Il ruolo dei fattori esogeni ed endogeni nelle tendinopatie2...TENDINOPATIE DELL’ACHILLEO E DEL...
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IL RUOLO DEI FATTORI ESOGENI ED ENDOGENI NELL’EZIOLOGIA DELLE
TENDINOPATIE DELL’ACHILLEO E DEL ROTULEO
Gian Nicola Bisciotti Ph.D.
Physiologist Lead c/o Qatar Orthopaedic and Sport Science Hospital, Doha (Q).
Abstract.
L’eziologia delle tendinopatie può essere ascrivibile sia a fattori esogeni , ossia estrinseci in
rapporto al soggetto - come ad esempio la superficie di lavoro, il tipo di calzatura utilizzato,
l’interazione tra calzatura e superficie di appoggio ecc.- che di tipo endogeno, ovvero intrinseci al
soggetto stesso, come malallineamenti, posture errate, alcuni tipi di patologia. In ogni caso, la
difficoltà della struttura tendinea nell’autorigenerarsi sottolinea l’importanza dell’aspetto preventivo
nell’ambito dell’insorgenza delle tendinopatie; aspetto preventivo che deve necessariamente basarsi
su di una completa conoscenza dell’eziologia delle tendinopatie stesse.
Parole chiave: tendinopatie, fattori intrinseci, fattori estrinseci, shock vibratorio.
Introduzione
L’insorgenza delle tendinopatie è strettamente legata a fattori di ordine esogeno, od estrinseco, e di
ordine endogeno, altrimenti definibile con il termine di intrinseci. I primi sono fattori strettamente
dipendenti da caratteristiche esterne ed ambientali, come le superfici sulle quali si espleta l’attività
sportiva, le diverse tipologie di calzature, od ancora le caratteristiche del mezzo utilizzato come ad
esempio nell’ambito del ciclismo. I secondi, al contrario, dipendono da caratteristiche individuali
ben precise, come ad esempio mal allineamenti, diversi tipi di patologie, il gruppo sanguigno di
appartenenza, oppure da ben precise predisposizioni genetiche. Molto spesso uno o più fattori
esogeni ed endogeni possono coesistere, determinando in tal modo un quadro d’insorgenza della
tendinopatia di tipo multifattoriale. In linea generale possiamo affermare che nei traumi di tipo
acuto vi sia una predominanza dei fattori estrinseci, mentre nelle problematiche da overuse si ritrovi
preferenzialmente un’eziologia di tipo multifattoriale (Williams, 1986; Khan e Maffulli, 1988). Non
a caso abbiamo volutamente scelto il termine di “tendinopatia”, preferendolo alle più ortodosse
nomenclature di “tendinite” e “tendinosi”che, come tutti sanno, sottintendono la prima un processo
infiammatorio e la seconda, al contrario, un processo di tipo degenerativo. Ad oggi, in effetti, si
preferisce il termine tendinopatia, che sta ad indicare un profondo processo di rimaneggiamento
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della struttura tendinea, che, in ultima analisi, testimonia della obiettiva difficoltà da parte del
tendine ad autorigenerarsi. Questo non esclude a priori la possibilità che in alcuni casi, che invero
rappresentano una percentuale minoritaria, si possa constatare un vero e proprio processo
infiammatorio, quindi definibile con il termine di tendinite, la cui durata però è solitamente ridotta
ai primi giorni iniziali del fenomeno tendinopatico. Il termine di tendinopatia infine, rende ben
conto del fenomeno di profondo rimaneggiamento biologico che va ben al di la del solo
coinvolgimento della zona lesionale ma bensì coinvolge la struttura tendinea in toto. Il tendine di
Achille ed il tendine rotuleo sono i due siti anatomici maggiormente interessati dal fenomeno delle
tendinopatie, soprattutto in ambito sportivo (Paavola e coll., 2005). Il loro coinvolgimento dipende
molto dal profilo prestativo della disciplina considerata e dal livello dell’atleta, anche se
ultimamente i danni tendinei, soprattutto a livello dell’Achilleo, sono drasticamente aumentati
soprattutto nella popolazione dei cosiddetti “colletti bianchi” (ossia coloro i quali praticano
un’attività sedentaria) (Hattrup e Johnson, 1985; Maffulli, 1999; Möller e coll., 2001) durante le
attività fisiche effettate preferenzialmente ,se non addirittura del tutto esclusivamente, durante il
fine settimana senza nessuna preparazione fisica idonea alle spalle, tanto che questa pratica,
ovviamente molto criticabile, viene giustamente denominata con il termine di “warriors week end”.
I fattori esogeni legati alla corsa
Nell’ambito di un attività come la corsa i tre fattori esogeni principali d’insorgenza di tendinopatie,
a livello del tendine d’Achille e del tendine rotuleo, riguardano essenzialmente tre aspetti:
L’assorbimento dello shock vibratorio che si verifica durante la meccanica di corsa stessa;
La tipologia della superficie di corsa;
L’interazione meccanica intercorrente tra superficie e la tipologia di calzatura adottata.
Di seguito esamineremo separatamente ognuno di questi tra fattori cercando di evidenziare il loro
diverso ruolo nell’ambito eziologico delle tendinopatie.
L’assorbimento dello shock vibratorio durante la corsa
Se consideriamo un modello biomeccanico della corsa universalmente noto come lo “Spring Mass
Model” (SMM) (Blickhan, 1989), diviene d’immediata comprensione la problematica inerente lo
shock vibratorio e le sue consequenziali implicazioni a livello delle strutture anatomiche osteo-
muscolo-legamentose. Lo SMM modellizza la corsa umana attraverso una massa (mass), che
rappresenta il peso corporeo, ed una molla (spring) che esprime meccanicamente il comportamento
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elastico, ossia l’attitudine ad accumulare ed a restituire energia elastica, dei complessi muscolo-
tendinei degli arti inferiori. Da un analisi di questo modello si può evincere che, durante la corsa a
velocità inferiori a quelle correlata alla soglia anaerobica, ad ogni appoggio del piede al suolo, il
soggetto subisce un shock vibratorio dell’ordine compreso tra 10 e 20 Hz, la magnitudo della
frequenza di tale shock vibratorio dipende essenzialmente dalla velocità di corsa, dalla superficie di
appoggio e dall’interazione tra superficie d’appoggio e tipologia di calzatura utilizzata (Nigg e
Walkeling, 2000). Correre a piedi scalzi ad esempio comporta, a parità di velocità e sulla stessa
superficie, uno shock vibratorio all’incirca doppio rispetto a quanto registrabile con l’utilizzo di
una scarpa da running (Robbins e coll., 1989). Le vibrazioni, oltre un certo limite, che alcuni Autori
individuano a circa 20 Hz, sono in grado di scompaginare l’ultrastruttura tendinea, rivelandosi
detruenti dal punto di vista anatomico e rappresentando in tal modo un’importante causa eziologica
di tendinopatia (Stenlund e coll., 1993; Wilson e coll., 2001; Alexander, 2001a; Alexander 2001b;
Wang, 2007). Le alte frequenze vibratorie infatti sono assorbite per la maggior parte dagli elementi
elastici in serie (ossia dalla struttura tendinea) mentre l’elemento contrattile (ossia il sarcomero)
rimane in una situazione sostanzialmente isometrica (Alexander, 2001a).
Figura 1: durante la corsa effettuata al di sotto della velocità corrispondente alla soglia
anaerobica, il soggetto subisce ad ogni impatto un shock vibratorio compreso tra i 10 ed i 20 Hz.
L’entità dello shock dipende essenzialmente da tre fattori: la velocità di corsa, la superficie di
appoggio e l’interazione tra la superficie di appoggio ed il tipo di calzatura utilizzata.
Il problema degli effetti deleteri sull’ultrastruttura tendinea causati dallo shock vibratorio durante la
corsa non riguarda solamente l’uomo, nel mondo animale vi sono altri esempi altrettanto
interessanti, uno per tutti ce lo fornisce il cavallo (Equus caballus). Il cavallo subisce, durante la
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locomozione, uno shock vibratorio pari a circa 35-40 Hz all’andatura del passo , che aumenta in
funzione del tipo di andatura adottata1 . Tuttavia, il cavallo possiede un eccellente fattore di
smorzamento naturale (dumping factor) rappresentato dalla particolare struttura anatomica dei
muscoli flessori digitali profondo e superficiale. I tendini di questi due muscoli presentano infatti
una considerevole lunghezza ( circa 600 mm), mentre il ventre muscolare stesso si presenta come
relativamente corto (circa 6 mm) (Dimery et al., 1986, Alexander et al., 1982). In un’unità muscolo
tendinea (UMT) così strutturata, è chiaro che l’architettura muscolare non sia idonea alla
locomozione che, infatti, risulta avvenire quasi interamente grazie alla variazione di lunghezza della
componente tendinea. Tuttavia, le fibre dei due muscoli flessori digitali, seppur estremamente corte,
presentano una larga Cross Sectional Area, che si rivela ideale per l’assorbimento delle vibrazioni
di alta frequenza e ridotta ampiezza che si verificano durante la locomozione dell’animale (Dimery
e coll., 1986; Alexander e coll., 1982 Ettema, e Huijing, 1994). Questo dumping factor naturale è
estremamente efficace, ad esempio durante l’andatura del passo ad un ciclo di 2,5 strides/secondo,
l’animale subisce uno shock pari a circa 35-40 Hz, che per circa l’88% viene dissipato in circa 100
ms su di una superficie rigida, ed in tempi ancor minori su superfici morbide.
Figura 2: il cavallo (Equus caballus), ma anche il cammello (Camelus bactrianus) possiedono un
eccellente fattore di smorzamento naturale rappresentato dalla particolare struttura anatomica dei
muscoli flessori digitali profondo e superficiale.
1 Il cavallo notoriamente possiede tra tipi di andature: il passo, il trotto ed il galoppo. Inoltre, alcune razze particolari , come ad esempio il Paso Fino Peruviano, hanno anche un quarto tipo di andatura denominata “ambio”.
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Tuttavia, nonostante questo efficace mezzo protettivo, i problemi di sovraccarico funzionale delle
UMT sono nel cavallo da corsa estremamente diffusi e questo “natural dumping system” comincia a
perdere efficienza già dopo circa 10.000 cicli di galoppo (Cheney et al., 1973, Nunamaker et al.,
1990). Infatti, nei cavalli da corsa si ritrova una correlazione positiva tra le componenti vibratorie
di alta frequenza, derivanti dalle forze di reazione al suolo, e l’insorgenza di tendinopatie (Down et
al., 1991); molto spesso pertanto nei cavalli da corsa occorre ricorrere all’adozione di ulteriori
mezzi di smorzamento vibratorio, come ad esempio l’adozione di uno speciale tipo di ferratura che
prevede l’interposizione tra ferro e zoccolo di un materiale smorzante come il poliuretano.
Figura 3: nei cavalli da corsa è spesso necessario ricorrere ad una speciale ferratura che prevede
l’interposizione tra zoccolo e ferro di uno strato di poliuretano.
Anche l’uomo possiede un proprio dumping factor (DF), rappresentato in questo caso dai tessuti
molli degli arti inferiori (Rubin e coll., 2003). Nell’uomo l’entità del fattore di smorzamento è
strettamente dipendente dall’angolo di flessione dell’articolazione del ginocchio: un maggiore
angolo di flessione comporta un aumento del DF, mentre una riduzione di suddetto angolo causa, al
contrario, una diminuzione del DF (Rubin e coll., 2003).
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Figura 4: nell’uomo il DF è rappresentato dai tessuti molli degli arti inferiori ed è strettamente
dipendente dall’angolo di flessione dell’articolazione del ginocchio.
In alcune situazioni particolari, come ad esempio in alcune specialità dell’atletica leggera, l’entità
delle vibrazioni può raggiungere, ed anche oltrepassare, i 45 Hz (Bisciotti e coll., 2011), questo
unitamente al fatto che il DF a livello del tendine rotuleo e soprattutto dell’achilleo è pressoché
nullo (Rubin e coll., 2003), ci fa capire quale sia l’importanza delle vibrazioni nell’eziologia delle
tendinopatie dell’Achilleo e del rotuleo in alcune discipline specifiche. Inoltre, questi dati
giustificherebbero l’utilizzo di bande anti-vibrazione non solamente per ciò che riguarda il tendine
rotuleo, pratica già largamente in uso, ma anche per ciò che concerne il tendine di Achille.
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Figura 5: in alcune discipline dell’atletica leggera, come ad esempio il salto triplo, si possono
registrare, al momento dell’impatto del piede al suolo, degli shock vibratori dell’ordine di oltre 45
Hz. Questo giustificherebbe l’utilizzo di bande anti vibrazione non solo per ciò che riguarda il
tendine rotuleo ma anche per l’achilleo.
Errori nel carico e nelle tecniche di allenamento
In varie discipline sportive, soprattutto in quelle nel cui profilo prestativo sia prevista la corsa od i
balzi, le lesioni e/o le rotture dell’Achilleo sono spesso associate ad errori nell’ambito della
programmazione dell’allenamento (Hess e coll., 1989; Clain e Baxter, 1992; Jozsa e Kannus, 1997;
Mahieu e coll., 2006). Una delle maggiori cause sembrerebbe essere rappresentata dall’overtraining
(Clement e coll, 2004), seguirebbero poi i cambiamenti e/o gli aumenti del programma di
allenamento effettuatati senza un consono periodo di adattamento (Kvist, 1991; Kwist, 1994;
Järvinen e coll., 2001) ed una scarsa tecnica specifica del gesto atletico (James e coll., 1978).
Anche le tendinopatie e/o le rotture del tendine rotuleo appaiono associate agli stessi fattori
enunciati a riguardo dell’Achilleo, anche se il meccanismo del balzo, quello della pedalata
nell’ambito del ciclismo ed i repentini e reiterati cambi di direzione tipici di alcune discipline
sportive come il tennis od il calcio, sembrerebbero essere quelli maggiormente implicati
nell’eziologia dei suoi processi degenerativi (Blazina e coll., 1973; Martens e coll., 1982; Ferretti e
coll., 1983).
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Lo shock vibratorio e le superfici
Se consideriamo due diversi tipi di superfici come il tartan e l’asfalto, ossia la prima una superficie
con un ottimale coefficiente di restituzione elastica e la seconda invece rigida, possiamo osservare
come correndo a velocità inferiori rispetto a quelle corrispondenti alla soglia anaerobica, si
registrino sulla prima forze di reazione al suolo pari a circa 47.7 BW2 . s-1 e sulla seconda di 51.4
BW.s-1, ossia un aumento medio pari al 7.2%. Questo ovviamente comporta un contestuale aumento
dello shock vibratorio (Kuipers e coll., 1989). Ma correre su di una superficie rigida come l’asfalto
comporta anche uno specifico adattamento della biomeccanica di corsa stessa. Correre su di una
superficie asfaltata infatti comporta una diminuzione dell’angolo di flessione del ginocchio (in altra
parole una corsa più “alta”), che a sua volte causa una diminuzione del DF ed un aumento dello
shock vibratorio (Marti e coll, 1989; Roos, 1998; ). Tuttavia, anche correre su di una superficie
morbida, come ad esempio la sabbia, comporta un cambiamento della biomeccanica della corsa.
Correre sulla sabbia induce un aumento dell’angolo di flessione dell’articolazione del ginocchio e
quindi un aumento del DF (Pinnington e coll., 2005). Tuttavia, proprio questo aumento della
flessione del ginocchio può comportare, secondo la teoria della “risposta adattiva alle forze
compressive a livello patellare” enunciata da Hamilton e Purdam (Hamilton e Purdam, 2004), una
possibile causa d’insorgenza di tendinopatia a livello del tendine rotuleo. Secondo tale teoria infatti
la tendinopatia del tendine rotuleo non rappresenterebbe un mero processo degenerativo, ma
piuttosto una risposta adattiva nei confronti di forze compressive esercitate dalla patella nella parte
prossimale-posteriore del tendine rotuleo; in altre parole rappresenterebbe un “impingement
model”. L’incremento delle forze compressive esercitate dalla patella a livello della parte
prossimale posteriore del tendine rotuleo - forze compressive che sarebbero direttamente correlate
all’entità della flessione dell’articolazione del ginocchio- determinerebbe una risposta adattiva al
carico compressivo da parte del tessuto tendineo. Questa risposta può essere in un primo tempo di
tipo “pain free” (ossia non suscitare nessuna sintomatologia algica), tuttavia con l’incremento della
compressione, la restante area di tessuto tensile non interessata dal processo compressivo può
andare incontro ad un fenomeno di sovrastimolazione funzionale e, pertanto, innescare un processo
di risposta adattativa biologica che porterebbe a sua volta alla risposta nocicettiva. Ma l’incremento
della flessione dell’articolazione del ginocchio, oltre ad innescare questo processo di “impingement
model” comporterebbe anche un aumento di tensione sia del tendine quadricipitale che di quello
rotuleo, che determinerebbe un incremento della frequenza di risonanza del complesso tendineo
2 BW: Body Weight , peso corporeo del soggetto.
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(Wang e coll., 2007). Questo aumento della frequenza di risonanza causerebbe un contestuale
aumento dell’assorbimento vibratorio da parte del tendine stesso. Il modello di Hamilton e Purdam
da semplice “impingement model”, si trasformerebbe pertanto in un più complesso “tension-
impingement model”. In altre parole, correre con un’accresciuta flessione dell’articolazione del
ginocchio, come si verificherebbe su superfici eccessivamente morbide come ad esempio la sabbia,
incrementerebbe sia la compressine retro-tendinea prossimale del tendine rotuleo, che
l’assorbimento delle vibrazioni a livello sia del tendine rotuleo che di quello quadricipitale.
Figura 6: l’aumento dell’angolo di flessione del ginocchio comporta sia un aumento delle forze
compressive a livello della porzione posteriore-prossimale del tendile rotuleo, che un
contemporaneo aumento della tensione del tendine rotuleo e quadricipitale. Si viene in tal modo a
delineare un “tension-impingement model” potenzialmente deleterio per l’integrità strutturale del
tendine quadricipitale ed, in particolar modo, del tendine rotuleo.
Tuttavia, correre su di una superficie morbida come la sabbia comporta anche degli indubbi
vantaggi, primo tra i quali il fatto che la sabbia, di per se, rappresenta un DF naturale (Zamparo e
coll., 1992; Davies e Mackinnon, 2006). Inoltre, occorre considerare che, se da una parte è indubbio
che l’aumento della flessione dell’articolazione del ginocchio è responsabile dell’instaurarsi di un
“tension-impingement model”, dall’altro è pur sempre vero che l’aumentata flessione comporta un
aumento del DF. Pertanto si tratta di bilanciare i fattori negativi poc’anzi enunciati, con gli indubbi
vantaggi che la superficie sabbiosa offre. Ad esempio, proprio per il fatto di rappresentare un DF
naturale aggiuntivo, il lavoro su sabbia si mostra particolarmente adatto ai programmi di
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riabilitazione delle tendinopatie o delle lesioni dell’Achilleo, a patto di rispettare i seguenti punti
fondamentali:
- Occorre controllare attentamente la biomeccanica della corsa.
- L’angolo di flessione a livello dell’articolazione del ginocchio sia durante la corsa, che nel
corso di tutte le altre esercitazioni proposte, non deve essere eccessivo per non
sovraccaricare funzionalmente il tendine rotuleo e quello quadricipitale.
- Il carico totale di lavoro non deve risultare eccessivo
Le tendinopatie ed il podismo
I cosiddetti “former distance runners”, ossia coloro che abbiano praticato in gioventù discipline di
fondo e che si dedichino poi, una volta terminata la carriera agonistica, al podismo amatoriale (in
genere prevalentemente su strada), mostrano un rischio d’insorgenza di tendinopatie dell’Achilleo
accresciuto di ben il 52%, che ben nel 29% dei casi richiedono una risoluzione di tipo chirurgico
(Zafar e coll., 2009). Ma quali sono i fattori che determinerebbero una così alta incidenza
d’insorgenza di tendinopatie dell’Achilleo nei distance runner in generale ed in coloro i quali
abbiano conosciuto in gioventù un’intensa carriera agonistica e quindi abbiano sollecitato
funzionalmente in maniera cospicua, e probabilmente eccessiva ed inappropriata, il tendine di
Achille? Sostanzialmente tre:
- L’utilizzo di calzature inappropriate, specialmente tra la popolazione dei podisti amatori.
Calzature non consoni causano generalmente un iperpronazione del retropiede che, a sua
volta, comporta un meccanismo denominato “wipping action”, ossia un’azione a colpo di
frusta a carico del tendine Achilleo. Questa violenta azione, reiterata nel tempo, determina
l’insorgenza di un processo di scivolamento intrafibrillare a livello tendineo che esita in una
sommazione di microdanni fibrillari (Knorzer e coll., 1986) che possono sfociare in una
tendinopatia e/o in una franca rottura tendinea. Il processo di wipping action reiterato nel
tempo può portare infatti la struttura tendinea ad un “end point” critico, oltre il quale può
sopravvenire la rottura strutturale. Questo meccanismo di “sliding” miofibrillare con
conseguente accumulo di microdanni, potrebbe spiegare i casi di rottura tendinea che si
verifichino senza un contestuale danno strutturale di natura degenerativa (Young e Maffulli,
2005). Questa situazione sarebbe ovviamente esacerbata dalla tendenza ad una naturale
iperpronazione del retropiede, soprattutto se contestuale a piattismo (Knorzer e coll., 1986).
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Figura 7: il meccanismo di “wipping action” a carico del tendine di Achille, causato da
un’iperpronazione non sufficientemente controllata dalla calzatura, può provocare microtraumi
tendinei a livello fibrillare causati da eccessivo scivolamento delle fibre tendinee stesse.
- Un piede cavo-supinato può causare un eccessivo tensionamento del tendine di Achille-
anche se non un vero e proprio meccanismo di “wipping action” come nel caso di
iperpronazione- che comporta un sovraccarico funzionale della struttura tendinea. Inoltre, il
piede cavo-supinato, essendo un piede “rigido” (Chiappara e coll., 1986) trasmette, proprio
in funzione della sua accresciuta stiffness strutturale, in maniere amplificata lo shock
vibratorio conseguente all’impatto del piede al suolo.
- Una scarsa possibilità di elongazione dell’complesso muscolare del soleo-gastrocnemio che
può essere la causa di un meccanismo di iper-pronazione (Young e Maffulli, 2005)
L’utilizzo di alcuni particolari tipi di calzature
Il tendine di Achille presenta due borse, la borsa superficiale, posta tra il tessuto cutaneo ed il
corpo tendineo, e la borsa profonda. (o retrocalcaneare), posta tra il tendine e la tuberosità
superiore del calcagno. In condizioni fisiologiche le borse sierose non sono visualizzabili
all’esame ecografico per il collabimento delle pareti, mentre nei quadri di flogosi appaiono ben
visibili per la presenza di liquido al loro interno che ne detende le pareti facendo assumere alla
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borsa un aspetto ipo-anecogeno. L’utilizzo di calzature con una tomaia eccessivamente
pronunciata - come nel caso di alcune scarpe da jogging, le calzature da basket, gli scarponcini
da trekking, oppure le scarpe anti-infortunistiche - può causare l’infiammazione della borsa
retro-calcaneare superficiale per un meccanismo di attrito.
Il tendine d’Achille ed il sovraccarico meccanico
Ma perché il tendine di Achille è così biomeccanicamente stressato? Per capire appieno lo stress
meccanico a cui il tendine di Achille è sottoposto durante movimenti come la corsa, il salto, o la
semplice marcia, occorre rifarsi alla “regola dell’altalena”. Come è visibile in figura 8, i due bracci
di leva che agiscono a livello del fulcro, rappresentato dall’articolazione tibio-tarsica, sono
fortemente disuguali, proprio come sarebbe un’altalena con due bracci di leva altrettanto sbilanciati
(figura 8b). In questo caso, il peso di un bambino seduto sul braccio di leva maggiore
necessiterebbe, per essere bilanciato, del peso notevolmente maggiore di un adulto seduto sul
braccio minore. Per questo motivo le forze di reazione al suolo agenti a livello dell’avampiede
debbono essere necessariamente controbilanciate da forze molto maggiori a livello del tendine di
Achille che, in tal modo deve sopportare tensioni pari a 6-8 volte il peso corporeo del soggetto
(BW) e che in alcune situazioni, come il salto o la corsa , possono arrivare a 12.5 volte il BW
(figura 8) (Ker e coll., 1987).
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Figura 8 ed 8b: la disuguaglianza dei bracci di leva agenti a livello del fulcro, rappresentato
dall’articolazione tibio-tarsica, fanno si che il tendine di Achille debba sopportare delle forze
tensili di notevole entità (pari a circa 6-8 volte il peso del corpo) per controbilanciare le forze che
vengono espresse a livello dell’avampiede.
I principali meccanismi in grado d’indurre la rottura del tendine Achilleo
Le ingenti forze che agiscono a livello dell’Achilleo rendono quest’ultimo particolarmente a rischio
di rottura in senso generale, anche se alcune situazioni in particolare sembrerebbero riassumere in
loro la maggior parte dell’eziologia delle rotture stesse. Gerarchizzando le diverse situazioni di
rischio possiamo trovare che (Maffulli, 1999).:
-Circa il 53% delle rotture si verifica durante un meccanismo di spinta sull’avampiede nel momento
in cui si verifica l’estensione dell’arto inferiore. Ne sono un tipico esempio la partenza dagli
starting-blocks oppure la fase di spinta concentrica di un salto.
-Circa il 17% delle rotture si verifica per un inaspettata dorsiflessione della caviglia.
-Il 10% circa delle rotture è imputabile ad un violento meccanismo di dorsiflessione che segue una
flessione plantare, come nel caso della fase di atterraggio da un salto.
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In ogni caso la situazione di massimo rischio per l’integrità strutturale dell’achilleo si verifica
quando (Barfred, 1971a,1971b; Postacchini e Puddu 1976; Hess, 1989; Gross e coll., 1991; Hess,
2010)
a) il tendine viene tensionato obliquamente
b) L’iniziale lunghezza del tendine è ridotta
c) Il complesso muscolare soleo-gastrocnemio si trova in massima contrazione
Figura 9: circa il 17% delle rotture dell’Achilleo si verifica per un inaspettata flessione dorsale
della caviglia, come ad esempio nel momento in cui si scivola salendo o scendendo una scala a
pioli.
Il ciclismo e le tendinopatie
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La teoria della “risposta adattiva alle forze compressive a livello patellare” di Hamilton e Purdam
(Hamilton e Purdam, 2004) ben si adatta anche al ciclismo. E’ ben noto infatti che una scorretta
posizione dell’atleta sul mezzo può rappresentare la causa d’insorgenza di tendinopatie soprattutto a
livello del tendine rotuleo (Ericson e Nisell, 1987; Hart, 1994; Tuite, 2010). In particolare, il tendine
rotuleo verrebbe sottoposto ad un vero e proprio meccanismo di impingement (Hamilton e Purdam,
2004) nel caso di un sellino eccessivamente basso. Inoltre, questo modello di “impingement puro”
si trasformerebbe, a causa dell’assorbimento di shock vibratorio, in un “tension-impingement
model” in discipline come il down-hill.
Figura 10: in discipline come il down-hill l’assorbimento dello shock vibratorio trasformerebbe
l’impingement model del ciclismo in un tension impingement model.
Nel caso specifico delle tendinopatie del rotuleo nell’ambito del ciclismo i fattori maggiormente
influenti sono rappresentati da:
- l’altezza della sella, che a sua volta comporta una corretta flesso-estensione del ginocchio
che dovrebbe essere compresa tra i 79 ed i 150° (Bailey e coll., 2003).
- L’avanzamento e l’arretramento del sedile, fattore che implica una corretta sequenza
cronologica dei muscoli implicati nel movimento della pedalata (Bonacci e coll., 2001).
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- Un ulteriore problema è rappresentato dal fenomeno del “valgo dinamico che si presenta nel
corso della pedalata stessa (Bailey e coll., 2003; Theurel e coll., 2001).
Figura 11: un ulteriore problema per l’integrità anatomica del tendine rotuleo è rappresentato dal
cosiddetto fenomeno del “valgo dinamico” che si verifica durante il movimento di pedalata ed in
particolar modo nel corso dello sprint.
L’insorgenza di tendinopatie a livello dell’Achilleo sono più rare nell’ambito del ciclismo e
possono essere essenzialmente addebitate a:
- Una distanza insufficiente tra sella e pedali (Wilber e coll., 1995).
- Un’eccessiva dorsiflessione della caviglia durante il movimento di pedalata (Hart, 1994).
- Un insufficiente arretramento della sella (Wilber e coll., 1995).
- Un’asimmetria degli arti inferiori generalmente uguale o maggiore ad 1 cm (Cosca e
Navazio, 2007).
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E’ importante comunque sottolineare che spesso, in concomitanza all’insorgenza di una
tendinopatia dell’Achilleo, pre-esistono fattori di tipo predisponete come un’iperpronazione od un
piede cavo-supinato (Tuite, 2010). Occorre altresì ricordare che nel ciclismo moderno materiali
come scarpe, attacchi, selle, telai, presentano una maggior stiffness rispetto ai vecchi materiali
utilizzati anni or sono; per questo motivo, paradossalmente, i nuovi materiali diminuendo la
possibilità di adattamento dell’atleta al mezzo favoriscono maggiormente, rispetto ai vecchi
materiali, l’insorgenza di tendinopatie (Wiber e coll., 1995; Theurel e coll., 2001). D’altro canto,
occorre anche riconoscere che nel ciclismo, rispetto al podismo, si hanno a disposizione numerosi
fattori sui quali agire per poter adattare nella maniera ottimale l’atleta al mezzo – si può infatti
intervenire sulla regolazione del telaio, della sella, degli attacchi, della pedivella, delle scarpe,
utilizzando ortesi ecc. - nell’ambito del podismo invece si può solamente far affidamento su tre
fattori di correzione: le scarpe, il fondo utilizzato e l’utilizzo di ortesi.
Il salto e le tendinopatie.
La teoria della “risposta adattiva alle forze compressive a livello patellare” (Hamilton e Purdam,
2004) trova, ancora una volta, una sua valida applicazione anche nell’ambito della meccanica del
salto. Se infatti osserviamo l’andamento delle forze di reazione al suolo, registrate da una
piattaforma di forza, durante l’esecuzione di un balzo, possiamo facilmente evincere come la
maggior espressione di forza si registri durante la fase di ripresa del contatto al suolo. Si tratta
quindi ancora di una forza compressiva che agisce a livello patellare. Un possibile correttivo da
utilizzare in questo senso è quello di invitare l’atleta ad riprendere contatto con il suolo sulla punta
dei piedi evitando di atterrare sull’intera pianta. Un atterraggio sulla punta dei piedi infatti
comporta, se comparato ad un atterraggio effettuato sulla pianta, una diminuzione delle forze di
reazione al suolo di circa il 25% (Prapavessis e McNair, 1999). Altra possibilità di correzione è
rappresentata dal cercare di atterrare durante le sessioni di allenamento pliometrico, per quanto
possibile, su di una superficie rialzata, evitando in tal modo di sollecitare eccessivamente il tendine
rotuleo edulcorando la fase d’impatto al suolo.
Nell’ambito delle discipline di salto dell’atletica leggera le fasi che sollecitano particolarmente il
tendine rotuleo sono rappresentate dalla rincorsa e dallo stacco (Muraki e coll., 2005), in queste
due situazioni si verifica infatti un forte incremento delle forze compressive e dello shock vibratorio
a livello del tendine rotuleo stesso( Ashby e Delp., 2006) aumentando in tal modo il rischio di
sofferenza tendineo. I possibili correttivi tecnici in questo caso sono in primo luogo quello di
pianificare attentamente il volume totale di lavoro in sede di allenamento e, secondariamente, di
finalizzare quest’ultimo maggiormente verso un aspetto qualitativo piuttosto che quantitativo, onde
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diminuire il sovraccarico funzionale totale. Il tendine rotuleo presenta meno evenienze di rottura
rispetto all’Achilleo – le forze tensili atte a causarne la rottura debbono essere infatti dell’ordine di
circa 17.5 volte il BW (Nordin e Frankel, 1989)- in ogni caso la condizione di maggior rischio in
tal senso è rappresentata da una rotazione interna del ginocchio partendo dall’atteggiamento di
semi-flessione durante la fase di ripresa al suolo dopo un salto, o durante la fase eccentrica (ossia di
caricamento) di quest’ultimo ( Brooks, 2009).
Football e tendinopatie
L’utilizzo dell’erba sintetica
Negli ultimi 10 anni si è fortemente diffuso l’utilizzo di campi da gioco con erba artificiale
soprattutto come alternativa all’utilizzo di campi convenzionali in regioni o paesi contraddistinti da
avverse condizioni climatiche (Ekstrand e Nigg, 1989). Tuttavia, nonostante gli indubbi vantaggi
che i campi artificiali possono presentare, la loro piena accettazione, soprattutto in campo
professionistico, trova ancora non poche remore. Questa generale opinione negativa nei confronti
delle superfici sintetiche è soprattutto legata ai materiali di prima generazione e dal sempre presente
pregiudizio che l’utilizzo delle superfici sintetiche possa comportare un drastico aumento degli
eventi traumatici nel corso del gioco. In effetti, prima di poter accettare senza perplessità l’utilizzo
dei campi sintetici di nuova generazione, è essenziale poter comparare obiettivamente la severità, la
natura e le cause degli eventi traumatici registrabili su questo tipo di superfici e quelli osservabili
sui terreni convenzionali. Purtroppo, occorre dire che i dati reperibili in tal senso sono piuttosto
limitati ed inoltre riguardano solamente il calcio professionistico (Ekstrand e coll., 2006; Fuller e
coll., 2007, Fuller e coll., 2007b). I primi studi effettuati sull’erba sintetica di prima generazione
(Renstrom et al. 1977) mostravano come gli eventi traumatici, registrabili con l’utilizzo di questo
tipo di superficie, fossero statisticamente maggiori rispetto a quelli osservabili su campi
convenzionali. In seguito però altri studi dimostrarono come non vi fosse una differenza
statisticamente significativa tra incidenti occorsi su erba sintetica e quelli su erba naturale
(Engebretsen and Kase, 1987; Hort, 1977); tuttavia occorre ricordare che questi risultati erano
inficiati dall’esiguo numero di dati osservati e che quindi non presentassero un potere statistico
sufficientemente attendibile. In linea generale, possiamo dire che l’utilizzo di erba sintetica di prima
generazione era correlato ad un accresciuto rischio di abrasioni e di tendinopatie da overuse a
livello del tendine Achilleo e rotuleo (Ekstrand and Nigg, 1989). L’erba di terza generazione
tuttavia si pone come un prodotto dalle caratteristiche tecniche molto diverse, ed il suo utilizzo pone
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senza dubbio meno problemi rispetto alle vecchie superfici di prima generazione. Ekstrand e coll.
(2006), esaminando i rischi traumatici associati all’utilizzo di queste nuove superfici nell’ambito del
calcio professionistico, non trovarono un’incidenza traumatica statisticamente diversa rispetto a
quanto non fosse osservabile con l’utilizzo di campi di erba naturale. Questi risultati sono stati in
seguito confermati da successivi studi che non trovarono significative differenze tra severità, natura
e causa dei traumi tra superfici sintetiche e tradizionali in una popolazione maschile e femminile,
sia in allenamento, che in gara (Fuller e coll, 2007a; 2007b). Sempre gli stessi studi sottolinearono
come l’utilizzo di erba sintetica di terza generazione non comportasse un accresciuta insorgenza di
tendinopatia da overuse rispetto all’erba naturale.
L’erba artificiale di terza generazione comporta un cambiamento dell’appoggio del piede al suolo
ed un conseguente diverso comportamento biomeccanico di quest’ultimo. Per comprendere le
differenze di comportamento meccanico dell’appoggio al suolo su erba artificiale, rispetto invece a
quanto non avvenga sull’erba naturale, dobbiamo considerare sostanzialmente tre parametri:
-Il picco di pressione dell’avampiede al suolo
-La percentuale di distribuzione del peso corporeo sul versante mediale del piede
-La percentuale di distribuzione del peso corporeo sul versante laterale del piede
Il picco di pressione dell’avampiede al suolo risulta essere maggiore di circa il 17% su erba sintetica
di terza generazione rispetto ai valori registrabili su erba naturale. I valori medi (espressi in kPa)
sono infatti pari a :
Erba sintetica 646 + 172 kPa
Erba naturale 533 + 143 kPa
Il cambiamento del picco pressorio sull’avampiede registrabile sulle due diverse superfici determina
anche, ovviamente, una diversità nei valori di percentuale di distribuzione del carico sul versante
mediale e laterale dell’avampiede stesso, che appaiono, al contrario, leggermente maggiori sull’erba
naturale. Nello specifico la percentuale di distribuzione del peso corporeo sul versante mediale del
piede è di circa il 27.7 + 5.3 % su erba sintetica e passa a circa il 30.2 + 6.6% su erba naturale.
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Mentre la percentuale di distribuzione del peso corporeo sul versante laterale del piede è pari a circa
il 3.4 + 1.8 % su erba sintetica ed aumenta sino a circa un valore pari al 4.1 + 2.3% su erba
naturale. Inoltre, un nostro recente studio (Bisciotti e coll, 2011) dimostrerebbe che lo shock
vibratorio su erba sintetica ed erba naturale non presenta differenze statisticamente significative.
Questi dati sarebbero in linea con quanto enunciato in un recente studio della UEFA (UCL, Study
Group, 2007) che dimostrerebbero come l’utilizzo sistematico di erba sintetica di terza generazione
non aumenterebbe le patologie da sovraccarico dei tessuti molli. Per cui, alla luce di questi dati,
possiamo ragionevolmente affermare che l’utilizzo delle nuove superfici sintetiche non comporta un
accresciuto rischio di traumatismi, sia acuti, che da overuse, a patto che, ovviamente, sussista un
idoneo adattamento funzionale alla superficie stessa . Infatti, come è logico aspettarsi un
cambiamento della biomeccanica del piede al suolo durante la corsa, i balzi, i cambiamenti di
direzioni, gli arresti e tutti gli altri movimenti che possono avvenire durante la dinamica del gioco,
influenza il comportamento biomeccanico e funzionale (anche in termini di timing e di magnitudo3
di attivazione della muscolatura coinvolta nel movimento stesso) di tutta la catena muscolare degli
arti inferiori. Per questo motivo, l’erba sintetica, come del resto tutte le altre superfici su cui si
effettuano delle prestazioni sportive, richiede un adattamento biomeccanico e funzionale specifico.
Un grosso fattore di perturbazione in tal senso è, ad esempio, rappresentato dal frequente passaggio
da una superficie sintetica ad una tradizionale, situazione che, di fatto, perturba e ritarda
l’adattamento specifico necessario.
L’interazione calzatura-terreno nel calcio
La calzatura da calcio è una calzatura di per se rigida, per la presenza dei tacchetti, e con poca
differenza di altezza tra avampiede e retropiede, fattore che predisposizione al sovraccarico
funzionale del tendine Achilleo. Per questo motivo l’interazione con terreni di gioco
particolarmente rigidi - come ad esempio i campi ghiacciati che spesso si ritrovano nel periodo
invernale nel Nord dell’Europa, oppure i rettangoli di gioco poco, o per niente, inerbati tipici delle
categorie amatoriali- possono aumentare drasticamente lo shock vibratorio con conseguente
insorgenza di tendinopatie dell’Achilleo e del rotuleo. E’ inoltre importante segnalare che anche i
terreni di gioco particolarmente pesanti e fangosi rappresentano un importante fattore eziologico
estrinseco di insorgenza di tendinopatie (Parekh e coll., 2009; Newsham-West e coll., 2009).
3 Per timing e magnitudo dell’attivazione muscolare si intende rispettivamente la sequenza cronologica d’intervento dei vari gruppi muscolari implicati nel movimento ed il loro grado di attivazione.
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L’atletica leggera e le tendinopatie
Uno dei principali problemi per ciò che riguarda l’insorgenza delle tendinopatie dell’Achilleo e del
rotuleo nell’ambito dell’atletica leggera è rappresentato dall’utilizzo delle scarpe chiodate. Le
scarpe chiodate aumentano fortemente il “grip”, ossia l’’adesione, della calzatura al terreno,
ottimizzando in tal modo la spinta propulsiva dell’atleta. Se questo non comporta grosse
problematiche di sovraccarico funzionale a livello tendineo durante la corsa nei rettilinei, altrettanto
non si può dire durante la fase di corsa in curva. In curva infatti l’atleta, per poter contrastare
efficacemente la forza centrifuga, deve attuare degli importanti compensi torsionali a livello della
struttura scheletrica del piede. La scarpa chiodata, aumentando il grip, annulla di fatto questo tipo di
compensi scheletrici, trasferendoli a livello tendineo, comportando in tal modo un serio
sovraccarico funzionale sia del tendine Achilleo che del rotuleo, soprattutto a carico dell’arto
interno, ossia il sinistro (Stein e Luekens, 1976; Stacoff e coll., 1991).
Altri aspetti biomeccanici negativi propri della scarpa chiodata sono:
- L’assenza di una significativa differenza di livello tra avampiede e retropiede, come nel caso
della scarpa da football.
- La mancanza di intersuola a livello dell’avampiede, fattore che causa un aumento delle forze
di reazione al suolo nel momento dell’impatto con conseguente incremento dello shock
vibratorio.
A titolo puramente informativo è interessante ricordare come il miglior esempio biomeccanico di
scarpa che conciliasse in se l’ottimazione del grip e contestualmente la conservazione di un idoneo
compenso torsionale a livello dello scheletro del piede, sia stata l’Adidas Torsion. Il brevetto
“Torsion” infatti permetteva, grazie ad una mescola particolare, un’ottima aderenza della calzatura
al suolo mentre, nel contempo, le due barre torsionali (da cui appunto il nome del brevetto)
consentivano un ottimale adattamento torsionale dell’apparato scheletrico del piede durante la
corsa.
Gli effetti del training e del detraining
Gli stimoli meccanici a livello tendineo sortiscono differenti risposte a livello della struttura del
tendine stesso in funzione dell’orientamento delle forze alle quali quest’ultimo viene sottoposto. Le
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forze meccaniche di tipo tensivo infatti inducono la sintesi di decorina, mentre quelle di tipo
compressivo stimolerebbero la produzione di aggrecano (Watanabe e coll., 1998; Banes e coll.,
1999). In linea generale lo stress tensile induce la struttura tendinea alla produzione di (Yang e
Wang, 2005; Grigg e coll., 2009)
- Collagene
- Citochine pro-infiammatorie
- Ciclossigenasi 2 (COX 2)
- Protaglanine E2 (PGE2)
- Metalloproteinasi di matrice (MMP-1)
La mancanza di stimolo tensile, comporta invece degli effetti del tutto opposti che si estrinsecano in una sostanziale diminuzione dei mediatori pro-infiammatori (Yang e Wang, 2005; Grigg e coll., 2009). In particolare, dopo la cessazione dell’attività fisica nel tendine si verificherebbe una riduzione della sintesi dei proteoglicani (PGs), mentre persisterebbe la sintesi di MMPs, che era gia stata precedentemente attivata durante la fase di sollecitazione funzionale indotta dall’esercizio con lo scopo di coadiuvare il processo di rimodellamento del tendine (Frizziero e coll., 2001). Tuttavia, la persistenza della sintesi di MMPs contribuirebbe alla distruzione delle fibre collagene del tendine stesso (Frizziero e coll.,2001). La famiglia delle MMPs comprende 23 membri suddivisi a loro volta in 4 classi (Cawston e Billlington, 1996). La MMPs è coinvolta in molti processi fisiologici di rimodellamento come la guarigione delle ferite, il ciclo mestruale, l’involuzione uterina, lo sviluppo osseo e l’angiogenesi (Eriksen, 1986; Werb e coll., 1992; Saarialho-Kere e coll., 1995). Inoltre le MMPs svolgono un importante ruolo in particolari condizioni patologiche come la proliferazione tumorale, la metastasizzazione, (Goldberg e Eisen, 1991; Matrisian e coll., 1991; Johannsson e coll., 1997), la sclerosi multipla (Chandler e coll., 1997), l’ipertensione (Robert e coll., 1997) e l’artrite (Brinckerhoff, 1992; Firestein, 1992; Enomoto e coll., 2003; Yasuda e coll., 2003). L’attività delle MMPs è inibita dall’azione dei “tessuti inibitori delle MMPs” (TIMPs) (Gomez e coll., 1997; Goupille e coll 1998), l’omeostasi tendinea dipende probabilmente da un corretto equilibro tra l’attivita delle MMPs e quella dei TIMPs (Dalton e coll., 1995). Ricordiamo che l’azione delle MMPs e dei TIMPs dipende rispettivamente dall’attività tumor necrosis factor α (TNF α) (Dayer e Burger, 1994; Dayer e Arend, 1997) nel primo caso, e da quella del trasforming growth factor (TGF ) e dell’interleuchina-6 ( IL-6) nel secondo (Lotz e Gurene, 1991; Wright e coll., 1991). Per questi motivi, la ripresa dell’attività fisica dopo un periodo di sospensione, dovrebbe essere affrontato con estrema cautela a causa dell’aumentata fragilità strutturale tendinea conseguente alla sospensione dell’attività stessa (Frizziero e coll., 2001). Tuttavia, occorre sottolineare come siano ancora necessari ulteriori approfondimenti concernenti i meccanismi di azione e di regolazione delle MMPs nell’ambito delle tendinopatie per poter chiarire appieno il loro ruolo in quest’ambito (Magra e Maffulli, 2005).
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L’utilizzo di corticosteroidi e le tendinopatie
Le iniezioni locali o l’assunzione sistemica di corticosterodi rappresentano una pratica terapeutica
ampiamente diffusa nell’ambito di svariate patologie, tuttavia il loro utilizzo rappresenta un fattore
di rischio di rottura tendinea (Fisher, 2004). In bibliografia alcuni Autori riportano delle chiare
associazioni tra rottura del tendine di Achille e somministrazione orale e/o iniezioni peritendinee di
corticosteroidi (Unverferth e Olix, 1973; Newnham e coll., 1991). Tuttavia, studi più recenti
dimostrerebbero la non pericolosità in tal senso e la validità di iniezioni peritendiene di bassi
volumi di corticosteroidi sotto guida fluoroscopica (Gill e coll., 2004). D’altro canto, anche studi
più recenti rispetto a quelli di Unverferth e Olix (1973) e Newnham e coll. (1991), ribadiscono
come nel caso di tendinopatie occorra evitare l’utilizzo di iniezioni di corticosteroidi, non solo per
la loro potenziale pericolosità nei confronti dell’integrità della struttura tendinea, ma anche per il
fatto che non esiste una sufficiente evidenza per giustificare il loro utilizzo (Speed, 2001; Maffulli e
Kader, 2002). E’ plausibile infatti che l’importante effetto antinfiammatorio e analgesico dei
farmaci corticosteroidi, mascherando i sintomi della tendinopatia, induca sia il soggetto normale,
che soprattutto l’atleta, a mantenere un alto livello d’attività, incorrendo in tal modo nel rischio di
rottura (Di Stefano e Nixon, 1973). Il nostro personale parere è che comunque occorra fare una
netta distinzione tra i potenziali pericoli indotti da una iniezione di corticosteroidi nel corpo
tendineo ed una iniezione peritendinea, sotto guida ecografica, di un basso volume di farmaco
corticosteroideo, anche se occorrerebbero maggiori studi che potessero stabilire con certezza i
possibili danni strutturali in cui si potrebbe comunque incorrere nel secondo caso.
L’utilizzo del fluoroquinolone e le tendinopatie
L’utilizzo di alcuni antibiotici fluoroquinolonici è in letteratura associato a lesioni e/ o a gravi
rotture tendinee, specialmente a carico dell’Achilleo (Huston, 1994; Royer e coll., 1994; Filippucci
e coll., 2003 ; Vanek e coll., 2003; ), la cui prima rottura dovuta all’uso di fluoroquinolone è stata
descritta nel 1992 ( Ribard e coll., 1992). I fluorchinolonici sono farmaci di vasto impiego nella
pratica clinica. La loro associazione con farmaci corticosteroidi , specialmente nei soggetti anziani,
rappresenta un importante fattore di rischio nei confronti dell’insorgenza di possibili gravi lesioni
tendinee (Linden Van Der e coll., 2003). La maggior parte delle tendinopatie causate da
fluorchinolonici riportate in letteratura è da addebitarsi alla ciprofloxacina seguita poi da
enoxacina, ofloxacina ed enorfloxacina (Huston, 1994; Szarfman e coll., 1995; Van der Linden e
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coll., 2002; Filippucci e coll., 2003). L’ Adverse Drug Reactions Advisory Committee Australiano
(ADRAC) ha identificato ben 25 reports basati sulla descrizione di tendinopatie in associazione
all’uso di fluoroquinolone, di cui ben l’88% riguardava l’utilizzo di ciprofloxacina. In Francia nel
periodo compreso tra il 1985 ed il 1992 su 100 pazienti trattati con fluoroquinolone 31 riportarono
nei 10 anni successivi al trattamento la rottura del tendine di Achille (Royer e coll., 1994). Nel 1996
la FDA emanò una direttiva in cui obbligava le case farmaceutiche produttrici ad includere nel
bugiardino gli effetti collaterali del farmaco a livello tendineo. Sempre nel 1996 anche lo Sri Lanka
Drug Evaluation Sub-Committee decidette d’imporre l’obbligo di citare tra gli effetti avversi del
farmaco la possibile rottura tendinea.
Alla base della degenerazione tendinea indotta dal fluoroquinolone si troverebbe la distruzione della
ECM , l’inibizione della proliferazione tenocitaria e la riduzione della sintesi di collagene
dimostrata sperimentalmente sia sull’uomo che sul modello animale (Szarfman e coll., 1995; Corps
e coll., 2003). Altri dati di laboratorio indicherebbero come il fluoroquinolone causi una
diminuzione della trascrizione di decorina, a sua volta responsabile dell’alterazione delle proprietà
visco-elastiche del tendine con conseguente fragilizzazione della sua struttura (Bernard-Beaubois e
coll., 1998).
I FATTORI INTRISECI I NELL’INSORGENZA DELLA TENDINOPATIA
DELL’ACHILLEO.
I fattori intriseci, altrimenti definibili come endogeni, che possono determinare l’insorgenza di
tendinopatie a livello dell’Achilleo riguardano essenzialmente paramorfismi o particolari aspetti
posturali che possono comportare un sovraccarico funzionale dell’Achilleo stesso
compromettendone la funzionalità e la struttura. Tra questi possiamo ricordare:
- L’iperpronazione del retropiede associata o meno a piattismo (Ryan e coll., 2009; Wyndown
e coll., 2010).
- Un avampiede varo associato o meno a retropiede valgo (Ajis e coll, 2005)
- Un piede piatto-supinato (Ryan e coll., 2009; Wyndown e coll., 2010).
- La presenza di spina retrocalcaneare (Kearney e Costa, 2010)
- Una deformità di Haglund a carico del tallone (Min e coll., 2010)
- Una condizione di iperlipidemia (Mathiak e coll., 1999; Ozgurtas e coll., 2003).
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- Una franca asimmetria degli arti inferiori (Kannus, 1997; Young e Mafulli, 2005).
- Una limitazione nella dorsiflessione della caviglia (Kaufman e coll., 1999).
- Una limitazione della mobilità dell’articolazione sottoastragalica (Kvist, 1991).
- Una scarsa resistenza muscolare degli arti inferiori in generale e del complesso muscolare
soleo-gastrocnemio in particolare. Una muscolatura poco resistente, e che quindi vada
precocemente verso il fenomeno dell’affaticamento, non riesce a proteggere efficacemente
la struttura tendinea dallo stress tensile (Kannus, 1997).
- L’appartenenza al gruppo sanguigno 0, che predisporrebbe ad una maggior produzione di
collagene di tipo III, con meno resistenza tensile , in sostituzione del collagene di tipo I ,
che al contrario presenta maggiori capacità di sopportare stress tensivi elevati (Josza e coll.,
1989; Kujala e coll., 1992; Bisciotti e coll., 2011).
- Cambiamenti nell’espressione dei geni che regolano l’interazione “cellula-cellula” e
“cellula-matrice”, associati ad una down-regulation della metallo proteinasi di matrice 3
(MMP-3) e ad una up-regulation della metalloproteinasi di matrice 2 (MMP-2) e del
Vascular Endothelian Growth Factor (VEGF).
I FATTORI INTRISECI NELL’INSORGENZA DELLA TENDINOPATIA DEL TENDINE
ROTULEO
Anche per ciò che riguarda l’insorgenza di tendinopatie del rotuleo esistono numerosi fattori
predisponenti di tipo intrinseco tra i quali possiamo ricordare:
- Il morbo di Osgood-Schlatter (Rosemberg e coll., 1992), le cui sequele, rappresentate
dall’esostosi della tuberosità tibiale anteriore con conseguente deviazione del decorso
anatomico naturale del tendine rotuleo, possono esporre il soggetto, anche dopo
l’autorisolvenza delle patologia, e quindi anche in età adulta, a tendinopatie recidivanti.
- Un’eccessiva iperpronazione del retropiede associata o meno ad un piede piatto (Khan e
coll., 2005)
- Un piede cavo supinato (Khan e coll., 2005)
- Una patella alta (Duri e coll., 1999; Calmbach e Hutchens, 2003; ali e coll., 2009).
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- La presenza di una coxa vara (Maquet, 1999; Khan e coll., 2005).
- Un’eccessiva iper-mobilità od ipomobilità della patella (Khan e coll., 2005; Van Ark e coll.,
2011).
- Un ginocchio varo o valgo (Khan e coll., 2005; Babillon e coll., 2006).
- Un’antiversione femorale (Khan e coll., 2005).
- Un eccessiva stiffness degli ischiocrurali (Cook e coll., 2000)
- Il prelievo del terzo centrale del tendine rotuleo per ricostruzione di LCA (Bonamo e coll.,
1984; Khan e coll., 2005)
- Un’eccessiva rigidità della bendeletta ileo-tibiale (Khan e coll., 2005).
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Figura 12: l’esostosi della tuberosità tibiale anteriore rappresenta una delle più frequenti sequele
del morbo di Osgood-Shlatter. La formazione di un esostosi particolarmente pronunciata può
esporre il soggetto in età adulta a tendinopatie rotulee recidivanti.
I FATTORI INTRISECI ED ESTRISECI COMUNI NELL’INSORGENZA DELLA
TENDINOPATIA DEL TENDINE ROTULEO ED ACHILLEO.
Esistono alcuni fattori comuni, sia di ordine intrinseco che estrinseco, che possono giocare un
importante ruolo predisponente sia nel caso di tendinopatie a carico del rotuleo, che dell’Achilleo.
Fra questi possiamo annoverare:
- La disidratazione (Hestin e coll., 1993; Schwellnus e coll., 1997; Gottschalk e Andrish,
2011).
- L’iperuricemia (Dodds e Burry, 1984).
- L’aumento di temperatura del tendine conseguente all’attività sportiva (Wilson e Goodship,
1994). Alcune sperimentazioni mostrerebbero (Wilson e Goodship, 1994) come nel
modello animale, nella fattispecie nel cavallo (Equus caballus), dopo 7’ di trotto la
temperatura intratendinea farebbe registrare dei picchi compresi tra i 43 ed i 45° C, nel
contempo sappiamo che temperature maggiori di 42.5° C danneggiano irreversibilmente la
struttura tendinea e specificatamente i fibroblasti (una tale temperatura causa in vitro la
morte dei fibroblasti stessi) (Hall e coll., 1988; Birch e coll., 1997). Questi dati quindi
giustificherebbero ampiamente l’utilizzo della crioterapia, dopo ogni sessione di
allenamento, allo scopo di diminuire la temperature interna del tendine e prevenire le
possibili tendinopatie indotte dall’ipertermia.
Conclusioni.
Il tendine rappresenta un classico esempio di “struttura biologicamente negletta”, soprattutto per il
fatto di avere uno scarso apporto sanguigno tissutale, con conseguente scarsità di ossigenazione ed
apporto nutritivo Questo predisporrebbe il tendine allo sviluppo di tendinopatie, che altro non sono
che l’appalesarsi delle sue difficoltà in ambito rigenerativo. Proprio per questa sua difficoltà nel far
fronte dal punto di vista riparativo ai microtraumatismi indotti dall’attività sportiva e/o lavorativa,
nell’ambito delle tendinopatie assume una valenza fondamentale l’aspetto preventivo, che deve
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necessariamente passare attraverso una conoscenza esaustiva dei vari fattori intrinseci ed estrinseci
in grado di causare le tendinopatie stesse. Questo aspetto preventivo, basato appunto su di
un’accurata conoscenza eziologia delle tendinopatie, assume un ruolo fondamentale in ambito
sportivo, per il mantenimento e l’ottimazione della performance e per scongiurare eventuali pause
dell’attività, od addirittura abbandoni di quest’ultima, causati da gravi ed inficianti tendinopatie.
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