Il Mobbing nel pubblico impiego Le massime più significative · 2019-07-01 · Non costituisce...

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Nicola A. De Carlo e Gianbattista Zanon – Università di Padova 1 Il Mobbing nel pubblico impiego Le massime più significative Master in Psicologia forense e Criminologia Aprile 2016 (Seconda parte)

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Il Mobbing nel pubblico impiego

Le massime più significativeMaster in Psicologia forense e Criminologia

Aprile 2016

(Seconda parte)

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Le “primissime sentenze”

• Trib. di Torino del 16.11.99

affidamento di mansioni spiacevoli;

• Trib. di Torino del 30.12.99 la

malattia della ricorrente è provocata

da una singola azione ostile;

• Corte d’Appello di Torino del

21.2.2000 Mobbing familiare.

• La prima vera sentenza a trattare

compiutamente il fenomeno è

quella del Tribunale di Forlì, n. 84

del 23.2.2001

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Giurisprudenza – Massime significative/1Definizione

Il mobbing – riconducibile a quel comportamento reiterato nel tempo da parte di una o più persone, colleghi o superiori della vittima, teso a respingere dal contesto lavorativo il soggetto mobbizzato che a causa di tale comportamento in un certo arco di tempo subisce conseguenze negative anche di ordine fisico – deve individuarsi in base ai requisiti richiesti dalla psicologia del lavoro internazionale e nazionale. Tale fenomeno può dar luogo ad un danno esistenziale o danno alla vita di relazione, di natura sia contrattuale che extracontrattuale, che si realizza ogniqualvolta il lavoratore venga aggredito nella sfera della dignità senza che tale aggressione offra sbocchi per altra qualificazione risarcitoria. Il predetto danno da liquidarsi in via equitativa, ai sensi degli art. 1226 e 2056 c.c., può essere rapportato alla durata della condotta pregiudizievole e ad una percentuale della retribuzione percepita.• Trib. Forlì, 15/03/2001

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Giurisprudenza – Massime significative/2

Definizione di Mobbing e contrario:

Con l’espressione “mobbing” si intende una successione di fatti e comportamenti posti in essere dal datore di lavoro con intento emulativo ed al solo scopo di recare danno al lavoratore, rendendone penosa la prestazione, condotto con frequenza ripetitiva ed in un determinato arco temporale sufficientemente apprezzabile e valutabile. Non costituiscono, pertanto “mobbing” quei comportamenti del datore che sono giustificati o da oggettive situazioni aziendali di dissesto (come la richiesta di restituzione di una costosa macchina aziendale), ovvero da gravi inadempimenti contrattuali del dipendente.•Trib. Milano, 11/02/2002

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Giurisprudenza – Massime significative/3

Non costituisce Mobbing:

Non è configurabile un danno psichico del lavoratore, del quale il datore di lavoro sia obbligato al risarcimento, conseguente ad una allegata serie di vicende persecutorie lamentate dal lavoratore stesso (c.d. “mobbing”), qualora l’assenza di sistematicità, la scarsità degli episodi, il loro oggettivo rapportarsi alla vita di tutti i giorni all'interno di una organizzazione produttiva, che è anche luogo di aggregazione e di contatto (e di scontro) umano, escludano che i comportamenti lamentati possano essere considerati dolosi.

• Trib. Milano, 20/05/2000

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Giurisprudenza – Massime significative/4

Demansionamento, forzata inattività, comportamenti vessatori ed emarginanti

Il demansionamento professionale, oltre a violare il principio di cui all’art. 2103 c.c., si risolve in una lesione di un diritto fondamentale della libera esplicazione della personalità nel luogo di lavoro, con la conseguenza che il pregiudizio correlato a siffatta lesione, spiegandosi nella vita professionale e di relazione dell'interessato, ha una indubbia dimensione patrimoniale che lo rende suscettibile di risarcimento e di valutazione equitativa, senza necessità di assolvimento, da parte del demansionato, dell'onere probatorio relativo alla sussistenza di un danno patrimoniale in qualche modo risarcibile

• Cass. sez. lav. 18.10.99 n. 11727.

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Giurisprudenza – Massime significative/5

• Le condizioni dettate dalla globalizzazione del mercato del lavoro hanno imposto forme di flessibilità molto spinta.

• Le condizioni materiali, la tutela della personalità e della professionalità sono a rischio in un contesto nel quale le regole si fanno sempre più “leggere” e le esigenze del mercato sempre più “pesanti” nella valutazione degli spazi di tutela del lavoratore.

• Tribunale di Forlì del 30.1.2003

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Giurisprudenza – Massime significative/6Un vigile urbano lamentava che i suoi rapporti con il datore di lavoro (e segnatamente con il

Sindaco) erano andati, progressivamente, deteriorandosi, sino al verificarsi di una perdurante situazione di tensione, nella quale essa ricorrente veniva “criminalizzata”; affermava che, nell'ambito di tale situazione lavorativa, le erano state irrogate sanzioni disciplinari illegittime, le era stata rigettata una richiesta di mobilità, era stata archiviata, a seguito dell'intervento personale del Sindaco presso la Prefettura, la propria richiesta, volta all'ottenimento della qualifica di agente di pubblica sicurezza, le erano stati tolti i compiti di polizia stradale, giudiziaria e di pubblica sicurezza e, più in generale, erano stati posti in essere nei suoi confronti, da parte del datore di lavoro, una serie di comportamenti che avevano raggiunto lo scopo di “ghettizzarla”, sotto il profilo sia umano che professionale, e di sottoporla ad un controllo disciplinare particolarmente intenso e persecutorio, sino a che ella era stata colta da uno stato depressivo che non aveva precedenti nella sua storia personale;

…Il danno patrimoniale, come già rilevato, consiste nell’indennità mensile lorda di vigilanza che la ricorrente avrebbe percepito qualora avesse mantenuto le originarie mansioni ed avesse conseguito la qualifica di agente di pubblica sicurezza;

…Relativamente al danno non patrimoniale, devono distinguersi, ai fini della sua liquidazione, il danno biologico e quello che, più in generale, rientra nella categoria del danno esistenziale – comprendente, dunque, il danno da demansionamento, il danno all'immagine e, più in generale, le sofferenze patite dalla ricorrente per aver lavorato, per un lasso di tempo di molti mesi, in un ambiente ostile, dove ripetutamente venivano emessi nei suoi confronti provvedimenti, disciplinari e non, aventi natura pregiudizievole.

• Sentenza n. 157 del 10.7.2003 del Tribunale di Tempio Pausania.

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Le massime del 2006/1 Demansionamento – TAR LAZIO - ROMA, SEZ. I QUATER del 6.6.06 n. 4340

Alla stregua della scheda elaborata dal Dipartimento di Medicina del Lavoro e Sicurezza negli ambienti di lavoro di Milano (una delle esperienze cliniche più rappresentative a livello europeo), si ha mobbing nel caso in cui il suo autore, servendosi di un potere (vantato o reale) invade sistematicamente e consapevolmente la sfera privata della vittima, con azioni che possono dirigersi: (continua)

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Continua 2006/2 Demansionamento – TAR LAZIO - ROMA, SEZ. I QUATER – sent. 6.6.06 n. 4340

a) contro la persona del soggetto da colpire: azioni che iniziano con apprezzamenti pesanti o con scherzi di cattivo gusto, e con notizie distorte o/e colpevolizzanti la vittima o i suoi familiari, e finiscono con il denigrare in pubblico la vittima (ad es., in un’assemblea del personale, nella quale si impone a tutti i dipendenti di non usare né comprensione né aiuto verso la vittima predestinata);

b) contro la sua funzione lavorativa: una continua interferenza sui compiti della vittima, impartendo (o facendo impartire) direttive volutamente confuse, lacunose, erronee e contraddittorie), anche sottraendo la documentazione necessaria per il lavoro, sì da generare nella vittima una insicurezza comportamentale; cambio strumentale degli ordini di servizio al fine di attribuirle poi uno “scarso rendimento”, se non anche errori e responsabilità; frequenti ed improvvisi spostamenti della stanza assegnata, che a volte assume una finalità punitiva: (ad es., si è anche arrivati anche all’isolamento della vittima in una stanza senza finestre, ovvero in altra, apparentemente normale, ma dotata proditoriamente di un banco d’asilo sul quale far lavorare la vittima (con buona pace delle “disposizioni ergonomiche”), sotto lo sguardo (potenzialmente generalizzato) del restante personale, severamente diffidato dal segnalare il fatto alla polizia, ...;

c) contro il suo ruolo: riduzione dei compiti, per affidarli ad altro soggetto di notorio più basso livello, o assegnazione di compiti privi di significato logico e produttivo: per es., l’ordine di rimuovere fascicoli da un piano all’altro, nonostante la presenza di una ditta con appalto di facchinaggio (con buona pace per lo sciupio del danaro pubblico), ed il giorno seguente l’ordine di servizio inverso (di riportare i fascicoli al piano dove già erano il giorno prima, sì da provocare nella vittima la consapevolezza di essere inutile al punto da essere emarginato fisicamente o/e anche socialmente;

d) contro lo status della vittima: disconoscimento dei compensi economici corrispondenti al livello di assunzione, o sottrazione dei buoni pasto, abolizione degli incarichi attribuibili alla qualifica posseduta, il tutto finalizzato ad un progressivo isolamento fisico, morale e psicologico dall’ambiente di lavoro, sì da lasciare la vittima nella convinzione che è solo colpa sua se non vale nulla, per cui è meglio che se ne vada.

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Continua 2006/3 Demansionamento – TAR LAZIO - ROMA, SEZ. I QUATER – sent. 6.6.06 n. 4340

non c’è mobbing se…

1. Non può configurarsi un fenomeno di mobbing nel caso di demansionamento del dipendente realizzatosi mediante ordini di servizio, ove nessuno degli episodi lamentati abbia una potenzialità invasiva tale da coinvolgere la personalità tutta e l’esistenza stessa della vittima.

2. Va riconosciuto il diritto fondamentale del lavoratore alla libera esplicazione della sua personalità sul luogo del lavoro, ovvero ad eseguire la prestazione in base alla qualifica riconosciutagli ed alle corrispondenti mansioni assegnate; conseguentemente, ove le prestazioni dovessero essere – per la loro natura, o per la loro entità (consistenza), e durata (non anche per emergenza, o esigenze occasionali) inferiori, o/e meno qualificanti, rispetto a quelli a lui spettanti, il fatto stesso (del demansionamento) costituisce un danno sia alla vita professionale che alla vita di relazione (in termini di immagine, o/e di autostima o eterostima).

3. Comporta un illegittimo demansionamento, adibire un dipendente pubblico avente la qualifica di Ispettore Superiore della Polizia penitenziaria, a compiti di “smistamento della posta” e comunque ad attività che corrispondono di fatto a mansioni più di un commesso che di Ispettore Superiore.

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Le massime del 2007 Limiti alla responsabilità del Datore - Cassazione Lavoro n. 13.400 dell’8.7.2007

• Per la S.C., a mente dei principi affermati dagli artt. 40 e 41 cod. pen., qualora la condotta abbia concorso, insieme a circostanze naturali, alla produzione dell'evento, e ne costituisca un antecedente causale, l’agente deve rispondere per l'intero danno, che altrimenti non si sarebbe verificato. Non sussiste, invece, nessuna responsabilità dell'agente per i danni non dipendenti dalla sua condotta, che non ne costituisca un antecedente causale, e che si sarebbero verificati ugualmente anche senza di essa, né per quelli preesistenti.

• Nella fattispecie ad uno “chef” che cadde in una grave malattia depressiva, venne riconosciuto – a carico del datore di lavoro – solo il differenziale di maggior danno causato dalle sue manchevolezze (aggravanti) e non dell’intero danno in quanto la malattia scaturì per ragioni non imputabili all’imprenditore.

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Massime del 2008/1Mansioni equivalenti – Cassazione SU n. 8740 del 4.4.2008

• La Cassazione ha respinto il ricorso di un ex Capo ufficio Tecnico Comunale – privo di laurea – da anni apicale, che si è visto “superare” da un nuovo Capo con laurea, a seguito del riordino della dotazione organica.

• Il ricorrente asserì di essere stato demansionato (in quanto non più posto al vertice), e quindi mobbizzato.

• Ma la suprema Corte ha cassato il ricorso, confermando la piena legittimità dell’ente pubblico nel modificare l’assegnazione dei propri dipendenti nei posti in organico.

• La Cassazione ha fatto riferimento all’art. 52 del D.Lgs. 165/2001, che consente l’attribuzione di “mansioni equivalenti”.

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Massime del 2008/2Mansioni dequalificanti – Cassazione Sez. Lav.n. 24.293 del 29.9.2008

• E’ dequalificante adibire al servizio “di call center” un dipendente di compagnia telefonica in precedenza assegnato ad attività di contenuto amministrativo, pur a parità di livello di inquadramento.

• Detto comportamento integra gli estremi della dequalificazione professionale.

• Per la Corte, anche se entrambe le mansioni sono riconducibili sul piano contrattuale alla medesima qualifica, il carattere elementare e ripetitivo del servizio al “call center”, è indice di un depauperamento professionale (rispetto le mansioni dell’attività amministrativa, qualitativamente e quantitativamente variegate), e costituisce, dunque, esercizio illegittimo del potere datoriale nell’attribuzione delle mansioni – ex art. 2103 c.c.

PRINCIPIO consolidato della Cassazione: lo ius variandi deve esercitarsi in maniera tale da consentire l’utilizzazione ovvero il perfezionamento e l’accrescimento del corredo di esperienze, nozioni e perizie acquisite dal lavoratore nella fase pregressa del rapporto.

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Massime del 2008/3Divieto di discriminazione politica – Cassazione.n. 37.354 del 1.10.2008

• Le idee politiche non possono pesare sulla carriera dei dipendenti pubblici.

• Il sindaco ed i vertici del comune rischiano una condanna per abuso d’ufficio se “emarginano” e trasferiscono un funzionario soltanto perché questo ha mostrato, negli anni, “uno spirito indipendente da qualsiasi pressione politica”.

• Nella fattispecie l’assegnazione ad un “fantomatico” – ancora istituendo – ufficio studi di una dipendente, finalizzato all’allontanamento anche fisico dal palazzo municipale, senza una minima motivazione di pubblico interesse.

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Massime 2009

Cassazione n. 23.923 del 10.6.2009 • Gli eccessi di intemperanza del capo, possono far venire uno stato d’ansia e

depressione al lavoratore che ha diritto al risarcimento

Cassazione n. 4.123 del 28.1.2009 • … il datore di lavoro, proprio in forza delle disposizioni specifiche previste

dalla normativa antinfortunistica e di quella di cui all’art. 2087 c.c., è il “garante” dell’incolumità fisica e della salvaguardia della personalità morale del lavoratore, con la conseguenza che, ove egli non ottemperi agli obblighi di tutela, l’evento lesivo gli viene addebitato in forza del principio che “non impedire l’evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo” (art. 40 c.p.).

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Corte di Cassazione - Sezione Lavoro, Sentenza 26 marzo 2010, n.7382• La Corte ha ribadito il proprio orientamento in materia di mobbing, ricordando che <<per

“mobbing”, riconducibile alla violazione degli obblighi derivanti al datore di lavoro dall'art. 2087 c.c., deve intendersi una condotta nei confronti del lavoratore tenuta dal datare di lavoro, o del dirigente, protratta nel tempo e consistente in reiterati comportamenti ostili che assumono la forma di discriminazione o di persecuzione psicologica da cui consegue la mortificazione morale e l'emarginazione del dipendente nell'ambiente dì lavoro, con effetti lesivi dell'equilibrio fisiopsichico e della personalità del medesimo>>.

• E’ stato quindi precisato che ai fini della configurabilità della condotta lesiva del datore di lavoro sono rilevanti: a) la molteplicità di comportamenti di carattere persecutorio posti in essere in modo sistematico e prolungato contro il dipendente con intento vessatorio; b) l’evento è lesivo della salute o della personalità del dipendente; c) il nesso eziologico tra la condotta del datore o del dirigente e il pregiudizio all’integrità psico-fisica del lavoratore; d) la prova dell’elemento soggettivo, cioè dell’intento persecutorio.

Cass. civ. Sez. lavoro, 26/03/2010, n. 7382• Per “mobbing” deve intendersi una condotta del datore di lavoro nei confronti del dipendente in

violazione degli obblighi di cui all'art. 2087 c.c. e consistente in reiterati e prolungati comportamenti ostili, di intenzionale discriminazione e persecuzione psicologica, con mortificazione ed emarginazione del lavoratore, correttamente individuati dal giudice di merito in continui insulti e rimproveri con umiliazione e ridicolizzazione davanti ai colleghi di lavoro, e nella frequente adibizione a lavori più gravosi rispetto a quelli svolti in precedenza.

Massime 2010

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Massime 2011T.A.R. Lombardia Milano Sez. III, 04/02/2011, n. 350• Ai fini della configurabilità quale mobbing della condotta lesiva del datore di lavoro sono rilevanti i

seguenti elementi: a) la molteplicità dei comportamenti a carattere persecutorio, illeciti o anche leciti se considerati singolarmente, che siano stati posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente con intento vessatorio; b) l’evento lesivo della salute o della personalità del dipendente; c) il nesso eziologico tra la condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico e il pregiudizio all’integrità psico-fisica del lavoratore; d) la prova dell’elemento soggettivo, cioè dell’intento persecutorio.

T.A.R. Campania Napoli Sez. VII, 11/03/2011, n. 1444• Il tratto strutturante del mobbing (da lavoro) – tale da attrarre nell’area della fattispecie

comportamenti che altrimenti sarebbero confinati nell'ordinaria dinamica, ancorché conflittuale, dei rapporti di lavoro – è la sussistenza di una condotta volutamente prevaricatoria da parte del datore di lavoro volta a emarginare o estromettere il lavoratore dalla struttura organizzativa. Pertanto, in ordine all’onere della prova da offrirsi da parte del soggetto destinatario di una condotta mobbizzante, quest'ultima deve essere adeguatamente rappresentata con una prospettazione dettagliata dei singoli comportamenti e/o atti che rivelino l’asserito intento persecutorio diretto a emarginare il dipendente, non rilevando mere posizioni divergenti e/o conflittuali, fisiologiche allo svolgimento di un rapporto lavorativo. In altri termini, il mobbing – proprio perché non può prescindere da un supporto probatorio oggettivo – non può essere imputato in via esclusiva ma anche prevalente al vissuto interiore del soggetto, ovvero all’amplificazione da parte di quest'ultimo delle normali difficoltà che connotano la vita lavorativa di ciascuno.

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Massime 2011/1

Cassazione Sent. N. 28.962 del 27.12.2011 – (chi è “fannullone” non può essere risarcito per mobbing)• La Suprema Corte ha negato il risarcimento del danno chiesto da un

funzionario pubblico che asseriva di essere stato mobbizzato del suo capo ufficio.

• In realtà dagli atti di causa era emerso che il responsabile del personale non aveva commesso alcuna azione con intento persecutorio nei confronti del ricorrente.

• Anzi, stante la improduttività del dipendente, aveva agito per aumentare l’efficienza del suo ufficio. Solo a tal fine lo aveva sanzionato e sostituito. A seguito di ciò il dipendente si era dimesso.

• Le successive dimissioni del dipendente, pertanto, non sono affatto ascrivibili al mobbing messo in atto dal suo responsabile in quanto, negli atti posti in essere, non solo manca l’elemento psicologico dell'intento vessatorio, ma, anzi, vi è l’intenzione di aumentare l’efficienza della propria unità produttiva.

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Massime – 2012Il risarcimento scatta anche senza Mobbing – Cassazione, Sez. lavoro, sentenza n. 18.927 del

5.11.2012 –

Un lavoratore ha diritto a un risarcimento danni per aver subito comportamenti “vessatori e mortificanti”, anche se non viene raggiunta la prova che si tratti di vero e proprio mobbing. A sancirlo è la Cassazione, esaminando il caso di una donna, la quale aveva subìto “azioni vessatorie” ai suoi danni da parte del datore di lavoro e di colleghi, che l’avevano portata infine al pensionamento anticipato.

“Nelle ipotesi in cui il lavoratore chieda il risarcimento del danno patito alla propria integrità psico-fisica in conseguenza di una pluralità di comportamenti del datore di lavoro e dei colleghi di lavoro di natura asseritamente vessatoria, il giudice del merito, pur nella accertata insussistenza di un intento persecutorio idoneo ad unificare tutti gli episodi addotti dall'interessato e quindi dalla configurabilità del mobbing, è tenuto a valutare se alcuni dei comportamenti denunciati, esaminati singolarmente ma sempre in relazione agli altri, pur non essendo accomunati dal medesimo fine persecutorio, possano essere considerati vessatori e mortificanti per il lavoratore e, come tali, siano ascrivibili alla responsabilità del datore di lavoro che possa essere chiamato a risponderne, ovviamente nei soli limiti dei danni a lui imputabili”. “Se anche le diverse condotte denunciate dal lavoratore non si ricompongano in un unicum e non risultano, pertanto, complessivamente e cumulativamente idonee a destabilizzare l'equilibrio psico-fisico del lavoratore o a mortificare la sua dignità ciò non esclude che tali condotte o alcune di esse, ancorché finalisticamente non accomunate, possano risultare, se esaminate separatamente e distintamente lesive dei fondamentali diritti del lavoratore, costituzionalmente tutelati”. 20

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Consiglio di Stato, sentenza n. 1609 del 19 marzo 2013.La giurisprudenza ha fissato dei requisiti per la concretizzazione del fenomeno del

Mobbing, tra cui “l’azione offensiva posta in essere a danno del lavoratore deve essere sistematica e frequente, posta in essere con una serie prolungata di atti e avere le caratteristiche oggettive di persecuzione e discriminazione o rivelare intenti meramente emulativi”.

Non matura il mobbing “nell’accadimento di episodi che evidenziano screzi o conflitti interpersonali nell’ambiente di lavoro e che per loro stessa natura non sono caratterizzati da volontà persecutoria essendo in particolare collegati a fenomeni di rivalità, ambizione o antipatie reciproche che pure sono frequenti nel mondo del lavoro”.

Sulla base di questi principi, il Consiglio di Stato afferma che “i provvedimenti recanti sanzioni disciplinari e l'attribuzione di una valutazione in sede di rapporto informativo ingiustificatamente peggiorativa, non rivelano alcun indizio sintomatico del mobbing e cioè l’esistenza di un atteggiamento sistematicamente persecutorio o vessatorio a nulla rilevando che l’interessata abbia avuto una specifica percezione che tali vicende manifestino l’intento dell’Amministrazione di emarginarla ed essendo gli episodi sottesi ai provvedimenti adottati a suo carico unicamente riconducibili al clima di conflittualità esistente tra il personale” della stessa PA.

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Massime – 2013

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Il risarcimento del danno per mancata sicurezza sul lavoro è personale

Corte dei Conti – Sez. controllo Emilia Romagna – Delibera n. 239/2011 – Sicurezza sul lavoro

• Con deliberazione n. 239/2011, la Corte dei Conti – Sezione regionale di controllo per l’Emilia Romagna ha ribadito che la responsabilità conseguente alla violazione della normativa concernente la sicurezza nei luoghi di lavoro ha carattere personale.

• Secondo la sezione emiliana della Corte dei Conti, il pagamento della sanzione inflitta dall’organo di controllo al sindaco, quale datore di lavoro, per violazione della normativa sulla sicurezza ha carattere personale.

• Di conseguenza, l’ente pubblico non può assumersi l’onere del pagamento della sanzione, senza cagionare un danno all’Erario.

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Cassazione SS.UU. n. 26.972 dell’11.11.2008 – massima –il danno esistenziale

• Vanno abbandonate le sottocategorie del danno esistenziale e danno morale, perché bisogna solo verificare la lesione di diritti inviolabili della persona; inoltre, la lettura che l’interprete deve seguire è quella dell’art. 2059 c.c. con i diritti costituzionali inviolabili, che non vanno intesi come un numerus clausus: la tutela non è ristretta ai casi di diritti inviolabili della persona espressamente riconosciuti dalla Costituzione nel presente momento storico, ma, in virtù dell’apertura dell’art. 2 Cost. ad un processo evolutivo, deve ritenersi consentito all’interprete rinvenire nel complessivo sistema costituzionale indici che siano idonei a valutare se nuovi interessi emersi nella realtà sociale siano, non genericamente rilevanti per l’ordinamento, ma di rango costituzionale attenendo a posizioni inviolabili della persona umana.

• Il c.d. pregiudizio di tipo esistenziale è, quindi, risarcibile solo entro il limite segnato dalla ingiustizia costituzionalmente qualificata dell’evento di danno. Se non si riscontra lesione di diritti costituzionalmente inviolabili della persona non è data tutela risarcitoria.

• La gravità dell’offesa costituisce requisito ulteriore per l’ammissione a risarcimento dei danni non patrimoniali alla persona conseguenti alla lesione di diritti costituzionali inviolabili. Il diritto deve essere inciso oltre una certa soglia minima, cagionando un pregiudizio serio. La lesione deve eccedere una certa soglia di offensività, rendendo il pregiudizio tanto serio da essere meritevole di tutela in un sistema che impone un grado minimo di tolleranza.

• Il filtro della gravità della lesione e della serietà del danno attua il bilanciamento tra il principio di solidarietà verso la vittima, e quello di tolleranza, con la conseguenza che il risarcimento del danno non patrimoniale è dovuto solo nel caso in cui sia superato il livello di tollerabilità ed il pregiudizio non sia futile. Pregiudizi connotati da futilità ogni persona inserita nel complesso contesto sociale li deve accettare in virtù del dovere della tolleranza che la convivenza impone (art. 2 Cost.).

Nicola A. De Carlo e Gianbattista Zanon – Università di Padova

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La Giurisprudenza in Sintesi1. Casi di manifestazioni vessatorie penalmente rilevanti, come nel caso di azioni diffamatorie di un collega contro un altro, oppure nel caso di vere e proprie minacce che inducono a sindrome post traumatica da stress tale da integrare un’ipotesi di tentata violenza privata ex art. 610 c.p. (Tribunale Taranto 7.3.2002).In tali casi, oltre al risarcimento del danno per provata azione di mobbing, il mobber è personalmente perseguibile anche penalmente.

2. Casi di manifestazioni vessatorie prive di rilevanza penale, ma comunque illegittime, come nei casi di demansionamento, di svuotamento di mansioni, dequalificazioni – non rientranti nei legittimi poteri del Datore di lavoro – (Tribunale di Forlì 15.3.2001).In tali casi, oltre al risarcimento del danno come detto al precedente punto 1), si potrà anche ottenere l’annullamento dei provvedimenti vessatori illegittimi.

3. Casi in cui i comportamenti del “mobber” sono legittimi in se, ma riconducibili a manifestazioni vessatorie in quanto diretti a ledere la dignità del lavoratore, come nel caso di controlli medici fiscali nel periodo di malattia del lavoratore numericamente irrituali, tanto da supportare l’ipotesi dell’abuso della prassi di verifica. Anche in questi ultimi casi oltre al risarcimento del danno, qualora sia provato il rischio di un danno grave alla salute, è da subito ottenibile dal Giudice in sede cautelare la declaratoria di cessazione dei comportamenti lesivi.

Nicola A. De Carlo e Gianbattista Zanon – Università di Padova

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Le Tipologie di Danno

danno patrimoniale

danno non patrimoniale

Danno morale (inteso cometranseunte turbamento dello stato d’animo dell’individuo)

Danno biologico (inteso come lesione dell'interesse, costituzionalmente garantito, all’integrità psichica e fisica della persona)

Consiste nel danno emergente e nel lucro cessante che siano conseguenza diretta e immediata della condotta lesiva (art. 1223 c.c.)

Nicola A. De Carlo e Gianbattista Zanon – Università di Padova

“Danno esistenziale” non come tertium genus (lesione di altri interessi di rango costituzionale inerenti alla persona, es. la vita di relazione) Nei limiti dell’orientamento della Cass. SS.UU. del 11.11.2008

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Sintesi del Fenomeno secondo la “relazione tematica” della Corte di Cassazione

(n. 142 del 10 novembre 2008)

1. Pressione o molestie psicologiche;2. Calunnie sistematiche;3. Maltrattamenti verbali ed offese personali;4. Minacce o atteggiamenti mirati ad intimorire o avvilire, anche in forma velata e indiretta;5. Critiche immotivate e atteggiamenti ostili;6. Deligittimazione dell’immagine, anche di fronte ai colleghi e a soggetti estranei

all’azienda;7. Esclusione o immotivata marginalizzazione dell’attività lavorativa ovvero svuotamento

delle mansioni;8. Attribuzione compiti dequalificanti in relazione al profilo professionale posseduto;9. Impedimento sistematico all’accesso a informazioni e notizie inerenti l’ordinaria attività

lavorativa;10. Marginalizzazione del lavoratore da iniziative formative;11. Forme di controllo eccessivo, tali da produrre danni e disagi;12. Atti vessatori correlati alla sfera privata, consistenti in discriminazioni;13. Attribuzioni di compiti esorbitanti o eccessivi, comunque idonei a provocare seri disagi

fisici e psicologici del lavoratore.

Nicola A. De Carlo e Gianbattista Zanon – Università di Padova