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    Maximilien de Robespierre(Carnavalet Museum)

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    Prima edizione 2011

    Il contenuto della presente opera e la sua veste graficasono rilasciati con una licenza Common Reader

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    Enrico Galavotti

    IL POTERE DEI SENZADIORivoluzione francese e questione religiosa

    Il timore della societ, che il fondamento della morale,il terrore di dio, che il segreto della religione,

    sono le due cose che ci governano.

    O. Wilde

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    Nato a Milano nel 1954, laureatosi a Bologna in Filosofia nel 1977,docente a Cesena di materie storico-letterarie,Enrico Galavotti webmaster del sito www.homolaicus.comil cui motto :Umanesimo Laico e Socialismo DemocraticoPer contattarlo [email protected]

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    La situazione della Francia alla vigilia della rivoluzione

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    Introduzione

    Oggi persino i papi conservatori sono costretti a consi-derare veri e universali i classici valori della rivoluzione fran-cese. Nell'ambito della chiesa cattolico-romana la svolta - co-me noto - era gi avvenuta col Concilio Vaticano II, ovvero nelmomento in cui si cominciarono ad accettare la libert di co-scienza, la tolleranza religiosa, l'uguaglianza degli uomini, ecc.In particolare l'adesione della chiesa romana alla dottrina dei

    diritti umani risale all'enciclica Pacem in terris (1963) e alladichiarazione Dignitatis humanae sulla libert religiosa, pro-mulgata nel 1965.

    Il grande merito dei pontefici Giovanni XXIII e PaoloVI fu appunto quello di rendersi conto che la chiesa, se volevacontinuare a sussistere, doveva adeguarsi, in un modo o nell'al-tro, ai valori della civilt borghese.

    Merito pi grande, in verit, sarebbe stato quello diproporre un'alternativa, visto e considerato che questa chiesaaspira ancora a un revanchismo politico, ma in quel momentosi prefer concentrarsi sull'esigenza di uscire dal medioevo (ilVaticano I stata l'ultima espressione medievale della chiesaromana) e di entrare finalmente nell'epoca moderna.

    Tuttavia coi pontificati di Wojtyla e di Ratzinger si so-no fatti due passi indietro. Sembra infatti che la chiesa romana

    voglia far capire che il compromesso con la societ borghese giunto al capolinea, nel senso cio che essa non pu pi tolle-rare un ruolo marginale nelle battaglie politiche contro tuttoci che non cristiano. La chiesa reazionaria vuole di nuovosentirsi protagonista attiva, come appunto stata in Polonianella lotta contro il regime comunista.

    Naturalmente il crollo del socialismo reale lha in-dotta a essere meno anticomunista rispetto ai decenni passati,non tanto perch essa abbia aumentato la propria interna de-

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    mocraticit (la quale, anzi, con le collusioni coi governi di de-stra scemata ulteriormente), quanto perch sembra essere ve-nuto meno uno dei nemici storici da abbattere.

    Il dialogo con questa chiesa diventato molto difficile,soprattutto con i suoi livelli istituzionali (si vedano p. es. le vi-cende legate al caso Hring). Viceversa, se si guarda la basele cose stanno diversamente. In occidente vi sono gruppi e mo-vimenti cattolici coi quali il dialogo pu essere non solo facilema anche piacevole. Si pensi al gruppo di teologi francesi chefa capo al Manifesto della libert cristiana, pubblicato su LeMonde nel 1975 (in it. vedi l'editio della Queriniana); si pensi

    al Komitee tedesco Christenrechte in der Kirche e al suo Me-morandum del 1982; si pensi all'americanaAssociation for theRights of Catholics in the Church e alla sua Carta dei dirittidei cattolici nella chiesa, edita nel 1983 - iniziativa, quest'ul-tima, che ha trovato ampio seguito in Olanda, Svizzera e inFrancia (qui con l'Initiative Droits et Liberts dans les Eglises,che ha tenuto un forum a Parigi nel 1987). Nei paesi del Terzo

    mondo, come noto, la Teologia della liberazione rappresental'esperienza pi significativa del cattolicesimo progressista.Stessa inversione di rotta la si pu riscontrare per quan-

    to riguarda la storiografia cattolica sulla rivoluzione francese.Praticamente sino agli inizi degli anni Sessanta, il giudizioampiamente condiviso era stato negativo non solo per quantoriguarda il Terrore, ma anche per tutte le istanze emancipativeche avevano mosso i rivoluzionari e patrioti repubblicani. Og-

    gi, dopo la parentesi degli anni Settanta, le tesi pi retrive sem-brano essere tornate di moda.

    In uno degli ultimi libri pubblicati sul rapporto chiesa erivoluzione francese (l'autore L. Mezzadri, ed. Paoline 1989),si ha ancora il coraggio di sostenere che l'esproprio dei beniecclesiastici fece perdere alla chiesa libert e dignit, met-tendo il clero alla merc del potere civile e che, mentre si af-fermava il principio dell'istruzione e della sanit pubbliche siprofilava il carattere dello Stato moderno totalitario (sic!). Al-

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    tri risultati nefasti - a giudizio di Mezzadri - furono la laiciz-zazione del matrimonio e l'introduzione del divorzio!

    Ma una resistenza di questo genere troppo debole

    perch possa destare serie preoccupazioni. Oggi l'utopia demo-cratica e populistica del Concilio Vaticano II viene messa indiscussione, parlando della rivoluzione francese, da afferma-zioni ben pi sibilline, che certo non aiutano ad approfondire irapporti tra mondo laico e religioso. Gli ambienti conservatoriinfatti vanno facendo un ragionamento assai tendenzioso, che se si vuole un esito inevitabile del riconoscimento meramenteteorico o formale di quei valori rivoluzionari. Si afferma cio

    che gli ideali dell'Ottantanove sono falliti proprio perch pre-scindevano dalla dimensione religiosa, ossia che la rivoluzio-ne, essendo stata sin dall'inizio - come essi a torto credono - unmovimento antireligioso, non poteva che portare al Terrore.

    La conseguenza logica di questa asserzione facilmen-te intuibile: il mondo laico, se vuole veramente realizzare unasociet democratica, a misura d'uomo, deve sottomettersi di

    nuovo all'ideologia religiosa. Il che naturalmente non significache la chiesa romana giudichi assurdi o falsi gli ideali della ri-voluzione. L'imputato alla sbarra semmai il metodo della so-ciet laica, cio il modo con cui si voluto e tuttora si vuoletenere separati il civile dal religioso, il sacro dal profano (am-piamente nei paesi socialisti,parzialmente in quelli capitalisti).

    In sostanza, la critica religiosa ai valori laici della rivo-luzione non viene fatta tanto sul terreno ideologico-politico

    (eccettuati naturalmente i gruppi pi reazionari, come p.es.Comunione e liberazione), quanto piuttosto sul terreno storico.La chiesa insomma sta usando l'evoluzione della storia (e diquesta soprattutto le vicende pi drammatiche) per dimostrareche l'uomo senza religione non pu realizzare alcuna vera de-mocrazia. Le contraddizioni non vengono assunte come stimo-lo all'impegno ma come pretesto per condannare l'autonomiadella societ laica.

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    Dice bene, a tale proposito, il domenicano BernardQuelquejeu: Anche se, sotto la spinta delle societ moderne,occorre pur concedere lipotesi della societ secolarizzata

    dell'era industriale, questa rimarr sempre un'ipotesi come in-dicano le encicliche Immortale Dei (1885) ... e poi Divini Re-demptoris (1937). Pi avanti lo stesso include la produzionedi Giovanni Paolo II, sostenendo che l'adesione apparente allatradizione dei diritti umani maschera, oltre ad un tentativo direcupero ideologico [anche l'intenzione] di portare all'obbligodi aderire alla chiesa cattolica (in Concilium, n. 1/1989, in-teramente dedicato alla rivoluzione francese).

    La sfida dunque esiste ed ha un certo peso, ma il mon-do laico non pu affrontarla solo sul piano ideologico, altri-menti ricadrebbe nei limiti illuministici della rivoluzione. Deveaffrontarla sul piano sociale. Davvero - ci si pu chiedere - lecontraddizioni dipendono dall'aver abbandonato i valori reli-giosi (complice, in questo, la stessa chiesa gallicana filomo-narchica), oppure i valori laici che a partire dall'Ottantanove

    abbiamo cominciato ad affermare con cos grande fervore edenergia non sono stati realizzati sino in fondo? comunque difficile dire se in questo conflitto fra cri-

    stianesimo e rivoluzione abbia veramente perso la rivoluzione.Indubbiamente la rivoluzione non ha realizzato i suoi obiettivi,ma il cattolicesimo sono secoli che ha tradito i propri. E anchein questa occasione storica ha dimostrato di non essere capacedi guardare avanti con il dovuto coraggio e la necessaria de-

    terminazione, nonostante i brillanti risultati conseguiti daigruppi pi progressisti.

    Anzi stata proprio la rivoluzione a lasciare un segnonella coscienza e nella vita di milioni di uomini, inclusi i cre-denti, un segno che le generazioni hanno saputo trasmettersi eche, ad un certo momento, ha avuto la forza di trasformarsi inavvenimenti importantissimi come la rivoluzione del 1848, laComune di Parigi, il Fronte popolare, il maggio '68... per non

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    parlare degli influssi che quella rivoluzione ha avuto sul mon-do intero.

    Si pu anzi dire, in questo senso, che la rivoluzione

    francese ha trovato in quella bolscevica l'erede pi significati-va delle sue migliori conquiste. Questo a prescindere dal fattoche lo stesso Ottobre sia poi stato tradito dallo stalinismo.

    Ma quali insegnamenti fondamentali si possono trarreda quella esperienza rivoluzionaria francese sul piano della li-bert religiosa? Anzitutto uno, molto semplice ed elementare,ma generalmente applicato malvolentieri: la prassi il criteriodella verit. Cio la fiducia nella verit di determinati principi

    non pu mai essere un motivo sufficiente per imporli con laforza. La verit deve farsi strada con la forza dell'esempio, nondelle armi, se necessario anche con la violenza, ma solo per di-fendersi. In ogni caso assolutamente indispensabile saper di-stinguere i principipolitici da quelli ideologici. Tutto questo larivoluzione non l'ha fatto, non l'ha saputo fare.

    Forse in nessun momento della rivoluzione i governi al

    potere accettarono di considerare pi pericolose le divergenzepolitico-programmatiche sui fondamentali obiettivi socioeco-nomici rispetto a quelle di tipo ideologico o filosofico in mate-ria di religione. Per tutti i rivoluzionari i due aspetti furonosempre ritenuti equivalenti. Di qui il forte esprit d'irrligion.

    Giacomo Martina, uno degli storici cattolici pi aperti edisponibili a un confronto con le idee del mondo laico, intro-duce in un elenco di cinque pagine di aspetti negativi della ri-

    voluzione francese, a fronte delle tre dedicate a quelli positivi,nientemeno che il matrimonio civile (Storia della chiesa, Ro-ma 1980). Mentre, poco pi avanti, ha il coraggio di sostenereche, dovendo scegliere fra un regime di privilegio quale l'an-cien rgime, dove sotto un'etichetta cristiana si nascondonoparecchi abusi, e un regime di separazione, quello appuntogiacobino, ove affermazioni autenticamente cristiane sonospogliate della base cristiana, il cattolico farebbe bene a sce-gliere il primo. A meno che non si riesca a contrapporre alle

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    teorie democratiche fondate sull'illuminismo una concezionepolitica, democratica ma cristiana. Il che per - osserva Mar-tina - la chiesa gallicana non riusc a fare, in quanto non seppe

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    dalla maggioranza degli storici cattolici, la seguente: gli idea-li cristiani vanno affermati politicamente, in prima e ultima i-stanza, al punto che preferibile accettare una chiesa corrottacol potere in mano che una chiesa separata senza potere. L'ide-ale - secondo tale storiografia - quello di una chiesa che usi il

    potere in maniera democratica, non semplicemente quello diuna chiesa che si limiti a rivendicare una propria autonomiareligiosa. Peraltro si nega recisamente che l'uso democraticodi detto potere possa essere considerato come uno dei fruttidella rivoluzione francese o della secolarizzazione in genere. Agiudizio di Martina, i rivoluzionari non fecero altro che rimet-tere in auge antichi valori cristiani, per cui la chiesa non ha

    motivo di sentirsi obbligata nei confronti di nessuno.In sostanza, Martina non si rende conto che i valori ins e per s non hanno alcun valore se non trovano una con-ferma nella prassi. Dire che la rivoluzione francese non ha fat-to altro che riesumare antichi valori cristiani come dire che ilsocialismo democratico non altro che una rielaborazione, ri-veduta e corretta, del comunismo primitivo. Si pu anche so-stenere, al limite, che la maggior parte dei valori siano sempre

    gli stessi, ma questo cosa significa? Forse che il valore di pers giustifica qualcosa? Il buon senso non vuole forse che lacredibilit degli uomini la si misuri solo sulla capacit chehanno di mettere in pratica i loro valori di vita?

    Da questo punto di vista la rivoluzione francese statasenz'altro molto pi importante della pi importante esperienzacristiana. Se buona parte della chiesa francese non riuscita adaccettare la rivoluzione, questo appunto conferma che l'attac-camento a determinati valori (pur ritenuti positivi da secoli)

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    hanno fatto altro che incrementare la fede religiosa e l'ostilitnei confronti del socialismo. Che illusione quella di credereche socialismo volesse di per s significare maggiore de-

    mocrazia.Ci naturalmente non significa che gli Stati non debba-no mai usare la forza. Non devono mai usarla quando sono incausa le opinioni personali, le decisioni di coscienza, le libertdi credere e di non credere: a condizione naturalmente che tut-to ci non venga usato per offendere la dignit o la sicurezza dialtri. Si pu anche non credere in Cristo o in Maometto, manon si ha il diritto di scandalizzare milioni e milioni di persone

    che dicono di vivere (a torto o a ragione non importa, nel beneo nel male neppure) sulla base di ideali cristiani o islamici.Non si pu assolutamente tollerare la condanna morale dellapersona, cio tutti quei giudizi unilaterali che collocano per-manentemente gli individui nella sfera del male. Anche per-ch giudizi di questo genere hanno il loro rovescio, quello del-la santificazione (sacra o profana), cio la collocazione perma-

    nente di altri individui nella sfera del bene.L'appoggio delle masse ai fini della realizzazione diuna rivoluzione deve insomma essere cercato non solo primama anche dopo la rivoluzione, perch soprattutto dopo che igoverni ne hanno bisogno. In caso contrario, ogniqualvolta siformano complotti controrivoluzionari, i governi si trovano co-stretti a violare le leggi e a commettere abusi di potere.

    Con questo non si vuole idolatrare il concetto di masse

    popolari, poich anch'esse vanno guidate e devono sapersi au-toguidare, sottraendosi alla logica dello spontaneismo e ai variculti della personalit. La maggioranza, di per s, non pu be-neficiare del monopolio della verit, anche se ha pi probabili-t d'aver ragione. Se la verit va sempre dimostrata, essa puesserlo solo in un processo dialettico in cui gli opposti sianoliberi di confrontarsi. Oggi, dopo la fine dell'illusione che perrealizzare un buon socialismo basta eliminare la propriet pri-vata, si ha una ragione in pi di affermarlo.

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    Detto questo, non si pu ora non evidenziare l'istanzapi positiva di liberazione che, sul piano religioso, in modo po-litico e giuridico, la rivoluzione sia riuscita a valorizzare, tra-

    smettendone il contenuto alle generazioni future e, insieme, ilcompito di tradurla in esperienze sempre pi concrete, coerentie, per dirla con Braudel, di longue dure. Si tratta del regime diseparazione fra Stato e chiesa.

    La migliore storiografia cattolica, presente soprattuttoin Francia (si pensi p.es. a B. Plongeron), giunta oggi allamedesima conclusione della storiografia marxista, secondo cuila rivoluzione francese ha posto le basi per il superamento di

    qualsiasi forma di religione di stato e di politicizzazione del-la fede. La fine dei privilegi e dei concordati, l'uguaglianza ditutte le religioni di fronte allo Stato, la separazione della scuoladalle varie confessioni, la laicizzazione dello stato civile e l'in-troduzione della legge sul divorzio: queste e altre cose ancorahanno contribuito massimamente non solo alla formazione diun'identit laica della societ civile e dello Stato, della morale

    pubblica e del diritto, della politica e di tutte le scienze umane,ma hanno pure promosso, indirettamente, le condizioni per unarigenerazione spirituale di ogni fede religiosa, finalmente li-berata dai compromessi col potere politico.

    Se, nonostante questa grande opportunit, molti cattoli-ci hanno smesso di credere nella loro religione o hanno pre-ferito la strada del fanatismo, ci non pu essere addebitatoal regime di separazione, che, di per s, non obbliga alcuna co-

    scienza a diventare atea. Se un credente perde la fede allin-terno di un regime di separazione, vuol dire che la sua fede, sulpiano religioso, valeva ben poco.

    Semmai un altro il rilievo che pu essere fatto al re-gime borghese di separazione. dubbio che un regime bor-ghese di separazione possa reggersi in piedi con la dovuta sicu-rezza e coerenza senza una contestuale rivoluzione socialista.Oggi poi possiamo aggiungere che, anche dopo aver fatto que-sta rivoluzione, assurdo pensare di poter separare con la forza

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    la chiesa dalla societ civile. E, in ogni caso, un cittadino-credente ha bisogno dimparare a contestare la sua chiesa comecredente e il suo Stato come cittadino, senza fare della sua fe-

    de il pretesto per unazione politica.

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    Chiesa e rivoluzione francese. Le premesse

    La chiesa cattolico-nazionale, cio gallicana, dellaFrancia si basava giuridicamente, prima dell'Ottantanove, sulConcordato del 1516 stipulato a Bologna dal re Francesco I edal papa Leone X, col quale il primo aveva rivendicato il dirit-to di nominare i candidati alle pi alte cariche ecclesiastiche, eil secondo l'investitura canonica degli stessi. In cambio di que-sta sottomissione del clero, il re si assumeva l'onere di versare

    alla curia romana le cosiddette annate, cio un anno del red-dito teorico di ogni beneficio (diocesi, abbazia, ecc.) che cam-biava titolare. Grazie a questo codice di brigantaggio coschiamato da C. Fauchet, l'autore De la religion nationale(1789) -, il capo del sacerdozio e quello dello Stato si conce-devano ci che, secondo l'opinione universale, non appartene-va n all'uno n all'altro: i diritti dei popoli [alla scelta dei pa-

    stori] e il denaro della chiesa.Ma, nonostante il cattolicesimo fosse una religione distato, verso la met del XVI sec. si diffuse nel sud della Fran-cia il calvinismo, e subito furono eccidi e massacri fra le dueconfessioni. L'Editto di Nantes (1598) riconobbe agli ugonottila libert di culto, ma il cattolicesimo, facendo leva sul presti-gio della propria maggioranza, continu a perseguitarli du-ramente, almeno sino al 1787, allorch un decreto regio con-

    cesse ai riformati lo stato civile dei loro matrimoni (senza pil'intermediazione del prete cattolico), la possibilit di battezza-re i figli (prima era d'obbligo il rito cattolico), di praticare ilculto in privato e di accedere ad alcune cariche pubbliche diminor rilievo. Gli ultimi due protestanti ad essere torturati eimpiccati, rispettivamente nel 1761 e 1766, furono il mercanteJ. Calas e il cavaliere La Barre. Il loro numero complessivo,alla vigilia della rivoluzione, si aggirava sul mezzo milione.

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    Drammatica era anche la situazione dei giansenisti, lacui dottrina filocalvinista era gi stata condannata nel 1713dalla bolla Unigenitus. Usciti malconci dallo scontro con i ge-

    suiti (l'abbazia di Port-Royal venne distrutta nel 1710 da LuigiXIV), nel 1749 i giansenisti dovettero subire anche l'umilia-zione dei billets de confession: una vera e propria sottomissio-ne scritta alla suddetta bolla che l'arcivescovo di Parigi preten-deva da parte di tutti quei moribondi sospettati di giansenismo,senza la quale non avrebbero potuto ricevere l'assoluzione.Condannata dal parlamento parigino, la richiesta non manc disuscitare seri tumulti presso il palazzo arcivescovile. Tuttavia

    il giansenismo pot prendersi la rivincita sulla Compagnia diGes (gi disciolta per nel 1773), fondendosi, negli anni dellarivoluzione, col richerismo, un movimento di soldati sem-plici e caporali del clero parrocchiale che rivendicava una ge-stione democratica e comunitaria della chiesa francese. E. Ri-cher (1560-1631), sindaco della facolt teologica di Parigi, fuappunto il primo a sostenere la pari dignit dei poteri di tutto il

    clero. Molto discriminata era anche la minoranza ebraica,concentrata soprattutto in Alsazia. I 40.000 ebrei pagavanoimposte speciali d'ogni tipo (ad es. il prezzo della loro prote-zione al re, al vescovo, al feudatario locale, oppure per entrarein citt loro interdette). Erano esclusi senza eccezione dai pub-blici uffici. Talvolta il loro numero era limitato per legge (ades. non pi di 450 famiglie a Metz). Non potevano contrarre

    matrimonio coi cattolici e i diritti di cittadinanza venivano loroconcessi solo dove potevano avanzare una richiesta di natura-lizzazione in base al luogo di nascita, il che per non era facile.Per quanto riguarda il culto fruivano di maggiori libert rispet-to ai protestanti, essendo ideologicamente meno temuti dai cat-tolici.

    I tempi tuttavia erano cos maturi per una pi generale eradicale affermazione dei diritti umani e civili, che la necessitdi riconoscere un culto pubblico assolutamente libero a tutte le

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    confessioni minoritarie, era ormai diventato per il cattolicesi-mo e per la monarchia borbonica il problema minore.

    Le prime avvisaglie di quella che di l a poco sarebbe

    apparsa come la maggior sfida europea ai privilegi feudali, siebbero con la pubblicazione dell'Encyclopdie (1751). Le fortiaccuse di Diderot, d'Alembert, Voltaire, Rousseau, Helvtius,Holbach indirizzate al fanatismo, all'intolleranza, al dogmati-smo, alla superstizione, al temporalismo dei papi, al clericali-smo, ai principi di autorit e di tradizione nelle scienze,ecc., indussero il cattolicesimo conservatore, a partire dal1770, a sferrare un attacco frontale contro questi philosophes,

    colpevoli di ateismo miscredenza empiet.N. S. Bergier venne ufficialmente incaricato dall'As-

    semblea del clero di Francia di aprire le ostilit. Non pochi tut-tavia erano gli scettici nell'imminenza di questa battaglia. Frale stesse file dell'alto clero il lusso e la corruzione erano cosvasti e profondi che la maggioranza dei vescovi si sentiva qua-si completamente estranea agli ideali della chiesa cattolica.

    S'incontravano persino figure inclini all'ateismo e favorevolialle idee del libero pensiero, come l'arcivescovo di TolosaLomnie de Brienne (che riusc a ottenere da Luigi XVI laconcessione dello stato civile ai protestanti), il mons. De Vin-timille, Grimaldi di Mans, il card. di Rohan e altri ancora, ilcui ateismo tuttavia non implicava di necessit - come vuole lastoriografia cattolica - la corruzione. Se dunque resistenzac'era ai nuovi orientamenti intellettuali e morali, i motivi vanno

    ricercati negli interessi di potere, che per fino all'Ottantanovenon sembravano minacciati da forze sociali politicamente de-terminate: la maggioranza dei filosofi era filomonarchica, seb-bene volta al riformismo giurisdizionalista.

    Dal canto suo il basso clero, a causa delle forti discri-minazioni di cui era oggetto, vedeva spesso di buon grado lecritiche che il movimento filosofico progressista rivolgeva alsistema (basta leggersi il famoso pamphlet del vicario generaledi Chartres, E. J. Sieys, Qu'est-ce que le Tiers tat?). Sull'at-

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    teggiamento di questi curati, la storiografia cattolica semprestata abbastanza severa: si rimproverato loro un eccessivorancore contro il lusso dell'alto clero, un desiderio d'indipen-

    denza troppo vivo e addirittura uno spirito patriottico supe-riore a quello ecclesiastico (cfr le tradizionali storie dellachiesa di R. Spiazzi, A. Saba e quella illustrata nelle ed. Ma-rietti).

    La situazione generale del clero

    Primo dei tre ordini fra i quali si dividono 25.000.000

    di francesi, il clero conta, all'incirca, 130.000 membri, di cui70.000 regolari - che pronunciano voti monastici, obbedisconoa una regola e vivono, per lo pi, in conventi - e 60.000 secola-ri, che non pronunciano voti monastici e vivono nel mondo(cos A. Dansette, Chiesa e societ nella Francia contempora-nea, ed. Vallecchi).

    Essendo il primo degli ordini dello Stato, il clero, che

    era il pi grande proprietario del regno, fruiva di particolariprivilegi: politici, giudiziari e fiscali. Gi si detto del sistemabeneficiario col quale il re assicurava le cariche religiose aisuoi cortigiani oppure ai figli cadetti dell'aristocrazia pi facol-tosa. I titolari, in sostanza, percepivano 1/3 delle rendite deivescovadi o abbazie, risiedendo prevalentemente nei dintornidi Versailles, presso la corte regia, e delegando l'effettivo eser-cizio del ministero pastorale e amministrativo ad ecclesiastici

    stipendiati (nel 1764 a Parigi vivevano non meno di 40 vesco-vi!). Cosa di cui non ci deve meravigliare, poich, dipendendola nomina dalla nascita o dalle relazioni, era impossibile chequesti prelati avessero una buona formazione teologica o unvero interesse etico-religioso per i benefici ottenuti. Gene-ralmente anzi, la loro condotta e i loro principi erano impronta-ti alla mondanit e allo scetticismo dell'ambiente di corte.

    Oggi si soliti ritenere, sulla base di dati approssimati-vi, che il clero possedesse fino al 10% della propriet naziona-

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    le, ma il rendimento di questi immobili, nel complesso, restavamolto al di sotto delle loro reali potenzialit. Con l'assenteismocronico dei beneficiari e le ingiustizie perpetrate ai danni della

    popolazione contadina, la gestione veniva svolta in maniera al-quanto improduttiva. Lo attesta il fatto che la decima percepitada vescovi, abati e canonici sui prodotti agricoli e sugli armentiaveva un valore equivalente alle rendite dei possedimenti rura-li.

    Nonostante questo per il credito della chiesa restava digran lunga migliore di quello dello Stato. Le propriet frutta-vano un'entrata annua pari a circa 1/4 della ricchezza fondiaria

    in ogni provincia del regno. Oltre a ci bisogna mettere nelconto gli incassi delle varie fondazioni assistenziali, sanita-rie ed educative, grazie alle quali la chiesa monopolizzavaquasi completamente la gestione della vita sociale e culturale.Quando si parla di questi enti la storiografia cattolica solitausare il termine di oneri, ma tutti si rendono conto - poichancora oggi cos - che tali ambiti d'intervento gestiti dalla

    chiesa fruiscono sempre di ampie agevolazioni fiscali, di forticontributi statali, di lasciti e donazioni da parte di privati citta-dini, per non parlare del fatto che, ad es., i 562 ginnasi tenutiallora dal clero, erano riservati alla nobilt o comunque a quel-le famiglie in grado di mantenere i figli agli studi.

    I monasteri e i conventi erano ricchissimi: frati e mona-ci, in genere, oziavano con buone rendite e grandi propriet.Ad eccezione di quelli che si dedicavano all'insegnamento o

    all'assistenza medica, gli ordini religiosi venivano consideratisocialmente inutili. Ignavia e rapacit le accuse principali alloro indirizzo, bench non mancassero monaci appassionati al-le idee dei filosofi. Fallita la riforma del 1776, che aveva cer-cato di porre rimedio alla decadenza dei costumi e allo spopo-lamento dei conventi, due anni dopo si decise di chiuderne426, sopprimendo 8 ordini religiosi. Tra il 1768 e l'89 la crisidelle vocazioni fu notevolissima. Ciononostante la chiesa con-tinuava a proclamare l'eternit dei voti monastici e lo Stato ne

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    sorvegliava l'adempimento: se i religiosi abbandonavano ilconvento, vi tornavano accompagnati dalla forza pubblica.

    Tutto il clero era esente dai gravami di carattere muni-

    cipale e da qualunque imposta fiscale regia, diretta e indiretta.I beni della chiesa non pagavano alcun diritto neppure nei tra-sferimenti di propriet. Ogni quinquennio le assemblee genera-li di questo ordine votavano un contributo fiscale detto dona-zione gratuita da versare nelle casse dello Stato con rate an-nuali: si trattava, in sostanza, del 2% di tutti gli introiti, l'entiteffettiva dei quali per era sconosciuta al governo (da notareche la percentuale era stata decisa nel 1561 e da allora, mal-

    grado l'esorbitante rialzo delle altre imposte, era rimasta immu-tata). Oltre a ci il clero possedeva propri tribunali, da cui di-pendevano non solo tutti gli ecclesiastici, ma anche i laici percause riguardanti la religione (vedi ad es. la legislazione ma-trimoniale). Gli attentati alla fede, la bestemmia e il sacrilegiopotevano essere puniti con la morte.

    In questo contesto va per distinta la situazione del bas-

    so clero (curati, vicari e cappellani), che escluso completa-mente dalla carriera episcopale e che trae il proprio sostenta-mento dalla modesta congrua (porzione della decima) e dairedditi, pi o meno variabili, inerenti all'officiatura delle variecerimonie religiose (il casuale). Il pi delle volte i sacerdotidi campagna, reclutati fra la piccola borghesia rurale, vivono incondizioni pi precarie rispetto ai loro colleghi di citt, recluta-ti fra la media borghesia (assenti, fra i preti, persone di origine

    operaia o contadina, in quanto i candidati al sacerdozio dove-vano dimostrare, all'atto dell'ordinazione, di avere una renditapatrimoniale). Numerosi sono i preti clientelari, che vannoin cerca di messe, senza appartenere ad alcuna parrocchia, enon pochi sono quelli che vivono di un modesto beneficio, sen-za esercitare alcuna vera attivit pastorale.

    In campagna il clero rappresenta buona parte della cul-tura: tiene lo stato civile, registrando battesimi, matrimoni edecessi; simpatizza, senza esporsi troppo, per le idee dei filoso-

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    fi, che vanno peraltro facendosi strada fra categorie socialitendenti all'agnosticismo: borghesia rurale, funzionari locali,artigiani, vecchi soldati, bettolieri, ecc. Il prete anche diffuso-

    re delle ordinanze reali, ausiliario della giustizia, banditore divendite immobiliari. I beni della parrocchia sono il presbiterio,la scuola, il cimitero e tutti gli immobili lasciati in eredit dafedeli pii e timorosi. Qualunque forma di manutenzione dell'e-dificio adibito al culto a carico dei parrocchiani.

    In citt (si pensi p.es. a Nancy) i contrasti fra alto e bas-so clero sono pi sentiti: qui infatti le esigenze democraticheed egualitarie vengono avanzate con pi decisione. Nel 1779 i

    parroci organizzati in una sorta di sindacato ecclesiastico girivendicavano maggiori salari. H. Reymond, loro rappresen-tante, nell'opera del 1776 intitolataDroits des curs et des pa-roisses sous le double rapport spirituel et temporel, aveva pro-posto di creare a Parigi una Camera consultiva del basso clero,ma l'Assemblea del clero ottenne nel 1782 da Luigi XVI laproibizione per i parroci di formare tra loro alcuna associa-

    zione e di emanare delibere senza aver ottenuto espressa auto-rizzazione.Nonostante ci, detto movimento para-sindacale, col

    passar del tempo, limitandosi sempre meno alla mera questionedella congrua, cominci a pretendere una riforma generale ditutta l'amministrazione dei beni mobili e immobili della chiesa,onde favorire la situazione delle diocesi e delle parrocchie pipovere (cfr. l'opera dei fratelli Delacour, Voeux de la raison

    pour le paroisses, les curs, les pauvres, Louis XVI dansl'Assemble des Notables). Reymond, che si ispirava al richeri-smo e che diventer vescovo costituzionale di Grenoble, pre-sumeva di fondare il diritto dei curati sulla storia dei primi se-coli della chiesa, sulla tradizione dei concili e sulla dottrina deiPadri.

    Grazie anche alla sua attivit, si andava lentamente for-mando una sorta di partito gallicano-giansenista, che mentrerivendicava un maggior potere dei preti rispetto ai vescovi,

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    trovava anche molti di questi disposti a lottare contro i colle-ghi filoromani contrari a una maggiore indipendenza dallaSanta sede.

    Stante questa situazione non ci si deve stupire che dallemasse popolari la religione fosse vissuta con molto conformi-smo e poca convinzione. Non si trattava solo di vocazioni inforte calo, ma anche - come le pi recenti indagini hanno mes-so in luce - di scarsa partecipazione nella pratica dei sacramen-ti e in particolare durante le festivit pasquali, di forte diminu-zione delle offerte per le messe a suffragio, di aumento dellenascite illegittime, di bassa tiratura dei libri a carattere religio-

    so, ecc.Dopo il 1760 inizia anche la contraccezione, qui da se-

    gnalare pi che altro per l'avversione ch'essa suscita ancoraoggi nell'ambito di certo cattolicesimo. E se ci non bastasse,si potrebbe anche ricordare la solenne processione del Santosacramento per le vie di Versailles, in occasione della convo-cazione degli Stati generali: col cero in mano incedevano, die-

    tro gli ordini privilegiati, gli esponenti del Terzo stato, ovvero iMirabeau e i Robespierre!Ma l'aspetto pacifico e tranquillo della vita religiosa del

    Settecento, dopo le aspre battaglie del secolo precedente, nondeve essere visto come un indice della scarsa conflittualit esi-stente nell'ambito della chiesa. Qui bisogna sfatare uno dei mitidi certa storiografia cattolica contemporanea, secondo cuinulla lasciava presagire... che la rivoluzione che incominciava

    avrebbe costituito per la chiesa di Francia il periodo pidrammatico della sua storia (cos si legge nel vol. VIII/1 dellamonumentale Storia della chiesa curata da H. Jedin, ed. JacaBook). Col che, in pratica, o si fa una lode alla storia e all'esi-stenza degli uomini, le cui vicende risultano sempre molto picomplesse e imprevedibili di tutte le ipotesi o le teorie che sipossono elaborare (ma in questo caso il merito va alle massepopolari); oppure si tende a giustificare l'inerzia e lo status quodelle classi dominanti, le quali naturalmente non potevano n

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    volevano prevedere cose funeste per le loro posizioni privile-giate (ma in quest'altro caso bisognerebbe precisare che da par-te delle masse rivoluzionarie forse si immaginarono cose anco-

    ra pi radicali di quelle che poi effettivamente accaddero, coseche solo per l'immaturit dei tempi, la debolezza teorica e pra-tica delle stesse masse e dei leader alla loro testa non poteronoessere realizzate).

    In effetti, se non si considera che molte cose gi datempo lasciavano facilmente intuire quel che sarebbe successo,si poi portati a credere che la rivoluzione non fu il fruttospontaneo di una crisi di enormi proporzioni, l'esito pi maturo

    di ingiustizie accumulatesi nel corso di vari secoli, ma piutto-sto una sorta di golpe tramato da classi e gruppi sociali desi-derosi di prendere il posto degli ordini privilegiati: un colpo distato le cui motivazioni andrebbero ricercate nei sentimenti diinvidia, gelosia e rancore. Questa, appunto, la tesi sostenutadall'ex-gesuita A. Barruel, allora profugo in esilio, che con lesue Memorie per servire alla storia del giacobinismo forn

    ampio materiale alla successiva storiografia cattolica e borghe-se controrivoluzionaria.Barruel era convinto che la rivoluzione fosse il risultato

    di una cospirazione contro il cristianesimo, la monarchia e lapropriet dei ceti privilegiati, tramata e condotta dall'illumini-smo ateo, dalla massoneria e dalla setta para-socialista degliIlluminati, diffusasi in Baviera tra il 1776 e l'86. I giacobininon avrebbero fatto altro che sintetizzare queste tre correnti,

    che, rispettivamente, sul piano morale rappresentavano l'em-piet, la ribellione e l'anarchia. Da notare per che il gesuitaaffermava che i militanti giacobini erano almeno 300.000,mentre i simpatizzanti pi o meno attivi, sparsi in tutta la Fran-cia, almeno due milioni!

    evidente, da questo punto di vista, che la rivoluzionepoteva essere avvertita come un dramma solo dall'alto clero.Viceversa, dal punto di vista delle masse, anche di quelle tra-dizionalmente religiose, la rivoluzione non poteva essere con-

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    siderata che come un evento liberatorio, emancipativo, comeuna vera e propria catarsi. E il fatto che il basso clero sia statosubito appoggiato dai parlamentari sin dalle prime sedute degli

    Stati generali, appunto indicativo di quale diversa sensibilitcaratterizzasse i ceti sociali meno favoriti. assai banale quindi sostenere che la chiesa di Francia,

    se avesse voluto, avrebbe potuto riformarsi da sola, senza a-spettare l'ondata rivoluzionaria della borghesia, o sostenere ad-dirittura, con Daniel Rops, che la rivoluzione avrebbe potutoessere pi umana se fosse stata pi cristiana (inLa chiesadelle rivoluzioni, ed. Marietti). Per come era strutturata, non

    poteva fare alcunch di veramente innovativo. Essa, come lamonarchia e soprattutto l'aristocrazia, rifletteva rapporti socio-economici che le impedivano qualunque rinnovamento demo-cratico. Negli stessi cahiers de dolances, prodotti in vista de-gli Stati generali, appare in modo assai chiaro quanto fosse va-sta e profonda la crisi della chiesa francese, e quanto fosseropesanti le accuse contro i privilegi e gli abusi del clero, contro

    le decime e la decadenza del monachesimo. Al massimo dun-que essa avrebbe potuto rendere meno catastrofico il terremotoche la sconvolse, ma in nessun modo avrebbe potuto evitarlo.A certi livelli (si pensi al basso clero intellettuale) poteva an-che affrettarne la venuta servendosi della stessa religione, manon senza l'aiuto, in quel momento, della nuova classe emer-gente: la borghesia.

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    Dagli Stati generali alla Costituente.Le prime riforme religiose

    Nel maggio 1789, sotto la pressione del deficit finan-ziario dello Stato e per la difficolt d'imporre nuove tasse sen-za consultare l'intera nazione, vennero convocati gli Stati gene-rali, su proposta dell'arcivescovo Lomnie de Brienne. Il primoproblema da risolvere era quale sistema di votazione da adotta-re: se per ordine o nominale, come reclamava il Terzo stato, il

    quale, avendo ottenuto dal ministro Necker un numero doppiodi rappresentanti, poteva disporre da solo della met dei voti. Ilregolamento regio per l'elezione dei deputati del clero avevafinito col favorire i parroci (che avrebbero votato personalmen-te), mentre i conventi e i capitoli erano soltanto rappresentatida delegati. Nell'ambito dell'Assemblea, e di fronte al re, pretie vescovi risultavano giuridicamente paritetici, anzi i primi su-

    peravano i secondi di molte unit (208 su 296). Il 13 giugno trecurati decisero di trasferirsi dalla sala del loro ordine a quelladel Terzo stato. Le defezioni, col passare dei giorni, si molti-plicarono. Finch, dopo l'autoproclamazione in Assemblea na-zionale proposta dal prete Sieys, il clero, con pochi voti dimaggioranza, deliber di unirsi alla borghesia.

    Su questa decisione due cose almeno vanno dette: anzi-tutto non vero - come sostiene in genere la storiografia catto-

    lica - ch'essa risult decisiva ai fini dell'istituzione dell'Assem-blea costituente, avendo fatto acquisire alla borghesia la mag-gioranza. In realt avvenne proprio il contrario: l'ordine delclero decise di unirsi al Terzo stato solo dopo che questo avevamanifestato la chiara intenzione di opporsi al re e alla nobilt.Senza la volont politica della borghesia, il basso clero, chepur apparteneva per origine sociale al Terzo stato, difficilmen-te sarebbe arrivato alla rottura con gli alti prelati, o forse vi sa-rebbe arrivato seguendo altre strade (ad es. l'eresia. Qui anzi ci

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    si pu chiedere se non sia stata proprio la mancata realizzazio-ne di una riforma protestante francese a impedire il formarsi diuna valvola di sfogo per le acutissime contraddizioni sociali

    che travagliavano l'intera nazione: forse che tale riforma non siebbe proprio perch l'autonomia gallicana la rese per cos diremeno urgente?).

    In secondo luogo senza dubbio limitativo sostenere,come vuole ad es. Dansette, che il basso clero si un al Terzostato per gelosia verso l'alto clero. Basta leggersi alcuni bra-ni dei famosi 60.000 cahiers de dolances per convincersi dicome e quanto i problemi si ponessero pi sul terreno sociale e

    meno su quello personale. Di tutti gli abusi che esistono inFrancia - viene detto nel cahierdel visconte di Mirabeau, mili-tante del Terzo stato - quello che maggiormente affligge il po-polo e pi fa disperare i poveri l'immensa ricchezza, l'oziosi-t, le esenzioni [fiscali], il lusso inaudito dell'alto clero. Questericchezze si sono in gran parte formate col sudore dei popoli,sui quali il clero percepisce un'orribile imposta che va sotto il

    nome di decima; essa assorbe ogni dieci anni a vantaggio di il-lustri fannulloni la totalit del reddito agricolo [annuale] delregno. E pi avanti: Le spese per le chiese, i presbiteri, i ci-miteri sono a carico delle comunit, che tuttavia continuano apagare per battesimi, matrimoni, sepolture, senza che la deci-ma venga diminuita. I poveri non sono pi soccorsi e pagano ladecima.1 Sotto accusa anche i monaci e il seminario locale,che percepiscono una decima in covoni di grano dalla comuni-

    t, mentre in cambio non danno nulla. Il canonico, dal cantosuo, si differenzia solo perch la percepisce in moneta.

    Non si chiedeva solo la soppressione degli abusi del si-stema beneficiario, il miglioramento delle condizioni dei curatia congrua, il divieto di cumulare pi benefici, l'obbligo di resi-denza dei vescovi nella diocesi e la loro elezione da parte del

    1 Cfr il libro di D. Menozzi, Cristianesimo e rivoluzione francese, ed. Que-riniana. Anche la Cinque lune ha pubblicato qualche brano dei cahiers.

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    capitolo (contro il Concordato del 1516), e poi il conferimentodelle cariche ecclesiastiche in base ai meriti e all'anzianit, lasoppressione delle tasse per matrimoni e sepolture e delle an-

    nate (quelle pagate al papa), la fine della decima e delle spere-quazioni fiscali che dividevano i tre ordini dello Stato, e poiancora lo scioglimento delle congregazioni religiose, la diffu-sione di centri d'istruzione per i giovani: non si chiedeva solotutto questo e altre cose ancora direttamente collegate alle di-scriminazioni di carattere sociale; si chiedeva anche di modifi-care alcune tradizioni di vita ecclesiale che ancora oggi per-mangono immutate nell'ambito del cattolicesimo. Si legge,

    p.es., nel quaderno di Chalais: Che tutti i preti si sposino. Latenerezza delle loro spose risveglierebbe nei loro cuori la sen-sibilit, la riconoscenza, la piet - cos naturali per l'uomo - chei voti di castit e di solitudine hanno spento in quasi tutti colo-ro che li hanno pronunciati.

    Proprio queste rimostranze hanno indotto certa storio-grafia cattolica, meno conservatrice di quella che nella rivolu-

    zione francese (si pensi a Taparelli d'Azeglio o a Del Noce)vede il culmine di una disgrazia cominciata col Rinascimen-to e la Riforma protestante, una disgrazia dilatatasi a macchiad'olio con la societ capitalistica, ed esplosa, assumendo un'e-spressione demoniaca, nei paesi comunisti; si diceva, pro-prio le doglianze dei cahiers hanno indotto storici e intellettua-li come Burke e Taine (per l'Italia bisogna pensare a Papi,Cuoco, Botta, Manzoni...) a riconoscere l'esigenza di un ri-

    formismo forte nell'ambito della chiesa settecentesca. Ma latesi fondamentale di questa corrente liberal-utopistica fu quellache vedeva nella rivoluzione un serio ostacolo al processo digraduale evoluzione verso il superamento del vecchio regime:processo che - a giudizio di essa - era stato inaugurato dai so-vrani illuminati e che sicuramente avrebbe reso inutile qua-lunque rivolgimento traumatico.

    Pur di ridimensionare l'importanza della rivoluzionefrancese, certi storici cattolici (si pensi p.es. a V. Giuntella)

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    sono addirittura propensi a considerare la rivoluzione america-na o anche quella inglese del secolo precedente, molto pi de-mocratiche nei contenuti e nei metodi (il termine pi usato qui

    non violenta ovvero rivoluzione incruenta. Vedi anchele tesi dell'ultraconservatore F. Furet).Eppure tutti sanno che la Costituzione americana del

    1787, al pari della rivoluzione parlamentare inglese, fu sol-tanto il frutto di un compromesso fra la borghesia e i latifondi-sti (detti negli Usa piantatori del sud), cui le masse popolaricercarono di porre rimedio rivendicando l'importante Bill ofrights. Se poi si vuole sostenere che i principi democratici del-

    la borghesia trovarono una loro prima applicazione nella Di-chiarazione americana d'indipendenza del 1776, ebbene allorasi deve aggiungere che tale Dichiarazione, per quanto nonpermettesse politicamente la formazione d'uno Stato unitariodell'America (in questo senso era meno avanzata della Costitu-zione del 1787), rifletteva comunque le posizioni pi progres-siste della filosofia francese (specie la linea di Rousseau), per

    cui l'avversione al regime di privilegio risultava superiore aquella della stessaDichiarazione francese dei diritti umani (ades. non si prevedeva la propriet come diritto naturale masolo come diritto civile connesso al lavoro). Oltre a ci bi-sogna precisare che se nelle colonie americane la rivoluzionenon svilupp una particolare ostilit nei confronti della religio-ne, fu proprio a causa del pluralismo delle confessioni qui lar-gamente rappresentato, frutto della rottura dell'unit cattolica

    europea.Ma procediamo. I chierici francesi collaborarono con

    entusiasmo all'interno della Costituente: forti delle loro tradi-zioni gallicane, neppure per un istante si chiesero in che misuraRoma avrebbe approvato il loro comportamento. Dall'agosto alnovembre del 1789, dopo la presa della Bastiglia, la rivoltadelle citt e delle campagne (la cosiddetta grande paura),l'Assemblea prender tre decisioni fondamentali:

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    - l'abolizione di tutti i privilegi feudali (decime, annate2,franchigie ecclesiastiche in materia d'imposte, diritti si-gnorili, ecc.);

    - la nazionalizzazione delle propriet immobiliari dellachiesa (terre, foreste, beni derivanti da fondazioni, o-spedali, scuole ecc.);

    - il sostentamento del clero da parte dello Stato per l'e-sercizio del ministero. Provvedimenti, questi, assolu-tamente rivoluzionari rispetto all'epoca in cui venneroadottati.Il primo provvedimento incontr il consenso di tutti i

    cittadini e di tutti i cattolici non privilegiati, cio della stra-grande maggioranza della nazione. Anche molti vescovi vi ac-consentirono: un po' per convinzione, un po' perch impauritidall'assalto della Bastiglia. Si noti, in questo senso, come lastoriografia cattolica, messa alle strette, si faccia vanto del fat-to che le teorie che la rivoluzione francese ha cercato di met-tere in pratica nei confronti della chiesa e della religione non

    sono nate nel cervello di uomini di Stato, bens di uomini dichiesa, di teologi (cfr L. Rogier e altri, che ovviamente dannoun giudizio molto pesante su questi ecclesiastici, inNuova sto-ria della chiesa, ed. Marietti 1976). Ci tuttavia non dimostrala superiorit della religione in generale o del cattolicesimo inparticolare, quanto semmai la dipendenza dell'ideologia reli-giosa dalle concrete esigenze degli uomini, morali e materiali,nonch dall'evoluzione dominante del pensiero laico progressi-

    sta.Il secondo provvedimento - resosi necessario a causa

    della crescente crisi finanziaria, dovuta all'impossibilit di ri-scuotere le tasse dopo i disordini di luglio - venne naturalmen-te accettato con molte riserve, ma grazie alla mediazione delvescovo di Autun, Talleyrand - che Dansette, con molta super-ficialit e pregiudizio, qualifica come il pi empio, il pi cor-

    2 La soppressione delle annate fu proposta dall'abate Grgoire.

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    rotto, il pi cinico fra tutti quelli dell'antico regime - si riusci-rono ad ottenere 568 voti contro 346.

    A tale proposito ci pare alquanto riduttivo sostenere che

    l'Assemblea era assillata dallo spettro del fallimento pi chedall'ideale della laicizzazione (vedi l'opera citata dello Jedin).Se gli ideali vengono realizzati dietro la spinta di esigenzeconcrete, ci non significa ch'essi siano poco importanti o pocosentiti dagli uomini che li manifestano. Il fatto che per realiz-zare determinati ideali rivoluzionari (e questo della confiscaera avvertito in Francia ben prima dell'89) occorre la volont ela partecipazione democratica delle masse. Altrimenti gli ideali

    sono soltanto, nel migliore dei casi, il frutto della elaborazioneteorica di qualche intellettuale progressista, cio un'utopia.Non forse significativo che nell'Assemblea la proposta dellaconfisca sia stata avanzata da nobili di idee liberali, e che i ve-scovi non abbiano fatto alcun obbligo di coscienza ai fedeli diopporvisi, e che persino i semplici sacerdoti si siano sentiti indovere di rinunciare ai loro diritti casuali o di stola? Se non

    fosse esistito un forte movimento spontaneo di protesta, pro-trattosi per anni e anni, avrebbero gli ordini al potere rinuncia-to con cos relativa facilit ai loro privilegi e immunit?

    Il terzo provvedimento rappresentava la contropartitaall'incorporazione coatta delle propriet ecclesiastiche. Soste-nuto dalla stragrande maggioranza del basso clero, che cos po-teva percepire un reddito di molto superiore a quello pre-rivoluzionario, il compromesso trovava consenzienti anche le

    frange meno conservatrici dell'alto clero, le quali in ogni casoriuscivano ad ottenere che il cattolicesimo, pur nel riconosci-mento giuridico della libert di religione, sancito dallaDichia-razione dei diritti dell'uomo e del cittadino (votata il 26 ago-sto), costituisse l'unica religione i cui ministri erano stipendiatidallo Stato. Dal canto suo quest'ultimo s'incaricava di provve-dere all'assistenza dei poveri, degli ammalati e all'insegnamen-to (ivi incluso il sostegno finanziario a quello dei seminari dio-cesani).

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    A ben guardare per lo Stato non trasse un vero van-taggio economico da questa nazionalizzazione, a motivo delfatto che l'immissione contemporanea sul mercato di una cos

    grande quantit di terre ne fece rapidamente precipitare il valo-re. Correlato a questo fatto l'altro, quello degli assegnati:una sorta di buoni del tesoro il cui valore - secondo il gover-no - doveva essere equivalente a quello delle propriet eccle-siastiche confiscate. In pratica lo Stato li emise fingendo di a-ver gi incamerato l'importo complessivo delle terre: il chepresupponeva, ovviamente, un reciproco rapporto di fiducia tracittadini e Stato.

    Tuttavia, essendo una cartamoneta convertibile solo interre a un tasso del 5%, il suo abuso port subito a una violentainflazione, al punto che il prezzo del pane aument di millevolte in quattro anni! Nel contempo per l'operazione fece ot-tenere al governo un vantaggio politico: borghesi e contadini,indipendentemente dai loro sentimenti religiosi - come vuoleDansette -, diventarono alleati della rivoluzione: e reagiranno

    contro tutti i tentativi di ritorno al passato che potessero com-promettere i loro interessi (naturalmente col termine conta-dini va qui intesa la borghesia rurale). La vendita dei cosid-detti beni neri finir solo alla vigilia del Concordato del1801.

    Altri decreti molto importanti furono quello emanato il22 dicembre 1789, col quale si secolarizz la direzione genera-le dell'insegnamento, togliendo ai vescovi, per affidarla alle

    amministrazioni dipartimentali, la sorveglianza dell'educazionepubblica; nonch quello del 24 settembre 1789, col quale siammisero ai pubblici uffici tutti i protestanti. Due anni dopoquest'ultimo provvedimento venne esteso anche agli ebrei. Afavore dell'emancipazione politico-giuridica degli ebrei s'im-pegn assiduamente l'abb Grgoire (cfr. il Saggio sulla rige-nerazione fisica, morale e politica degli ebrei, 1788)

    Si detto della Dichiarazione dei diritti. L'art. 10 pre-vedeva la piena libert di religione (non per anche quella

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    dalla religione). Il decreto del 13 aprile 1790 che definisce ilcriterio interpretativo del suddetto art. 10, precisa che l'Assem-blea nazionale non poteva riconoscere esplicitamente il cattoli-

    cesimo come religione della nazione e il suo culto come ilsolo culto pubblico autorizzato, per quanto - si aggiunge - ladevozione dell'Assemblea a tale culto non pu essere messain dubbio, dal momento in cui questo culto sta per diventare ilpi rilevante capitolo della spesa pubblica. In pratica il legi-slatore, subito dopo aver messo sullo stesso piano giuridicotutte le religioni, le distingue su quello politico.

    Questa ambiguit, tipica dell'ideologia borghese, sar

    alla fonte di tutte le future contraddizioni nel rapporto fra Statoe chiesa: non solo perch la rivoluzione trover sempre gran-dissima difficolt ad affermare un proprio carattere laico e a-confessionale, ma anche perch i cattolici faranno di tutto pernon perdere quei pochi privilegi che l'Assemblea aveva loro inun primo momento concesso.

    Va detto tuttavia, con A. Soboul, che i costituenti, quali

    rappresentanti della nazione, si ritenevano autorizzati a rifor-mare in modo democratico la chiesa e non pensavano a co-struire un regime di separazione vero e proprio, che in quelmomento sarebbe apparso come un'idea blasfema e anticristia-na. Tanto vero che nella commissione per redigere la Costi-tuzione e la Dichiarazione dei diritti erano presenti non pochiprelati: dagli abati Sieys e Grgoire ai vescovi Talleyrand, deLubersac, de la Luzerne, ecc. Resta comunque significativo

    che, nonostante una semplice allusione all'Essere supremo, nonsi faccia alcun riferimento, nel preambolo della Dichiarazione,ai diritti di dio. Lo storico Mathiez l'ha giustamente sottoli-neato dicendo: I principi del 1789 si presentano come un cor-po di dottrina autosufficiente, che trae il proprio valore dall'e-videnza razionale e non dalla rivelazione. Cos l'umanit ponese stessa come suo proprio dio.

    Il desiderio di riformare il cristianesimo spiega anchela decisione di sospendere l'emissione dei voti (giudicati con-

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    trari ai diritti umani) in tutti i monasteri, nonch quella del 13febbraio 1790 di sopprimere tutti gli ordini che pronunciavanovoti solenni. Sin dall'inizio la rivoluzione si caratterizzer per

    un marcato accento confessionale, che si presumeva alterna-tivo all'ideologia cattolica ufficiale. Non voleva certo essereuna rivoluzione anticristiana o antireligiosa, ma anticlericale s.Una cosa infatti l'esproprio dei beni del clero, secolare e re-golare, un'altra la soppressione d'ufficio dei voti e degli stessiordini: qui l'ingerenza netta. Evidentemente il governo, fortedell'ostilit cui i regolari erano oggetto da parte del laicato cat-tolico, ritenne opportuno colpire questa categoria di agiati ec-

    clesiastici sul piano sia economico che politico, impedendo ilformarsi di trame e collegamenti nazionali ed europei di tipoeversivo (gli ordini regolari facilmente si prestavano a questoutilizzo; forte peraltro era il loro legame con la curia romana).Ci non toglie tuttavia la particolare drasticit del provvedi-mento, sebbene sulle prime venissero risparmiati gli ordinifemminili e gli istituti maschili esercitanti attivit ospedaliera

    e/o scolastica.In altre parole, si sarebbe dovuto puntare su una lenta egraduale estinzione degli ordini, prescindendo da pressioniamministrative, che spesso rischiano di sortire l'effetto contra-rio o di costituire un pericoloso precedente per ulteriori vessa-zioni. N serve, a titolo di giustificazione del provvedimento,sottolineare il fatto che la fine del valore legale dei voti noncomport praticamente alcuna resistenza, determinando anzi il

    subitaneo spopolamento della maggior parte dei monasteri (aParigi ad es. i religiosi favorevoli alla secolarizzazione rag-giungevano il 48%). Qui ha ragione il Dansette, quando affer-ma che l'Assemblea impediva ai monaci di restare nei conventicos come il re ne sbarrava le porte impedendo loro d'uscir-ne. Va poi detto, in definitiva, che l'Assemblea, con tale prov-vedimento, non pot vantare alcuna particolare coerenza. Essainfatti volle assicurare a quegli ex-monaci ricondotti allo statocivile, che avevano rifiutato di continuare la vita monastica in

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    conventi appositamente adibiti, una sorta di pensione statale,come indennizzo per l'esproprio causato. Col che, in pratica, sipermetteva loro di continuare a fare quello che avevano sem-

    pre fatto, cio i rentiers.

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    Le vicende legate alla Costituzione civile del clero

    Poco tempo dopo la soppressione degli ordini religiosi,a conferma che il governo rivoluzionario era intenzionato aservirsi della religione come prima se ne serviva l'ancien rgi-me, cio per confermare il sistema politico vigente, si obbliga-rono tutti i preti a leggere e commentare dai pulpiti delle lorochiese le decisioni della Costituente. Cosa che venne fatta, adire il vero, senza troppe difficolt. Anzi, nel Midi il problema

    che il governo doveva affrontare era l'opposto, ovvero quellodi come impedire ai preti cattolici di considerarsi gli unici au-torizzati a svolgere tale propaganda. L'Assemblea infatti si eragi espressa a favore della libert di culto e cercava di non di-scriminare ugonotti ed ebrei.

    Conformemente allo spirito democratico della Dichia-razione dei diritti dell'uomo e alle molte misure politico-

    giuridiche prese dall'Assemblea, si approv nell'estate del '90l'importantissima Costituzione civile del clero, con la quale, inaperta violazione del Concordato del 1516:

    - si riorganizzava la distribuzione geografica delle dioce-si e delle parrocchie, facendole coincidere con le nuovecircoscrizioni amministrative (il loro numero ovvia-mente diminuiva di parecchio, tanto che d'ora in poitutti i vescovi della nazione vengono posti sotto l'auto-

    rit di 10 metropoliti e il numero massimo di fedeli percostituire una parrocchia diventa di 6.000);

    - si regolamentava il trattamento economico degli eccle-siastici, che diventano cos funzionari stipendiati dalloStato, tenuti a esercitare il ministero gratuitamente (quigli uffici riconosciuti sono solo sette: metropolita, ve-scovo, parroco e quattro tipi di vicari);

    - infine si stabiliva il nuovo sistema di elezione popolaredei vescovi e dei sacerdoti, accogliendo le richieste del

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    partito gallicano-giansenista di eleggere vescovi e par-roci, rispettivamente, da assemblee dipartimentali e di-strettuali, composte da cittadini attivi (inclusi ebrei e

    protestanti) che pagavano tasse pari a dieci giorni di la-voro. Poteva essere eletto vescovo solo chi avesse eser-citato il ministero pastorale per quindici anni entro iconfini della diocesi, parroco chi l'aveva svolto per al-meno cinque anni.In sostanza i vescovi dovevano ricevere l'istituzione

    canonica dal metropolita del loro dipartimento (se il metropoli-ta mancava era sufficiente il vescovo pi anziano, se era con-

    trario si poteva ricorrere a due notai). Al papa si riconosceva ilsemplice diritto dessere informato della nuova elezione. I ve-scovi erano altres obbligati a risiedere in diocesi e i loro attidiventavano legittimi solo se suffragati dal consenso del consi-glio episcopale, ordinario e permanente, formato dai rappre-sentanti dei parroci (quest'ultimi potevano scegliere i loro vica-ri sulla base di una lista ammessa dal vescovo).

    Come si pu notare, il tentativo era quello di democra-tizzare la vita della chiesa cattolica, prendendo come modelliampi aspetti delle confessioni protestante, anglicana e ortodos-sa. In ci vi era pure l'ambizione di riportare il cattolicesimofrancese alle origini del cristianesimo, cio al tempo in cui lavita religiosa ruotava attorno alla figura del vescovo, la cuicredibilit e legittimit dipendeva sempre e comunque ex con-sensu ecclesiae, mentre a livello nazionale il metropolita svol-

    geva funzioni di indirizzo e coordinamento, senza pretenderealcun riconoscimento giurisdizionale particolare. Una struttu-razione ecclesiastica assai somigliante a quella ortodossa esteuropea, che certo molto pi della cattolica era rimasta legataall'ideale di cristianit dei Padri. Spinte insomma da idee gian-seniste (cio antipapali), da idee presbiteriane (cio antiepisco-pali) e da idee richeriste, tendenti a porre il potere ecclesiasticosotto il controllo di quello politico, le forze gallicane - rappre-sentate da avvocati e giuristi di fama, come Treilhard, Lanjui-

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    nais, Martineau, Durand de Maillane - cercarono di superare ilConcordato del 1516, prospettando una chiesa nazionale indi-pendente da Roma e altrettanto vincolata allo Stato francese.

    L'Assemblea nazionale promulg la Costituzione dopoaver ascoltato il rapporto del comitato ecclesiastico, ma que-st'ultimo forse non avrebbe approvato il progetto cos in frettase l'Assemblea stessa, in un secondo momento, non l'avessecostretto ad accettare una quindicina di riformatori convinti.L'art. su cui il dissenso era molto forte riguardava appuntoquello del conferimento delle cariche. L'alto clero, ritenendosiun corpo politico, non voleva perdere i suoi legami internazio-

    nali con lo Stato pontificio, soprattutto in considerazione delfatto ch'esso, nella sua grande maggioranza, s'era piegato alleesigenze della rivoluzione pi che altro per necessit e quietovivere.

    Guidati da Boisgelin, arcivescovo d'Aix, 30 dei 32 ve-scovi deputati all'Assemblea (i dissenzienti erano Talleyrand eGobel), decisero di pubblicare una Esposizione dei principi

    sulla Costituzione civile del clero, in cui protestavano controuna modifica dello statuto della chiesa cattolica, avvenuta sen-za negoziato con il papato o per lo meno senza la possibilit diconvocare i sinodi provinciali, se non addirittura un concilionazionale. Dopo qualche settimana i vescovi firmatari eranodiventati 93. Il polemista Barruel aveva consigliato, ma inva-no, un compromesso: che il papa potesse delegare ai metropo-liti il diritto di confermare i vescovi. Questo per lui significava

    battezzare la Costituzione del clero.La rivendicazione dell'episcopato a una piena autono-

    mia disciplinare era senz'altro giustificata, anche perch essoaveva esplicitamente dichiarato che l'opposizione alla granderiforma non implicava quella alla rivoluzione. Ma la Costituen-te, limitata da scelte di natura classista, in quanto prevalen-temente composta da ceti borghesi, non voleva sentir parlare diconcilio nazionale. In gioco non era soltanto l'esigenza del go-verno di controllare gli effetti politici di determinate decisioni

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    innovative prese in materia di religione, ma anche l'esigenza diindirizzare tali decisioni verso un certo modo di concepire evivere la religione.

    In altre parole, l'Assemblea rifiut l'idea di convocareun concilio non solo perch temeva che questo venisse stru-mentalizzato per fini eversivi e destabilizzanti (il che per nongiustificava il rifiuto), ma anche perch voleva essere sicurache i cattolici fossero dalla sua parte, anche a costo d'intromet-tersi nella loro vita ecclesiale (il che, come noto, crea sempreeffetti opposti a quelli desiderati). La Costituzione del clero -dir J. Jaurs - laicizzava la chiesa stessa e mai l'Assemblea

    avrebbe permesso che il clero si ricostituisse come ordine. Laconvinzione che l'ideale democratico-religioso fosse giusto ap-pariva come un motivo sufficiente per imporlo, senza com-promesso alcuno, anche a chi la pensava in modo completa-mente diverso.

    Sperare poi che il pontefice approvasse una riforma delgenere pare troppo assurdo per credere che fosse davvero que-

    sta l'intenzione dei costituenti. Pio VI aveva gi condannato,seppure ufficiosamente, sia la proibizione dei voti monasticiche laDichiarazione dei diritti dell'uomo. Il governo aveva inrealt bisogno di un pretesto per giustificare la necessit di unadittatura democratico-borghese, sul modello, gi collaudato,della monarchia inglese che, ai tempi dei Tudor, si era servitadella mancata ratifica papale al divorzio di Enrico VIII da Ca-terina d'Aragona per imporre a Roma lo scisma. L'esigenza di

    una dittatura borghese dipendeva appunto dal fatto che il popo-lo, e cio i contadini, gli operai, gli artigiani e i piccoli proprie-tari, gi rimasto deluso dalla natura antidemocratica di talunerisoluzioni della Costituente (negli anni 1789-91 l'Assembleaapprov anche delle leggi per reprimere gli scioperi e le rivoltepopolari - vedi quella Le Chapelier), tendeva ad appoggiarecon minor entusiasmo il governo al potere.

    Di fronte al temporeggiare calcolato del papa, che si eralimitato a brevi indirizzati al re e ai prelati contro la Costitu-

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    zione civile, in quanto sperava che la monarchia riprendesse leredini del paese o che fosse comunque una grande maggioran-za del clero a chiedergli d'intervenire pubblicamente (a ci va

    aggiunta la paura di ripetere, mutatis mutandis, la rottura an-glicana e di perdere Avignone e il contado Venassino, i cui cit-tadini reclamavano l'annessione alla Francia) - di fronte dun-que a questo atteggiamento, l'Assemblea, esasperata dalla resi-stenza che avvertiva da parte del clero pi conservatore, prete-se, aggiungendo errore a errore, l'applicazione per legge dellaCostituzione del clero, cui il re, forzatamente, aveva dato ilconsenso. E siccome le proteste non mancarono (a Nimes 300

    morti in sanguinosi incidenti!), essa impose a tutti gli ecclesia-stici funzionari un giuramento di fedelt alla nazione, al re ealla legge, pena l'interdizione dagli uffici o la privazione dellostipendio (nel senso cio che quanti vi si fossero opposti sa-rebbero stati sostituiti e nel peggiore dei casi considerati deisovversivi). Anche Talleyrand, nelle sue Memorie, ammise ilgrave errore politico di questa decisione.

    Il risultato fu assai deludente per i rivoluzionari: i 2/3degli ecclesiastici deputati alla Costituente, tutti i vescovi, ec-cetto sette (fra questi Talleyrand e Lomnie de Brienne), non-ch la met del clero parrocchiale rifiutarono di prestare il giu-ramento. Come mai solo la met dei sacerdoti lo spiega il Dan-sette, sottolineando che le eccessive preoccupazioni terrene,l'abbandono delle virt cristiane, tolsero ogni valore esemplareall'opposizione dell'episcopato: il basso clero, specie quello

    urbano, si sent di agire diversamente.Lo scisma tuttavia era scoppiato e la guerra civile per

    motivi religiosi era alle porte. Ora i partiti cattolici su posizionicontrapposte erano due: quello costituzionale (o giurato) equello refrattario. Con quest'ultimo la storiografia marxista non mai stata molto tenera, ma qui bisogna fare dei distinguo.Che i refrattari, ancora prima della Costituzione civile, avesse-ro tenuto, nel complesso, un comportamento ambiguo, benchnon dichiaratamente ostile, nei confronti della rivoluzione,

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    fuor di dubbio. Ed altres pacifico che la loro decisione di ri-fiutare la riforma democratica della chiesa esprimeva una ten-denza conservatrice di tipo integralistico, cio di dominio

    politico della religione - checch ne pensi la storiografia catto-lica, per la quale se tra i costituzionali ci furono dei buonipreti, nel campo refrattario furono tutti eccellenti (come diceRops. Da noi Vittorio Messori ha avuto il coraggio di parlaredi farsa della Bastiglia, di rivoluzione come di un mix diridicolo e di orrore, paragonando il popolo vero al popolodella controrivoluzione!).

    Per anche vero che il modo in cui il governo cerc di

    varare la riforma non poteva favorire il consenso di quei citta-dini-cattolici ancora incerti sulla gestione rivoluzionaria del-l'89. I quali, proprio per questo, avrebbero facilmente potutoporre delle obiezioni sulle questioni non tanto di merito quantodi metodo. Certo, non nel senso che potevano avanzare dellemotivazioni per respingere lo strumento in s di una Costitu- zione civile del clero (tale sensibilit allora mancava), ma

    nel senso che potevano rifiutare che una riforma cos radicaledella chiesa avvenisse senza una preventiva consultazione del-la base.

    Come noto, il legislatore costituzionale si difese daqueste accuse sostenendo che il testo, essendo appunto civi-le, non aveva carattere antidogmatico. In teoria era senz'al-tro cos, di fatto per la modifica dell'istituzione canonica delclero contraddiceva a norme amministrative fondamentali della

    chiesa romana, acquisite da secoli, sebbene si potessero trovareampie e documentate conferme nella tradizione dei Padri, nellachiesa ortodossa3 e negli stessi paesi della Riforma. Il neo-eletto vescovo A. Lamourette scrisse che l'essere chiamati dai

    3 Quanto forti fossero avvertiti, nell'ambito ecclesiale pi progressista, irapporti fra cattolicesimo e ortodossia, lo attestano due importanti contribu-ti di Grgoire, assai poco noti al pubblico italiano: Progetto di una riunifi-

    cazione della chiesa russa con la chiesa latina (1799) e Memorandum suimezzi per giungere alla riunione delle chiese greca e latina (1814).

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    suffragi del popolo, come nei primi tempi del cristianesimo, aesercitare il sacro ministero... era cosa onorevole e vantaggiosaper un pastore della chiesa. L'Assemblea in sostanza, se pote-

    va aver ragione a livello ideologico (compatibilmente alle esi-genze e alle possibilit di quei tempi), aveva per torto a livel-lo politico; e il fatto che i refrattari fruissero di cos vasti ap-poggi popolari, stava appunto a dimostrare che la direzioneclassista della rivoluzione non rispondeva in modo adeguatoagli interessi delle masse.

    L'Assemblea chiese al clero il giuramento di fedelt il27 novembre 1790. I primi vescovi a farlo furono Grgoire,

    Talleyrand e Gobel. Molti parroci refrattari cominciarono adessere sostituiti da vicari in cerca di parrocchia, da ex-religiosi,da seminaristi giovanissimi o da vecchi preti che, disposti agiurare, venivano eletti col suffragio popolare. La chiesa giura-ta prese cos a organizzarsi, pur fra mille difficolt e resistenze,che misero a disagio un'Assemblea incerta sul da farsi. A giu-rare fu quasi il 60% di coloro che erano tenuti a farlo: a Parigi

    fu la stragrande maggioranza. Talleyrand, per togliere alla cu-ria romana il pretesto di accusare il clero costituzionale d'essercaduto nell'eresia presbiteriana (che affida al consiglio dei pretil'amministrazione di tutta la chiesa), decise di consacrare duevescovi. Gobel, divenuto arcivescovo di Parigi, lo imita ordi-nandone altri 36. La rapidit di queste sostituzioni si spiegaanche con la bassa considerazione in cui il gallicanesimo tene-va il papato.

    solo a questo punto che Pio VI rende pubblica la suacondanna della Costituzione civile del clero. Prima di farlo, na-turalmente, chiede ai vescovi refrattari di avanzare una formalerichiesta d'intervento, affinch dimostrino la loro subordina-zione alla Santa sede. E cos con il breve Caritas interdice aivescovi di nuova nomina l'esercizio del ministero e minaccia discomunica tutti i preti costituzionali che non avessero ritrattatoil giuramento entro 40 giorni. Poi con il breve Quod aliquan-tum attacca direttamente la Costituzione del clero, facendo il

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    punto sull'opinione della chiesa ufficiale in merito a tutta l'e-sperienza rivoluzionaria francese.

    Senza alcuna possibilit di appello (dall'inizio alla fine

    - sono le sue parole testuali - non vi si trova nulla che non siapericoloso e condannabile), il pontefice rifiuta praticamentetutto: la libert di religione, l'uguaglianza degli uomini, l'aboli-zione della primazia e giurisdizione della Santa sede, il poteredei sinodi locali sui vescovi, lo stipendio statale per il clero,l'esproprio dei beni, la soppressione degli ordini e dei voti.Non accetta neppure il potere dell'Assemblea sui vescovi, asse-rendo che lo scopo della rivoluzione era quello di annientare

    la religione cattolica e con essa l'obbedienza dovuta ai re (inrealt la Costituzione del clero toccava solo un aspetto vera-mente spinoso per i cattolici francesi: ilprimato del papa. Chepoi questo principio sia stato usato dai conservatori per moti-vazioni tutt'altro che ideali, questo un altro discorso).

    Pio VI paragona inoltre l'Assemblea ai valdesi, ai be-gardi, ai seguaci di Wycliffe, a Lutero e Calvino, a Marsilio da

    Padova e Jean de Jandun, ovvero ai peggiori eretici e sci-smatici degli ultimi secoli. Naturalmente conferma in toto ilConcordato del 1516, anche se, in via diplomatica, per nonrompere i rapporti con la monarchia, afferma di condividerealcune cose del nuovo regime stabilitosi in Francia. Di fattoper egli rivolger insistenti appelli alle potenze cattoliche eu-ropee nonch a Caterina II di Russia e a Giorgio III d'Inghilter-ra perch venissero in aiuto del re francese contro i suoi stessi

    sudditi e perch alla Santa sede venissero restituiti Avignone eil contado Venassino.

    Ora, chiunque si rende conto che in tali condizioni dia-logo proprio non poteva esserci, n poteva esistere per la chie-sa gallicana (giurata o refrattaria qui non importa) la possibilitdi rivedere anche uno solo degli articoli del Concordato del1516. La lezione della Germania, dell'Inghilterra e di tutti glialtri Paesi protestanti era sufficiente per impedire qualunquetrattativa, per cui la posizione del pontefice si poteva riassume-

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    re in questa paternalistica offerta: per calmare e moderare ilTerzo stato, abbiamo ordinato di sospendere l'esazione delletasse. Ma subito dopo egli precisa, risentito: Questa nostra

    generosit stata ripagata dall'ingratitudine.Al di fuori di questo breve, il papa, per bocca del se-gretario di stato, card. Zelada, rifiut anche l'idea dell'arcive-scovo refrattario moderato, Boisgelin, di attribuire ad un conci-lio della chiesa gallicana il diritto di giudicare sul conferimentoo ritiro dell'istituzione canonica. Col che egli dimostrava dinon avere alcuna intenzione di avallare le classiche tesi delgallicanesimo, secondo cui l'ultima vera istanza della chiesa

    risiede nel concilio ecumenico, mentre la giurisdizione spiri-tuale e pastorale dei vescovi proviene direttamente da Cristo enon dal papa.

    Dal canto suo l'Assemblea, invece di far leva, adeguan-do il proprio comportamento, sugli ideali di uguaglianza e digiustizia che il basso clero e il laicato cattolico manifestavano,invitandoli, senza forzarne la volont, a rendersi consapevoli

    che il pontefice e tutta la curia romana avevano attaccato nonsolo la Costituzione del clero ma anche la Dichiarazione deidiritti umani; invece di approfittare di questa mossa sbagliatadella Santa sede prospettando l'ipotesi di poter indire un conci-lio nazionale per discutere la ratifica della Costituzione, prefe-risce decretare, incurante delle proteste dei costituzionali, lalibert di culto, seppure in edifici privati, per i preti refrattari. Iquali, accortisi della debolezza del governo, organizzano subi-

    to varie iniziative sovversive. Sicch nella prima met del1792 l'Assemblea si trover brutalmente sospinta dalla forzadegli eventi verso una strada senza uscita: sia che si proseguasulla linea scismatica, sia che si cerchi un compromesso con loStato pontificio, il rischio sempre quello di veder minacciatio comunque fortemente rallentati i progressi della rivoluzione.

    Una soluzione veniva offerta da coloro che propende-vano per l'istituzione di un culto civico, come poi si far, maper il momento l'inizio della guerra con l'Austria e la Prussia, e

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    soprattutto il rovesciamento della monarchia non potevanoportare - a giudizio dell'Assemblea - che all'adozione di metodidrastici e coercitivi. Poich la guerra esterna e la guerra civile

    continuavano - dir con acume Soboul - e la borghesia rifiuta-va l'appoggio popolare per timore della democrazia sociale,una necessit ineluttabile portava la Repubblica dei proprietaria rafforzare a poco a poco, dietro la facciata liberale, i poteridell'esecutivo (inLa rivoluzione francese, ed. Newton).

    Naturalmente la storiografia cattolica ha tutto l'interessead affermare che la maggioranza dei vescovi e gran parte deipreti ritenne inaccettabile la Costituzione civile, in quanto essa

    misconosceva l'autorit del papa sui vescovi e sulle chiese lo-cali (cos ad es. J. Comby in Concilium, n. 1/1989). In real-t il misconoscimento fu solo un pretesto e i costituenti loavvertirono come tale. La vera causa del rifiuto va invece vistanel fatto che la radicale riforma della chiesa non passava per iltramite del collegio episcopale, come per tradizione ci si dove-va aspettare, ma piuttosto per quello dell'intellighenzia laica

    progressista, pi o meno credente e praticante, cui volentieri siassociarono i prelati di vedute lungimiranti.In un primo momento, infatti, i vescovi refrattari, pur

    opponendosi alla riforma, non condivisero minimamente la li-nea papale di condanna senza appello della Dichiarazione deidiritti. Proprio per questo motivo la vera differenza fra l'altoclero conservatore e quello democratico non stava - come vuo-le P. Eicher (in Concilium, cit.) - semplicemente nel fatto

    che quest'ultimo era convinto di poter conciliare le funzionidella chiesa con le libert fondate sui diritti dell'uomo, o nelfatto di aver scelto la repubblica in luogo della monarchia. Ladifferenza non stava tanto in astratte considerazioni filosoficheo giuridiche, quanto piuttosto nell'esigenza di salvaguardare undeterminato potere politico ed economico.

    I conservatori erano favorevoli pi che a una Costitu- zione civile del clero a una Costituzione clericale delloStato: nel senso cio che il potere civile avrebbe dovuto am-

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    mettere, specie nelle questioni morali o di principio, una strettasubordinazione del trono all'altare, o comunque della rivolu-zione alla religione. Quando poi i vescovi giurati, spogliati del

    loro potere economico, si accorgeranno che la repubblica pote-va benissimo fare a meno di loro, in quanto non si riconoscevaalla chiesa cattolica (romana e gallicana) alcun vero ruolo poli-tico-ideale, il passaggio nelle file dei conservatori per molti di-verr automatico. La compatibilit con i principi rivoluzionarinon avrebbe certo potuto implicare, per costoro, la fine delprotagonismo politico del cattolicesimo.

    Anche un intelligente vescovo come Grgoire risent di

    questa limitata impostazione del problema. La sua speranza erache si formasse un cittadino nel contempo democratico di fron-te allo Stato e credente di fronte alla chiesa. Ma quando si ren-der conto che per la rivoluzione le due identit potevano an-che marciare separate, in quanto la fede - essa diceva - appar-tiene, nel migliore dei casi, alle mere opzioni di coscienza, lasua posizione muter colore, bench sempre nei limiti della le-

    galit.

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    Il 10 agosto e la scristianizzazione

    Caduto il trono, sembrava che l'ora del Quarto stato,cio dei sanculotti, fosse giunta. Ma il potere restava nelle ma-ni di un partito della borghesia agiata: i girondini. Di fronte al-la minaccia di un'occupazione straniera, di fronte alla possibili-t concreta di costringere la borghesia ad accettare riforme piradicali e pi coerenti con gli ideali rivoluzionari, qualsiasitentativo di sottrarsi al proprio dovere di patriota e di cittadino

    democratico rischiava di passare per un atto controrivoluziona-rio. Se prima del 10 agosto 1792 l'atteggiamento del clero re-frattario poteva in qualche modo essere giustificato, ora nonpu pi esserlo. Gli stessi foglianti, che in parlamento rappre-sentano la destra, rivendicano la pace religiosa pi che altrocon intenti restaurativi.

    Gi il 17 ottobre 1791 l'Assemblea legislativa aveva

    deciso di chiudere le due grandi scuole di teologia, il collegiodi Navarra e la Sorbona, i cui maestri, a maggioranza, avevanorifiutato il giuramento. Fouchet, vescovo costituzionale, richie-se la soppressione di qualsiasi pensione e di qualsiasi tratta-mento economico per tutti i preti ostili al giuramento. Il 29 no-vembre l'Assemblea era stata costretta ad adottare misure d'ur-genza per reprimere i tumulti provocati dai refrattari nei dipar-timenti dell'ovest (ad Avignone era stato ucciso un rivoluzio-

    nario). Il decreto, cui il re oppose il veto, esigeva da tutti i pretiun nuovo giuramento civico: in caso contrario sarebbero statiritenuti sospetti di rivolta contro la legge e di ribellione allapatria.

    Era infatti inevitabile che il pericolo proveniente dalleregioni di frontiera portasse a supporre rapporti di collusionedei preti refrattari con la reazione europea, e le prove nonmancavano. Quando poi la guerra con l'Austria evidenzi in unprimo momento i forti limiti dell'esercito francese, immedia-

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    tamente venne lanciata l'accusa di tradimento. Si diffuse cosla voce che i refrattari, pur non parlando pubblicamente controla Costituzione, lo facessero in privato, servendosi del confes-

    sionale: la propaganda di quest'ultimi, svolta soprattutto tra lefamiglie contadine, si serviva dell'idea che i preti giurati eranoscismatici, per cui i loro sacramenti non erano validi. La con-seguenza fu che il 27 maggio 1792 l'Assemblea, che da Costi-tuente s'era trasformata in Legislativa, autorizz i direttori di-partimentali a deportare in Guyana, su domanda di 20 cittadiniattivi o in seguito a una denuncia, ogni prete che non avessegiurato la Costituzione civile. Un provvedimento davvero pe-

    sante: chi pi lo pretese, tra i vescovi presenti in aula, fu Clau-de Fouchet.

    Dopo il crollo della monarchia, il 10 agosto, le repres-sioni si diffusero a macchia d'olio. Il 16 agosto, la Comune in-surrezionale di Parigi (l'organo che determin, in ultima istan-za, la deposizione del re) proib le processioni e ogni esterioritdi culto. Il 18 vengono sciolte le congregazioni maschili e

    femminili socialmente utili, che la Costituente aveva rispar-miato, e si rinnova al clero il divieto di portare l'abito talare aldi fuori dell'esercizio ministeriale. Il 26 l'Assemblea d 15giorni di tempo ai refrattari per abbandonare la Francia, mi-nacciandoli di deportazione. Danton sostiene la necessit diadottare il sistema delle visite domiciliari per requisire learmi e arrestare i traditori, preti o nobili che siano. Il 2 settem-bre, nel timore che i traditori della patria possano organizza-

    re - e gi lo vanno facendo - una rivolta carceraria, approfit-tando della crisi generale della rivoluzione e in particolare del-la presenza prussiana a Verdun, vengono giustiziate circa1.400 persone, fra cui pi di 200 preti4.

    4 Di queste vittime, molte delle quali avevano preannunciato il replay della

    notte di s. Bartolomeo contro i rivoluzionari, 121 sono state beatificate nel1926.

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    Il 20 settembre la Convenzione, succeduta a un'Assem-blea legislativa screditatasi con i tragici fatti del Campo diMarte, sancisce per le municipalit, dopo aver decretato la Re-

    pubblica, la laicizzazione dello stato civile e il divieto per i sa-cerdoti di tenere qualunque registro: battesimi, matrimoni e fu-nerali religiosi non avrebbero pi avuto alcun valore legale.Questa la prima vera tappa sulla via della separazione fra Statoe chiesa. Nello stesso giorno venne istituito il divorzio.

    Per le esigenze della guerra si cominciarono a requisirele campane e le argenterie delle chiese anche ai preti costitu-zionali, i quali chiedendo di evitare una rigorosa applicazione

    della legge contro i refrattari e simpatizzando spesso per il fe-deralismo, rischiavano di perdere le simpatie dei repubblicani.Significativa, a tale proposito, una lettera del vescovo giuratoCh. de la Font de Savine, indirizzata ai ministro dell'Interno,Roland, ove si manifesta l'idea, assai lungimirante, che anchela Costituzione civile del clero sta per finire.

    evidente che lo Stato, come conseguenza necessaria

    dei suoi principi, diventer del tutto estraneo alle cose della re-ligione; che lo stipendio attribuito ai ministri cattolici sar con-siderato nient'altro che la corresponsione di una pensione e unindennizzo simbolico dei beni che possedevano; che le leggi ditolleranza totale sono incompatibili col privilegio di una spesapubblica accordata esclusivamente ad una confessione, coscome non avr senso una regolamentazione della gerarchia de-terminata dalle leggi.

    La Convenzione abrogher inevitabilmente questa Co-stituzione. Di qui la richiesta di non punire i vescovi che nonl'avevano accettata. Ma il ministro dell'Interno non poteva, do-po il 10 agosto, permettersi il lusso di entrare nel merito diqueste pur giuste osservazioni, per cui intim al vescovo, conuna risposta molto secca e burocratica, di continuare a vigilaresull'applicazione della legge. In pratica la chiesa costituzionaleera diventata una mera appendice funzionale dello Stato. Essa

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    stessa, d'altra parte, aveva contribuito a questa sua progressivainvoluzione ostacolando la laicizzazione della societ civile.

    Impossibilitati a ottenere con la forza dei decreti una

    chiesa fedele a uno Stato progressista, i costituenti cercavanoora di costringerla con la forza delle armi. 30.000 ecclesiasticiscelsero la strada dell'emigrazione, soprattutto verso l'Inghil-terra e lo Stato pontificio, ove l'accoglienza era migliore, seb-bene nei territori della chiesa venisse loro imposto un giura-mento di obbedienza alle bolle papali contro giansenismo egallicanesimo. Correnti quest'ultime per le quali invece la Spa-gna, a differenza dell'Austria, imped loro di dedicarsi a qua-

    lunque attivit religiosa, tranne la celebrazione della messa. InSvizzera e in