Il rivestimento lapideo del Museo Archeologico Nazionale di … · 2009. 11. 16. · Il...

7
Il rivestimento lapideo del Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria: campagna diagnostica non convenzionale per la conoscenza delle modalità costruttive e delle problematiche conservative A. Bianco Lab. M.A.Re. del Dip. PAU, Università Mediterranea di Reggio Calabria, via Melissari s.n.c.- 89100 Reggio Calabria Rivestimento lapideo, termografia, georadar Stone coating, thermography, georadar SOMMARIO Il Museo Archeologico di Reggio Calabria è una nota architettura di Marcello Piacentini, che dal 1927 al 1932, non solo ne cura il progetto, ma, in parte, anche la realizzazione. Il Museo è caratterizzato dalla presenza di un pregevole rivestimento di grandi lastre di pietra, voluto da Piacentini, ma compiuto qualche anno dopo che l'architetto avesse già lasciato la direzione del cantiere. Pertanto, la realizzazione tecnica di questo rivestimento è stata eseguita secondo criteri diversi rispetto a quelli progettati e suggeriti da Piacentini, da ciò ne deriva la presenza di gravi problemi relativi alla capacità di questo rivestimento di aderire al supporto. Questo studio mostra i risultati di una ricerca sperimentale, che ha visto l’applicazione non convenzionale di tests diagnostici (termocamera, pacometro e georadar), finalizzati a comprendere il modo in cui il rivestimento aderisce al substrato e a localizzare le aree ove il rivestimento è distaccato, allo scopo di fornire indicazioni di supporto delle scelte progettuali d’intervento. Introduzione La campagna diagnostica, di cui di seguito, è nata dall’esigenza di fornire in modo speditivo e rapido strumenti conoscitivi utili alla progettazione di interventi di messa in sicurezza e restauro conservativo del Museo Nazionale di Reggio Calabria, oggi in corso di realizzazione [1]. La necessità di effettuare un approfondimento conoscitivo in merito al rivestimento lapideo del Museo nasceva dalla circostanza per cui da detto rivestimento si erano distaccati alcuni lacerti, che avevano indotto l’Amministrazione municipale a ridurre la transitabilità intorno al monumento; di qui anche l’urgenza di detta campagna diagnostica. Il Museo Nazionale Archeologico di Reggio Calabria Il Museo Nazionale di Reggio Calabria è un grande edificio ad insula, su quattro livelli, la cui ideazione si colloca nel 1924 quando, contestualmente alla promulgazione di un nuovo corpo di leggi riorganizzative delle istituzioni di tutela dei beni culturali e di istituzione della Soprintendenza Archeologica, emerse la necessità di dotare la città di un polo, che fosse sia sede delle istituzioni che luogo di conservazione e esposizione del patrimonio archeologico calabrese. L’iter progettuale del Museo Nazionale di Reggio Calabria ha

Transcript of Il rivestimento lapideo del Museo Archeologico Nazionale di … · 2009. 11. 16. · Il...

  • Il rivestimento lapideo del Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria:

    campagna diagnostica non convenzionale per la conoscenza delle modalità costruttive e delle problematiche conservative

    A. Bianco

    Lab. M.A.Re. del Dip. PAU, Università Mediterranea di Reggio Calabria, via Melissari s.n.c.- 89100 Reggio Calabria Rivestimento lapideo, termografia, georadar

    Stone coating, thermography, georadar

    SOMMARIO Il Museo Archeologico di Reggio Calabria è una nota architettura di Marcello Piacentini, che dal 1927 al 1932, non solo ne cura il progetto, ma, in parte, anche la realizzazione. Il Museo è caratterizzato dalla presenza di un pregevole rivestimento di grandi lastre di pietra, voluto da Piacentini, ma compiuto qualche anno dopo che l'architetto avesse già lasciato la direzione del cantiere. Pertanto, la realizzazione tecnica di questo rivestimento è stata eseguita secondo criteri diversi rispetto a quelli progettati e suggeriti da Piacentini, da ciò ne deriva la presenza di gravi problemi relativi alla capacità di questo rivestimento di aderire al supporto. Questo studio mostra i risultati di una ricerca sperimentale, che ha visto l’applicazione non convenzionale di tests diagnostici (termocamera, pacometro e georadar), finalizzati a comprendere il modo in cui il rivestimento aderisce al substrato e a localizzare le aree ove il rivestimento è distaccato, allo scopo di fornire indicazioni di supporto delle scelte progettuali d’intervento. Introduzione La campagna diagnostica, di cui di seguito, è nata dall’esigenza di fornire in modo speditivo e rapido strumenti conoscitivi utili alla progettazione di interventi di messa in sicurezza e restauro conservativo del Museo Nazionale di Reggio Calabria, oggi in corso di realizzazione [1]. La necessità di effettuare un approfondimento conoscitivo in merito al rivestimento lapideo del Museo nasceva dalla circostanza per cui da detto rivestimento si erano distaccati alcuni lacerti, che avevano indotto l’Amministrazione municipale a ridurre la transitabilità intorno al monumento; di qui anche l’urgenza di detta campagna diagnostica. Il Museo Nazionale Archeologico di Reggio Calabria Il Museo Nazionale di Reggio Calabria è un grande edificio ad insula, su quattro livelli, la cui ideazione si colloca nel 1924 quando, contestualmente alla promulgazione di un nuovo corpo di leggi riorganizzative delle istituzioni di tutela dei beni culturali e di istituzione della Soprintendenza Archeologica, emerse la necessità di dotare la città di un polo, che fosse sia sede delle istituzioni che luogo di conservazione e esposizione del patrimonio archeologico calabrese. L’iter progettuale del Museo Nazionale di Reggio Calabria ha

  • inizio però solo nel 1929, quando l’Amministrazione comunale incarica Marcello Piacentini della progettazione di questo nuovo polo multifunzionale. Il progetto fu elaborato tra il 1929 ed il 1932, per essere approvato in via definitiva nel 1933. La costruzione del Museo Nazionale fu affidata all’Impresa edile Tommaso Medici, sotto la direzione dei lavori dello stesso Marcello Piacentini. La posa della prima pietra ebbe luogo nel marzo del 1933, ma i lavori ebbero effettivo inizio nell’estate successiva, per vedere il loro completamento solo nel 1941. In questi anni si alternarono periodi di intenso lavoro ad altri in cui il cantiere venne fermato, prevalentemente per due motivi: la necessità di reperire nuovi fondi, a causa di una iniziale sottostima del costo complessivo, e soprattutto l’esigenza di modificare alcune delle scelte progettuali, a causa di ulteriori funzioni a cui fu chiamato l’edificio; dette circostanze indussero Piacentini a rinunciare alla direzione dei lavori, di qui le significative discrasie distributive, ma anche tecnologiche e strutturali, esistenti tra il progetto di Piacentini e l’effettiva realizzazione. Tra gli elementi che non trovano riscontro tra le scelte progettuali (Fig. 1) e l’esecuzione (Fig. 2) vi è in primo luogo il rivestimento in pietra, che interessa l’intero fabbricato, con esclusione del livello attico.

    Figura 1 –Il progetto definitivo di Piacentini del 1933

    Figura 2 – Il Museo Nazionale di Reggio Calabria nel 2007

  • Detto rivestimento si caratterizza per un bugnato rustico grigio al pian terreno su tre lati e grandi lastre regolari in travertino per i restanti livelli. Da un’analisi visiva in situ e dei brani crollati (Figg. 3 e 4)è possibile osservare che dette lastre sono di spessore non regolare, al fine di creare una finitura sovrasquadro-sottosquadro in corrispondenza di paraste o riquadrature di finestre, che detti spessori variano tra 6 e 12 cm; ma un’ispezione visiva nulla poteva suggerire in merito ai sistemi con cui dette lastre fossero ancorate al supporto e quali di queste fossero più o meno distaccate o collabenti. Di qui l’indagine diagnostica. Figura 3 – Dettaglio del rivestimento in opera Figura 4 – Dettaglio di brano di lastra litica crollato Il progetto di campagna diagnostica Le indagini diagnostiche, tenuto conto delle circostanze di urgenza di cui sopra, dovevano rispondere ad alcune esigenze specifiche: in primo luogo le indagini non potevano realizzarsi con strumentazioni che necessitavano di un contatto diretto per larghe porzioni della fabbrica(ad esempio il rilevatore ad ultrasuoni, che avrebbe potuto qui essere utile per molti aspetti), non potendosi montare comodi ponteggi per un’altezza rilevante e su piani con salti di quota non irrilevanti; ciò non poteva farsi, vista la speditezza della campagna. Inoltre, siccome i crolli del rivestimento non interessavano una sola porzione del fabbricato (diversamente da come ci si poteva attendere, visto che il lato fronte mare presenta un’aggressione e quindi un degrado maggiore), né specifiche parti (come i cornicioni e gli sporti in genere), ma si erano verificati in punti poco omologhi, apparentemente senza criterio, bisognava indagare l’intero fabbricato, che ha un’estensione planimetrica ed altimetrica piuttosto rilevante. Di qui la scelta di distinguere le indagini in due fasi: 1) una prima indagine di carattere preliminare e generale, effettuata senza alcun supporto logistico, a tappeto, su tutti i prospetti esterni e utile a comprendere lo stato di collabenza; 2) una seconda fase di approfondimento puntuale, ma localizzato a poche aree, utile a comprendere le modalità costruttive e esecutive del rivestimento. In tal modo è stato ribaltato il procedimento ordinario di indagine conoscitiva, che vorrebbe prima l’esecuzione di indagini volte a comprendere gli aspetti materiali e tecnologici e poi quelli di tipo conservativo.

  • L’indagine diagnostica di prima fase: la termografia ad infrarossi L’indagine speditiva estesa è stata eseguita realizzando una mappatura termografica su tutti i prospetti (Figg. 5 e 6); la differente emissione termica delle lastre ha fornito così indicazioni circa la localizzazione delle lastre distaccate dal supporto; la mosaicatura dei termogrammi, che indicavano la presenza di lastre distaccate,sull’immagine fotografica dei prospetti ha potuto così fornire una mappa intuitiva delle porzioni a maggiore rischio di collabenza (Fig. 7). L’indagine termografica ha però presentato alcuni limiti operativi; in primo luogo l’orientamento del fabbricato e la caratteristica del rivestimento di essere sovrasquadro-sottosquadro produceva su lastre anche attigue una differente sollecitazione termica per irraggiamento diretto naturale, di cui una variazione nell’emissione termica delle lastre, talvolta indotta non dal livello di distacco, ma da queste variabili, di qui la necessità di ripetere sugli stessi punti la prova in diverse ore del giorno, con condizioni di intensità e direzione di irraggiamento diversi. Ciò evidentemente ha reso le indagini meno speditive rispetto a quanto le circostanze necessitassero e non utilizzabili in termini comparativi, se non relativi. Infine si è riscontrato che, per le lastre che erano interamento distaccate dal sottofondo, l’individuazione dell’anomalia termica corrispondente era chiaramente evidente, mentre le lastre che presentavano il distacco di una sola parte, in larga parte corrispondente ad uno spigolo, l’individuazione attraverso termografia risultava più incerta.

    Figura 5 e 6 – Due terrmogrammi del prospetto principale

    Figura 7 – Mosaicatura di termogrammi scelti su immagine fotografica di parte del prospetto principale

  • L’indagine diagnostica di seconda fase: le pacometrie e l’indagine radar All’indagine preliminare, che perseguiva anche lo scopo di orientare la scelta delle porzioni dettagliate di fabbricato (nastro adesivo rosso nella Fig. 8), che dovessero essere oggetto della seconda fase di indagine, quella relativa agli approfondimenti conoscitivi, sono seguite le prove in situ su specifiche aree, facilmente raggiungibili senza ponteggi e ove le termografie avevano riscontrato distacchi significativi. In primo luogo doveva comprendersi come le lastre fossero rese solidali al supporto; dall’analisi dei frammenti di crollo si era riscontrata talvolta la presenza di elementi metallici, di qui la scelta di condurre un’indagine pacometrica. Il pacometro è uno strumento dedicato per l’indagine sui calcestruzzii armati, per i quali, nei noti limiti, consente di individuare il copriferro e la posizione e i diametri delle armature. In questo caso, vista l’applicazione in condizioni non normalizzate e non convenzionali, la prova non poteva essere finalizzata che ad avere indicazioni veloci, ma ragionevolmente certe, sulla posizione di questi elementi metallici di ancoraggio. Non poteva conoscersi la forma (zanche? grappe? perni?) nè avere indicazioni di tipo dimensionale. L’indagine ha fornito dati rilevanti; investigando a tappeto i brani scelti (nastro adesivo rosso nella Fig. 8) si è ottenuta una mappa di questi elementi metallici (segnalini adesivi blu di Fig. 8 e nella omologa restituzione grafica di Fig. 9). L’indagine ha portato a comprendere che detti elementi metallici non sono messi in opera in posizioni specifiche e con passo costante, secondo una logica progettuale; la loro collocazione appariva casuale, molto densa in alcuni punti e del tutto carente in altri; si riscontrava così un’imperizia esecutiva, che dava riscontro ad un’indicazione archivistica inedita [2], che denunciava come nelle opere di completamento e finitura la ditta, che si era aggiudicata l’appalto specifico, non avesse posto la dovuta attenzione a rispettare il progetto e avesse proceduto troppo sbrigativamente.

    Figura 8 – Foto della porzione oggetto di indagini pacometriche

    Figura 9 – Restituzione grafica della posizione degli elementi metallici individuati tramite pacometria

  • Si è trovato così il riscontro diagnostico e le motivazione alla circostanza per cui la posizione e distribuzione delle lastre crollate e individuate come distaccate tramite termografia non sembrassero seguire una precisa logica nella dislocazione; inoltre si è potuto comprendere il ruolo significativo di questi elementi metallici nella capacità delle lastre di aderire al supporto; di qui la necessità di prevedere in progetto una loro integrazione diffusa. Nulla però si conosceva in merito alle caratteristiche di tali elementi metallici, aspetto questo di grande importanza per le conseguenti scelte progettuali. Di qui la scelta di eseguire delle scansioni radar per introspezione, attuate utilizzando un’antenna bipolare da 2000 Mhz, così da garantire una risoluzione nell’ordine dei centimetri e adeguata per l’applicazione specifica e una frequenza sufficientemente alta, per indagare uno spessore fino a 15 cm.

    Figura 10 e 11 – Due mappe radar del rivestimento con localizzazione delle staffe

    L’indagine radar ha fornito molte indicazioni: ha confermato la presenza estesa di questi elementi metallici; ha saputo dare indicazione del fatto che detti elementi fossero delle staffe e non delle grappe; ha potuto suggerire la loro profondità di ancoraggio; ha posto in evidenza che nell’interfaccia lastra-sottofondo non sono presenti materiali adesivi (che spesso venivano posti in opera per colatura, dopo il posizionamento della lastra in loco, per garantire un incremento di coazione tramite adesione). Le lastre sono difatti poste in opera solo tramite queste staffe e per gravità sulle lastre sottostanti. Di qui tutte le problematiche strutturali e conservative di cui sopra.

  • Conclusioni L’indagine diagnostica non convenzionale sopra descritta ha consentito di porre luce su una problematica di difficile diagnosi visiva, riuscendo a fornire indicazioni sufficienti per progettare un intervento semplice (introduzione di staffe integrative delle esistenti, adeguatamente dimensionate e progettate secondo le risultanze strumentali, da collocare con particolare densità in corrispondenza delle lastre, che le termografie evidenziano come maggiormente distaccate), compatibile, rispettoso delle modalità tecniche originarie e del criterio del minimo intervento, oltre che caratterizzato da un delta dei costi particolarmente prestazionale, se comparato ad un primo scenario d’intervento, che prevedeva la rimozione dell’intero rivestimento e il suo ricollocamento per anastilosi tramite adesivi. Bibliografia 1. C. Arcolao, La diagnosi nel restauro architettonico, Marsilio, Venezia, 2007. 2. S. Franceschi, L. Germani, Il degrado dei materiali nell'edilizia. Cause e valutazione

    delle patologie, Dei, Roma, 2007. 3. G. Foti , Il Museo nazionale di Reggio Calabria, Di Mauro, Napoli, 1972. 4. Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, Museo nazionale di Reggio Calabria, Parallelo

    38, Reggio Calabria, 1975. 5. E. Lattanzi, Il museo nazionale di Reggio Calabria, Gangemi editore, Reggio Calabria,

    1990. 6. S. Musso, Recupero e restauro degli edifici storici, EPC libri, Roma, 2004. 7. O. Niglio, Tecnologie diagnostiche per la conservazione dei beni architettonici, Il

    Prato, Saonara, 2004. 8.P. Rocchi, C. Piccirilli. Manuale della diagnostica, Kappa, Roma 1999. Note [1] La campagna diagnostica è stata realizzata su incarico dell’ing. M. Candela, consulente per il Progetto di Messa in sicurezza e restauro conservativo del Museo Nazionale Archeologico di Reggio Calabria, eseguita dalla Sezione SIS del Lab. di Ricerca Sperimentale M.A.Re. del Dipartimento PAU dell’Università degli Studi Mediterranea di Reggio Calabria, diretto dalla prof. arch. Simonetta Valtieri, e ha visto la collaborazione, per l’esecuzione delle indagini termografiche e radar della Boviar srl, nella persona del dr. Giusepe Latte Bovio e ing. Francesco Terracciano, autori delle Figure 7, 10 e 11. [2] Archivio storico del Comune di Reggio Calabria, Fondo Museo, Varie (Carte sciolte), Inv. 4986, Lettera dell’ing. Luigi Valente al Prefetto di Reggio Calabria 16 marzo 1938-XVII, Oggetto: Museo della Magna Grecia 2^ perizia suppletiva. Tale documento è contenuto in: Relazione e documentazione archivistica per la lettura e la comprensione tecnico-costrittiva del Museo Nazionale di Reggio Calabria, dr. Alessia Bianco (elaborata all’interno delle consulenze per il Progetto di messa in sicurezza ed adeguamento funzionale).