Il Santo Padre Francesco, Nel Suo Messaggio Per La Quaresima … · 2015-02-19 · 6 I DOMENICA DI...

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Il Santo Padre Francesco, Nel Suo Messaggio Per La Quaresima 2015, Si È Così Espresso: “La Quaresima È Un Tempo Propizio Per Lasciarci Servire Da Cristo E Così Diventare Come Lui. Ciò Avviene Quando Ascoltiamo La Parola Di Dio E Quando Riceviamo I Sacramenti, In Particolare L’Eucaristia. In Essa Diventiamo Ciò Che Riceviamo: Il Corpo Di Cristo. In Questo Corpo Quell’indifferenza Che Sembra Prendere Così Spesso Il Potere Sui Nostri Cuori, Non Trova Posto. Poiché Chi È Di Cristo Appartiene Ad Un Solo Corpo E In Lui Non Si È Indifferenti L’uno All’altro. ‘Quindi Se Un Membro Soffre, Tutte Le Membra Soffrono Insieme; E Se Un Membro È Onorato, Tutte Le Membra Gioiscono Con Lui’ (1 Cor 12,26). E Ancora Più Avanti: “Per Superare L’indifferenza E Le Nostre Pretese Di Onnipotenza, Vorrei Chiedere A Tutti Di Vivere Questo Tempo Di Quaresima Come Un Percorso Di Formazione Del Cuore, Come Ebbe A Dire Benedetto XVI (Lett. Enc. Deus Caritas Est, 31). Avere Un Cuore Misericordioso Non Significa Avere Un Cuore Debole. Chi Vuole Essere Misericordioso Ha Bisogno Di Un Cuore Forte, Saldo, Chiuso Al Tentatore, Ma Aperto A Dio. Un Cuore Che Si Lasci Compenetrare Dallo Spirito E Portare Sulle Strade Dell’amore Che Conducono Ai Fratelli E Alle Sorelle. In Fondo, Un Cuore Povero, Che Conosce Cioè Le Proprie Povertà E Si Spende Per L’altro”

In Questo Tempo Di Quaresima, Allora, Per Sostenere Questo ‘percorso Di Formazione Del Cuore’, Per Aiutarci A ‘superare L’indifferenza E Le Nostre Pretese Di Onnipotenza’ E, Infine, Per Metterci Di Nuovo Alla Scuola Della Parola Di Dio, Ecco Che, Con Tutta Semplicità E Umiltà, Presento Con Gioia A Voi Il Nostro Sussidio Diocesano Per La Catechesi, Nato, Come Sempre, Dal Lavoro Di Riflessione E Dalla Collaborazione Di Alcuni Uffici Pastorali Diocesani.

Spero Che Possa Rappresentare Un Ulteriore Contributo, Serio E Qualificato, Per Il Nostro Cammino Quaresimale, In Cui Cercheremo Di Cambiare Il Nostro Cuore Per Renderlo Attento Alla Voce Dello Spirito E Alle Richieste Dei Fratelli. Buona Quaresima A Tutti!

Don Luca Caprini11

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A cura di Caritas Diocesana

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Anche in questa Quaresima, come è stato per l’Avvento 2014, continuiamo il cammino in comunione con la Campagna UNA SOLA FAMIGLIA UMANA, CIBO PER TUTTI: È COMPITO NOSTRO. Con i bambini e i ragazzi cercheremo di capire qual è il COMPITO NOSTRO. E per questo proponiamo loro un diario da tenere in questo tempo di Quaresima: se possibile, cerchiamo di fare in modo che ciascuno tenga un piccolo quaderno dove inserire le attività proposte. Siamo all’inizio del cammino verso la Pasqua. Dobbiamo percorrerlo insieme, perché così è più facile prendere la direzione giusta. Papa Francesco vuole che nessuno sia escluso, per questo ha chiesto di prestare la nostra voce a chi è più povero, perché diventi “un ruggito in grado di scuotere il mondo”. E allora guardiamoci intorno e cantiamo, battiamo le mani e pensiamo ai bambini che oggi si sentono soli e tristi, a chi è più povero, a chi fa più fatica. Cantiamo anche per loro! E scriviamo, sul diario di questa Quaresima, chi vorremmo che cantasse insieme a noi. Facciamoci aiutare dalla nostra famiglia. L’esperienza sul monte è stata bellissima. Non è importante raccontarla (addirittura Gesù dice di non farlo!), ma dimostrare di essere persone nuove, capaci di cose belle. Mi prendo un impegno, per questa Quaresima, che dimostri la mia buona volontà. Una piccola cosa, ogni giorno, per rendere felice qualcuno. Mi farò aiutare dai genitori, dai catechisti e lo scriverò sul mio “diario”. Non si può comprare tutto, pare dire Gesù che in questo brano sembra proprio arrabbiato! Saper donare e saper ricevere un dono è molto più importante. Cosa sappiamo donare, cosa sappiamo ricevere che non si possa comprare? Diciamolo ai compagni e ascoltiamoli: già così faremo un’esperienza bellissima. E scriveremo un pensiero sul diario!

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Siamo così abituati alla luce, che neppure ci accorgiamo della sua bellezza. In questo periodo, piano piano, le giornate si stanno allungando; presto, con l’ora legale, ci sarà sempre più luce! Vogliamo fare una bella e buona azione insieme ai compagni, insieme ai genitori, insieme agli altri parrocchiani, perché ci sia cibo per tutti, ma anche dignità, partecipazione, felicità per tutti! Cibo per tutti: è compito nostro! Già, è compito nostro! Non solo mio, ma della comunità, di cui anch’io faccio parte: la Chiesa. Allora garantire “cibo per tutti”, deve essere anche impegno di tutti. Alla fine di questo cammino, voglio restare attento a tutte le iniziative della parrocchia che sono rivolte ai più poveri, cercando di partecipare come posso e coinvolgendo la famiglia e gli amici. Così saremo una sola famiglia! Maggiori info sulla campagna : www.cibopertutti.it o www.caritasitaliana.it I vari gruppi possono coordinare eventuali altre iniziative con caritas diocesana o con la caritas parrocchiale.

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CAPITOLO 3

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A cura dell’Ufficio per la Catechesi

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I DOMENICA DI QUARESIMALE TENTAZIONI DI GESU’

Il pinguino colorato (Bruno Ferrero, Storie belle e buone)

Quando mise fuori la testa dall'uovo, fu accolto dalla felicità di tutti.La comunità dei pinguini dell'Isola Azzurra si strinse intorno a Priscilla e Dagoberto, i suoi genitori, che avevano gli occhi luccicanti e non stavano più nel frac per l'orgoglio.Perché Filippo era davvero un bel neonato di pinguino.Aprì il becco ed emise un robusto vagito. Tutti i pinguini presenti applaudirono."È un ottimo segno!" disse lo zio Fortebecco."È impaziente di affrontare la vita".Filippo, in effetti, partì alla carica della vita con una gran dose di energia.Appena le sue zampette furono abbastanza robuste, si allontanò dallo sguardo premu-roso dei genitori per infilarsi fra i più discoli dei piccoli pinguini della comunità.Erano tutti più anziani di lui, ma nessuno lo batteva in coraggio e temerarietà.Fu Filippo il primo piccolo di pinguino che osò scivolare dalla punta del grande iceberg fino al mare, anche se poi non potè sedersi per due settimane a causa del bruciore sot-to la coda.Fu sempre Filippo, il coraggioso piccolo pinguino, che portò via la colazione all'enor-me e spaventoso tricheco Baffodiferro.Nella banda dei "pinguini irsuti", chiamati così perché si rifiutavano sistematicamente di lasciarsi pettinare le piume del capo dalle loro mamme, Filippo divenne l'incontra-stato boss."Perché sei sempre così agitato, Filippo mio?", gli chiedeva la mamma, un po' in ansia per quel figlio che cresceva così scapestrato.Con gli amici, Dagoberto era sinceramente preoccupato:"Quel monello ha bisogno di una bella strigliata!"Così spesso, alla sera, Dagoberto, Priscilla e Filippo rappresentavano, senza volerlo, la versione pinguinesca del processo di Norimberga."E' tutta colpa tua!"."No, tua!"."E' colpa di Filippo!".La mamma piangeva, papà sbatteva la porta e Filippo gridava:

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La mamma piangeva, papà sbatteva la porta e Filippo gridava:"Non ne posso più!".

I colori della vitaUn giorno il pinguino Filippo se ne stava sdraiato su una roccia a picco sul mare ed os-servava annoiato il formicolio dei pinguini della comunità.Sembravano tutti felici; lui, invece si sentiva pieno di amarezza."Che barba! Un posto tutto bianco, grigio e nero. Dove nessuno si fa i fatti suoi... Deve pur esserci un paese colorato. Pieno di gente colorata. Potrei diventare anch'io pieno di colori... Non ne posso più di questa camicia bianca e di questo ridicolo frac!"E, impulsivo com'era, si lasciò scivolare giù dalla roccia, si tuffò tra le onde e nuotò via dall'Isola Azzurra.

Approdò alla Terraferma.Gli avevano sempre raccomandato di evitare il litorale. I pinguini si tenevano prudente-mente alla larga dagli anfratti in ombra degli scogli, dove le onde infrangevano con vio-lenza rabbiosa, e foche, piccoli cetacei e altri predatori si acquattavano per far strage degli imprudenti."Adesso sono libero e faccio come mi pare", si disse Filippo.Si arrampicò a fatica e si incamminò sulla spiaggia.Un forte sbattere d'ali alle sue spalle lo mise in guardia. Un giovane cormorano aveva deciso di attaccarlo.Ma Filippo era robusto e dotato di un becco forte e tagliente.Lottarono per un po', facendo volare piume da tutte le parti.Filippo ci mise tutta la sua rabbia. Il cormorano cominciò a perdere sangue da una feri-ta alla gola e si spaventò. Si ritirò dal combattimento e volo via lamentandosi e impre-cando."Aah!", fece Filippo, gonfiando il petto con soddisfazione.Alcune gocce di sangue del cormorano erano finite sulle sue piume bianche. Il pinguino guardò le macchie rosse e disse:"Bene! Comincio ad essere colorato".Ondeggiando, ma più che mai risoluto a continuare la sua esplorazione, Filippo si inol-trò tra le rocce.

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"Ehi, amico!!", Una voce alle sue spalle lo fece voltare di scatto.Era pronto di nuovo a combattere, ma di fronte si trovò solo un gabbiano giovane e inoffensivo."Ti ho visto sistemare il cormorano", disse il gabbiano. "Sei un duro, tu"."Certo", rispose Filippo."Ti invito a pranzo", insinuò furbescamente il gabbiano."Che cosa vuoi dire?"."Andiamo a rubare le uova dai nidi delle rondini di mare, che ne dici? In due non ose-ranno farci niente".Fecero una scorpacciata di uova.Le povere rondini di mare tentarono invano di difendere i loro nidi. I due briganti muli-navano ali e becchi.Alla fine, Filippo si guardò il petto: era tutto macchiato dal giallo e arancione dei tuorli d'uovo."Altri colori!", si disse. "Questa è vita".Dietro di lui, si sentiva solo il disperato pigolare delle rondini di mare, che piangevano i nidi e le uova distrutti.

Il grande saltoSi installò in una grotta di ghiaccio azzurra, e ne fece il suo covo.Un gruppetto di gabbiani e perfino un'otaria con un occhio solo lo riconobbero come capo banda.Le scorribande del gruppetto furono ben presto temute da tutti.Filippo veniva chiamato semplicemente "Il pinguino colorato". Infatti la sua elegante livrea bianca e nera era sparita sotto i segni delle imprese che aveva affrontato.Oltre il rosso del sangue e il giallo delle uova rubate, c'erano tracce verdi, azzurre e an-che ciuffi di pelo argentato, che gli erano rimasti attaccati dopo un' epica lotta contro un Husky randagio.Ma che serviva essere diventato davvero il primo pinguino a colori, se non poteva farsi ammirare dai suoi vecchi amici e dalla sua famiglia?Il pensiero dell'Isola Azzurra prese a torturarlo.Anche se non voleva ammettere, sentiva un bel po' di nostalgia dell'allegra comunità dei pinguini."Avere una vita colorata non è proprio come me la immaginavo", si diceva sempre iù

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più spesso.Quella esistenza di fughe, attacchi, lotte e brigantaggio non gli piaceva più tanto.

Un mattino riprese la via del mare e tornò a casaI primi pinguini dell'Isola Azzurra che incontrò erano dei piccoli che giocavano sulle la-stre di ghiaccio galleggianti.Appena lo videro si misero a strillare e scapparono gridando:"Un mostro! Un mostro!".Gli adulti fecero largo al suo passaggio, ma non per fargli onore. Lo guardavano tutti con una sorta di ribrezzo."Ma perché? Idioti, sono io, non mi riconoscete?", brontolava Filippo."Filippo, figliuolo, lo sapevo che saresti tornato". La mamma naturalmente lo riconob-be, ma non osò abbracciarlo."Ma in che stato sei..."."Bentornato, Filippo", gli disse anche il papà. Ma non lo toccò.Le comari tutt'intorno borbottavano: "Che disgrazia! Poveri genitori...".Per la prima volta nella sua vita, a Filippo venne voglia di piangere.Improvvisamente comprese che i suoi colori continuavano a tenerlo lontano; lo rende-vano straniero alla comunità dell'Isola Azzurra.Mentre lui, solo adesso, si accorgeva che soltanto lì poteva essere veramente felice.

Ma come si fa a tornare indietro?"Papà", chiese."Vorrei cancellare questi colori e ricominciare, se è possibile".Dragoberto esitò, poi guardò Filippo negli occhi e disse:"C'è un mezzo solo: devi tuffarti dalla Grande Cascata. Laggiù l'acqua è così violenta e rapida che nessun colore può resistere. Ma è tremendamente rischioso. Ci vorrà il tuo coraggio. Te la senti di farlo?"."Si, papà".La voce si sparse in un attimo.Nel giro di pochi minuti c'erano tutti, grandi e piccoli, intorno alla grande cascata.Non riuscirono a trattenere un "Oh!" sincero quando in alto, dove il fiume precipitava in mare con un fragoroso boato, apparve Filippo. Sembrava così piccolo lassù.

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Rimase un attimo fermo a concentrarsi, poi spiccò il salto.Un salto stupendo, come se improvvisamente gli fossero spuntate le ali.La corrente lo ghermì come un fuscello e lo scagliò violentemente nel mare ribollente e schiumante.Il pinguino sparì nel vortice. Tutti trattennero il fiato.Poi ad un tratto Filippo riemerse.La forza stessa dell'acqua lo proiettò in alto e tutti videro che le sue piume erano diven-tate immacolate e che i colori erano scomparsi.Allora esplosero in un festoso: "Urrà!", che coprì perfino il tuonare dell'acqua.

INDICAZIONI CATECHISTICHE

L'esperienza nascosta nel racconto:Il pinguino Filippo è annoiato dalla vita di tutti i giorni che è soltanto "bianca, grigia e nera". Sono molti i ragazzi di oggi che considerano noioso ciò che è normale.La cultura in cui sono immersi è sempre alla ricerca di eccitanti per i sensi, per la men-te, per lo spirito.Questa ricerca travolge limiti e regole. Filippo cerca i colori, li trova diventando ingiu-sto, ladro, cattivo.Soltanto quando è davvero diventato colorato si accorge del prezzo da pagare: l'insoddi-sfazione personale e soprattutto l'allontanamento dalla sua famiglia e dalla comunità. È il prezzo del male, del peccato: essere tagliati fuori, perdere l'identità.Ma nella comunità dell'Isola Azzurra c'è il modo di cancellare tutto, di ricominciare. E' quello che succede nella Chiesa: Dio ci dà la possibilità di cancellare tutti i colori sba-gliati.Bisogna solo avere il coraggio di buttarsi nella Grande Cascata dell'Amore infinito di Dio che è il Sacramento della Riconciliazione.

Per il dialogo:L'educatore deve aiutare i ragazzi a percepire il significato simbolico della storia del pinguino Filippo e a riflettere contemporaneamente sulla realtà che anche loro stanno vivendo. Lo può fare con alcune domande:- Perché il pinguino Filippo decide di partire dalla sua isola?

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Vi è mai venuta la voglia di "mollare tutto"? Quando? Perché?- Secondo voi, che cosa sono i colori che Filippo cerca?- Di che tipo sono i colori che Filippo trova? Vi ricordano qualcosa?- Ci sono certe cose che i ragazzi di oggi desiderano ma che, secondo voi, sono un ma-le? Ne sapete ricordare qualcuna?- Perché Filippo non viene riconosciuto e accettato nella sua comunità?- Nella nostra comunità parrocchiale c'è qualche modo particolare per riconoscere di aver sbagliato e per riaccettare quelli che riconoscono di aver commesso il male?

Per l'attività:I ragazzi possono fare l'esame di coscienza con un cartellone sul quale si trovano i "co-lori sbagliati": (il rosso dell'ira, il giallo dell'invidia, il viola delle parolacce, il rosa della pigrizia, ecc...)

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II DOMENICA DI QUARESIMALA TRASFIGURAZIONE DI GESU’

Dan, un ragazzo di Gerusalemme(da Tutte Storie, di Bruno Ferrero)

Le strade di Gerusalemme erano percorse da una strana eccitazione. Gruppetti di per-sone si muovevano in fretta, vociando e urtandosi.L’aria molle e tiepida della primavera faceva piacevolmente fremere tuniche e mantel-li.Solo ad Oriente si accumulava un ammasso di nubi.I mercanti decantavano le loro merci, le donne si affannavano attorno alle bancarelle per gli ultimi acquisti: la solenne festa di Pasqua stava per incominciare. Ma non era solo la festa a provocare scompiglio ed eccitazione tra la folla.C’era un altro avvenimento.Per quel pomeriggio era annunciato uno spettacolo che suscitava la morbosa curiosità di grandi e piccoli: una esecuzione capitale.

Un uomo torturato Il fabbro martellava la punta di un vomere con gesti larghi e misurati, ma possenti.Ad ogni colpo, dall’incudine sprizzava una girandola di scintille. “Zio, zio!”.Una voce di ragazzo lo interruppe. Un dodicenne, dal volto vivace e intelligente, arrivò di corsa.“Ah sei tu, Dan!!” disse il fabbro.“Papà mi ha mandato a prendere i chiodi per i Romani”, ansimò il ragazzo.Il fabbro prese dei grossi chiodi nuovi che aveva messo in un largo recipiente di terra-cotta pieno di sabbia. “Tre uomini?, chiese.“Papà ha detto tre uomini”.Il fabbro contò i chiodi con le sue dita larghe e grosse e li mise nelle mani del ragazzo.Le dita sottili di Dan si piegarono sotto il peso dei grossi chiodi.“Verrà papà a pagare!”, disse il ragazzo.

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“Va bene…”, brontolò il fabbro e riprese a martellare quasi con rabbia.Sembrava accigliato. Scosse la testa e sputò per terra.Non gli piacevano i Romani e neppure le crocifissioni.

 Il ragazzo camminava più in fretta che poteva, facendosi largo in mezzo alla folla che si accalcava nella viuzza tortuosa cercando i posti migliori per godersi lo spettacolo dei condannati. “Eccoli! Arrivano”.Molti allungarono il collo o si misero in punta di piedi.Il piccolo corteo era aperto dal centurione romano e da due legionari e seguito da un codazzo di monelli saltellanti, di uomini che gridavano e da donne che piangevano.Altri due legionari spingevano a colpi si frusta i condannati curvi sotto il peso del pati-bulum, il braccio orizzontale della croce. Il padre di Dan, era stato ingaggiato a forza dal centurione romano per fare da aiutan-te dei soldati.Era un carpentiere e aveva dovuto portare i suoi attrezzi, poi aveva mandato il figlio a prendere i chiodi dal fratello fabbro.I Romani avevano scelto il percorso più lungo per arrivare al Golgota, il luogo dell’ese-cuzione.Volevano attraversare i vicoli più frequentati della città perché la vista della sorte tocca-ta ai condannati fosse un minaccioso monito per tutti.Quello era il destino riservato ai ribelli.Dan riuscì ad avvicinarsi al padre e gli fece vedere i chiodi.In quel momento vide bene i condannati.Si fermò impietrito, con gli occhi pieni di orrore a fissare il più giovane dei tre. Era il più malconcio.Era stato torturato senza pietà, una calotta di rami spinosi gli aveva coperto il volto di sangue e quasi non riusciva più a camminare.Il centurione aveva costretto un certo Simone a portare il patibulum al suo posto. Era il padre di Alessandro e Rufo, due ragazzi che Dan conosceva bene.Non può essere lui! Non è possibile!”, Dan gridò, ma nessuno se ne accorse.I suoi occhi si riempirono di lacrime.“Lui no! Lui no! Papà!”. La mano di suo padre si posò sulla spalla del ragazzo, che ora era scossa da singhiozzi.

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“Non posso farne a meno, figliolo, lo sai”.“Ma papà, è lui, il rabbi di Galilea. E’ Gesù… Quello che ha moltiplicato i miei pesci e i pani per dare da mangiare a tanta gente”.

Un giorno in Galilea Quella giornata in Galilea, un anno prima, era la più vivida nella memoria di Dan.Aveva seguito la folla che andava ad ascoltare il rabbi di cui tutti parlavano.La mamma gli aveva anche preparato il pranzo in un piccolo tascapane, perché cono-sceva bene il suo gagliardo appetito.Erano cinque pagnotte d’orzo e due pesci avvolti in un tovagliolo di tela.La collina formicolava di gente.Quando sentì i morsi dell’appetito, Dan si accorse che nessun altro si era portato da mangiare. Probabilmente anche il rabbi era stanco e aveva fame.Così si era avvicinato a lui e un po’ impacciato l’aveva invitato a condividere i pani e i pesci.Aveva sussurrato delle parole garbate, proprio come le aveva insegnato sua madre.Il rabbi lo aveva avvolto nel suo sorriso e lo aveva guardato con quegli occhi profondi che Dan non avrebbe mai più dimenticato.Poi tutto era successo in un attimo.Gesù aveva invitato tutti quanti a sedersi per terra e aveva preso in mano i pani e i pe-sci.“Addio pranzo!”, aveva pensato Dan .Ma i suoi pani e i suoi pesci erano diventati dieci, cento, mille, diecimila.E gli amici di Gesù li avevano distribuiti a tutti.Là, sulla collina di Galilea, migliaia di persone mangiavano con gusto i suoi pani e i suoi pesci.Tutti improvvisamente commensali di un miracolo.E lui aveva riavuto tutto il suo pranzo e lo sbocconcellava, orgoglioso come se il miraco-lo fosse anche un po’ merito suo, seduto accanto al rabbi e ai suoi amici.Non avrebbe mai più dimenticato quella giornata.E quell’uomo. 

 Ma ora era tutto diverso. E il rabbi di Galilea era solo un grido di dolore inchiodato al-

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Il chiodo Ma ora era tutto diverso. E il rabbi di Galilea era solo un grido di dolore inchiodato al-la croce.I soldati giocavano a dadi, indifferenti a tutto. Soltanto il centurione teneva d’occhio la gente e i condannati.C’erano dei Farisei e dei pezzi grossi del Tempio che gridavano soddisfatti e derideva-no Gesù.“Vieni via. Torniamo a casa!”.La mano forte di suo padre lo prese per mano e lo obbligò a voltarsi.Scesero dal ponticello dei condannati, mentre, di colpo, il cielo si riempiva di nubi ne-re come la pece. Un momento di terrore superstizioso serpeggiò tra la gente.Il rabbi sulla croce gridò qualcosa. Dan si tappò gli orecchi con le mani.Tornò a casa e raccontò tutto a sua madre, stupita dal suo volto rigato di lacrime.“Adesso mangia e non pensarci più!”, gli disse la madre, mentre gli passava le mani nei capelli ricciuti.era in centurione che vigilava perché tutto avvenisse a norma di legge.Dan si fece coraggio e si avvicinò.“Signore, posso avere uno dei chiodi dell’uomo crocifisso in mezzo?”.“Di quello che chiamavano Re dei Giudei?”.“Si”.“E che te ne fai? Lascia perdere”, rispose brusco il Romano.“Per favore”, implorò Dan. Aveva gli occhi pieni di lacrime.“Bah… Ebrei!”, borbottò il centurione e gettò uno dei chiodi ai piedi del ragazzo.Dan prese il chiodo e corse via.A casa avvolse il chiodo in un panno e lo mise sotto il cuscino. Sul ferro erano rimaste le macchie scure del sangue del rabbi.Da quel momento il chiodo del supplizio divenne il suo oggetto più caro. Il tesoro Qualche tempo dopo, una sera, suo padre tornò a casa e posò gli attrezzi di lavoro in un angolo.Poi all’improvviso disse:“Il centurione è spacciato. Ha preso le febbri che uccidono. Domani dovrò preparare tutto per la cerimonia funebre”.

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Dan fu scosso da una improvvisa decisione.Corse a prendere il suo piccolo tesoro e corse fuori. Arrivò ansimante alla caserma dei soldati romani.Lo conoscevano tutti, per via di suo padre, e lo lasciarono passare.Dopo un po’ si affacciò alla stanza del centurione. Il Romano giaceva sotto un mucchio di coperte, il suo volto era ingiallito e tremante. La febbre lo stava divorando.Dan si avvicinò e gli mise il chiodo davanti agli occhi.“Lo ricordi, signore?”.Gli occhi appannati del moribondo annuirono.“Prendilo!”.La mano del centurione si strinse intorno al chiodo.Le sue labbra screpolate mormorarono: “Grazie”. Come un soffio d’aria fresca passò sul volto devastato del Romano, i suoi lineamenti si distesero, il respiro rantolante si fece tranquillo e regolare.Dan disse semplicemente: “Lo sapevo”.E silenziosamente tornò a casa. INDICAZIONI CATECHISTICHE

L’esperienza nascosta nel raccontoDan, il ragazzo di Gerusalemme, è coinvolto nella storia di Gesù. Non è solo testimone, in un certo senso “partecipa”.E’ quello che succede ai bambini del Catechismo.Non devono semplicemente “ascoltare” la storia di Gesù: sono chiamati a partecipare e a rivivere quegli avvenimenti perché hanno un significato importante per la loro vita.Nel nostro racconto, Dan cerca di capire chi è veramente Gesù. Si intuisce che questa è la grande domanda che darà un significato alla sua vita. La strada della fede è lunga.

Per il dialogoAttraverso il dialogo, il catechista aiuta i ragazzi a immedesimarsi con il piccolo testi-mone della Passione di Gesù: i resoconti degi Evangelisti sono affascinanti e ricchi di particolari. Seguendo le loro descrizioni si può davvero diventare spettatori degli avve-nimenti decisivi della vita di Gesù. Non spettatori disinteressati, ma profondamente co-involti. Anche la nostra vita è decisa da quegli avvenimenti.

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- La figura di Dan è inventata. Quali sono stati, secondo i Vangeli, i testimoni della Pas-sione di Gesù? Com’è avvenuta veramente? - Perché la Passione di Gesù è importante? Che cosa significa?- Il chiodo della croce di Gesù salva la vita del centurione romano. Perché, secondo voi?- Come fanno i cristiani a ricordare la Passione di Gesù? Quali oggetti, riti, cerimonie conoscete? Perché nelle case cristiane si appende il crocifisso?

Per l’attivitàLa Via Crucis è un modo inventato dalla pietà popolare per sentirci partecipi degli avve-nimenti della Passione di Gesù. Il gruppo può partecipare a quella della Parrocchia o inventarne una particolare.Al termine ai partecipanti può essere consegnato un chiodo di foggia antica o un picco-lo crocifisso.

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III DOMENICA DI QUARESIMAI DIECI COMANDAMENTI

LA FELICITA’ A SCOPPIO RITARDATO(“Nuove storie” di Bruno Ferrero)

C’era una volta un re che aveva una figlia, bella e virtuosa.Il re non voleva che la sua unica figlia, buona e intelligente, finisse per sposare il primo figlio di re o principe che domandasse la sua mano. Era giustamente preoccupato e brontolava:“Questi giovani che sono stati educati nei palazzi, tra onori e ricchezze smisurate, sono dei bambini viziati; ricercano solo il loro piacere, e non sarebbero in grado di governa-re dopo la mia morte. Quello che voglio è una persona degna di fiducia, fosse anche un contadino o un operaio”. Ma tutti quelli che facevano la fila davanti alla sua porta per chiedere la mano della bel-lissima principessa o erano stupidi e vanitosi, o rozzi e scortesi, o grandi intenditori di armi e cavalli, ma ignoranti e incolti. Il re decise di cercare per sua figlia un buon artigiano, un operaio, laborioso e previden-te, che potesse prendersi cura di lei.Iniziò perciò a girare i cantieri, alla ricerca di un uomo prestante, laborioso, simpatico e intelligente. Davanti a ogni casa in costruzione chiamava il proprietario e il capomastro perché gli indicasse qualcuno che faceva al caso suo, un uomo che potesse diventare suo genero e che fosse degno di ereditare un giorno il suo trono. Un giovane muratoreUn giorno il re passò davanti a una casa in costruzione e vide dei giovani operai che tra-sportavano mattoni su un’impalcatura.Uno di loro attrasse la sua attenzione; andò a cercare il proprietario dell’edificio e chie-se informazioni su di lui.

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“E’ un operaio che lavora per me senza ricevere salario. Mangia e beve alla mia tavola, dorme in casa mia, ma non riceve denaro”, rispose il proprietario.E continuò:“Suo padre era un mercante importante. Quando morì mi doveva ancora centomila de-nari d’oro. Allora ho preso con me il ragazzo e gli ho insegnato il mestiere. Lavora dal-l’alba al tramonto, e in tal modo paga il debito del suo defunto padre”. Il re allora disse: “Ti pago tutto quello che ha mangiato e bevuto e in più saldo l’intero suo debito”. Il proprietario accettò e ricevette la somma proveniente dal tesoro del re.Senza parlare, il re condusse il giovane muratore nel palazzo reale.I servitori gli tolsero i suoi abiti dismessi e sporchi di calce. Il barbiere di corte gli ta-gliò accuratamente barba e capelli. I sarti gli prepararono su misura degli abiti ricama-ti, poi un solerte maggiordomo lo guidò nella sala da pranzo, dove fu servita una squisi-ta cenetta.Il giovane mangiò e bevve, ma si sentiva frastornato, per tutto quello che gli stava capi-tando.I servitori del re lo condussero allora in una stanza del palazzo che era stata preparata per lui, e il giovane cadde sul letto, stanchissimo, e si addormentò.

Tutti erano allegri, meno lo sposoIl mattino dopo, il re fece chiamare nel suo studio il giovane muratore e gli disse:“Mi sei piaciuto. Voglio darti mia figlia in sposa. Se vuoi sposarla, così com’è, bene. Al-trimenti ti farò uccidere. Nella stanza accanto ci sono le mie guardie del corpo. Se rifiu-terai, ti incateneranno e ti taglieranno la testa”. Il povero giovane non aveva scelta.Perdere la vita, dopo tutto, gli sarebbe dispiaciuto assai.Perciò rispose al re:“Accetto”.Incominciarono i preparativi per le solenne nozze reali. Il re invitò tutti i nobili del re-gno, i suoi ministri, i fedeli vassalli e i notabili della città.La festa cominciò tre giorni dopo e venne celebrata con molto sfarzo e splendore. Il vi-no scorreva come acqua. Tutti gli invitati si divertivano ed erano allegri e felici.Lo sposo invece era triste e preoccupato.“Come sarà la mia sposa? Forse è cieca e zoppa, forse muta o malata… Perché il re mi obbliga a sposarla per forza? C’è sicuramente una ragione”. 

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Il povero giovane era in preda allo sconforto e alla preoccupazione.Con un certo batticuore attese la fine del ricevimento.Finalmente tutti gli invitati fecero ritorno a casa e gli sposi rimasero soli.Il giovane di rivolse alla ragazza:“Vieni, avvicinati”.Lei si avvicinò.“Preparami qualcosa da mangiare”, disse lui, tanto per metterla alla prova. “Ho fame. Non sono abituato alla cucina del castello”.Sorridendo, la figlia del re preparò una deliziosa macedonia di frutta e del latte.Poi lui le disse:“Scrivi una lettera alla mia vecchia madre”.E lei si sedette e scrisse la lettera.Lui le disse ancora:“Raccontami una bella storia, mi piacciono le storie”.E la figlia del re fece quello che le aveva chiesto suo marito, già conquistata dal suo fa-scino e dalla sua intelligenza.Nel giro di pochissimo tempo, insomma, il giovane muratore scoprì che la moglie che gli era stata imposta era praticamente perfetta.Era bellissima, intelligente, brava massaia, buona e capace in tutto.Il giovane si rallegrò moltissimo che gli fosse toccata una sorte così.Qualche mese dopo, il genero del re invitò tutti i ministri e i notabili del regno e fece dare a palazzo reale una grande festa.Era contento, allegro, felice.Ballò tutta la notte, bevve del vino e mangiò frutti deliziosi.I re e i suoi ministri gli chiesero:”Come mai eri così triste alle tue nozze e sei invece così felice ora?”.Il genero ed erede del re rispose:“Il re mi aveva costretto a sposare sua figlia, minacciando di mettermi a morte se non avessi accettato.Ho pensato: “Forse sua figlia ha un’infermità, forse è cieca zoppa…”.Ma ora che ho vissuto con lei per alcuni mesi, si che possiede ogni virtù: è bella e buo-na.Ecco perché la mia gioia è grande, ho il privilegio di ave ricevuto una perla: la figlia di un grande re, una moglie buona e fedele”.

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INDICAZIONI CATECHISTICHEL’esperienza nascosta nel racconto:La felicità a scoppio ritardato contiene un insegnamento semplice: esistono delle leggi, degli obblighi che ci vengono imposti, e sul momento è difficile comprenderne l’utilità.E’ un insegnamento profondamente e biblicamente sapienziale: Dio impone al suo po-polo una legge, certo, ma questa legge è garanzia di felicità e generatrice di gioia. Ricor-dando le parole di Gesù: ”Voi troverete la pace, perché quello che vi domando è per il vostro bene, quello che vi do da portare è un peso leggero” (Matteo11,30).

Per il dialogoIl catechista deve far scoprire il senso nascosto della storia. Può aiutarsi con qualche domanda.-Secondo voi, il re ha agito bene con il giovane muratore? Non era meglio che lo lascias-se in pace?-Perché il giovane era l’unico triste il giorno delle nozze?-A voi piace essere obbligati a fare qualcosa?-Quali sono gli obblighi più grossi che vi vengono imposti ogni giorno? Quali di essi vi sembrano troppo pesanti?- chi è che vi impone degli obblighi? Anche Dio impone degli obblighi agli uomini?-A che cosa servono le leggi in uno stato?-Che cos’è la “legge di Dio”? Come si manifesta?-Perché alla fine il giovane è felice?-Ci può capitare qualcosa di simile se accogliamo le leggi umane? E con le leggi divine?-Ricordate che cosa ha detto Gesù a proposito degli obblighi e dei pesi che è venuto a portare? Trovate la risposta in Matteo 11,29-30.

Per l’attivitàSarebbe interessante ricostruire, su un apposito cartellone, il “decalogo” consegnato da Dio a Mosè sulle tavole di pietra. Mettendolo sotto il titolo: ”Questa è la legge della felicità”.

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IV DOMENICA DI QUARESIMADIALOGO TRA GESU’ E NICODEMO

CHE COSA C’E DOVE FINISCE IL MONDO?(da “Nuove storie di Bruno Ferrero)

In un regno lontano lontano, c’era una volta un re che aveva tre figli. Sentendosi ormai vecchio, il re decise di lasciare il trono ad uno dei figli e di ritirarsi in pensione. Così un bel giorno chiamò i tre figli e disse: “cari figli miei, ho deciso di lasciare il tro-no a quello di voi che mi saprà dire che cosa c’è alla fine del mondo”.

Il grande freddoIl figlio maggiore partì immediatamente. Si chiamava Gedeone, era grande e grosso, con la voce tonante e grande abilità nel maneggiare la spada. Ma, fin da piccolo, era sempre stato molto diffidente: diffidava di tutto, delle cose e della gente. Così, dovendo partire per i confini del mondo, si circondò di un potente esercito. L’armata cominciò a muoversi lentamente, con circospezione, guardando avanti, guardando alle spalle, te-mendo agguati da ogni parte. Finché, un bel giorno, la marcia fu fermata da un grande albero.L’albero disse a Gedeone: “figlio maggiore del re, la dove vai tu fa molto freddo. Avrai bisogno di legno per fare un bel fuoco. Prendi questo seme di albero, ti donerà tutto il legno che ti serve”.Ma Gedeone era molto diffidente. Brontolò: “Con un piccolo seme così ci vorranno de-gli anni per avere un po’ di legna”.Buttò via il semino e ordinò ai suoi di abbattere l’albero e di portar via il suo legno. Ma appena l’albero fu fatto a pezzi, tutto il suo legno scomparve. I soldati si trovarono in mano solo un mucchietto di cenere.Gedeone riprese la sua marcia, circondato dai suoi valorosi soldati. Più avanzavano, più faceva freddo. La terra era gelata sotto i loro piedi. Invano scrutavano davanti a loro, tutto era bian-co, gelido, quasi trasparente. Dovunque si dirigessero, trovavano solo ghiaccio. Gedeo-ne tornò a casa e dichiarò: 2Dove finisce il mondo, c’è solo un freddo deserto di ghiac-cio che non finisce mai”.

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Un burrone pieno di notteIl giorno dopo, fu il secondo figlio del re a partire per il confine del mondo. Si chiama-va Modesto e, fin da piccolo, era sempre stato molto pauroso. La paura lo assaliva solo quando faceva buio. Prima di partire, Modesto dichiarò: ”D’accordo, io parto, ma devo arrivare dove finisce il mondo ad ogni costo, prima di sera”. Così attaccò alla sua car-rozza i mille cavalli più veloci del regno e cominciò a frustarli perché corressero più ve-loci del vento. Li frustò senza posa con la sua lunga frusta di cuoio. Attraversò in un lampo il grande deserto di ghiaccio e arrivò sull’orlo di un grande burrone. In fondo al burrone vide la notte che cominciava a salire. Un albatro dalle grandi ali si avvicinò e gli sussurrò: “se vuoi trovare al luce, devi tuffarti nella notte. Sali sul mio dorso, io ti guiderò”.Ma Modesto ebbe troppa paura e non lo ascoltò nemmeno.Voltò la carrozza e ricominciò a frustare i cavalli per rientrare al palazzo al galoppo.Quando si presentò al padre, Modesto dichiarò: “il mondo finisce in un grande burro-ne e questo burrone è pieno di notte”.

“Non ho mai visto tanta luce”L’indomani mattina, toccò al figlio minore del re, Beniamino. Non aveva guerrieri con sé e neanche cavalli. Parti tutto solo, a piedi. Camminava senza fretta, guardava tutto, ascoltava tutto. Quando arrivò all’inizio del grande deserto di ghiaccio, vide l’albero ri-dotto in cenere, e anche il piccolo seme che suo fratello maggiore aveva buttato via. Al-lora lo raccolse, scavò una buchetta, e lo piantò delicatamente. Terminato il lavoro si addormentò profondamente. Quando si risvegliò, Beniamino non sapeva quante ore aveva dormito, ma nel frattempo un bell’albero era cresciuto. Il ragazzo ne tagliò qual-che ramo e poté riscaldarsi al loro fuoco. Poi, pieno di coraggio riprese il cammino. Quando arrivò ai bordi dell’immenso precipizio, trovò il grande albatro che l’aspettava. Il vecchio uccello fece a Beniamino la stessa proposta che aveva fatto al fratello più grande. Beniamino aveva un po’ di batticuore, ma accettò e salì sul dorso dell’uccello, che con ampi colpi d’ala si immerse nella notte. Avanzava senza vedere nulla, ma a po-co a poco, attraversò la notte. Il grande albatro depositò Beniamino davanti alla porta della fine del mondo. Quando la porta si aprì, Beniamino intravide che di là tutto era più chiaro e fulgido, molto più bello, molto più gaio di un giorno nuovo.Beniamino aveva una gran voglia di andare verso la luce, ma aveva promesso al re di ritornare per raccontargli tutto.

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Prese una manciata di luce e la portò con sé.Allora tornò al palazzo e disse semplicemente al padre: “non ho mai visto tanta luce co-me dall’altra parte della porta dove finisce il mondo”.Il vecchio re si alzò in piedi e disse:” il cammino della diffidenza conduce al deserto, il cammino della paura porta alla notte, il cammino della fiducia porta alla luce. Il cam-mino di Beniamino è quello che preferisco. Sarà lui il nuovo re”.

INDICAZIONI CATECHISTICHE

L’esperienza nascosta nel raccontoNei confronti del divino, come ci dimostra la storia della religioni, gli uomini hanno spesso imboccato la via della diffidenza o della paura, che in realtà non portano da nes-suna parte. Il piccolo seme e l’albatro sono i simboli della pazienza fiduciosa e della speranza, virtù necessarie al cammino religioso. La via di Gesù è la via della luce, del-l’amore, della fiducia. Anzi, lui stesso è “la via”.

Per il dialogoL’insegnante aiuti la comprensione del senso simbolico della storia con alcune doman-de:- Perché Gedeone si arresta al deserto di ghiaccio? Che cos’è che gli impedisce di prose-guire?- Chi è che si comporta come Gedeone?- Che cosa significa concretamente “fidarsi” di Dio?- Potremmo dare un nome al seme dell’albero e all’albatro? Perché Modesto non ascol-ta il consiglio dell’albatro?- C’è qualcosa che vi fa paura quando sentite parlare di Dio?- Che cosa significa, secondo voi, la luce che Beniamino trova “dove finisce il mondo”? Scriviamo tutte le cose che la parola “luce” vi fa venire in mente.

Per l’attivitàI ragazzi possono essere divisi in piccoli gruppi, ognuno dei quali ha il compito di dise-gnare con fantasia e altri particolari la mappa del paese inventato dalla storia e il viag-gio dei tre figli del re.

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V DOMENICA DI QUARESIMALA NUOVA ALLEANZA DEL SIGNORE

IL SEME PIÙ PICCOLO(da “Tutte storie”, di Bruno Ferrero)

Non si sa come fosse capitato proprio là, ma nella manciata di grossi e lucidi grani di frumento c’era un granellino nero nero, così piccolo che era quasi invisibile. Il contadi-no buttò la manciata di semi nella terra aperta dall’aratro. Con grande dignità e profon-da consapevolezza della loro missione, i semi di grano presero posto nelle loro culle di buona e profumata terra. Ma quando arrivò il semino nero, scoppiò tra le zolle una gran risata. «Pussa via, sgorbietto inutile! », brontolò stizzito un grosso seme di fru-mento che si era ricevuto il semino nero proprio sulla pancia.«Chiedo scusa, signore», mormorò il granellino. “Sono spiacente!” «È il seme più ridicolo che mi sia capitato di vedere!» sbraitò il bulbo di una cipolla selvatica. Le erbe del fossato, vecchie e pettego-le, cominciarono a dire malignità di ogni sorta sui semi moderni che ciondolano qua e là e non riescono a combinare niente. Anche i semi di papavero ridevano e l’avena, già alta, propagò al vento il suo parere: «Divento gialla se ne uscirà una fogliolina sola!». Il piccolo seme si sentì avvilito da quelle voci di disprezzo, che il vento, gran chiacchie-rone, sparpagliava dappertutto. Si fece ancora più piccolo, in un cantuccio di terreno, ma non si scoraggiò. Non aveva nessuna intenzione di mancare alla sua missione. Qual-cosa era pur capace di fare! Sognò di crescere alto fino a sovrastare anche le canne del-lo stagno… «Chissà se l’avena diventerà gialla per davvero», pensò. Voleva riuscirci a tutti i costi! Lasciò che i grossi semi di frumento si crogiolassero pigramente deriden-dolo e facendosi beffe della sua piccolezza. Egli affondò subito le radici nel terreno umi-do e pieno di squisito nutrimento. Fu un inverno faticosissimo per lui. Gli altri semi si godevano il tepore profumato della terra, facevano le cose con calma. Giocavano a car-te o agli indovinelli per passare il tempo. Il piccolo seme invece ce la metteva tutta. Sbuffava, sudava, ma impegnava nella sfida tutte le sue forze. C’era freddo fuori! Non importava. Il piccolo stelo si aprì la strada verso il cielo senza paura. Venne l’estate. I viandanti che percorrevano la stradina accanto al campo di grano si fermavano e addi-tavano meravigliati una pianta alta e rigogliosa che dominava la distesa del grano. Un mattino dorato passò anche il Signore. Chiacchierava con i suoi apostoli, parlando loro dei gigli del campo e degli uccelli dell’aria. Giunto davanti alla pianta sì fermò e la guar-

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dò con intensità. I passerotti smisero di far chiasso e anche il vento, che si divertiva a far frusciare gli steli del grano e ad arruffare l’erba del fosso, tacque sospeso. Gesù sa-peva l’enorme fatica del piccolo seme nell’inverno e volle coronare la fiducia che aveva avuto in se stesso. Disse: «Guardate il granello di senape. È il più piccolo di tutti i se-mi, ma quando è cresciuto, è più grande di tutte le piante dell’orto; diventa un albero, tanto grande che gli uccelli vengono a fare il nido in mezzo ai suoi rami». Il frumento, che si aspettava qualche elogio sulla sua importanza, quasi seccò per l’invidia. Il picco-lo seme nero, là sotto, esplodeva di gioia.

INDICAZIONI CATECHISTICHE

L’esperienza nascosta nel racconto“Il seme più piccolo” è il “seme” della fede.I ragazzi lo ricevono nel terreno della vita insieme a molti altri semi, più grossi, più evi-denti magari. La fede può sembrare poco importante per la vita pratica, invece porta in sé tesori di grandezza e di completezza che possono contribuire ad una maggiore felici-tà della persona. Ma per far sbocciare e crescere la pianta della fede occorrono sacrifi-cio e impegno.

Per il dialogoIl racconto ha una struttura molto semplice e facilmente comprensibile. Più difficile è avviare alla comprensione dell’esperienza profonda che fa da soglia a una catechesi. Ci si può servire di brevi domande.- Come viene accolto il seme di senape? Perché gli altri semi ridono di lui?- Che cosa fa il semino durante l’inverno?- Che cosa dice il Signore?- Tu hai ricevuto molti semi nel terreno della tua vita. Elencane qualcuno.- Hai ricevuto anche il seme della fede. Come?- Sei mai stato preso in giro perché frequenti l’oratorio e vieni al catechismo?- Cosa devi fare per far crescere la fede? Chi ti aiuta?

Per l’ attivitàConsegnare ad ogni ragazzo un piccolo seme da fare germogliare a casa.

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A cura dell’Ufficio per le cooperazioni missionarie fra le Chiese

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Continuiamo il cammino iniziato in Avvento, nutrendoci della Parola di Dio seguendo l’itinerario delle Beatitudini.

Prima settimana di Quaresima

Beati i misericordiosiperché troveranno misericordia

Viviamo in un mondo che è bravo a sottoporre tutto e tutti a processo (se mediatico ancor me-glio), a emettere giudizi e a condannare. Dio, invece, giudica ma non condanna. E questo per-ché crede nell’uomo, anche se non si merita quello che Lui gli dona. Dio ama l’uomo per gra-zia, gratis, e il suo modo di amare si chiama misericordia, ovvero con cuore compassionevole. E ci chiede di fare altrettanto.Siamo misericordiosi se capiamo che Dio da sempre ha usato misericordia con ciascuno di noi. La misericordia è un boomerang: se la usi sugli altri ti torna indietro. È l’unica arma che invece di ferire guarisce. L’unica ricompensa di cui l’amore è capace è l’amore stesso.

PERIFERIA

PERDONO: cessazione del sentimento di risentimento nei confronti di un’altra persona; ge-sto umanitario con cui, vincendo il rancore, si rinuncia ad ogni forma di rivalsa, di punizione o di vendetta nei confronti di un offensore (wikipedia).

Anche il perdono è una periferia esistenziale perché, anche se cristiani, piccoli o grandi, non sempre riusciamo a metterlo in pratica.In qualche luogo del mondoUna volta un signore già attempato pensava tra sé durante la Messa: “Se tu Dio ti avvicini a me, come posso io non avvicinarmi agli altri? Anzi, se lo incontrassi perdonerei anche quella persona che diversi anni fa mi aveva accusato ingiustamente facendomi rinchiudere in prigio-ne per ben cinque anni”. Giunse il momento di scambiarsi il segno della pace. Il nostro amico si guardò attorno e si rese conto che alcune file più in là c’era proprio la persona che lo aveva accusato. Si avvicinò e gli offrì la pace, il perdono che giunse ad ambedue come un regalo libe-ratore.Se guardiamo il mondo con misericordia, viviamo meglio!

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Cosa possiamo fare noi?

Opere di misericordia corporale- Dare da mangiare agli affamati: non sprecare il cibo, porta un alimento alla caritas

parrocchiale- Dare da bere agli assetati: pensa anche agli altri- Vestire gli ignudi: non chiedere sempre vestiti di marca, utilizza i vestiti che hai fin-

ché sono buoni- Alloggiare i pellegrini: preoccupati di chi ha bisogno della tua amicizia o è rimasto

senza casa- Visitare i malati: parenti o conoscenti- Visitare i carcerati: prega per loro- Seppellire i morti: prega per i defunti.

Opere di misericordia spirituale- Consolare i dubbiosi: fatti vicino a chi è solo o messo da parte- Insegnare agli ignoranti: aiuta nei compiti un compagno di scuola che non ha capito

bene la lezione- Ammonire i peccatori: fai comprendere, senza giudicare, a chi ha sbagliato, l’errore

commesso- Consolare gli afflitti: stai vicino a chi sta vivendo un periodo difficile, pregate insieme- Perdonare le offese: chiedi perdono e non andare a dormire senza aver fatto pace- Sopportare le persone moleste: se qualcuno ti dà fastidio con il suo comportamento

non evitarlo- Pregare per i vivi e per i morti: ringrazia Dio per la giornata, per la tua famiglia.

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Seconda settimana di Quaresima

Beati i puri di cuoreperché vedranno Dio

Il centro della vita per ogni essere vivente è il cuore. Se il cuore funziona si vive bene. Se il cuore non funziona tutto l’organismo ne risente e la vita stessa è messa a rischio. Senza alcuni organi si può vivere, ma senza il cuore o con il cuore malato… Quando la sede dei nostri sentimenti sperimenta un’imperfezione – una impurità – tutta la nostra esistenza ne risente. La purezza del cuore si ottiene lasciando che il nostro cuore sia abitato da Dio. Un cuore puro è un cuore libero da malizie, da menzogne, da doppiezze, da maschere che spesso indossiamo.Ma un cuore puro vedrà Dio perché sa guardare oltre le maschere alla ricerca del bene che c’è in ognuno di noi. Rasenta l’ingenuità questa beatitudine: ma quanto andrebbe me-glio il mondo se tutti fossimo molto più ingenui di quanto siamo!

PERIFERIA

ABBANDONO: pensiamo all’essere abbandonati dai genitori, dalla famiglia e all’abban-donarsi, lasciarsi scivolare il mondo addosso senza avere la forza di reagire.

Sono milioni i casi di abbandono infantile nel mondo, causati dalla povertà, dalle malat-tie, dalla mancanza di responsabilità dei genitori. L’abbandonarsi, spesso, è il riflesso di un abbandono infantile, di una sofferenza vissuta a livello affettivo o materiale.

KenyaUn gruppo di oltre venti ragazzini, vestiti di stracci, puzzolenti, alcuni già intontiti dai fu-mi della colla, altri invece con l’alito che sa di benzina. Un gruppo di bambini lanciati ver-so l’autodistruzione. Se ne possono conoscere tanti così, nelle periferie di Nairobi, e nes-suno arriva oltre i trent’anni.Quella sera era diversa perché c’era con loro anche un adulto, Jack, divenuto loro amico dopo averli inseguiti per mesi, li aveva radunati con una proposta: Lasciate la vita di stra-da, venite con me. Vi daremo da mangiare ogni giorno, vi manderemo a scuola, potrete ripartire con una vita dignitosa, continuando ad aiutarvi come avete fatto finora. Noi vi

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accompagneremo, ma sarete voi a camminare.La cosa che manca di più è un adulto che si preoccupi per i bambini, che li protegga e li guidi, che voglia loro bene.Nasciamo tutti puri di cuore! Poi la vita può essere più o meno favorevole.

Cosa possiamo fare noi?- Guardare tutti con occhi buoni.- Nutrire il nostro cuore di cose buone, di Parola di Dio, di buoni esempi per essere sa-

no e felice

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Terza settimana di Quaresima

Beati gli operatori di paceperché saranno chiamatifigli di Dio

Dio e pace… un binomio vincente! Ma perché allora questo Dio viene spesso tirato in bal-lo come motivo di discordia tra gli uomini, giustificando guerre a causa della religione?

PERIFERIA

GUERRA: evento sociale e politico generalmente di vaste dimensioni che consiste nel confronto armato fra due o più soggetti collettivi significativi. (wikipedia)PACE: condizione personale, sociale, relazionale, politica o legata ad altri contesti caratte-rizzata da condivisa armonia ed assenza di tensioni e conflitti. (wikipedia)

Intanto nel mondo…• Milioni di bambini e bambine sono vittime di guerra.• Centinaia di migliaia di bambini e ragazzi sono arruolati in eserciti perché costano e mangiano meno degli adulti, sono facilmente controllabili, sono più coraggiosi, e per pre-pararsi ai combattimenti sono sottoposti a veri e propri corsi di addestramento-• Le bambine vengono sfruttate per cucinare, prender acqua, come schiave, oppure spie, oltre a sfruttamento sessuale.Costruttori di pace. Ognuno di noi può e deve costruire la pace.

Cosa possiamo fare noi?- Dire che la violenza genera solo altra violenza.- Seguire il Dio della Pace e non il dio dei soldi, del potere, della forza- Imparare a non dire parolacce e bestemmie anche nello sport- Insieme alla ferma condanna di ogni violenza, assumiamo atteggiamenti che favori-

scano il dialogo anche tra amici e familiari che non si parlano più da tempo

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Quarta settimana di Quaresima

Beati i perseguitatiper causa della giustiziaperché di essi è il Regno dei Cieli

Ci siamo già detti (nella quarta beatitudine, quarta settimana di Avvento) che giustizia per l’evangelista Matteo non è l’osservanza della legge ma mantenere rapporti onesti, lim-pidi, stabili con Dio. Matteo ha di fronte a sé la prima Chiesa, perseguitata perché accusa-ta di distruggere una religione e uno stile di vita. Ma anche oggi c’è chi è perseguitato a causa della giustizia (o dell’ingiustizia) che si pre-senta come obbedienza della legge, anche se iniqua. Questa è, forse, la beatitudine più du-ra da accettare, perché agli occhi del mondo chi è condannato è, spesso, considerato diso-nesto: chi soffre a causa del colore della pelle, o della sua religione, o per colpe passate.

PERIFERIA

PERSECUZIONE: maltrattamento sistematico di un individuo o di un gruppo di indivi-dui, anche in relazione alla negazione di diritti, come una risposta al loro credo religioso. (wikipedia)

IndiaMessaggio del superiore provinciale dell’ordine dei Frati Minori dell’India:“Pregate per le Chiese dell’India. Degli estremisti buddisti hanno dato fuoco a 20 chiese nella notte scorsa. Hanno in programma di distruggere questo pomeriggio altre 200 chie-se. Vogliono uccidere 200 missionari nelle prossime 24 ore. Tutti i cristiani si stanno na-scondendo nei villaggi. Pregate per noi, chiedete a Dio di avere pietà dei nostri fratelli e sorelle dell’India”Rispettiamo… e chiediamo rispetto.

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Cosa possiamo fare noi?- Diamo l’esempio: quando usciamo dalla Messa la domenica si vede che siamo felici

di aver incontrato Gesù nella preghiera comunitaria e nell’Eucaristia? - Invitiamo gli amici a partecipare alle attività della parrocchia Impegniamoci a non di-

re parolacce e bestemmie anche nello sport- Preghiamo per i fratelli cristiani perseguitati: ciascuno secondo il suo Credo ha dirit-

to di esprimere la propria fede

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Quinta settimana di Quaresima

Beati voi quando vi insulteranno vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia.Rallegratevi ed esultate, perché grande èla vostra ricompensa nei Cieli

Sopportazione paziente e sorridente dei rimproveri, mostrarsi contenti ogni volta che sia-mo trattati male. Ma cos’è il cristianesimo? L’esaltazione del masochismo e dell’auto tor-mento? Chi di noi è mai stato contento e desideroso di essere perseguitato? Nessuno: nem-meno Dio.Beati saremo, tuttavia, se nonostante il male ricevuto manterremo dentro di noi la pace; beati saremo se trovandoci nell’afflizione riusciremo nonostante tutto ad essere operatori di pace, a conservare la mitezza, a proclamare la giustizia e a usare misericordia.

PERIFERIA

VERGOGNA: emozione negativa che coinvolge l’intero individuo rispetto alla propria ina-deguatezza; è il rendersi conto di aver fatto qualcosa per cui possiamo essere considerati dagli altri in maniera totalmente opposta rispetto a quello che avremmo desiderato. (wiki-pedia)

Qui in ItaliaNon proviamo vergogna a mostrare che siamo cristiani, a fare il segno della croce in un luo-go pubblico, a far parte del coro parrocchiale, ad andare al catechismo, a servire la messa. Forse altri non sanno cosa si prova ad avere una motivazione grande come la fede, perché non hanno ancora avuto modo di scoprirla.Non vergogniamoci di essere cristiani!

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Cosa possiamo fare noi?- Leggere un passo del Vangelo ogni giorno- Portare un piccolo libro del Vangelo sempre con sé- Nelle difficoltà o nelle prese in giro non ci abbattiamo ma rallegriamoci nel Signore- Abbiamo fiducia in Dio!

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A cura di Azione Cattolica

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“Ricordate che la Passione di Cristo termina sempre nella gioia della Risurrezione, così, quando sentite nel vostro cuore la sofferenza di Cristo, ricordate che deve venire la Resurrezione, deve sorgere la gioia della Pasqua”.

Madre Teresa di Calcutta

Don Tony Drazza (assistente centrale del Settore giovani di Ac)

“Se praticate l’ascesi di un regolare digiuno, non inorgoglitevi. Se per questo vi insuperbirete, piuttosto mangiate carne,perchè è meglio mangiare carne che gonfiarsi e vantarsi”

Isidoro Presbitero

Siamo nel tempo quaresimale, tempo forte dello Spirito che ci prepara ai grandi misteri della vita di Gesù, passione, morte e risurrezione e della nostra redenzione. Da sempre il tempo della Quaresima è segnato dal digiuno e dalle opere di penitenza. Ma spesso, per la velocità con cui conduciamo la nostra vita, i continui impegni che si accavallano, non ricordiamo più perchè si digiuna; da dove parte la pratica del digiuno e cosa può significare per noi oggi digiunare. Interrogare il Vangelo sul tema del “digiuno” può lasciarci delusi. Non si trovano che poche parole rispetto al tema e con due sfumature di fondo. La prima: il digiuno è una realtà secondaria, cioè “relativa” a qualche cosa d’altro. Il digiuno deve rimandare a realtà più grandi di noi e a noi trascendenti. La seconda: è proprio tenuto conto che il “digiuno” è una realtà secondaria, esso può diventare una realtà ambigua, può portare, cioè, a forme sbagliate e condannabili di rapporto con Dio. Si tratta dunque di inserire il “digiuno” all’interno di una bella e profonda esperienza di fede, la quale permetterà di scoprirsi più umani e rendere le nostre pratiche penitenziali ancora più vere.

E’ necessario riscoprire il vero senso del digiuno e dell’astinenza e viverlo con il grande desiderio di ascoltare la Parola e soprattutto senza “inorgoglire il cuore” per le rinunce fatte durante il tempo della Quaresima. Per viverlo bene allora si deve dar valore al tempo che si sta vivendo. Si può preparare un bell’incontro a casa con qualcuno che spieghi il senso del tempo. Non tutti i tempi che viviamo sono uguali. I bambini presenti hanno il diritto di capire perchè la mamma e il papà a un tratto decidono di digiunare o perchè la parrocchia chiede con più insistenza in Quaresima questo impegno.

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Quindi dopo la riflessione sul senso del tempo si possono proporre alcune cose da fare insieme in famiglia:

- Essendo il digiuno unito alla preghiera e alla misericordia, si può pensare di scegliere, per tutto il tempo di Quaresima, di spegnere la TV un quarto d’ora prima dell’orario solito e insieme leggere un bel libro o scegliere di leggere qualche versetto di Vangelo oppure scegliere la vita di un santo che dia luce nuova a tutta la famiglia;

- Si può decidere un pomeriggio a settimana, come famiglia, da trascorrere in compagnia dei nonni o di qualche persona sola, aiutandoli nelle cose più semplici o chiedendo loro di raccontare la loro esperienza e tutto quello che hanno vissuto (quante cose ci sarebbero da imparare);

- In questa fase i bambini riflettono su chi sono i loro maestri, le persone da cui vogliono imparare a realizzare i loro sogni. Anche i genitori sono invitati a fare un viaggio nel tempo e raccontare ai figli quali sono le persone che hanno segnato la loro vita e alle quali si sono ispirate e si ispirano tutt’ora. I genitori raccolgono in una scatola delle foto o degli oggetti che rappresentano i maestri o ciò che da loro hanno appreso (un regalo, un oggetto che li ricorda, lo strumento grazie a loro hanno imparato ad usare ecc.). In un momento della giornata in cui tutti hanno la possibilità di essere presenti con la necessaria tranquillità (dopo cena ad esempio), i genitori presentano ai bambini la scatola e li invitano a pescare i vari oggetti. Uno per volta, i genitori raccontano la storia legata all’oggetto e la persona a cui è associato. Nel racconto di può sottolineare come, prima di incontrare questa persona, i genitori non avevano le competenze o le caratteristiche che hanno imparato da quel maestro. Non vanno escluse hanno le difficoltà che hanno incontrato per imparare e come la presenza dei maestri li abbia aiutati ad andare avanti. L’attività può essere divisa su varie giornate, dedicando un giorno al racconto di un oggetto. Anche i bambini ricevono una scatola in cui possono iniziare a raccogliere i simboli che rappresentano i loro maestri. Man mano che aggiungono degli oggetti, i bambini possono a loro volta raccontare ai familiari il motivo per cui hanno inserito quell’elemento.

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Concorso per bambini e ragazzi dai 6 ai 14 anni

Non di solo pane…

Diocesi di Pitigliano - Sovana - OrbetelloAzione Cattolica Diocesana

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CONCORSO ACR 2015: NON DI SOLO PANE

Nella vita di tutti i giorni i ragazzi sono spinti continuamente ad andare, a vedere, a provare. Spostandosi da un posto all’altro, da una compagnia all’altra, i ragazzi entrano a contatto con il mondo che li circonda.  Essi sono chiamati a “testare” la propria vita cristiana nei contesti di tutti i giorni.Progettando una vita alla sequela di Gesù, in questo tempo di avvicinamento alla Pasqua, sono chiamati a riflettere sui parametri, sulle motivazioni, sulle “fonti di energia” da cui nessun cristiano può prescindere: la Parola e l’Eucarestia.I ragazzi accolgono e si nutrono della Parola e dell’Eucarestia- segni della presenza e della vicinanza di Cristo nella vita di tutti i giorni- perché per far sì che il vento si plachi, si deve far salire Gesù sulla barca della vita: solo così potranno uscire “sul campo” per annunciare a tutti la gioia della risurrezione, senza timori e paure.I ragazzi si impegnano allora a spendersi anche nei luoghi che di solito non considerano “terreno fertile” per la loro vita, perché convinti che chi incontrano in quegli spazi non sia interessato a ciò che hanno da dire.La Parola ascoltata e il sacramento celebrato aiutano a ridefinire le priorità, a calibrare meglio la nostra quotidianità.

Come uso le mie energie? Quante ne “spreco” per cose superflue? Quante sono disposto a spendere per mettere in pratica ciò che mi suggerisce la Parola?

Ciascuno, prendendo in esame la quotidianità delle proprie azioni, viene invitato ad abbinare una tipologia di energia (rinnovabile o non rinnovabile) ad una situazione, un ambiente di vita, una relazione, un’attività che vive tutti i giorni.

I ragazzi, animati e riempiti dall’incontro con Gesù – perché <<La Parola qui non si esprime innanzitutto in un discorso, in concetti o regole. Qui siamo posti di fronte alla persona stessa di Gesù>> (cit. VD 11, dal Programma Pastorale 2014-15 di Mons. Borghetti) – dovranno individuare per cosa veramente vale la pena di spendere le proprie energie, accompagnati dai propri educatori, catechisti e formatori.

<<Ecco che allora tutti i battezzati si devono far portatori di questo grande annuncio di speranza, in una realtà complessa, tenendo conto che profondo è il rapporto tra comunicazione della Parola di Dio e testimonianza cristiana>> (Programma Pastorale 2014-15).Tramite un video, una pubblicità, un insieme di foto, una canzone o qualsiasi cosa la loro fantasia produca, dovranno testimoniare come loro si fanno portatori di questa buona notizia: “non di solo pane vive l’uomo”!

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REGOLAMENTO

La partecipazione è gratuita. Gli elaborati vanno consegnati su chiavetta usb entro e non oltre il 15 Aprile 2015 e non verranno restituiti. Il caso di elaborati video sono ammessi solo se con durata non superiore ai 3 minuti. La presidenza diocesana e i membri di equipe di Ac si impegnano a venirli a ritirare in qualsiasi parrocchia della diocesi previa comunicazione per mail a [email protected]. Sarà possibile consegnarli anche tramite piattaforma Dropbox, basta sempre avvertire tramite una mail.

L’elaborato deve essere accompagnato dai fogli di liberatoria per l’utilizzo delle immagini e di informativa per la privacy (vedi allegato di seguito) compilati in ogni parte pena l’esclusione dal concorso. Gli elaborati saranno giudicati in parte da una giuria pubblica (ci sarà una sezione dedicata sul sito diocesano e sul profilo facebook dell’Azione Cattolica Diocesana) e in parte dalla presidenza Ac. Il concorso avrà premiazione il primo maggio alla festa diocesana degli incontri. Si vince una “targa” da poter tenere in parrocchia.

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Allegato

!Azione!Cattolica!Diocesi!di!Pitigliano!–!Sovana!5!Orbetello!!

!!!LIBERATORIA!PER!L’UTILIZZO!DI!IMMAGINI!!Il/la sottoscritto/a: _______________________________________ nato/a a _________________________________ il _________ e residente in _____________________ Via ________________________________ n._____________ codice fiscale ____________________________________ in proprio o in qualità di genitore o persona esercente la potestà sul minore______________________________ autorizza la pubblicazione della propria immagine o dell’immagine del minore sopra indicato presentata dalla parrocchia_____________________________ per la partecipazione al concorso “NON DI SOLO PANE” organizzato dall’Azione Cattolica Diocesana Il/la sottoscritto/a ne vieta altresì l’uso in contesti che ne pregiudichino la dignità personale e il decoro. La posa e l’utilizzo delle immagini sono da considerarsi effettuate in forma gratuita. Luogo e data __________________________ Firma leggibile__________________________________________________________________ INFORMATIVA SULLA PRIVACY Ai sensi dell'art. 13 del D.Lgs 196/2003, i dati personali che la riguardano saranno trattati da Azione Cattolica Diocesi di Pitigliano – Sovana - Orbetello per lo svolgimento del concorso e non saranno comunicati a terzi. Il titolare del trattamento dei Dati è il Sig. Stefano Renzi amministratore di Azione Cattolica Diocesi di Pitigliano Sovana Orbetello, p.za Gregorio VII , 58017 Pitigliano (GR) Luogo e data ______________________________