutabili liberamente da questo giudice, essendo
applicabile l'art. 2735 c.c.
Infatti, nel presente processo non trovano applicazione le norme del c.p.p., bensì quelle del codice
civile, quali l'art. 2730 c.c. e il principio del libero convincimento ex art. 2735 c.c. (cfr. Sez. I
Centrale n. 184/A/2000 e Sez. Sardegna n. 461 del 1999).
La predetta ricostruzione trova il conforto di autorevole e univoca giurisprudenza, la quale ha
precisato che:
- Il diritto delle controparti a interloquire, a posteriori, sulle prove raccolte elimina la disparità di
trattamento e il relativo vizio del procedimento (cfr. Cass. civ. Sez. I, sent. n. 10833/1995);
- le norme dettate dall'art. 111 Cost. specificamente per il processo penale, non possono ritenersi
automaticamente applicabili al processo civile, stante la differenza tra i due processi che ben può
giustificare che il principio del contraddittorio nell'assunzione delle prove possa trovare applicazione
con forme e intensità diverse (cfr. Sez. I Centrale, sent. n. 1/0/2006).
Di modo che, similmente al processo civile, al processo contabile si applicano le sole regole previste
nel 2° comma dell'art. 111 Cost. novellato, che utilizza una formula ("ogni processo si svolge in
contraddittorio") che, diversamente da quella contemplata nel successivo comma 4 ("il processo
penale è regolato dal principio del contraddittorio nella formazione della prova"), non impedisce che
l'esercizio del diritto di difesa possa essere posticipato all'attività di formazione della prova (cfr.
Corte dei conti, Sez. I Centrale, sent. 1/A/2006)”.
Nello stesso arresto, la Sezione ha espresso anche un originale convincimento circa l’utilizzo del
procedimento logico-induttivo per la formulazione del giudizio di condanna. La fattispecie
oggetto della pronuncia era caratterizzata dall’esistenza di precedenti – concernenti il
medesimo fatto criminoso censurato dalla Procura con più azioni di danno – già definiti in
giudizi penali, dai quali l’azione del Requirente contabile traeva origine nonché forza
descrittiva e argomentativa.
Alla asserita doverosità di una valutazione separata – sia sul piano logico che su quello
istruttorio – delle fattispecie dedotte nei diversi giudizi, il Collegio ha replicato che “lo scenario
fattuale che è possibile evincere dalle indagini penali […] consente attraverso la cd. ““convergenza
del molteplice””, di conseguire la prova del fatto ignoto attraverso la combinazione ed il collegamento
di una pluralità di indizi, il cui significato rappresentativo di certezza sui fatti noti, determina
univocità nella conclusione del sillogismo argomentativo.
La diffidenza nell’utilizzazione della prova presuntiva è dunque giustificabile, poiché la medesima
certezza probatoria può essere raggiunta con ragionamento induttivo.
- 17 -
Vi è peraltro un altro aspetto di assoluta rilevanza che, ad un tempo, avvalora la tesi accusatoria
sotto il predetto profilo presuntivo e del pari, identifica un autonomo profilo eziologico di nocumento
erariale.
Orbene, la società cooperativa destinataria del finanziamento pubblico, non solo si caratterizzava per
la presenza nella compagine sociale, dello stesso convenuto, nella qualità di socio della stessa e come
tale integrante un macroscopico conflitto di interessi ma (circostanza questa ancora più gravemente
eloquente) la Società cooperativa di cui trattasi, non è mai stata attiva nel raggiungimento del fine
sociale.
Ne consegue che proprio tale aspetto, pur in disparte dagli esiti cui è pervenuto il procedimento
penale, è di per sé e in quanto tale, espressione di una dissipazione di risorse pubbliche, prive di
qualsivoglia corrispettività, che ben può essere ricondotta alle scelte di finanziamento assunte, con
proprio provvedimento, dal Dirigente […].
Alla luce delle predette argomentazioni il Collegio reputa di accogliere integralmente la domanda
attrice”.
Con la sent. n. 8/2016 la Sezione ha avuto modo di esaminare la questione riguardante l’attività
di verifica svolta dalla Sezione di Controllo e la sua attitudine a costituire notizia di danno
idonea a dare impulso all’attività del Requirente contabile, definendo anche il perimetro dei
rispettivi ambiti operativi.
“Non è in discussione”, chiarisce la Sezione, “il potere della sezione regionale di controllo di
esaminare il rendiconto del Gruppo consiliare […] delle spese sostenute con i finanziamenti previsti
dalla legge regionale […], o l’obbligo degli stessi Gruppi consiliari di sottoporlo, per il tramite della
Presidenza del Consiglio regionale, alla sezione regionale di controllo della Corte dei conti ai sensi
del d.l. n. 174/2012, convertito nella legge n. 213/2012, né è in discussione la legittimità o meno
dell’avvenuto controllo da parte della sezione regionale di controllo della Corte dei conti, essendo tale
questione stata pacificamente risolta, in senso negativo, dalla giurisprudenza della Corte
Costituzionale e della stessa Corte dei conti, bensì il corretto esercizio dell’azione di responsabilità
amministrativa da parte della Procura regionale della Corte dei conti sulla base, fra l’altro, delle
risultanze accertate dalla Sezione regionale di controllo della Corte dei conti con la deliberazione […]
nella quale […] erano state evidenziate diverse irregolarità […]. Fatta questa doverosa
precisazione, ciò che in questa sede è da chiedersi, semmai, è se la segnalazione della sezione
regionale di controllo possa ritenersi, ai sensi dell’art. 17, comma 30-ter, del d.l. n. 78/2009,
convertito, con modificazioni nella legge n. 102/2009 (c.d. Lodo Bernardo), una delle varie
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modalità di manifestazione di “specifica e precisa notizia di danno” a fronte della quale il pubblico
ministero contabile può esercitare l’azione di responsabilità amministrativa, al pari di qualsiasi
altra specifica e precisa notizia di danno.
[…] Né può essere messo in discussione il potere della Procura regionale della Corte dei conti di
avviare un’azione di responsabilità a fronte di una segnalazione della Sezione regionale di controllo
della Corte dei conti, effettuata sulla base di un controllo non dovuto, ma comunque effettuato, tanto
più se si considera che – come nel caso di specie – dopo l’iniziale segnalazione ricevuta dalla Sezione
regionale di controllo attraverso l’acquisizione della deliberazione n. 7/2013, la stessa Procura ha
avviato una propria indagine chiedendo all’Ufficio di Presidenza del Consiglio di trasmettere, oltre
al rendiconto stesso, i documenti giustificativi delle spese ivi riportate, da acquisirsi, se necessario,
presso il Gruppo consiliare, richiesta evasa […]. L’esercizio dell’azione della procura, infatti,
sarebbe inficiata solo se presupposto indispensabile della stessa fosse il previo esame della sezione
regionale, che, nel caso di specie, sarebbe da ritenere come non dovuto, ma comunque effettuato. Ma
così non è.
[…] Va, peraltro, considerato, che, a prescindere dall’ambito di cognizione e dagli effetti delle
deliberazioni della Sezione regionale di controllo, non vi è alcuna incertezza circa il potere-dovere
della Procura regionale di promuovere l’azione di responsabilità amministrativa in relazione a
quelle condotte che, nell’ambito della gestione di denaro pubblico i cui risultati sono sintetizzati nel
rendiconto, abbiano cagionato un danno erariale. Va aggiunto, a tal riguardo, che la trasmissione
alla Procura regionale della deliberazione n. 7/2013 della Sezione regionale di controllo per il Molise
ha costituito mero spunto per l’avvio del procedimento di responsabilità, che la Procura ha poi
proseguito con valutazioni e indagini del tutto autonome, quand’anche eventualmente coincidenti
nell’esito, rispetto a quelle della Sezione di controllo.
[…] A prescindere dal potere della sezione di controllo di esaminare il rendiconto […], vi è
comunque un dato di fatto da cui in questa sede non può prescindersi, e cioè, il fatto che l’esame sia
stato comunque effettuato, e che in quella sede siano state rilevate – e quindi segnalate - delle
irregolarità nella utilizzazione dei finanziamenti […]. Il fatto che le spese […] non dovessero essere
necessariamente sottoposte all’esame della Sezione regionale di controllo, avrebbe potuto inficiare,
semmai, il controllo della stessa Sezione regionale di controllo e le eventuali sanzioni applicate sulla
base dello stesso controllo (che nel caso di specie non risulta siano state applicate), ma non l’esercizio
dell’azione di responsabilità da parte della Procura regionale e l’eventuale accertamento della
responsabilità amministrativa, che non si configurano certamente come sanzioni conseguenti
all’esercizio del controllo. […]
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Alla stregua delle considerazioni suesposte il Collegio ritiene che la segnalazione da parte della
Sezione regionale di controllo della Corte dei conti deve essere intesa, ai sensi dell’art. 17, comma
30-ter, del d.l. n. 78/2009, convertito, con modificazioni nella legge n. 102/2009 (c.d. Lodo
Bernardo), come una delle varie modalità di manifestazione di “specifica e precisa notizia di
danno” a fronte della quale il pubblico ministero contabile può esercitare l’azione di responsabilità
amministrativa, al pari di qualsiasi altra specifica e precisa notizia di danno. Ne consegue che, nel
caso di specie, la segnalazione da parte della Sezione regionale di controllo della Corte dei conti […]
delle irregolarità rilevate nella utilizzazione dei finanziamenti previsti dalla legge regionale della
Regione Molise n. 20/1991 in favore dei Gruppi consiliari regionali […] deve ritenersi una notizia
idonea a legittimare il potere di azione della Procura contabile per l’accertamento delle eventuali
responsabilità rilevabili nella utilizzazione dei finanziamenti stessi.
[…] Né può essere messo in discussione, in questa sede, il fatto che la gestione delle spese in
questione possa costituire fonte di responsabilità amministrativa e che i presidenti e i consiglieri
componenti dei Gruppi consiliari regionali possano comunque incorrere nella responsabilità
amministrativa e contabile per il danno cagionato alle finanze regionali per l’illecita utilizzazione
dei fondi destinati al gruppo.
[…] Sul punto giova ricordare che le Sezioni riunite della Corte dei conti (cfr. Corte dei conti, Sez.
riun., n. 30/2014/QM del 4 agosto 2014) hanno molto chiaramente affermato che, anche se non vi
è alcun obbligo per i presidenti dei Gruppi consiliari di rendere il conto giudiziale alla competente
Sezione giurisdizionale della Corte dei conti relativamente alla gestione dei fondi pubblici erogati
secondo le norme regionali attuative della legge 6 dicembre 1973, n. 853, in quanto gli stessi non
possono ritenersi agenti contabili, così escludendo l’attivabilità del giudizio di conto nei confronti
degli stessi presidenti, deve tuttavia ritenersi con assoluta certezza che i presidenti e i consiglieri
componenti dei Gruppi consiliari regionali sono comunque soggetti alla responsabilità
amministrativa e contabile per il danno cagionato alle finanze regionali per l’illecita utilizzazione
dei fondi destinati al gruppo (cfr. Corte dei conti, Sez. riun., n. 30/2014/QM del 4 agosto 2014)”.
Con la stessa pronuncia, la Sezione (in epoca antecedente all’entrata in vigore del “Codice di
giustizia contabile”) ha respinto anche la richiesta dei convenuti di integrazione del
contraddittorio, affermando che “il potere sindacatorio del giudice contabile, e segnatamente
l’integrazione del contraddittorio mediante la chiamata iussu iudicis, che di tale potere rappresenta
una diretta espressione, deve oggi intendersi fortemente limitato, oltre che alla luce dei principi del
giusto processo di cui al novellato art. 111 della Costituzione, anche alla luce della riforma del
giudizio contabile, che ha equiparato la posizione della parte pubblica a quella della parte privata,
- 20 -
ed ha attribuito al pubblico ministero contabile una gamma di poteri istruttori talmente ampia da
escludere qualsivoglia intervento integratore da parte del giudice, finalizzato alla integrazione del
contraddittorio o alla ricerca della prova, il cui onere – come è noto - non può non gravare su chi
propone la domanda (onus probandi incumbit ei qui dicit). La stessa giurisprudenza del giudice
contabile si è ormai orientata nel senso di ritenere che le norme sul potere sindacatorio del giudice
contabile (artt. 14 e 15 r.d. 1038/33) debbano essere interpretate in maniera costituzionalmente
orientata, e cioè, “(..) alla luce del nuovo dettato costituzionale di cui all’art. 111 della Costituzione,
attraverso una procedura ermeneutica che già la giurisprudenza sta ponendo in atto” (cfr., in
terminis, Corte dei conti, Sez. giur. Reg. Lazio, 21 gennaio 2003, n. 116/R). […] Alla stregua
delle suesposte considerazioni, il Collegio ritiene che, fermo restando l’obbligo del giudice di tenere
conto, nella imputazione soggettivo del danno […] dell’eventuale apporto causale di altri soggetti
non chiamati in giudizio dal pubblico ministero contabile, qualora in capo ad essi dovesse comunque
essere ravvisato un apporto causale nella determinazione del danno di cui alla pretesa risarcitoria
attore, la richiesta di integrazione del contraddittorio avanzata dai difensori dei convenuti negli
scritti difensivi depositati in atti e ribadita nel corso del dibattimento odierno, per litisconsorzio
necessario nei confronti dei componenti dell’Ufficio di Presidenza del Consiglio Regionale, del
Presidente del Consiglio Regionale della Regione Molise, e dei componenti del Collegio dei Revisori
dei conti della Regione Molise, che hanno ritenuto regolare il rendiconto […], va respinta, atteso
che, alla luce dei principi del giusto processo di cui al novellato art. 111 della Costituzione, il giudice
contabile, allo scopo di non alterare la propria posizione di terzietà, di imparzialità ed equidistanza
tra le parti, può fare uso del potere di integrazione del contraddittorio, mediante la chiamata in causa
di soggetti non chiamati dal pubblico ministero contabile, nelle sole ipotesi di litisconsorzio
necessario di cui all’art. 102 del c.p.c., e cioè, oltre che nei casi espressamente previsti dalla legge,
solo quando, per la particolare natura inscindibile del rapporto giuridico plurisoggettivo ravvisabile
nella fattispecie dannosa dedotta in giudizio, la decisione non può conseguire il proprio scopo se non
è resa nei confronti di tutti i soggetti interessati (come, ad esempio, nel caso di soggetti di un organo
collegiale che abbiano tutti partecipato alla adozione di una deliberazione causativa di danno)”.
Non sono mancate, tra quelle sottoposte al vaglio della Sezione, anche fattispecie di grande
attualità giurisprudenziale, come quella del danno conseguente alla violazione della disciplina
sugli appalti e l’affidamento di servizi da parte della Pubblica Amministrazione.
A questo proposito, nella sentenza n. 45/2016, la Sezione prende posizione circa la
configurabilità del cd. “danno alla concorrenza” in rapporto ai presupposti indefettibili
- 21 -
dell’azione di danno erariale.
Nel caso oggetto della pronuncia, il lamentato danno è apparso mancante “dell’elemento della
certezza e della concretezza, e sia solo presunto, non essendo stato affatto provato in atti che
dall’affidamento in questione, a prescindere dall’asserita violazione delle norme del d.lgs. n.
163/2006 (Codice dei contratti pubblici) addotta dalla Procura attrice, che – come sostiene il
Requirente - avrebbero imposto all’amministrazione di indire una procedura comparativa che
consentisse alla stessa di scegliere un contraente che presentasse situazioni più vantaggiose per
l’amministrazione, e in disparte ogni considerazione circa l’asserita mancanza degli effettivi
presupposti di urgenza normativamente richiesti per l’affidamento diretto, il Comune […] abbia
subito un danno certo, concreto ed economicamente valutabile, non essendo affatto certo - e provato
in atti – che altra impresa, magari selezionata nel rispetto della normativa prevista dal codice degli
appalti, avrebbe accettato l’affidamento dei lavori, ed eseguito gli stessi, ad un costo minore di quello
praticato, nel caso di specie, dall’impresa affidataria dei lavori in questione.
E’ appena il caso di rilevare, al riguardo, che in questa sede non si discute della mera violazione
della legge, - nel caso di specie, della normativa nazionale e comunitaria di selezione del contraente,
e segnatamente, della normativa di cui al d.lgs. n. 163/2006 (Codice dei contratti pubblici) -
dovendosi altrimenti parlare non già di responsabilità amministrativa per danno, bensì di
responsabilità amministrativa formale, che, come è noto, non è più prevista dalla normativa vigente.
A parere del Collegio, quindi, l’impostazione accusatoria seguita dalla Procura attrice per
l’identificazione della fattispecie dannosa posta a fondamento della richiesta risarcitoria attorea,
[…] non è condivisibile, dovendosi altrimenti presumere che ogniqualvolta una pubblica
amministrazione proceda all’affidamento diretto di lavori, o all’acquisizione di un bene o di un
servizio, in violazione delle norme del d.lgs. n. 163/2006 (Codice dei contratti pubblici) si configura
comunque un danno patrimoniale in relazione alla possibilità, incerta ma comunque possibile, di
poter affidare gli stessi lavori, o acquisire lo stesso bene o lo stesso servizio ad un prezzo inferiore, e
quindi con una minore spesa. Ma si tratterebbe, in tal caso, di un danno solo presunto, che
mancherebbe di quella certezza e di quella concretezza necessarie a configurare il danno patrimoniale
ai fini della sussistenza della responsabilità amministrativa”.
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2.2 Questioni in materia di giudizi ad istanza di parte
Con ordinanza a verbale del 13 ottobre 2016, la Sezione (privilegiando un’interpretazione degli
artt. 41 e 367, 1° comma c.p.c., nonché degli artt. 1. e 106 del Decreto legislativo 26 agosto
2016, n. 174 (“Codice di giustizia contabile, adottato ai sensi dell'articolo 20 della legge 7 agosto
2015, n. 124”) protesa alla massima valorizzazione delle garanzie e del principio di economia
processuali) a fronte della proposizione, ex art. 41 c.p.c., di un ricorso per regolamento
preventivo di giurisdizione, in pendenza di un giudizio per aggio - premesso che, a mente del
predetto art. 41 c.p.c., “finché la causa non sia decisa nel merito in primo grado, ciascuna parte
può chiedere alle Sezioni unite della Corte di cassazione che risolvano le questioni di giurisdizione
di cui all'art. 37. L'istanza si propone con ricorso a norma degli artt. 364 ss., e produce gli effetti di
cui all'art. 367”;
che l’art. 367, 1° comma, c.p.c., stabilisce che "Una copia del ricorso per cassazione proposto a
norma dell'articolo 41, primo comma, è depositata, dopo la notificazione alle altre parti, nella
cancelleria del giudice davanti a cui pende la causa, il quale sospende il processo se non ritiene
l'istanza manifestamente inammissibile o la contesta-zione della giurisdizione manifestamente
infondata. Il giudice istruttore o il collegio provvede con ordinanza”;
che, in ogni caso, la statuizione della Suprema Corte, una volta intervenuta, avrebbe privato
di effetto la decisione di questa Sezione giurisdizionale, resa nel giudizio eventualmente
proseguito, anche se passata in giudicato, trattandosi di sentenza condizionata al
riconoscimento della giurisdizione da parte della Corte Regolatrice, inidonea a far venir meno
l'interesse del ricorrente a coltivare il regolamento (cfr., fra le altre : Sez. U, Sentenza n. 905 del
17/12/1999; Sez. U, Ordinanza n. 10703 del 23/05/2005; Sez. U, Ordinanza n. 10823 del
16/05/2014; Sez. U, Ordinanza n. 9861 del 14/05/2015; Sez. U, Ordinanza n. 10531 del
13/05/2011; Sez. U, Ordinanza n. 5463 del 17/03/2004; Sez. U, Ordinanza n. 14070 del
22/09/2003);
che l’art. 1 del Decreto legislativo 26 agosto 2016, n. 174 (“Codice di giustizia contabile,
adottato ai sensi dell'articolo 20 della legge 7 agosto 2015, n. 124”) statuisce che “1. Nel giudizio
davanti alle sezioni giurisdizionali regionali è ammesso il ricorso per regolamento preventivo di
giurisdizione previsto dall'articolo 41 del codice di procedura civile. Si applica il primo comma
dell'articolo 367 dello stesso codice. 2. Nel giudizio sospeso possono essere chieste dal pubblico
ministero le misure cautelari di cui al Titolo II della Parte II” - rilevava la non manifesta
inammissibilità o infondatezza dell’istanza per regolamento preventivo di giurisdizione in
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questione, disponendo, di conseguenza, la sospensione del giudizio, fino alla pronuncia
definitiva della S.C. di Cassazione sul ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione
proposto da parte convenuta, precisando che, cessata la causa della sospensione, l’udienza in
prosecuzione sarebbe stata fissata ad impulso, ai sensi e nei termini di legge, della parte più
diligente.
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2.3 Il settore dei conti giudiziali
Quello dei conti giudiziali è un settore funzionale della Corte nato, prima di altre e più
“moderne” forme di controllo, contestualmente alla giurisdizione contabile e ad essa
logicamente collegato.
Ciò ne spiega il senso, la storia e le origini e dissolve i dubbi sull’apparente incompatibilità con
la funzione giurisdizionale nella quale è incardinato.
Il rafforzamento dell’attività in tale ambito istituzionale, che – per quanto attiene alla
posizione assunta da questa Sezione - passa anche attraverso l’allargamento della sua sfera
d’azione ai conti degli agenti consegnatari delle quote di partecipazioni pubbliche, ha permesso
di far emergere situazioni di preoccupante incuria nell’attività di gestione e di successiva
rendicontazione delle risorse pubbliche.
Non si può omettere, a questo proposito, la fondamentale precisazione che l’attività
dell’Ufficio conti è indirizzata non di rado – prima ancora che all’esame contabile – al
ristabilimento di una corretta prassi di formazione e soprattutto conservazione della
documentazione presso gli archivi dei Servizi Finanziari; il che è indubbiamente funzionale
all’obiettivo di ottenere un più oculato e consapevole impiego del denaro pubblico di pertinenza
del singolo ente.
Tanto premesso, in un giudizio di conto sulla gestione economale di un piccolo Comune del
basso Molise, la non diligente conservazione ed archiviazione dei documenti giustificativi delle
spese ha causato l’emissione di una relazione di irregolarità con rimessione al Collegio della
questione generata dall’insufficiente riscontro alle richieste istruttorie del Magistrato relatore
sui conti.
Convenuto in giudizio, l’agente contabile ha prodotto infine una denuncia presentata alla
Legione Carabinieri nella quale si rendeva noto che “ignoti malfattori si erano introdotti nei locali
del plesso scolastico dove il Comune ha ritenuto opportuno appoggiare faldoni contenenti
documentazione varia comunale, tra le quali figurano ricevute dell’Economato”.
Le descritte carenze nei conti resi e la incompletezza della documentazione idonea a ricostruirli
hanno dunque indotto il Collegio giudicante ad emettere una pronuncia di improcedibilità, e
precisamente la sentenza n. 55/2016, giacché la ricostruzione dei conti aveva trovato
insormontabile ostacolo in una carenza della documentazione giustificativa che non aveva
trovato alcuna soluzione sin dall’esordio dell’indagine istruttoria avviata dall’ufficio
competente di questa Sezione, con conseguente “oggettiva impossibilità di sottoporre ad esaustivo
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riscontro la gestione di cui trattasi”.
Si legge, dunque, in detta pronuncia, che “Non può, difatti, essere accertata la regolarità della
gestione in tutti i suoi aspetti, rimanendo per tale via pregiudicato l’oggetto del giudizio di conto, che
non è solo la condanna o il discarico del contabile, ma anche la rettifica di elementi di partita del
conto, indipendentemente da ogni ipotesi di responsabilità (Sezioni Riunite sentenza n. 720/A del
17 luglio 1991)”.
Pur nella doverosa constatazione di tale impossibilità fattuale, il Collegio si è soffermato sugli
eventuali profili di responsabilità conseguenti a prassi di conservazione documentale
evidentemente atte ad esporre l’Amministrazione ad azioni proditorie, deducendone – quanto
alla specifica posizione dell’agente contabile – che “non risulta che all’economo incombesse uno
specifico, circostanziato obbligo di tenuta e custodia della predetta documentazione non potendosi,
allo stato degli atti, escludere, come sostenuto dalla difesa, che gli atti fossero transitati dalla
disponibilità [dell’agente convenuto] a quella del Comune” ed evidenziando che i doveri di
conservazione e cura della documentazione contabile “fossero pertanto delegati alla
responsabilità di distinto soggetto onerato, ai sensi dell’art. 68 D.P.R. 445/2000, della
responsabilità del servizio per la gestione dei flussi documentali e di archivio”.
Nella stessa orbita si colloca il tentativo di istituire un raccordo operativo quanto più possibile
ramificato, aggiornato e dinamico con le singole amministrazioni sul territorio, alle quali va
dato atto di patire una quasi cronica mancanza di risorse economiche ed umane, insieme agli
effetti di una non spiccata sensibilità politica per la formazione e l’aggiornamento professionale
del personale addetto alla programmazione ed ai servizi finanziari.
A questo dato va aggiunta un’altra importante rilevazione emersa dall’attività sui conti
giudiziali: il ricorso, da parte delle Amministrazioni, a figure professionali fiduciarie del vertice
politico, che vengono rese destinatarie di responsabilità gestorie senza una solida continuità
temporale, con scarsa attitudine ad addentrarsi nelle effettive dinamiche su cui sono chiamate
a vigilare.
Un miglioramento del confronto quotidiano tra gli uffici dei Magistrati relatori e le
Amministrazioni controllate potrà forse venire da un nuovo e più efficiente sistema informatico
per il deposito, l’esame e il riscontro sui conti giudiziali: il SIRECO, già operativo su base
volontaria e sperimentale sulla piattaforma informatica della Corte.
All’esito del primo anno di sperimentazione della nuova piattaforma informatica, l’Ufficio ha
rilevato come solo il 10% dei conti giudiziali, complessivamente depositati presso la Sezione,
siano stati presentati tramite il sistema SIRECO, e nessuno da parte degli Enti Locali
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rientranti nella Provincia di Isernia, nell’ambito della quale un solo Comune si è registrato
all’anagrafe informatica.
Questo è uno stato di fatto che gli operatori dovranno fare in modo di cambiare.
L’utilizzo della piattaforma, pur con tutte le criticità operative che ogni nuovo sistema
inevitabilmente incontra in fase di prima applicazione, rappresenta infatti una grande
opportunità, sia in termini pratici – per le elevate potenzialità di speditezza e per l’attitudine
a propiziare la conservazione e la trasmissione di dati che, come si è visto, tendono a disperdersi
– sia in termini economici, poiché esso consente di risparmiare risorse umane e strumentali, fin
qui, impiegate in attività di mera gestione di flussi cartacei.
Sotto questo aspetto, è lecito sperare nella spinta propulsiva impressa, all’informatizzazione
del sistema dei conti giudiziali, dal nuovo Codice di Procedura contabile che, all’art. 138,
prevede l’istituzione obbligatoria di un’anagrafe degli agenti contabili i cui dati identificativi
sono forniti, alla Corte dei Conti, da tutte le Amministrazioni.
La Corte potrà, quindi, ospitare, nel proprio sistema informativo, una anagrafe completa nella
quale confluiranno, direttamente per via telematica, i dati costantemente comunicati dalle
Amministrazioni, le loro variazioni e i fatti modificativi di ciascuna gestione.
Il Legislatore, a tale proposito, ha esplicitamente previsto che i conti giudiziali e i relativi
documenti siano “trasmessi […] mediante tecnologie dell'informazione e della comunicazione. I
relativi fascicoli cartacei possono essere formati a cura delle segreterie delle sezioni senza addebito di
spese, esclusivamente nel caso di iscrizione a ruolo d'udienza”.
È anche il caso di considerare che la previsione di un accesso diretto al sistema informatico da
parte della Procura Regionale costituisce – nel nuovo sistema delineato dall’art. 140 del Codice
– un’utile e proficua forma di raccordo di cui si sentiva fortemente il bisogno.
Anche per le nuove forme di interazione, tuttavia, è indispensabile una volontà collaborativa
e uno sforzo di aggiornamento che va coordinato e coltivato con instancabile spirito di
partecipazione da parte di tutti i funzionari coinvolti, dall’una e dell’altra parte del processo di
controllo.
Infine, per dare un effettivo significato a questa analisi e renderla di stimolo ad una comune
riflessione, pare indispensabile collocare dette informazioni nel contesto normativo in cui
l’attività dell’Ufficio conti si inserisce: un quadro complessivo in cui l’accentuazione dei vincoli
internazionali di stabilità finanziaria e l’intensificarsi degli interventi legislativi di
contenimento della spesa pubblica moltiplicano gli adempimenti contabili a carico degli enti
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nonché i livelli di controllo cui gli stessi sono assoggettati. Situazione, questa, che la burocrazia
delle Amministrazioni pubbliche non sempre è preparata a fronteggiare.
Volendo addentrarsi nell’illustrazione delle singole violazioni emerse, può innanzitutto
evidenziarsi come esse siano raggruppabili in due macro-aree logiche: violazioni di metodo e
violazioni di merito contabile, con la precisazione che il potere di censura spettante alla Corte,
in questo secondo ambito, è limitato alle sole fattispecie che rifluiscano in incongruenze nelle
poste contabili.
Nella prima area rientrano abitudini di contabilizzazione scorrette, come l’accettazione, in fase
di parifica, di giustificativi di spesa compilati in modo carente o non corretto; la formazione di
documenti contabili temporalmente disallineati rispetto ai periodi di riferimento;
l’imputazione di spese a categorie tipologiche non coerenti rispetto alla natura delle spese
stesse.
Le gestioni economali, ad esempio, sono quelle in cui il rischio di non corretta utilizzazione
della risorsa pubblica è più concreto, in ragione della pronta liquidità che caratterizza lo
stanziamento. La procedura di spesa economale, infatti, è articolata in senso inverso rispetto a
quella ordinaria, e questo determina che la prima fase del procedimento stesso sia proprio il
pagamento. Ciò espone l’agente contabile a sollecitazioni di spesa non sempre coerenti con la
programmazione finanziaria e con quanto stabilito dai regolamenti di contabilità circa le
tipologie di intervento consentite. La conseguenza pratica è che i reintegri del fondo economale
vadano a finanziare spese non urgenti, o non minute, o ancora non coerenti con le categorie
contabili previste per le gestioni economali.
Per avere contezza di quanto negativamente possano influire queste incongruenze in termini
di servizi pubblici resi, si può far riferimento a settori di particolare richiamo, nell’attuale
dibattito pubblico, come quello della sanità, dove, dal non corretto utilizzo delle risorse, anche
le più minute, possono conseguire disservizi che sono percepiti con intensità e irritazione tanto
maggiori quanto più si rendano vicini al vissuto quotidiano.
Nella sent. n. 31/2016, la Sezione ha censurato la condotta di un agente contabile economo
dell’Azienda Sanitaria Regionale che aveva provveduto – mediante la cassa economale – al
finanziamento di spese, non solo non rientranti nelle tipologie ammesse per quel genere di
gestione, ma neanche astrattamente riconducibili all’attività amministrativa disimpegnata
dall’Ente.
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Si legge nella pronuncia che “Dal carattere anticipatorio (e sostanzialmente derogatorio) della
gestione economale, discende la necessità di una particolare cautela nel disciplinarne e monitorarne
lo svolgimento, sicché è imprescindibile che le spese economali da assumere a carico del bilancio,
nell’importo massimo stabilito per la singola spesa e comunque nel limite di stanziamento del
relativo capitolo, siano compiutamente individuate nel regolamento, quanto alle classi tipologiche, e
in generale che siano giustificate dall’essere di non rilevante entità o di immediata ed indifferibile
necessità”.
Definiti i connotati giuridici della spesa economale e degli obblighi contabili che ne
accompagnano la responsabilità, il Collegio ha dunque rilevato “come – dalla valutazione di
quanto esposto nelle Relazioni di irregolarità e delle relative comparse di risposta di parte convenuta
nonché dall’esame dei conti giudiziali per cui è causa – non tutte le spese effettuate possano essere
ritenute regolari e come tali discaricabili.
In particolare, alla luce dei criteri generali evidenziati dalla prassi gestoria, peraltro chiariti anche
dalla giurisprudenza contabile, e tenuto conto delle direttive poste dallo stesso Regolamento
Economale dell’Azienda Sanitaria,” si è proceduto “ad una classificazione delle spese irregolari
in ragione della natura del vizio che le inficia. Alcune di esse […] sono da considerarsi
assolutamente illegittime, in quanto effettuate contra legem e senza che l’Amministrazione ne abbia
percepito utilità alcuna, altre invece […] sono state certamente disposte in modo irregolare ed
illegittimo, pur essendo astrattamente ricollegabili alla missione dell’ASREM e comunque
finalizzate al perseguimento dell’interesse aziendale.
Orbene, se per tutte le suddette poste contabili dichiarate irregolari occorre che siano disposte le
conseguenti rettifiche contabili, solo per la prima classe di irregolarità, accertate nel presente giudizio
di conto come ipotesi di illiceità gestoria, al mancato discarico deve seguire la immediata condanna
nella presente sede alla restituzione delle somme illecitamente erogate”.
Addentrandosi nelle singole tipologie di spesa, è stato chiarito, quanto, ad esempio, a quelle
sostenute per necrologi e targhe ai dipendenti e congiunti, che “è orientamento giurisprudenziale
ormai consolidato quello per cui la prenotazione di annunci funebri, l’affissione e stampa di
necrologi o l’acquisto di targhe onorifiche per dipendenti e loro familiari o ex dipendenti rientra
nell’ambito di un rapporto di solidarietà e affiatamento umano tra colleghi che non rientra nelle
finalità pubbliche perseguite dall’Amministrazione, né tra quelle che quest’ultima ha interesse a
patrocinare né afferisce alla proiezione esterna della sua immagine istituzionale. Tali oneri non
possono dunque essere annoverati tra le spese di rappresentanza di cui all’art. 3, punto 8) del
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Regolamento, né sono finanziabili attraverso il fondo economale (v. ex plurimis Sezione Toscana
sent. n. 246/2013; Sezione I Appello, sent. n. 192/2004)”.
Anche sul rimborso delle spese di viaggio, il Collegio ha evidenziato come sia “lo stesso
Regolamento di gestione Casse Economali, all’art. 3, a chiarire che ““Sono considerate minute spese
economali tutte quelle spese che, per motivi di urgenza, non consentono le modalità per la preventiva
emissione del mandato di pagamento […]””. Alla luce della citata disposizione regolamentare, pare
indiscutibile che le spese per viaggi di servizio possano unicamente formare oggetto di anticipo e non
di rimborso nella sede economale.
La necessità di procurare al dipendente, che non intenda provvedervi autonomamente, i mezzi
economici per una missione da effettuare nell’interesse dell’Ente giustifica l’anticipo – questo sì
urgente ed indifferibile – delle spese che occorreranno a questi, ma non anche la refusione di quelle
che egli abbia già spontaneamente anticipato, giacché in questo secondo caso viene meno il
presupposto dell’urgenza. Né il Regolamento economale annovera i rimborsi spese di viaggio tra le
categorie ammesse, proprio in ragione del fatto che le procedure di rimborso, superato il momento del
pagamento, possono seguire i canali di spesa ordinari”.
Quanto alle gestioni di tesoreria, la pratica ha evidenziato che la maggioranza delle violazioni
formali, legate alla corretta interpretazione ed applicazione del regolamento contrattuale di cui
alle convenzioni di tesoreria, produce, in realtà, conseguenze contabili di non poco momento,
dimostrando come la qualificazione giuridica di alcuni concetti contabili eserciti ricadute più
che immediate sul piano finanziario.
In termini pratici, è abitudine non infrequente, tra gli istituti bancari tesorieri, l’applicazione
– per le ipotesi in cui i saldi di cassa diventino negativi – commissioni di massimo scoperto non
previste in convenzione.
Ciò comporta l’addebito all’ente di interessi passivi non dovuti.
Altrettanto diffusa è la prassi di applicare tassi di interesse, attivi o passivi, diversi da quelli
negoziati, determinando, per l’Amministrazione, esborsi più onerosi, ovvero introiti meno
consistenti in fase di liquidazione.
La sent. n. 29/2016 - pronunciata nell’ambito di un giudizio di conto sulla gestione di tesoreria
di un Ente Locale - rappresenta, a questo proposito, un utile esempio.
L’agente contabile Tesoriere non aveva puntualmente rendicontato i singoli utilizzi – da parte
del Comune – dell’anticipazione di cassa, limitandosi ad una indicazione unitaria dell’importo
complessivamente erogato nel corso dell’esercizio.
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La Sezione, nel confermare il consolidato orientamento giurisprudenziale sulla natura non
debitoria dell’anticipazione di tesoreria, ha evidenziato la relazione intercorrente tra
quest’ultimo istituto e l’osservanza delle regole contabili. In particolare, ha osservato che “La
norma sul limite legale alle anticipazioni di tesoreria – fissato dall’art. 222 del D. Lgs. n. 267/2000
nei tre dodicesimi delle entrate accertate nel penultimo anno precedente – si ispira […] a […]
considerazioni di ponderatezza gestoria ed anche il dibattito interpretativo che ne è seguito […]
rivela tutto l’interesse dell’ordinamento per le fattispecie che, pur non costituendo indebitamento,
collocano l’ente in una condizione di esposizione suscettibile di condizionarne le politiche
amministrative.
Discende, da questa premessa sulla natura dell’anticipazione, la necessità anche logica di stimarne
l’utilizzo mediante una rendicontazione dettagliata e non meramente riepilogativa che dimostri tutte
le movimentazioni effettivamente avvenute sul relativo capitolo, e la cui omissione ridonda a
violazione contabile nella misura in cui determina l’inosservanza – da parte dell’Ente locale – dei
principi di universalità ed integrità nella redazione del proprio bilancio.
[…] anche i Principi contabili nazionali del 2004 con particolare riguardo al n. 2, punto 57) […]
onerano il Servizio Finanziario dell’Ente di una condotta che diventerebbe inesigibile in assenza di
una previa, puntuale, rendicontazione da parte del Tesoriere al quale incombe l’obbligo, mediato, di
contabilizzare gli importi di volta in volta erogati, in maniera simmetrica tra accensione e utilizzo,
obbligo di restituzione, accertamento e impegno, proprio per garantire l’ontologica neutralità
dell’anticipazione sul bilancio.
In effetti, è proprio nella sopra accennata duplice natura dell’anticipazione di tesoreria – da un lato
regola privatistica dei rapporti di dare e avere tra Amministrazione e agente tesoriere e dall’altro
strumento giuscontabile dell’Amministrazione per il superamento delle temporanee illiquidità di
cassa – che risiede il nucleo logico della questione oggetto di causa: l’inadempimento all’obbligo di
esatta rendicontazione si riflette, per l’Amministrazione in favore della quale l’anticipazione è
disposta, nella violazione delle regole sulla redazione del bilancio e la compilazione dei documenti
contabili e rileva essa stessa sul piano della regolarità contabile”.
Ne è conseguito il mancato discarico dell’agente contabile.
Nello stesso filone si colloca la sent. n. 28/2016, con la quale la Sezione ha censurato la condotta
di un Responsabile del Servizio Finanziario che – omettendo di far ricorso ai fondi esistenti su
un conto corrente a disposizione dell’Amministrazione comunale – aveva determinato l’esborso
di interessi passivi sull’anticipazione di cassa concessa dall’Istituto tesoriere.
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La Sezione poneva in evidenza in primo luogo, “la natura non debitoria dell’anticipazione di
tesoreria, qualificata – in base al disposto di cui all’art. 3, comma 17, l. n. 350/2003 e s.m.i. – come
operazione non comportante l’impiego di risorse aggiuntive che consente “di superare, entro il limite
massimo stabilito dalla normativa statale vigente, una momentanea carenza di liquidità e di
effettuare spese per le quali è già prevista idonea copertura di bilancio”. Ed aggiungeva che tali
“situazioni, com’è dimostrato proprio dal caso oggetto dell’odierno giudizio, si palesano non di rado
tutt’altro che momentanee ed eccezionali nella vita delle Amministrazioni locali, sicché il ricorso
frequente se non sistematico all’anticipazione può denunciare una sofferenza gestoria cronica e, pur
non avendo attinenza con la diversa fattispecie dell’indebitamento, diventa indice di un equilibrio
finanziario quanto meno difficile. […] Le considerazioni appena svolte circa la natura e l’utilizzo
dell’anticipazione di tesoreria conducono altresì a ritenere fortemente censurabile il mancato
tentativo di rintracciare risorse alternative a quelle onerosamente finanziate dalla banca mediante le
anticipazioni, risorse che si sono invece dimostrate esistenti e disponibili presso altri conti correnti
di cui il Comune era intestatario.
Tale omissione, oltre ad aver impresso alla gestione finanziaria dell’ente un permanente quanto
inutile carattere “”emergenziale””, ha determinato l’esborso di interessi passivi che potevano e
dovevano essere evitati”.
Sulla base delle esposte considerazioni, e vista l’estraneità dell’agente contabile alla fattispecie
rilevata come produttiva di danno, il Collegio ha disposto la trasmissione degli atti del giudizio
alla Procura Regionale per l’accertamento delle relative responsabilità.
Va, peraltro, evidenziato, in questo ambito, un diverso atteggiamento degli istituti bancari nei
confronti del servizio di tesoreria, oggi meno ambito che in passato.
Con l’entrata in vigore del sistema di Tesoreria Unica, infatti, agli istituti cassieri non è più
consentito trattenere i depositi delle Amministrazioni – neanche quelli derivanti da entrate
proprie, come, ad esempio, i tributi locali – ma è, anzi, fatto loro obbligo di riversarli, a
scadenze fisse e assai ristrette, presso la Banca d’Italia.
La conseguenza è che la funzione di tesoreria si risolve, nell’attuale sistema, in un’attività di
mera conduzione dei flussi di cassa, scarsamente produttiva di interessi e, quindi, poco
lucrativa per gli istituti bancari. Non di rado le procedure ad evidenza pubblica, per
l’aggiudicazione di questo genere di appalti, vanno deserte e, in ogni caso, le offerte prevedono
condizioni contrattuali meno privilegiate per le Amministrazioni.
Tra gli agenti contabili della riscossione è diffusa la prassi di riversare le esazioni con notevole
ritardo rispetto alle scadenze concordate, con conseguenze di ordine sia contabile che
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sostanziale. Da quest’ultimo punto di vista, è evidente il disagio di non poter disporre di risorse
finanziarie spesso ingenti (si pensi solo alla riscossione delle tariffe di parcheggio); sul versante
contabile, invece, è possibile addirittura monetizzare tale svantaggio in termini di mancata
percezione di interessi di deposito.
Assume connotati ancora più marcati la non corretta gestione nell’ambito delle partecipazioni
pubbliche, essendosi verificati dei casi in cui l’elencazione delle partecipazioni, contenuta nei
conti giudiziali, è risultata incompleta, il che depone per una consapevolezza decisamente
parziale delle proprie partecipazioni, da parte dell’Amministrazione, con immancabili effetti
non solo sulla visione d’insieme del portafoglio degli investimenti, ma anche in termini di
controllo nei confronti degli organismi partecipati.
Quanto alla specifica figura dell’agente contabile consegnatario delle partecipazioni, molto
spesso non è dato comprendere – vista la scarsità di documenti prodotti al momento della resa
del conto – con quali atti e sulla base di quali istruzioni il sottoscrittore dei conti giudiziali
abbia effettivamente esercitato il ruolo di rappresentanza degli indirizzi espressi
dall’Amministrazione in seno alle diverse società, in quale modo abbia curato l’integrità degli
investimenti pubblici rifluenti nella partecipazione, come abbia svolto il mandato di raccordo
tra Amministrazione e società, che la legge rimette alle sue cure.
Alcuni dei conti depositati non soddisfano il parametro fondamentale dell’annualità, quale
principio contabile indefettibilmente posto a base della rendicontazione.
In essi si sono raggruppati gli esercizi di riferimento e sono state tenute distinte le
partecipazioni: sono evidenti le conseguenze di queste irregolarità che rendono i conti
menzionati, oltre che formalmente non rispondenti ai principi contabili descritti, inadeguati
alla revisione.
Si è pure avuto il deposito di conti sprovvisti della firma per parifica, da parte del Responsabile
del Servizio Finanziario.
Riassumendo, la conclusione che è possibile trarre dai dati appena esposti è che, nell’ambito
delle gestioni contabili, il fenomeno che più dovrebbe impensierire la collettività dei
contribuenti, oltre all’eventuale sottrazione di denaro pubblico tal quale o al suo impiego
penalmente illecito, è anche, e in particolar modo, l’utilizzo contabilmente scorretto o non
diligente che ne venga fatto.
Tutto ciò si traduce in un danno per l’erario, nella misura in cui determina maggiori spese o
minori entrate per le Amministrazioni, ovvero il non coerente impiego di risorse che potrebbero
essere più proficuamente utilizzate in servizi di comune utilità.
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2.4 I giudizi maggiormente rilevanti in materia pensionistica
Anche in materia pensionistica, i Magistrati della Sezione hanno affrontato e risolto, in veste
di Giudice Unico, alcune importanti questioni giuridiche.
La sent. n. 38/2016 ha rivisitato, chiarendone la portata, l’orientamento già espresso dalle
Sezioni Riunite di questa Corte dei Conti in tema di ripetibilità dell’indebito accertato in sede
di liquidazione della pensione definitiva.
In particolare, il Giudice Unico ha ripercorso “l’orientamento assunto dalle Sezioni riunite in
sede di risoluzione di questione di massima con la sentenza n. 2/QM/2012, con la quale, rivedendo
parzialmente il contenuto della sentenza n. 7/QM del 2007 delle medesime Sezioni riunite, si è inteso
superare il principio in base al quale l'irripetibilità dell'indebito si configura in maniera automatica
e presuntiva alla scadenza del termine procedimentale”.
Al riguardo, il G.U. ha sottolineato che, in detta pronuncia “Per converso, è stato affermato, da
un lato, che il legittimo affidamento, posto a giustificazione dell'irripetibilità dell'indebito
pensionistico, scaturisce dalla “”plausibile convinzione, da parte del pensionato, di avere titolo ad
un vantaggio conseguito in un arco di tempo tale da persuadere il beneficiario stesso della sua
stabilità””; dall’altro, è stato precisato che al mero protrarsi del tempo si devono accompagnare
ulteriori elementi soggettivi ed oggettivi, quali, in via meramente esemplificativa, “la rilevabilità in
concreto, secondo l'ordinaria diligenza, dell'errore riferito alla maggior somma erogata sul rateo di
pensione" ovvero, in ipotesi di conguaglio tra trattamento pensionistico provvisorio e definitivo, "”le
ragioni che hanno giustificato la modifica del trattamento provvisorio e il momento di conoscenza,
da parte dell'amministrazione, di ogni altro elemento necessario per la liquidazione del trattamento
definitivo"”.
Il medesimo G.U. ha, poi, evidenziato che, “Con la predetta pronuncia, a cui ha aderito la Sezione
Terza Giurisdizionale Centrale di Appello (che ha deferito la questione), , le Sezioni Riunite
hanno pertanto affermato il principio in base al quale il potere-dovere dell'amministrazione di
procedere al recupero, se non può essere di per sé messo in discussione, poiché espressamente
enunciato in una disposizione di legge tuttora vigente, può tuttavia subire un’attenuazione in
considerazione del legittimo affidamento del privato, maturato non solo con il protrarsi del tempo
ma anche in considerazione dei predetti elementi circostanziali”.
Pertanto, il G.U. precisava che, “In attuazione del rinvio disposto dal giudice pensionistico
d'appello ed in applicazione dell’illustrato orientamento giurisprudenziale delle SS.RR. di questa
Corte dei conti, a cui questo Giudice intende aderire, si ravvisa, con riferimento al caso di specie,
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l’assenza in capo al ricorrente di primo grado […] dei requisiti di buona fede e legittimo affidamento
che avrebbero consentito l’irripetibilità dell’indebito pensionistico”.
Alla luce di tali considerazioni, e ritenendo che il ricorrente fosse consapevole della natura
indebita di parte delle somme percepite a titolo di trattamento pensionistico provvisorio, il
Giudice non ha ritenuto che “si fosse consolidata in capo allo stesso una posizione di legittimo
affidamento in riferimento al trattamento pensionistico fino ad allora corrispostogli”, chiarendo,
altresì, che ““il mero trascorrere del tempo non può infatti essere considerato elemento di per sé
sufficiente a legittimare l’irripetibilità dell’indebito pensionistico, risultante dall’accertamento
intervenuto in sede di conguaglio tra il trattamento di pensione provvisorio e il trattamento di
pensione definitivo. Invero, l’avvenuta conoscenza da parte del percettore delle ragioni che hanno
giustificato la modifica del trattamento provvisorio in un momento antecedente a quello della
liquidazione del trattamento definitivo fa escludere che sia sorta “la plausibile convinzione, da parte
del pensionato, di avere titolo ad un vantaggio conseguito in un arco di tempo tale da persuadere il
beneficiario stesso della sua stabilità” (SS.RR., sentenza n. 2/2012)””.
Per l’effetto, è stata confermata la validità del provvedimento con cui
l’Amministrazione/datrice di lavoro aveva provveduto al recupero dell’indebito pensionistico.
Con la stessa pronuncia l’estensore ha chiarito anche un punto fondamentale circa l’asserito
difetto di legittimazione passiva dell’Istituto previdenziale che – costituendosi – lo aveva
eccepito. Si legge, in proposito, nella sentenza, che “sebbene la controversia abbia ad oggetto
l’azione di rivalsa intrapresa dall’ARSARP […] per le somme indebitamente […] percepite a
titolo di pensione provvisoria, occorre rilevare che la medesima azione trova causa proprio
dall’integrale restituzione di tali somme effettuata, in virtù dell’art. 8, comma 2 del D.P.R. n.
538/96, dall’Ente datore di lavoro in favore dell’istituto. Con nota prot. 10542 del 17.11.2009, […]
l’INPDAP, avendo proceduto alla rideterminazione del trattamento pensionistico ed alla
liquidazione del trattamento di pensione definitiva, accertava infatti un indebito per somme
corrisposte in eccedenza pari ad € 18.036,20 e ne richiedeva il versamento in suo favore da parte
dell’ARSIAM. Non si può pertanto escludere che vi sia un coinvolgimento dell’istituto
previdenziale nel presente giudizio”.
In diverse pronunce, il Giudice Unico presso questa Sezione ha dovuto dichiarare
l’inammissibilità dei ricorsi pensionistici, proposti con il patrocinio di Istituti di Patronato
sprovvisti dell’abilitazione all’esercizio della professione forense, conseguentemente rilevando
- 37 -
e censurando la condotta di questi ultimi, nonché le conseguenze pregiudizievoli che essa ha
comportato per i ricorrenti.
In particolare, nella sent. n. 9/2016, il Giudice ha evidenziato come “Nel giudizio pensionistico
è data alla parte la possibilità di costituirsi in giudizio personalmente senza il ministero di un
avvocato, ove però non intenda rinunciare ad una difesa tecnica, l’interessato (ex art. 26 reg. proc.
R.D. 13/8/33 n.1038) deve conferire la procura ad litem ex art. 83 c.p.c. ad un soggetto legalmente
abilitato all’esercizio della professione legale.
In tal caso, ove non sia conferita con atto pubblico o scrittura privata autenticata, la procura ai sensi
del c. 3 del predetto articolo può essere apposta in margine o in calce all’atto introduttivo e
l’autografia della sottoscrizione deve essere certificata dal difensore.
Nel caso di specie, invece, la procura, è sottoscritta dall’odierno ricorrente con firma non autenticata
ed è genericamente conferita al patronato senza riferimento alcuno al rappresentante territoriale di
cui non è provata l’abilitazione all’esercizio della professione legale.
Ne consegue che incidendo il difetto di procura ad litem sulla valida costituzione del rapporto
processuale lo stesso può, anche in mancanza di specifica eccezione di parte, essere rilevato dal
giudice d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento.
E’ appena il caso di precisare che anche gli istituti di patronato ed assistenza sociale possono
assicurare la tutela in sede giudiziaria dei propri iscritti mediante apposite convenzioni con avvocati
(art. 9 L. 30/03/2001 n. 152).
In mancanza, è dunque precluso l’esercizio della rappresentanza in giudizio, così come non è
ammessa la sottoscrizione del ricorso da parte degli stessi soggetti, per carenza di legittimazione attiva
(c.f.r. Corte dei conti Sez. Lombardia sent. n. 605/06; 562/96; Sez. Lazio sent. n. 34/97; Sez.
Marche sent. n. 1044/97; Sez. Calabria sent. n. 383/00 ).
Occorre, infatti, rettamente intendere sul piano giuridico (e specificamente in chiave
processualcivilistica l’affermazione riportata in epigrafe del predetto ricorso di parte attrice: ””Il
Patronato, nell’interesse del proprio assistito e rappresentato””.
Orbene, l’art. 84 c.p.c., sotto la rubrica ““poteri del difensore”” enuncia che quando la parte sta in
giudizio col ministero del difensore, questo può compiere e ricevere nell’interesse della parte stessa,
tutti gli atti del processo che dalla legge non sono ad essa espressamente riservati”.
Con questa norma la legge attribuisce al difensore i poteri di compiere e di ricevere genericamente
tutti gli atti del processo.
Il difensore quando esercita il ministero è dunque colui che compare davanti al giudice in nome
della parte e che compie gli atti del pro-cesso in virtù della procura ricevuta.
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Egli non è un semplice nuncius perché nel campo tecnico giuridico la legge gli affida un margine di
discrezionalità e di autonomia che è più ampio di quello di rappresentante, pur non potendo disporre
dei diritti in contesa.
Ne consegue che l’esercizio del “”ministero”” porta il difensore dentro il processo, nel compimento
degli atti, sia pure in nome della parte (così come si profila nel caso di specie).
Diversa, invece, è l’ipotesi in cui il difensore svolga funzioni di “ausilio tecnico”, ossia di generica
assistenza.
In tal caso, beninteso, egli non opera in nome della parte (come di contro avviene nella presente
fattispecie), ma opera in persona propria, a favore della parte e tuttavia anche in tale veste tali
compiti devono poter essere ricondotti alla comune unica qualifica professionale dell’avvocato”.
Dichiarata l’inammissibilità del ricorso, il Giudice ha perciò “ammonito il Patronato […] sulle
conseguenze penali che l’eventuale reiterarsi consapevole della condotta sopra evidenziata (e peraltro
oggetto della precedente statuizione di questa Corte n.209/08) non conforme a legge, è atta a
configurare”.
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2. LA GIURISPRUDENZA CONTABILE NEL 2016: PRONUNCE RILEVANTI
Con la sentenza del 1° febbraio 2016, n. 2, le Sezioni Riunite della Corte dei Conti in speciale
composizione hanno definito un’importante questione circa l’attitudine della delibera della
Sezione Regionale di Controllo, ex art. 148-bis Tuel, a produrre l’effetto del blocco dei
programmi di spesa per i quali sia stata accertata la mancata copertura o l’insussistenza della
sostenibilità finanziaria. In particolare, affermano le SS.RR., che “Il presupposto applicativo
della norma da un punto di vista letterale è che le irregolarità e gli equilibri di bilancio siano ancora
esistenti e sanabili ovvero ripristinabili”.
Da tale premessa discende che “L’effetto preclusivo dei programmi di spesa è posto in stretta
correlazione con l’accertamento dell’inesistenza della fonte di copertura ovvero della sua sostenibilità,
anche in una ottica di prospettiva. L’interdizione ai programmi di spesa si collega dunque a
specifiche criticità, più limitate rispetto a quelle per le quali il legislatore ha onerato la Corte dei
conti di orientare la propria azione di controllo e di sollecitare l’adozione di misure correttive e/o
ripristinatorie”.
Per questi motivi, le Sezioni riunite hanno enunciato il principio secondo cui “le Sezioni
regionali di controllo, qualora intendano pervenire alla pronuncia interdittiva ai sensi del
richiamato articolo 148 bis, debbano necessariamente specificare i programmi di spesa coinvolti,
ricollegandoli in modo altrettanto esplicito alle ipotesi della mancata copertura ovvero della
insostenibilità finanziaria”.
Conseguentemente, quanto alla asserita mancanza di interesse del Comune ricorrente a porre
nel nulla una delibera sostanzialmente improduttiva di effetti interdittivi, le SS.RR. hanno
altresì evidenziato come la “delibera impugnata […] pur non disponendo misure interdittive, ha
comunque accertato una pluralità di criticità desumibili dal rendiconto […], soffermandosi in
particolare sulla insufficienza delle misure correttive contenute nella delibera consiliare […].
L’accertamento delle criticità ha assunto con la delibera impugnata il carattere della definitività e
si è, per così dire, consolidato”. Da queste considerazioni discende dunque la conclusione che
“l’accertamento consolidato delle criticità finanziarie (anche se non accompagnato da misure
interdittive dei programmi di spesa) concretizza […] l’interesse del Comune ad una pronuncia che
statuisca la regolarità della gestione, l’idoneità delle misure correttive e la correlata infondatezza dei
rilievi formulati. […] L’interesse del Comune […], quale dedotto nel presente giudizio, deve essere
pertanto riconosciuto nei termini evidenziati”.
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Nella successiva sentenza n. 4/2016 delle Sezioni Riunite in speciale composizione, il Collegio si
è soffermato sui connotati concettuali – di matrice europea – di “amministrazione pubblica”
ai fini dell’inserimento nell’elenco ISTAT degli enti compresi nel conto economico consolidato.
In primo luogo, hanno premesso i giudici, “il concetto comunitario di “”Amministrazione
pubblica””, da inserire nell’Elenco I.S.T.A.T. non si identifica con il concetto di pubblica
Amministrazione prevista dall’ordinamento nazionale, che trova nell’articolo 1, comma 2, del
decreto legislativo n. 165 del 2001 la sua elencazione […].
Oltre alla mancanza di una “”identità soggettiva”” dei due concetti, si segnala una diversità anche
nella finalità sottesa alla individuazione europea di ““pubblica Amministrazione””, rispetto a
quella nazionale.
L’obiettivo, che ha indotto il legislatore comunitario a prevedere l’inserimento di soggetti, rivestenti
determinati requisiti, nell’Elenco in questione, risiede nella necessità di predisporre annualmente il
conto economico consolidato, nell’ambito della procedura sui deficit eccessivi, regolata dal Trattato
di Maastricht, come esplicitamente disposto dal Regolamento CE n. 549 del 21 maggio 2013. […]”.
Operato, successivamente, un richiamo ai regolamenti europei (in particolare, il
summenzionato Regolamento CE n. 549 del 21 maggio 2013, relativo al SEC 2010, il Sistema
Europeo dei Conti nazionali e regionali dell’Unione Europea) che disciplinano l’individuazione
delle unità istituzionali da inserire nell’elenco, le Sezioni Riunite hanno ritenuto di sottoporre
ad esame il secondo degli elementi ricognitivi indicati dal suddetto sistema: il potere di
controllo esercitato, sull’istituzione da inserire negli elenchi ISTAT, da parte di una Pubblica
Amministrazione, nei termini richiesti dalla normativa comunitaria. Al riguardo, il Collegio
richiama anche la propria passata giurisprudenza per affermare che “ai fini dell’inserimento di
un Ente senza scopo di lucro nell’Elenco I.S.T.A.T., è necessario verificare, sulla base dei dati
economici contenuti nei bilanci, se lo stesso abbia o meno la ““capacità di determinarsi
autonomamente””. […] Diversamente da altre Federazioni, in cui l’apporto finanziario del
C.O.N.I. è preminente e/o principale, con conseguente incapacità della Federazione di determinarsi
autonomamente, nel caso della F.I.B. tale apporto incide sul valore della produzione in misura del
33% e, quindi, si ravvisa una autonomia economica della Federazione, che si ripercuote sulla
autonomia gestionale della stessa.
La valutazione di tutti i criteri e gli elementi sopra esposti ha condotto, dunque, le Sezioni
Riunite ad accogliere il ricorso della Federazione Italiana Bocce contro il proprio inserimento
nell’elenco ISTAT delle Amministrazione pubbliche da includere nel conto consolidato, senza,
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tuttavia, omettere la considerazione che “come chiarito dallo stesso SEC 2010 […], l’inserimento
di una Unità nel conto economico consolidato, dipende dal grado di autonomia della stessa, sia
economica che giuridica, determinata attraverso plurimi criteri, applicati al caso concreto, che
portano ad una decisione basata, ““per sua natura, su di un giudizio soggettivo"”.
L’applicazione complessiva e coordinata dei vari indicatori, economici e giuridici, personalizzano e
contestualizzano la valutazione, con risultati che possono essere anche diversi, pur in presenza di
situazioni solo apparentemente simili”.
Sul versante dei rapporti di interdipendenza (lato sensu intesa) tra processo contabile e
giudicato penale, la Prima Sezione Centrale d’Appello della Corte dei Conti ha avuto modo di
affermare, nella sent. n. 60/2016, l’assoluta insussistenza di un rapporto di pregiudizialità del
secondo rispetto al primo, in particolare affermando che “La consolidata, recente giurisprudenza
della Suprema Corte di Cassazione ha chiarito che la sospensione del giudizio, di cui all’art. 295
c.p.c., deve essere limitata ai soli casi di pregiudizialità in senso tecnico-giuridico, per prevenire
cioè il rischio di un conflitto tra giudicati (ex plurimis, v. Cassazione, SS.UU., n. 14060/2004);
detto altrimenti, la norma in questione è applicata correttamente solo quando la previa definizione
di altra controversia civile, penale o amministrativa, pendente davanti allo stesso o ad altro giudice
costituisca, per il suo carattere pregiudiziale, l'indiscutibile antecedente logico-giuridico dal quale
dipenda la decisione della causa pregiudicata ed il cui accertamento sia necessariamente richiesto
con efficacia di giudicato; non è sufficiente, insomma, un rapporto di mera pregiudizialità logica
(ex multis, cfr. Cassazione, Sezione II, 11.8.2011, n. 17212)”.
Tale presa di posizione assume anche un significato pratico ove si consideri, ricordano sempre
i giudici dell’appello, “il disfavore dell’ordinamento nei confronti dei provvedimenti dichiarativi di
una sospensione processuale, in quanto contraria ad una sollecita definizione delle vertenze, la quale
costituisce a sua volta valore primario, sancito a livello costituzionale dal novellato art. 111 Cost. e,
prima ancora, dall’art. 6 della CEDU, Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti
dell'uomo e delle libertà fondamentali”.
In materia pensionistica, riguardo alla possibilità della P.A. di ripetere, dal pensionato, gli
indebiti percepiti in buona fede tra l’erogazione della pensione provvisoria e la liquidazione di
quella definitiva, la Seconda Sezione Centrale d’Appello, nella sent. n. 54/2016, fatta una
approfondita premessa ricostruttiva della disciplina e della giurisprudenza rilevante in
materia, stabilisce, conclusivamente, che – ai fini dell’irripetibilità dell’indebito dovuto alla
- 42 -
differenza tra pensione provvisoria e pensione definitiva – è necessario che risulti la buona fede
del pensionato, ovvero il convincimento di percepire un trattamento pensionistico
corrispondente a quello spettante, che lo abbia indotto a regolare, di conseguenza, il proprio
tenore di vita; tale accertamento può ricavarsi da presunzioni semplici, ma non può essere
desunto dal mero decorso del termine di legge per l’adozione del provvedimento pensionistico
definitivo.
In tema di giudizi di conto, risulta di particolare interesse quanto affermato nella sent. n.
19/2016 QM delle Sezioni Riunite, riguardo ai rapporti, delineati dall’art. 2 della l. n. 20/1994
(pur abrogato dal D. lgs. n. 174/2016 recante il Codice di Giustizia contabile)1, tra l’ufficio del
Magistrato istruttore sui conti giudiziali presentati presso la Sezione Giurisdizionale e la
Procura Regionale. Nel negare la fondatezza della questione di legittimità costituzionale
prospettata in relazione alla mancata previsione di un obbligo di trasmissione dei conti
giudiziali dalla Sezione Giurisdizionale alla Procura, le SS.RR. sottolineano che “Invero, […]
l’introduzione del giudizio di conto è sottratta alla libera determinazione tanto dell’agente contabile,
quanto dell’amministrazione, del Pubblico Ministero e della Sezione giurisdizionale; si tratta,
infatti, di giudizio officioso, a carattere necessario ed inderogabile, procedimentalizzato nei tempi e
nei modi (per quanto qui interessa) direttamente dalla legge. […] Essendo, così, legislativamente
prefissati i termini di resa e deposito dei conti, aventi carattere di generalità e sottratti alla
disponibilità di tutti i soggetti coinvolti nel giudizio, l’ipotizzato obbligo di comunicazione
dell’effettivo deposito di ciascun conto si rivela un adempimento processuale irrituale e di dubbia
utilità […].
Sul piano testuale può osservarsi che lo stesso articolo 2 della citata legge n. 20 del 1994 distingue
tra il giudizio ““sul conto””, che si estingue, e le eventuali responsabilità amministrative e contabili
““a carico dell’agente contabile””, che restano invece ferme (indipendentemente dall’estinzione del
giudizio ““sul conto””).
Nel contesto e nello spirito della norma, è da ritenere che le ““contestazioni a carico del contabile””,
elevabili dalla Procura con effetto impeditivo sull’estinzione del giudizio ““sul conto””, non si
riferiscano in realtà al ““regolare pareggio”” delle partite o ad altre ipotesi di ““irregolarità”” del
1 La norma, in materia di estinzione dei giudizi di conto, stabiliva che “decorsi cinque anni dal deposito del conto effettuato a norma dell'articolo 27 del regio decreto 13 agosto 1933, n. 1038, senza che sia stata depositata presso la segreteria della sezione la relazione prevista dall'articolo 29 dello stesso decreto o siano state elevate contestazioni a carico del tesoriere o del contabile da parte dell'amministrazione, degli organi di controllo o del procuratore regionale, il giudizio sul conto si estingue, ferma restando l'eventuale responsabilità amministrativa e contabile a carico dell'agente contabile”
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conto giudiziale stesso e non siano da individuarsi in esito ad una prefigurata autonoma attività
istruttoria ““sul conto”” e sui relativi documenti giustificativi, tacitamente intestata al Pubblico
Ministero, ma si riferiscano a eventuali fattispecie di responsabilità amministrative e contabili
rilevate dal Pubblico Ministero stesso, in via generale, nell’ambito delle ““istruttorie di sua
competenza”” (cfr. art. 74 t.u. Corte conti). […]
Nel disegno legislativo, i ruoli rispettivamente attribuiti al Giudice e al Pubblico Ministero nel
giudizio di conto sono definiti con nitidezza, nel senso che l’istruttoria preliminare sul conto è
prerogativa del giudice relatore, mentre il Pubblico Ministero agisce in questa fase, a seconda dei
casi, nella funzione definita in dottrina come ““concludente”” o anche ““consulente””. […]
Tirando le fila del discorso, l’idea di un’istruttoria svolta in autonomia dal Pubblico Ministero sui
conti giudiziali, parallelamente (o in sostituzione) rispetto a quella rimessa al giudice relatore, è
estranea al sistema normativo previgente all’introduzione del citato articolo 2”.
Con la sent. n. 21/2016, la Terza Sezione Centrale d’Appello, in materia di giudizi ad istanza di
parte, ritiene sussistere la legittimazione attiva dell’Amministrazione pubblica ad adire il
Giudice contabile, ai fini dell’instaurazione di un giudizio ad istanza di parte ex art. 58 r.d. n.
1038/33.
Detto giudizio, secondo il Giudice d’Appello, non deve essere confuso, infatti, con il giudizio di
responsabilità amministrativo – contabile; “solo quest’ultimo”, afferma la Sezione, “ha quale
esclusivo titolare dell’azione il Procuratore regionale della Corte dei conti. Per contro, nella presente
controversia è [l’Amministrazione] che, assumendo di essere titolare di diritti nei confronti
dell’Istituto […] – proprio agente contabile per il servizio di tesoreria - al fine di vedere soddisfatta,
attraverso un provvedimento giurisdizionale, la propria pretesa, ha legittimamente chiamato in
causa controparte.
L’obbligazione dedotta in giudizio riguarda direttamente il rapporto gestorio intercorrente tra l’ente
pubblico e l’agente, nel senso che il primo invoca la restituzione di somme alle quali ritiene di avere
diritto. In buona sostanza, si tratta di un giudizio di accertamento su partite di debito-credito, e
quindi avente natura restitutoria, rientranti appieno nel rapporto di tesoreria, per il quale ben può
applicarsi la norma di chiusura di cui al menzionato art. 58 r.d. n. 1038/33.
Si tratta di norma di chiusura del sistema che legittima altri soggetti, […] a proporre azioni
restitutorie, nel limite ovviamente della sfera di competenza attribuita al Giudice contabile […].
Tanto chiarito, nel richiamare convintamente l’orientamento già espresso nelle sentenze n. 466 e 467
del 2014 di questa Sezione giurisdizionale centrale d’appello - se ne deve concludere che occorre
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distinguere nettamente tra tale giudizio e quello di responsabilità contabile astrattamente
ipotizzabile; tra di essi v’è concorrenza e non alternatività di azioni, sicché è esclusa la proponibilità
del giudizio ad istanza di parte solo qualora, attraverso l’azione del p.m. contabile, la pretesa
dell’ente affidatario del servizio di tesoreria abbia trovato piena soddisfazione”.
Infine, viene in rilievo la sent. n. 290/2016 della Prima Sezione Centrale d’Appello, ove si afferma
che, nel giudizio di responsabilità amministrativa in appello, l’intervento del terzo è
ammissibile soltanto allorché l’interventore rivendichi, nei confronti delle parti in causa, la
titolarità di una pretesa del tutto autonoma rispetto a quella che ha formato oggetto di
contestazione tra le parti in primo grado e la cui tutela si presenti incompatibile con la
situazione accertata dalla sentenza di primo grado o con quella che potrebbe essere accertata
nella sentenza d’appello. L’intervento si palesa invece inammissibile qualora si presenti come
puramente adesivo in favore del Pubblico Ministero.
Nel merito della controversia, inoltre, la Sezione afferma il principio per cui la lesione
dell’interesse generale all’equilibrio dei bilanci pubblici e al rispetto delle norme costituzionali
non costituisce, di per sé, danno erariale, a meno che non si dimostri che, dalla commissione
dell’illecito, siano scaturiti pregiudizi economici effettivi e concreti a carico delle casse
pubbliche.
Nella fattispecie, il Collegio ha ritenuto insussistente il danno erariale da cd. extra budget,
derivante, secondo la tesi accusatoria, dal fatto che una struttura sanitaria, accreditata presso
il SSR, aveva erogato prestazioni in eccesso rispetto al proprio budget annuale, in difetto di una
dimostrazione del danno effettivamente subito dal Sistema regionale.
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3. NOVITÀ LEGISLATIVE CHE HANNO RIGUARDATO LA CORTE DEI CONTI
NELL’ANNO 2016
4.1 LA RIFORMA DEL PROCESSO CONTABILE DI CUI AL D. LGS. 26 AGOSTO
2016, N. 174. IL NUOVO CODICE DI GIUSTIZIA CONTABILE
Ai sensi dell'art. 20, quinto comma, della L. 7 agosto 2015 n. 124 ( “Deleghe al Governo in materia
di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche”), il Governo è stato delegato ad adottare un
decreto legislativo recante "il riordino e la ridefinizione della disciplina processuale concernente
tutte le tipologie di giudizi che si svolgono innanzi alla Corte dei conti, compresi i giudizi
pensionistici, i giudizi di conto e i giudizi a istanza di parte", alla stregua dei principi e dei criteri
direttivi dettati da detto articolo, nonché di quelli di cui all'art. 20, terzo comma, della L. 15
marzo 1997 n. 59.
I principi e criteri direttivi fissati dalla legge di delega prevedevano, fra l’altro, il
coordinamento formale e sostanziale del complesso delle disposizioni vigenti, con l’adozione
delle modifiche necessarie per garantire la coerenza giuridica, logica e sistematica della
normativa e per adeguare, aggiornare e semplificare il linguaggio normativo, con l'indicazione
esplicita delle norme abrogate e fatta salva l'applicazione dell'articolo 15 delle disposizioni sulla
legge in generale premesse al codice civile.
Nello specifico, la medesima legge fissava i seguenti principi e criteri direttivi:
a) adeguare le norme vigenti, anche tramite disposizioni innovative, alla giurisprudenza della
Corte costituzionale e delle giurisdizioni superiori, coordinandole con le norme del codice di
procedura civile espressione di principi generali e assicurando la concentrazione delle tutele
spettanti alla cognizione della giurisdizione contabile;
b) disciplinare lo svolgimento dei giudizi tenendo conto della peculiarità degli interessi pubblici
oggetto di tutela e dei diritti soggettivi coinvolti, in base ai principi della concentrazione e
dell’effettività della tutela e nel rispetto del principio della ragionevole durata del processo
anche mediante il ricorso a procedure informatiche e telematiche;
c) disciplinare le azioni del pubblico ministero, nonché le funzioni e le attività del giudice e delle
parti, attraverso disposizioni di semplificazione e razionalizzazione dei principi vigenti in
materia di giurisdizione del giudice contabile e di riparto delle competenze rispetto alle altre
giurisdizioni;
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d) prevedere l'interruzione del termine quinquennale di prescrizione delle azioni esperibili dal
pubblico ministero per una sola volta e per un periodo massimo di due anni tramite formale
atto di costituzione in mora e la sospensione del termine per il periodo di durata del processo;
e) procedere all'elevazione del limite di somma per il rito monitorio di cui all'articolo 55 del
testo unico di cui al regio decreto 12 luglio 1934, n. 1214, concernente fatti dannosi di lieve
entità patrimonialmente lesiva, prevedendo che esso sia periodicamente aggiornabile in base
alle variazioni dell'indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie degli operai e degli
impiegati;
f) prevedere l'introduzione, in alternativa al rito ordinario, con funzione deflativa e anche per
garantire l'incameramento certo e immediato di somme risarcitorie all'Erario, di un rito
abbreviato per la responsabilità amministrativa che, esclusi i casi di doloso arricchimento del
danneggiante, su previo e concorde parere del pubblico ministero, consenta la definizione del
giudizio di primo grado per somma non superiore al 50 per cento del danno economico
imputato, con immediata esecutività della sentenza, non appellabile; prevedere che, in caso di
richiesta del rito abbreviato formulata in appello, il giudice emetta sentenza per somma non
inferiore al 70 per cento del quantum della pretesa risarcitoria azionata in citazione, restando
in ogni caso precluso l'esercizio del potere di riduzione;
g) riordinare la fase dell'istruttoria e dell'emissione di eventuale invito a dedurre in conformità
ai seguenti principi: 1) specificità e concretezza della notizia di danno; 2) dopo l'avvenuta
emissione dell'invito a dedurre, nel quale devono essere esplicitati gli elementi essenziali del
fatto, pieno accesso agli atti e ai documenti messi a base della contestazione; 3) obbligatorio
svolgimento, a pena di inammissibilità dell'azione, dell'audizione personale eventualmente
richiesta dal presunto responsabile, con facoltà di assistenza difensiva; 4) specificazione delle
modalità di esercizio dei poteri istruttori del pubblico ministero, anche attraverso l'impiego
delle forze di polizia, anche locali; 5) formalizzazione del provvedimento di archiviazione; 6)
preclusione in sede di giudizio di chiamata in causa su ordine del giudice e in assenza di nuovi
elementi e motivate ragioni di soggetto già destinatario di formalizzata archiviazione;
h) unificare le disposizioni di legge vigenti in materia di obbligo di denuncia del danno erariale
e di tutela del dipendente pubblico denunciante, anche al fine di favorire l'adozione di misure
cautelari;
i) disciplinare le procedure per l'affidamento di consulenze tecniche, prevedendo l'istituzione di
specifici albi regionali, con indicazione delle modalità di liquidazione dei compensi, ovvero
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l'utilizzo di albi già in uso presso le altre giurisdizioni o l'avvalimento di strutture e organismi
tecnici di amministrazioni pubbliche;
l) riordinare le disposizioni processuali vigenti integrandole e coordinandole con le norme e i
principi del codice di procedura civile relativamente ai seguenti aspetti: 1) i termini processuali,
il regime delle notificazioni, delle domande ed eccezioni, delle preclusioni e decadenze,
dell'ammissione ed esperimento di prove, dell'integrazione del contraddittorio e dell'intervento
di terzi, delle riassunzioni anche a seguito di translatio, in conformità ai principi della speditezza
procedurale, della concentrazione, della ragionevole durata del processo, della salvaguardia del
contraddittorio tra le parti, dell’imparzialità e terzietà del giudice; 2) gli istituti processuali in
tema di tutela cautelare anche ante causam e di tutela delle ragioni del credito erariale tramite
le azioni previste dal codice di procedura civile, nonché i mezzi di conservazione della garanzia
patrimoniale di cui al libro VI, titolo III, capo V, del codice civile;
m) ridefinire le disposizioni applicabili alle impugnazioni mediante rinvio, ove possibile, a
quelle del processo di primo grado, nonché riordinare e ridefinire le norme concernenti le
decisioni impugnabili, l'effetto devolutivo dell'appello, la sospensione dell'esecuzione della
decisione di primo grado ove impugnata, il regime delle eccezioni e delle prove esperibili in
appello, la disciplina dei termini per la revocazione in conformità a quella prevista dal codice
di procedura civile in ossequio ai principi del giusto processo e della durata ragionevole dello
stesso;
n) ridefinire e riordinare le norme concernenti il deferimento di questioni di massima e di
particolare importanza, i conflitti di competenza territoriale e il regolamento di competenza
avverso ordinanze che dispongano la sospensione necessaria del processo, proponibili alle
sezioni riunite della Corte dei conti in sede giurisdizionale, in conformità alle disposizioni
dell'articolo 374 del codice di procedura civile, in quanto compatibili, e in ossequio ai principi
della nomofilachia e della certezza del diritto;
o) ridefinire e riordinare le disposizioni concernenti l'esecuzione delle decisioni definitive di
condanna al risarcimento del danno, attribuendo al pubblico ministero contabile la titolarità
di agire e di resistere innanzi al giudice civile dell'esecuzione mobiliare o immobiliare, nonché
prevedere l'inclusione del credito erariale tra i crediti assistiti da privilegio ai sensi del libro VI,
titolo III, capo II, del codice civile;
p) disciplinare esplicitamente le connessioni tra risultanze ed esiti accertativi raggiunti in sede
di controllo e documentazione ed elementi probatori producibili in giudizio, assicurando altresì
il rispetto del principio secondo cui i pareri resi dalla Corte dei conti in via consultiva, in sede
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di controllo e in favore degli enti locali nel rispetto dei presupposti generali per il rilascio dei
medesimi, siano idoneamente considerati, nell'ambito di un eventuale procedimento per
responsabilità amministrativa, anche in sede istruttoria, ai fini della valutazione dell'effettiva
sussistenza dell'elemento soggettivo della responsabilità e del nesso di causalità.
Inoltre:
a) confermare e ridefinire, quale norma di chiusura, il rinvio alla disciplina del processo civile,
con l'individuazione esplicita delle norme e degli istituti del rito processuale civile compatibili
e applicabili al rito contabile;
b) abrogare esplicitamente le disposizioni normative oggetto del riordino e quelle con esso
incompatibili, fatta salva l'applicazione dell'articolo 15 delle disposizioni sulla legge in generale
premesse al codice civile;
c) dettare le opportune disposizioni di coordinamento in relazione alle norme non abrogate;
d) fissare una disciplina transitoria applicabile ai giudizi già in corso alla data di entrata in
vigore della nuova disciplina processuale.
Il testo del Codice di giustizia contabile è stato, infine, elaborato ai sensi dell'art. 20, quarto
comma, della legge di delega, da una Commissione istituita presso il Dipartimento per gli affari
giuridici e legislativi della Presidenza del Consiglio dei ministri, composta da magistrati della
Corte dei conti, esperti esterni e rappresentanti del libero foro e dell'Avvocatura generale dello
Stato, ed è stato trasmesso alla Corte dei conti per il parere delle Sezioni Riunite, ai sensi del
quinto comma del citato art. 20.
La surriportata normativa di delega è, insomma, non solo intervenuta a colmare una lacuna
dell'ordinamento (data dal fatto che i giudizi davanti alla Corte dei conti erano stati, fino ad
allora, disciplinati, sotto il profilo processuale, da una normativa degli anni trenta dello scorso
secolo), ma ha avuto come obiettivo il riordino di tutta l'attività giurisdizionale della Corte dei
conti, che è stata oggetto, negli ultimi anni, di numerosi interventi di rivisitazione concettuale
anche attraverso la legislazione ordinaria, dagli esiti frammentari e disorganici che hanno
generato interventi interpretativi oscillanti da parte della giurisprudenza di questa Corte.
In questo quadro, il sistema della giustizia contabile si è evoluto anche attraverso arresti
giurisprudenziali che hanno valorizzato – per chiare ragioni di coerenza normativa – il rinvio
(di cui all'art. 26 del R.D. n. 1038 del 1933) alle norme e ai termini della procedura civile,
ritenuto concordemente dinamico, orientando il giudizio contabile ai principi del giusto
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processo espressi dell’art. 111 della Costituzione ed al contempo auspicando un intervento
legislativo che codificasse la materia attraverso la creazione di regole certe ed uniformi.
Il Codice di giustizia contabile (approvato con Decreto Legislativo 26 agosto 2016, n. 174) è
articolato in otto parti, riguardanti, in particolare : le disposizioni sui principi generali, sulla
giurisdizione e la competenza, il giudice e le parti del processo; il giudizio ordinario di
responsabilità, inclusa la fase preprocessuale, con la disciplina dell'attività istruttoria del
pubblico ministero e delle parti, delle azioni a tutela del credito erariale; il giudizio sui conti e
per resa di conto; i giudizi pensionistici, con le disposizioni generali e la disciplina del
procedimento cautelare; le impugnazioni e gli altri mezzi di gravame contro le decisioni:
l'appello, l'opposizione del terzo, la revocazione, il ricorso per cassazione; i giudizi per
l’interpretazione del titolo giudiziale; l'esecuzione delle sentenze di condanna ed il giudizio di
ottemperanza in materia pensionistica; infine, le disposizioni transitorie e di coordinamento.
Gli interventi più significativi hanno riguardato, principalmente, la parte afferente
all'istruttoria ed al giudizio di responsabilità; mentre, per gli altri giudizi, si è proceduto ad un
riordino sistematico ed alla razionalizzazione e semplificazione delle procedure.
Tra i più rilevanti aspetti sistematici, vengono in rilievo l’assorbimento organico del giudizio
per responsabilità sanzionatoria (introdotta, in via prodromica, nell’ordinamento della
giustizia contabile, con l'articolo 30, comma 15, della legge 27 dicembre 2002, n.289) nella
struttura delle funzioni della Corte e la disciplina dei relativi aspetti procedurali, ispirata al
tentativo di bilanciare le esigenze di effettività della tutela dell'erario e la tassatività delle
ipotesi di responsabilità sanzionatoria con le garanzie individuali di difesa. Nel testo del decreto
legislativo sono, inoltre, previste diverse ipotesi in cui, al mancato adempimento di specifici
obblighi ed al fine di garantirne l’effettività, corrisponde l’irrogazione di sanzioni che pure non
erano espressamente previste nella legge di delega.
Le principali innovazioni introdotte dal Codice possono essere raggruppate in tre ordini logici:
- riordino dei presupposti delle modalità di esercizio dell’azione di danno e codificazione,
nell’alveo delle disposizioni concernenti “Obbligo di denuncia di danno e onere di segnalazione”
di cui all’art. 52, non solo delle disposizioni (già contenute in leggi speciali) riguardanti il dovere
di denuncia dei fatti costituenti danno erariale, ma anche di quelle previsive del medesimo
dovere in ordine ai fatti “dai quali, a norma di legge, può derivare l'applicazione, da parte delle
sezioni giurisdizionali territoriali, di sanzioni pecuniarie”, nonché di quelle (di cui al 6° comma
del medesimo articolo 52) che sanciscono “l'obbligo per la pubblica amministrazione denunciante
di porre in essere tutte le iniziative necessarie a evitare l'aggravamento del danno, intervenendo ove
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possibile in via di autotutela o comunque adottando gli atti amministrativi necessari a evitare la
continuazione dell'illecito e a determinarne la cessazione”;
- contingentamento delle fasi processuali per la velocizzazione del procedimento (con
l’introduzione esplicita del principio di sinteticità degli atti);
- informatizzazione delle procedure, potenziamento delle banche dati e superamento del
supporto cartaceo.
Sotto il primo profilo, gli artt. da 51 a 82 del nuovo Codice disciplinano i momenti cardine che
scandiscono l’esercizio dell’azione e l’attività preprocessuale della Procura: la logica sottesa al
complesso delle disposizioni in materia appare essere quella di chiarire l’elenco delle potestà
rimesse all’organo requirente contabile, articolandone l’esercizio in una griglia di termini e
decadenze e definendo, al contempo, un sistema di “contrappesi” a tutela del diritto di difesa
del soggetto sottoposto all’indagine. A quest’ordine di modifiche va ascritta, senz’altro, la
disposizione dell’art. 55 con l’innovativa previsione – a carico del P.M. contabile – di un obbligo
di indagine anche in ordine ad eventuali fatti a discarico della persona individuata come
presunto responsabile.
Analogamente, appare essere stato reso testuale un generale obbligo di motivazione degli atti
disposti dalla Procura, nonché reso esplicito il diritto dell’indagato all’accesso al fascicolo
istruttorio (art. 71 del Codice). A questo appare far da corredo la delimitazione dell’attività
ispettiva – eseguita e/o diretta dall’organo requirente con l’ausilio delle forze dell’ordine
all’uopo motivatamente delegate – nel perimetro rigido compreso tra la “specifica e concreta
notizia di danno” e l’emissione dell’invito a dedurre, considerato come atto sostanzialmente
definitivo, che non potrebbe aprire la strada allo scrutinio di nuovi fatti istruttori, se non nei
casi in cui l’accertamento di questi ultimi sia scaturito dalle osservazioni e difese prodotte
dall’invitato .
Ne consegue un rinnovamento nella fisionomia dell’istruttoria preprocessuale che potrebbe
indurre problematiche di sistema e perplessità nei casi in cui la delimitazione dei poteri
requirenti si dovesse conciliare con il principio generale dell’obbligatorietà dell’azione pubblica
di danno.
Si pensi all’art. 110 che prevede, assoluta novità nel giudizio per responsabilità
amministrativo-contabile, la rinuncia agli atti del giudizio da parte del P.M., ovvero all’art. 66
che sembra mettere fine al dibattito sorto circa l’efficacia interruttiva dell’invito a dedurre,
sancendola esplicitamente, pur limitandone, in certo modo, la portata; infatti, la norma de qua
stabilisce che : “con l’invito a dedurre ai sensi dell’articolo 67, comma 8, ovvero con formale atto di
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costituzione in mora ai sensi degli articoli 1219 e 2943 del codice civile, il termine quinquennale di
prescrizione può essere interrotto per una sola volta”. In disparte ogni considerazione sui profili di
parità di trattamento rispetto a quanto previsto dall’art. 2943, comma 4 del Codice Civile per
il creditore in ambito privatistico.
Quanto al secondo aspetto della riforma – quello riguardante la velocizzazione del processo e
l’informatizzazione delle attività con applicazione delle regole tecniche del processo telematico
– le disposizioni contenute negli artt. da 88 a 92 (e negli artt. 139, 140, 141, 146, 148 e 150 per
i giudizi di conto) introducono una serie di termini per la scansione delle fasi processuali, dalla
ricezione dell’atto introduttivo, all’individuazione e contestuale assegnazione del giudizio al
Magistrato relatore fino alla disciplina dei rinvii ed ai tempi per la decisione.
L’introduzione dei suddetti termini, che sembrerebbero di più propria natura ordinatoria, per
l’espletamento di adempimenti prima non contingentati (come la fissazione dell’udienza, che
dovrebbe oggi avvenire, ex art. 88, entro 10 giorni dall’apertura del giudizio o come
l’assegnazione del giudizio al Magistrato relatore, da effettuarsi non meno di 30 giorni prima
dell’udienza) appare obbedire alla finalità di imprimere una spinta acceleratoria allo
svolgimento del processo, da armonizzarsi, tuttavia, con la necessità di garantire anche il livello
qualitativo del lavoro svolto dalle Sezioni.
Nella stessa logica di celerità procedimentale si inserisce l’esplicitazione dell’obbligo di
sinteticità negli atti processuali (contenuto all’art. 5, comma 2 del Codice), in ossequio
all’esigenza di ridurre i tempi del processo, e, quindi, di eliminare illustrazioni potenzialmente
sovrabbondanti in ordine ai fatti di causa ed alle deduzioni delle parti.
Un ruolo fondamentale sarà giocato, in quest’ottica, anche dal potenziamento dei sistemi
informatici in uso alla Corte, sia sotto l’aspetto della gestione telematica del processo, sia sotto
quelli del deposito e dell’esame dei conti giudiziali, nonché della condivisione delle banche dati
dei provvedimenti e della documentazione amministrativa fra gli uffici delle tre articolazioni
della Corte.
Infine, nell’ambito della disamina, pur estremamente sintetica, della normativa introdotta dal
Codice di giustizia contabile, fin qui articolata, appare opportuno far riferimento
all’intervenuta introduzione, da parte dell’art. 28, dell’obbligo del patrocinio legale nei giudizi
innanzi alla Corte, pur con salvezza delle ipotesi, quali quelle afferenti al processo pensionistico,
in cui è ammessa la costituzione personale del ricorrente.
Secondo l’avvertenza già espressa in precedenza, vale la pena, in ogni caso, di ribadire che
rimane consegnato alla giurisprudenza il compito di forgiare, in sede di concreto esercizio
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dell’attività processuale, gli orientamenti interpretativi in ordine alle problematiche indotte
dalla normativa de qua.
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4.2 LA RIFORMA DELLE PARTECIPAZIONI PUBBLICHE DI CUI AL D. LGS. 19
AGOSTO 2016, N. 175
La legge di delega 7 agosto 2015, n. 124, all’art. 16, ha conferito al Governo il compito di
adottare un decreto legislativo di semplificazione nel settore delle partecipazioni societarie delle
Amministrazioni pubbliche, procedendo al riordino della relativa disciplina anche in
considerazione delle contiguità di questa materia – tra le altre – a quella dei servizi pubblici di
interesse economico.
Tra gli obiettivi e i criteri della delega, il riassetto della normativa preesistente costituiva solo
un punto di partenza, l’indispensabile predisposizione di un reticolato di definizioni e principi-
cardine i cui punti qualificanti possono riassumersi nel tentativo di contenere e armonizzare
tutte le spinte e le contrapposte sollecitazioni cui è soggetta l’Amministrazione pubblica
“nell’era dell’U.E.”: dalle esigenze di tutela della concorrenza e del libero mercato (connotati
genetici della fisionomia europeista ormai assunta dal nostro Paese), alle prevedibili ricadute
sulla salvaguardia dei principi costituzionali di buon andamento e imparzialità dell’azione
amministrativa, all’irrinunciabile missione di garantire ed anzi promuovere la realizzazione
effettiva dei diritti fondamentali e di quelli “sociali” previsti dalla Costituzione repubblicana.
Alle suddette tematiche si saldano quelle relative alle politiche di coordinamento finanziario e
di gestione dei bilanci pubblici, anch’esse ispirate a nuovi criteri di stampo europeistico, che
hanno trovato ampio ingresso nella Carta fondamentale. Da questo punto di vista, la
preoccupazione che l’utilizzo dello strumento societario potesse costituire una modalità di
elusione dei vincoli di finanza pubblica ha trovato varie conferme nella realtà2.
Nel riassetto della copiosa, e a tratti confusa, disciplina in materia, il D.lgs. n. 175/2016 ha
stabilito che i piani di razionalizzazione riguardino tutte le Amministrazioni pubbliche e siano
predisposti per evidenziare, precipuamente, proprio le situazioni in cui l’acquisto o la
detenzione della partecipazione societaria non sia funzionale al mantenimento dell’equilibrio
di valori sopra delineato.
La novella in esame si è, dunque, impegnata nella delineazione di criteri univoci che potessero
costituire, ad un tempo, una guida per l’inesperienza ed un ostacolo al malaffare.
2 Alcuni dei principi appena delineati sono, peraltro, testualmente riprodotti all’art. 1 del Decreto delegato “Art. 1 Oggetto […] 2. Le disposizioni contenute nel presente decreto sono applicate avendo riguardo all'efficiente gestione delle partecipazioni pubbliche, alla tutela e promozione della concorrenza e del mercato, nonché alla razionalizzazione e riduzione della spesa pubblica. […]”
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L’art. 4 del D. lgs. n. 175 in parola, facendo ordine nell’ambito dei vincoli e dei divieti
variamente posti dalla disciplina antecedente, ne introduce due tipologie, che si potrebbero
definire “di scopo” e “di attività”, rifluenti in un doppio ordine di limitazioni alla
partecipazione pubblica: “concettuale” e “testuale”.
Il vincolo “di scopo”, o “concettuale”, già ripreso dalla più risalente disciplina in materia a
partire dalla l. n. 244/2007, è dato dalla necessaria funzionalizzazione dell’attività svolta dall’
organismo partecipato all’attività istituzionale della p.a. partecipante3.
In questo perimetro, già concettualmente ristretto, si inserisce l’ulteriore limitazione data
dall’elencazione testuale e tassativa delle “attività” materialmente consentite4. Tale seconda e
inedita forma di limitazione è una novità nel panorama normativo di questo settore.
Non sarà più possibile, quindi, costituire o detenere partecipazioni in organismi societari che
svolgano attività economiche ascrivibili all’area della libera impresa5, che producano cioè beni
e servizi destinati ad essere erogati ad un pubblico indiscriminato di acquirenti privati, mossi
da intenti individualistici, e diversi dalle Amministrazioni socie, al di fuori di qualsiasi
perimetro di attività pubblica; allo stesso modo, non sarà compatibile la presenza di capitale
pubblico in società che, pur producendo servizi d’interesse generale, lo facciano al di fuori di
un vincolo funzionale con le Amministrazioni socie.
3 Piuttosto esplicita, sebbene bisognosa di specificazioni definitorie che non tarderanno ad arrivare dal dibattito giurisprudenziale, la disposizione di cui all’art. 4, comma 1 “Le amministrazioni pubbliche non possono, direttamente
o indirettamente, costituire società aventi per oggetto attività di produzione di beni e servizi non strettamente necessarie
per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, né acquisire o mantenere partecipazioni, anche di minoranza,
in tali società”. 4 Art. 4, comma 2, D. lgs cit. “Nei limiti di cui al comma 1, le amministrazioni pubbliche possono, direttamente o
indirettamente, costituire società e acquisire o mantenere partecipazioni in società esclusivamente per lo svolgimento
delle attività sotto indicate:
a) produzione di un servizio di interesse generale, ivi inclusa la realizzazione e la gestione delle reti e degli impianti
funzionali ai servizi medesimi;
b) progettazione e realizzazione di un'opera pubblica sulla base di un accordo di programma fra amministrazioni
pubbliche, ai sensi dell'articolo 193 del decreto legislativo n. 50 del 2016;
c) realizzazione e gestione di un'opera pubblica ovvero organizzazione e gestione di un servizio d'interesse generale
attraverso un contratto di partenariato di cui all'articolo 180 del decreto legislativo n. 50 del 2016, con un imprenditore
selezionato con le modalità di cui all'articolo 17, commi 1 e 2;
d) autoproduzione di beni o servizi strumentali all'ente o agli enti pubblici partecipanti, nel rispetto delle condizioni
stabilite dalle direttive europee in materia di contratti pubblici e della relativa disciplina nazionale di recepimento;
e) servizi di committenza, ivi incluse le attività di committenza ausiliarie, apprestati a supporto di enti senza scopo di
lucro e di amministrazioni aggiudicatrici di cui all'articolo 3, comma 1, lettera a), del decreto legislativo n. 50 del 2016”.
5 Si veda, sul punto, Cons. Stato, Commissione speciale, parere n. 968 del 21 aprile 2016
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A ciò si aggiunge – vista la tassatività e la testualità delle attività consentite – anche l’inedito
(implicito e conseguente) divieto di esercitare le funzioni amministrative istituzionalmente
intestate all’Amministrazione partecipante per il tramite di società di capitali costituite o
partecipate dall’Amministrazione stessa.
Né si può sottacere la formalizzazione, contenuta nell’art. 4, comma 5, di un divieto esplicito
alla “partecipazione di secondo livello”, fatta eccezione per le holding di partecipazioni
pubbliche, cioè di società aventi come oggetto sociale la gestione delle partecipazioni detenute
dall’Amministrazione pubblica di riferimento.
Sui criteri di base definiti dall’art. 4 si fondano, dunque, le decisioni di razionalizzazione di cui
ai successivi articoli 20 e 24 del Testo Unico, senza, peraltro, pretermissione di ipotesi di
“salvaguardia”: l’All. A, ad esempio, richiamato dall’art. 26, co. 1, contiene un elenco delle
società pubbliche, nei cui confronti non trovano applicazione i criteri di cui all’art. 4 (benché
soggette alle altre disposizioni della riforma).
Analogamente, è previsto un procedimento per l’esclusione di singole società dalla disciplina
sulle dismissioni, da attuarsi mediante l’emanazione di un apposito D.P.C.M., motivato in
relazione alla misura ed alla qualità della partecipazione, agli interessi pubblici coinvolti ed
all’eventuale quotazione in borsa (art. 4, co. 9).
Nella stessa linea prospettica si colloca l’esclusione totale, dalla disciplina del Testo Unico –
con conseguente integrale assoggettamento alle regole codicistiche – delle società quotate, che
sono soggette al d.lgs. n. 175/2016 solo nei casi espressamente previsti (art. 1, co. 5)6.
Nell’ambito di questo nuovo assetto di comandi e divieti si inserisce il ruolo assegnato alla
Corte dei Conti, con riguardo ad entrambi gli aspetti in cui si articola l’attività di quest’ultima:
il controllo e la giurisdizione sulla responsabilità amministrativa.
Alla Corte è riservato uno spettro d’azione complesso, ripartito su entrambi i settori funzionali
di cui sopra:
- la ricezione e valutazione di atti di particolare rilevanza in tema di costituzione,
razionalizzazione e quotazione delle società pubbliche (come prevedono gli artt. 5, 14, 20, 24 e
26, che onerano le Amministrazioni di obblighi informativi nei confronti delle Sezioni di
6 La deroga può trovare una spiegazione nei controlli ai quali sono già sottoposte la società quotate, derivanti dal mercato e dalle norme proprie dei mercati finanziari, nonché dal contesto ordinamentale del tutto peculiare nel quale queste ultime sono inserite
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Controllo, in particolare quanto allo stato del processo di dismissione ed alle decisioni di merito
assunte in tale ambito);
- l’esercizio della giurisdizione sulle nuove ipotesi di responsabilità sanzionatoria, collegate alla
mancata adozione dei piani di razionalizzazione (art. 20, comma 7);
- la giurisdizione in tema di responsabilità erariale definitivamente stabilita dall’art. 12 del
Testo Unico, che assegna al giudice contabile la giurisdizione sul danno causato dagli
amministratori e dai dipendenti delle società in house nonché su quello “patrimoniale o non
patrimoniale, subito dagli enti partecipanti, ivi compreso il danno conseguente alla condotta
dei rappresentanti degli enti pubblici partecipanti o comunque dei titolari del potere di decidere
per essi, che, nell'esercizio dei propri diritti di socio, abbiano con dolo o colpa grave pregiudicato
il valore della partecipazione”.
Nel primo ambito, quello dei controlli, va innanzitutto definito il perimetro del controllo
esterno esercitato dalla Corte sul sistema delle esternalizzazioni, incentrato nella verifica
dell’impatto delle relative gestioni sui bilanci degli enti partecipanti, rispetto all’attività di
monitoraggio, indirizzo e coordinamento sulle società a partecipazione pubblica di cui all’art.
15, d.lgs. n. 175/2016, esercitati da una struttura individuata all’interno del Ministero
dell’economia e delle finanze. Tale funzione è intesa a promuovere le migliori pratiche presso
le società a partecipazione pubblica, con attribuzione di poteri ispettivi e facoltà di fornire
direttive in merito alle regole sulle dismissioni, la separazione contabile e la trasparenza.
Per rendere effettivi gli obiettivi di razionalizzazione posti a base della riforma è stato previsto
un doppio binario di intervento.
Da un lato, infatti, all’art. 20, si delinea una procedura ordinaria che dovrebbe andare a regime
dal 2018 (con riferimento all’esercizio 2017), e prevede, per le Amministrazioni pubbliche,
l’obbligo di effettuare annualmente un piano di ricognizione delle proprie partecipazioni
societarie – da scrutinare in base ai criteri di razionalizzazione stabiliti al successivo comma 2
– con il conseguente obbligo di predisporre un piano di dismissione per quelle non più
legittimamente detenibili, in quanto non adeguate ai criteri stabiliti dalla norma.
D’all’altro, per la fase transitoria, l’art. 24 prevede una procedura ricognitiva “straordinaria”,
strutturata sulla falsariga di quella prevista dall’art. 20 ed in forza della quale – entro sei mesi
dall’entrata in vigore del Decreto – “ciascuna amministrazione pubblica effettua con
provvedimento motivato la ricognizione di tutte le partecipazioni possedute alla medesima data di
entrata in vigore del presente decreto, individuando quelle che devono essere alienate”.
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In entrambi i casi, le partecipazioni dirette o indirette detenute dalle Amministrazioni
pubbliche in società non riconducibili ad alcuna delle categorie ammesse dall’art. 4 del decreto,
ovvero che non abbiano ad oggetto il raggiungimento di uno dei fini istituzionali dell’ente, o la
cui gestione non presenti i caratteri della convenienza economica e della sostenibilità
finanziaria, devono essere alienate.
Allo scopo di favorire il processo di dismissione volontaria, sono previsti incentivi di tipo
fiscale, nonché facilitazioni in materia di mobilità del personale e sanzioni ad hoc, secondo un
impianto, già impostato con la l. n. 190/2015, che prevede, altresì, nuovi automatismi nei casi
di più evidente inerzia come – per esempio – quello contemplato dal comma 9 dell’art. 20, il
quale abilita i Conservatori dei Registri delle imprese alla cancellazione d’ufficio, con gli effetti
previsti dall’art. 2495 del cod. civ., delle società a controllo pubblico che, per oltre tre anni
consecutivi, non abbiano depositato il bilancio d'esercizio, ovvero non abbiano compiuto atti
di gestione.
Al fine di costituire una catena di controllo sullo stato di attuazione delle procedure descritte,
il Testo Unico sottopone l’espletamento delle stesse alla previsione di stringenti obblighi
comunicativi e di trasparenza, in particolare stabilendo che i piani siano resi pubblici ed inseriti
in banche dati telematiche di pubblico accesso e che siano trasmessi alla struttura autonoma
di monitoraggio, all’uopo istituita presso il Ministero dell’Economia, oltre che alle competenti
Sezioni di Controllo della Corte dei Conti.
Sempre alla Corte dei Conti, nonché all’ANAC, dovranno, poi, essere preventivamente
comunicati gli atti con cui le Amministrazioni deliberano di assumere nuove partecipazioni,
dovendone ricevere – rispettivamente – un parere preventivo obbligatorio ma non vincolante
ed un parere assistito, per quanto concerne l’Autorità Garante, dall’esercizio dei poteri inibitori
di cui alla legge n. 287/1990.
La mancata adozione dell’atto ricognitivo “straordinario” (ma anche dei piani di
razionalizzazione o delle relazioni sulla loro attuazione), ovvero la mancata alienazione, nei
termini, danno luogo ad una procedura significativamente “rafforzata” rispetto a quella già
prevista dal comma 569 dell’art. 1 della legge n. 147/2013 (cd. legge di Stabilità 2014): in primo
luogo, è precluso al socio pubblico l’esercizio dei propri diritti sociali nella partecipata e,
successivamente, scatta la procedura di liquidazione della quota, rimessa integralmente alla
disciplina civilistica in tema di recesso (art. 2437 quater cod. civ.).
Gli obblighi di alienazione vengono, peraltro, in rilievo anche nel caso in cui le partecipazioni
societarie siano state acquistate in base ad esplicite previsioni normative, statali o regionali,
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senza necessità di un previo ricorso all’abrogazione (comma 7). Del resto, e ciò suscita più di
una perplessità sul piano sistematico, già la legge di stabilità 2015 aveva previsto che “Le
deliberazioni di scioglimento e di liquidazione e gli atti di dismissione di società costituite o di
partecipazioni societarie acquistate per espressa previsione normativa sono disciplinati unicamente
dalle disposizioni del codice civile e, in quanto incidenti sul rapporto societario, non richiedono né
l'abrogazione né la modifica della previsione normativa originaria”.
La natura ibrida del fenomeno societario in mano pubblica presenta, del resto, diversi profili
problematici, giacché reca la traccia di un’anomalia ontologica, di cui più volte, e su più fronti,
si è dovuto far carico l’ordinamento. Si pensi al regime della responsabilità degli amministratori
e dei dipendenti delle società in partecipazione pubblica e in materia di crisi d’impresa, o a
quello dell’equilibrio tra esercizio di attività economiche e disciplina sull’accesso e sulla
trasparenza, o ancora agli effetti dell’illegittimità degli atti amministrativi sul regime di
validità degli atti societari.
La più rilevante – dal punto di vista della magistratura contabile – delle questioni poste dal
non semplice coordinamento della disciplina privatistica (cui è assoggettato lo strumento
societario) con quella pubblicistica cui è inevitabilmente rimesso l’esercizio della potestà
amministrativa del socio pubblico, è la questione in ordine alla giurisdizione, innanzitutto, ma
non solo, in materia di esercizio del diritti risarcitori nei confronti degli amministratori e dei
funzionari delle società in mano pubblica, tema ampiamente dibattuto a livello
giurisprudenziale e dottrinale.
In passato, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione7 avevano riconosciuto la natura
autonoma della società partecipata – quand’anche sostenuta dall’investimento pubblico –
affermandone l’assoggettamento alle regole codicistiche ed alla conseguente giurisdizione
ordinaria, sulla base di considerazioni di coerenza sistemica, che volevano non reversibile la
scelta per un modello operativo privatistico.
Pertanto, non solo non sarebbe stato possibile imputare personalmente agli amministratori la
titolarità di un rapporto di servizio con l’ente pubblico socio, ma, soprattutto, non avrebbe
potuto dirsi arrecato alla Pubblica Amministrazione il danno inferto, al patrimonio sociale, da
atti di non corretta gestione.
In questo quadro, residuavano, alla giurisdizione contabile, due fattispecie di danno: la prima,
riguardante i casi in cui la condotta dell’amministratore avesse prodotto un nocumento
7 Si veda, in proposito, Cassazione civile, Sezioni Unite, 2 aprile 2007, n. 8098
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immediato e diretto all’Amministrazione partecipante (l’ipotesi tipica era quella del danno
all’immagine della P.A. socia); l’altra afferente, invece, ai casi in cui fossero rilevabili, e nella
misura di tale collegamento, effetti pregiudizievoli diretti degli atti di cattiva gestione sulla
quota di partecipazione pubblica.
D’altro canto, nel tentativo di allontanare il rischio che le enormi perdite di danaro pubblico,
derivanti da gestioni societarie gravemente fallimentari, restassero senza un adeguato
risarcimento (essendone la censura subordinata all’esercizio dell’azione privata di danno da
parte dell’Amministrazione partecipante nei termini stabiliti dagli artt. 2392 e ss. cod. civ.), le
SS. UU. avevano riconosciuto rientrare nella giurisdizione contabile le ipotesi di responsabilità
gestoria, caratterizzate dall’esistenza di un rapporto di servizio, lato sensu inteso, con la P.A.
partecipante8.
La Suprema Corte aveva, perciò, affermato la sussistenza della giurisdizione della Corte dei
conti in ordine agli illeciti commessi da amministratori e dipendenti che avessero cagionato
danni agli enti pubblici economici da cui dipendevano, argomentando “che l’adozione di forme
privatistiche per l’organizzazione dell’ente pubblico o per la sua attività, in ogni caso non potrebbe
certo avere l’effetto di trasformare il denaro amministrato, che è pubblico – in ragione del suo
provenire dalla finanza pubblica in denaro “privato”, del cui buon uso sia come tale consentito
disinteressarsi” 9. Tale indirizzo era stato successivamente ripreso ed approfondito affermando
la giurisdizione della Corte dei conti in forza di un rapporto di servizio tra società partecipata
– in via maggioritaria – ed ente socio, “ravvisabile ogni qual volta si instaurasse una relazione
non organica bensì funzionale tra le due entità, caratterizzata dall’inserimento nell’iter
procedimentale dell’ente pubblico del soggetto esterno come compartecipe dell’attività a fini pubblici
di quest’ultimo, non rilevando la natura privatistica dell’ente affidatario e dello strumento
contrattuale con il quale si è costituito ed attuato il suddetto rapporto di servizio”10.
Così delimitato il perimetro della questione, la giurisprudenza ha continuato ad oscillare tra la
valorizzazione dei connotati pubblicistici del fenomeno societario (l’esistenza di un munus
publicum rimesso – quand’anche indirettamente – all’amministratore della società; il nesso
funzionale tra forma societaria ed espletamento di una funzione pubblica; la provenienza
pubblica dell’investimento) e la presa d’atto di una esigenza di restituzione dello strumento
8 Cfr. Cassazione civile, Sezioni Unite, sent. 26 febbraio 2004, n. 3899 9 Cfr. Sezioni Unite, ord. 22 dicembre 2003, n. 19667, 10 Vedi Corte di Cassazione, SS.UU., sent. n. 3899/2004
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societario al suo “ordinamento naturale”, onde evitare di creare anche – nel mercato – corsie
preferenziali per soggetti ibridi.
La ratio dell’art. 12 del T.U. – salvi gli orientamenti che si affermeranno in giurisprudenza, a
seguito dell’applicazione, sul campo, della normativa in esame - può essere, quindi, ricostruita,
prima facie, sulla base della disamina di cui sopra : riaffermato, invero, a livello di principio,
l’assoggettamento dei componenti degli organi di amministrazione e di controllo alle azioni
civili di responsabilità previste dalla disciplina ordinaria delle società di capitali, la
giurisdizione della Corte dei conti è fatta salva per il danno erariale causato dagli
amministratori e dai dipendenti delle società in house (e, quindi, a quanto sembra, anche per il
danno inferto al solo patrimonio della società e non, direttamente, a quello del socio).
Per le società diverse da quelle in house, la giurisdizione contabile residuerebbe, nei limiti della
percentuale di partecipazione pubblica, per il danno, patrimoniale o non patrimoniale,
direttamente subito dagli enti partecipanti, ivi compreso quello provocato dalla condotta dei
rappresentanti degli enti soci (o dei titolari del potere di decidere per essi) che, nell’esercizio dei
diritti spettanti a tali enti, abbiano, con dolo o colpa grave, pregiudicato il valore della
partecipazione.
Parimenti ricondotta all’ambito civilistico appare l’evenienza della crisi d’impresa in cui – a
tenore dell’art. 17 della nuova normativa – “le società a partecipazione pubblica sono soggette alle
disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo, nonché, ove ne ricorrano i presupposti, a
quelle in materia di amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi di cui al decreto
legislativo 8 luglio 1999, n. 270, e al decreto-legge 23 dicembre 2003, n. 347, convertito, con
modificazioni, dalla legge 18 febbraio 2004, n. 39”.
L’unica specificità appare rappresentata dal cumulo dell’effetto “civilistico”, ordinariamente
previsto per le società in crisi (il fallimento), con un vincolo “pubblicistico” sulle
Amministrazioni socie, che – nei cinque anni successivi alla dichiarazione di fallimento di una
società a controllo pubblico – non potranno costituire nuove società, né acquisire o mantenere
partecipazioni in società, qualora le stesse gestiscano i medesimi servizi di quella dichiarata
fallita (comma 6).
Quanto ai piani di razionalizzazione, può ritenersi che essi rappresentino la novità più
significativa della riforma, soprattutto dall’angolo visuale della Corte dei Conti.
Sul punto, occorre distinguere a seconda che sia violata la procedura ordinaria delineata all’art.
20, d.lgs. n. 175/2016, oppure quella straordinaria descritta all’art. 24 dello stesso testo. Nel
primo caso, il testo unico prevede sanzioni pecuniarie piuttosto rilevanti (da un minimo di
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5.000 a un massimo di 500.000 euro) in caso di mancata adozione del piano, di mancata
comunicazione e di mancata predisposizione della relazione sull’attuazione delle misure,
facendo salvo il danno ulteriore eventualmente rilevato in sede di giudizio amministrativo
contabile. Nel secondo caso, la violazione della procedura di ricognizione e dismissione
straordinaria determina il recesso ope legis dalla qualità di socio, con le conseguenze codicistiche
già illustrate.
Nel complesso, dall’esame dell’intero assetto normativo delineato dal Testo Unico, approvato
con il d.lgs. n. 175/2016, possono scorgersi tre nuovi orizzonti per un allargamento delle
competenze della Corte dei Conti nel settore delle partecipazioni pubbliche: il primo, del tutto
inedito, è quello delle fattispecie di responsabilità introdotte per il mancato esperimento delle
procedure di dismissione di cui all’art. 20 del decreto legislativo; il secondo – ovvero il
conferimento ex art. 12 della giurisdizione sulla responsabilità per i danni causati nell’esercizio
dell’impresa da parte degli amministratori o dei rappresentanti pubblici inseriti nell’assetto
societario – costituisce in realtà la declinazione in termini espliciti di una potestà già di fatto
esercitata (rectius, esercitabile) dalla Corte, che forse avrebbe potuto essere accompagnata dal
rafforzamento del collegamento tra il suddetto giudizio di responsabilità ed il giudizio di conto
sull’agente contabile consegnatario delle azioni e partecipazioni, uno strumento peculiare per
la rilevazione di incongruenze contabili, indicative di fatti dannosi.
Il terzo scenario che si apre, anch’esso già familiare all’osservatorio del giudice contabile, è
quello delineato dagli artt. 5, 14, 20, 24 e 26, che riconoscono, alle Sezioni Regionali di
controllo, funzioni consultive in ordine agli atti di acquisto di nuove partecipazioni, di verifica
di gestione di quelle già detenute, nonché di vigilanza e indirizzo circa i piani di dismissione.
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4.3 D. LGS. 18 APRILE 2016, N. 50 (CD. “CODICE DEI CONTRATTI PUBBLICI”) – ARTT.
162 E 213, COMMA 6
Anche nell’ambito del Decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 (cd. Codice dei Contratti
pubblici) è richiamato il ruolo della Corte dei conti.
In particolare, in materia di contratti secretati, l’art. 162, comma 5 del Codice prevede che “La
Corte dei conti, tramite un proprio ufficio organizzato in modo da salvaguardare le esigenze di
riservatezza, esercita il controllo preventivo sulla legittimità e sulla regolarità dei contratti di cui al
presente articolo, nonché sulla regolarità, correttezza ed efficacia della gestione. Dell'attività di cui
al presente comma è dato conto entro il 30 giugno di ciascun anno in una relazione al Parlamento”.
Inoltre, ai sensi dell’art. 213, comma 6, l’Anac “Qualora accerti l'esistenza di irregolarità, […]
trasmette gli atti e i propri rilievi agli organi di controllo e, se le irregolarità hanno rilevanza penale,
alle competenti Procure della Repubblica. Qualora accerti che dalla esecuzione dei contratti pubblici
derivi pregiudizio per il pubblico erario, gli atti e i rilievi sono trasmessi anche ai soggetti interessati
e alla Procura generale della Corte dei conti”.
- 65 -
4. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
Al termine del presente lavoro di sintetica illustrazione delle principali attività istituzionali
svolte, nell’anno 2016, dalla Sezione Giurisdizionale della Corte dei conti per la Regione Molise,
il pensiero corre ad alcuni brocardi scolpiti nella lingua madre della civiltà giuridica europea,
che, nell’ingegneria di plastiche costruzioni logiche e sintattiche, ha imprigionato il senso vivo
e concreto delle fondamentali acquisizioni del sapere e della saggezza giuridici, tramandandole,
ai sempre più smarriti posteri, attraverso l’arco dei tempi :
“Fiat Iustitia et pereat mundus”, “Fiat Iustitia et ruat caelum”.
Ma di quale “Iustitia” vogliamo essere fautori e realizzatori?
Di quella “secundum legis formam” o di quella “secundum iuris substantiam”?
La verità è che le due categorie giuridiche sono strutturalmente interconnesse, e che, in uno
stato moderno, non si può – se non in casi rari - somministrare la sostanza della giustizia senza
l’habitus delle forme di cui essa è paludata, poiché queste ultime rappresentano, ad un tempo,
la struttura portante e l’involucro legale della giustizia, la “custodia” delle stesse garanzie
giuridiche.
Tuttavia, è nostro fermo convincimento che le forme in tanto possano considerarsi secundum
ius, in quanto si pongano come diafani contenitori della sostanza del diritto.
In altri termini, il giudice – ma, ancor prima, il pubblico ministero - deve sempre considerare
che, nelle aule di giustizia, vengono traslate vicende umane e che, dietro e dentro le “carte
processuali” ci sono gli “uomini”.
La giustizia non può essere, dunque, disgiunta dalla “humanitas”: essa è un servizio reso alla
comunità, ma anche agli stessi soggetti giudicati, che si affidano al prudente, informato,
paziente, delicato e sofferto lavoro del giudice; e, molto spesso, la verità processuale può
risiedere nell’ultima “carta”, del fascicolo processuale, letta dal giudicante.
Ma gli organici giudiziari sono sempre più ristretti e le controversie sempre più numerose.
Di qui l‘esigenza di una sempre maggiore valorizzazione degli strumenti informatici, e della
creazione di programmi (cd. “software”) che possano liberare il giudice dal fardello di
defatiganti fasi ripetitive e, comunque, meramente serventi rispetto alla funzione essenziale,
della valutazione logica degli elementi giuridico-fattuali acquisiti nel processo, demandata al
”iudex”, e, cioè del “ius dicere”, o del “ius dare”.
- 66 -
Fare giustizia non significa seminare terrore e incertezza negli operatori pubblici (soggetti alla
giurisdizione di questa Corte), ma fornire, anche attraverso il giudizio di disvalore che
accompagna l’eventuale condanna, l’indicazione di linee di condotta che rafforzino il senso di
appartenenza alle strutture che innervano la Pubblica Amministrazione ed il rispetto e la
condivisione degli interessi e delle finalità istituzionali propri degli Enti di appartenenza.
E, a tali fini, un ruolo di primario rilievo è assegnato, dall’ordinamento, alla classe forense, che,
nell’esercizio del proprio munus defensionale, deve illuminare il giudice con la leale produzione
di fatti ed argomenti giuridici, in modo da contribuire alla maieutica realizzazione della verità
processuale: “narra mihi factum, dabo tibi ius”.
Alla realizzazione delle suesposte finalità hanno inteso dedicare le proprie forze i giudici di
questa Sezione, anche nell’anno decorso, e con essi, ai medesimi fini, hanno sinergicamente
cooperato i valorosi rappresentanti della Procura Regionale e l’inclito corpo forense molisano
che si è, ancora, distinto, per lealtà processuale e tatto istituzionale.
A tutti i summenzionati operatori di giustizia va il più fervido ringraziamento per la meritoria
opera svolta.
Per quanto più specificamente attiene all’impegno profuso dai giudici di questa Sezione, vanno
sottolineate le condizioni di estrema difficoltà, che, specialmente, negli ultimi tempi, hanno
accompagnato la loro attività giudiziaria, soprattutto, in ragione dei gravi vuoti di organico
che, del resto, hanno colpito l’intero apparato magistratuale della Corte dei conti.
Difficoltà che, tuttavia, non hanno impedito il raggiungimento di risultati di tutto rispetto,
soprattutto perché conseguiti in condizioni pressoché proibitive. Infatti, come si è innanzi
illustrato, nell’esercizio della funzione giurisdizionale in materia di contabilità pubblica, nel
corso del 2016 (senza tener conto di tutte le decisioni deliberate nel 2016 ed in corso di
pubblicazione nel 2017), a fronte di n. 176 Giudizi in carico, la Sezione ne ha definiti n. 74 (n.
12 in più rispetto all’anno 2015, in cui la Sezione aveva operato ad organico pieno) dei quali n.
15 con procedimento monitorio. I giudizi in tal modo definiti hanno dato luogo all’emissione
di n. 55 sentenze (di cui n. 7 in corso di pubblicazione, per n. 32 condanne), oltre a n. 15
ordinanze monitorie e n. 4 ordinanze in materia di sequestro conservativo (n. 2 in più rispetto
all’anno 2015, in cui la Sezione aveva operato ad organico pieno), ed hanno propiziato un
recupero complessivo, per l’Erario, di circa € 2.138.870, oltre accessori di legge.
Indirizzi di saluto e di ringraziamento vanno rivolti anche ai magistrati della Sezione regionale
di controllo per il Molise che hanno integrato i collegi giudicanti di questa Sezione.
- 67 -
Un ringraziamento particolare va tributato ai Dirigenti del S.A.U.R., a tutto il personale
amministrativo delle tre articolazioni istituzionali regionali di questa Corte, nonché a tutti
coloro (Autorità, Funzionari, Forze dell’ordine e Volontari) che hanno attivamente collaborato
all’organizzazione e per lo svolgimento della cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario
2017.
Con l’irrinunciabile, conclusivo auspicio che intervenga un congruo rafforzamento della
compagine magistratuale ed amministrativa di questa Sezione giurisdizionale, al fine di
propiziare la realizzazione di un’azione giurisdizionale sempre più efficace e proficua per gli
interessi della comunità regionale molisana, nella più vasta contemplazione del superiore
interesse nazionale alla somministrazione della “buona giustizia” sul territorio dello stato
italiano.
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ATTI PUBBLICATI NELL’ANNO 2016
SENTENZE
62
ORDINANZE
28
SENTENZE-ORDINANZE
0
PROVVEDIMENTI FUORI UDIENZA (DECRETI) 9
TOTALE
99
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GIURISDIZIONE
GIUDIZI IN MATERIA DI CONTABILITA’ PUBBLICA
SITUAZIONE COMPLESSIVA
2016
GIUDIZI PENDENTI ALL’1/1/2016 102
ATTI DI CITAZIONE DEPOSITATI 70
GIUDIZI DI CONTO 1
GIUDIZI PER RESA DI CONTO 0
ISTANZE DI SEQUESTRO DEPOSITATE 3
RICORSO DI RECLAMO A SEQUESTRO 0
ISTANZE DI DISSEQUESTRO DEPOSITATE 0
GIUDIZI AD ISTANZA DI PARTE 0
TOTALE CARICO GIUDIZI NELL’ANNO 176
GIUDIZI DEFINITI CON SENTENZE 5511
GIUDIZI DEFINITI CON ORDINANZE DI
CONFERMA DEL SEQUESTRO 2
GIUDIZI DEFINITI CON ORDINANZA DI
CONFERMA DEL SEQUESTRO 1
GIUDIZI DEFINITI CON ORDINANZA DI
DISSEQUESTRO 1
GIUDIZI DEFINITI CON ORDINANZE DI
PAGAMENTO (PROCEDIMENTI MONITORI) 15
TOTALE GIUDIZI DEFINITI 7412
GIUDIZI PENDENTI A FINE ANNO 109
11 Di questi, n. 7 giudizi sono stati definiti nel 2016 con sentenza in corso di pubblicazione nel 2017 12 Vedi nota n. 11
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TIPOLOGIE DEI PROVVEDIMENTI ADOTTATI NEL 2016 IN MATERIA DI
RESPONSABILITÀ E CONTO
PROVVEDIMENTI DEFINITORI
2016
SENTENZE DI CONDANNA PUBBLICATE 28
SENTENZE DI ASSOLUZIONE PUBBLICATE 19
SENTENZE DI ESTINZIONE 0
ALTRE SENTENZE (DICHIARAZIONE DI
IMPROCEDIBILITÀ) 1
ORDINANZE DI INAMMISSIBILITÀ 0
PROVVEDIMENTI MONITORI ADOTTATI 15
ORDINANZE DI CONFERMA DEL SEQUESTRO 2
ORDINANZE DI CONFERMA DEL RIGETTO SEQUESTRO 1
ORDINANZE DI DISSEQUESTRO 1
TOTALE PROVVEDIMENTI DEFINITORI 67
SENTENZE O ORDINANZE IN CORSO DI PUBBLICAZIONE 7
GIUDIZI PENDENTI13 109
13 Il totale dei giudizi pendenti include anche i provvedimenti pur deliberati nel corso dell’anno di riferimento, ma pubblicati in quello successivo
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PROVVEDIMENTI NON DEFINITORI
2016
ORDINANZE ISTRUTTORIE PUBBLICATE 3
ORDINANZE DI SOSPENSIONE 1
ORDINANZE DI RINVIO A VERBALE 4
DECRETI FUORI UDIENZA 9
- 74 -
GIUDIZI CAUTELARI PER SEQUESTRI CONSERVATIVI
SEQUESTRI AUTORIZZATI
2
SEQUESTRI NON AUTORIZZATI 1
DISSEQUESTRI
1
TOTALE GIUDIZI 4
- 75 -
GIUDIZI AD ISTANZA DI PARTE
GIUDIZI PENDENTI ALL’ 1/1/2016 3
GIUDIZI INTRODOTTI NELL’ANNO 2016 0
TOTALE GIUDIZI IN CARICO NELL’ANNO 3
UDIENZE COLLEGIALI 1
GIUDIZI DISCUSSI IN UDIENZA COLLEGIALE 1
TOTALE GIUDIZI DISCUSSI 1
GIUDIZI DEFINITI 0
GIUDIZI PENDENTI AL 31/12/2016 3
PROVVEDIMENTI EMESSI NEI GIUDIZI AD ISTANZA DI PARTE
SENTENZE PUBBLICATE 0
ORDINANZE PUBBLICATE 1
DECRETI FUORI UDIENZA PUBBLICATI 9
- 76 -
GIUDIZI DI CONTO
SITUAZIONE GENERALE
CONTI IN ESAME ALL’ 1/1/2016
3.568
CONTI DEPOSITATI NEL CORSO DELL’ANNO 2016 366
TOTALE CONTI IN CARICO NELL’ANNO 2016 3.933
CONTI DEFINITI:
DISCARICATI CON DECRETO 33
DISCARICATI CON SENTENZA 30
ESTINTI 113
176
CONTI PENDENTI AL 31/12/2016 3.757
RELAZIONI
RELAZIONI DI IRREGOLARITÀ 1
RELAZIONI DI APPROVAZIONE 70
RELAZIONI DI ESTINZIONE 20
TOTALE RELAZIONI EMESSE 9114
DECRETI
DECRETI EMESSI NELL’ANNO 2016 82
14 Di queste, 49 sono attualmente in attesa di riscontro da parte della Procura
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CONTI GIUDIZIALI DEGLI AGENTI DELL’AMMINISTRAZIONE STATALE
PENDENTI ALL’ 1/1/2016 317
PERVENUTI NELL’ANNO 2016 51
DISCARICATI CON DECRETO 0
CONTI ESTINTI CON DECRETO 0
PENDENTI AL 31/12/2016 368
RELAZIONI
RELAZIONI DI DISCARICO 1
RELAZIONI DI ESTINZIONE 4
RELAZIONI DI IRREGOLARITA’ 0
- 78 -
CONTI GIUDIZIALI
DEGLI AGENTI DEGLI ENTI TERRITORIALI LOCALI
PENDENTI ALL’ 1/1/2016 3.168
PERVENUTI NELL’ANNO 2016 301
TOTALE CONTI IN CARICO NELL’ANNO 2016 3.469
CONTI DISCARICATI CON DECRETO 33
CONTI ESTINTI CON DECRETO 113
CONTI DEFINITI IN GIUDIZIO 18
CONTI PENDENTI AL 31/12/2016 3.305
RELAZIONI
RELAZIONI DI DISCARICO
69
RELAZIONI DI ESTINZIONE 16
RELAZIONI DI IRREGOLARITÀ15 1
15 Con le relazioni di irregolarità, sono stati complessivamente deferiti a giudizio n. 37 conti
- 79 -
CONTI GIUDIZIALI DEGLI AGENTI CONTABILI A.S.R.E.M.
PENDENTI ALL’ 1/1/2016 82
PERVENUTI NELL’ANNO 2016 14
TOTALE CONTI IN CARICO NELL’ANNO 2016 96
CONTI DISCARICATI CON DECRETO 0
CONTI ESTINTI CON DECRETO 0
CONTI DEFINITI IN GIUDIZIO 12
PENDENTI AL 31/12/2016 84
RELAZIONI
RELAZIONI DI DISCARICO 0
RELAZIONI DI ESTINZIONE 0
RELAZIONI DI IRREGOLARITÀ 0
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GIURISDIZIONE IN MATERIA PENSIONISTICA
SITUAZIONE COMPLESSIVA
PENSIONI CIVILI
PENSIONI
MILITARI
PENSIONI DI
GUERRA
TOTAL
E
GIUDIZI PENDENTI
ALL’1/1/2016 102 4 20 126
RICORSI PERVENUTI NEL
CORSO DEL 2016 20 2 0 22
TOTALE GIUDIZI IN
CARICO 122 6 20 148
SENTENZE DI
ACCOGLIMENTO 2 1 0 3
SENTENZE DI RIGETTO 1 0 0 1
SENTENZE DI
INAMMISSIBILITÀ 10 0 0 10
SENTENZE CON ALTRE
DEFINIZIONI 0 0 0 0
TOTALE GIUDIZI
DEFINITI 13 1 0 14
TOTALE GIUDIZI
PENDENTI AL
31/12/2016 109 5 20 134
- 81 -
PROVVEDIMENTI NON DEFINITORI IN MATERIA PENSIONISTICA
ORDINANZE ISTRUTTORIE 2 4 0 6
ALTRE ORDINANZE
(CONCESSIONE DI SOSPENSIVA) 2 0 0 0
PROCEDIMENTI CAUTELARI IN MATERIA PENSIONISTICA
(ISTANZE DI SOSPENSIVA)
ISTANZE IN CARICO NELL’ANNO
1
ISTANZE DEFINITE 1
GIUDIZI DISCUSSI 1