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una raccolta di materiali e testi sul teatro di Giorgio Gaber e Sandro Luporini a cura di Micaela Bonavia Immagini, parole e note nell’opera di Sandro Luporini Edizioni ADAC

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una raccolta di materiali e testi sul teatro di Giorgio Gaber e Sandro Luporini

a cura di Micaela Bonavia

Immagini, parole e note nell’opera di

Sandro Luporini

Edizioni

ADAC

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Edizioni

una raccolta di materiali e testi sul teatro di Giorgio Gaber e Sandro Luporini

a cura di Micaela Bonavia

Immagini, parole e note nell’opera di

Sandro Luporini

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Grafica, impaginazione e redazione: Micaela BonaviaI edizione: gennaio 2005I edizione in formato digitale: marzo 2005 © 2005 Adac Edizioni

In copertina:Giorgio Gaber e Sandro Luporini sulla scena dello spettacolo teatrale Il Grigio, 1988(Foto di Enrica Scalfari)

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Immagini, parole e note nell’opera di Sandro LuporiniIl Teatro di Giorgio Gaber e Sandro Luporini

Pisa, Teatro Verdi22 gennaio - 4 marzo 2005

Comune di Pisa

SindacoPaolo Fontanelli

Assessore alla cultura Fabiana Angiolini

Servizi educativi e attività culturali Laura Nassi - Dirigente

Coordinamento e organizzazioneUfficio cultura e biblioteche

Antonella Riacci - FunzionarioFrancesca AmoreMaria Grazia BasteriClara FaroldiMaria Paola Manzo

Fondazione Teatro di Pisa

PresidenteIlario Luperini

Coordinatore del progettoManrico Ferrucci

Direzione di ProduzioneAlda Giannetti

AllestimentoPiero Benetti

Ufficio stampa e relazioni esterneMaria Valeria Della MeaMaria Beatrice Meucci

PresidenteAdriano Primo Baldi

ConsiglieriNoris Amadelli Ardilio CianassiIone MantovaniPiero Selmi

Coordinatrice Rina Cianassi

Relazioni esterneGiuseppe Stafforini

Archivio LuporiniAnnalisa Pedrazzi

Grafica e Uff. RomaMicaela Bonavia

Ricerche e apparati Micaela Bonavia

CollaboratoriEnrico BelleiMara GozzoliAlfredo GuidiGiovanni Lodi Cristina Margeri Giulia RedaelliDeanna Zanasi

ADAC

Associazione Diffusione Arte e Cultura

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Sandro Luporini,Rina Cianassi e Giorgio Gaber alla Galleria Adac diModena, 1983

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7 Il signor LDavide Guadagni

9 “Il dottor Céline. Autoritratto”

11 Quarant’anni fra pittura e teatroAntonella Serafini a colloquio con Sandro Luporini

17 “La mia generazione ha perso”

18 “Io non mi sento italiano”

19 Intervista a Sandro LuporiniGaspare De Caro e Roberto De Caro

23 Gli anni Sessanta. Le canzoni

25 Il Teatro Canzone

39 Il Teatro di prosa e d’evocazione

47 Antologia minima dei testi

77 Opere teatrali

78 Materiali: discografia, testi

SommarioImmagini, parole e note nell’opera di Sandro Luporini

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Immagini, parole e note nell’opera di Sandro Luporini

Alto, dinoccolato. Un fisico spigoloso, adolescente. La faccia no, però. Una faccia francese.Intellettuale e francese. Un Camus con il sorriso debordante di Fernandel, con certe rugosità e schi-ve magrezze che ricordano Giacometti. Insomma, Sandro Luporini con quel fisico lì e quella fac-cia là, si è ritrovato a debuttare. A Pisa.

Il suo primo debutto nell’arte era avvenuto quasi cinquant’anni fa.Pittore di materia e di angosce che guardava a Bacon e frequentavaFerroni e Banchieri. Realismo esistenziale dissero i critici. Lui, pitto-re pigro, guardava, ascoltava, parlava, pensava molto e lavorava po-co. Era curioso di tutto in una Milano che, a cavallo tra gli anni ’50e i ’60, stava dando il meglio di sé.Fu a quel punto che conobbe un giovane cantautore, lui pure sbi-lenco e spigoloso, che stava avendo un gran successo con certecanzoni intimiste ma che aveva qualche altra ansia da soddisfare.Prima senza firmare (la Siae ha le sue regole che non ammettono pi-grizie), poi a pieno titolo, iniziò a mettere del suo nei testi di quelcantautore e colorò la sua poetica. Racconti di incontri tra barbera e

champagne e altre doppie solitudini che, pian piano, fecero nascere Il signor G.La vita del giovane cantautore e del pittore pigro cambiarono di colpo. Avevano inventato un nuo-vo modo espressivo – il Teatro Canzone – che, per tanti anni, li ha resi un fenomeno irripetibilenel panorama teatrale e musicale italiano. Giorgio Gaber rinunciò per sempre alla televisione peravere in cambio, per tre decenni e più, un tutto esaurito perpetuo in ogni teatro della penisola. Il tarlo Luporini lavorava nei testi di Gaber e produceva pensieri ironici, complessi e impietosi. Unoshampoo per raccontare la solitudine. Un po’ di gelato che cola sulla barba, per dire del sussulto edella noia di una generazione. E la partecipazione, la libertà obbligatoria, il far finta di essere sani, ildilemma, l’incapacità di volare raccontavano, in corso d’opera, quel che ci stava succedendo. Poi cifu Io se fossi Dio (“se no non vedo chi…”), un’invettiva rabbiosa che sancì una voglia di straniarsi edi allontanarsi da tutti. E il Teatro Canzone di Gaber-Luporini scavò ancora. Una riflessione anarchica e impietosa cheguardava al recente passato con occhi per nulla teneri e con una nostalgia obliqua: non per quelloche era stato, forse, piuttosto, per quello che avrebbe potuto essere. Anni affollati, E pensare che c’era il pensiero, Qualcuno era comunista, Un’idiozia conquistata a fatica,La mia generazione ha perso, sembrano il riassunto breve della vita di molti di noi.Poi, il primo di gennaio di un anno del secolo nuovo, Gaber se ne va. Il pittore pigro rimane solo e torna alle sue visioni viareggine con dei paletti infilzati nella spiaggiacome fossero persone. La scomparsa del suo alter ego ha piantato anche lui sulla sabbia, a guarda-re il mare. Non ha più voglia di scrivere. Non gliene importa. Per chi?Ma la vita scorre e Milano, chissà come, si ricorda di lui e ricostruisce una mostra di 25 anni fa:“La Metacosa”. Lì si ritrova in compagnia di alcuni amici di un tempo di cui due gli sono moltocari: Gianfranco Ferroni – che non c’è più – e Giuseppe Bartolini. Incontra anche una giovane coppia: Mario e Patrizia. Lui, lo conosceva già. Mario Spallino, aiutoregista dei loro ultimi spettacoli. Aiuto regista, come si dice in teatro per definire quello che fa tut-to, è molto paziente, e non compare mai. Di quelli che guardano, imparano e poi crescono.

Davide Guadagni

Il signor L

Sandro Luporini eDavide Guadagni, 2004

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Lei, Patrizia Pasqui, invece, è puntuta come un’insegnante e dolce come una donna. Con loro, glitorna la voglia di scrivere. Ai tre si affianca l’anima scomoda di Céline. Tante volte derubato e ci-tato nel Teatro Canzone. Provano e si provano per sessanta giorni, notti comprese. E a ottobre dell’anno appena trascorso,al teatro Rossi di Pisa, uno spazio per tanto tempo dimenticato, ha debuttato Sandro Luporini ado-lescente di anni settantaquattro che ha scritto, assieme a Patrizia Pasqui, un testo di due ore cheMario Spallino ha interpretato in parole e musica. “Il dottor Céline. Autoritratto”. Da Viaggio altermine della notte e altri testi di Louis Ferdinand Destouches, detto Céline.

L’opera di SandroLuporini scelta per ilmanifesto dellospettacolo, Apparizionepetroliere, 1998

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Dalla presentazione dello spettacolo

Liberamente ispirato ai romanzi e alla vita di Louis Ferdinand Céline

«Nella logica del “Teatro Canzone” la scelta di un autore come Céline è motivata non solo dall’in-teresse che abbiamo per la sua vita, ma anche e soprattutto perché il suo linguaggio ci pare moltoparlato e facilmente teatrabile. In un’alternanza imprevedibile tra ironia e drammaticità, si raccontala storia della vita di Céline attraverso i suoi viaggi veri o immaginari: si potrebbe pensare che a luibastasse chiudere gli occhi per essere già “dall’altra parte della vita”.»Sandro Luporini e Patrizia Pasqui

È uno spettacolo che parte dall’idea di tracciare il percorso di una vita,quella di Louis Ferdinand Destouches in arte Céline, attraverso i suoi dueprincipali romanzi: Viaggio al termine della notte e Morte a credito. La scel-ta di questo autore, che è stata spesso fonte di ispirazione per i lavori diGaber-Luporini, prende spunto da una mise en espace, a cura di SandroLuporini e di Giorgio Gaber, avvenuta nel 1987 al festival teatrale diVolterra, con protagonista Mario Spallino. In questa nuova messa in scena il testo è stato scritto da Sandro Luporinie Patrizia Pasqui, la regia è firmata dallo stesso Luporini e il protagonistaè Mario Spallino. Ci si avvale della “formula” Teatro Canzone: sono pre-visti infatti momenti musicali e canzoni di Carlo Cialdo Capelli.Dopo la malattia e la morte di Gaber l’attività drammaturgica di SandroLuporini, pittore e scrittore, creatore insieme a Giorgio Gaber di quelTeatro Canzone che appartiene ormai alla storia della nostra cultura civi-le, si era interrotta; un’interruzione che l’autore stesso a lungo ha pensatodovesse diventare definitiva, come ricostruisce in una recente intervista:

«Dopo la morte di Giorgio – dice Luporini – mi ero fermato, non avevo voglia nemmeno di pren-dere la penna in mano. Mi sembrava impossibile lavorare da solo, dopo trent’anni di collaborazio-ne con Giorgio, con il quale c’era un affiatamento irripetibile. E, poi, c’era il dolore. [...]». Nonostante tutto il Teatro Canzone è riuscito quindi a materializzarsi in un nuova originale crea-zione: uno spettacolo che non per caso ha per protagonista quel Céline, scrittore geniale, uomocontraddittorio e politicamente inaccettabile, con la cui straordinaria ricchezza espressiva Luporinie Gaber si erano confrontati in numerosi precedenti spettacoli. La nuova produzione vede la luce a quasi due anni di distanza dalla morte di Giorgio Gaber, ed aquasi quattro dalla sua ultima presenza in palcoscenico, il 15 febbraio 2000. La collaborazione fraGaber e Luporini – più che collaborazione simbiosi, come nel caso dei più riusciti sodalizi artisti-ci – si è snodata nell’arco di un trentennio, e ha dato vita ad un irripetibile catalogo di spettacolimemorabili, ricondotti dagli autori ai due filoni del Teatro Canzone e del Teatro d’evocazione: unaparabola iniziata nel 1970 con Il signor G e conclusa nel 2000 con Gaber 1999-2000, che attra-verso migliaia di rappresentazioni, nell’incontro con milioni di spettatori ha costituito uno dei po-chi esempi di alta cultura popolare – e di autocoscienza collettiva – in un paese come l’Italia pro-penso al conformismo piuttosto che alla critica, alla riflessione, all’amarezza e all’indignazione dicui sono intessuti gli spettacoli di Gaber-Luporini.

Il dottor Céline. Autoritratto

Teatro Canzone – Stagione teatrale 2004-’05

La locandina dellospettacolo in primanazionale a Pisa

Immagini, parole e note nell’opera di Sandro Luporini

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Dal catalogo Sandro Luporini. La tensione dello sguardo “Dipinti dal 1955 al2001”, Maria PaciniFazzi editore, Lucca,2001

«Ho conosciuto Gaber per caso verso il 1959. Se si dovesse ringraziare il caso io dovrei farlo mol-te volte nella mia vita. Ma quello è stato un incontro molto importante, non solo per l’amicizia e

la stima che ho per la persona, ma anche perché fu l’inizio di una mia nuova avventu-ra. Lui, più giovane di noi pittori del gruppo, veniva a trovarci spesso nei nostri studimalconci e si parlava, si parlava, si parlava. Poi, per puro divertimento abbiamo co-minciato a pasticciare con qualche frase che lui metteva in musica. Erano canzoni nébelle né brutte, ma avevano il pregio o la presunzione di essere diverse. Restarono nelcassetto per un bel po’ fin quando Giorgio azzardò l’idea di allontanarsi dai circuiti tra-dizionali e affrontare il teatro. Una serie di brani scritti da noi intorno al personaggiochiamato Il signor G (mi ricordo che allora io non firmavo ancora) cominciarono ti-midamente ad apparire davanti ad un pubblico vero, voglio dire senza gli applausi re-gistrati della televisione. Dal 1969 siamo diventati una coppia d’autori. Ti faccio no-tare che per sopportarci e supportarci per oltre trent’anni ci vuole una forte sintonia eun carattere particolare.»Sandro Luporini

Mentre in pittura c’è uno sviluppo, una sorta di evoluzione interna, una ricerca anche linguistica,negli spettacoli no, o almeno così mi sembra. Probabilmente ci saranno accorgimenti e malizie chevia via si affinano ma non mi pare vi sia una ricerca specifica interna al linguaggio teatrale, quan-to piuttosto una sociologia che si fa teatro. Ed è la realtà che ogni volta vi spinge verso un sogget-to e non invece una intrinseca certezza che cerca la sua espressione come invece accade in pittura.Sbaglio?— In linea di massima non sbagli. Però non si può parlare, riguardo agli spettacoli, di mancanzadi evoluzione. La realtà che ti si muove davanti ti costringe a porre il tuo sguardo su cose ogni vol-ta diverse, di conseguenza anche il soggetto che registra subisce variazioni notevoli. Casomai si po-trebbe dire che Gaber ed io non ci occupiamo affatto di coerenza stilistica.Per quanto riguarda la pittura, almeno per la mia, non credo si tratti, come tu dici, di “un’intrin-seca certezza che cerca la sua espressione”. Accade più semplicemente che l’occhio si posi su un’im-magine che mi dà il vago sentore di poter tirare fuori il mio linguaggio.

Mentre si può scrivere a quattro mani perché si indaga sulla realtà contingente, si fa teatro politi-co, è assolutamente impossibile dipingere (o anche scolpire) a quattro mani – anche se qualcheesperienza in tal senso c’è stata nella nostra contemporaneità e per altro sporadica. L’obiettivo delvostro spettacolo teatrale è esprimere chiaramente un concetto politico-sociale e “istigare” se possi-bile gli altri ad una riflessione. Per perseguire questo scopo non vi è nulla di male anche ad appro-priarsi – copiare addirittura come tu stesso mi dici – da altri autori. La ricerca è finalizzata soprat-tutto all’efficace espressione di certi concetti nel modo più chiaro ed esteso possibile, dunque se c’èchi in parte ha già fatto questo perché non “approfittarne”? Sei quasi paragonabile ad un antico ae-do greco che riunisce varie versioni dei fatti per rendere più epico il suo narrare, o che non esita,qualora ve ne sia una particolarmente efficace ad appropriarsene, pur mantenendo libera la facoltàdi apportare variazioni quando necessario. In pittura invece il peso specifico cade tutto sull’espe-rienza interiore individuale, il messaggio – che pure vi è – è legato al riflesso esistenziale.

Antonella Serafini a colloquio con Sandro Luporini

Immagini, parole e note nell’opera di Sandro LuporiniQuarant’anni fra pittura e teatro

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Qui si fa naturale e necessario invece il ricorso ad un linguaggio personale, perché in tale ambitoognuno compie da sé solo la sua ricerca.— È vero quello che dici sul teatro, che poi si chiama Teatro Canzone. In effetti teniamo poco contodi un nostro linguaggio personale. Ci permettiamo di mischiare Pirandello con Adorno, Céline, Ciorano Pessoa, a patto di riuscire a trasmettere una forte emozione che si potrebbe anche chiamare, con unpo’ di presunzione, “catarsi”. Meglio accontentarsi del termine “riflessione”.Per quanto riguarda la pittura, vedo che tu usi espressioni diverse dalle mie. Io non parlerei di “mes-saggio”, casomai di visione del mondo. E anche qui occorre spiegarsi meglio. Secondo me, nelle ar-ti più pure (musica, pittura, ecc.) la visione del mondo non è quasi mai restituita in modo parti-colare, differenziato o relato, ma in modo direi globale. Si possono riconoscere in un pittore i suoiattributi naturali e il suo impatto con il mondo, ma non si può pretendere che ci dica con i qua-dri a quale partito politico appartiene, anche se questo è stato fatto. Personalmente non credo a unapittura di contenuti politico-sociali. Anzi, forse neanche ad una pittura di contenuti. Con questonon voglio dire che io creda alla forma. Quello che mi piace in un quadro è l’inscindibilità fra vi-sione del mondo e linguaggio. Dato che, col mio modo di intendere la figurazione, non mi possopermettere un giudizio politico particolareggiato, ecco che l’incontro con Gaber ha colmato que-sta lacuna permettendomi di tirar fuori, anche con una certa polemica, tutto quello che penso del-la nostra condizione sociale.Ritornando alla pittura, nella parte finale di questa tua domanda, fai riferimento ad un “linguag-gio personale”. La cosa è sacrosanta, però ci sono stati momenti in cui un gruppo di pittori ha sen-tito la necessità di esprimersi con un linguaggio comune. Anche se dentro questi gruppi ogni sog-getto portava i segni tipici della propria personalità. Quando, parlando con altri pittori, ti accorgiche esistono intenti comuni e una particolare idea dell’arte, viene voglia di approfondire insieme lastrada da percorrere. Se poi con questi pittori esiste anche una vicinanza di linguaggio questa spe-cie di comunanza involontaria ti dà un’energia particolare e anche la sensazione di avere, nelle mo-stre di tendenza, una forza d’urto maggiore.

Venticinque anni dopo il Realismo Esistenziale, hai nuovamente vissuto un’esperienza di gruppo.Che differenze, o quali analogie, ci sono state?— Nei primi anni Ottanta io, assieme a Bartolini, Biagi, Ferroni, Luino, Mannocci e Tonelli ab-biamo formato un gruppo chiamato “La Metacosa”. Questo secondo gruppo è stato proposto eportato avanti da noi e non individuato in seguito da alcuni critici come era accaduto per il“Realismo Esistenziale”. C’è da dire che negli anni Cinquanta il terreno era assai più favorevole,molti critici, direi quasi militanti, avevano una gran sete di conoscere nuovi giovani artisti, maquesto loro atteggiamento non è durato molto. Qualche anno dopo tutto andava già trasforman-dosi in operazioni di mercato. Io credo che il secondo gruppo, cioè “La Metacosa”, avesse anchel’intento di smuovere questo ristagno, ma soprattutto voleva dimostrare che c’era ancora una con-vergenza di forze che lavoravano attorno ad un linguaggio comune. Qualcuno ha paragonato i no-stri quadri a quelli dell’iperrealismo americano. Probabilmente l’analisi esasperata dell’oggetto liha tratti in inganno. Il nostro rapporto con le cose era sempre di tipo interrogativo e non privodi una certa sospensione metafisica.

In una tua autopresentazione del 1981 parlando di Gianfranco Ferroni scrivevi: “...imitarlo èun suicidio ma non emularlo nella sua metodologia è una prova di ignoranza”, potresti spiegartimeglio?— La prima risposta può sembrare banale, ma forse non lo è troppo. Gianfranco Ferroni lavoravaotto ore al giorno e nei momenti di “non lavoro” pensava alla pittura. Ma quello che più conta erala sua esasperata tensione al linguaggio. Se si osserva bene, ogni centimetro quadrato di un suo di-pinto ha la stessa coerente, identica struttura. Confronto a lui, io mi sento più saltuario per quan-to riguarda l’applicazione e forse meno rigoroso circa l’esattezza linguistica. Se la parabola dei ta-lenti vuol dire che bisogna restituire, come minimo, ciò che abbiamo avuto in dote (e non certo

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nel senso del denaro), allora io temo che San Pietro, o chi per lui mi potrebbe dire quello che mihanno sempre detto a scuola, e cioè: “potevi fare di più”.

Un’altra cosa che distingue il Sandro pittore dal Sandro autore teatrale è il diverso modo di cercarel’incontro con l’interlocutore: intimo e privato con la pittura, pubblico e interattivo con il teatro.— Questa non è una domanda, è un assioma.

Nel Teatro Canzone è possibile individuare una sorta di parabola: un certo – sia pure contenuto –ottimismo nei primi spettacoli, spietati ma molto ironici, nei quali si intravede la possibilità di unapresa di coscienza e quindi di un cambiamento, ottimismo che lentamente si perde e si trasformanel corso degli anni Ottanta in una amarezza oscura in cui anche il linguaggio talvolta si fa piùoscuro, l’ironia diventa aspro sarcasmo, c’è addirittura un lungo periodo di silenzio a cui fa segui-to una ricerca intorno alla condizione dell’uomo, per poi tornare con un certo distacco a fare unaspecie di autopsia sociale negli anni Novanta, e infine l’orgoglio de La mia generazione ha perso.— Hai giustamente individuato, nel Teatro Canzone, un certo percorso che, per essere più preci-si, comincia con Dialogo tra un impiegato e un non so (1972-’73) e culmina con Anni affollati(1981-’82) cui fa seguito un periodo di silenzio dal punto di vista dell’intervento sul sociale. Mipare che Bertolt Brecht abbia detto “non si può parlare di un albero in tempo di rivoluzione”.Secondo me è vero anche il contrario, cioè: in tempi di calma grigia e piatta, dal punto di vista po-litico, viene la voglia di parlare di un albero, purché dentro quest’albero ci sia la vita. Tu accenniad una ricerca intorno alla condizione dell’uomo. È vero. Dopo la canzone fiume intitolata Io sefossi Dio scritta in seguito all’uccisione di Aldo Moro e pubblicata più tardi per ragioni di censura,ci sembrava di non aver più niente da dire dal punto di vista politico-sociale. Allora abbiamo cer-cato di fare un’indagine sui nostri sentimenti per tentare di capire quanto potessero essere autenti-ci e puliti oppure finti e isterici. Ecco che nascono spettacoli come Parlami d’amore Mariù, Il Grigioe in seguito Il Dio Bambino. Dopo quasi un decennio, l’avvento di tangentopoli e le sue conse-guenze politiche ci hanno rimesso addosso la voglia di ridare un’occhiata al mondo. Anche se perme non c’è un’apprezzabile differenza fra parlare dell’uomo e parlare delle sue vicende socio-po-litiche. A un certo punto quando parli della canzone La razza in estinzione, tu noti un certo sen-so di orgoglio. È vero, c’è l’orgoglio di avere vissuto, assieme ad altri, quel desiderio, forse uto-pistico, di voler cambiare vita. Ma c’è anche l’amarezza di non veder più niente di tutto questonelle generazioni successive, quindi la sensazione di non aver lasciato niente in eredità. Ma an-che qui la nostra critica non è un annichilimento, ma il desiderio che qualcosa possa cambiare.

Nel Teatro Canzone gli altri, gli esseri umani, sono visti con progressivo disprezzo fino al disgusto.In pittura – nel corso di oltre quarant’anni – vi è invece un continuo arrovellarsi intorno alla soli-tudine esistenziale dove gli altri (pesci inclusi) sono visti con compassione, con simpatia nel sensogreco del termine. Nel teatro c’è l’analisi di una sconfitta perché gli uomini non hanno avuto il co-raggio dell’analisi, dell’autoanalisi e del cambiamento. Nella pittura c’è l’analisi e l’attento ascoltodi una condizione esistenziale in cui la sofferenza è vista in modo filosofico – per fare ancora unesempio letterario alla maniera di Leopardi, Montale – e non socio-politico.Nei testi c’è speranza, rabbia e delusione, nella pittura c’è solo la certezza pessimista. L’ironia, cheè l’anima di molti spettacoli, manca completamente in pittura, e così la speranza, nei quadri c’è almassimo l’aspirazione al silenzio, alla momentanea assenza del dolore. È anche vero però che nellapittura non c’è mai la drastica spietatezza delle opere teatrali.— È vero, come dici tu, che in pittura c’è un continuo arrovellarsi intorno alla solitudine esisten-ziale. Non sono d’accordo invece quando affermi che “c’è solo la certezza pessimista”. Per quelloche riguarda un certo mio pessimismo penso che possa anche essere vero, ma il termine è ridutti-vo e totalizzante. In molti quadri io cerco (non so se ci riesco) un bloccaggio dell’immagine, unatotale assenza del tempo e soprattutto una particolare luce che preannunci uno strano assurdo mi-racolo. Non credo si possa chiamare speranza, ma emozione e felicità dell’attesa. In un suo testo

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critico Franco Solmi diceva: “Non è la prima volta che l’arte oppone la propria assurda coscienzafelice alla coscienza infelice del mondo”. Dentro quella che tu chiami “drastica spietatezza delleopere teatrali” mi pare che ci sia sempre, anche se non esplicitamente detto a parole, un senso diriscatto vitale. Non bisogna dimenticare che Gaber sul palcoscenico ha un energia straordinaria chesupera spesso quello che scriviamo. Inoltre, mettere a nudo alcune falsità degli altri e anche nostre,non è pessimismo ma amore per la vita come dovrebbe essere.

Potresti spiegare meglio la differenza che c’è quando tu affronti un quadro e quando con Gaber tiimmergi in un lavoro teatrale; ci sono affinità fra i due interventi?— Il nostro teatro, che noi per gioco chiamiamo “bastardone” è fatto di molti linguaggi. Primapassa dalle nostre conversazioni sul mondo e sulla vita in genere. Una volta stabilito ciò che cisembra più urgente dire passa attraverso altri filtri che ne determinano la complessità. Una frasepuò anche essere bella, ma se non si sposa con una musica diventa inadeguata o emozionalmentedebole. Poi c’è la voce di Giorgio, il suo modo di dire le cose, il suo modo di muoversi, poi an-cora l’arrangiamento e infine anche la visività. Non si può paragonare uno specifico così com-plesso con quello di un individuo che nella sua stanzetta fa un quadro. Tuttavia, sporadicamente,si possono trovare anche delle affinità emotive tra le due operazioni. Cito alcune canzoni che pos-sono ricordare il linguaggio dei quadri, quelle che, secondo me, hanno più analogia con la pittu-ra: L’impotenza, L’illogica allegria, Il dilemma, Io e le cose, L’attesa, L’abitudine, Quando sarò capaced’amare e forse anche altre. Penso però che più che lette andrebbero ascoltate perché in questi ca-si non solo il testo, ma anche l’atmosfera musicale ha la stessa sospensione di silenzio e di attesache c’è nei quadri.

In definitiva si potrebbe azzardare questa sintesi: pittura-realismo esistenziale, teatro-esistenziali-smo politico?— Questa sintesi la trovo perfetta.

Vorrei fare con te una considerazione su Il luogo del pensiero: e se fosse esso proprio la pittura?— Il luogo del pensiero è forse anche la pittura, ma certamente non solo la pittura. È il tentativo diliberarsi di tutte le nostre sovrastrutture per cercare di trovare l’interezza della propria essenza.Quindi sarebbe auspicabile trovare questo luogo in qualsiasi momento della nostra vita.

L’amore è l’autentico tormentone degli spettacoli teatrali, l’unica querelle che passa IMMUTATAe, ahimè, IMMUTABILE, che passa praticamente INDENNE nella sua condizione di dilemma esmarrimento dal 1972 al 2001!!! Nel frattempo in Italia e nel mondo, nella tua vita e in quella diGaber succede di tutto, ma lui, l’amore, è ancora lì: il solito disastro!In pittura esso forse porta il suo contributo a certi silenzi di ghiaccio???— È vero che nel frattempo è successo di tutto, e non solo nel sociale, ma anche nei rapporti d’a-more. Ma questi avvenimenti credo che modifichino più i nostri comportamenti che la nostra na-tura intima. L’amore probabilmente era problematico nei secoli scorsi quanto lo è oggi.Per quanto riguarda la pittura, ho già detto che per me essa restituisce una visione del mondo nonparticolareggiata. Mi sembra difficile che una storia d’amore possa mutare molto questa visione.

Luporini scrittore e pittore. Poeta. Mentre l’ironia e un pratico senso della realtà si appropria-no delle sue parole, dove senza tema di nulla è spietato, un esistenzialismo inequivocabile e dis-creto occupa la tela. Mentre lo scrittore smaschera ad alta voce l’ipocrisia volgare e sguaiata del-le apparenze e dell’“avere”, il pittore intrattiene colloqui intimi con i disadattati dell’“essere”.Esplicito, ma proprio per questo cautissimo – come chi sa di svelare segreti ingombranti – de-scrive la nostalgia per la vita. Non guaribile. Due linguaggi che in questi decenni lo hanno te-nuto vigile e attento ai mutamenti della realtà socio-politica come a quelli dell’anima.

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Giorgio Gaber e Sandro Luporini

Da un lato la tensione dello sguardo, ossia l’occhio del pittore, occhio che non ragiona, che simuove perennemente intorno in cerca della bellezza e di un oggetto che possa essere utile allacostruzione di un linguaggio.Dall’altra la tensione dell’intellettuale, un occhio che osserva ininterrottamente e che ragiona, si po-sa su tutto ciò che della realtà può essere fermato per capire e per esprimere se stessi e il mondo.

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La mia generazione ha perso

Album in studio 2001Canzoni di Giorgio Gaber e Sandro Luporini

Si puòVerso il terzo millennio*

Il conformistaQuando sarò capace d’amare

La razza in estinzioneCanzone dell’appartenenza

Il potere dei più buoniUn uomo e una donna

Destra-SinistraIl desiderio

L’obeso*Qualcuno era comunista (prosa)

Per realizzare l’album, il primo registrato in studio dal 1984, Gaber-Luporini hanno selezionato, ein qualche caso rielaborato, alcune delle canzoni più significative degli ultimi anni. Al lavoro in stu-dio fa eccezione il brano Qualcuno era comunista riproposto in versione dal vivo.

Immagini, parole e note nell’opera di Sandro Luporini

L’immagine di copertinadell’album pubblicatodalla casa editrice musicale CGD

* Brano presente nell’Antologia minima dei testi

«I nostri spettacoli teatrali sono in genere rappresentati attraverso la formula del teatro-canzone, cioèl’alternanza di canzoni e monologhi, e vengono pensati e scritti sull’urgenza di un intervento che ten-de a esprimere la nostra visione del mondo in quel determinato momento storico. Sono d’altra parteconsapevole che il mezzo teatrale, pur con le sale esaurite, ha una possibilità di diffusione limitata delnostro lavoro anche se costituisce la dimensione artistica a me più congeniale. Ma sono anche consa-pevole che molte delle nostre canzoni avrebbero meritato una fruizione più allargata. Mi sono dunquelasciato convincere a ritornare in sala di incisione per realizzare un prodotto discografico che com-prende alcuni brani scritti recentemente insieme ad altri particolarmente significativi degli ultimi spet-tacoli. Ho scelto come titolo di questo lavoro La mia generazione ha perso. Sicuramente non è un’e-spressione ottimista e consolatoria, ma per quanto mi riguarda mi sembra una constatazione doverosa.D’altronde solo la lucidità nel riconoscere i propri errori e il coraggio di affrontarli può aiutarci a tro-vare la forza per un reale cambiamento. Riconosco che la mia generazione ha perso, ma l’ammissionedi una sconfitta e la sua analisi disincantata sono l’unica speranza, l’unico reale contributo che possia-mo ancora dare a chi viene dopo di noi. Con Luporini abbiamo sempre cercato di raccontare le emo-zioni, gli stati d’animo, le passioni del mondo che ci circondava, ciò che ci faceva bene regalandoci slan-cio ed energia ma anche ciò che ci faceva male, e dal quel male tentavamo di difenderci con ironia po-lemica e molto spesso rabbia. A questo punto, [...] credo sia arrivato il momento per un bilancio nontanto personale quanto generazionale. Non è solo il fallimento di un’idea politica, non è il funerale del-le ideologie, non è l’incertezza del futuro; preferisco pensare a un mutamento oserei dire antropologi-co dell’individuo totalmente oggetto della violenza del mercato. [...] Tutto quello in cui noi abbiamocreduto non trova più nessun riscontro, non esiste più: siamo decisamente una razza in estinzione.» Giorgio Gaber

Giorgio Gaber, Il miomondo non esiste più,“Sette” n. 15, 21/4/2001

* Brano presente nell’Antologia minima dei testi

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L’album realizzato nel corso del 2002 e pubblicato dopo la scomparsa di Giorgio Gaber.

Il tutto è falso*Non insegnate ai bambiniIo non mi sento italiano

L’illogica allegriaI mostri che abbiamo dentro

Il dilemmaIl corrotto

La parola ioC’è un’aria

Se ci fosse un uomo (canzone-prosa)*

L’immagine di copertinadell’album pubblicatodalla casa editrice musicale CGD

Io non mi sento italiano

Album in studio 2003

* Brano presente nell’Antologia minima dei testi

Immagini, parole e note nell’opera di Sandro Luporini

Canzoni di Giorgio Gaber e Sandro Luporini

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“Hortus Musicus” n. 14,aprile-giugno 2003, Ut Orpheus Edizioniwww.hortusmusicus.com

Sandro Luporini, pittore, esponente del realismo esistenziale e della neometafisica, per trent’anni co-autore con Giorgio Gaber del Teatro Canzone, ha accettato di rispondere alle nostre domande. Così“Hortus Musicus” intende anche rendere omaggio nel modo più degno alla memoria di GiorgioGaber.

Recentemente hai definito con precisione gli ambiti separati e complementari del tuo duplice im-pegno di pittore e di scrittore. Poiché non credi “a una pittura di contenuti politico-sociali” e “for-se neanche ad una pittura di contenuti”, rispondendo ad una esigenza evidentemente per te inelu-dibile durante un trentennio hai cercato spazio espressivo alla riflessione politica e sociale nel TeatroCanzone in collaborazione con Giorgio Gaber. Agli esordi della tua pittura però gli ambiti non era-no forse così rigorosamente delimitati e l’intenzione di un realismo non ideologicamente pregiudi-cato non sembrava affatto chiudersi ad implicazioni e coloriture sociali. L’attenzione agli “oggettiumili e tristi” di un quotidiano ancora segnato dalla guerra e la dichiarata influenza del neoreali-smo cinematografico sembrano significativi in proposito. Quanto influì sull’irrigidimento della tuapoetica, e più in generale sui tuoi orientamenti culturali, la contrapposizione al realismo socialista,non solo enfatico ma spesso pretestuoso e accademico e in Italia (nonché altrove) storicamente stru-mento di potere? — Qualsiasi uomo pensante è un animale politico, ma la differenza tra “essere politici” e “fare po-litica” è fondamentale. Da qui il mio distacco da chi con la pittura intendeva fare politica. Se mi sipuò definire realista è perché ho sempre avuto il bisogno di raffigurare un oggetto, o meglio la suaapparenza, con l’intento di trovare una calibrata distanza tra il “sé” e “l’altro da sé” che, per me, do-veva essere di natura interrogativa. È vero quindi che, magari istintivamente, mi contrapponevo achi aveva con l’oggetto un rapporto di tipo ideologico.

Al di là della distinzione di ambiti conoscitivi, un impulso d’ordine morale appare comune sia al-la tua pittura sia alla tua scrittura per il teatro: “la coscienza e l’aspirazione alla verità una”, comedici in polemica con la “tolleranza estetica” dei critici d’arte, indifferenti alle diversità e all’incom-patibilità reciproca delle tendenze artistiche. Tu giudichi appunto “priva del coraggio morale”,espressione di “disgregazione morale” una tale critica d’arte, per la quale tutto ha la medesima im-portanza e dunque nulla ha veramente importanza. Non credi che i giudizi di “cultura neutraliz-zante” e di “disgregazione morale” debbano essere più largamente estesi alla sedicente “cultura del-l’effimero” che da alcuni decenni pervade la nostra vita intellettuale, a tutti i livelli? — Quando ho parlato di “verità una”, chiaramente influenzato da alcune letture di Adorno, nonvolevo certo dire che questa verità potesse appartenere a qualcuno. Pensavo però, e lo penso anco-ra, che la verità esista “in sé” al di là di qualsiasi soggettivismo. Purtroppo, come voi dite, la cultu-ra dominante non ha la smania di questa ricerca.

Tu hai parlato in qualche occasione di “impotenza degli intellettuali”. Questo pare un giudizio be-nevolo. Non credi che si tratti piuttosto di una capillare, non innocente adesione ad un processoistituzionale di neutralizzazione delle potenzialità critiche della cultura? — Non so se abbiate ragione quando parlate di giudizio benevolo. È vero, l’impotenza di cui si par-la non è certo un fatto di natura organica. Non è detto però che ci sia sempre dietro un progetto

Intervista a Sandro Luporini

Gaspare De Caro e Roberto De Caro

Immagini, parole e note nell’opera di Sandro Luporini

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neutralizzante. Mi sembra più probabile che derivi dalla perdita della nostra essenza a favore di unasostanza massificata che ormai s’è incollata al nostro io.

L’asservimento degli intellettuali al potere politico non è fenomeno nuovo nella storia italiana.Nella sua fase e modalità attuali sembra però possibile datarlo dalla restaurazione seguita al “lungomaggio”, dal consenso, o anche dal silenzio della cultura su una “normalizzazione” perseguita at-traverso l’anomalia di leggi speciali. Io se fossi Dio non ebbe molti riscontri. — C’è, come dite, a cominciare dagli anni Ottanta una calma piatta che ha il sapore di volontaria nor-malizzazione. Per quanto riguarda il brano Io se fossi Dio credo non abbia figliato perché era uno sfogolivoroso e in un certo senso anche scorretto che non poteva fare presa nella dilagante cultura dell’effi-mero. Però quel pezzo aveva un forte impatto emotivo. Se è vero, come io credo, che le idee riempio-no e le emozioni nutrono forse è stato uno dei punti più alti raggiunti da Gaber in teatro.

Forse però è possibile una contestualizzazione più generale dell’attuale rapporto tra politica e cul-tura. Tu indichi come fondamento di una cultura neutralizzante l’inversione abusiva dei concettidi soggettivo e oggettivo, per cui la tensione soggettiva alla verità non ha peso epistemologico el’oggettività si riduce ad una futile sommatoria “democratica” di opinioni. L’aggettivo ovviamentenon è casuale: chiama in causa appunto le pretese di oggettività della democrazia rappresentativa,le risoluzioni di maggioranza che garantiscono il sistema politico ma non garantiscono la “veritàuna”, né se ne preoccupano. Non credi allora che, sul fondamento di questa comune matrice, de-mocrazia rappresentativa e cultura neutralizzante/neutralizzata si riflettano l’una nell’altra non peraccidente ma per necessità? — Certo che lo credo. Non cambierei una virgola a quello che avete detto. Aggiungo solo che hola sensazione che la cultura, quella vera, sia morta. Però non saprei dire se per necessità o per mor-te naturale.

La metafora dell’Obeso, evocata già in una tua lettera a Gaber del 1985, sembra includere appun-to questa coincidenza di democrazia e cultura dell’opinione nell’immagine di un Mercato onni-pervasivo che assorbe e vanifica le tradizionali forme di lotta politica e sociale: “L’obeso non ha piùbisogno di nemici, perché le cose non muoiono più per antagonismi ma per crescita smisurata”. Lasola opposizione possibile, aggiungevi, “è un’assenza, un’assenza magari fatta di pensiero”.Interpretiamo correttamente questa indicazione come una dichiarazione di definitiva sfiducia nel-la politica istituzionale e il vostro “continuare ad essere politici” come un richiamo alle prese di co-scienza e responsabilità individuali, secondo una strategia radicalmente astensionista? — Credo sia un’interpretazione perfetta. Io poi, col gusto del paradosso, ho anche un po’ esagera-to fino a ipotizzare una cultura esoterica. Questo però fa un po’ ridere se si pensa che Gaber face-va più di cento spettacoli ogni anno.

A proposito di radicalismo, Gaber rievocava in una delle ultime interviste la tensione intellettualee politica della generazione sconfitta. “Sperare nelle speranze infondate”, “cercare per cercare” in-vece di “cercare per trovare”: è questa la strada di un “umanesimo nuovo”? — Non ho assolutamente idea di quale possa essere la strada per un umanesimo nuovo. Non sonemmeno se sia giusto immaginare un punto di arrivo. Utopia, per me, non vuol dire andare daViareggio a Milano. Vuol dire semplicemente “andare”.

Gaber si riconosceva autobiograficamente nelle attese frustrate di Qualcuno era comunista e, alme-no per quanto lo riguardava, riconduceva ad esse la vostra polemica politica e di costume volentie-ri rivolta contro la Sinistra. Tu hai condiviso questo percorso? — Io sono sempre stato e mi ritengo tuttora una persona di sinistra. Purtroppo non sono in sin-tonia con questa nostra sinistra. Non sono in sintonia neanche con Nanni Moretti, che pur stimo,per il semplice fatto che lo sento animato da una gran voglia di vincere. A me invece non sembra

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* Cfr. Giorgio Gaber,L’extraterrestre di piazzadel mercato (1995), “Il Messaggero”,2/1/2003, anche in“www.giorgiogaber.org”,Bibliografia/Racconti

tanto importante vincere quanto riflettere molto e cercare di capire che senso ha essere di sinistraoggi. Questo non lo fa nessuno. Purtroppo il pragmatismo ha stravinto.

La vostra polemica non sempre è stata apprezzata da una Sinistra poco incline alla contrizione esvelta alla replica poco inventiva di qualunquismo. C’è stato anche chi – sul modello logico di cer-ti processi politici d’antan – dalla critica ha dedotto occulte intenzioni reazionarie. Tutto ciò nonsembra meritare particolare attenzione. A proposito però della vostra ironia sull’ipocrisia del “buo-nismo” e sul “mercato della solidarietà” e a smentirne perfide intenzioni “cattiviste”, vorremmo ri-cordare che nei vostri testi ci sono un’attenzione e una sensibilità per la condizione dei bambini eper il destino degli anziani sicuramente rare nella cultura italiana dopo il De Sica di I bambini ciguardano, di Sciuscià, di Ladri di biciclette e di Umberto D., dove peraltro non manca nemmeno l’i-ronia sulle dame di carità e altre personificazioni di buonismo, senza parlare del “pessimismo” cheda tutte le parti si imputò a lui come a voi. Poiché hai dichiarato il tuo debito giovanile con il neo-realismo e anche in Gaber si colgono risonanze desichiane (per esempio nel racconto L’extraterrestredi piazza del mercato),* quali suggestioni ha avuto per voi questo grande autore che la cultura ita-liana sembra aver definitivamente archiviato? — L’accusa di qualunquismo che ci perseguita fin dagli anni Settanta non ci ha mai scalfito mol-to. Sarebbe stato più giusto chiamarci anarcoidi. La critica, spesso esasperata, non aveva niente ache vedere con un menefreghismo furbastro, né con l’acquiescenza passiva di chi sta alla finestra.La rabbia contro tutto e tutti derivava da un desiderio di verità e di cambiamento. Per quanto riguarda il neorealismo del cinema italiano (e non solo De Sica) credo anch’io sia statotroppo facilmente archiviato. Il senso più profondo che scaturiva da quelle opere era l’analisi di undopoguerra visto non tanto dall’angolazione strettamente politica quanto da quella umana e socia-le. Io personalmente, specie nei primi anni della mia carriera di pittore, devo molto a questi auto-ri e all’esistenzialismo in genere. Questo clima culturale, per ragioni di età, non può essere stato vis-suto da Gaber, però gli era molto congeniale. Basti pensare che qualsiasi sentimento, anche di tiporabbioso, per lui partiva sempre dall’impatto con la vita quotidiana.

Nell’ultimo Cd, conclusivo purtroppo del vostro lavoro comune, da soli e con il coraggio moraleche è stata sempre una vostra qualità avete protestato contro la recente, incalzante fibrillazione diestri patriottici. Il “Corriere della Sera”, ad ogni buon conto, ha fornito immediatamente la chiavedi lettura autorizzata: la canzone che dà il titolo alla vostra raccolta, Io non mi sento italiano, “nonè antipatriottica”. Neanche la morte ha salvato Gaber dallo sfregio mistificatorio. — La nostra canzone non c’è dubbio che sia antipatriottica nell’accezione più comune del termi-ne, quindi quello che ha scritto il “Corriere della Sera” non è corretto. Noi ci siamo mossi, comespesso accade, col gusto della polemica e la nostra voglia di scrivere quel pezzo è scaturita dall’av-vertire il rigurgito di un patriottismo idiota se non addirittura pericoloso. Ovviamente non è veroche “non ci sentiamo italiani”.

Anche le presentazioni del Cd La mia generazione ha perso e della raccolta einaudiana La libertà nonè star sopra un albero non sembrano essere state immuni da iniziative fuorvianti di mediatori im-propri. L’articolo Gaber, l’Obeso e la generazione dei gabbiani ipotetici (Hortus Musicus, III, 2002,12) ha avanzato sentite riserve sull’operazione. Il sospetto che un improvvido zelo editoriale siasfuggito alle intenzioni degli autori sembra autorizzato da qualche cenno di Gaber e ora dall’ulti-mo Cd, significativamente privo di qualunque intromissione interpretativa. Poiché queste circo-stanze non sono senza importanza culturale, puoi darci la tua testimonianza? — Per quanto mi riguarda, il mio comportamento, successivo a qualsiasi operazione, si uniforma aun principio elementare che si potrebbe sintetizzare in…: “buttare lì qualcosa e andare via”. Alcunianni fa, leggendo Cioran, mi innamorai di una strana parola: “SARVAKARMAPHALATYAGA”.La traduzione letterale è: “Distacco dal frutto dell’atto”.

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La prima canzone scritta da Gaber-Luporini e incisa su disco dalla casa editrice musicale Ricordi nel1961 è Suono di corda spezzata, lato B del 45 giri con La ballata del Cerutti, dove Sandro Luporini,pur non essendo ancora iscritto alla Siae, compare come autore. Seguono: Così felice (Ricordi, 1964);Ma voi ma voi ma voi (Rifi, 1966); nel 33 giri “L’asse d’equilibrio” (Rifi, 1968): La corsa, Eppure sem-bra un uomo, La chiesa si rinnova; la notissima Barbera e champagne insieme a L’orgia: ore 22 secondocanale (Carosello, 1970); L’ultima bestia (Carosello, 1970); Il gatto si morde la coda (Carosello, 1972).

Gli anni Sessanta. Le canzoni

Canzoniere 1960-’70

* Brano presente nell’Antologia minima dei testi

Il fronte e retro di copertina del 45 giri La ballata del Cerutti eSuono di corda spezzata

Ci incontrammo io, tu e i suoni di chitarra.La chitarra aveva mille vibrazioniil tuo viso aveva mille vibrazioni.

Ci lasciammoio, tu e i suoni di chitarra.Il tuo viso finì con un sorriso spezzatola chitarra finì con una corda spezzata.

Suono di corda spezzataovunque ti ritrovo.Suono di un riso spezzato ovunque ti porto con me.Ci troveremoio, tu e i suoni di chitarra.

Giuseppina Manin,Gaber: Mariù, parlamid’amore. Più forte, nonsento, “Corriere dellaSera”, 20/1/1987

La voce di commento nel cinegiornaledell’Istituto Luce del2/2/1963 dedicato allamostra di SandroLuporini alla GalleriaBergamini di Milano

«Lui è l’occhio, io l’orecchio, almeno così si dice. [...] La nostra è un’amicizia di vecchia data, natatirando tardi nelle osterie. La prima canzone scritta insieme s’intitolava Suono di corda spezzata.Piacque solo a noi. Dopo ne sono venute tante altre.»Giorgio Gaber

«Il pittore Sandro Luporini si aggiunge ad una qualificata compagnia: è Giorgio Gaber che fa la se-renata ai quadri esposti dall’artista viareggino in una nota galleria milanese. Nel cordiale incontrotra pittura e musica leggera non manca Maria Monti, una cantante molto personale. In questo fra-goroso omaggio a Luporini dei cantautori milanesi, in un clima da barbera a gogò cui si aggiungeanche Enzo Jannacci, quasi quasi dimenticavamo di dare un’occhiata ai quadri che sono, invece,degni di attenzione per la loro felicissima vena poetica al limite tra il figurativo e l’astratto, tra larealtà e la fantasia, come in un lirico dormiveglia.»

Suono di corda spezzata

Immagini, parole e note nell’opera di Sandro Luporini

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Triste col suo bicchiere di barbera senza l’amore a un tavolo di un bar il suo vicino è in abito da sera triste col suo bicchiere di champagne. Son passate già quasi tre ore Venga, che uniamo i tavoli, signor! Voglio cantare e dimenticare coi nostri vini il nostro triste amor.Barbera e champagne, stasera beviam per colpa del mio amor, pa ra pa pa per colpa del tuo amor, pa ra pa pa. Ai nostri dolor insieme brindiam col tuo bicchiere di barbera col mio bicchiere di champagne.Com’eran tristi e soli quella sera senza le donne a un tavolo di un bar Longo, Fanfani, Moro, e giù barbera Gianni Rivera, Mao, e giù champagne. Guardi, stia attento, lei mi sta offendendo! Uhelà, come ti scaldi, ma va’ là vieni, balliamo insieme questo tangoballiamo insieme per dimenticar.Barbera e champagne, stasera beviam per colpa del mio amor, pa ra pa pa per colpa del tuo amor, pa ra pa pa. Ai nostri dolor insieme brindiam col tuo bicchiere di barbera col mio bicchiere di champagne.Colpa di quel barista che è un cretino ci hanno cacciato fuori anche dal bar guarda, non lo sapevo, è già mattino si è fatto tardi, ormai bisogna andar. Giusto, però vorrei vederla ancora

io sono direttore all’onestà molto piacere, vede, io per ora sono disoccupato, ma chissà.Barbera e champagne, stasera beviam per colpa del mio amor, pa ra pa pa per colpa del tuo amor, pa ra pa pa. Ai nostri dolor insieme brindiam col tuo bicchiere di barbera col mio bicchiere di champagne.

Il fronte e retro di copertina del 45 giri Barbera e champagne eL’orgia: ore 22 secondocanale, brani presentinella stesura originaledello spettacolo teatraled’esordio: Il signor G

Barbera e champagne

L’orgia: ore 22 secondocanale

Ero lì in un’orgia in mezzo a della gente checonoscevo poco e che non era molto attraente. Ero lì in un’orgia ma non ci avevo voglia e allorame ne stavo un po’ in disparte, per rappresaglia. – No, grazie, senza complimenti, il genere nonm’interessa. Oddio, se proprio insiste, se diceche è una scommessa. Ero lì in un’orgia, facevo qualche cosa, ma nonmi ricordavo una serata così noiosa. – No, mi creda, mi diverto molto. Sono solo unpo’ in soggezione, però mica le dispiace seaccendo la televisione? Ero lì in un’orgia e per il primo mi fermo, maman mano anche gli altri sono distratti dal tele-schermo. E così, tutti nudi, sul secondo canalevediamo un film d’amore un po’ vecchiotto, maniente male! – A me piace perché alla fine i due si sposano.– Ah sì, anch’io sono per il lieto fine, mica comequei film moderni che non si capisce niente, infondo sono un sentimentale. Scusi, avvocato, hamica visto le mie mutande, per caso?

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Con l’intento di presentare una selezione quanto più possibile rappresentativa dei testi e dei mate-riali prodotti nell’arco di trent’anni di lavoro, dal 1970 al 2000, da Sandro Luporini e GiorgioGaber, si è scelto di adottare la sintesi dell’intera opera (teatrale e discografica) definita nel nuovocatalogo del Teatro Canzone, affiancata dalle immagini-manifesto degli spettacoli riprodotte nellecopertine originali dei dischi.

Il Teatro Canzone di Gaber-Luporini

Raccolta essenziale di materiali e testi

«Ci conosciamo dal ’59 [...]. Abitavamo vicini, frequentavamo lo stesso bar: il Sempione di piaz-za Gramsci. E la nostra collaborazione nacque subito più per divertimento che per altro. Così fe-lice e Barbera e champagne, anche se non firmate da lui, sono i primi risultati evidenti della nostracollaborazione.»Giorgio Gaber

«[...] Quando cominciai a fare teatro agli inizi degli anni Settanta questa amicizia, questa collaborazio-ne giocosa divenne più professionale e si concretizzò con la stesura a quattro mani dei testi degli spet-tacoli. Continuiamo a considerarci due dilettanti (anche se ormai questa è diventata per noi la vera pro-fessione), un cantante e un pittore che tentano di comunicare le loro idee e i loro sentimenti.»Giorgio Gaber

«Quando ci incontriamo d’estate parliamo del mondo, discutiamo delle cose che ci sembrano ur-genti e decisive, di quello che ci indigna e di ciò che ci piace. C’è una corrispondenza di dialogo.Cosa abbastanza rara. Generalmente le persone tendono a prevaricarsi a vicenda. Noi siamo sinto-nici, quando lui dice qualcosa di particolarmente intelligente io sono contento, non dico: maledi-zione, perché non l’ho pensato io. […] Sì, lui dà l’apporto letterario, io quello teatrale e musicale.Ma c’è una condivisione totale, io non andrei mai sul palcoscenico a cantare qualcosa che non con-divido, né Sandro firmerebbe un testo che sente estraneo.»Giorgio Gaber

«Noi prima di affrontare uno spettacolo – perché poi dal ’70 in poi abbiamo fatto diversi spetta-coli, non una canzoncina e basta ma diversi spettacoli – prima di affrontarne uno noi parlavamo...ma... ti posso dire... anche venti giorni, ed era un parlare sulle impressioni che avevamo, sia senti-mentali, sia intime, sia esterne sulla visione del mondo... e parlavamo fino a... insomma una con-versazione che è molto bella – quella mi manca molto tra l’altro – perché con una grande tenden-za a coincidere in qualche modo, quindi diventavamo quasi una persona sola.»Sandro Luporini

«Il Teatro Canzone inizia col Signor G, che ancora raccoglie alcune cose scritte prima della “svolta”, se-condo una formula che in un primo tempo comprende solo canzoni [...] e piccoli interventi parlati chevia via si trasformeranno in monologhi, dove si affronta un tema – la condizione schizoide piuttostoche la “libertà obbligatoria”, o la psicanalisi – come in uno spettacolo di prosa, sviluppato però attra-verso canzoni e poi monologhi. Il mio approccio è già diverso da quello classico della musica leggera,che prevede che il pubblico venga a vedere uno spettacolo di canzoni che già conosce: da me si vengo-no a vedere canzoni che non si conoscono. [...] Non si va ad ascoltare, quasi proustianamente, una spe-cie di piccola memoria del tempo perduto, ma ciò che non conosciamo e che forse ci può interessare.»Giorgio Gaber

Da un’intervista a Sandro Luporini,Festival del TeatroCanzone Giorgio Gaber,Viareggio, 21-25/7/2004

Carlo Pino (a cura di), Da Goganga al Dio Bambino, in Amico treno, Baldini & Castoldi, 1997

Brunella Schisa, Vi presento il pittore chescrive le mie canzoni, “Il Venerdì diRepubblica”, 12/10/2001

Guido Harari, GiorgioGaber, “Rockstar”,gennaio 1993

Maria G. Gregori,Giorgio Gaber da Storiedel signor G - Il TeatroCanzone, Cabaret n. 4,“l’Unità i. e.”, 1996

Immagini, parole e note nell’opera di Sandro Luporini

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* Brano presente nell’Antologia minima dei testi

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Il signor G

Teatro Canzone – Stagioni teatrali 1970-’71, 1971-’72

«Il signor G è il primo approccio al teatro. Si tratta di un personaggio che cerca a fatica di to-gliersi di dosso certe inclinazioni o abitudini della sua formazione piccolo-borghese. C’è in lui ildesiderio di rinnovarsi senza però la velleità di cambiare immediatamente pelle. I temi non so-no ancora politici, ma c’è un impegno nel raccontare alcuni brani della sua vita quotidiana dacui emergono una grande quantità di dubbi sulla natura del proprio essere e la persistenza di cer-ti valori tradizionali.»Giorgio Gaber e Sandro Luporini

Prologo: Suona chitarra1

Prima ricorrenza: il signor G nasce2

Giuoco di bambini: io mi chiamo G (prosa)Eppure sembra un uomo*

Una storia normale: il signor G e l’amoreG accusa (prosa)

Il signor G dalla parte di chiIl signor G sul ponte3

L’orgia: ore 22 secondo canale (prosa)Le nostre serate4

Com’è bella la cittàIl signor G incontra un albero*

Vola vola: il signor G e le stagioniPreghiera (prosa)5

Io credo: autoritratto di GMaria Giovanna

Seconda ricorrenza: il signor G muore

L’introduzione allo spettacolo, nel Cd del nuovo catalogo

L’immagine di copertinadel disco con laregistrazione dal vivodello spettacolo (edizione originale:Carosello, 1970)

Altri autori: 1, 2, 3 Tarozzi-Gaber4 Simonetta-Gaber5 Tarozzi6 Brel-Pagani7 Tarozzi-Gaber I borghesi

Ora che non son più innamoratoChe bella gente6

La chiesa si rinnovaEvasione

L’uomo sfera7

L’amicoLatte 70

A mezzogiornoDue donne

Un gesto naturale

Nella pagina precedente:le immagini di copertinadei libretti di scenadel Teatro Canzone di Giorgio Gaber eSandro Luporini con lastesura originale deglispettacoli, disponibili ateatro nel corso dellerappresentazioni

Immagini, parole e note nell’opera di Sandro Luporini

Spettacolo presentato dal Piccolo Teatro di Milano

L’album I borghesi (Carosello, 1971) raccoglieuna scelta delle canzoni, registrate in studio,dello spettacolo rinnovato e arricchito di nuovibrani messo in scena nella stagione 1971-’72con il titolo Storie vecchie e nuove del signor G.