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il volo delle Gru di Edoardo E. Macallè 10 MAGGIO 2015 NIKKAIA Strategie 1

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il volo delle Gru

di

Edoardo E. Macallè

10 MAGGIO 2015

NIKKAIA Strategie

1

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Dalla sintesi dell’incontro, “2015-2017: gli anni del Basilisco”, tenutosi lo scorso 29

aprile in quel di Milano:

Ed ora giochiamo un po' a carte scoperte:

1. Quanti tra voi sanno o credono di saper cos'è l'Alchimia (o “Grande Opera”)?

2. Quanti tra voi possono davvero dirsi "in un qualche modo esperti d'Alchimia"?

3. Quanti tra voi sono Alchimisti?

In sala,

i più sapevano (…o credevano di sapere) cos’è (…o cos’è stata) l’Alchimia,

nessuno tra loro, tuttavia, s’è poi detto “in un qualche modo esperto d’Alchimia”;

nessuno dei presenti, invece (ed a quel punto, “ovviamente”), ha ammesso d’esser un

“Alchimista” (e noi, non potendolo verificare, dobbiamo sol fidarci delle loro parole).

Non abbiamo però dubbi che, a fine giornata, alcuni s’erano ormai convinti che in sala

almeno un Alchimista comunque c’era: il sottoscritto! D’altra parte, noi non s’era fatto

praticamente nulla per non lasciarlo loro credere (come sarà accaduto anche a qualcuno

tra coloro che hanno letto, in seguito, la sintesi dell’incontro…). Ci spiace deluderli, ma

non solo noi non s’è per nulla Alchimisti: soprattutto, non ci consideriamo

neppure granché esperti della materia (anche solo perché non abbiamo mai fatto

alcuna “esperienza con gli alambicchi” ed in cuor nostro, poi, odiamo alquanto la chimica).

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Questo tuttavia non c’impedisce affatto di far uso (non sappiamo però quant’appropriato)

dei simboli della Grande Opera nell’analisi dei mercati. Come faremo anche oggi.

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Con tutta evidenza, ovviamente, non vi diremo mai se noi si parte da tali simboli, per

poi arrivar a trarre le nostre conclusioni, oppure se, giunti alla nostre conclusioni, noi

si fa il percorso inverso, per individuar i simboli più opportuni: questa, infatti, sarebbe

davvero un’informazione “esoterica”, da potersi dar sol a pochi (“iniziati”, nel senso che

essendo tra i primi a saperlo, essi si ritroverebbero “all’inizio” della catena dei ben informati).

Accontentatevi, quindi, di quel che leggerete o vedrete, ma non abbandonatevi a quei

simboli con la beata fiducia degli “esoteristi ingenui” cui basta una teoria diversa da

quelle sostenute dalla scienza per convertirsi subito alla stessa. Piuttosto, mantenete

vigile la vostra coscienza ed andate a caccia degli errori, nonché delle sempre possibili

approssimazioni, forzature ed incongruenze che proprio noi s’è forse commesso: dove

la tentazione a cedere è più forte, infatti, più alta dovrà esser la vostra attenzione!

Senza dimenticar, però, che la migrazione di allegorie e simboli da un settore all’altro

non è tanto una nostra invenzione, quanto una strategia che grandi storici dell’Arte

(come Wittkower) hanno ampiamente stimolato in passato e che, oggi, antropologi,

etnologi, psicologi ed analisti usan di diritto nei propri campi d’indagine e con indubbio

profitto. Certo, talvolta, si s-cade in esercizi funambolici, pure di gran fascino, che poi

non reggono alla prova dei fatti, ma non per questo s’ha da rinunciare ad una prassi

che, invece, il più delle volte si rivela particolarmente utile. Soprattutto per il ruolo che

i simboli hanno nella cultura: gli stessi, infatti, possono esser definiti come “il telaio

su cui si reggono i pensieri, i desideri e lo stesso comportamento umano”.

Conoscer l’uso dei simboli nel passato ci aiuta, ad ogni buon conto, a migliorar pure la

comunicazione attuale, anche solo perché la “comunicazione simbolica” è in grado di

agir comunque in modo alquanto profondo sull’interlocutore: non solo, infatti, le cose

lasciano un “che” di se stesse che è difficilmente rintracciabile nelle semplici parole [in

termini di comunicazione, i geroglifici degli antichi egizi avevano una “potenza” ed una “magia”

che solo le parole dei poeti, forse, possono sperar oggi di raggiungere], ma inducono in chi

le accoglie un sentimento “oceanico” che altrimenti non potrebbe esser mai avvertito.

Ovviamente, il pericolo è che poi si finisca per metter insieme “il sacro ed il profano”,

senza rendersi conto che gli ambiti da cui si muove non sono mai del tutto neutrali: le

analogie tra sistemi fonetici ed immaginario, infatti, sono indubbiamente numerose,

ma non dobbiamo mai dimenticare, come diceva Umberto Eco, che

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“la realtà è una trama strettissima di somiglianze e di coincidenze, e giacché

noi si può immaginar il mondo solo attivando un numero abbastanza limitato

di forme-base e di numeri-base, è abbastanza naturale che "tutto si tenga"

(o sembri tenersi) insieme e che non ci sia nulla, in fondo, che non si possa

legger come l'aspetto esterno d’una profonda ed insondabile verità…”.

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D’altra parte, ridurre un fenomeno tanto complesso come l’Alchimia, ed i simboli da

essa usati, a banale stregoneria per pochi intimi non ha alcun senso. In particolare per

chi, come il sottoscritto, è interessato alla sua valenza propriamente filosofica, ben più

che a quella sostanzialmente chimica, fatta di strani alambicchi, piombo e mercurio.

Alla luce di quant’appena detto, gli Alchimisti dovrebbero esser perciò assunti come

coloro che all’epoca (volendo usar una formula ben più vicina a noi) s’ingegnavano per

migliorar la qualità non solo della loro vita, ma degli uomini in generale. La

stessa “Grande Opera”, in fondo, era anzitutto quel che l’Alchimista faceva su di sé

per giungere alla Pietra Filosofale, come dire “a quella particolare sapienza in cui si

celavano tutti i segreti dei filosofi utili a cancellar le preoccupazioni”. E sarà proprio

lungo questa strada che, alcuni secoli più tardi, Gandhi il Mahatma (“la Grande Anima”)

si spingerà ad affermare quel che anche l’anarchico Tolstoj aveva sempre sostenuto:

“Noi per primi dobbiamo esser proprio quel cambiamento [quella “trasmutazione”]

che vorremmo vedere nel mondo”.

[E stando così le cose, allora, gli alchimisti in sala lo scorso 29 aprile erano ben più di uno!]

Certo, ci saranno stati anche cialtroni e ciarlatani che solevano definirsi Alchimisti, ma

Pico della Mirandola non può esser sicuramente annoverato tra questi ultimi, sebbene

sia ricordato come un eminente “cabalista”: in realtà, nessuno meglio di lui avrebbe

potuto spiegarvi che “l’Albero della Vita” non è tanto il “simbolo del Padiglione Italia

ad EXPO-2015” (come scrivono di solito i giornali), quanto il simbolo di tutt’altro.

[E se proprio siete curiosi di sapere, cercate notizie sulla parola “Sephirot”, ma non lasciatevi

irretire troppo da chi vorrebbe farne uso (im)proprio: correreste, serio, il rischio d’impazzire…]

***

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Il Soffitto dei Semidei è un’opera di Pinturicchio del 1490 (commissionata dal

cardinale Della Rovere: figura non sempre “cardinalizia”, ma da ringraziarsi infinitamente per

aver contribuito ad arricchire il patrimonio artistico nel nostro paese), in cui fan bella mostra

di sé ben 63 figure allegoriche e mitologiche, su un finto sfondo di mosaici d’oro.

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Le rappresentazioni son per lo più profane, con vaghi riferimenti alla filosofia, e questo

ci lascia lecitamente supporre che le stesse siano state suggerite dagli Umanisti che il

cardinale era solito frequentare. Tra le sessantatre figure, una in particolare, però,

attira la nostra attenzione:

Nel descrivere le figure presenti sul soffitto, le guide usano spesso le seguenti parole:

“Tra i tanti animali dipinti, alcuni sono tradizionalmente associati al Male,

come il dragone ed il basilisco, altri al Bene, come il grifone ed il cervo…”

Abbiamo, insomma, un primo punto fermo:

il basilisco è un animale tradizionalmente associato al Male.

D’altra parte, così lo descriveva Vincent de Beauvais nel XIII secolo, all’interno della

sua monumentale enciclopedia (lo “Speculum Maius”, composto di 80 libri!):

“Basiliscus habet caudam ut coluber, residum vero corpis ut gallus.”

(“Il Basilisco ha coda di serpente, il resto del corpo di gallo.”)

Oddio, descriver un animale movendo dalla sua coda non è certo quel che s’usa fare…

salvo non volerne però evidenziare la “particolare qualità” all’attenzione dei più. Sta di

fatto che, da quel giorno, il Basilisco assume la veste sopra descritta e che, salvo lievi

modifiche, la manterrà per tutto il Medio Evo (ed anche oltre). Vero è, tuttavia, che il

suo nome era già comparso in passato, seppur legato ad un animale più “famigliare”:

un serpente dal morso terribile, a dispetto delle sue piccole dimensioni. Meglio ancora:

il Basilisco (dal greco Basileus Re) era considerato Rex Serpentium Re dei Serpenti.

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A favorir tale nomea contribuiva indubbiamente la particolare circostanza per cui, sulla

sua testa, a far quasi da “corona”, v’era una macchia bianca, a forma di diadema.

Tuttavia non poteva certo esser proprio questo il vero motivo di tanto prestigio…

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Il basilisco, in realtà, era considerato “Re dei Serpenti” a causa del suo veleno che,

da molti, s’affermava “in grado d’uccider le persone anche a distanza”: era sufficiente,

infatti, il suo alito mortifero per inquinar acque dolci, seccar fonti e bruciare campi. Gli

uomini non avevano alcuno scampo (si narrava che un cavaliere era morto a causa del

veleno che era risalito lungo la lancia con cui aveva osato colpire la “bestiaccia”…). Qualcuno,

ben più temerario, si spinse a sostener che in realtà non era il suo veleno ad uccidere,

bensì il suo sguardo. Quasi come in una nota canzone napoletana, Tamurriata Nera:

“A 'e vvote basta sulo na guardata”… La leggenda, tuttavia, racconta che persino

Alessandro Magno dovette difendersi dallo sguardo assassino del basilisco e che il

modo per farlo gli fosse stato suggerito addirittura da Aristotele. Grazie all’uso d’uno

specchio, infatti, si sarebbe potuto respingere lo sguardo del basilisco addosso al suo

stesso autore. In realtà v’era anche un secondo rimedio per proteggersi dal basilisco,

ma si trattava d’una soluzione comunque alquanto complicata: bisognava, infatti,

scagliargli contro una donnola, animale però, e purtroppo, ben poco domestico…

V’è comunque da chiedersi da dove avesse tratto tanto “maleficio” il serpentello dalla

testa coronata. In soccorso, fortunatamente, ci viene Marco Anneo Lucano (un poeta

latino del I secolo): questi, infatti, ci racconta che Perseo, sconfitta e decapitata

Medusa, s’alzò in volo grazie ai calzari alati…

…la testa di Medusa, ovviamente, grondava sangue, un sangue misto al veleno dei

numerosissimi serpenti che ne formavano la capigliatura. Atena capì subito il pericolo

che stava correndo la Grecia e dirottò il figlio di Zeus sul deserto libico: da ogni stilla

di sangue caduta al suolo, infatti, nasceva un serpente, finché dall’ultima, la più

velenosa tra tutte, nacque il nostro basilisco (che doveva aver ricevuto dalla “madre” la

capacità d’uccidere col proprio sguardo i nemici: Medusa, infatti, e da par suo, li pietrificava).

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A cavallo dell’anno mille, tuttavia, il basilisco perde progressivamente le fattezze di

“semplice serpente” e diviene sempre più quel che Pinturicchio aveva dipinto sul

soffitto del cardinale. Con tutto quel che ne conseguiva, perché è del tutto evidente

che l’origine dalla testa di Medusa non avrebbe potuto sostenerne le singolari fattezze.

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Nacque, e soprattutto si diffuse, la leggenda per cui un gallo anziano avrebbe deposto

un uovo e che lo stesso sarebbe stato covato da un serpente in un giorno di canicola:

schiusosi l’uovo, n’uscì il basilisco “in parte gallo ed in parte serpente”. Un frate

benedettino del XII secolo, tal Teofilo (o Ruggero di Helmarshausen?), descrive la

nascita del basilisco minuziosamente, ma con uno scopo ben preciso: il basilisco,

infatti, sarà pure un animale terribile, tuttavia il suo “uso” è essenziale per generare il

cosiddetto Auro Hyspanico (Oro Spagnolo?… Pensate che la scoperta dell’America, e la

conseguente inondazione d’Oro dalla Spagna verso l’Europa, avverrà solo 400 anni dopo!), un

materiale molto simile all’oro, ma realizzato con procedimenti alchemici: “Si prenda la

polvere del basilisco, si mischi col sangue d’un uomo dai capelli rossi, s’aggiunga

dell’aceto e si ponga tutto su una foglia di rame: il composto consumerà il rame ed

acquisterà progressivamente peso e colore dell’oro.” [intendiamoci: la ricetta suonava più

o meno così e noi dobbiamo fidarci, non potendone verificare, almeno oggi, l’autentico esito].

Già, ma come far del basilisco necessaria polvere se la sua cattura è, in fondo, quasi

impossibile?… Impossibile per molti, forse, ma non certo per chi ha fede “autentica” in

Dio! Sotto tale luce, l’episodio di San Siro (vescovo di Genova nel ‘300), è emblematico.

Un basilisco s’era infilato in un pozzo della città inquinandone l’acqua e nessuno osava

avvicinarsi allo stesso per paura di rimanerne ucciso. Nessuno tranne San Siro che,

intimato all’animale d’uscire dal suo nascondiglio, gl’indicò la strada del mare e quello,

poi, non fece più ritorno. Insomma: il basilisco sarà stato pur un animale terribile, ma

“con le parole dei giusti” parrebbe quasi possibile addomesticarlo. Non solo: come si

potrà veder nei dipinti di un’epoca un po’ più tarda, il “basilisco addomesticato” da

San Siro non solo non uccide col proprio sguardo il Vescovo di Genova, ma anche i

genovesi che stanno accanto a lui, alla fine, non subiscono alcun danno fisico!

È una svolta storica: non solo, infatti, è possibile affrontare il basilisco senza venirne

uccisi, ma è possibile renderlo docile, catturarlo e (se necessario…) ridurlo in polvere

per farne un uso alquanto… nobile (se nobile può esser intesa la produzione d’oro ispanico).

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In fondo, affrontar il basilisco senza rimanerne sconfitti è soprattutto (come c’insegna

persino Harry Potter…) un rito d’iniziazione: una prova che è necessario superare per

dimostrar d’essere pronti ad affrontarne, in seguito, di ben più difficili. Ancor più: è

una prova che, se superata, mostrerà a tutti, ma in particolare a se stessi, che s’ha

Dio dalla propria parte (altrimenti non si potrebbe spiegar del tutto il basilisco dipinto da

Pinturicchio sul soffitto del Cardinale della Rovere…).

Come con ogni porta d’iniziazione, ci si lascia alle spalle un passato e ci si apre ad un

futuro che ancor non si conosce, ma che di certo si rivelerà più interessante di quel

che c’era prima: è un momento critico che non tutti, però, riescono a superar indenni.

Se si supera, si svolta, altrimenti si resta al palo, nell’attesa di tempi migliori che non

è però detto possano giungere. Non è, allora, un caso che proprio il basilisco occupi il

centro della scena, o quasi, in una stampa alchemica del ‘600, per di più in posizione

diametralmente opposta all’impronunciabile nome di Dio (“YHWH”):

Giusto lì… dove l’autentica e tanto attesa svolta, finalmente, può cominciare:

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Lo scudo e la lancia di Marte (riconoscibili nel Simbolo dell’Uomo, sopra la sua testa)

indicano la direzione d’assumere: ostinata e contraria rispetto allo sguardo dei cinque

animali. E Marte, per chi non lo sapesse, non è tanto il dio della guerra quanto il “dio

dei duelli” (perché sol da questi ultimi, in realtà, eran fatte le guerre nell’antichità).Orbene,

se noi s’è scelto il basilisco per rappresentar simbolicamente i prossimi due

anni o quasi (sin a febbraio del 2017) sul mercato italiano non è certo per caso:

3 95 97 99 01 03 05 07 010 11 13 15 17 19 21 23 25

0.0%

23.6%

38.2%

50.0%

61.8%

100.0%

CICLO SECOLARE

3 95 97 99 01 03 05 07 010 11 13 15 17 19 21 23 25

CICLO SECOLAREFRAMMENTATO

CORVO

CIGNO

BASILISCO

NIGREDO

Ovviamente, sin a qualche settimana fa si stava molto meglio, ma questo è del tutto

normale nei “duelli d’iniziazione” perché questi ultimi sono fatti

di sensazioni contrastanti,

di momenti in cui tutto sembrerebbe andar per il meglio che s’alternano

ad altri in cui, invece, tutto parrebbe perduto.

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In realtà, come in tutti i duelli eroici (si pensi a quello tra Ettore ed Achille),

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il tempo, il giusto tempo, è una componente essenziale e quel tipo di duelli

(la “singolar tenzone”) non s’esauriscono mai in poche battute.

Ebbene, nel caso del nostro mercato, il Siderografo di Bradley ci suggerisce che quel

“duello iniziatico” potrebbe mettere in comune ben tre anni:

nella seconda settimana di novembre, infatti, il Siderografo scenderà sotto

la propria “linea dello zero”, definitivamente…

…a parte alcune settimane di luglio, infatti, vi rimarrà per tutto il 2016…

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…mentre nel 2017, si riporterà nuovamente, e definitivamente, oltre la

propria “linea dello zero” dalla prima settimana di febbraio.

Un duello lunghissimo, pertanto, è quel che attende Piazza Affari: dall’esito sempre

incerto per noi umani, ma non certo per gli dei, che san sempre bene come finiscono

questo genere di scontri. La carta che segue è “il Trionfo del Sole”, presente nei

Tarocchi Sola-Busca:

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Un Apollo-Olivo [Apollo è un dio d’origine pre-greca al quale è sacro l’ulivo selvatico] è a

tal punto inondato dai raggi d’un sole splendente da dover voltare altrove il proprio

sguardo per non rimanerne abbagliato. E pensar che proprio Apollo era, per i romani,

il dio del “Sol Invictus”, del Sole Fortunato! Davanti a lui, seppur leggermente

spostato alla sua sinistra, ad est, ieratico (“d’una compostezza solenne”), se ne sta un

basilisco del tutto addomesticato ed è, forse, anche questa sua presenza a spiegar la

vera ragione del voltarsi in altra direzione di Apollo: quasi un voler rammentar a tutti

che non si deve mai guardar dritto negli occhi un basilisco! Tuttavia, che sia possibile

prenderlo e contenerlo, in una parola addomesticarlo, è lo stesso Apollo a mostrarcelo,

ponendo la propria lancia alla sua destra: un limite assolutamente invalicabile dalla

terribile bestia. Apollo è vestito di rosso ed in mano ha una pergamena chiusa, d’un

colore quasi analogo: chissà quali segreti contiene… Anche se, poi, è facile intuirli:

per la filosofia alchemica, infatti, il sole è un simbolo di “illuminazione”,

l’oro filosofico radiante sulla testa dell’iniziato è la prova più valida che

questi è riuscito finalmente a superar i propri conflitti interni: che è risorto

quale “uomo nuovo”.

E la presenza del basilisco non è tanto un orpello iconografico, quanto una necessità:

il basilisco, da un lato, rappresenta il lato negativo dell’iniziato, dall’altro,

invece, si rivela come il dragone mercuriale dei filosofi, come colui, quindi,

che è in grado di ri-solvere l’oro filosofico.

Nel suo complesso, pertanto, la carta rappresenta (in un qualche modo) l’unione degli

“opposti e complementari” ed è carta di buon auspicio perché, nei fatti, ci rimanda

ad un rinnovato equilibrio tra gli stessi. In particolare proprio tra quelli che fan parte

della vita psichica dell’iniziato (ma non solo della sua, ovviamente): “amore e odio”, “buio

e luce”, “bene e male”. D’altronde, questo era l’autentico scopo della “Grande Opera”

alchemica: dissolvere i dubbi, dissipare le incertezze, chiudere definitivamente

con un’epoca passata ed oscura, fornire una precisa tendenza alle cose, ma

soprattutto all’uomo, così da poterne rinnovare l’angusto ruolo avuto sin lì.

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I Tarocchi “Sola-Busca” sono un’autentica opera d’arte in miniatura. Risalgono al 1491

e rappresentano un “unicum di valore” nella storia del gioco. Anche solo perché è

l’unico mazzo di Tarocchi giuntoci completo di tutte le sue 78 carte dal secolo XV. Non

solo: è anche l’unico mazzo antico in cui tutte e 56 le “carte minori” sono illustrate da

personaggi. Pare, ma non è certo, che il mazzo sia stato commissionato dalla famiglia

Visconti-Sforza per onorar Alfonso d’Este, in occasione del matrimonio di questi con

Anna Sforza, nipote di Bianca Maria Visconti (un’autentica appassionata del gioco).

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Comunque sia, è certo che il mazzo faceva in un qualche modo riferimento alla Piazza

di Milano (dove, probabilmente il gioco “dei Tarocchi”, inteso quale gioco “dei Trionfi”, nasce)

e che la corte degli Estensi a Ferrara è il luogo, insieme a quella di Milano, in cui la

passione per il gioco dei Tarocchi è più sentita. Chissà, forse è solo un caso o forse no

che il sottoscritto trascorrerà alcuni giorni di vacanza-studio, in un futuro ormai molto

prossimo, proprio in quel di Ferrara.

Non è comunque frutto del caso l’avervi proposto la carta numero XVI, il Trionfo del

Sole, del mazzo Sola-Busca: non l’abbiamo pescata al buio, infatti… Non c’è stata

alcuna Arte Divinatoria a condurci verso la stessa (anche perché il mazzo Sola-Busca, a

differenza dei Tarocchi di Marsiglia, non ha per nulla tale funzione…): la carta l’abbiamo

scelta, e scelta volutamente, per il significato propriamente “simbolico” che è

giusto assegnarle. D’altra parte quel suo rimandar ad Apollo ci facilitava non poco il

compito: non penserete certo che il nostro indicatore principe sul mercato americano

si chiami “Apollineo&Dionisiaco” solo per puro caso?…

1930 1940 1950 1960 1970 1980 1990 2000 2010 2020

E Milano, come mostrato a pag. 9, par proprio giunta, ormai, sul suo possibile primo…

Punto di Ritorno! Da qui, insomma, per Piazza Affari potrebbe davvero avviarsi

una fase ben diversa da quella che ci ha accompagnato nell’ultimo decennio.

Ne riparleremo, ma prima si dovrà addomesticare il basilisco e vigilar sul suo sguardo.

Senza dimenticar, poi, che il basilisco mostratovi è un basilisco alquanto “nostrano”,

frutto dell’incrocio tra due animali entrambi “sacri ad Apollo”: il serpente, per i suoi

poteri oracolari, ed il gallo, autentico simbolo dell’amore omosessuale. In Cina, dove

l’Alchimia ha lasciato sue tracce fin dal II sec a.C. ed in Egitto, terra di Magia e di

Simboli come poche altre, il basilisco non viene alla luce dall’uovo d’un gallo, ma di

tutt’altro volatile: è storia di neri serpenti alati e bianche gru, in perenne lotta tra loro.

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Fase Apollinea

Fase

Dionisiaca

Fase Apollinea

Fase

Dionisiaca

Punto di ritorno Punto di ritorno

Punto di “origine” Punto di “origine” Punto di “origine”

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È una storia che ci racconta ancor una volta, se solo ve ne fosse bisogno, che la realtà

non è mai del tutto bianca né del tutto nera e che occorre vigilar di continuo per non

soccombervi un po’ troppo facilmente.

È una storia alquanto trasversale che dall’oriente, estremo o medio che sia, potrebbe

dapprima condurci al centro del continente africano e da qui, forse, in quel di Teglio

(Sondrio), dove Azzo II Besta, proseguendo l’opera del padre, fece affrescar le pareti

del proprio Palazzo con scene tratte dall’Orlando Furioso di Ludovico Ariosto (ancor una

volta Ferrara: ma pensa un po’…) ed i suoi soffitti con la Creazione del Cielo. Una storia

fin troppo trasversale, tuttavia, per esser raccontata già adesso: lo faremo in un’altra

occasione, su…

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In fondo, c’è ancor tempo.