Il sentiero del viaggio interiore. Conosciti, amati, guarisciti

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Il presente saggio, come suggerisce il titolo, tratta il tema della sofferenza intesa, oltre che come penoso fardello, come chiamata iniziatica o malattia creativa dell’anima e le strategie psicoterapeutiche per trasformarla e favorire il naturale percorso psicologico, le attitudini vocazionali, la “Bellezza” dell’esistenza, preclusa dai sintomi, devitalizzanti, coercitivi. San Paolo ascoltò la chiamata e si avviò. “Saper” ascoltare la chiamata è atto eroico, composto da umiltà e coraggio, i cui effetti creano giovamento sia all’individuo che alla collettività. La psicoterapia, diventa un viaggio, simile a quello dantesco, ove la Conoscenza si intreccia con la Cura.

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Punti di Vista

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Vincenza Sollazzo

Il Sentiero del Viaggio InterioreConosciti, Amati, Guarisciti

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Prima Edizione: 2013Prima ristampa: Aprile 2014

ISBN 9788898037049

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Finito di stampare nel mese di Aprile 2014 in Italia da Universal Book srl di Rende (CS) per conto di Edizioni Psiconline® (Settore Editoriale di Psiconli-ne® Srl)

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Dedica ad Aldo Carotenuto “Io, che lo conobbi da lui imparai, ma ciò

che sono è il prodotto di aver imparato a vivere”.

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INDICE

Premessa al lettore

Presentazione (Robert Michael Mercurio)

Capitolo 1 Lo stendardo del viaggio psicoterapeutico. L’albe-

ro della conoscenza. Dalla mentalizzazione all’im-maginazione attiva, dal suono della parola, ai colori dell’immagine. Eros e Logos

Capitolo 2 Caratteristiche del viaggio terapeutico. Rinascita

psicologica e linguaggio dei segni. Paradigma della sincronicità: le relativizzazioni del caso.

Capitolo 3 Sulle soglie del regno della psicoterapia: la dinamica

dell’accoglimento nel viaggio individuativo, attra-verso il codice della sofferenza, verso la profondità del Sé.

Capitolo 4 Funzioni e competenze dello psicologo del profondo

in una società in cui il processo tecnologico assume rilievi portanti per il “destino” dell’uomo.

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Capitolo 5 Le inconsce motivazioni per cui si diventa psicologi

del profondo e di esse l’ascendenza nella relazioni clinica.

Capitolo 6 Dal contenimento\accoglimento alla trasfi gurazione:

i passi incipiens del viaggio terapeutico.

Capitolo 7 Nel luogo dei sentimenti, l’opus trasformativo del

terapeuta. Lo psicologo del profondo visita le terre di Eros, fi glio di Poros e Penia e quelle di Shiva e Kali.

Capitolo 8 Il paradigma della sincronicità in riferimento al

rapporto terapeutico e al processo di conoscenza dell’inconscio. Il tema delle coincidenze e dei segna-li nell’esistenza.

Capitolo 9 La psicoterapia e l’accesso all’anima ancestrale;

dall’ombra alla luce: l’illuminazione ed il numinoso nella psiche redenta. Quale sarebbe il destino dell’in-dividuo se non ci fosse il trauma a determinarlo?

Capitolo 10 La peculiarità e specifi cità del lavoro profondo

sull’anima.

Capitolo 11 Il processo di individuazione. Dalla dimensione col-

lettiva a quella individuale. Dall’Io, tramite il Super Io e l’Es, al Sé.

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Capitolo 12 Le coincidenze signifi cative e\o la sincronicità. Il

linguaggio dei segni e la sfi da del caso.

Capitolo 13 La chiamata del “destino” lungo la traiettoria dall’Io

al Sé. La ricerca dell’unicità e la Rinascita psicolo-gica.

Capitolo 14 Archetipo morte-rinascita. La chiamata ed il proces-

so della trasformazione della personalità, attraverso la tappa della solitudine.

Capitolo 15 La realtà psichica tra illusioni sane dell’apparato

psichico infantile ed ancestrale ed illusioni difensi-ve, sottese alla psicopatologia.

Capitolo 16 Meta della psicoterapia: l’archetipo morte-rinascita.

La rinascita psicologica mediante la forza interiore e la solitudine creativa. Dal collettivo, all’individuo ed alla sua unicità.

Capitolo 17 La chiamata: “vox dei” dal profondo dell’anima.

L’archetipo dell’eroe tra morte e rinascita, alla luce della conoscenza consapevole. Stati psichici di inna-moramento ed elevazione epistemofi lica.

Capitolo 18 Dalla nascita biologica a quella psicologica (M.

Mahler): la chiamata attraverso l’introspezione psi-cologica ed il lavoro artistico.

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Capitolo 19 La via dell’individuazione, tramite la comunicazio-

ne profonda ed empatica e l’accesso all’inconscio tramite la dimensione onirica: “chiudete gli occhi e vedrete”.

Capitolo 20 La terapia del profondo e la trasgressione

Capitolo 21 La chiamata: partenza, percorso, ostacoli interni e

collettivo. La conquista del Sé, tra identità ed indivi-duazione.

Capitolo 22 La chiamata, la psicoterapia ed il mito dell’androgi-

no platonico.

Capitolo 23 Il transfert: antidoto alle energie vitali, sopite dai

traumi infantili ed arcaici.

Capitolo 24 Setting e primo colloquio. Dal modello lineare-uro-

borico dell’infanzia, “all’irragionevole silenzio del mondo” della dimensione dell’assurdo. L’individuo alla conquista del suo destino nelle trame analitiche.

Capitolo 25 Il setting analitico: parametri contrattuali del per-

corso terapeutico. La vita come conquista attraverso l’archetipo dell’eroe, con le prove, l’interazione con il mondo esterno, nella dimensione dell’anima mun-di. Il mitologema dell’Asino d’Oro.

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Capitolo 26 La capacità d’amare ed il mitologema dell’androgi-

no.

Capitolo 27 Transfert e controtransfert.

Capitolo 28 Il destino dell’uomo.

Capitolo 29 Cenni sugli aspetti meta psicologici.

Capitolo 30 La comunicazione attraverso le dinamiche transfera-

li. Dall’uomo sapiens all’uomo dei primordi.

Capitolo 31 La fedeltà a se stessi.

Capitolo 32 La “capacità negativa” del terapeuta.

Capitolo 33 I modelli inconsci e gli “arnesi” del lavoro terapeu-

tico tra Eros e Logos.

Capitolo 34 La forza del desiderio di Eros, come voce profonda

dell’anima, tra solitudine e ricerca.

Capitolo 35 Funzioni e competenze dello psicologo del profondo

in una società protesa verso un inesorabile progresso tecnologico.

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Capitolo 36 La propria vita come opera d’arte e la sofferenza

come pungolo per l’iniziazione individuativa.

Capitolo 37 Epilogo psicodinamico sull’amore universale, come

conoscenza straordinaria della personale equazione, quale premessa per amarsi ed amare.

Postfazione (Vincenza Sollazzo e Gianfranco Bernes)

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PREMESSA AL LETTORE

Il saggio si rivolge a tutti coloro che presentano il desiderio di conoscere se stessi ed essendo questo un bisogno archetipico riguarda tutti. Tale bisogno nasce con l’uomo. Si rivolge anche agli studenti di Psicologia, in quanto semplifi ca ma non banaliz-za, né devitalizza concetti-chiave della psicologia del profondo. Rivolto anche ai colleghi con cui condivido la “chiamata” ad oc-cuparci della sofferenza umana, senza apriorismi e nel rispetto della dignità di colui che soffre.

Un libro costituisce un incontro di sincronicità tra l’autore ed il lettore, in cui l’editore è come il dio greco Mercurio, ossia colui che “collega” i due. In questa dimensione si è tutti inconsapevol-mente connessi con l’inconscio collettivo. L’autore si rivolge al suo interlocutore-lettore, con impegno partecipe, pur se invisibi-le, (“L’essenziale è invisibile agli occhi...” dal Piccolo principe) mentre compone la sua opera, al pari di una madre in stato di gra-vidanza. Il lettore mentre “legge” l’opera, a sua volta immagina e pensa al suo autore, che ha scelto per motivi profondi, ma che sembrano casuali. Mentre scrivevo non potevo non immaginare un lettore e forse nello scrivere in qualche modo si rinviene una motivazione così profonda di collegamento con i propri simili, che rimane in parte misteriosa. Chi decide di scrivere avverte dentro di sé una chiamata od appello del suo Sé e non disattende. Ha un senso ciò, anche se razionalmente si comprende in parte. Il lettore a volte necessita del libro, allo stesso modo di un bambino che porta con sé sempre il suo peluche preferito, allo stesso modo di un religioso che porta con sé il rosario ed allo stesso modo di un ansioso che porta con sé sempre il telefonino. Libro, gio-

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cattolo, rosario, cellulare sono oggetti speciali, “transizionali”, che aiutano a calmare l’ansia ed accedere a nuove fasi evolutive o stagioni dell’anima. Nella mia professione di psicoterapeuta ho constatato come alcuni miei pazienti, in ritiro dalla vita per cocenti traumi, per brevi periodi hanno tratto giovamento stra-ordinario dal mio invito ad immergersi nella lettura di un libro. Così facendo hanno tratto benefi cio non solo per il “succo” del-la lettura, ma anche dal transfert con l’autore invisibile. Tutto ciò costituisce e facilita la transizione di passaggi dell’esistenza critici. Un libro, quale “compagno” invisibile e “saggio”, aiuta nel silenzio e nella solitudine, l’anima angustiata; perchè esso oltretutto rilassa. Perchè i bambini amano la lettura delle fi abe prima di addormentarsi? Avrà tutto ciò un signifi cato profondo congiunto ad un effetto psicosomatico. Un libro interessante a volte calma e rasserena molto di più di un sedativo. Io stessa, all’età di 14 anni, mentre frequentavo il quarto ginnasio, attratta dall’immagine della copertina, scelsi e lessi in modo appassiona-to un libro intitolato Il problema dell’inconscio nella psicologia moderna, di C.G. Jung e da lì sentii dentro di me affacciarsi la chiamata per lo studio dell’anima. Ebbe un effetto straordinario, un impatto intenso. L’anima è complessa ed affascinante. Un li-bro a volte presenta una ascendenza straordinaria nella vita; ha il suo “peso” in un destino umano e l’autore che scrive si sente fortemente ispirato e responsabilizzato per tale profondo e no-bile compito. Trasmette certamente la ricchezza del suo mondo, qualora il lettore sia disposto a cogliere l’essenza di particolari fragranze e la fi ligrana tra le parole.

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PRESENTAZIONE

C. G. Jung ci offre questa apparentemente semplice defi nizio-ne di quel processo che è al centro della sua visione della psicote-rapia e che egli chiama Individuazione: “diventare ciò che si è”. Naturalmente la questione è ben più complicata di quanto possa sembrare a prima vista. Si tratterebbe, in sostanza, di ristabilire un contatto con l’autenticità e la genuinità che non sentiamo più dentro di noi. Tutta la nostra sofferenza, le ferite infl itte nell’in-fanzia, i compromessi e le strategie adottate per sopravvivere ci allontanano da quella “faccia originale” di cui parla lo Zen. Jung ipotizza una prima fase del procedimento psicoterapeutico chia-mata fase analitica durante la quale le ferite e le difese che hanno contribuito a distorcere la personalità e ad allontanarci da ciò che siamo veramente, vengono esaminate, analizzate, smontate. Si tratta di una fase fondamentale, in grado di alleviare e contenere i gravi sintomi che interferiscono con il tranquillo funzionamento dell’individuo nella vita, e il risultato di questa prima fase è una forma di buon adattamento. Ma Jung avverte che il terapeuta, il quale rimane per troppo tempo nella fase riduttiva, paragona-bile ad una forma di chemioterapia che distrugge ciò che è ma-lato nella personalità, ferendo allo stesso tempo tutto ciò che è sano, commetterebbe un grave errore. Arriva il momento in cui l’accento del lavoro analitico si sposterà verso una questione più profonda e ben più diffi cile, la questione del senso della propria esistenza e il problema di uno stile di vita fedele a questo sen-so. In questa fase sintetica si tratta di riprendere in mano i pezzi smantellati durante la prima fase del trattamento, di raccogliere i fi li liberati dai vecchi nodi malati che bloccavano il fl usso dell’e-

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nergia vitale, e insieme al paziente e insieme all’inconscio, di cominciare a tessere un nuovo tessuto.

Sarebbe davvero ingenuo pensare di poter scoprire e poi ripri-stinare l’ipotetica autenticità del bambino appena nato. La ma-trice attiva e creativa dell’inconscio continua a proporre, tramite le sue immagini, prospettive e dimensioni di vita che ci aiutano ad entrare in un processo che potremmo chiamare la continua creazione della nostra stessa autenticità. La partecipazione a que-sto processo, che è guidato dal centro sovraordinato di tutta la personalità, il Sé, richiede una grande vigilanza, un’attenzione amorevole ai sogni e alle fantasie che emergono dall’inconscio. L’Individuazione è un processo continuo che coinvolge paziente e terapeuta, il conscio e l’inconscio. Il setting analitico a questo punto assomiglia a un telaio, sul quale i fi li si intrecciano, pro-ducendo nuove trame e disegni. L’autenticità non è una realtà perduta che dobbiamo in qualche modo recuperare; è piuttosto un modo di vivere, una dinamica vitale che ci permette di con-durre le nostre esistenze temporali e spaziali, in equilibrio con l’immensità dell’inconscio.

La collega Vincenza Sollazzo mette a frutto, in questo suo libro, anni di studio, di rifl essione, di lavoro analitico (sia come analizzanda sia come analista); spiega con ammirevole chiarezza come la fase analitica e la fase sintetica del lavoro psicoterapeu-tico si susseguono, ma anche come, paradossalmente, si intrec-ciano. Come due modelli di lavoro, dovrebbero essere sempre entrambi presenti nella mente dell’analista che applicherà l’uno o l’altro, secondo una serie di fattori clinici ma soprattutto, in base alle indicazioni che arrivano dall’inconscio tramite i sogni.

Questo volume mette chiaramente in evidenza quanto la psi-cologia junghiana sia profondamente relazionale. Vari autori si sono interrogati sulla vera natura della psicologia analitica jun-ghiana e della sua dinamica: è intrapsichica, in quanto incoraggia il paziente a volgere lo sguardo verso la propria interiorità e la propria soggettività? O è interpersonale, perché invita il paziente a rifl ettere sui propri rapporti con gli altri e con il mondo nelle

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speranze di poterli vivere in modo più fl uido e consapevole? La domanda sembra essere mal posta; è possibile mai che una perso-na, senza nessuna consapevolezza dei propri contenuti interiori, possa stabilire rapporti equilibrati con gli altri? Jung stesso, nel suo saggio sulla Funzione Trascendente illustra il legame inscin-dibile tra prendere sul serio l’altro dentro di noi e prendere sul serio l’altro fuori da noi. Il termine relazionale descrive l’ap-proccio junghiano sia verso la vita interiore e i contenuti dell’in-conscio, sia verso l’altro che incontriamo nella vita e con il qua-le ci troviamo ad interagire. Vincenza Sollazzo dedica passaggi importanti di questo suo libro all’Eros, la qualità della relazione per eccellenza. Si tratta di una qualità indispensabile per poter entrare in sintonia con il mondo misterioso dell’inconscio, una qualità che sia il paziente che il terapeuta dovranno trovare den-tro di loro, e poi coltivare. Il dialogo paziente-terapeuta sarà un contenitore vuoto se il terapeuta non avrà coltivato uno spirito di dialogo con le manifestazioni del proprio inconscio; è questa l’unica qualità in grado di donare genuinità e autenticità a ciò che succede in analisi. L’autrice di questo volume, pur essendo una profonda conoscitrice delle tecniche terapeutiche proposte dalle varie scuole di psicoterapia, sa bene che in fondo non esiste nessuna tecnica che non sia basata su di uno spirito di dedizione nei confronti dell’inconscio e un dialogo vivo con esso: lo spirito di Eros. E per inverso, se il terapeuta è motivato da questo spirito di dedizione e di dialogo, la tecnica che utilizzerà sarà del tutto secondaria.

Jung amava dire che con alcuni pazienti, tendeva ad interve-nire come un freudiano mentre con altri, adottava un approccio più simile a quello di Adler. Dietro le tecniche e i vari approcci alla psicoterapia, Jung manteneva una sua specifi ca visione della psiche e della vita psichica. Si tratta di una visione atta a ricono-scere come la psiche sia un sistema, con un centro relativo che chiamiamo l’Io, ma anche con un centro assoluto e sovraordi-nato che chiamiamo il Sé. La tensione tra queste due istanze è inevitabile. Dietro l’Io agisce l’archetipo dell’eroe che è spesso

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pronto a sfoderare la propria spada e a combattere per uccidere qualche nemico o conquistare qualche nuova terra. Rischia con-tinuamente l’infl azione, un rigonfi amento del senso della propria importanza, e rischia di credersi padrone della propria psiche; davanti al mistero dell’esistenza, a tutto ciò che è irrazionale e che richiederebbe apertura, umiltà e dialogo, l’Io eroico si ribel-la e entra in crisi. L’asse Io-Sé è il modello proposto tanti anni fa da Erich Neumann e a cui la nostra autrice fa riferimento nel suo testo. Nella misura in cui l’Io è allineato con l’istanza superiore, il Sé, le nostre vite seguiranno un andamento sano, equilibrato, pieno e gioioso; chi devia da questo allineamento, privilegiando le istanze egoiche e trascurando le manifestazioni del Sé, cadrà in uno stile di vita nevrotico, caratterizzato da meccanismi pato-logici e distruttivi.

Vincenza Sollazzo, fi n dai tempi dei suoi studi universitari, ha sempre cercato di tenere a mente anche un altro modello della re-altà psichica, che contempla non soltanto l’allineamento di que-ste due grandi istanze della psiche, l’Io e il Sé, ma anche l’attimo misterioso in cui un aspetto di eternità (atemporalità, aspazialità) entra e coincide con un aspetto della nostra egoica temporalità/spazialità. Si tratta del modello della sincronicità. Sembra a vol-te che gli autori New Age si siano impossessati di questo impor-tante aspetto del pensiero junghiano; l’elenco dei testi che ne par-lano in modo superfi ciale e impreciso è letteralmente sconfi nato. La coincidenza acausale di un fatto psichico, interiore come, per esempio un sogno o una premonizione, con un fatto fi sico e con-creto ci riporta di nuovo a considerare la questione del senso. Da-vanti ad un fatto così importante siamo obbligati a chiederci per-ché l’atemporalità dell’inconscio sia entrata direttamente nelle categorie temporali e spaziali del nostro mondo fenomenico, in che cosa consista il nesso di senso tra un fatto psichico e un fatto fi sico, così intimamente intrecciati. Se in effetti “nulla succede per caso”, come sostiene un autore citato più volte dalla nostra autrice, allora dovremmo stare sempre ben attenti a cogliere il modo in cui fatti interni e fatti esterni si intrecciano e coincidono,

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per tessere ed elaborare il senso delle nostre vite.L’uomo primitivo in noi, commentò una volta Marie-Louise

von Franz, non ha diffi coltà a cogliere e a riconoscere le sincroni-cità della vita; spiegare ed illustrare un concetto così complicato in termini accettabili alle moderne scienze naturali è invece un compito ben più arduo. Era questo ciò che Jung aveva comin-ciato a fare verso la fi ne della sua vita, affi dando in seguito il progetto alla stessa von Franz.

Jung credeva che la nostra epoca fosse un vero kairós, un momento opportuno per la trasformazione degli dei, o delle re-altà archetipiche nel profondo della psiche, che cercano la loro espressione nel tempo e nello spazio delle nostre vite e della no-stra cultura. La coscienza umana, lungi dall’essere padrona della vicenda, è piuttosto paragonabile alla mangiatoia in cui nasce un nuovo senso del divino e del nostro rapporto con esso. La fl essibilità, l’umiltà, e la permeabilità sono le qualità di cui avrà bisogno se vorrà accogliere le nuove manifestazioni dell’incon-scio e non scontrarsi con essi. Dovremmo affi darci a quella fi gura che è stata per secoli la guida e l’accompagnatore delle anime nei momenti più signifi cativi della vita, Mercurius, psicopompo e spirito dell’inconscio stesso.

Robert Michael MercurioAnalista didatta dell’ARPA

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CAPITOLO 1

Lo stendardo del viaggio psicoterapeutico.L’albero della Conoscenza: dalla mentalizzazione

alla immaginazione “attiva”, dal suonodella parola, ai colori dell’immagine.

Eros e Logos.

L’Incubo che si forma mi fa paura.L’ho visto germogliare. Ho potuto decifrarlo come un

calco. Non è più un mondo nel quale ho voglia di vivere.È un mondo di monomaniaci tormentati dall’idea di progresso, ma di un falso progresso che nausea

Henry Miller

L’autorealizzazione è il più grande servizioche si possa rendere al mondo

Shri Ramakrishna

Fatti non foste per viver come bruti,ma per seguir vertute e conoscenze

Dante Alighieri

Quale motivazione, profonda e signifi cativa, alla luce dei sug-gerimenti insiti nelle citazioni, spinge un soggetto sofferente a chiedere l’aiuto dello psicologo del profondo o psicoterapeuta.

I nuclei principali, rispondenti ad un doppio registro dell’a-nima egoico ed archetipico, soggiacenti a tale motivazione at-tengono ad una congiunzione intrecciata tra il malessere con-

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tingente ed oppressivo di cui il soggetto è colpito ed il bisogno archetipico di fondo di autoconoscenza, presente nella sua anima ed in ognuno di noi, le cui lontane radici bibliche, (come riferi-sce il Vangelo di San Luca “medice, cure te ipsum”), fi losofi che (cfr. “conosci te stesso” di Socrate), letterarie-artistiche (ripie-gamento interiore del poeta, quale via per l’ispirazione) e mito-logiche, sono universalmente note. Sinteticamente, tale bisogno è di ordine traumatico ed archetipico. Il malessere del presente, in particolare, come un motore, diventa così implacabile, che il soggetto sente di “toccare il fondo”, con la sensazione di potersi smarrire in esso defi nitivamente ed in quel momento di estremo disagio scatta dentro di sé una spinta intensa ed irresistibile a risalire-come la legge di Archimede ed a conferire alla propria esistenza un “giro di boa”. Questo desiderio comporta uno spar-tiacque signifi cativo nella vita del soggetto, che in quel preciso momento decide irrevocabilmente di “prendere in mano le re-dini della propria vita”, anche se non è del tutto conscio delle psicodinamiche implicate in tale scelta, in quanto i meccanismi psichici che si mettono in moto di ordine conscio ed inconscio sono molteplici, complessi ed intrecciati e per di più imprevedi-bili in quanto necessitano di sperimentazione, attraverso il dina-mismo della vita. È cosciente però, e fa un patto con se stesso, del desiderio di non voler soggiacere e né di essere governato dal malessere. Da tale desiderio scaturisce conseguentemente un bisogno di interrogarsi sul malessere, al fi ne di conoscere l’op-primente disagio, nel tentativo, comprendendolo, di esorcizzarlo, depotenziarlo, gestirlo e di assumersene la responsabilità, sen-za invece esserne governato o fagocitato, superando, grazie alla comprensione consapevole, la danza dei ruoli dicotomici ed am-bivalenti che la sofferenza, non elaborata impone nella relazione interpersonale, relativi ai ruoli carnefi ce o vittima, ove il soggetto attacca l’altro e si espone ai medesimi attacchi, in una circolarità ove ora è masochista, poi è sadico. Padroneggiando tale oscilla-zione di ruoli sadico=carnefi ce, masochista=vittima, il soggetto sofferente si assume le responsabilità del malessere, chiedendo

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aiuto a colui che è dotato di specifi ca competenza, disponendo di una parziale consapevolezza intorno al malessere che percepisce non nei contorni precisi, ma vagamente, in modo indefi nito come qualcosa che non va “dentro di sé”. La necessità di porsi delle domande è anche, come su accennato, da sempre funzionale alla autoconoscenza, congiuntamente alla sopravvivenza, laddove il malessere trabocca. Potrebbe essere defi nito un bisogno arche-tipico, presente pertanto nell’uomo da sempre ed in ogni luogo, come si può scorgere anche nei miti, che per lo psicologo del pro-fondo diventano mitologemi, come una lente di ingrandimento per guardare nell’anima. Vi è correlazione, per la psicologia del profondo, tra patrimonio mitico dell’umanità e storia personale dell’individuo, come copiosamente e magistralmente evidenzia la psicologìa analitica.

La psicologia del profondo, scienza di frontiera, accoglie, in seno alle sue procedure, il patrimonio di conoscenze derivate dall’arte, della mitologìa, in ragione di un incontestabile princi-pio gnoseologico, ossia di comprendere il “perché” degli eventi umani. In tal senso il patrimonio simbolico della cultura greca antica mitologica a ciò agevolmente si presta, in quanto offre chiave idonea ad addentrarsi nei codici complessi dell’anima, dato che le spiegazioni degli eventi umani non si prestano a spie-gazioni riduttive, semplifi cate, scheletriche e scarne. Infatti i rac-conti mitici riescono, per la loro peculiarità, a toccare l’essenza dell’uomo. Oltretutto il mito nasce con l’uomo e lo accompagna per tutto il percorso evolutivo ed esistenziale, fornendo la idonea risposta ad ogni umano e complesso quesito, facendo appello a leggi invisibili e mai scritte, che però regolano i rapporti umani.

Quando il malessere dell’anima è esorbitante solleva consi-stenti interrogativi ed il soggetto sofferente non si accontenta di risposte “collettive”, precostituite, in quanto non lo risolvono, né placano l’angoscia ad esso connesso. La sofferenza psicolo-gica turba tutte le sfere della vita dell’uomo, da quella cognitiva a quella affettiva, spirituale, relazionale, in un turbine di caos che avvita il soggetto. “Bisogna conoscere il caos che ci abita”

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precisa C.G.Jung. Pertanto: a domanda soggettiva, si desidera ri-sposta soggettiva o, meglio espressa, individuativa, che conduce gradualmente alla scoperta dell’unicità del soggetto, al processo di individuazione che parte dall’Io, cioè dalle parti consapevoli del proprio essere, che per defi nizione sono esigue, sino a rag-giungere il Sé, l’essenza, il centro dell’anima, la dimensione più elevata dell’anima che coincide con il divino nell’uomo. Il Sé è Gesù, è Buddha. Il processo di individuazione non è da confon-dere con l’individualismo anarchico, ma allude ad un percorso che favorisce la tolleranza, attraverso la consapevole conoscenza delle vicissitudini dell’esistenza, compresi i persecutori interni ed esterni.

Nei miti tale interrogazione, in merito all’autoconoscenza, mossa e promossa dalla intollerabile sofferenza dell’individuo, è espressa dal “ratto-rapimento”, che, trasponendo sul piano psi-cologico, corrisponde ad una rapidissima “attivazione inconscia” la quale sortisce in una fulminea intuizione, nonché decisione ad avviarsi in una certa direzione da cui ci si sente “chiamati”, che non è da intendere in modo solo geografi co, ma è interiore e comporterà anche di rifl esso percorsi esterni. In tale chiamata non sono noti a priori i percorsi, ma è intenso l’invito, irresisti-bile ed a cui non è facile sottrarsi, soprattutto se si dispone di un margine di consapevolezza sulla sofferenza psicologica. Per cui nell’anima di chi si interroga sulla sofferenza risuona l’eco del mito, ove l’eroe parte per terre interne ignote, esterne, sconosciu-te ed affronta le prove del viaggio. In questa eco eroica risuona al contempo l’anima religiosa (da “religo”, tengo insieme), per la quale si è in ascolto per captare segnali di potenze sconosciute inconsce che comunque guidano la esistenza. La mentalità reli-giosa dei primitivi e di chi è allenato al processo di introspezione attribuisce enorme importanza a tali segnali, che talvolta emer-gono con l’illuminazione e l’identifi cazione nel proprio albergo interiore delle componenti spirituali; dirà S. Paolo “non sono io che parlo, è Cristo che parla in me”.

I temi relativi alla attivazione dell’inconscio e del corrispettivo

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mitologico del ratto, e di quello religioso della “illuminazione”, alludono a quelle funzioni dell’anima necessarie per inaugurare il viaggio in se stessi, e come sottolinea Marie-Louise von Franz in Alchimia, l’inconscio attivato dispone di funzioni soprarrazio-nali, di cui è salutare tener conto, ai fi ni della ricerca dei propri “tesori” interiori, a cui i sintomi della sofferenza implicitamente invitano ed esplicitamente precludono. Quanto esposto sarà più chiaro nelle pagine successive. La ricerca di se stessi comporta la conoscenza di Sé, come compimento della propria progettualità psicologica, che, beninteso, non è solo esterna, ma soprattutto interna e che i sintomi bloccano o inibiscono in vario modo, im-pedendo l’accesso al Vero Sé. La sofferenza è come la selva dan-tesca, disorienta e confonde il soggetto, al punto da allontanarlo dalle proprie coordinate interiori esistenziali e progettuali e rele-garlo alla guida dei meccanismi difensivi, ripetitivi e coattivi del Falso Sé ed è come il soggetto che nelle fi abe, colpìto dal male-fi cio o sortilegio, si comporta in modo inopportuno e distruttivo. Il soggetto sofferente non dispone del libero arbitrio, ma dalle coazioni rigidamente fatalistiche dei sintomi… “mi ritrovai in una selva oscura, chè la dritta via era smarrita”... si noti l’imper-sonalità del verso, ove non è il soggetto che decide liberamente e responsabilmente di recarsi nella selva, ma il suo sintomo che agisce sulla psiche con una coercizione, non una ispirazione od una libera decisione, come chi è “chiamato”. Ciò però non va in-teso come de-responsabilizzazione totale, in quanto è pur sempre il soggetto che agisce, anche se non del tutto consapevole, attra-verso i suoi sintomi, di cui è salutare prendere coscienza.

Sul piano religioso, la medesima attivazione psicologica, che nei miti è espressa dal ratto, è equivalente e corrisponde al “ri-sveglio” od illuminazione, come San Paolo sulla via di Dama-sco, ma anche Buddha sotto l’albero. Quando l’anima si desta dal torpore, imposto dai sintomi della sofferenza, si attìva una di-versa energia psicologica, imponente e, di rifl esso, la psiche, at-tivata, rapita ed illuminata, tenta di comprendere lo straordinario accadimento e da questa “psicologica postazione” si interroga,

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ponendosi infi nite, ma peculiari domande intorno al malessere psicologico, apparentemente indomabile, e le risposte codifi cate da altri, e valide per chi le ha codifi cate, non allettano, nè ac-quietano gli arditi quesiti che dal dolore soggettivo scaturiscono, in quanto la psiche le rigetta, “sentendole” sterili, cristallizzate, non pertinenti, al pari del corpo che disconosce, con i meccani-smi immunitari, gli agenti estranei, rigettandoli. La domanda che scaturisce dalla angusta sofferenza, non dalla mente razionale, è così peculiare, da potersi defi nire, per la sua portanza, “chia-mata” del destino e che si erge e si compone dal magma di una sofferenza così imponente in un soggetto però con caratteristiche eroiche e religiose (da religo= tengo insieme) latenti della perso-nalità, che pone tale soggetto ad un bivio decisivo tra la vita e la morte. Si tratta di fasi delicatissime per la vita del soggetto, così in bilico. Sul piano psicologico, tale bivio indica che si desidera abbandonare un modello di vita basato sui sintomi, che ripetono incessantemente un copione prevedibile e terribile, organizzato dalla coazione a ripetere, a comporre un “destino” meccanico e scontato che fa vivere come in un circolo vizioso, dove tutto è scontato, programmato, prevedibile. “Lasciate ogni speranza voi che entrate” è la scritta sull’Inferno dantesco, ma anche su quel-lo della sofferenza non elaborata; mentre chi si interroga sulla sofferenza apre le porte al dubbio conoscitivo ed esplorativo e si pone in una condizione ove l’ignoto è fonte di speranza, oltre che di timore, quindi stimolante, pertanto si immette nella ricerca. Inaugura un percorso esistenziale ove il circolo è virtuoso, non vizioso, come quello che scaturisce dal dolore indiscusso. Il pro-getto esistenziale è scritto dal libero arbitrio interiore, con azioni più consapevoli, piuttosto che meccaniche, come quelle previste dal copione della sofferenza. Trattasi di un passaggio archetipo tra morte e rinascita, dall’Inferno al Paradiso, dalla nigredo all’al-bedo: l’abbandono del vecchio modo di vivere, come il serpente che muta la pelle. Il soggetto, che si interroga abilmente, intuisce e poi comprende, che la sua sofferenza non trova alcuna risposta esterna collettiva all’altezza dell’interrogativo postosi e nean-

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che interna, se proviene dalla parte convenzionale detta da Jung “persona” (dal latino “maschera”). Non trova pace neanche nelle ordinarie consolazioni che ognuno empiricamente ritrova per so-pravvivere alle “tempeste” emotive, rispetto a quel momento che è defi nibile come “chiamata” e che è linea di demarcazione nella vita del soggetto tra morte e rinascita e contrassegna un passag-gio da una modalità di vivere in cui si è governati dalla sofferen-za distruttiva – coazione a ripetere, ad una modalità in cui si fa un “patto” con la sofferenza, e, si inaugura la stagione creativa dell’esistenza, “dialogando” con i propri sintomi, anziché esser-ne inconsapevole suddito, in modo psicologicamente via via più sofi sticato e fecondo, sino a giungere a livelli elaborativi elevati, ove partendo dall’impiego stabile della mente, si passa ad inte-grare il dialogo con le immagini oniriche e con l’immaginazione attiva. L’interrogazione su se stessi pertanto prevede delle tappe. All’inizio i sintomi si mentalizzano, si colgono con la mente piut-tosto che con gli agìti che essi impongono se la mente non è desta e consapevole. I precedenti porti di pace, le oasi allucinatorie, che leniscono temporaneamente il dolore, come la tettarella dei bambini, dal soggetto ideati, per attenuare l’inquieto patimento, sono infruttuosi nella “nuova vita”, inaugurata dalla interroga-zione interiore ed introspezione. Si ha necessità di consolazioni che comportino una reale e signifi cativa trasformazione degli as-setti che producono il “male”, non il temporaneo lenimento del sintomo, ma la radicale trasformazione di ciò che lo determina. Non più “l’oasi” allucinatoria che allevia, ma le reali gratifi ca-zioni e le vere risposte, quelle che scaturiscono dal profondo ed insopportabile personale fardello, idonee a placare il turbamento ribelle e riottoso ai “sedativi” ed alle consolazioni ordinarie, sia individuali che collettivi. Come se si verifi casse una rivoluzione ed una ribellione allo status quo, il cui stendardo è la conoscenza, intesa, in chiave psicologica, come processo di consapevolezza – “dove era l’Es ora è l’Io”(S. Freud) – infi nito e di affi namento evolutivo, in quanto come succede nella realtà subatomica della materia, nella microfi sica, così anche nell’inconscio, l’osserva-

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zione consapevole modifi ca e trasforma il fenomeno osservato. L’anima, al pari di un albero, cresce su stessa, attingendo dalle sue radici, date dalle risorse ancestrali, archetipiche e dal rap-porto con l’Altro, del Tu, testimonianza che l’Io esiste. Se esiste l’Io, esiste anche il Tu. Si ha necessità dell’altro e della relazione interpersonale. Anche l’Autosuffi ciente per eccellenza -Narciso- ha necessità dell’Altro; proprio per questo motivo scambia per l’Altro la propria immagine nell’acqua specchiata, invaghendo-sene. L’altro, con cui ci si relaziona, inevitabilmente diventa lo schermo delle proiezioni o la terra da conquistare o annettere o colonizzare. Ciò a sottolineare, a scanso di equivoci, che la ricer-ca di se stessi, l’individuazione cioè, non esclude l’Altro, ma lo include in modo però non convenzionale.

Ciò vale sia per la vita individuale sia per la storia colletti-va. La storia, come la scienza e la conoscenza, evolve perché qualche soggetto creativo si ribella allo statu quo e esce dal coro collettivo per ritrovare se stesso e condividere con quel collettivo ciò che ha cercato.

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CAPITOLO 2

Caratteristiche del viaggio terapeutico. Rinascita psicologica e linguaggio dei segni. Paradigma della

sincronicità e relativizzazione del caso.

L’analisi è la sola ed unica occasione della vita in cui è consentito di esprimere apertamente i propri sen-

timenti al di là di qualsiasi strategia difensiva: nel momento in cui il lavoro analitico vince le resisten-ze più rigide, il sentimento sgorga come in un fi otto

Aldo Carotenuto

Nessuno incontro è veramente casuale, ma ogni rap-porto tra due esseri umani risponde ad una misteriosa

logica, a un profondo destino di cui senso e contenuto a volte si chiariscono dopo molto tempo, quando la turbo-

lenza emotiva che l’ha caratterizzato è ormai cessataAldo Carotenuto

Il termine sincronicità allude ad una coincidenza o simultanei-tà e corrispondenza tra eventi che accadono nell’anima ed eventi esterni; senza che sia possibile stabilirne nesso di causalità, ma di contemporaneità, legata ai processi archetipici dell’inconscio attivato. Più concretamente le manifestazioni psichiche, come sogni, presentimenti, visioni trovano corrispondenza con eventi esterni. Tale modalità di accadimento, dei fenomeni dell’anima e del mondo esterno, stimola, di rimando, notevolmente i processi cognitivi ed attentivi, destando stupore e spirito epistemofi lico.

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Si esclama, al cospetto di tali accadimenti, la frase ricorrente “non è un caso che”, sebbene non sia rintracciabile una causa ben precisa dell’evento. Tuttavia è necessario, con un opportu-no procedimento di ricerca, addentrarsi nel fenomeno, quando si verifi ca ed estrarne il senso, utile o necessario per l’assetto psico-logico del protagonista cui accade. Alla luce di ciò si può agevol-mente sottolineare come in taluni soggetti la sofferenza di ordine traumatico sembri preannunciatrice una sorta di vocazione, come accadde nella vita di S.Paolo, ove da persecutore dei cristiani, diventa cristiano e poi santo. Da persecutore attua meccanismi di intolleranza, in quanto governato da meccanismi psicopato-logici tipici del persecutore. Attraverso il senso di colpa tenta una riparazione tramite decodifi ca conoscitiva, che, contempla anche eventi casuali; defi nibili, allorchè colti nel signifi cato pre-ciso, come “coincidenze signifi cative”. Qui diventa estremamen-te stimolante il riferimento al modello della sincronicità, la quale include il linguaggio dei “segni”; ove con opportune decodifi che empiriche si coglie come negli stessi si celino e preannuncino di-segni più ampi, di cui essi costituiscono una anticipazione. Tutti gli accadimenti, aventi una certa confi gurazione, suscitano una attenzione singolare e curiosa che quindi traduce prontamente un interrogativo esplorativo e conoscitivo, declinante ciò che è predefi nito, inaugurando un procedimento di ricerca e compren-sione dell’accadimento nella sua unicità di senso e signifi cato. Con questo modello di indagine conoscitiva ogni situazione viene indagata e compresa per quella che è, non incastrata nel puzzle teorico od in schemi concettuali predefi niti e preordinati. Corrisponde ciò ai requisiti della psicologia analitica che tenta di cogliere il mistero di cui l’individuo è portatore, tramite la sofferenza psicologica che in taluni soggetti, oltre all’imponente patimento, suscita ardore e curiosità conoscitiva, come il bam-bino che, mentre apprende la deambulazione cade, piange mo-mentaneamente per la frustrazione, ma poi si rialza, riprende il suo compito evolutivo e non si scoraggia, ma procede ancor più motivato. Così, come ogni astro si inserisce nella sua orbita ed

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allineato nel cosmo, la sofferenza umana ha un senso preciso che conduce, se correttamente colto, al riscatto dal trauma ed all’at-tivazione della creatività, all’armonia e benessere nell’individuo, ma anche nell’ambiente, prossimo e distante, che lo circonda. Carpire il senso non è solo opera teorica, meramente intellettua-le, ma operazione i cui effetti sono eminentemente pragmatici, trasformativi, in quanto esso ispira le azioni e le condotte, che, modifi cate sulla scorta di questa acquisizione semantica, non sa-ranno quindi coazioni imposte dai sintomi e l’individuo non sarà marionetta dei suoi disagi.

Per addentrarsi nella sofferenza umana, con tale premessa, è necessario avviare procedimenti singolari di conoscenza: esplo-rare, ricercare, indagare in essa, sino a scorgere ed afferrare un senso, che nella sua ombra e nel suo paradosso, essa racchiude.

Proseguendo con la metafora alchimistica, introdotta nella premessa del presente saggio, i sintomi dell’umano patire, sono generalmente avvolti dalla “nigredo”, cioè, come il termine lascia presagire, nell’ombra e nel caos, che comporta necessariamente confusione cognitiva oltre che disorientamento emotivo, quindi complessivamente disagio delle due sfere di Logos ed Eros, ossia le due polarità dell’anima congiuntamente operanti e denotanti le due qualità dell’energia psichica, che caratterizzano la cono-scenza, psicologicamente eccepita: Eros con cui si “sente” la vita (amore) e Logos (cognizione) con cui si coglie la vita. Sul piano letterario bene esprime ciò, metaforicamente Dante Alighieri, nel suo verso denso di sapere psicologico: “tanto ero pien di sonno a quel punto che la verace via abbandonai”, traducibile come “ero così confuso in quella fase che dovetti deviare il vero percor-so di vita”. Il complesso procedimento di decodifi ca dei sintomi comporta un passaggio dalla loro alchimistica “nerezza”, quale porta stretta ed angusta, sino a pervenire alla loro limpidezza ed ampiezza, all’“albedo”, ove la cromaticità dei signifi cati si offre alla vista interiore, cogliendo così il senso della sofferenza, pre-cedentemente asemantico ed oscuro, sia sul piano cognitivo che emotivo, quindi concreto e pragmatico. Si è pervasi di vitalità,

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liddove comprendiamo il signifi cato del nostro soffrire; in quanto ciò conferisce la forza di gestire il male e convertirlo. Perveni-re al signifi cato della sofferenza è pertanto operazione illumi-nante ed illuminata. Ecco perché le tradizioni religiose orientali designano con il termine “illuminazione” le elevate conoscenze cui l’uomo, non senza fatica e sacrifi cio, perviene. Il sintomo, espressione del dolore umano, distillato nell’alambicco della co-noscenza, si trasforma in senso e segno che guida il personale percorso psicologico ed esistenziale e si è preannunciato sopra, come un segno preluda generalmente ad un disegno più ampio.

Il modello conoscitivo impiegato per l’anima, Sigmund Freud lo defi niva, quale peculiare operazione psicoterapeutica, “sca-vo archeologico”. In questo scavo alla volta dei fondali profon-di dell’anima, ove giace un “sapere assoluto inconscio”, come sottolinea copiosamente Jung, nelle sue opere, risiede, in ultima analisi, il senso di cui si necessita per progredire nel proprio esi-stenziale cammino – bloccato e spinto dalla sofferenza nei propri abissi interiori inconsci – e che è avviluppato nella profondità dell’anima, ove coabitano gli opposti: i mostri che distruggono e gli dei che creano; oppure, diversamente espresso, il drago e la perla. Come i sommozzatori devono scendere nel profondo mare, per osservare i fondali, così è necessario scendere, attra-verso l’ausilio delle immagini oniriche elettivamente, nelle no-stre profondità inconsce, ossia nell’Ade interiore, per visionare i fondali e riemergere con immagini signifi cative relative ai teso-ri del nostro essere. Quivi si incontra per prima l’Ombra, (così come Dante entra prima nell’Inferno, luogo buio e poi al Paradi-so) la sede dei sintomi, l’oscurità dell’anima.

Si parte quindi dell’Ombra, racchiusa nella sofferenza, per poi giungere, esplorando, attraverso un percorso spiraliforme dina-mico, alla Luce, celata in essa. Attraverso tale percorso si attìva una ricerca di conoscenza esplorativa idonea a reperire un senso, celato nel sintomo, che non è predefi nito, ma esito dell’interro-gativo imponente sollevato dal superbo patimento e della conse-guente ricerca. La psiche ricercatrice, attivata dal dolore, rigetta

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risposte convenzionali, in quanto non le riconosce come idonee e funzionali alla psiche individuale interrogante. È nettamente insuffi ciente la risposta predefi nita e dicotomica, in relazione a qualsiasi sintomo, relativa a perdono\ condanna, giusto\sbaglia-to, bene\male. È insito nel procedimento di ricerca e conoscenza non già pervenire a qualcosa di predefi nito e dicotomico, ma rin-venire un senso inatteso che è signifi cativo per quell’individuo, in quel momento ed in quel luogo, quale esito della ricerca e che, per di più, può costituire stimolo o monito per gli altri. Difatti nella psicologia analitica tale procedimento viene denominato “individuazione” e designa appunto il ritrovamento dell’unicità di cui l’individuo è portatore ed appropriarsene. Tale equazione personale è smarrita a causa del processo educativo repressivo, massifi cante, come sottolinea Freud, che mortifi ca l’individuali-tà, a favore dei processi omologanti e normativi collettivi.

Quindi le risposte cui si perviene saranno necessariamente funzionali alla unicità di quell’individuo che le ha poste, stimo-lanti e da monito per altri individui, in vario modo, a seconda di come vengono percepite. La sofferenza psicologica è un feno-meno individuale, ma che estende i suoi effetti e conseguenze, in vario modo, sul sociale, sul mondo esterno.

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