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Il sistema semantico dell’«Allegria» ungarettiana* di Luigi Paglia 1. Il sistema logico-semantico L’individuazione degli elementi logico-semantici 1 , dei principi generativi profondi del macrotesto dell’Allegria squaderna l’universo tematico fondamentale della raccolta, il quale si proietta e si realizza figurativamente nel sistema archetipico, ossia nella trama dei simboli, e nella costellazione metaforica, si attualizza operati- vamente nelle azioni dei personaggi, il più importante dei quali appare l’io lirico, e si dilata nelle coordinate spaziali e temporali. (*) Lo studio che viene qui presentato costituisce la documentazione e la tra- sposizione in forma saggistica del lavoro didattico, centrato monograficamente sull’analisi dei testi dell’ Allegria ungarettiana, condotto negli ultimi anni scolastici (an- che con l’ausilio del mezzo informatico, nel quadro della sperimentazione dello studio della Letteratura italiana col computer) con i miei alunni, del corso C del III I. T. C. per Programmatori “B. Pascal” di Foggia, ai quali viene dedicato il saggio. Esso, rispetto all’esperienza didattica, presenta un doppio processo: di dilatazione, per quanto riguarda il numero dei testi poetici esaminati (ridotti a quelli più signifi- cativi, in sede scolastica), e di sintesi, in quanto sono stati, ovviamente, eliminati i passaggi didattici necessari nell’esplicazione testuale, mentre vengono riproposti gli schemi grafici e i tabulati (che sono funzionali ad una migliore comprensione dei meccanismi semantici dei testi ungarettiani) per l’elaborazione dei quali, oltre al qua- drato semiologico greimasiano, di cui si dirà nella nota 1, è stato utilizzato il model- lo topologico dello spazio interno (IN) e dello spazio esterno (ES) elaborato dal Lotman (Cfr. nota 22). 1 - Nel delineare il sistema semantico dell’Allegria, si utilizzerà, con alcune modifiche, il modello elaborato da Greimas, e in particolare il cosiddetto quadrato semiologico che prevede tre tipi di relazioni, visualizzate nello schema grafico se- guente, tra i quattro termini della struttura elementare della significazione: una rela- zione di contrarietà (Es.: “bianco”- “nero”) e di subcontrarietà (Es.: “non nero” – “non bianco”), una di contraddizione (“bianco” – “non bianco” e “nero” – “non nero”) ed una di complementarità (“bianco” – “non nero” e “nero” – “non bian- co”). 23

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Il sistema semantico dell’«Allegria» ungarettiana*

di

Luigi Paglia

1. Il sistema logico-semantico L’individuazione degli elementi logico-semantici1 , dei principi generativi

profondi del macrotesto dell’Allegria squaderna l’universo tematico fondamentale della raccolta, il quale si proietta e si realizza figurativamente nel sistema archetipico, ossia nella trama dei simboli, e nella costellazione metaforica, si attualizza operati-vamente nelle azioni dei personaggi, il più importante dei quali appare l’io lirico, e si dilata nelle coordinate spaziali e temporali.

(*) Lo studio che viene qui presentato costituisce la documentazione e la tra-

sposizione in forma saggistica del lavoro didattico, centrato monograficamente sull’analisi dei testi dell’Allegria ungarettiana, condotto negli ultimi anni scolastici (an-che con l’ausilio del mezzo informatico, nel quadro della sperimentazione dello studio della Letteratura italiana col computer) con i miei alunni, del corso C del III I. T. C. per Programmatori “B. Pascal” di Foggia, ai quali viene dedicato il saggio. Esso, rispetto all’esperienza didattica, presenta un doppio processo: di dilatazione, per quanto riguarda il numero dei testi poetici esaminati (ridotti a quelli più signifi-cativi, in sede scolastica), e di sintesi, in quanto sono stati, ovviamente, eliminati i passaggi didattici necessari nell’esplicazione testuale, mentre vengono riproposti gli schemi grafici e i tabulati (che sono funzionali ad una migliore comprensione dei meccanismi semantici dei testi ungarettiani) per l’elaborazione dei quali, oltre al qua-drato semiologico greimasiano, di cui si dirà nella nota 1, è stato utilizzato il model-lo topologico dello spazio interno (IN) e dello spazio esterno (ES) elaborato dal Lotman (Cfr. nota 22).

1 - Nel delineare il sistema semantico dell’Allegria, si utilizzerà, con alcune modifiche, il modello elaborato da Greimas, e in particolare il cosiddetto quadrato semiologico che prevede tre tipi di relazioni, visualizzate nello schema grafico se-guente, tra i quattro termini della struttura elementare della significazione: una rela-zione di contrarietà (Es.: “bianco”- “nero”) e di subcontrarietà (Es.: “non nero” – “non bianco”), una di contraddizione (“bianco” – “non bianco” e “nero” – “non nero”) ed una di complementarità (“bianco” – “non nero” e “nero” – “non bian-co”).

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L’asse semico fondamentale appare quello stabilito sulla direttrice dei contra-

ri pace-guerra: la guerra è il tema ossessivo (anche se a volte rimosso) della raccolta, alla cui negatività si contrappone l’aspirazione, talvolta sottaciuta e sotterranea ma non per questo meno avvertita e intensa, alla pace, e all’armonia universale.

L’altro asse semico basilare, parallelo al primo, dei subcontrari è costituito dal rapporto vita-morte, poli vibranti della dialettica esistenziale e situazionale desi-gnata nel macrotesto.

Inoltre, poiché “ogni sistema semiotico è una gerarchia, le relazioni contratte

dai termini possono servire, a loro volta, da termini in grado di stabilire tra loro relazioni gerarchicamente superiori. In questo modo le due relazioni di contrarietà contraggono tra loro una relazione di contraddizione e le due relazioni di comple-mentarità stabiliscono tra loro una relazione di contrarietà, come ad esempio, nel cosiddetto quadrato di veridizione” (Cfr. la prefazione di P. Magli e M. P. Pozzato a A. J. GREIMAS, Senso 2, Milano, 1985, pp. V-VI, e, per ulteriori approfondimenti, A. J. GREIMAS, Del senso, Milano, 1974, p. 145 ss., e lo stesso Senso 2, p. 47 ss.).

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L’ “essere per la morte”, secondo la definizione di Heidegger2, rappresenta la condizione umana, è il dato fondamentale dell’esistenza, ma la guerra agisce co-me elemento catalizzatore, attualizzante, del dissidio vita-morte, dà ad esso il carat-tere di imminenza, di drammatica concentrazione e manifestazione.

Le relazioni di contraddizione, d’altra parte, mettono in luce l’irriducibilità della morte disumana, provocata dalla guerra (a cui è parificata la distruzione delle case, come in San Martino del Carso), alla dimensione della pace; mentre, simmetri-camente, la vita si oppone alla guerra (la morte appare come la signora della guerra, e la vita della pace).

Il superamento del contrasto guerra-pace può individuarsi nella fraternità, ossia nel riconoscimento della appartenenza alla stessa umanità (o, in termini cristia-ni, della discendenza umana dall’unico padre celeste), e nella solidarietà ed aiuto re-ciproco degli uomini; mentre quello tra la vita e la morte (che mette in luce l’umana limitatezza) si riposa e si annienta nella comunione con la natura, o, si proietta, in una dimensione cosmica o religiosa, nell’espansione della persona umana nell’immenso, o nel divino.

Le relazioni di contrarietà e subcontrarietà stabiliscono tra loro un rapporto di contraddizione, per cui la fraternità umana, la solidarietà, che attengono al campo umano, si oppongono alla proiezione nel non umano: la divinità, l’immensità, la natura.

La relazione di complementarità stabilita tra i termini pace-vita (che è indica-trice di positività: deissi positiva), che può essere individuata nelle caratteristiche, dislocate su vari livelli, psicologico, temporale e spaziale: della sicurezza, dell’apertura al futuro e all’ ES, e dell’immissione nel flusso storico, entra in contra-sto con le connotazioni della relazione, contraddittoria rispetto alla precedente e orientata sull’altra polarità complementare di guerra-morte (che rappresenta il ver-sante negativo: deissi negativa), che investe i livelli semantici della precarietà, della fissazione al presente (e al passato) e all’IN, e dell’uscita dalla dimensione della sto-ria.

Graficamente il sistema semantico dell’Allegria può essere visualizzato nel se-guente quadrato semiologico greimasiano:

2 - Cfr. M, HEIDEGGER, Sein und Zeit, Tubingen, 1927, traduzione italiana a c. di P. Chiodi: Essere e tempo, Milano, 1970.

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La lettura di alcuni testi dell’Allegria esemplifica i tratti del sistema delineato.

Come si è detto, il motivo fondamentale della guerra, e delle sue distruzioni, attra-versa quasi tutto il libro: da Soldati a San Martino del Carso, da Veglia a In dormiveglia, da Pellegrinaggio (“in queste budella/ di macerie”) a Vanità (“sulle macerie”), e diven-ta più dirompente proprio quando viene sottaciuto, collocato sotto traccia e quasi rimosso dalla coscienza e dalla rappresentazione, come nel caso di Natale, di Solitu-dine, di Dormire, di I Fiumi, di C'era una volta, di Peso (in cui l’unico accenno alla guer-ra: “Quel contadino soldato”, nell’edizione udinese del 1916, viene eliminato nella successiva edizione vallecchiana del 1919); mentre la pace rappresenta il termine sotterraneo di riferimento, l’elemento contrario di profondità, la filigrana in positi-vo (giacente nella sfera latente del subconscio, del sonno, del sogno o del ricordo -come avviene, per es., in C'era una volta, Natale, Dormire), della sequenza bellica nega-tiva; ed, inoltre, l’armonia, dilatata su scala cosmica, è la massima aspirazione dell’io lirico (“mi sono riconosciuto/ una docile fibra/ dell’universo// Il mio supplizio/ è quando/ non mi credo/ in armonia”, in I fiumi; “Resto docile/ all’inclinazione/ dell’universo”, in A riposo).

L’asse vita-morte, d’altra parte, è fondamentale nella visione poetica di tutta la produzione ungarettiana, ed in particolare nell’Allegria, apparendo in tutta la sua evidenza in testi esemplari, come S. Martino del Carso, Sono una creatura, e Veglia: in quest’ultima composizione i quat-

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tro elementi nodali del quadrato semiologico delineato compaiono contemporane-amente o, per dir meglio, emergono i temi della guerra, della vita e della morte, mentre quello della pace che balena in sottotraccia, prefigurato nel motivo dell’amore (“Ho scritto/ lettere piene d’amore”), rappresenta l’obiettivo profondo, anche se inespresso a livello denotativo, a cui tende il desiderio latente del poeta.

La fraternità (“Parola tremante/ nella notte” dell’esistenza, “Foglia appena nata” nel deserto umano) appare come il tentativo di superare il drammatico, abis-sale contrasto tra la guerra e la pace: la timida luce di riscatto dalla bestialità degli uomini si accende, appunto, in Fratelli, e in San Martino del Carso in cui è proiettata sull’esangue e muto mondo dei morti (così come nel testo proemiale dell’Allegria, In memoria, illumina e lenisce un’altra violenza, non quella bellica, ma che, tuttavia, esplode nella grande città estranea la stessa carica dirompente ed annientatrice della guerra).

D’altra parte, il tentativo di superare l’insanabile frattura tra la vita e la morte configura una pluralità di esiti, di direzioni di uscita: la comunione con la natura o con la divinità e la proiezione nell’immenso, che appaiono i riferimenti, disposti su una scala di minore o maggiore corrispondenza, del trittico Mattina, Solitudine, Dor-mire (il grido contro il cielo muto, l’identificazione col bianco silenzio del paesaggio nevoso, in cui è insinuato forse anche un abbandonarsi alla morte, e l’accecante e-spansione nell’immensità, comune anche alla diversa ubriacatura di La notte bella e di Universo); mentre il rovello conoscitivo sulla bramosia di Dio (“Perchè bramo Dio?”) che si acuisce in Dannazione entra in contrasto con l’ingenua religiosità del contadino-soldato di Peso, la quale appare come un talismano contro gli orrori della guerra.

Il rapporto di contraddizione tra le polarità di segno positivo (sicurezza, a-pertura al futuro ed all’ES, nel flusso della storia) e quelle negative (precarietà, fissa-zione al presente ed all’IN, nella stagnazione del tempo storico) determina il nume-ro maggiore di investimenti semantici. Il testo di più alta esemplarità della dialettica sicurezza-precarietà appare Soldati in cui l’incipit di stabilità (“Si sta”) viene rovesciato nella designazione massima dell’incertezza esistenziale la quale rappresenta il tema centrale anche di altri testi emblematici come Vanità (“Un’ombra// Cullata/ e pia-no/ franta”), Sereno (“Mi riconosco/ immagine/ passeggera// Presa in un giro/ immortale”), Fratelli (“involontaria rivolta/ dell’uomo presente alla sua/ fragilità”).

Naturalmente, l’universo semantico dell’Allegria appare molto più

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complesso ed articolato (ed anche più dialettico) dello schematico modello suggeri-to: per es., la pace, a volte, appare correlativa (coincidente e non oppositiva) alla morte (o alla sua prefigurazione, come avviene in Dormire), e la tranquillità di Natale potrebbe trasformarsi in stagnazione, senza la vitalità e il movimento della raffigu-razione del fumo-fuoco del caminetto; mentre la guerra può esasperare l’accensione vitale (come in Veglia).

Il quadro assiologico dei valori (e disvalori) della semantica fondamentale si converte, a livello di sintassi figurale, in un fare (agire, pensare, dire) antropologico3.

Il fulcro del sistema di operazioni antropologiche individuabili nell’Allegria, che si innesta sul quadrato semiologico delineato, è rappresentato, ovviamente, dall’io lirico (dalla sua complessità emotivo-psicologica, dalla dialettica conscio-inconscio, dalle rappresentazioni e proiezioni psichiche), oltre che dalla serie dei personaggi (soldati, amici vivi e morti, donne ecc.) che svolgono quasi sempre un ruolo di comparse o comprimari, per cui si è potuto parlare da parte di Bàrberi Squarotti della centralità tolemaica dell’io che si pone al punto di intersezione dei vari rapporti di contraddizione o di interazione.

2. L’universo archetipico-simbolico Il quadrato semiologico trova la quasi perfetta corrispondenza (o la proie-

zione) nel sistema simbolico la cui organizzazione è orientata in modo binario sui piani superiore ed inferiore ed è polarizzata sui versanti positivo e negativo. Infatti, gli archetipi, appartenenti alla sfera superiore, del cielo, dell’aria, del fuoco, del sole, della luce, che appaiono in rapporto di complementarità (ed interdipendenza) con gli altri archetipi (della sfera inferiore) della terra, della vegetazione, dell’acqua, della luna, dell’oscurità4, sono orientati sulla polarità positiva (della vitalità o creatività, o della presenza) o negativa (della distruttività o della loro assenza), così che

3 - Cfr. A. J. GREIMAS, Senso 2, cit., pp. 45-63 e 131-149 e l’introduzione di Magli e

Pozzato, p. VII. 4 - Gli archetipi del Cielo e della Terra, Fuoco ed Acqua, Sole e Luna ecc., che si co lloca-

no in posizione di complementarità ed interdipendenza, secondo la tradizione orientale sono riconducibili ai principi dello Yin e dello Yang di cui è da sottolineare (e

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anche la loro articolazione assume configurazione quadripartita (in corrispondenza coi principi logico-semantici elementari precedentemente individuati di pace vs guerra e di vita vs morte):

[ARMONIA - CARITA - PACE] [GUERRA]

CIELO - ARIA CIELO LONTANO 0 NEMICO

FUOCO - SOLE - LUCE SOLE - FUOCO DI-STRUTTIVI

TERRA - VEGETAZIONE TERRA DESOLATA - DE-SERTO - PIETRA

ACQUA - LUNA - OM-BRA

ARIDITA - VEGETAZIO-NE SREGOLATA

ACQUA DISTRUTTIVA o ASSENTE o

STAGNANTE - GHIAC-CIO

[AMORE - EROS - VITA] [MORTE]

Bisogna, infatti, ricordare la caratteristica della bivalenza degli archetipi, il lo-

ro fluttuare, ambiguamente, da un campo semantico all’altro (ed anche la loro dia-lettica interna), estendendosi essi sul doppio versante, positivo e negativo, della creatività o della distruttività. Per es., il simbolo solare può inserirsi nella figurazione del cielo, ed avere una connotazione di creatività, o, al contrario, trasformarsi in un principio di distruttività, in analogia con la sfera del fuoco anch’esso fluttuante tra negativo e positivo; così come la terra può essere attratta nel campo dell’acqua e della vegetazione, o nel campo opposto della petrosità, dell’aridità; inoltre, anche l’acqua connotata nel senso della fertilità, può rovesciarsi nell’opposto campo della distruttività5.

visibile nel simbolo globale Yin-Yang) l’indivisibilità, la compenetrazione, ed anche la particolarità che il primo elemento procede dall’altro e viceversa. Cfr. R. GUE-NON, La Grande Triade, Milano, 1980, pp. 39-45; cfr. anche M. ELIADE, Traité d'histoire des religions, Paris, 1948, trad. ital. Trattato di storia delle religioni, Torino, 1976, p. 42 ss., e FUNG YU-LAN, Storia della filosofia cinese, Milano, 1975, p. 109 ss.

5 - Sulla bipolarità degli archetipi, cfr. E. FROMM, Il linguaggio dimenticato, Milano, 1972; e il mio saggio Il rovesciamento del tempo solare nei «Preludes» di Eliot, in «RAPPORTI», n. 18-19, 1980, pp. 37-54.

Sul rovesciamento semantico degli archetipi in un’altra opera ungarettiana, La Terra Promessa, si veda il mio saggio L'inversione delle connotazioni espansive sul piano

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E’ evidente che i simboli debbano essere inseriti e decifrati nel contesto del

mondo semantico che essi contribuiscono ad attivare, e che debba, quindi, essere rimossa la tendenza che “isola i simboli come [ ... ] oggetti da conoscere negandone il radicamento soggettivo e la mobile complessità e che soffre di una segreta limita-tezza metafisica (corsivo nel testo)”6.

Si cercherà di delineare un quadro di riferimento sintetico del sistema simbo-lico ungarettiano, rinviando per un esame testuale più articolato all’analisi delle sin-gole poesie in altri miei studi.

2.1 Il cielo è esplicitamente richiamato in Notte di maggio ed investito delle

connotazioni dell’armonia e della comunione cosmica nella suggestiva raffigurazio-ne della collocazione “in capo ai minareti” delle “ghirlande di lumini”, immagine che sembra insinuare l’idea delle nozze tra cielo e terra (e tra l’elemento maschile e quello femminile) e, quindi, della massima possibilità di unione e di compenetrazio-ne fisica e psicologica, estendendosi altresì al campo archetipico della fecondità e della vegetazione con il riferimento metaforico alle “ghirlande”.

Ma il punto più alto della comunione con l’universo viene raggiunto in Mat-tina, con l’espansione dell’io nell’immensità, e con il rispecchiamento della irradia-zione luminosa (mentre, simmetricamente, in Solitudine7 l’armonia viene rovesciata nel negativo dell’indifferenza o della mancata comunicazione celeste: il grido verso il cielo che ricade sull’emittente), e nella Notte bella in cui l’ubriacatura d’universo viene coniugata alla figurazione, questa volta esplicita, delle nozze, simbolo -come si è detto di comunione, ed alla metafora di fusione figlio-madre: “Ora mordo/ come un bambino la mammella/ lo spazio” ed, inoltre, a locuzioni metaforiche relative al campo semantico dell’acqua (“sorgiva” e “stagno di buio” in cui appaio-no, rispettivamente, l’insorgenza e la latenza della dilatazione vitale) o del vino, pro-dotto della terra (“ubriaco d’universo”).

In Sereno, l’armonia interiore dell’io lirico viene raggiunta nella dialettica tra il riconoscimento, collegato allo svelarsi delle stelle, dei limiti

spazio-temporale-antropologico negli ungarettiani «Cori di Didone», in «CRITICA LETTERARIA», n. 78, 1993, pp. 85-95.

6 - Cfr. J. CHEVALIER e A. GHEERBRANT, Dizionario dei simboli, Milano, 1986, p. XXIX.

7 - Per un esame più approfondito delle poesie Mattina, Solitudine e Dormire, si rimanda al mio lavoro: Configurazione dei rapporti spaziali in un trittico dell’«Allegria» ungarettiana, in «OT-TO/NOVECENTO», n. 6/1992, pp. 147-152.

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umani e la rivelazione della sconfinata apertura del cielo (“Respiro/ il fresco/ che mi lascia/ il colore del cielo// Mi riconosco/ immagine/ passeggera// Presa in un giro/immortale”), cosi come in Godimento la febbrile vitalità dell’archetipo luminoso che matura dolcemente, sul piano della metaforica vegetazione, il frutto della gior-nata, si oppone all’insignificanza esistenziale, al rimorso-latrato nel panorama arido ed infecondo del deserto metaforico.

In Inizio di sera si realizza il raddoppiamento, sul versante positivo, dell’energia radiante e vitalizzante del sole e del principio di fertilità della potenziale acqua delle nuvole; tale figurazione, nella quale si può anche intravedere la compe-netrazione dei principi maschile e femminile (“nuvole colme/ trapunte di sole”), ritorna nell’immagine analogica (“Come una nuvola/ mi filtro nel sole”) di Trasfigu-razione nel cui testo la dialettica cielo-terra si potenzia e si moltiplica (nel gremirsi di motivi erotici e di fecondità) nella vita brulicante della terra (la cui feracità si proietta nella metaforica pienezza del frutto vegetale e di quello umano del bimbo) e nella prospettiva delle “fasi del cielo”, e trova la sua diffusione (e conclusione) nel “ba-cio” cosmico, e il suo inizio (e la sua motivazione) nell’eredità biologica della gente contadina, nella scoperta delle origini (“Ben nato mi sento/ di gente di terra”).

A riposo prospetta l’alternanza tra fasi di espansione e di ripiegamento interio-re: in un primo tempo si attua il raddoppiamento (e l’interazione) dei due principi vitali del sole e dell’acqua, a significanza della massima espansione creatrice dell’universo e dell’armonico inserimento dell’io nel ciclo vitale; le espressioni terre-stri restano fecondate dall’azione combinata dei due princìpi: l’erba “flessuosa” è seminata di gocciole di sole, le montagne subiscono la transustanziazione metafori-ca nell’acqua (“sorsi”), ed entrano in sintonia col cielo.

Nella seconda fase, il rovesciamento della situazione di sublimazione presen-ta il correlativo oggettivo della discesa dall’elevato e sconfinato spazio esterno al sottostante e limitato spazio interno, e dalla luce al buio, anche se tale movimento implica la trivellazione vitale dei territori psichici profondi (“E m’oscuro in un mio nido”).

In Monotonia, l’archetipo celeste dell’aria appare sottoposto ad una straordina-ria dialettica interna, in quanto oscillante tra i due poli della depressione e del lan-guore, da una parte, e dell’armonia e della sublimazione, dall’altra, in relazione alla diversificazione temporale presente-passato ed alla variata serie delle figurazioni metaforiche che connotano, sui due piani sensoriali visivo e auditivo, rispettivamen-te, la declinazione

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luminosa (“appannata”, “cecità”, “consunzione”), e l’armonia musicale (“arpeg-gio”).

La comunione e l’armonia con l’universo sono raggiunte in Risvegli, dopo l’immersione nel vivificante “bagno / di care cose consuete”, nel segno della piog-gia celeste (“le nuvole che si sciolgono” e le “gocciole di stelle”) e sono connotate in Annientamento dalla trasmutazione dell’io lirico nel principio aereo del “volo di nubi”, dopo la sua trasmigrazione attraverso le tappe simboliche della vegetazione e dell’acqua.

2.2 Il tema della distruzione (nel segno del ferro e del fuoco bellico) è coniu-

gato in San Martino del Carso e in Pellegrinaggio in tutta la sua carica dissolvente, refe-renziale e metaforica, con la stessa tipologia di immagini (“Brandello di muro” e “budella di macerie”, “ho strascicato / la mia carcassa / usata dal fango / come una suola”) e viene dilatato anche sul versante degenerativo del campo semantico dell’acqua (“fango”) e della corporeità umana (“brandello” e “carcassa”), oltre che sul terreno della petrosità (“muro” e “queste [ ... ] macerie”), e dispiegato nella di-mensione della affermazione dello strazio del cuore o dell’illusorio desiderio di me-taforica liberazione dalla tragedia della guerra (“E' il mio cuore/ il paese più stra-ziato” e “un riflettore [ ... ] mette un mare / nella nebbia”).

Anche le “macerie” di Vanità, segni della cieca distruzione della guerra, ap-paiono come i correlativi, nel campo delle espansioni-costruzioni umane, della morte dell’uomo, e della sua fragilità improvvisamente scoperta (davanti al “limpi-do/ stupore/ dell’immensità”, a contatto coi simboli della vita: acqua e sole) ed accettata e sublimata nella comunione universale.

La distruttività della guerra appare correlata, in modo evidentissimo, alla vio-lenza esercitata sulla notte e sull’elemento positivo dell’aria (“Assisto la notte violen-tata// L’aria è crivellata [ ... ] dalle schioppettate/ degli uomini / ritratti/ nelle trin-cee”), nonché alla profanazione della terra (per lo scavo delle trincee) nel testo di In dormiveglia, mentre in Fratelli la violenza bellica, che egualmente produce i suoi effetti dissonanti (“Parola tremante/ nella notte”, “Nell’aria spasimante”) sulla simbologia positiva dell’aria (e della notte), trova un inizio di riparazione e di conversione nel segno vitalizzante dello spuntare (metaforico) della vegetazione (“Foglia appena nata”).

La simbologia distruttiva del fuoco (“Reggo il mio cuore/ che s’incaverna/ e schianta e rintrona/ come un proiettile”; “ Guardo l’orizzonte/ che si vaiola di crateri”), mutuata dal contesto bellico, appare in tutta la sua carica dirompente in Perché?, in correlazione metaforica col “cuore” della

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dramatis persona la quale è ulteriormente paragonata alla sostanza inerte (che richiama la pietra “così prosciugata/ così refrattaria” di Sono una creatura), e quindi priva del potere vitalizzante dell’acqua, deteriorata, infine, nella sua compattezza materica (“scaglia dei sassi tarlati/ della improvvisata strada/ di guerra”), che appare figura emblematica della guerra e della morte; tuttavia, l’io lirico appare attratto in un mo-to di levitazione e di liberazione dalla prigione della guerra e del tempo, e dal “buio” del momento storico, moto che trova il suo ‘veicolo’ metaforico nell’ “er-ba” che “vuole tremare piano alla luce” nella cui formulazione appaiono i due sim-boli vitalizzanti della vegetazione e della luce, richiamati, egualmente, nella settima strofe negli “zampilli” (acqua), e nei “razzi” (luce) i quali perdono la loro figura di segnali di guerra.

Appare evidente in Ricordo d'Affrica la polarità negativa del simbolo solare (“Il sole rapisce la città”) sganciato dall’affinità col cielo, e spostato, invece, nel campo distruttivo del fuoco (rimandando ad altri ‘luoghi’ ungarettiani: il “sole belva” di Foggia nel Deserto e dopo 8, Di luglio ecc.), così che si identifica e si unisce con la mor-te, anzi cancella perfino le tombe col suo fulgore annientante (in una sorta di figura-zione di morte al quadrato): l’energia vitale si rovescia in distruttività, e la luce in oscurità.

In Fase d'Oriente, invece, il simbolo solare è trasferito nella dimensione indivi-duale, sul piano della guerra e della devastazione interiore, ed evidenziato nella sua carica compressiva nella figurazione della vendemmia umana, correlativo esterno della interna consumante arsione, della devastante tempesta erotica che scarica il suo peso opprimente anche sulla terra, deviata dal suo ruolo creativo, dopo la vanifica-zione dell’illusiva prospettiva equorea delle “infinite promesse”, dopo la dispersione delle connotazioni acquatico-vegetative (“molle”, “germogli”, “lago”) che pure, in un primo tempo, si innestano dialetticamente sull’esplosione della violenza erotica.

2.3 La polarità della petrosità, dell’aridità, della mancanza d’acqua, talvolta in

connessione con lo sfiorire della vegetazione e il declinare della luce, spalanca il ne-gativo della morte, e l’eclissi dell’amore.

La morte dell’amico Moammed Sceab diffonde la desolazione nell’ “appassi-to vicolo in discesa” (In memoria) e nel buio dello “Spazio nero infinito” e delle “ul-time oscurità” (Chiaroscuro).

8 - Cfr. Il Tavoliere, in Il deserto e dopo, Verona, 1961, p. 328.

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In Agonia la morte è mancanza dell’elemento vitale dell’acqua nella proiezione

analogica “Morire come le allodole assetate” che allude alla desolazione e alla mor-te psichica del personaggio intratestuale, così come la stagione autunnale, con la spoliazione della vegetazione: la caduta delle foglie, egualmente connota la morte (o la precarietà dell’esistere) in Soldati.

La distruttività della guerra e l’incombente presenza della morte sono colle-gate alle connotazioni negative della durezza e della refrattarietà della pietra, caratte-ristiche dilatate al massimo dell’espressività (e dell’espressionismo) in Sono una creatu-ra in cui anche il pianto appare prosciugato e la morte si paga con la dilungata morte dell’esistenza.

Nel testo di In galleria, l’archetipo equoreo si manifesta, sul versante degene-rativo, nelle figurazioni dello stagno e del ghiaccio che connotano l’indifferenza e la lontananza del cielo, a cui corrisponde, sul piano umano, “l’acquario/ di sonnam-bula noia”.

Nei Fiumi viene realizzata una straordinaria operazione dialettica che eviden-zia l’energia radiante degli archetipi attivi nel testo. Sul versante negativo appaiono la folgorante immagine dell’ “albero mutilato” (in cui vengono connotate la morte o la ferita dell’ “albero della vita”, l’interruzione dei processi vegetativi) ed, inoltre, i segni dell’aridità della “dolina” (mentre l’immagine conclusiva della “corolla di te-nebre” risulta ambiguamente oscillante tra i connotati della depressione e dell’espansione).

Ma la composizione rovescia nel positivo i segnali di negatività (e ciò costi-tuisce un’anticipazione dei motivi presentati nella sezione successiva), investendo il campo semantico della morte (“urna”, “reliquia”) dei connotati lievitanti della vita, e spalancando l’orizzonte dell’archetipo acquatico con la reiterazione insistente dei lessemi relativi al campo semantico acqueo (“acqua”, “fiumi” e la nominazione dei quattro fiumi) nel cui segno avviene il viaggio all’ndietro nel tempo (e nello spazio) attraverso le epoche della vita dell’io lirico, ed anche più indietro, nella discesa nelle passate generazioni in una trivellazione stratigrafica alle fonti della vita.

2.4 L’archetipo dell’acqua nella poesia dell’Allegria, individuato per primo da

Macrì 9 ed indagato nelle sue articolazioni e diramazioni nella 9 - Cfr. O. MACRI’, Aspetti rettorici e esistenziali dell'«Allegria», in ID. Realtà del simbolo.

Poeti e critici del Novecento italiano, Firenze, 1968, p. 26 ss.

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finissima analisi di Ossola10, connota il viaggio alle fonti della parola (come è evi-dente nella poesia Il porto sepolto: “Vi arriva il poeta/ e poi torna alla luce con i suoi canti”) e alle scaturigini della vita, che si confonde nel profondo con la morte (nella riconduzione allo stesso principio di virtualità e di latenza, da cui scaturisce la vita ed a cui approda la morte), in Universo (“Col mare/ mi sono fatto/ una bara/ di fre-schezza”); mentre, correlativamente, viene proposto il tema del ritorno al nido, do-po il naufragio (in Allegria di naufragi: “E subito riprende/ il viaggio/ come/ dopo il naufragio/ un superstite/ lupo di mare”), dell’approdo al suolo patrio, del riposo nella culla paterna (si veda tutto il testo di Italia: “Ma il tuo popolo è portato/ dalla stessa terra/ che mi porta/ Italia [ ... ] mi riposo/ come fosse la culla/ di mio pa-dre”) dopo gli innesti, tra l’altro fecondi, di altri linguaggi e culture, sintomatica-mente presentati con metafore e termini lessicali attinti dal campo semantico della terra e della vegetazione, contiguo a quello acquatico (“Sono un grumo di sogni”; “Sono un frutto/ d’innumerevoli contrasti di innesti/ maturato in una serra”).

L’archetipo acqueo, spesso collegato a quello della vegetazione, non si identi-fica solo con l’immagine materna del nido, ma investe anche l’universo dell’amore, per cui in alcuni testi si rivela la potente carica erotica, anche se, talvolta, sottoposta ad un processo di sublimazione attuata con la distillazione variantistica, o dissimula-ta con sottile allusività11. Si veda, per es., la connotazione erotica della prima versio-ne di Popolo: “Al brusio campestre/ fragranti svolazzi di maree/ raccordati nelle con-chiglie/ amuleto d'amore” che, attraverso le redazioni intermedie, si trasforma, nella lezione definitiva, nel verecondo dettato di “Alveari nascono nei monti/ di sperdu-te fanfare//Tornate antichi specchi/ voi lembi celati d’acqua” .

Correlativamente, la privazione d’amore è raffigurata come assenza d’acqua (e come distesa desertica), come penuria del liquido vitale verso cui si protende il desiderio: la ricerca senza soste dell’io.

Luoghi esemplari del collegamento dell’archetipo acqueo col fermento d’amore sono il “pozzo d’amore” di Fase, connesso con gli emblemi vegetativi (e la metafora zoomorfa): “Agli abbandonati giardini/ ella approdava / come una colomba [ ... ] le ho colto/ arance e gelsumini", e l’“oasi/ al nomade d’amore” di Tramonto in cui convergono dialetticamen-

10 - Cfr. C. OSSOLA, Giuseppe Ungaretti, Milano, 1982, p. 234 ss. 11 - Si legga, a questo proposito, la puntuale analisi di C. OSSOLA, op. cit., p. 236 ss.

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te i due principi opposti dell’arido e dell’umido, raccordati nella parabola del mo-vimento: la simbologia dell’acqua e della vegetazione (“oasi”) e quella del viaggio desertico (“nomade”) connesse al desiderio erotico (“amore”).

Sul terreno della privazione erotica si svolge, in Lindoro di deserto, la corri-spondente metafora della sete, rafforzata e collegata all’altra metafora tratta dall’ambiente marino, del corallo: “Col vento si spippola il corallo/ di una sete di baci”, sete che viene allontanata dalla espansione spaziale del viaggio, che ha il correlativo nel movimento del vento: “ Ora specchio i punti del mondo/ che avevo compagni/ e fiuto l’orientamento// Sino alla morte in balia del viaggio”.

In Attrito, che egualmente coniuga il motivo del viaggio con quello erotico, la “fame di lupo” si rispecchia nel “mare libidinoso”, ed ancora legata al motivo dell’acqua appare la visione amorosa di Giugno (“Nella trasparenza/ dell’acqua/ l’oro velino/ della tua pelle/ si brinerà di moro”).

I testi delle ultime due sezioni dell’Allegria potenziano la portata dell’archetipo polivalente: tellurico - equoreo - vegetale - femminile -materno, con la rivelazione, in Si porta, dello “sforzo occulto” della resurrezione primaverile (e della rinascita umana) che egualmente ‘grida’ in Ironia (“Odo la primavera nei neri rami indolenziti”), e con l’esplicita identificazione terra - vegetazione --madre di Prato (in cui la tenera leggerezza vegetale è parificata al sorridente pudore della ma-dre). La polimorfa figurazione di fecondità si rinnova e si dilata in Lucca nella meta-fora erotica “Nelle cosce fumanti della terra”, e nella dichiarazione della fecondità dell’amore (e della sua “garanzia” di sopravvivenza “della specie”), ed acquista uno straordinario rilievo in Scoperta della donna in cui si realizza la convergenza delle istan-ze vitali della “solennità feconda” della donna, delle acque (insinuate dal lessema “sorgenti”), della notte e della luna, nella circolarità potenziata dell’archetipo fem-minile (sul versante dell’amore permesso ed anzi doveroso, mentre l’esclusione dell’ “appetito maligno” viene correlata alla dissolvenza della apparizione metamorfica donna-acqua, della visione delle “belle brune/ vestite d’acqua”, in Un sogno solito).

Permane, e si moltiplica proprio con la prospettiva (in avanti) della continuità della specie, l’accanita ricerca delle origini, della “vita iniziale” (indietro), e del “paese innocente” (nella coincidenza del moto in avanti ed indietro) in Girovago, e si fa sempre più chiaro il sentimento dell’atavica eredità del sangue in Lucca (“Ora lo sento scorrere caldo nelle mie vene, il sangue dei miei morti”).

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3. La costellazione metaforica e la concentrazione sintattica Il linguaggio poetico dell’Allegria appare sottoposto ad un doppio processo:

il primo si svolge sul piano della concentrazione sintattica, dell’ellissi narrativa, della segmentazione rnolecolare a livello metrico (fino al caso estremo della coincidenza del verso con la parola bisillaba, o monosillaba, come per es.: “Qui”, “Sto” in Na-tale, in cui, tra l’altro si realizza, come ricorda Ossola12, la disgiunzione tra l’articolo e il nome, “come una/ cosa”, “in un/ angolo”, “di” in Annientamento, “Sto” in Tra-sfigurazione) per cui la parola (o la sillaba) si stacca isolata nel verso o nella strofa (e tale procedura realizza il famoso ‘sillabato’ ungarettiano), e appare come un grumo semantico rimarcato, anche per l’assenza di punteggiatura, nello spazio bianco, sia orizzontale che verticale, che connota fortemente la struttura compositiva anche sul piano iconico; d’altra parte, viene realizzato un secondo procedimento di diffusione del senso a livello metaforico-semantico, pur nella fulminea sinteticità degli acco-stamenti analogici (per cui alla massima concentrazione sintattico-narrativo-metrica corrisponde il massimo di espansione metaforico-semantica).

Tali procedimenti di condensazione e di diffusione trovano una speculare corripondenza, sul piano attoriale-figurativo, nella centralità (e nell’egemonia) della figura dell’io rispetto alle altre presenze umane e nel contesto situazionale (posizione segnalata, a livello grammaticale, dalla costellazione pronominale di prima persona e dai deittici di vicinanza) e nell’espansione (e comunione) dello stesso io.nel coro umano (“un grido unanime”), e, in una dimensione ancora più spalancata, nel co-smo (certificata dal lessico: “immenso”, “universo”, “mi diffondo”, “bacio”, e dai deittici di lontananza), nonché, su un piano di contiguità, nel procedimento di astra-zione -o universalizzazione - dei dati della realtà, evidente nella nutrita serie lessicale di astrazione e di indeterminazione. Le procedure predette, inoltre, sono proiettate sul piano dei rapporti spaziali e temporali, in quanto la fissazione nella situazione e nel presente trova a volte il rovesciamento e il punto di fuga nello scatto di libera-zione e di levitazione, nella conversione nell’ES più spalancato ed eccentrico, e nel passato più lontano e profondo.

Non si insisterà sulla scansione metrica degli enunciati né sulla “posizione to-lemaica dell’io”, per usare una illuminante definizione di Giorgio

12 - Cfr C. OSSOLA, op. cit., p. 271.

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Bàrberi Squarotti13, che è certificata da quasi tutti i testi dell’Allegria, e sulla correla-tiva espansione dell’io nell’universo, che appare esemplare nella vertiginosa prospet-tiva di Mattina (“M’illumino/ d’immenso”) o della Notte bella (“Ora sono ubriaco/ d’universo”), nella conversione dal punto alla sfera, dall’io all’universo.

Non ci si fermerà molto neppure sull’aspetto, correlato al precedente, di a-strazione o sublimazione (e di universalizzazione) dei dati della realtà, dopo le acca-nite analisi condotte sull’argomento, anche se da prospettive diverse, da Gutia14 , e da Ossola il quale sottolinea puntualmente che “Ungaretti accentuerà, a preferenza dell’apposizione, l’uso della specificazione, del genitivo che lungi dal rendere parti-colare il generale, compia precisamente il processo opposto: cioè di rendere univer-sale il particolare, di togliere i confini al limitato e renderlo indefinito, svuotando di consistenza gli oggetti metaforizzati e dislocandoli nel puro spazio norninale”, se-gnalando le metafore prepositive di transizione “dal singolare al molteplice, dal definito all’indefinito”15 e le “catene nominali di specificazioni in cui ogni nuovo elemento generalizza semanticamente l’altro”16.

Bisogna aggiungere che le concatenazioni metaforiche, presenti nei testi dell’Allegria, sono spesso introdotte in modo dissimulato, attuate con raccordi inso-liti come le preposizioni “in”, “nel”, “nella”: “Il sole si semina in diamanti/ di goc-ciole d’acqua” (Lindoro di deserto); “Si dilatano le montagne/ in sorsi d’ombra lilla/ e vogano col cielo” (A riposo); “La

13 - Cfr. G. BARBERI SQUAROTTI, Astrazione e realtà, Milano, 1960, p. 147 ss. 14 - Cfr. I. GUTIA, Linguaggio di Ungaretti, Firenze, 1959, pp. 27-46. 15 - Ecco l’elenco, segnalato da OSSOLA, Op. cit., p. 253, delle metafore prepositive in

cui si realizza il passaggio “dal singolare al molteplice, dal definito all’indefinito”: l’occhio di stelle” e “acquario/ di sonnambula noia” (In galleria); “volo di nubi” (Annientamento); “balau-strata di brezza” (Stasera); “terrazza di desolazione” (Lindoro di deserto); “occhio di millunanot-te” (Fase); “abbraccio di lumi” (Silenzio); “gocciole di stelle” (Risvegli); “declivio di velluto” (C'e-ra una volta); “corolla di tenebre” (I fiumi); “bara di freschezza” (Universo); “ubriaco d’universo” (La notte bella); “grumo di sogni” (Italia); “capriole di fumo” (Natale); “campana fioca/ del cielo” (Solitudine); “tagli/ mobili/ dell’ombra” (Giugno); “globo del tempo” (Dal viale di valle); “vestite d’acqua” (Un sogno solito); “ombra/ del/ sonno” (Levante).

16 - Le catene nominali di specificazioni, individuate da OSSOLA (Op. Cit. p. 253) so-no presenti in Fase d'Oriente (“Un turbine/ di germogli di desiderio” e in Malinconia (“Abban-dono dolce di corpi/ pesanti d’amaro”) e acquistano maggiore evidenza nelle prime redazioni della stessa poesia e di Nostalgia.

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vita si vuota/ in diafana ascesa/ di nuvole colme/ trapunte di sole” (Inizio di sera); “Nella trasparenza/ dell’acqua / l’oro velino/ della tua pelle/ si brinerà di moro”; “Poi vedrò/ nell’orizzone di bitume delle tue iridi/ morirmi le pupille” (Giugno): enunciati tutti in cui si incrociano molteplici fili semantici su diversi livelli (metaforici, sinestetici, ossimorici ecc.).

La modalità più evidente del processo astrattivo è rappresentata dall’annullamento del particolare, e dall’espansione dell’indefinito e dell’infinito rea-lizzata con la estesissima serie degli attributi fondati sulla negazione: (“infinito”, “senza fine”, interminabile”, “illimitato”, “inafferabile”, “inviolabile”, inesprimibi-le”, “inesauribile”, “immortale”, “innumerevole”) o sulla mancanza di limiti tempo-rali o spaziali (“eterno”, “vasto”, “oceanico”, “esteso”, “fondo”, “immenso”)17.

Ci si soffermerà più estesamente sul procedimento di condensazione sintatti-ca indotta dalle ellissi narrative o enunciative e dalle folgoranti connessioni analogi-che, e su quello, correlato e speculare, della dilatazione a livello metaforico-semantico.

Le ellissi sono evidenti nell’eliminazione degli antefatti, nei salti narrativi o e-splicativi, nella condensazione nel titolo o nei deittici delle circostanze e del contesto situazionale.

In Fratelli è registrata del colloquio e della situazione solo la battuta di do-manda dell’io lirico: “Di che reggimento siete/ fratelli?”, e sull’appellativo viene costruita, per ardui salti lirici e metaforici, tutta la composizione.

In C’era una volta viene realizzato uno straordinario salto logico, narrativo (e spaziale), indotto dal flashback (marcato dallo stacco strofico) della memoria, o dal sogno (la cui sintassi, evidentemente, attrae nella sua orbita il discorso poetico), e dalla correlativa oscillazione lontano-vicino segnalata dai deittici di lontanananza e vicinanza (rimarcati dall’epifora e dalla reiterazione epanaforica): “poltrona// Ap-pisolarmi là/ in un caffè remoto con una luce fievole/ come questa/ di questa luna”.

Solamente il ritorno sul titolo e sul “Ma” iniziale lascia presupporre in Solitu-dine il ‘non detto’, la catena dei pensieri e delle sofferenze sprofondati nel silenzio; mentre la folgorante sintesi di Mattina squaderna un intero universo nel breve cer-chio di sette sillabe.

17 - Il lessico astrattizzante ed universalizzante dell’Allegria è stato già individuato con

precisione da GUTIA, op. cit., pp. 89-101, e da OSSOLA, op. cit., p. 254.

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Natale fa registrare non solo l’eliminazione degli antefatti e delle situazioni (i

giorni di licenza trascorsi a Napoli in casa dell’amico Gherardo Marone, solo indi-rettamente suggeriti dal titolo e dal sottotitolo, e dal deittico “Qui”), ma anche della battuta iniziale del dialogo (il probabile invito dell’amico a fare una passeggiata), affinché siano raggiunte la massima concentrazione ed evidenza dei motivi poetici e psicologici maggiormente incidenti (come quello sotterraneo del peso insostenibile della guerra).

Le situazioni di guerra, o di rimozione del pensiero della guerra, sono insi-nuate in alcuni testi solo dall’uso dei deittici, o da pochi particolari: “Come questa pietra/ del S. Michele” (Sono una creatura), “Di queste case” (San Martino del Carso, in cui anche il titolo segnala la situazione), “in queste budella/ di macerie” in Pellegri-naggio, “questa contrada [ ... ] dell’improvvisata strada/ di guerra [ ... ] l’orizzonte/ che si vaiola di crateri” (Perché?), “Vorrei imitare/ questo paese” (Dormire), “Qui/ non si sente/ altro/ che il caldo buono” (Natale), e, nei Fiumi, “quest’albero mutila-to [ ... ] questa dolina”, in contraddizione con lo spalancarsi della prospettiva me-moriale dei fiumi fondamentali nella vita del poeta: il Serchio, il Nilo, la Senna, e-gualmente segnalati dalla percussiva sequenza ripetitiva “Questi sono - Questo è - Questa è”, oltre che dal deittico di lontananza “in quel suo torbido”.

Sulla scorta della definitive argomentazioni sulla deissi di Benveniste18, si può affermare che i dimostrativi ungarettiani trasferiscono in un’altra dimensione l’unicità della situazione di discorso connessa alla deissi: viene attivato uno straordi-nario meccanismo di traslazione linguistica per cui vengono rese interattive le carat-teristiche della concretezza, particolarità,

18 - Cfr. E. BENVENISTE, La natura dei pronomi, in ID., Problemi di linguistica generale,

Milano, 1971, pp. 304-5: “la deissi è contemporanea alla situazione di discorso che porta l’indicatore di persona; il dimostrativo trae da questa referenza il suo carattere ogni volta unico e particolare, che è l’unicità della situazione di discorso alla quale si riferisce”. Il grande linguista aggiunge che è un fatto originale e fondamentale che le forme della deissi “non rimandino né alla «realtà» né a posizioni «oggettive» nello spazio o nel tempo, ma all’enunciazione, ogni volta unica, che le contiene, e riflettano così il loro proprio uso. L’importanza della loro fun-zione è commisurata alla natura del problema che esse contribuiscono a risolvere, che altro non è se non quello della comunicazione intersoggettiva. Il linguaggio ha risolto il problema crean-do una serie di segni «vuoti», non referenziali in rapporto alla realtà, sempre disponibili, e che diventano «pieni» non appena un parlante li assume in ogni situazione del suo discorso. Privi di referenza materiale, non possono essere male impiegati; poiché non asseriscono nulla, non sono sottoposti alla condizione di verità e sfuggono ad ogni possibilità di negazione”.

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singolarità e contemporaneità dell’esperienza personale dell’io, da una parte, e, dall’altra, dell’astrazione, universalità, partecipazione ed estensione temporale della trasfigurazione poetica19.

L’uso dei deittici, proprio perché assomma la personalizzazione e l’universalizzazione dell’esperienza, sottolinea ulteriormente la presenza assorbente dell’io lirico, attratto in un moto di dilatazione nell’universo, delineata a livello figu-rativo e psicologico.

Sono sempre i deittici, di vicinanza o di lontananza, ad alludere ad altre situa-zioni soprattutto temporali o atmosferiche, ma anche emotive: “In quest’oscuro” in Un’altra notte, “questa/ piena di luce”, “questa/ giornata”, “stanotte” in Godimento, “questa notte” in Giugno, “questo mio silenzio” in Commiato, “Fermato a due sassi”, “sotto questa/ volta appan-

19 - Sui dimostrativi,”questo” che si muta in “quello”, nell’Infinito leopardiano, Unga-

retti ha scritto alcune osservazioni memorabili: “Mi sembra trattarsi di un rapporto di illusione d’infinito a finito analogo a quello stabilito dai due verbi - il primo al passato remoto, l’altro al presente - dei tre versi d’inizio [ ... ] Per una distrazione degli occhi che improvvisamente non vedono più gli oggetti circostanti; ma con stupore li ritrovano, infinitamente più seducenti, nella mente - ciò che è presente è inavvertitamente passato nello spazio infinito dell’assenza, nel mare dove i poeti usano naufragare: il questo -anche il questo della siepe – s’è fatto quello. Que-sto e quello vengono così a indicare le musicali alternanze d’una visione la quale per stabilire amaramente la propria durata, ci richiama ora ad un aspetto esterno delle cose, ora ad uno sog-gettivo.” Cfr. G. UNGARETTI, Vita d'un uomo. Saggi e interventi, Milano, 1974, pp. 491-2.

Richiamando (e spostando) la predetta interpetrazione ungarettiana dei deittici dell’Infinito, e le osservazioni di Oreste Macrì per cui i dimostrativi ungarettiani sono “la pun-tuale segnaletica di una guerriglia con l’assoluto implorato” (cfr. O. MACRI’, Realtà del simbolo, Firenze, p. 24), Ossola ha parlato di assolutizzazione degli oggetti indicati dai deittici, ossia di “quel lavorio di «arretramento», sino alla disparizione, compiuto sugli oggetti, per farli ritrova-re «infinitamente più seducenti nella mente», per poter collocare sul vuoto lasciato dalla loro «assenza» la pronuncia seducente del nome”, aggiungendo che “nell’Allegria il processo si compie nominando, estraendo, quel solo oggetto, isolato in una designazione che converge sul solo deittico, sul solo dimostrativo, sino a farlo assoluto” (Cfr. C. OSSOLA, op. cit., p. 258).

Secondo Gutia, l’uso dei dimostrativi, nella poesia di Ungaretti, “si riferisce ad un’apparizione impressionistica spesso difficile ad esprimersi perché vaga ed indefinita. Per meglio determinarla, il poeta sollecita la partecipazione del lettore alla sua realizzazione. L'ag-gettivo dimostrativo attualizza l'impressione richiamandosi alla nostra espenenza oppure sug-gerendo una sensazione nuova di sicura realizzazione, e acquista un valore di riferimento alla particolarità ed unicità della sensazione, dell’impressione, della sfumatura spirituale” (Cfr. I. GUTIA, Linguaggio di Ungaretti, Firenze, 1959, p. 3).

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nata/ di cielo”, “questa monotonia” in Monotonia, “stanotte”, “Ora”, “Ora” in La notte bella.

In rispecchiamento e rovesciamento delle modalità sintetiche ed ellittiche, appare nell’Allegria la vasta galassia metaforico-semantica dei procedimenti di e-spansione che si originano con straordinaria metamorfosi proprio dalla balenante sintassi figurativa, dalle folgoranti ed ellittiche connessioni analogiche.

E’ da sottolineare che i procedimenti metaforici sono, in gran parte, incardi-nati sulla preposizione “di”, ma anche, come si è già accennato, sulle preposizioni “in”, “nel”, “nella” ecc.

Oltre alle metafore prepositive, sono frequenti nell’Allegria le metafore verbali (e copulative) fondate sul verbo (e sulla copula) e le comparazioni, mentre sono quasi assenti le metafore appositive che, invece, avranno ampio sviluppo nel Sentimento del Tempo.

Le prime due procedure di dilatazione riguardano lo scambio o scavalca-mento dei campi metaforici, e, quindi, realizzano la diffusione e l’interazione degli ambiti semantici, l’allargamento dell’universo del senso.

In particolare le attribuzioni sintatticamente ascrivibili al tenore20 appaiono di pertinenza semantica del veicolo (o, usando la terminologia di Henry21, i comple-mentari del metaforizzante sono attribuiti, con scambio semantico, al metaforizza-to) ed, inversamente, le attribuzioni del veicolo appaiono appartenenti alla sfera del tenore (o, in altri termini, il complementare del metaforizzato è spostato, corri-spondendo al campo semantico del metaforizzante).

Lo scambio di attribuzioni (o di complementari) fa dilatare al massimo l’universo semiologico, l’interconnessione e la confusione delle presenze-segni del cosmo poetico, investendo tutti i livelli fenomenologici: dall’umano all’animale, dal terrestre all’ acqueo, dal vegetale all’atmosferico, a volte con la realizzazione di una duplice commutazione, come avviene in Popolo in cui l’attributo “più chiuso”, sintat-ticamente attinente al tenore “notte”, è semanticamente di pertinenza del veicolo “tartaruga”, mentre, simmetricamente, l’attribuzione (“lugubre”) di “tartaruga” ap-pare più vicina all’ambito metaforico della “notte”.

20 - Secondo I. A. RICHARDS, il tenore è “l’idea sottesa o il soggetto principale che il

veicolo o immagine trasmette”. Cfr. La filosofia della retorica, Milano, 1967, p. 92. 21 - Cfr. A. HENRY, Metonimia e metafora, Torino, 1975, p. 101 ss.

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Lo stesso meccanismo scatta in Distacco, per l’attribuzione al veicolo “spec-

chio” di “impassibile” semanticamente attinente al tenore “anima” la cui designa-zione “deserta” si adatta meglio allo “specchio”, ed anche in San Martino del Carso per le commutazioni incrociate tra “case-paese” e “cuore” (alternativamente tenori e veicoli) delle attribuzioni “brandello” e “straziato”.

Il catalogo estesissimo degli scambi dei campi metaforici nella serie delle meta-fore prepositive, verbali e delle comparazioni può essere sinteticamente prospettato nei seguenti tabulati:

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Lo scavalcamento dei campi metaforici e il conseguente allargamento (o dif-

fusione) dell’area dei significati trovano la massima manifestazione nell’interconnessione delle immagini (il cui catalogo è estesissimo) con cui si realizza un tessuto analogico (e alogico) originato dai folgoranti accostamenti figurali e dalla diradazione o soppressione dei nessi logici.

L’individuazione delle interconnessioni figurali è spesso legata alla circolarità, ossia alla retroversione, della lettura (anche con l’inclusione del titolo) che è, come ha dimostrato Lotman, tipica della poesia, a livello metrico-ritmico, ma che diventa anche sul piano figurale il connotato distintivo della poesia ungarettiana dell’Allegria.

Nella versione definitiva di Levante, punto di approdo di numerose conden-sazioni e variazioni testuali, appare l’innesto fulmineo e straordinario dei veicoli “imbuto”, e “chiocciola” distanziati sapientemente dal tenore “vicoli” a cui vengo-no, ulteriormente, attribuiti i “tentennamenti” propri dei “lumi”: viene realizzato un intreccio di fili metaforici che sì salda con gli altri tre scambi figurali riferiti in pre-cedenza (“il clarino ghirigori striduli”, “il mare [ ... ] trema dolce inquieto/ come un piccione”, “Confusa acqua/ come il chiasso”), il che fa di questa poesia un testo esemplare, e di altissima qualità poetica, di tale tecnica di condensazione figurale, e di diffusione semantica.

In Ricordo d'Affrica, i nessi logici appaiono recisi, e quasi visivamente segnalati (e sostituiti) dagli spazi bianchi, nell’accostamento delle tre figurazioni per cui si rea-lizza una sorta di cortocircuito semantico sottotraccia: la vertigine luminosa sembra quasi cancellare la città (“Il sole rapisce la città”), nell’abbaglio visivo (“Non si vede più”) che investe anche le tombe (“Neanche le tombe resistono molto”).

Notte di Maggio è costruita secondo un meccanismo di diffusione semantica derivante dalle interconnessioni di tre elementi metaforici posti su una linea di svol-gimento figurale per cui ognuno dei termini isolati della metafora precedente viene ripreso e sviluppato in quella successiva: i metaforizzanti “ghirlande” e “lumini” richiamano i metaforizzati (in ab-sentia), velatamente allusi dalla lettura retroversa del titolo, “costellazioni” e “stelle”, rinviando poi alla metafora massima delle nozze cosmiche tra la terra e il cielo (o ai riti di fertilità), di cui le “ghirlande” sarebbero raffigurazione simbolica.

Nel testo di In galleria viene realizzata una straordinaria concatenazione di quattro nuclei metaforici che gremiscono il tessuto del discorso di fili analogici e di significati sotterranei e che inducono una continua spola di lettura avanti e indietro nel testo: la designazione delle “stelle”

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nella prima metafora svela (con il raccordo di “spia”) la connotazione della metafora massima, o ad un solo termine, “quello stagno” (il cielo, ulteriormente individuato dal dimostrativo) a cui si contrappone specularmente la raffigurazione di “quest’acquario” il cui senso è richiamato dal titolo In galleria e dal deittico di vicinanza, speculare rispetto a quello di lontananza designante il cielo, con la mediazione dell’altra metafora “filtra la sua benedizione ghiacciata”, che egualmente insinua il collegamento (e il movimento) alto-basso.

Tutto il testo di Lindoro di deserto è organizzato nel senso di una inesausta progressione analogica che opera una diffusione semantica che investe tutto il mondo emotivo-esistenziale dell’io lirico, ed, in ulteriore amplificazione, dell’umanità (per l’uso del plurale e delle locuzioni impersonali) e che ha il suo principio e il suo diapason nella prima strofa.

L’innesto criptico (per il raccordo dell’inconsueta preposizione “in”) dei due motivi metaforici concatenati (“Dondolo di ali”) sull’elemento metaforizzato (la nebbia), anch’esso sottoposto ad una sostituzione semantica per la denominazione di “fumo”, si articola nel procedimento sinestetico, auditivo-visivo (“silenzio degli occhi”), attraverso la mediazione del verbo di movimento e di violenza (“mozza”), e trova il suo prolungamento nelle altre due catene metaforiche “Col vento si spippola il corallo/ di una sete di baci”, e “Mi si travasa la vita/ in un ghirigoro di nostalgie”.

Il chiasmo semantico che scocca tra il primo e l’ultimo verso di San Martino del Carso, con il rovesciamento dell’equazione paese = cuore, sotterraneamente attivata dalla metafora massima “brandello di muro”, in quella cuore = paese, alimenta la circolarità semantica del testo, ulteriormente dispiegata nell’altra metafora ad un solo termine “Ma nel cuore/ nessuna croce manca” in cui si realizza l’altra equazione tra il cuore e il paese dei morti, il cimitero, e ciò dilunga, indelebilmente, nella memoria poetica e storica dell’umanità, il desolato panorama di morte e distruzione spalancato dalla cieca stupidità della guerra.

La progressione variantistica di Sogno approda al risultato ultimo della soppressione dei nessi logici e dell’astrazione concettuale e figurale dell’ultima strofa che ha al centro l’immagine dell’ “alga” staccata, e resa autonoma, dal primitivo nesso “verde di fresc’alga” della prima versione.

La correlazione delle due figure della prima strofa di Natale squaderna la trama dei fili metaforici, per cui il tenore (folla) della metafora massima “tuffarmi” viene rivelato per la intersezione e per lo spostamento metonimico del metaforizzato (“strade”) dell’altro procedimento metaforico in cui si addensa il groviglio dei vicoli-fili del gomitolo, in modo tale da

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insinuare i tratti analogici comuni ai campi semantici dell’acqua e della folla. Il testo di Rose in fiamme appare come un gremito e concentratissimo tessuto analogico la cui trama può essere individuata, invertendo la direzione lineare della lettura, e tenendo conto delle numerose interconnessioni figurali: la metafora acquatica (“oceano”), continuata col verbo di galleggiamento, trova il suo referente nella distesa delle rose, evocate dal titolo, e il suo correlativo sinestetico nelle ondate degli “scampanellii”. Viene, così, realizzata una straordinaria globalità semantica (proiettata su tutti i piani: atmosferico, luminoso, sonoro, acqueo, e, in correlazione, igneo) spalancata dallo stupore contemplativo del soggetto lirico.

Anche il testo di Attrito è giocato sulle concatenazioni figurali, e sullo spostamento del senso fino al limite estremo dell’enunciazione (con la conseguente sostituzione della linearità con la circolarità, o inversione della freccia direzionale di lettura), fondandosi sulle coppie di metafore, collegate per opposizione o per analogia: “lupo” (v. 1) – “pecorella” (v. 3) e “Fame” (v. 1) – “libidinoso” (v. 6), con lo spostamento dell’attributo “timida” dal suo referente consueto “pecorella” a “barca” il cui alone metaforico si diffonde in “oceano” e indietro, fino al v. 2, in “ammaino”.

La macrometafora marina individua così non solo il motivo del viaggio, ma anche quello erotico, che fermentano il panorama dell’esistenza.

In Dolina notturna si sviluppa la progressione metaforica (che presuppone anche la lettura retroversa dopo quella lineare) centrata sul motivo, opposto a quello della precedente poesia, della perdita della vitalità connessa al prosciugamento del principio equoreo e vegetale: “secco/ come una/ pergamena”, ‘foglia accartocciata” il cui campo semantico si prolunga nel “fruscio” del tempo.

La lettura retroversa delle composizioni e/ o la connessione col titolo sono necessarie per la decifrazione di altri testi dell’Allegria.

Nella composizione Il porto sepolto, tutta giocata sulla fiuttuazione tra i dimostrativi “questa poesia” e “quel nulla” che riflettono (e rovesciano) la deissi leopardiana dell’Infinito, è indispensabile il ritorno indietro sul titolo per la decifrazione del deittico locativo “vi”, vibrante tra i poli dello sprofondamento abissale (dell’inconscio?) e della levitazione luminosa.

In Soldati l’allontanamento all’ultimo posto dell’enunciato del veicolo della comparazione (“foglie”) dilunga il senso dell’aspettativa catastrofica dei soggetti individuabili con un ritorno sul titolo (che rappresenta, appunto, il tenore della figurazione), mentre in Sono una creatura il rinvio del senso è ottenuto con la sospensione e l’allontanamento nella seconda strofa del primo termine della comparazione (“il mio pianto”).

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4. Le coordinate spazio-temporali Nell’Allegria la gestione del tempo e dello spazio è quasi sempre in

funzione della situazione attuale in cui l’io è inscritto, evidenziata dall’alta frequenza nella sequenza enunciativa dei deittici che rafforzano la nozione del presente e del luogo, la quale, tuttavia, è sottoposta, a volte, alla sconfinata proiezione nell’universo e nel passato.

Anche se spesso la situazione tragica e dolorosa subisce un processo di rimozione o di cancellazione dei dati più marcatamente incisivi (e incidenti), tuttavia il punto di partenza, l’elemento che mette in moto il procedimento poetico, è quello spazio-temporale strettamente correlato alla presenza dell’io lirico.

In C'era una volta, ad esempio, il referente immediato da cui si origina la composizione è il verde declivio di Bosco Cappuccio, e il riferimento alla guerra, che appare solo tangenzialmente, nella datazione che segue al titolo, viene allontanato nel non detto, nell’implicito. La proiezione memoriale o sognata, comunque attuata sul piano mentale della fantasticheria, nello spazio e nel tempo passato, appare come un più o meno inconscio desiderio di allontanarsi dalla situazione (presunta o implicita) della guerra, dalle coordinate spazio-temporali alla cui intersezione si trova l’io poetico.

Anche nel caso dei Fiumi (la cui motivazione sostanziale, tuttavia, appare, più che la fuga, la dilatazione e la ricapitolazione della propria entità psichica, da parte dell’io lirico) in cui massima è la tensione spazio-temporale, di estremo allontanamento (mentale) nello spazio e nel tempo, addirittura in quelli prenatali, la proiezione è sempre poi ricondotta alla situazione in cui l’io appare come il centro di irradiazione e di condensazione.

La configurazione di Natale appare speculare rispetto alla precedente, ne rappresenta l’esatto rovesciamento, in quanto la persona lirica è collocabile -sempre per la precisazione topografica correlata alla datazione della poesia- in un luogo (Napoli) e in una situazione lontani dal quadro della guerra, per cui l’atteggiamento psichico che in C'era una volta era orientato nel senso dell’allontanamento (eccentrico: dallo spazio interno, o IN, allo spazio esterno, o ES22 in Natale, invece, appare fermato nel

22 - Sui concetti di spazio interno (IN) e spazio esterno (ES), cfr. J. M. LOTMAN,

Il metalinguaggio delle descrizioni tipologiche della cultura, in J. M. LOTMAN e B. A. USPENSKIJ, Tipologia della cultura, Milano, 1975, pp. 145-181.

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cuore della casa, nella posizione di centralità (IN), con l’assoluta chiusura verso l’ES.

Correlativamente alla specularità della situazione, mentre in C'era una volta si mette in atto il tentativo (destinato, tuttavia, al fallimento) di soppressione della situazione attuale e di fuga dal presente, in Natale si opera la rimozione della situazione e dello spazio della guerra lontana (e, quindi, del passato prossimo) con la massima concentrazione sulla situazione gratificante (la casa, il focolare), con un’allusione metaforica al tempo dell’infanzia.

La rimozione della situazione bellica avviene con modalità completamente diverse nella composizione In dormiveglia, realizzandosi solo nella dimensione psichica dei sogno indotto, forse, dall’intollerabilità della tragedia bellica, espressionisticamente descritta nella prima parte della poesia, in direzione dei luoghi e delle situazioni pacifiche dell’infanzia.

Le configurazioni temporali delle quattro composizioni vengono visualizzate nello schema seguente:

Nell’Allegria sembra attuarsi la prospettiva del PRESENTE DILATATO, in

quanto si realizza la compresenza degli eventi del passato (e il blocco della

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proiezione del futuro) nell’espansione del presente. La dilatazione del presente avviene all’indietro, nel passato prossimo e in

quello remoto, investendo - come accade nei Fiumi - non solo la dimensione individuale della memoria consapevole (e inconscia), ma anche di quella dei genitori e delle generazioni precedenti (“duemil’anni forse/ di gente mia campagnola/ e mio padre e mia inadre”) e la dimensione temporale si innesta in quella spaziale, il viaggio nel tempo sovrapponendosi al viaggio mentale nello spazio. Non esiste la prospettiva del futuro, malgrado l’insinuarsi di una pallida speranza connotata dall’apertura del metaforico fiore (“la mia vita mi pare/ una corolla/ di tenebre”), o, addirittura, il futuro può essere vissuto come aspettativa angosciante di un evento negativo incombente (come è evidente in Soldati: “Si sta come/ d’autunno/ sugli alberi/ le foglie”).

La circumnavigazione dello spazio-tempo, la ricapitolazione esistenziale non spalanca la porta del futuro e della speranza, ne apre appena uno spiraglio, un varco sotterraneo.

In C'era una volta l’espansione del presente si correla al passato memoriale virtuale o al futuro ipotetico (desiderato o sognato) con l’immediata riconduzione al presente; anche in questa poesia il futuro balena come fuggitiva (ed ottativa) immagine di virtualità, ricondotta immediatamente alla dimensione referenziale del presente.

Il futuro immediato -che si identifica con l’evento bellico- subisce addirittura in Natale un processo di rimozione, di cancellazione dei dati referenziali proiettati dal passato (prossimo), mentre la dimensione del passato più lontano viene spalancata nell’evocazione metaforica (e sotteranea) dell’infanzia (“capriole”).

Nel testo di In dormiveglia, la rimozione del presente avviene contestualmente alla retrocessione nel tempo infantile, mediante l’attivazione dei meccanismi del sogno, con la conversione dei rumori delle schioppettate nel martellio degli scalpellini di cui il poeta ha la visione nel dormiveglia: nella poesia, insomma, si fronteggiano, in praesentia, le due dimensioni spazio-temporali della situazione di guerra e della Alessandria retrocessa nel tempo memoriale.

La prospettiva del tempo nell’Allegria è, quindi, tutta sbilanciata all’indietro, con la dilatazione del presente solo in direzione del passato, mentre la dimensione del futuro viene come interrotta, cancellata o, addirittura, rimossa.

L’orizzonte temporale, così come si accampa nell’Allegria, può essere illuminato nelle sue prospettive dalle acutissime osservazioni di Eugène

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Minkowski23 che in Il tempo vissuto, sviluppando le intuizioni di un lavoro iniziato nel 1918 (e, quindi, nella stessa atmosfera culturale ed esistenziale dell’Allegria), ma mai pubblicato: Come viviamo il futuro ( e non che cosa ne conosciamo), individua due modi di esperire il futuro: l’attività e l’attesa.

Nell’Allegria l’attività orientata verso la progettualità del futuro è inesistente (l’attività che appare è imposta dalle circostanze e dagli eventi: da forze esterne); e la condizione psicologica che si manifesta è quella dell’aspettazione catastrofica dell’evento di morte, connesso con la guerra: ciò porta all’inaridimento, al blocco creativo e di espansione, configurando quella che Kern24 chiama la fenomenologia della vita di trincea.

Come appare dalla configurazione del Presente dilatato nello schema grafico seguente, nell’Allegria il tempo appare frazionato nei molteplici lampi del presente, nella discontinuità di istanti-sensazioni (o sogni) che si rivelano come illuminazioni dell’universo. Innocenza è sentirsi “docile fibra dell’universo”.

Il passato viene inglobato nel presente dilatato, appare come la sua

proiezione o lo spessore psichico del tempo: sogno o desiderio o insinuazione metaforica o fantasticheria, in cui, come per i ‘prodotti dell’inconscio’, sono abolite le scansioni temporali, tanto è vero che i tempi verbali sono coniugati al presente (Cfr. Levante, Ricordo d’Affrica, Notte di maggio,

23 - Cfr. E. MINKOWSKI, Le temps vécu, Parigi, 1933, traduz. italiana a e. di G.

Terzian, Il tempo vissuto, Torino, 1971, p. 84 ss. 24 - Cfr. S. KERN, Il tempo e lo spazio, Bologna, 1988, p. 117 ss.

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Popolo, C'era una volta, Nostalgia, Natale, L'Affricano a Parigi, Un sogno solito), o al passato prossimo, per sottolineare la continuità della situazione psichica allusa (Cfr. Sdenzio); oppure il passato, come è stato già detto, rappresenta la dilatazione e la rícapítolazíone della propria entità psichica (Cfr. I fiumi, Lucca) la cui proiezione nel tempo, addirittura in quello prenatale (coi tempi verbali coniugati spesso al passato prossimo e con un'allusione addirittura al futuro), è poi ricondotta alla situazione in cui l'io appare come il centro di irradiazione e di condensazione`.

Bisogna, inoltre, precisare che lo squademarsí dello spazío-tempo passato è un'operazione mentale e, pertanto, fuori del tempo reale, nella dimensione illusoria del tempo virtuale.

La discesa psichica evidente nello sprofondamento nel Porto sepolto è discesa alle Madri, ritorno alle origini della parola e della vita e si configura come un procedimento atemporale; così come in Girovago la ricerca di un "paese ìnnocente", in bilico tra passato e futuro, tra ricerca all'indietro e in avanti, appare non come un luogo concreto ma come26 paesaggio, condizione dell'anima

Una sola volta il passato appare definitivo: per Moammed Sceab (In memoria), ma si tratta di un soggetto esterno e proiettato nel passato irrevocabile della morte.

Ed è sintomaticamente la parola "nuda", scarnificata dell'Allegria a fissare gli "attimi", il sottile spessore, la folgorazione del presente; il lampo epigrammatico che rispecchia i lampi del tempo in una completa rottura con la tradizione letteraria, nella rivoluzione estrema delle forme poetiche, in sintonia con i movimenti dell'avanguardia europea (da Mallarmé al Futurismo e ad Apollinaire).

Il futuro invece, come si è detto, viene rimosso, cancellato dall'orizzonte temporale dell'Allegria.

25 - Cfr. G. CAMBON, La poesia di Ungaretti, Torino 1976, pp. 79-80: "La memoria

che, nei momenti culminanti dell'Allegria faceva tutt'uno con l'adesione dell'io all'esperienza del presente, e lo salvava dallo smarrimento permettendogli di riconoscere le proprie origini".

26 - Come sostiene, acutamente, G. GUGLIELMI, Interpretazione di Ungaretti, Bolo-gna 1989, p. 47: 'Uorigine, la vita iniziale, il paese innocente è, infatti, solo un luogo virtuale, un punto d'orientamento, un'idea. L'origine appartiene all'ordine del possibile. Non è un evento. E' una struttura sempre già data e sempre da realizzare, contemporanea di tutti i tempi---.

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Solo in tre occasioni esso viene esperito al positivo (e non al negativo, come rimozione), ma appare o proiezione, continuazione del presente negativo (Noia) o positivo (Giugno) o come ipotesi di sublimazione (Preghiera) 27.

27 - Si propone sinteticamente lo schema delle correlazioni temporali nelle altre

raccolte ungarettiane per precisare le variazioni della dimensione temporale rispetto all'Allegria:

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