IL GIORNALINO DI ENRICO N.1- Giugno 2020 · 2020. 8. 3. · pianoforte il modo per ammazzare il...
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IL GIORNALINO DI ENRICO N.1- Giugno 2020
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IL GIORNALINO DI ENRICO N.1- Giugno 2020
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Il tempo non si trattiene;
la vita è un compito da fare e che ci portiamo a casa.
Quando uno guarda...e sono già le sei del pomeriggio.
Quando uno guarda ed è già venerdì.
Quando uno guarda ed è finito già il mese.
Quando uno guarda ed è già finito un anno.
Quando uno guarda e sono già passati 50 o 60 anni.
Quando uno guarda e si accorge di aver perso un amico.
Quando uno guarda l'amore della propria vita andarsene
e accorgersi che è tardi per tornare indietro...
Non smettere di fare qualcosa che ti piace per mancanza di tempo,
non smettere di avere qualcuno accanto a te o di goderti la solitudine!
Perché i tuoi figli subito non saranno più tuoi e dovrai fare qualcosa
con questo tempo che ti resta.
Prova ad eliminare il “dopo”...
dopo ti chiamo ...
dopo lo faccio ...
dopo ti dico ...
dopo lo cambio ...
ci penso dopo ...
Lasciamo tutto per dopo come se il dopo fosse il meglio, perché non capiamo che:
dopo, il caffè si raffredda...
dopo, la priorità cambia...
dopo, l'incanto si perde...
dopo, il presto si trasforma in tardi...
dopo, la malinconia passa...
dopo, le cose cambiano...
dopo, i figli crescono...
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dopo, la gente invecchia....
dopo, le promesse si dimenticano...
dopo, il giorno è notte...
dopo, la vita finisce...
Non lasciare niente per dopo perché nell'attesa del dopo puoi perdere i migliori
momenti, le migliori esperienze, i migliori amici, i migliori amori...
Ricordati che il dopo può essere tardi. Il giorno è oggi.
Magari avrai tempo per leggere e condividere questo messaggio o altrimenti,
lascialo per … “dopo.”
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1. L'ANGOLO DELL'ATTUALITA'
1.1 IL VIRUS “BLASONATO”
Il Coronavirus è un virus che, con la sua mania di grandezza, sta livellando tutti.
Prendo spunto dal principe Antonio De Curtis, in arte Totò. Infatti, il principe della
risata, come veniva chiamato, nella sua poesia in dialetto napoletano, 'A livella,
paragona la morte ad una livella, appunto, che pone tutti sullo stesso piano. Il
Coronavirus, sta facendo la stessa cosa. Anche se – per fortuna – sono sempre di più
le persone che guariscono. Ne risente l'economia e il turismo, due pilastri per l'Italia,
che è uno dei Paesi più visitati e più belli del mondo.
Oggi, mi alzo presto, prendo il mio caffè e leggo le solite notizie, ma con una
sorpresa in più: “Gli americani cancellano i voli per Milano!” Bene, io dico agli
italiani: “Comprate italiano, cominciate a disdire i vostri viaggi all'estero, e riempite i
nostri alberghi.
Vestiamoci con i nostri bei capi d'abbigliamento, la moda è sempre “uptodate”, e
mangiamo le nostre eccellenze culinarie: il pecorino sardo, il parmigiano e le arance
siciliane. Comprate il nostro pesce e bevete il nostro vino.
Aiutiamoci, non facciamo post disfattisti! Noi italiani, siamo una forza!
Le nostre nonne ci hanno insegnato a risparmiare e magari anche ad amare la nostra
nazione. Ragazzi, qui non siamo di fronte solo a un'epidemia pericolosa, ma anche ad
uno sciacallaggio mediatico senza pari. Non assecondiamo i sciacalli! Seguiamo con
fiducia le direttive del nostro sistema sanitario che, in Italia, è il primo per eccellenza.
Medici specialisti, infettivologi ed
immunologi, lavorano instancabilmente
giorno e notte per vigilare sulla nostra salute e
dare una spdranza ai pazienti, positivi al
Coronavirus.
Non sappiamo quanto questa “peste
bubbonica” durerà né che sviluppi avrà. Il
segreto per affrontarla senza traumi, è la
“santa pazienza.” E la pazienza, è la virtù dei
forti.
Ehi tu, Coronavirus, COVID-19, stammi bene a sentire!
Sono nato sul finire degli anni Quaranta e sono venuto alla luce in una sala da parto
dove medici e infermieri mangiavano panini col salame e fumavano una sigaretta
dietro l'altra nell'attesa che mia madre partorisse. Senza mascherine, e senza guanti.
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Sono sopravvissuto a tutti i vaccini, e ho resistito a tutte le malattie infettive che, per
fortuna, ho fatto da bambino (morbillo, varicella, scarlattina), e chi più ne ha, più ne
metta. Mi sono imbattuto in influenze ad alto rischio come l'Asiatica, la Filippina e
altre peggiori di te. Mi sono vaccinato contro la Tubercolosi e ho voluto sapere se
fossi positivo all'aids (esito negativo).
Ho vissuto la pericolosità della diossina di Seveso e per fortuna, non sono stato
contaminato dalle radiazioni di Chernobyl. Mi sono disinfettato le ferite delle cadute
in bicicletta e sono cresciuto mangiando cibi che non avevano ancora la scadenza
per legge.
Ho attraversato il boom economico con l'incoscienza e la tranquillità di un ragazzo
di sedici anni. E sono stato curato con farmaci non testati dall'Organizzazione
Mondiale della Sanità. Facevo le iniezioni con siringhe di vetro dagli aghi enormi
che si sterilizzavano sul fuoco in un terrificante contenitore di latta, che ancora oggi
mi fa venire gli incubi!
Non ho mai avuto uno psicologo o un sostegno scolastico, e qualche volta le ho
anche prese di santa ragione. E tu, COVID-19 pensi di farmi paura? Ti avverto: “Io
sono un italiano vero, non farti illusioni! Siamo italiani, abbiamo conquistato il
mondo due volte, abbiamo scritto la storia dell'arte, e l'Italia è la Patria dei poeti,
dei santi e dei navigatori e del bel canto.
In passato, abbiamo superato crisi anche peggiori. Non ti temiamo anzi, sai una
cosa? Ci beviamo una buona birra in compagnia nella speranza che tu possa
schiattare per primo e... alla svelta!”… Naturalmente la birra è una “Corona,”
ghiacciata – perché abbiamo imparato ad essere consapevoli, guardinghi e, in
qualche misura, anche un po' fatalisti.
1.2 “CHE BARBA CHE NOIA, CHE NOIA CHE BARBA!!”
Ricordate “Casa Vianello?” Lui a letto con la moglie, leggeva il giornale mentre lei,
sentendosi trascurata, sbatteva i piedi gridando: “Che barba, che noia!”… E' la stessa
cosa che in questo momento particolare e molto delicato, stiamo dicendo noi,
costretti, volente o nolente, a restare a casa. Ma quello che ci viene richiesto è un
sacrificio tutto sommato sopportabile, soprattutto se rapportato a quello che i nostri
nonni e bisnonni furono costretti a subire: una dittatura, la guerra, la fame e altre
sofferenze immani. Ho sempre visto la tecnologia come il diavolo e l'acqua santa, ma
se ci rifletto, mi devo ricredere. Grazie alle nuove tecnologie, infatti, siamo
comunque interconnessi con amici, parenti, e con il resto del mondo. Possiamo
parlare, vederci, inviare e guardare messaggi e video, ascoltare musica.
Molte professioni contemplano la possibilità di lavorare, studiare e insegnare da casa
e tantissimi lo stanno facendo con gli strumenti più svariati. La cosa oltretutto ha
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l'indubbio vantaggio di ridurre il traffico privato e di conseguenza l'inquinamento in
città.
Certo, non tutti i lavori e non sempre si possono svolgere da remoto, ma questa
emergenza può aiutare il mondo del lavoro a riflettere proprio su questo punto: per
tante buone ragioni e quando ce ne sono i presupposti. Il lavoro agile è una via da
percorrere.
Giochi e ginnastica fai da te. Un'intera famiglia in un appartamento per tante ore
rischia di trasformarsi in una faida: è importante scandire e gestire il tempo unendo
l'utile al dilettevole. E' arrivato il momento di rispolverare quei giochi di società usati
mezza volta a Natale e poi messi sullo scaffale in alto, oppure di dedicarsi insieme a
una attività fisica. Esercizi e ginnastica senza attrezzi o con strumenti domestici
riadattati, magari approfittando delle scale di casa o del giardino.
Un po' di musica e tanta voglia di mettersi in gioco e magari prendersi un po' in giro e
siamo pronti a tenerci in firma! Di grande aiuto può essere la lettura. Sfogliare un
libro aiuta la mente a “evadere,” ma può rappresentare anche una preziosa occasione
per studiare e approfondire, cosa sempre più difficile con i ritmi forsennati dell'oggi.
In ogni caso, leggere fa passare piacevolmente il nostro tempo, ci arricchisce
ulteriormente e ci fa crescere.
Il gusto di scrivere è un'attività da riscoprire, non per forza con velleità da best seller.
Ci si può cimentare nell'inventare una favola o un racconto per i figli o i nipoti, lo si
può fare per gradi, magari in maniera partecipata e condivisa, leggendo un pezzo
insieme, in chat o al telefono prefigurando i capitoli successivi. Anche da soli,
scrivere storie, ripercorrere con la penna o la tastiera di un computer quel particolare
evento che si voleva da tanto tempo mettere nero su bianco, è appassionante e
coinvolgente, così come lo è tenere un diario: questo potrebbe essere anche un
esercizio catartico per tutta la famiglia, si raccontano gli accadimenti, le ansie e le
piccole gioie di questi
giorni, in modo che tra
qualche tempo, passata
l'emergenza, resti traccia
di questo momento che
in ogni caso resterà
indelebile nei nostri
ricordi.
Amando la musica e il
pianoforte il modo per
ammazzare il tempo lo
trovo sempre. Mi manca
la possibilità di andare
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al cinema o a teatro? Stando in casa ho la possibilità di recuperare vecchi film dalla
rete, ascoltare buona musica e magari suonare.
Un mio grande amico mi diceva sempre di non abbandonare le mie passioni. Non so
dipingere e scolpire, ma mi arrangio a “impapocchiare” qualcosa al pianoforte: il
risveglio di questa passione mi aiuta non solo a passare il tempo, ma anche a
distrarmi e pensare a cose belle.
2. L'ANGOLO DELLA FEDE
“A volte perdiamo la speranza
e pensiamo che sia la fine...
ma tu, fermati un attimo,
respira a fondo e ricorda:
è solo un brutto periodo... passerà”
Madre Teresa
Ho sempre pensato, e lo credo fermamente, che la fede sia la certezza di cose che si
avverano.
E' inutile nascondersi dietro un dito! Abbiamo paura! Anche se cerchiamo in tutti i
modi, di non darlo a vedere. E siccome la paura fa 90, d'un tratto riscopriamo la fede,
la forza della preghiera, e cerchiamo l'aiuto del buon Dio. Ma perché sempre e solo
nel momento del bisogno? Forse perché un amico vero si riconosce proprio nel
momento del bisogno o forse anche perché, consci di essere sull'orlo del baratro,
abbiamo bisogno di aggrapparci a qualcosa.
E quel qualcosa, è Dio, la sola e unica ancora di salvezza che ci resta. Ce ne rendiamo
conto? Dio è costantemente negato, vituperato, beffeggiato, eppure, quando occorre
basta una telefonata: “Padre nostro che sei nei cieli, perché ci fai soffrire così?”.
Per gli ebrei è il Dio d' Israele, che li ha liberati dalla schiavitù, per i cristiani è
l'Agnello che toglie i peccati del mondo, per i musulmani è il profeta Maometto, e per
i fanatici, è un grido di guerra: “Allah è grande!”… Ma se ci pensiamo bene, siamo
tutti sotto lo stesso cielo, uniti nella diversità in un caldo abbraccio universale. Vi
sembra poco? Meditate gente, meditate!
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3. L'ANGOLO DELLE RIFLESSIONI
3.1 RESTATE A CASA!
Nel pieno dell'emergenza per il coronavirus, abbiamo scoperto che anche stare a casa
può essere bello. Si sta così bene sul divano! Leggere un libro, ascoltare buona
musica, sono piaceri che ci siamo persi da troppo tempo. Una partita a monopoli, a
risico, a scacchi, a dama o anche a carte, ci aiuta a non sentire il peso di questi arresti
domiciliari, e la noia di lunghe e interminabili giornate. E i bambini? Come staranno
vivendo i nostri bambini questo momento così particolare? Abituati come sono a
giocare insieme e a fare il girotondo, si sentiranno forse un po' spaesati!
Sentite amici miei più piccoli, vi voglio raccontare una storia. E’ un po' diversa da
quelle che di solito il papà o la mamma vi raccontano la sera, prima di dormire, ma è
reale e vi può insegnare molto. Dunque:
“C'era una volta un re che non aveva un regno, ma in testa, una strana corona che non
era d'oro e neppure d'argento. Anche il suo nome suonava strano: Si chiamava Virus.
Re Virus era un re malvagio che aveva manie di grandezza. Per questo, un giorno,
attraverso l'aria decise di impossessarsi, senza che noi lo sapessimo, del nostro
territorio. Dapprima cominciò a espandere la sua influenza piano piano, come se
fosse una comune malattia di stagione, poi, una volta entrato nelle nostre case, si
impossessò anche nella nostra vita, e la cambiò completamente. Obbligandoci a
cambiare anche le nostre abitudini. In men che non si dica, non solo Re Virus riuscì
ad istaurare un regno tutto suo, ma, come una piovra gigante, raggiunse con i suoi
tentacoli l'altra parte del mondo. Questo viaggiatore stravagante voleva dettare legge:
impedire che baciassimo i nostri genitori e i nostri nonni, e persino che ci tenessimo
per mano. Vi immaginate un mondo di persone che non si possono abbracciare?
Malgrado tutto questo però, Re Virus una cosa buona l'ha fatta: “Ci ha fatto scoprire
quanto è importante lavarsi le mani!”…
In questa situazione insolita e molto particolare, insieme possiamo fare una grande
cosa: “Fermare una volta pe tutte il Re Virus, questo viaggiatore impertinente che
vuole rubare i nostri sogni!”. Se siete d'accordo, battete il 5!!...
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3.2 LA PAURA È UN‘EMOZIONE.
La paura è una emozione utile,
comune sia nell'uomo che negli
animali. Gli psicologi la chiamano
“emozione primaria di difesa.” E'
presente nel bambino sin dalla
nascita, come la gioia, la sorpresa,
la tristezza e la rabbia. Questa sua
presenza tempestiva è molto
importante perchè ci mette in
guardia quando incombe una
minaccia.
Alla paura segue uno stato di autodifesa che ci consente di evitare il pericolo con la
fuga, o nella peggiore delle ipotesi, con un blocco emotivo. Io non ho mai avuto
paura di niente, se non per gli spazi aperti – la cosiddetta agorafobia.
Dalla nascita, per trauma da parto, ho il senso dell'equilibrio che non è stabile, anzi, è
molto, molto precario. Questa situazione ha creato in me, da sempre, uno stato d'ansia
e di paura che alcuni neurologi dicono sia irrazionale e immotivata. Ho paura di
attraversare la strada e ho paura di cadere e farmi male. Per contro, avendo uno
scooter elettrico, non ho paura di affrontare il traffico cittadino. Strana bizzarria, non
vi pare?
La paura è uno stato d'animo di cui non dobbiamo vergognarci, perché stimola anche
la memoria e l'apprendimento per fare della brutta esperienza che stiamo vivendo
adesso, un'occasione di riscatto e di crescita.
Per superarla, è importante non viverla in maniera esagerata.
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4. L'ANGOLO DELLA STORIA
4.1 STORIA DELLA STAMPA DALLE ORIGINI SINO AD OGGI
La stampa con blocchi di legno su carta avviene per impressione. L'inchiostro si
deposita sul foglio per mezzo di matrici di legno sulle quali sono presenti testi o
illustrazioni intagliate. Tale tecnica fu inventata in Cina. Si ritiene che l'invenzione
risalga all'epoca della Dinastia Tang (618-907), anche se esistono esempi di epoche
precedenti: un tessuto con disegni fantasia risalente a prima del 220 d.C. in Cina e
alcuni reperti scoperti in Egitto databili al VI VII secolo. All'epoca della Dinastia
Tang, uno scrittore cinese, Fenzhi, fornì per primo
una testimonianza a riguardo. Nel suo libro Yuan
Xian San Ji descrisse come i blocchi di legno
venissero usati per stampare un'iscrizione
buddhista durante il regno dell'imperatore
Zehngyuan (627-649 d.C.). Il più antico esempio
di stampa con blocchi di legno è invece un'altra
iscrizione buddhista risalente al periodo di Wu
Zetian (684-705 d.C.), scoperta nel 1906 da
Tubofan nella provincia cinese di Xinjiang, ora
conservata al museo della calligrafia di Tokyo
(Giappone).
Dai blocchi di legno fino ai nostri giorni, la storia della stampa è costellata da grandi
scoperte tecnologiche che si sono diffuse in tutto il mondo. Spesso sottovalutata o
data semplicemente per “acquisita”, l'invenzione della stampa ha permesso al genere
umano di fermare momenti storici di grande importanza e tramandare, di generazione
in generazione, favole, racconti e spiegazioni scientifiche. Senza la stampa,
probabilmente, i grandi sviluppi tecnologici che hanno contraddistinto l'umanità negli
ultimi secoli, sarebbero stati impossibili o comunque molto più complessi da
raggiungere: grazie alla divulgazione dei libri stampati la conoscenza ha potuto
viaggiare più velocemente e agevolmente raggiungendo ogni angolo del mondo.
La storia della stampa è caratterizzata da un susseguirsi quasi ininterrotto di diverse
tecnologie: con il passare dei secoli le tecniche
si sono affinate e gli strumenti utilizzati hanno
subìto modifiche o sono stati definitivamente
messi in soffitta a causa della comparsa di
nuove tecnologie e macchinari di stampa.
Il punto di svolta si ha con Gutenberg e
l'invenzione della stampa a caratteri mobili: dai
libri trascritti a mano dagli amanuensi, una
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vera e propria classe sociale che aveva, come unico compito, quello di copiare i testi
presenti all'interno delle biblioteche, si passa a dispositivi meccanici in grado di
riprodurre velocemente e fedelmente qualunque tipo di testo.
Negli ultimi anni l'elettronica e la miniaturizzazione hanno permesso alla tecnologia
di stampa di fare letteralmente dei passi da gigante. Si pensi alle prime stampanti ad
aghi degli anni '80 per arrivare alle stampanti laser dei nostri giorni, passando per le
stampanti a getto d'inchiostro: un'evoluzione velocissima e apparentemente
inarrestabile. Il passo successivo, infatti, è quello della stampa 3D, che permetterà di
produrre tutto in casa: dal cibo agli utensili per la cucina, dalle automobili alle stesse
abitazioni.
Con l'invenzione della stampa ad opera del tedesco Gutenberg, nella seconda metà
del Quattrocento si iniziarono a stampare i primi libri a caratteri mobili. Il primo libro
che fu stampato e diffuso fu la Bibbia tra il 1452 e il 1455; con la stampa, e quindi
con la possibilità di riprodurre tante copie di libri, la cultura diventò per la prima
volta accessibile a tutti iniziando a diffondersi in maniera più veloce. Da allora ci fu
un crescendo tra i progressi della stampa fino ad arrivare, tra il Settecento e
l'Ottocento, alla stampa dei quotidiani.
Seguirono le invenzioni del telegrafo e del telefono che permettevano i ridurre la
distanza tra chi comunicava. Era possibile, infatti, il contatto tra persone molto
distanti tra loro. Lo sviluppo tecnologico nel campo delle comunicazioni non si
arrestò. Passando per la nascita delle radio, si arrivò nella metà del Novecento, alla
nascita della televisione. Si trattava di un mezzo che offriva ad un pubblico vasto di
spettatori “cose da vedere da dovunque, da qualsiasi luogo e distanza”. La differenza
tra la radio e la televisione era appunto questa: la prima parlava (dal suono della voce
con un po' di fantasia, si poteva immaginare di dare un volto a chi parlava), la
seconda faceva vedere. La voce della televisione, cioé, serviva semplicemente per
commentare le immagini che scorrevano davanti agli occhi. Con la televisione,
quindi, assumono più importanza le immagini rispetto alle parole.
L'uomo ha sempre avuto il desiderio di “catturare, riprodurre, trasmettere a distanza i
suoni delle voci e delle cose” e ci è riuscito. Il mondo, con la stampa di Gutenberg,
era in silenzio; ha cominciato a parlare facendo ascoltare la sua voce grazie al
successivo sviluppo tecnologico. Oggi il progresso ha fatto ancora passi in avanti. Il
computer ha rivoluzionato completamente la nostra vita (agli inizi l'odiavo perché
dovevo usarlo solo per lavoro – e non mi piaceva). Poi, grazie ad internet, mi sono
reso conto di avere “il mondo in casa!” Infatti, la comunicazione è diventata
velocissima. Le notizie sono sempre aggiornate minuto per minuto, e provengono
anche dalle parti più lontane del mondo. Di conseguenza anche il diffondersi della
cultura è cambiato. Si è passati dal semplice libro di carta al e-book cioè al libro
elettronico. Questo può essere scaricato e letto su qualsiasi dispositivo elettronico in
grado di decifrare i dati presenti in rete. Dunque, “addio alla carta, addio biblioteche
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con chilometri di scaffali dal pavimento al soffitto.” L'e-book costituisce un'altra
importantissima invenzione che permetterà una diffusione della cultura sempre più
veloce. Molte più persone, grazie prima Gutenberg e all'e-book dopo, possono
avvicinarsi alla cultura. E questo è un grande vantaggio per l'umanità che può
continuare a studiare e a investire risorse affinché si progredisca ancora.
4. L'ANGOLO DELL' AMBIENTE
4.1 IL FUMO DI LONDRA: LO SMOG
Smog, è la fusione di due parole inglesi,
smoke – fumo e fog – nebbia. Ogni
anno circa 3 milioni di persone in tutto
il mondo muoiono prematuramente a
causa dell'inquinamento dell'aria. Lo
dice l'Organizzazione Mondiale della
Sanità (OMS), che punta il dito sui
rischi derivanti dall'accumulo di polveri
sottili. (Secondo l'ISPRA (Istituto
superiore per la protezione e la ricerca
ambientale), ogni anno in Italia
muoiono per questa ragione circa 34.000 persone, vale a dire 100 al giorno. Polmoni,
cuore e cervello sono gli organi più colpiti, ma ne risentono anche le ossa. Più in
generale, la bassa qualità dell'aria può provocare asma, disturbi respiratori, polmoniti,
disturbi cardiovascolari, tumori, osteoporosi e persino la depressione.
Coronavirus e smog: “Meno traffico ma il problema sono meteo e riscaldamenti.”
Poche piogge e molti riscaldamenti accesi in casa hanno contribuito a tenere alti i
livelli di inquinamento. Come mai la riduzione del traffico per l'emergenza Covid non
ha drasticamente ridotto le polveri? Nonostante anche il bollettino Arpav di oggi
attesti allerta zero in tutta la regione, molti hanno osservato che in questi ultimi giorni
le centraline Arpav non hanno rilevato valori bassissimi dell'inquinamento da polveri.
“Il motivo principale – spiega Luca Marchesi, direttore generale dell'Agenzia veneta
– è la stretta correlazione fra polveri e condizioni meteo. Quest'ultimo è comunque e
sempre nel breve termine il fattore determinante e prevale rispetto agli atri fattori
emissivi. Inoltre, più persone a casa significa più riscaldamento acceso. La notizia
positiva è che in primavera le condizioni meteorologiche sono favorevoli a una
dispersione degli inquinanti quindi nel prossimo periodo l'aria dovrebbe migliorare.”
Il coronavirus spaventa anche le polveri sottili!
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5. L’ANGOLO DEL DIALETTO
Per non dimenticare le origini..
Pur essendo nato a Milano, non so parlare il dialetto milanese. In casa i miei genitori
hanno sempre parlato italiano e anche da parte dei nonni materni, che erano pugliesi,
non si è mai parlato in dialetto, salvo qualche espressione un po' colorita di tanto in
tanto.
Da buon lombardo, non ho inflessioni di alcun tipo, ma poiché sono curioso e mi
piace indagare,in tempi di coronavirus, dedico a tutti gli amici milanesoni, questa
simpatica traduzione dall'Italiano al dialetto meneghino:
Assembramento : Rebelot
Smart working : Laurà da cà
Asintomatico : Al sent nient
Distanziamento socjale : Sta giù de doss
Picco : Sù 'n sum
Dispnea : Al manca al fià
Lockdown : Tut sarà
Pre-triage : Ta ste de fò
Autocertificazione : 'Ndo te vet
Virus : Porcheria
Contaminato : Al l'ha ciapada sù
Quarantena : Sta a cà tua
Il dialetto è l'identità di un popolo. Peccato che non tutti siano capaci di parlarlo. E'
un altro modo di esprimersi, una seconda lingua contrapposta a quella naionale.
Esiste ad esempio il dizionario della lingua napoletana, così come quello del dialetto
genovese. Parlare in dialetto,è così bello e divertente, che mi piacerebbe venisse
insegnato a scuola!
Certo quando si sente dire che il passato remoto di sapere, è "io sapei", c'è gente che
non sa neanche cosa sia la grammatica italiana, l'analisi grammaticale o l'analisi
logica. Insomma, non sa l'Italiano! Ora, se non si sa cosa sia un verbo, come si può
pretendere di studiare una lingua straniera???
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6. L'ANGOLO DELLA MUSICA
6.1 IL PIANOFORTE
Lo amo talmente tanto, che quando ancora non
lo avevo, facevo finta che un divanetto di casa
fosse il “mio pianoforte!” Ma chi è stato
l'inventore del pianoforte?
Il primo modello di pianoforte fu messo a punto in Italia da Bartolomeo Cristofori,
padovano cittadino della Repubblica di Venezia alla corte fiorentina di Cosimo III de'
Medici, a partire dal 1698. Era un “gravicembalo col piano e forte”, chiamato verso la
fine del '700 con il nome di pianoforte, piano-forte, ed anche “fortepiano” (come
risulta dalle locandine coeve dei concerti di Beethoven ed altri grandi compositori
dell'epoca in cui il pianoforte andò affermandosi). La novità era l'applicazione di una
martelliera al clavicembalo. L'idea di Cristofori era di creare un clavicembalo con
possibilità dinamiche controllabili dall'esecutore; nel clavicembalo, infatti, le corde
pizzicate non permettono di controllare la dinamica (anche per questo pianoforte e
clavicembalo non appartengono alla stessa sottofamiglia). Il pianoforte in Italia fu
apprezzato soprattutto dal compositore Benedetto Marcello.
L'idea, molti anni dopo, si diffuse in Germania, dove il costruttore di organi Gottfried
Silberman, nel 1726, ricostruì una copia esatta del pianoforte di Cristofori e la
sottopose al parere di Johann Sebastian Bach, che ne diede un giudizio fortemente
critico; successivamente, probabilmente a seguito dei miglioramenti tecnici apportati
da Silderman, Bach favorì la vendita di alcuni pianoforti del costruttore, come risulta
da un vero e proprio contratto di intermediazione firmato nel 1749. I pianoforti di
Silberman piacquero molto a Federico II di Prussia che ne comprò sette a 700 talleri
(secondo la testimonoanza di Johann Nicholaus Forkel Federico acquistò negli anni
più di 15 pianoforti Silberman).
Nel 1739 un allievo di Cristofori, Domenico Del Mela, concepì e costruì il primo
modello di pianoforte verticale, usando come modello il clavicytherium e seguendo le
idee e i progetti del proprio maestro. La cassa, posta al di sopra della tastiera, è
modellata in modo da non seguire la curva del ponticello: si allarga verso l'esterno in
prossimità della sua parte superiore, conferendo al pianoforte una forma a giraffa. Nel
1928 il pianoforte fu ceduto da Ugo Del Mela, discendente dell'inventore, al
Conservatorio Luigi Cherubini ed è conserato presso il museo degli strumenti
musicali di Firenze.
Nel frattempo, nella bottega Gottfried Silbermann si formò Johann Andreas Stein che,
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dopo essersi reso indipendente, perfezionò ad Augusta, in un proprio stabilimento, i
sistemi dello scappamento e degli smorzarori. Nel 1777 ricevette la visita di
Wolfgang Amadeus Mozart, entusiasta delle infinite possibolità espressive dello
strumento. I figli di Stein si traferirirono a Vienna, dove crearono una fabbrica di
pianoforti.
In Italia, tra quelli che si dedicarono alla costruzione dei pianoforti (in precedenza
tutti costruttori de clavicembali) nel periodo napoleonico e della Restaurazione, fu
degna di fama la famiglia Cresci, di origine pisana, trasferitasi nella seconda metà del
Settecento a Livorno. Il musicologo Carlo Gervasoni, nella sua opera Nuova Teoria di
Musica, ricavata dall'odierna pratica, ossia del 1812, menziona i pianoforti Cresci
come paragonabili in qualità e sonorità agli Erard francesi, che andavano per la
maggiore a Parigi ed erano molto apprezzati da Franz Liszt.
La meccanica dei Cresci era di tipo viennese, cioè del tipo dei pianoforti di Joseph
Bohm, Conrad Graf e Johann Schantz. La scuola viennese era la più importante tra
gli ultimi decenni del '700 e i primi dell''800.
Non fu un caso che Mozart, Beethoven, Haydn, tutti legati a Vienna, sviluppassero
per primi le incredibili potenzialità del nuovo strumento. Quello che frenava la
diffusione del pianoforte nascente era il suo altissimo costo, per cui esso andò
affermandosi solo nelle corti reali, nei palazzi governativi e nei saloni delle principali
famiglie nobili. Inoltre il suo livello sonoro non era neppure paragonabile all'attuale e
questo permetteva il suo uso solo in salotti o saloni di dimensioni relativamente
contenute.
Fu in epoca romantica, dal 1840 in poi, che l'utilizzo di strutture rigide metalliche
all'interno (in precedenza i pianoforti erano quasi tutti interamente in legno), con
funzioni di telaio, consentì l'incremento della sonorità, grazie a più corde con tensioni
maggiori e casse armoniche più grandi (ed andarono affermandosi i “coda” e “gran
coda”, che all'epoca andavano da 220 a 260 cm). E anche il peso passò da 180-200 kg
(struttura interamente in legno) ai 300-400 (strutture in ferro), sino ai 600 ed oltre di
inizio '900 (strutture in ghisa). Questo incremento della potenza sonora, consentì l'uso
del pianoforte nei grandi teatri o nelle sale da concerto, ma trasformò profondamente
la sua qualità sonora.
Il pianoforte attuale, apparso sul finire del XIX secolo, ha ben poco della timbrica
originale d'inizio '800. Oggi è molto diffuso chiamare “fortepiani” gli strumenti
costruiti sino al 1870, a causa della grande diversità della struttura e quindi della
timbrica rispetto al pianoforte attuale. Tuttavia, non è sempre facile distinguere
nettamente tra l'uno e l'altro tipo, perché non si tratta di strumenti diversi, ma di uno
strumento che si è gradualmente evoluto; all'epoca non si avvertì mai un vero
momento di stacco nel passaggio dal fortepiano al pianoforte moderno, come si
desume da documenti e testi.
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I primi pianoforti verticali, più economici e meno ingombranti, furono creati, forse,
nel 1780 da Johann Schmidt di Salisburgo e nel 1789 da William Southwell di
Dublino. I costruttori francesi più famosi, Sébastien Erard e Ignace Pleyel, furono i
più grandi produttori di pianoforti dell'Ottocento. L'Erard, in particolare, era uno
strumento di relativamente grande potenza sonora e di suono deciso (potremmo dire
“più moderno”), che dava particolare risalto espressivo. Franz Lisz ne fece il suo
preferito. Ad Erard si devono moltissime invenzioni e perfezionamenti, tra cui quella
del doppio scappamento. Il Pleyel invece aveva una grande dolcezza e pulizia sonora
ed era relativamente più faticoso e difficile da suonare, perché permetteva molte
sfumature interpretative ed aveva una maggiore sensibilità. Era il pianoforte
romantico per eccellenza.Chopin ne fece il suo preferito (sebbene si narri che, quando
era stanco, suonasse l'Erard, perché il Pleyel “gli chiedeva troppo”). Nel 1861 i
torinesi Luigi Caldera e Ludovico Montù inventarono il melopiano, un pianoforte
dotato di motore con carica a manovella. All'inizio del XX secolo la Steinway & Sons
di New York ma con maestranze esclusivamente di origine italiana, brevettò il
pianoforte con telaio in ghisa e divenne il maggior produttore mondiale di pianoforti
di qualità nel Novecento.
…“Stretta la foglia e larga la via, avete detto “la vostra” e io vi dico “la mia”
Ho sempre avuto una passione istintiva per il pianoforte! Un talento innato per la
musica, che avrebbe avuto bisogno di un approfondimento per manifestarsi. Avevo
quattro anni quando mio padre, acceso verdiano, mi portò per la prima volta al
museo della piccola Scala di Milano: Fu lì, che ammirando un ritratto di Giuseppe
Verdi, rimasi letteralmente “stregato”. C'erano tra gli altri cimeli del maestro esposti
in bacheca (il cappello a cilindro, la sciarpa, e il bastone da passeggio), due
pianoforti “gran coda”, mentre, nascosta da un siparietto, si riusciva a scorgere una
spinetta con la targa “Non Toccare”... Ma la curiosità di un bambino è irrefrenabile!
Lasciai la mano di mio padre, e corsi verso la spinetta. Ne sollevai il coperchio, e,
con grande meraviglia del mio papà, accennai le prime note del “Brindisi” da LA
TRAVIATA. (Mio padre mi raccontò poi, che su quella spinetta aveva studiato
Giuseppe Verdi). Il guardiano del museo, lì a controllare che tutto fosse a posto, in
segno di complicità mi fece l'occhiolino, e, scambiando due parole con mio padre, gli
consigliò di farmi studiare il pianoforte. Purtroppo, per ragioni diverse, non ho
potuto sfruttare al meglio questa occasione e, non sapendo come conciliare il profitto
scolastico con lo studio del pianoforte, ho dovuto arrendermi. Fu un vero peccato!
Perchè se “tradisci” il pianoforte, il pianoforte “tradisce” te! Per fortuna, non è
successo a me!
I pianisti più bravi in assoluto: Non vorrei essere “blasfemo,” ma per me
rappresentano la “Santissima Trinità Pianistica di musica leggera”: sono il maestro
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Dino Siani, Pino Calvi e Renato Carosone. Tre virtuosi del pianoforte, ognuno
diverso dall'altro. E poi, c’è il mio maestro, Eugenio De Luca…
Ho avuto il piacere d'incontrare e conoscere il maestro Dino
Siani il 25 luglio del 1979. Dopo un lungo rapporto
epistolare, ci siamo incontrati allo Skiper, un pianobar di
Cavi di Lavagna – in Liguria – oggi diventato una discoteca,
a strapiombo sul mare (è stato amore a prima vista!). Dino
Siani – che purtroppo è venuto a mancare nel 2017 – aveva
un sorriso contagioso come lo sbadiglio, era giovane e bello
e sapeva suonare il pianoforte con uno stile unico e
inconfondibile. “Io so tutto, e forse qualcosa di più, e suono
il pianoforte in maniera “evangelica!” La mano destra non
sappia quello che fa la sinistra”, dice Gesù nel vangelo di
Matteo... “Io suono il pianoforte così...ce l'ho incorporato!” Aveva un tocco magico,
i suoi accordi – melodici e armonici – erano corposi e, per così dire “caldi”. E' stato
un pianista “leggero”, dall'impronta classica. (Del resto, un pianista che è stato
allievo di Arturo Benedetti Michelangeli, non poteva essere diverso).
Pino Calvi – grande amico del maestro Siani – era il
cesellatore del pianoforte. Pianista e direttore d'orchestra, i
suoi arrangiamenti erano un ricamo e il pianoforte, il telaio
dove il maestro sapeva tessere le più dolci melodie. Autore di
celebri sigle di programmi televisivi, e di musiche per
sceneggiati, era di Voghera.
“Quando la musica diventa arte”, è stata una manifestazione
organizzata a Milano dalla pittrice Alessandra Castiglioni. Le
musiche di Dino Siani e di Pino Calvi – come per magia – si
sono trasformate in mervavigliosi quadri: “Un'esperienza
indimenticabile!”
Renato Carosone, è stato l'ultimo dei miei incontri fortunati. L'ho conosciuto nel
1987 al teatro Nazionale di Milano. Quando al termine dello
spettacolo sono riuscito ad incontrare il maestro Carosone in
camerino, gli ho chiesto una foto con autografo. Lui mi ha
guardato sorridendo e mi ha detto:”Nun ne teng' cchiù!” Ha
preso dalla toilette un pezzo di carta igienica, e l'ha
autografata!! (Ho conservato quell'autografo) per quanto ho
potuto. Renato Carosone era un eclettico. Conosceva il suo
pianoforte come le sue tasche. Era talmente padrone della
tastiera, da aver composto virtuosismi come “Pianofortissimo”
o “Il gattino sulla tastiera” (ascoltando questo brano, si ha
davvero l'impressione di vedere un gatto correre su e giu per la
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tastiera del pianoforte. “Renà, si nu babbà!”. Gli urlai a gran voce dalla platea. E
lui, di rimando:” E ttu sì 'o sàngh!”. Bei ricordi che mi porto dentro!
Il suo arrangiamentto de “Il piccolo montanaro” - pezzo per piccoli pianisti in erba,
è originale e molto simpatico. Così come della canzone “E la barca tornò sola.”
(Strepitoso!). Con Renato Carosone, La canzone si è vestita di nuovo. Pianista
classico e jazzista, è stato uno dei maggiori autori e interpreti della canzone
napoletana e della musica leggera italiana nel periodo collocabile tra il secondo
dopoguerra e la fine degli anni Novanta, avendo fuso i ritmi della tarantella con
melodie africane e americane, e creato una forma di machietta ballabile adeguata ai
tempi. Gli autori classici: “Beethoven, Chopin, Addinsel, pur essendo stati
arrangiati con un ritmo “pazzesco,” non hanno perduto nulla della loro originale
bellezza: Per Elisa, Il grande valzer, il Concerto di Varsavia, sono suonati in modo
molto personale e cioè, “Pianofortissimamente!!”.
Un accenno autobiografico.
Qualche anno fa, poteva essere il 2016, navigando in internet ho trovato l'indirizzo e-
mail di Eugenio De Luca, il mio “primissimo” insegnante di pianoforte. E' stata
un'emozione indescrivibile! Avevo incontrato il maestro De Luca una prima volta a
sorpresa, parecchi anni or sono, a Santa Margherita Ligure, dopodiché non ci siamo
più rivisti.
Nel 1954 Eugenio De Luca era un giovane pianista di 24 anni, che accettò
bonariamente di prendersi cura di me. Con lui ho imparato a conoscere il
pentagramma, le note musicali e il loro valore, la chiave di Sol e la chiave di basso.
Mentre imparavo a solfeggiare, il metronomo sul pianoforte scandiva il tempo. Mi
sembrava tutto un po' noioso. Io volevo subito suonare! Do, Re, Mi, Fa, Sol, Sol,
Do:”Con che gioia suonerò!”Un motivetto semplice e allegro, fu il mio primo
approccio con quello che, con il tempo, sarebbe diventato il mio più grande amico:
“Il Pianoforte”. Ero un bambino di sette anni appena. Eugenio De Luca, giovane
promessa della musica classica, era un pianista molto richiesto e impegnato in varie
tournée in giro per l'Italia e l'Europa, e non aveva più tempo per ne. Fu così che,
ahimé, dovetti abbandonare lo studio del pianoforte.. fu per me una delusione
cocente!.
A oltre sessant'anni di distanza, Eugenio De Luca ed io ci siamo incontrati a Rapallo
in occasione di un concerto presso il Teatro Comunale della città. E' stato un
ritrovarsi molto toccante! Nel teatro c'era un pubblico di appassionati perlopiù
anziani, e quando il maestro mi ha presentato alla sala ha esordito dicendo: “Questo,
signori, è stato il mio primo allievo!” Stavo male dall'emozione! Il maestro De Luca
– classe 1930 – dagli anni Ottanta è concertista dell'Accademia Culturale di Rapallo
ed insegnante di pianoforte presso l'Accademia Musicale Genovese, ha 90 anni, e
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tutt'ora si esibisce.
Dicono di lui...
”Grande successo del concertista Eugenio De Luca che con sapienza ha saputo unire
alla bravura tecnica una meditata interpretazione. Il programma del recital
pianistico di Villa Cambiaso di Savona a favore dell' UNICEF comprendeva musiche
di Bach, Chopin, Liszt, Rachmaninov e Ravel” (da “Il Letimbro”- Settimanale
d'informazione – Savona – Sabrina Bianco).
“Successo del pianista Eugenio De Luca. Numeroso il pubblico e molti gli applausi.
Ha eseguito una originalissima sonatina di Bartok, un tema con variazioni di Weiner
ben sviluppato e pianisticamente di notevole difficoltà e poi “Il mago” Listz che ha
dato la misura delle possibilità dell'esecutore, il quale ha dovuto concedere un bis
con uno studio di Copin...” (da Il Secolo XIX”).
“Un successo il ciclo dei concerti del Circolo “Amici di Santa Margherita Ligure e
del Tigullio”. Nella cornice di Villa Durazzo ha proposto al numeroso pubblico il
recital del maestro Eugenio De Luca che con gusto e accuratezza ha restituito uno
dei primi capolavori suonatistici beethoveniani, quell'opera sette così ampia e già
complessamente strutturata...” (da Il Giornale”).
...”Il De Luca ha dato prova di un ben misurato senso pianistico e notevole tecnica.
E perdipiù sa quel che suina. Il pubblico gli ha tributato calorosi applausi”.(La
Stampa).
”Il suo concerto ascoltato nella Villa Durazzo ho già definito “formidabile.”
Particolarmente la chopiniana opera 22 – da me sentita e risentita da Arturo
Benedetti Michelangeli – ha suscitato intensa e costante ammirazione, direi quasi
stupore per la potenza, la vivacità, la nitidezza. Il “bravo” che ho esclamato è
meritatissimo. Ignoravo che qui a Rapallo dimorasse un simile pianista...” (Tullio
Macoggi – compositore).
Posso dire una parola? Mi pento di non aver approfondito i miei studi musicali!
“Bravo maestro De Luca!” Lo dico anch'io e con una punta di orgoglio. Ho avuto il
privilegio di averti come insegnante di pianoforte, e mi emoziona profondamente
leggere tutti questi apprezzamenti su di te. Con la speranza di poterti incontrare e
ascoltare ancora, mi accontento di ascoltare e apprezzare il tuo vasto repertorio
classico. Grazie di cuore!
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6.2 80 VOGLIA DI MINA!
MINA è sempre stata la mia cantante preferita. Di lei ero e sono un vero “fanatico!”
Ma cosi fanatico, che da ragazzino – nel '60 avevo 13 anni – andavo a letto con le
copertine dei 45 giri sotto il cuscino! Ricordo che alle medie, c'era una ragazza che
era la sosia di Mina: così somigliante, da sembrare la sua gemella. Tale e quale
persino nel taglio dei capelli! Le stavo dietro come un segugio e siccome lei stava al
centralino della scuola, durante l'intervallo, andavo a trovarla. Ero ancora troppo
ingenuo per fare... “Il provolone!”. Mi accontentavo di guardarla e di parlare con lei.
Il 25 marzo di quest’anno, Mina ha compiuto 80 anni, e in occasione di questo
importante giro di boa, con grande umiltà ma anche con immenso piacere, le dedico
quanto segue.
Ha cominciato a cantare per gioco. Durante un'estate trascorsa a Forte dei Marmi,
sfidata dagli amici sale sul palco del locale la Bussola: non se ne staccherà più, né dal
palcoscenico né dal microfono. Mina Anna Mazzini, in arte Mina, nel 1958 aveva 18
anni ed io 11. Fu un colpo di fulmine. Bella, allegra, sbarazzina e sorridente, stava per
lanciare un nuovo modo di cantare, un nuovo stile musicale. “Tintarella di luna,” era,
secondo me, una canzone all'avanguardia: preannunciava che dieci anni più tardi, ci
sarebbe stato lo sbarco del primo uomo sulla Luna.
I successi degli esordi mi fanno ricordare la canzone “Nessuno,” cantata da Wilma
De Angelis, e completamente “stravolta” nella versione giovane di Mina. “Il cielo in
una stanza”, canzone scritta e cantata da Gino Paoli, che, nella versione di Mina, ha
un altro sapore ed è, a tutt'oggi, un classico della canzone italiana (un arrangiamento
stupendo). Era il 1962, Mina aveva 22 anni. Altre canzoni che sarebbero passate
inosservate, Mina le ha sapute valorizzare: “E se domani” a Sanremo non aveva fatto
niente. Mina l'ha fatta sua, ed è stato subito un successo. Come anche un successo, è
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stata “La canzone di Marinella,” di Fabrizio De Andrè.
Nel 1963 scoppia lo scandalo della gente “per bene:” alla clinica Mangiagalli di
Milano, il 18 aprile, Mina dà alla luce “Paciughino,” Massimiliano Pani, avuto dalla
relazione con Corrado Pani, attore di teatro di grande talento, allora sposato. Date le
circostanze, la relazione con Mina diventa ben presto di dominio pubblico. I media si
appropriano della notizia e continuano a lungo ad aggiungere scoop, dettagli e
supposizioni su questo rapporto di coppia, in chiave molto critica e negativa. Ho
sempre davanti agli occhi la foto di Mina in clinica, che tiene tra le braccia
Massimiliano appena nato. Ma in seguito alla sua nascita, la storia con Corrado entra
in crisi, complici gli impegni di lavoro di entrambi e i conseguenti lunghi periodi di
lontananza fra i due. Presto ha una nuova relazione con il compositore Augusto
Martelli, con cui convive per diversi anni. Risale al 1970 il primo incontro con il
giornalista romano Virgilio Crocco. I due si erano conosciuti nel camerino della
cantante dopo un'esibizione a Terni ed era scattato subito in loro il classico colpo di
fulmine, soprattutto per i modi garbati ed eleganti di Crocco. Le nozze arrivano
improvvise il 25 febbraio 1970 a Trevignano Romano, sul lago di Bracciano, ma gli
impegni professionali dividono subito gli sposi. I due, probabilmente proprio per
motivi lavorativi, non vivono insieme, e dopo non molti mesi il matrimonio naufraga.
Erano già separati quando l'11 novembre 1971, sempre alla clinica Mangiagalli di
Milano, Mina dà alla luce, con circa tre settimane di anticipo, la sua secondogenita
Benedetta. La cantante rimane comunque in buoni rapporti con suo marito, fino alla
sua morte, avvenuta l'8 ottobre 1973 a La Crosse, nel Wisconsin, investito da
un'automobile, in circostanze mai chiarite.
Dopo la nascita di Benedetta, Mina inizia a frequentare Alfredo Cerruti, discografico
napoletano e membro del gruppo satirico-demenziale degli Squallor. La loro
relazione dura circa tre anni. Sul finire degli anni Settanta reincontra un amico di
vecchia data, Eugenio Quaini, cardiochirurgo cremonese di diversi anni più giovane;
con lui inizia una nuova e lunga relazione. Nel frattempo Mina aveva acquisito nel
1989, la cittadinanza svizzera, pur mantenendo quella italiana, e quando il 10 gennaio
2006 lei e Quaini si sposano, prende il cognome del marito secondo le consuetudini
elvetiche. Mina rimane comunque legata al suo cognome da nubile, come dimostrato
anche dalla scelta del nome del suo sito ufficiale. In seguito al matrimonio rimane a
vivere a Lugano. E' nonna dei due figli avuti dal suo primogenito Massimiliano: Axel
ed Edoardo, nati rispettivamente nel 1986 e nel 2004. Il 9 maggio 2018, Mina diventa
bisnonna di Alma, primogenita di Axel.
Mina con la sua voce può fare ciò che vuole. La sua estensione vocale le consente di
arrivare alle tonalità più alte senza sforzo e senza “steccare.” E' brava, come il titolo
di una sua canzone virtuosa, in realtà scritta e arrangiata per il sax. Per quanto possa
sembrare strano, Mina non voleva fare la cantante. Non canta mentre cucina e
nemmeno sotto la doccia, ma solo in sala di registrazione.
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Per cercare di incontrarla mi sono fatto accompagnare a Lugano da un amico. Sono
andato a vedere una sua mostra fotografica a Milano (era il giorno del suo 50°
compleanno). Ricordo che all'epoca, ero in compagnia di Enrica – la mia dolce metà
di allora – e le proposi di comprare l'intero album fotografico di Mina ritratta in tutte
le più originali caricature. Costava 50.000 lire, e per tutta risposta, mi arrivò un calcio
in uno stinco. Sapendo che il marito di Mina, il cardiochirurgo dottor Quaini, operava
all'ospedale Niguarda di Milano, sono persino andato là per vedere se potevo parlare
almeno con lui. Ma senza successo. A parte tutto, quello che mi piace di Mina è che
ama la vita, le piace bere, mangiare, ridere, scherzare e addirittura giocare a carte. A
scopone scientifico non la batte nessuno! E' una persona semplice e alla mano che
odia i convenevoli, le cerimonie.
“Lavorare con Mina è meraviglioso perché lei si mette al microfono e canta una
volta sola. Ed è sempre buona la prima. E' precisa e corretta, ma anche molto pigra,
come ha sempre ammesso.” (Paolo Limiti)
Ama leggere Topolino e Paperino, personaggi di Walt Disney, che trova meravigliosi
e rilassanti. E' memorabile l'intervista con Mario Soldati, provocatoria ed ironica,
che le chiedeva se avesse mai letto un libro. “Mi piace Paperino, questo papero così
disgraziato e sfortunato! Poi, anche se volessi leggere, non ne ho il tempo!”. Legge
molto, e le piacciono i libri di fantascienza.
Quando scrive, ha una bella calligrafia. E quello che scrive non è mai banale: “Sto
fatto che dietro un grande uomo ci sia una grande donna mi sembra una gran
cretinata. E' la solita storia che puzza di mancia, di gratifica natalizia, di carità, di
“bel gesto” nei confronti di noi donne, esseri inferiori. Io mi sono rotta. E dietro una
grande donna c'è sempre chi o che cosa? Solo se stessa, temo!”... Una volta
rispondendo a una lettrice tradita, ha scritto questa frase: “Siamo delle povere cose
esposte al vento della stronzaggine.” “Non è la nostra natura. Non l'abbiamo nel
DNA la capacità di rispettare le file, di parcheggiare le macchine solo nei posti
consentiti, di rispettare i parchi e le strade! Quello che, invece, ci caratterizza, è il
mettere in pratica il volgare “lei non sa chi sono io!” In una serie di arroganze
quotidiane che sono il piedistallo su cui elevare la nostra meschinità. Ma se fosse
solo questo, non sarebbe neanche gravissimo. E' quell'arietta di farlo con l'amicizia
che non esiste, dato che siamo pronti a tagliare la gola per il nostro tornaconto, che
mi strema e mi fa sorridere! Ma tant'è. Siamo tutti poeti, artisti, santi e navigatori.
Siamo dei geni. Viva l'Italia!” Mina VANITY FAIR 2012.
Se non avesse fatto la cantante, avrebbe voluto fare il medico: a 36 anni voleva
iscriversi a medicina.
“Vorrei smettere di fumare...in realtà smetto di fumare ogni venti minuti, ahimè...”
“Ho paura solo di una cosa. Del buio. Siamo una famiglia di fifoni: anche mia madre
e mio figlio hanno paura del buio. Dormiamo con la luce accesa. “Non seguo la
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moda: compero soltanto le cose che mi piacciono. E mi piacciono moltissimo le
scarpe, anche quelle coloratissime; mi piacciono gli abiti sportivi; gli abiti lunghi, da
sera, nei quali, però, non mi sento mai completamente a mio agio; le parrucche che
non metto mai.”
In “Nuda” di Don Backy cantava: “Sono qui radiografata
Sono nuda anche vestita
Di me sapete tutto
Forse più voi di me.”
I versi di questa canzone danno la misura di quanto Mina fosse stanca del pubblico,
del clamore, del gossip sulla sua vita privata. Da più di 40, dall'agosto del 1978, non
compare in pubblico. Eppure Mina, che dal 2001 è stata nominata Grande Ufficiale al
Merito della Repubblica da Carlo Azeglio Ciampi, è sempre rimasta presente.
Nata a Busto Arsizio, ma legata per tutti a Cremona, ora compie 80 anni. Un
compleanno speciale che passerà come sempre in maniera riservata, ma che per gli
appassionati di tutto il mondo è un giorno di festa.
Ha inciso canzoni in inglese, spagnolo, tedesco, giapponese, francese, ha coperto un
repertorio che va da Napoli a Frank Sinatra, dal pop al rock'n roll, dalla canzone
d'autore all'Opera, alle canzoni di Natale. E' diventata anche un fumetto Disney e le
sue canzoni continuano ad essere tra i pezzi più ricercati dai collezionisti. Negli
ultimi anni dà sempre più spazio al suo amore per il jazz, in questo assecondata dal
figlio Massimiliano Pani, che la circonda costantemente di alcuni dei migliori jazzisti
italiani. Il suo catalogo continua a produrre cifre imporranti, Liza Minnelli l'ha
definita la più grande. Quello di Mina è un repertorio sconfinato e raffinato, “Le mille
bolle blu”, anno di grazia 1961, “E se domani,” “Grande grande grande,” “Ancora,
ancora. Ancora,” “L'importante è finire,” “Non credere” sono alcuni titoli dei brani
che l'hanno resa famosa e irraggiungibile.
Louis Armstrong definì Mina “la cantante bianca più grande del mondo.” Liza
Minnelli l'ha definita “la più grande.” Pare, che per la paura dell'aereo, Mina rifiutò
un invito di Frank Sinatra. Il rapporto tra Mina e Sinatra ha origini lontane: nel 1973
Sinatra telefonò a Mina, chiedendole di diventare la nuova “The Voice.”
Il grande Frank (Ol'Blue Eyes), l'aveva sentita più volte cantare, aveva avuto modo di
ascoltare alcuni suoi successi. Mina, pur se non conosciutissima dal pubblico
americano, era molto apprezzata nell'ambiente discografico. Fu per questo che Frank
chiese a Mina di continuare a portare in giro per il mondo i suoi successi, da “My
way” a “You make me feel so young” ,da “I've got you under my skin” a “Strangers
in the night.” Un'offerta faraonica con tanto di assegno in bianco, casa a Manhattan e
possibilità, concreta, di diventare la popstar più famosa del mondo: Sinatra, infatti,
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prima di dare l'addio alla canzone avrebbe presentato al pubblico Mina come sua
unica erede musicale al mondo. Ma Mina rifiutò: dopo essersi recata più volte a New
York, decise che quella non era la sua vita. Troppo stress, troppo clamore, troppe luci
della ribalta. “Probabilmente si spaventò – ricorda Massimiliano Pani – anzi, mia
madre si ammalò fisicamente, tanto era angosciata dall'idea d'intraprendere una
carriera “americana”, stare nove mesi all'anno negli Stati Uniti, una scelta che
avrebbe probabilmente fatto la felicità di molti ma non di mia madre.” E così, dopo
una lunghissima trattativa, Mina decise di rinunciare al sogno americano e all'idea di
raccogliere l'eredità di “The Voice.” Mina decise di inviare una lettera a “The voice”
tramite “Liberal,” il settimanale con cui a quel tempo lei collaborava.
“Questa è una lettera d'amore. Anche se non lo conoscevo personalmente, anche se
cerco di svincolare il talento e la voce dal corpo, dalla mortalità dell'uomo, anche se
so che quello che mi ha dato fino ad oggi lui continuerà a darmelo per sempre, non
riesco a controllare un vago senso di nausea, un piccolo dolore alla bocca dello
stomaco. Non sentirete mai più cantare così. Questa è una delle rarissime occasioni
in cui sono felice di fare, anche se indegnamente, la cantante, cioè il suo stesso
lavoro. Ne sono felice perché sono in grado di capire quando prende un fiato e
perché, quando rompe la voce e perché, quando decide di allungare una nota fino a
caricaturarla, perché sono in grado di capire come divide, godere dello swing
morbido ma inesorabile che esprime persino quando parla. Perché riconosco la
grandezza nel salvare canzoni mediocri.
Per quel timbro di voce che ti fa morire di piacere, che ti obbliga a sorridere e che ti
procura dei piccoli mancamenti, come quando sei davanti a un quadro del
Caravaggio. Perchè sono in grado di riconoscere che le note le mette tutte al posto
giusto e solo quello, né un sedicesimo prima né un sedicesimo dopo. Ascoltate i suoi
dischi, non ascoltate quelli che parleranno dei suoi amori, delle sue amicizie, dei
suoi legami con gente di malaffare; direi addirittura di non guardare i suoi film,
anche se qualche volta è stato grande anche come attore. Ascoltate i suoi dischi, tutti.
Perché no, anche “Strangers in the night” oppure “My way” che secondo me lo
rappresentavano meno; sì, insomma non erano delle gran belle canzoni, non erano il
suo specifico, anche se sono quelle che hanno venduto di più. Ascoltate tutti quei
pezzi favolosi con Billy May e Nelson Riddle e con Don Costa. Fate un piccolo
investimento di denaro in qualcosa di irripetibilmente unico, comprate tutta la sua
produzione e pian pianino ascoltatela. Ascoltate tutti gli album: “Come swing with
me”, “Come dance with me,” e cento altri, ma soprattutto, se avete come me
un'indole un pochino malinconica, “Only the lonely,” inarrivabile, perfettissima,
drammaticamente struggente raccolta di ballad in cui lui è assoluto imperatore.
Non ascoltate gli inevitabili, miseri chiacchiericci sulle mogli, sui figli o, peggio
ancora, sull'eredità. Ascoltate lui, ascoltatelo soltanto; perché che cosa si chiede a un
essere umano più che cantare come un angelo? Nel pezzo che conclude “Trilogy”
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dice: “E quando la morte verrà a tirarmi la manica della giacca, starò cantando
mentre me ne andrò.” Ed è quello che ha fatto. Stava cantando ancora quando il
fiato, l'età e la salute dicevano che non era più il caso. Lui stava cantando come
voleva fare sempre. E ancora faceva dei miracoli con quello strumento incantatore
fatto di carne, di sentimento, di altissimo talento, di amore insomma. Se quella
grande porta dorata sopra tutte le nuvole e sopra tutti i nostri pensieri esiste
davvero, per aprirla per lui questa volta ci sarà proprio Dio in persona. Perché così
si canta solo in Paradiso”. Mina
Ho voluto riportare per intero questa lunga lettera di Mina a Frank Simatra, perché,
leggendola, mi è venuta la pelle d'oca. Mina non è soltanto la cantante per eccellenza,
lei, secondo me, è “La Divina!” Come Greta Garbo per il cinema e Maria Callas per
l'Opera lirica. La possono chiamare come vogliono. Iva Zanicchi è “L'aquila di
Ligonchio,” Milva “La pantera di Goro”, fatto sta che “La tigre di Cremona,” è
solamente lei: Mina, Mina, Minona!
80 anni di vita e oltre 60 di carriera. Lei però, contravvenendo a tutti gli stereotipi,
non è una “vecchia gloria” da esibire nei programmi televisivi (cui del resto non
partecipa più da tempi non sospetti) ma una grande interprete contemporanea, che
trasforma in oro tutto quello che sceglie di cantare. Merito delle sue doti vocali
superlative, a cui è impossibile dare un'età, ma anche frutto di un pensiero lucido e
coerente, la capacità di rinnovarsi e aggiornare di continuo il repertorio, proseguendo
a giocare “in assenza”.
E ve li ricordate Mina e Celentano? Un magnifico duo della musica italiana che
periodicamente confeziona brani inediti. Ricordo che Brivido felino, del 1998, riuscì
a vendere un 1.600.000 copie. Un record mai eguagliato da nessuno!
Trasformati in cartoni animati – lei nel ruolo della
“fatale” Pennutella, lui nel bubero Destino Solitario –
cantano in dialetto pugliese il loro ironico e litigioso
menage. Accade nel coloratissimo videoclip di “Che
t'aggia dì”, canzone tratta dal bestseller “Mina
Celentano” l'album – evento dell'annata discografica
italiana, dall'alto delle sue 900.000 copie vendute.
Ma c'è di più. Perché nel nuovo progetto il Molleggiato
e la Tigre stanno studiando un'apposita app per
smartphone e tablet e altre piattatorme tecnologiche.
Insomma, il progetto ha un sapore vintage ma guarda al presente. E' al passo coi
tempi.
Chi la conosce bene e la frequenta da anni per lavoro, assicura che nella vita
quotidiana Mina ama scherzare (come fingersi la segretaria di suo figlio quando lo
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cercano al telefono) e rilassare l'atmosfera dello studio portando da casa ottime torte
fatte con le sue mani per tecnici e musicisti. Canta in qualunque posizione e “non se
la tira mai,” al contrario di tanti personaggi dello spettacolo molto meno dotati di lei.
Come se si sentisse più donna che cantante, perché, come sottolinea a volte, “il canto
è la seconda cosa nella mia vita, ”La prima, appunto, è la mia vita.”
Anche se non ha mai aspirato al ruolo di modella, Mina, fin da ragazza ha sempre
avuto un rapporto stretto con la moda, seguendo quella del momento e adottando
look, make-up e acconciature che le sue coetanee, vedendola in tv, cercavano di
imitare. Crescendo, ha cominciato a giocare in modo più ironico e provocatorio con
la propria immagine, stravolgendola e segnando l'immaginario collettivo, 20 anni
prima di Madonna e 30 prima di Lady Gaga. Facendo cose che a loro volta hanno
influenzato la moda: dai mitici Carosello Barilla, agli spot nel festival di Sanremo.
Dal 1978, anno del ritiro, questo corpo a corpo sempre più studiato con l'immagine è
continuato attraverso le copertine dei suoi dischi pubblicati puntualmente ogni anno e
premiati in classifica. I suoi occhi magnetici e l'ovale del suo viso, sotto le mani di
fotografi creativi come Mauro Balletti, ha assunto via via diversi aspetti: vampiresco,
barbuto, fumettistico, alieno... Fotomontaggi come la torta copri-capo di compleanno
(per l'album Ridi pagliaccio), il culturista (Rane supreme), la treccia-proboscide
(Bula Bula) o quella ricorrente dello specchio (Maeba) hanno fatto il giro del mondo
e continuano a stupire.
La scelta di fondare già nel 1967, insieme con il padre Giacomo, la propria etichetta
per produrre e distribuire in autonomia i dischi, ha spinto Mina a raccogliere intorno a
sé le migliori risorse umane e tecnologiche del momento. Del primo studio, chiamato
“La Basilica” perché realizzato in una chiesa sconsacrata di Milano, sopravvivono
nell'ultima sala di incisione di Lugano attrezzature analogiche perfettamente
funzionanti. Come lo Studer, un registratore a nastro a 24 piste, in grado di restituire
un suono più caldo di quello digitale che fa tuttora la differenza.
Cara Mina, amica mia, grazie di esistere! Grazie per non averci mai abbandonati del
tutto. Tu sei “nata libera,” e così, a un certo punto hai detto: “Non gioco più, me ne
vado, non gioco più, davvero!...” “Preferisco un contratto a vita con la mia famiglia
che con la tuvù, il rapporto col pubblico vive con i miei dischi.”… Così è se vi pare.
Mi piace ricordare quando c'era STUDIO UNO e il sabato sera era dedicato al
varietà. Tra i tuoi ospiti hai avuto stelle di prima grandezza, come Totò, Alberto Sordi
e Marcello Mastroianni. Hai cantato con Raffaella Carrà e le Gemelle Kessler.
Tra i tuoi dischi più belli c'è “MINA CANTA LUCIO”, con le più belle canzoni del
grande Lucio Battisti: un vero capolavoro! “Emozioni,” cantata duettando con lui, è
qualcosa di grande, grande, grande! Le tue canzoni fanno parte del nostro DNA:
“Città vuota,” “Se telefonando,” “Vorrei che fosse amore”… Pensa che quest'ultima,
ho avuto il coraggio di cantarla persino io! Nello studio di registrazione di Gianni
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Bobbio, e sotto la supervisione del maestro Dino Siani (grande pianista e mio
grandissimo amico di vecchia data). E mentre la cantavo, ti pensavo.
Ora ti domanderai come faccio a sapere tutte queste cose su di te. Beh, mi sono
documentato! Te lo dovevo. E’ il mio regalo per il tuo compleanno, anche se so che
non ami le ricorrenze, ma ti prego, accettalo! Mina, sai qual è il mio sogno nel
cassetto? Poterti un giorno incontrare, vedere da vicino in carne ed ossa. “Live,” dal
vivo. Potrei svenire dall'emozione! Ma come si dice, “mai dire mai.” “I sogni son
desideri...” Ed è molto probabile che il mio rimanga solamente un desiderio
irrealizzabile, un sogno destinato a rimanere tale. Che dire di più! Se me lo concedi,
una parola ancora ce l'avrei: non possiamo dimenticare Lelio Luttazzi. Sono lontani i
tempi di “Una zebra a pois,” o... “Bum, ahi, che colpo di luna!” Ma quando le sento,
mi ricordo che, a suo tempo, erano le canzoni che gettonavo di più nel juke-box.
Quando a Studio Uno il grande Lelio scandiva il tuo nome, saltavo sulla sedia:
Signore e signori, MINA!! Wow che sballo! Ma per venire a un periodo più recente, ti
dico che “Parole, parole, parole,” “Vorrei che fosse amore,” “Se telefonando,”
“L'ultima occasione”, “Città vuota,” e “Due note,” sono, fra le tante, le canzoni tue
che mi piacciono di più. In ogni modo, tu sei, e resterai il mio anzi, “il nostro mito.”
Di sempre e per sempre.
(Enrico Secchi)
6.3 ADDIO A EZIO BOSSO
Purtroppo, il maestro Ezio Bosso ci ha lasciato, a 48 anni, a causa di una patologia
neurodegenerativa. Personalmente, non lo conoscevo. Mi è stato consigliato da
Piermario, mio grande e fedele amico, anche lui appassionato di musica (quella vera).
Dopo aver ascoltato alcune sue composizioni per pianoforte solo, come per tutte le
cose nuove, ho pensato che la musica di Ezio Bosso non era il mio genere. Non la
capivo, e non mi piaceva. Poi, una sera, facendo zapping con il telecomando, mi è
caduto l'occhio su un titolo:"UNA
SERATA DI MUSICA CON IL
MAESTRO EZIO BOSSO." Il
programma era trasmesso dalla terza rete
RAI.
Quello che subito mi colpì di Ezio
Bosso, fu il suo sorriso. Rimasi incantato
dalla dolcezza della sua voce e dalla
calma che emanava il suo modo di
parlare. Vedevo che, dal profondo del
suo animo, scaturiva una grande gioia, e
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mi sentii felice per lui, e anche per me. In una recente intervista, alla domanda: "Ma
tu, ti senti felice?," Ezio rispose: "Io non ti so dire se sono felice, mi tengo stretti
momenti di felicità."
Ezio Bosso è stato l'artista che ha saputo commuovere e anche far ridere il suo
pubblico. Diceva che della musica non se ne può fare a meno, come dell'aria che
respiriamo: "La musica è una terapia per la società."
"La prima cosa che farò è mettermi al sole. La seconda sarà abbracciare un albero."
Dalla sua casa di Bologna, Ezio Bosso stila i propositi per quando si apriranno le
gabbie. Ezio Bosso è scomparso con la sua grande umanità. Era nato a Torino il 13
settembre 1971 è morto venerdì 15 maggio a 48 anni. Aveva saputo incantare per la
sua musica ma anche per la dignità con cui aveva affrontato la sua malattia, come
testimoniano alcune delle sue frasi più celebri: "La musica è come la vita, la si può
fare in un solo modo: insieme."
7. L'ANGOLO DELLA RISATA
Ridere fa bene alla salute: lo sapevi?
Ridere è liberatorio, afrodisiaco, spiazzante,
esaltante, piacevole e intelligente. Ed è pure
gratis. Ed è tutto oggettivamente vero, perché
una sana risata fa bene alla nostra salute:
rinforza il cuore e il sistema immunitario, fa
bene all'autostima e al rapporto di coppia, e,
inoltre, diminuisce stress e insonnia. Sai che
ridere allunga la vita? Numerosi studi hanno
dimostrato che essere positivi e ridere spesso può aumentare l'aspettativa di vita di 7-
8 anni.
Preoccupazioni, vita frenetica, stress... ahimé, è sempre più difficile trovare un buon
motivo per ridere! Ti ricordi quando è stata l'ultima volta che ti sei concesso una bella
risata, quella che viene dal cuore? Eppure ridere è una cosa seria, perché fa bene alla
salute e scatena delle reazioni benefiche per il tuo organismo. Quando ridi il cuore
batte più forte e i vasi sanguigni si dilatano: tutto il sistema vascolare è stimolato.
Quest'onda che ti pervade si diffonde nell'addome provocando delle comtraziono che
lottano contro la stitichezza e stimolano la produzione dei succhi gastrici e degli
enzimi che favoriscono la digestione. Se la ridarella si prolunga, le tue gambe
diventano molli e perdi il controllo del tuo corpo al punto di farti la pipì addosso! Il
ritmo cardiaco rallenta e la pressione diminuisce. Quindi, se hai problemi di
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ipertensione, non ti trattenere, ridi di cuore!
Io ho riso sempre. A volte, anche quando non c'era niente da ridere. Bastava un colpo
di tosse grassa del nonno, gran fumatore di sigari toscani, che mi sganasciavo fino
alle lacrime! Ma perché, dico io, se qualcuno scivola su una buccia di banana viene
da ridere?
Durante la copiosa nevicata del 1985 a Milano, ricordo che stetti a casa dal lavoro per
due settimane. La coltre di neve bianca e soffice, arrivava alle gionocchia e il traffico
era in tilt. Qualche giorno dopo, la neve ghiacciata faceva scivolare pericolosamente i
passanti. Il mio divertimento più grande era osservare dalla finestra questi
malcapitati, e ridere a crepapelle nel vedere qualcuno cadere. Poveretti! Facevano di
tutto per rimanere in piedi, sembrava camminassero sulle uova...E, ahimé, la caduta a
un certo punto, era inevitabile, e poteva essere anche brutta. E allora, perché mai
ridere delle disgrazie altrui? E' buffo, ma quando si ride in un attacco acuto di
"stupidera," non si pensa mai alle conseguenze di uno scherzo fuori luogo, di una
scivolata o di una caduta fatte male!
Nota informativa: “Si sospende la settimana santa, uscirà solo Pilato perché l'unico
che si lava le mani.”
Proma ci dicevano che il
virus non arriva a un
metro,
poi hanno parlato
di 4 metri, e dopo che
galleggia in aria.
Tra poco ci citofona!
Mi ricordo come se fosse oggi
quando il mio professore di
educazione fisica mi diceva:
"Non combinerai mai nulla nella vita!"
E invece eccomi qui,
sdraiato sul divano a
salvare il mondo.
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Mi ha chiamato la
banca. Ho risposto:
Andrà tutto bene!
Volevo dire una cosa
al postino che stamattina
mi ha messo le bollette
da pagare nella mia
cassetta: DEVI STARE A CASA!!
8. L'ANGOLO DELLE CURIOSITA'
8.1 ANNO BISESTO ANNO FUNESTO? IL CORONAVIRUS E LA
MALEDIZIONE DELL'ANNO BISESTILE.
E' difficile in questi giorni così
drammatici, guardare con distacco i
proverbi che associavano l'anno bisestile
alle peggiori sfortune: “Anno bisesto,
anno funesto,” “Anno bisesto, basta che
passi presto,” e via dicendo. Tradizioni
che si ritengono legate ai cicli della terra
e alle coltivazioni. E ripetere che non vi è
alcuna evidenza scientifica e statistica
non serve a nulla. D'altra parte i nostri
nonni qualche memoria “a sostegno” dei proverbi l'avevano, come il terremoto di
Messina del 1908, o, per restare più vicini, quello nel Belice del 1968 o in Friuli nel
1976. Del tutto inutile elencare i terremoti avvenuti in anni non bisestili, che sono
ovviamente un gran numero. Per sdrammatizzare un po' e cercare di strappare un
sorriso, possiamo ricordare che per la cultura anglosassone quello bisestile è
considerato al contrario un anno fortunato. In Irlanda in particolare chiamano il 29
febbraio il “leap day,” giorno del salto. In quel giorno le ragazze possono chiedere al
fidanzato di sposarle. Secondo alcuni era prevista anche una penitenza per quegli
uomini che decidevano di rimanere scapoli a tutti i costi: dovevano regalare alle
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fidanzate dodici paia di guanti, uno per mese per coprire la mano “orfana” di anello.
Perchè si chiama così?
Bisestile, o bisesto, è una parola di origine latina. Per la precisione dal latino tardo
bisesxtus “due volte sesto,” secondo l'uso romano di contare due volte negli anni
bisestili il sesto giorno prima delle calende di marzo, cioè il 24 febbraio. Calcolo
facile siccome le calende (ricordate la parola calendario con cui abbiamo aperto
questo 2020) identificavano il primo giorno del mese. Quindi accanto a questo sesto
giorno se ne aggiungeva un altro, per questo detto “bisesto.”
La scelta del 29 febbraio
Il calendario giuliano, decisione mantenuta poi in quello gregoriano, ha stabilito che
questo giorno “doppio” cadesse oltre l'ultimo giorno del mese, quindi il 29 febbraio.
L'unica differenza è che il calendario gregoriano, per avvicinarsi sempre di più alla
durata dell'anno solare, introduce un'altra piccola variante: non considera bisestili gli
anni secolari se non siano multipli di 400. Per capirci sono bisestili gli anni 1600/
2000/ 2004...mentre non lo sono gli anni 1700/ 1800/ 1900/ 2100/ 2200 e così via.
La precisione impossibile
Quindi, per avvicinarsi il più possibile all'anno solare ci sono 97 anni bisestili ogni
400 anni. Ma uno scarto rimane lo stesso, pari a circa 26 secondi. Quindi nell'arco di
3.323 anni ci troveremo con un giorno in più. Evenienza di cui si occuperanno, se ne
avranno voglia, i nostri trisnipoti nel 4905.
Un giorno particolare
Il 29 febbraio è stato senz'altro un giorno straordinario. I nati in questo giorno
possono festeggiare il compleanno solo ogni quattro anni, ma potranno consolarsi
facendo parte di una ragguardevole schiera. Tra i tanti, sono nati il 29 febbraio papa
Paolo III (1468, nato Alessandro Farnese), il musicista Gioacchino Rossini (1792), il
pittore francese Balthus (1908).
La prima rivoluzione del 1848
Nella storia non sono molti gli episodi che lo ricordano, ma uno riguarda il nostro
Risorgimento. Il 29 febbraio 1848 Ferdinando II, re delle due Sicilie, accettò che
venisse promulgata la Costituzione palermitana, nel tentativo di placare la rivolta
scoppiata il 12 gennaio proprio a Palermo. Fu il primo episodio in un anno colmo di
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rivoluzioni e rivolte popolari, avviando quell'ondata di moti rivoluzionari che
sconvolse l'Europa e che viene definita primavera dei popoli. La rivoluzione siciliana
portò alla proclamazione di un “nuovo” Regno di Sicilia indipendente, che
sopravvisse fino al maggio del 1849.
8.2 LA SABBIA CHE CANTA
La sabbia che canta chiamata anche fischio o sabbia che abbaia, è la
sabbia che produce suono. Tutto ciò è stupefacente e meraviglioso!
Il suono può essere prodotto dal vento che passa sulle dune o anche
camminando sulla sabbia. Perché la sabbia canti, bisogna che si
determinino certe condizioni.
Marco Polo e altri si sono a lungo domandati: “Perché la sabbia
canta?”
Un nuovo studio ce ne dà un'idea. Quando Marco Polo ne sentì
parlare in Cina, pensò che fossero gli spiriti maligni. Quando i
residenti di Copiapo in Cile, sentirono il vento soffiare da una duna
di sabbia, per le sue raffiche e sibili lo chiamarono El Bramador (il
campanello). Oggi gli scienziati lo chiamano “singing sand”. Quando i granelli di
sabbia si trascinano giù lungo i pendii delle dune producono un suono che si può
sentire per miglia e miglia. Ma come le dune riescano a produrre questo suono, è un
mistero che ancora fa discutere.
Un'altra domanda curiosa e interessante, è come mai dune diverse cantano motivi
diversi, e come possono certe dune emettere anche più di una nota allo stesso tempo.
Un trio di biofisici parigini crede di conoscere la risposta. Non è necessariamente il
movimento delle sabbie negli oceani a determinare l'intonazione della nota – ma la
misura dei granelli di sabbia (il perché è ancora ignoto).
8.3 ALLE PIANTE PIACE MOZART
Secondo una credenza popolare occidentale, parlare alle piante le farebbe crescere
più rigogliose. In Oriente invece, si consiglia di far ascoltare loro la musica, ed è
dando retta a questo suggerimento che Carlo Gigozzi, ex avvocato ora proprietario
del podere “Il Paradiso” di Frassina, a pochi chilometri da Montalcino, ha avuto
l'intuizione: collocare degli amplificatori tra i filari della sua vigna, per diffondere le
opere di Mozart. Dopo poco tempo la vite appariva sorprendentemente più rigogliosa
e l'uva sembrava maturare prima. E' così cominciata una collaborazione con le
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Università di Pisa e di Firenze, dove dal 2006 si
stanno studiando rispettivamente gli effetti delle
onde sonore sugli insetti e quelli sul metabolismo
delle piante.
L'ipotesi dei ricercatori è che le basse frequenze
della musica classica potrebbero sia stimolare la
produzione di sostanze che migliorano il sistema
immunitario della vite, che tenere lontani gli insetti
che le danneggiano. La speranza è quella di poter
ridurre la quantità di pesticidi attualmente
necessaria per proteggere il raccolto.
Anche se le piante non possono percepire la
musica attraverso gli organi di senso come gli
animali, è possibile che "sentano" le onde sonore a
livello cellulare. Questa almeno è l'ipotesi degli esperti di neurobiologia vegetale, una
nuova disciplina che studia la capacità delle piante superiori di ricevere, elaborare e
trasmettere gli stimoli provenienti dall'ambiente esterno e di rispondere modificando
morfologia e metabolismo. Già alla fine dell'Ottocento Charles Darwin ipotizzò che
gli apici radicali delle piante potessero essere una sorta di sistema nervoso che ricve
ed elabora gli stimoli ambientali: umidità, luce, sostanze nutrienti e stimoli tattili.
Oggi sappiamo, stando agli studi in corso dall'Italia alla Cina, che le piante
gradiscono anche la musica.
In un vigneto sudafricano, ad esempio, è in corso una sperimentazione analoga a
quella toscana, mentre in Cina è stato pubblicato uno studio che dimostra gli effetti
benefici della musica classica alternata al canto del grillo sulle piante di ravanello,
anguria e arachide.
Un mondo senza musica è molto peggio del silenzio assordante di queste lunghe e
monotone giornate di sole (oltre al danno, anche la beffa!)
9. L'ANGOLO DELLE CITAZIONI
E ora…”Si volta pagina!”
Buonanotte a chi mantiene un sorriso.
Non dico che sia sempre facile.
Ci sono situazioni che ci preoccupano,
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pensieri cupi che entrano senza chiedere il permesso...
c'è la paura per le persone che amiamo.
Buonanotte a chi però
in qualche maniera resiste
e dispensa sorrisi e gesti di tenerezza.
Benedetto sia quel cuore che, pur tremando,
infonde dolcezza e apre al futuro.
La paura è ladra di vita!
Ma le persone care sono i nostri “pensieri felici” a cui aggrapparci
E Dio dov'è?
E' in Quarantena, è in isolamento, è nelle stanze degli ospedali...
e non lascia soli nessuno.
E' nelle ansie che attraversano il cuore di ogni uomo e donna.
E' nelle lacrime che dicono tutta la nostra preoccupazione.
E' vicino a ogni cuore che in questa giornata non riesce a stare fermo.
E' in ogni casa.
E' in quelle mani che si stringono e si danno forza vicendevolmente.
E' in ogni chiesa...vuota di persone
ma strapiena di preghiere, di desideri e di speranze.
Dio si trova sul volto dei bambini,
nel loro sorriso pieno di luce.
“Non capiscono”... pensiamo noi.
Invece capiscono tutto:
a loro basta avere vicino le persone che amano e da cui si sentono amati.
Non è forse questo il segreto di ogni giornata?
Vi auguro di incrociare e di regalarvi questi sorrisi e questi sguardi,
anche oggi...soprattutto oggi.
Io vi penso: ho la fortuna di avere le chiavi della chiesa
e sono proprio lì, portandovi con me.
Don Achille, parroco di Bussero
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“Un abbraccio è il più bell'abito da donare:
la taglia è unica,
quindi va bene a tutti.”
Si educa con quello che si dice, ancor di più con quello che si fa, ma molto di più con
quello che si è.
Giovanni Falcone
10. L'ANGOLO DELLA POESIA
10.1 IL CANTICO DEI CANTICI
“Mettimi come sigillo sul tuo cuore,
come sigillo sul tuo braccio;
perché forte come la morte è l'amore,
tenace come gl'inferi è la passione:
le sue vampe son vampe di fuoco,
una fiamma del Signore!
Le grandi acque non possono spegnere l'amore
né i fiumi travolgerlo.
Se uno desse tutte le ricchezze della sua casa
in cambio dell'amore,
non ne avrebbe che dispregio.”
Se non fosse stato per Roberto Benigni, non
avrei mai scoperto la bellezza del Cantico dei
Cantici. Noto e popolare per i suoi monologhi,
è così come lo si vede anche nella vita di tutti i
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giorni. Con la sua comicità ironica e dissacrante, è diventato un personaggio pubblico
tra i più conosciuti e apprezzati in Italia e nel mondo.
Le sue interpretazioni cinematografiche e le sue apparizioni televisive mettono in
scena un carattere gioioso e irruente, capace di “sovvertire” il clima dei programmi di
cui è ospite. Tra i numerosi riconoscimenti, l'Oscar al miglior attore conseguito nel
1999 per l'interpretazione nel film – da lui stesso diretto – La vita è bella; a cui segue
un Oscar al miglior film straniero per la stessa pellicola. E' stato l'unico interprete
maschile italiano a ricevere l'Oscar come miglior attore protagonista recitando nel
ruolo principale in un film in lingua straniera.
Roberto Remigio Benigni (Castiglion Fiorentino, 27 ottobre 1952), si è impegnato
come lettore, interprete a memoria e commentatore della Divina Commedia di Dante
Alighieri, per la cui diffusione è stato candidato al Premio Nobel nel 2007. Nelle
vesti di divulgatore ha, inoltre, recitato il Canto degli Italiani, i principi fondamentali
della Costituzione della Repubblica Italiana, e i Dieci Comandamenti biblici
ricevendo consensi di pubblico e critica. Per onestà intellettuale a questo punto, mi
sentirei di dire una cosa molto semplice: Roberto Benigni è prima di tutto un attore
cinematografico e monologhista teatrale. Non credo che, da “furbetto,” approfitti
dell'ignoranza della gente!
Semmai, al contrario, con la sua comicità gioiosa e irriverente, Roberto Benigni
riesce a spiegare in maniera semplice e diretta, sia gli articoli della nostra
Costituzione, che i concetti più difficili. Siamo onesti: “Chi di noi conosce la
Costituzione della Repubblica Italiana?”. Io ricordo a malapena il primo articolo:
“L'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro.” La Bibbia a dispense che
si compra all'edicola, una volta rilegata, fa bella mostra nella vetrina della nostra
libreria. Chi l'ha mai letta o solo sfogliata?
“Robertooo!!” Urlò Sophia Loren dalla platea quando Benigni nel 1999 vinse l'Oscar
per “La vita è bella”. Lo stesso urlo a gran voce io: “Roberto! Grazie!” Grazie per
essere così sincero e profondo, così simpaticamente dissacrante e, allo stesso tempo,
rispettoso.
(Nel film La vita è bella, far comprendere a un bambino piccolo gli orrori della
guerra senza spaventarlo o traumatizzarlo, è un bell'esempio di coraggio, di saggezza
e di grande e profonda sensibilità!).
10.2 UNA POESIA DEDICATA AL CORONAVIRUS.
Te se rivà de nascundòn
Te se cascià in tutt i cantòn
Te fè tribolà tuta la gènt:
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Dutùr, infermèr e chi l'ha perdù i parent.
L'è dura questa pandemia!
Te metù in ginòcc la mia Lumbardia.
Fa nient, num a molùm nò tant facilmènt
anca se te fa murì purtròp tròpa gent!
Ch'el distar chi, a nùm, te duvevet minga fal!
Adess sem propri stùf e te casciùm fòra di ball!
11. L’ANGOLO DEL FUTURO
Com'è bella la città,
com'è grande la città,
com'è viva la città,
com'è allegra la città...
Vieni vieni in città
Che stai a fare in campagna?
Se vuoi farti una vita,
Devi venire in città...
Piena di strade e di negozi
E di vetrine piene di luce
Con tanta gente che lavora
Con tanta gente che produce
Con le réclames sempre più grandi
Coi magazzini le scale mobili
Coi grattacieli sempre più alti
E tante macchine sempre di più...
Quando finirà l'era del coronavirus? E come sarà il "dopo"coronavirus?
Abbiamo visto le città svuotarsi, come città fantasma. Deserte e silenzione, immerse
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in un silenzio innaturale. Dov'era la gente che lavora, la gente che produce? Per
strada non si vedeva nessuno. Le vetrine dei negozi spente e le scale mobili dei
Grandi Magazzini ferme. Chiusi i bar e i luoghi di ritrovo. Le insegne luminose che si
vedevano ancora, le croci inconfondibili delle farmacie, le panetterie, e dei negozi di
alimentari.
Ora piano piano tutto riprende…
Come sarà la vita quando finirà il lockdown?
Comunque vada, non sarà più la vita di prima.
Da mesi stiamo vivendo in una "campana di vetro" una vita surreale. I mezzi
d'informazione diffondono notizie che, se da un lato fanno ben sperare, dall'altro non
fanno venir meno l'angoscia e la preoccupazione per un numero di decessi ancora
troppo alto.
I mezzi di trasporto pubblico che non si sono mai fermati nemmeno durante
l'epidemia saranno osservati speciali. Un solo errore potrebbe far riesplodere la
diffusione del virus. Per questo dovranno intensificarsi i controlli dei cittadini.
Potrebbe quindi ritornare la figura del controllore a bordo che, oltre al ticket,
misurerebbe la temperatura corporea. Meno passeggeri a bordo dei mezzi, sarà
utilizzata la metà della capienza delle vetture.
I primi a riaprire, ma dovranno rispettare rigidi criteri, saranno le piccole medie
imprese, negozi e uffici. Rimarrà lo "smart working" – il lavoro a casa – per tutte
quelle attività che possono permetterselo limitando la presenza negli uffici.
Locali che sarà possibile riaprire garantendo però la stretta osservanza della distanza
di sicurezza di un metro tra i lavoratori e, se possibile, la fornitura di mezzi di
protezione. Stesse regole anche in presenza di persone esterne come clienti o
fornitori.
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Un mare di precauzioni per bar e ristoranti, con una riorganizzazione dei locali.
I clienti al bancone dovranno mantenere una distanza di almeno un metro. Nelle sale,
invece, la distanza deve aumentare: almemo due metri tra i tavoli, questo per
garantire il passaggio dei camerieri. Questi ultimi dovranno obbligatoriamente
portare guanti e mascherine. Stesse regole anche per i tavoli all'aperto.
Per i negozi forse è un po' più semplice perché saranno copiate le regole già applicate
negli ultimi due mesi dai supermercati e dalle farmacie: entrate scaglionate con una
presenza di persone variabile in base alla metratura dei locali e, ovviamente, il
mntenimento del metro di distanza tra le persone.
Non sarà invece facile vedere riaprire in fretta tutti quei luoghi pubblici
d'intrattenimento collettivo.Cinema, teatri, stadi per concerti.. tutti luoghi dove
l'assembramento è impossibile da evitare. Non tanto all'intermo di alcune strutture
dove si può prevedere la classica poltrona sì poltrona no per mantenere le distanze,
quanto all'ingresso delle stesse strutture. Sarà un discorso molto complesso anche
perché si cerca di evitare la crisi devastante di interi settori.
E in famiglia? Anche se la quarantena finirà, bisognerà stare attenti alle affettuosità
come baci e abbracci. Ancora per un po' sarà giusto mantenere una distanza di
sicurezza, soprattutto coi familiari "fragili" che abbiano cercato con grande sforzo di
difendere durante tutte queste settinane in casa. "
Ma come hai fatto a farmi contagiare così tanto!
Mi guardo nello specchio e mi domando:
"Ma quello lì, sono io?"...
Ma come hai fatto a
far della mia vita una tua cosa,
a trasformare il tempo in
un'attesa di debellare te!?
La prima volta che
dico veramente "Muori ammazzato!!..."
(Liberamente "ispirato" dalle parole di una canzone del grande Domenico Modugno)
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…ED ECCOCI ARRIVATI ALLA FINE DI
QUESTA EDIZIONE DEL NOSTRO
“GIORNALINO DI ENRICO”… VI
ASPETTIAMO ALLA PROSSIMA USCITA!!
…NEL FRATTEMPO…
A presto!!!!