il Giornale Domenica19novembre2006 Cronache TIPIITALIANI · 2012. 7. 29. · uscitisui...

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STEFANO LORENZETTO G iorgio Dell’Arti appartiene a una particolare razza di gior- nalisti, quelli che Sergio Savia- ne definiva «vendemmiatori». Il cri- tico televisivo se ne lamentava ogni volta che c’incontravamo: «Mi ven- demmiano dalla testa ai piedi, capi- sci? Mi fregano pezzi interi, tagliati col coltello. Io almeno copio da me stesso, non rubo in casa d’altri». Del- l’Arti va oltre: è anche un eccelso vinificatore. Dalla sua botte può spil- lare indifferentemente gran cru e uvaggi, champagne e lambrusco, ri- serve del fondatore e novelli. Ciofe- che mai. La vendemmia dura da quasi 40 anni. Il mosto viene messo a riposare in un database che racco- glie qualcosa come 130.000 schede, suddivise per autore, argomenti, te- state. Un esercizio colto e pertinace che non ha eguali in Italia e che va già sotto il nome di dellartismo. No- men omen: impara l’arte (altrui) e mettila da parte. Lui è anche l’unico in grado di ricordarsi da che parte l’ha messa. Nella cantina di Dell’Arti s’imbotti- gliano biografie, interviste, dichiara- zioni, aforismi, abstract, gossip, par- ticolari anatomici, vizi privati e pub- bliche virtù, tratti dai giornali con inesausta curiosità, ma anche con calcolata perfidia, perché l’uomo, nonostante i riccioloni bianchi che gli conferiscono un’aria da cherubi- no, ha una lingua che taglia e che cuce, come si dice dalle mie parti, e nella fattispecie, oltre alla lingua, anche le mani. Fino a ieri questa messe d’infor- mazioni gli serviva per confeziona- re Il Foglio del lunedì, detto anche Foglio rosa per via della carta colo- rata, che raccoglie i pezzi migliori usciti sui giornali. Oppure per le ru- briche che tiene su La Stampa, Io Donna e Vanity Fair. O per i suoi libri. Ora è stata travasata in una damigiana da far paura: il Catalogo dei viventi, un volume scritto con Massimo Parrini e pubblicato da Marsi- lio, sottotitolo 5.062 italiani notevoli. Os- sia, dovendo dirla co- me piacerebbe a Del- l’Arti, 1.806 pagine, 16.788.376 caratteri (quasi quattro volte quelli della Bibbia), 1.640 grammi di peso, 7 centimetri di spesso- re, 166 ore e 40 minuti di lettura prevista, 34 euro. Un’opera zeppa di imperdibili dettagli che ha invecchiato dal- la sera alla mattina l’arido Who’s who?, il dizionario biografico dei contemporanei compilato per la pri- ma volta nel 1848 a Londra, tuttora pubbli- cato in vari Paesi, e che ha reso onore alla memoria dell’editore modenese Angelo For- miggini, ebreo, autore del Chi è? uscito nel 1928, il quale dieci an- ni dopo si uccise get- tandosi dalla Ghirlan- dina per protestare contro le leggi razziali che l’aveva- no privato dell’azienda e della casa. Sul biglietto da visita di Dell’Arti dovrebbe star scritto «giornalista con archivio», cioè dotato del baga- glio imprescindibile per chi abbia scelto di cimentarsi nella professio- ne con serietà, così come su quello di Cesco Baseggio e di Memo Benas- si c’era la dizione «attore con guar- daroba». Non dev’essere un caso che a questa seconda categoria ap- partenessero suo padre Consalvo, brindisino, morto nel 2005, e sua madre Carla Roinich, originaria di Pola, 89 anni compiuti da pochi gior- ni, che giravano i teatri d’Italia fa- cendo prosa e rivista con piccole compagnie. Fino alla prima elemen- tare, frequentata in cinque città di- verse, Giorgio fu un apolide. I Del- l’Arti non avevano nemmeno una ca- sa. «Da neonato dormivo nei retro- scena, dentro un baule che mia ma- dre aveva adattato a culla. Da bam- bino mi facevano ballare il tip tap durante le prove per sentire come rispondeva l’acustica del teatro. Vengo dalla fame. Lessi la dispera- zione negli occhi di mio padre il gior- no in cui Totò morì d’infarto: era un sabato di aprile del 1967 e il marte- dì successivo avrebbero dovuto gira- re insieme un carosello televisivo. Addio paga». Nel Catalogo dei viventi non ho tro- vato la voce che la riguarda. Chape- au! Vogliamo rimediare? «Dell’Arti Giorgio, Catania 4 settem- bre 1945. Figlio unico. Sposato e se- parato. Due figlie: Lucrezia, giornali- sta, e Arianna, aiuto regista. Vive a Roma con Lauretta Colonnelli. Ha la- vorato a Paese Sera ea La Repubbli- ca, dov’è stato il primo direttore del Venerdì, che ha lasciato per metter- si in proprio con l’agenzia di service giornalistici Vespina. Attuale pro- prietario di Farabola, che ha rileva- to soprattutto per l’archivio fotogra- fico storico, il secondo per importan- za dopo Alinari». Com’è arrivato al giornalismo? «Per caso. Laureato in filosofia del- la storia, m’ingegnavo insegnando l’italiano ai diplomatici dell’amba- sciata americana di Roma. Causa guerra nel Vietnam, i fondi furono ridotti e mi ritrovai a spasso. Mio pa- dre era stato presentatore all’Eiar con Antonio Ghirelli, direttore del Corriere dello Sport. Controvoglia, gli telefonò. Appena Ghirelli udì la sua voce, si mise a piangere. Andai a presentarmi. “Ricòrdati che il gior- nalismo sta alla letteratura come la prostituzione all’amore”, fu il viati- co. E mi spedì da Giorgio Cingoli, di- rettore di Paese Sera, che mi prese senza stipendio dicendomi: “Si scor- di di poter essere assunto”». Invece dopo due anni la assunse. «Io manco compravo il giornale tut- ti i giorni. Mi fecero disegnare una pagina. Era una schifezza, ma uscì lo stesso in edicola. Questo per dire che allora la grafica non aveva l’im- portanza esasperata che ha oggi. I lettori non si rendono conto di quan- to bianco gli viene venduto. L’espe- rienza del Foglio dei fogli nasce co- sì, dalla sfida di far stare in otto fac- ciate le 56 pagine del Corriere». Complimenti. «Oggi i direttori guardano le pagine come se fossero quadri. Editori e art director pensano che i giornali siano comprati ma non letti. La qualità dei testi è l’ultima preoccupazione. In tanti anni ho assistito a infiniti dibat- titi sulla grafica, però mai, dico mai, sul modo di scrivere. Ho proposto a un importante editore un supple- mento per il suo giornale. Me l’ha ri- fiutato. Sa con quale motivazione?». No, però me la immagino. «“La carta non va più”. Ma come? Il tuo lavoro è vendere parole stampa- te su carta, questo significa fare l’editore. Se mi dici che la carta non va più, significa che il tuo mestiere è finito». Ha mandato in libreria il Catalogo dei viventi il 2 novembre. Poco be- neagurante. «Al contrario. I morti ci proteggono. Non vedo la morte come una nemi- ca. Anche se come titolo io avevo suggerito I vivi. Ma tutti, a cominciare da Giuliano Ferrara, mi hanno dato del mat- to: “Porta iella”». Voglio vederli quan- do gli propinerà il Ca- talogo dei morenti. «Ma è questo, no? Vi- venti e morenti sono la stessa cosa. Non c’è vivente che non sia anche morente». Glien’è morto qual- cuno mentre andava in stampa? «Più d’uno: il regista Pontecorvo, il cardi- nale Pompedda, Ma- rio Merola. Il tasso fi- siologico di decessi in un villaggio di 5.000 persone è di un paio a settimana. Alla Falla- ci e a Facchetti siamo riusciti a fare il fune- rale, accompagnato dal grido di dolore di Parrini: “Ci hanno massacrato la lettera F!”». Che tipo è Parrini? «È un livornese di 36 anni. Appena laurea- to alla Bocconi, mi ha cercato: “Io devo lavorare con lei”. Da allora ha sempre lavorato solo con me. L’ho rivisto pochi giorni fa. Erano cinque anni che non c’incontravamo». Come sarebbe a dire? «Massimo ha sposato una bocconia- na che gira il mondo per la Colgate. Hanno vissuto cinque anni a Hong Kong. Poi la moglie è stata trasferita a Lisbona, dove oggi vivono. Lui lavo- ra da casa, entra nel nostro archivio con Internet, scrive, taglia, impasta. Ha un caratteraccio, ma è la mia ve- ra fortuna. Un dono piovuto dal cie- lo». Quindi non serve che i giornalisti vadano in redazione tutte le sere a spettegolare. «Certo che no. Basta qualche capo e qualche editor a insaccare il mate- riale. Tutti gli altri, fuori. Scriveran- no e titoleranno da dove più gli gar- ba. C’è una logica stantia che presie- de alla fattura dei quotidiani. Che senso ha avere organici di 400 e pas- sa redattori? Oltretutto questo impe- disce il ricambio. Nei giornali è total- mente assente il punto di vista giova- nile. Mia figlia è del 1975 e aspetta un figlio: che le frega delle paginate di rievocazione dei fatti d’Ungheria del 1956? Già sono poco interessan- ti per me, che all’epoca avevo 11 an- ni». S’è inventato un mestiere che non esisteva: utilizzatore del lavoro al- trui. «Copiatore di professione. Però esi- steva già. Picasso andava ogni matti- na in discarica a recuperare roba buttata via. La scimmia con il suo cucciolo, una delle sculture più cele- bri, l’ha fatta con due vecchie auto- mobiline trovate nell’immondizia. Passate 24 ore, forse prima, il giorna- le diventa una gigantesca discarica inutilizzata. Ma non inutilizzabile. Oggi è impossibile non sapere un fat- to. Per cui l’importante non è dare le notizie, ma selezionarle. Quando una cosa l’ha già detta bene un altro, non c’è ragione di riscriverla male. Picasso diceva: “Il ge- nio copia, il mediocre imita”. Ci credo». Di quale collega non si perde mai un pez- zo? «Esclusi i presenti? Aldo Cazzullo. Ma per la scrittura il più gran- de giornalista italiano è Stefano Malatesta. Che però non è gover- nabile, deve andare per conto suo, un po’ come Lorenzetto». Questa me la deve spiegare. «Lorenzetto è una te- stata. Sai già che pagi- na farà, è una garan- zia. Prendere o lascia- re». Il miglior direttore chi è? «Carlo Verdelli, Gaz- zetta dello Sport». Perché ha inserito nel Catalogo un ca- vallo? «Perché no? Varenne è vivente, è italiano, è notevole. L’ho fatto per ricordare a me stesso che sono homo sapiens con un nome e un cognome. Apparteniamo tutti a una specie». Qual è il suo articolo di cui va più orgoglioso? «Quando riprendo in mano i vecchi pezzi mi sembra di non essere più capace di scrivere, mi prende uno scoramento, ma uno scoramen- to...». Allora? «Forse un’inchiesta che feci per Epo- ca dietro le quinte di Non è la Rai, il programma di Gianni Boncompagni con Ambra Angiolini, Irene Ghergo e Sabrina Impacciatore. Accertai che le calze indossate dalle ragazze, mar- ca Bombana, dopo due puntate le buttavano via. A programma finito, ne avrebbero consumate 15.000 pa- ia. Però m’è venuto bene anche un articolo di fisica sulla struttura della materia, flusso o particella?, scritto per un supplemento di Repubblica». Ha qualche scoop all’attivo? «Uno in Tv, da giovane. Durante una Tribuna politica costrinsi Flami- nio Piccoli ad ammettere che Miche- le Sindona aveva dato due miliardi e mezzo alla Dc. Tangentopoli era di là da venire. Il Corriere mi citò in prima pagina». Lei ha detto: «Le parole per me scottano e voglio adoperarne il mi- nor numero possibile». Invece Ni- no Nutrizio, fondatore della Notte, insegnava: «Un articolo brutto è sempre troppo lungo, un articolo bello è sempre troppo corto». «Diciamo la stessa cosa. Guerra e pace è breve, certe trame di film in cinque righe sono lunghe. L’Infinito di Giacomo Leopardi dice tanto con poco. È il segreto della poesia. Italo Calvino ne dava questa definizione: “Mettere il mare in un bicchiere”». Ha dichiarato che Berlusconi è la voce più lunga del Catalogo. Non è vero. Prodi: 949 righe. Berlusconi: 929. «L’ho scoperto dopo. M’era venuta molto più lunga la biografia di Berlu- sconi. Nel tagliarla ho esagerato». Non dipenderà dal fatto che lei è stato iscritto al Pci? «Ne sono uscito nel 1979, non ho più nessuna simpatia per i comuni- sti. Però da loro ho imparato un sac- co di cose». Per esempio? «Il concetto di dirigente. Il capo liti- ga all’interno ma non fa trapelare nulla all’esterno. L’esatto contrario di ciò che avviene nei Ds. Il dirigente aveva l’ultima parola su tutto. Quan- d’era segretario del Pci torinese, Pie- ro Fassino a una riunione vide Livia Turco con gonna marron, golf blu, calzettoni a strisce e zoccoli. Seduta accanto, un’amica conciata nello stesso modo. Disse loro: “Compa- gne, questi sono i soldi per due bi- glietti. Andate a Parigi e guardate come si vestono le donne”». Perché ha maltrattato Walter Vel- troni? «Racconta un sacco di balle. Come la storia del cancellino tirato in testa al preside nel 1968. Il preside gli avrebbe chiesto: “Chi si crede di es- sere?”. E lui avrebbe risposto: “Il mio nome è Bond, James Bond”. Peccato che sia stata Paola Balduc- ci, compagna di scuola del fratello maggiore di Veltroni, a tirare il can- cellino al preside. Walter non era nemmeno in età da liceo. Io gli vo- glio bene. Gli correggevo i comunica- ti della Fgci quando aveva 14 anni. Ma è ossessionato dalla propria im- magine. Si circonda d’una pletora di addetti stampa che gli tengono buo- ni i giornali. Anche quest’ultima bal- la che sta cercando Dio... E dai!». È vero che il suo hobby è fare soldi? «Lo dico per suscitare l’invidia dei colleghi. Li fa impazzire. In realtà sul conto in banca avrò 20.000 eu- ro. Il mio unico piacere è il lavoro». Come mai sul Foglio del lunedì ci sono rubriche fisse per gli amori e i delitti e non, chessò, per le conver- sioni o gli atti di generosità? «Adamo ed Eva copulano. Poi Caino uccide Abele. Amore e delitti sono i fondamenti del genere umano». È sicuro che i viventi notevoli ci sia- no tutti nel Catalogo? «No, tutti no. Quasi». Non ho trovato Federico Faggin, vi- centino, padre del microchip. «Ecco, vede? Adesso che me lo dice, me lo ricordo». Non ho trovato Pierluigi Zappaco- sta, teatino, inventore del mouse e fondatore della Logitech. (Inarca il sopracciglio). «Ha ragio- ne». Non ho trovato Paola Rizzoli Mala- notte, veneziana, che insegna al Mit di Boston ed è forse la massima esperta mondiale di maree. (Si gratta l’orecchio). «Manca anche Luca Mercalli, il noto meteorologo». Non ho trovato Marco Furlan, uno dei due di Ludwig, condannato per dieci delitti. «Aaah, ancora più grave!». (Si affer- ra il naso, poi la stanghetta degli occhiali). «Non ho giustificazioni. Comunque preferisco un libro in- completo ma aggiornato, piuttosto che uno completo ma già vecchio al- l’uscita». Si tranquillizzi. Ho faticato una set- timana per riuscire a trovare qual- che assente. «Meno male, la prego di scriverlo». Che riflessioni le suggerisce il fatto che Sabrina Ferilli abbia il doppio delle righe riservate a Sergio Mar- chionne, l’amministratore delega- to che ha salvato la Fiat? «La Ferilli è più popolare. Se inter- pello 100 passanti, 98 conoscono la Ferilli e solo 50 Marchionne, 50 a voler essere ottimisti». Ma allora che significa «notevoli»? «Bella domanda. Che sono stati nota- ti dagli autori. I quali, essendo uma- ni, possono non aver notato qualcuno che andava notato. Di que- sto chiedono scusa». Mi compili alcune vo- ci brevi. Paolo Mieli. «Inventore del cerchio- bottismo, cioè la terzie- tà rispetto a due poli contrapposti. Negata nei fatti dalla scelta di schierare il Corriere col centrosinistra alla vigilia delle elezioni». Eugenio Scalfari. «Il più grande giornali- sta del ’900». (Ride). «Rido perché fa ride- re, ma Scalfari ci cre- de. Inventore dell’este- tica del giornalismo. Eugenio ha un pensie- ro forte su come si fa il prodotto giornale. Ho imparato da lui». Giuliano Ferrara. «Con Scalfari, l’unico che ha indicato una nuova via per il giorna- lismo. Fine scrittore. Uomo di una liberalità commovente». Gianni Riotta. «Innovatore del Tg1. Sta facendo un ottimo telegiornale. Ha il merito d’aver ri- portato in video Enzo Biagi. È stato un pezzo di grande televisione: fa- cendoci vedere un anziano signore balbettante, ha chiuso qualsiasi di- scorso sul ritorno di Biagi in Tv». Fausto Bertinotti. «Un vanesio travestito da rivoluzio- nario. Non mi piace. Conservatore fra i peggiori. Pessimo che continui a far politica, pessimo che non rie- sca a star lontano dal video. Diventi irraggiungibile, per una volta. Impa- ri da Mario Draghi». Alfonso Pecoraro Scanio. «Un fessacchiotto. Un bel ragazzo». Tracci la biografia di un collega trombone in modo da renderne possibile l’identificazione. «Anche fisicamente? Son tanti, eh». Provi. «Baffoni. Capelli bianchi. Mania di scrivere in prima persona. Intimità con gli Agnelli proclamata a ogni oc- casione. Il più trombone di tutti». (353. Continua) [email protected] , , L’editore modenese Angelo Formiggini, autore del «Chi è?» nel 1928. Ebreo, si suicidò per protestare contro le leggi razziali TIPI ITALIANI Ho inserito anche un cavallo, Varenne Per rammentare a me stesso che appartengo alla specie homo sapiens. I direttori credono che le pagine siano quadri e gli editori che i giornali non vengano letti. Il lettore non si rende conto del tanto bianco che gli vendono Diego Abatantuono, primo nome del «Catalogo dei viventi», con Sabrina Ferilli, che ha il doppio delle righe di Sergio Marchionne, l’ad della Fiat «Ho compilato il Catalogo dei viventi per ricordare che siamo dei morenti» Giornalista, scrittore e inventore di testate, si definisce «copiatore di professione». Da 40 anni archivia tutto ciò che è scritto bene.In un libro quattro volte più ampio della Bibbia analizza 5.062italiani notevoli Oggi è impossibile non sapere un fatto L’importante non è dare le notizie, ma selezionarle. Veltroni racconta balle. Scalfari è il più grande direttore del ’900. Riotta ci ha fatto vedere che Biagi non può ritornare in Tv. Il più trombone? Un collega con i baffoni... DORMIVA IN UN BAULE Giorgio Dell’Arti, 61 anni, ha lavorato a «Paese Sera» e «La Repubblica», dov’è stato il primo direttore del «Venerdì». I suoi genitori erano attori. «Non ho avuto una casa fino alla prima elementare, frequentata in cinque città diverse. Dormivo nei teatri, dentro un baule che mia madre aveva adattato a culla» GIORGIO DELL’ARTI il Giornale Domenica 19 novembre 2006 Cronache 15

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  • STEFANO LORENZETTO

    G iorgio Dell’Arti appartiene auna particolare razza di gior-nalisti, quelli che Sergio Savia-ne definiva «vendemmiatori». Il cri-tico televisivo se ne lamentava ognivolta che c’incontravamo: «Mi ven-demmiano dalla testa ai piedi, capi-sci? Mi fregano pezzi interi, tagliaticol coltello. Io almeno copio da mestesso, non rubo in casad’altri».Del-l’Arti va oltre: è anche un eccelsovinificatore.Dalla suabotte può spil-lare indifferentemente gran cru euvaggi, champagne e lambrusco, ri-serve del fondatore e novelli. Ciofe-che mai. La vendemmia dura daquasi 40 anni. Il mosto viene messoa riposare inundatabase che racco-glie qualcosa come 130.000 schede,suddivise per autore, argomenti, te-state. Un esercizio colto e pertinaceche non ha eguali in Italia e che vagià sotto il nome di dellartismo. No-men omen: impara l’arte (altrui) emettila da parte. Lui è anche l’unicoin grado di ricordarsi da che partel’hamessa.Nella cantinadiDell’Arti s’imbotti-

    glianobiografie, interviste, dichiara-zioni, aforismi, abstract, gossip, par-ticolari anatomici, vizi privati e pub-bliche virtù, tratti dai giornali coninesausta curiosità, ma anche concalcolata perfidia, perché l’uomo,nonostante i riccioloni bianchi chegli conferiscono un’aria da cherubi-no, ha una lingua che taglia e checuce, come si dice dalle mie parti, enella fattispecie, oltre alla lingua,anche le mani.Fino a ieri questa messe d’infor-

    mazioni gli serviva per confeziona-re Il Foglio del lunedì, detto ancheFoglio rosa per via della carta colo-rata, che raccoglie i pezzi miglioriusciti sui giornali. Oppure per le ru-briche che tiene su La Stampa, IoDonna e Vanity Fair. O per i suoilibri. Ora è stata travasata in unadamigiana da far paura: il Catalogodei viventi, un volume scritto conMassimo Parrini epubblicato da Marsi-lio, sottotitolo 5.062italiani notevoli. Os-sia, dovendo dirla co-me piacerebbe a Del-l’Arti, 1.806 pagine,16.788.376 caratteri(quasi quattro voltequelli della Bibbia),1.640 grammi di peso,7 centimetri di spesso-re, 166 oree40minutidi lettura prevista, 34euro. Un’opera zeppadi imperdibili dettaglicheha invecchiatodal-la sera alla mattinal’arido Who’s who?, ildizionario biograficodei contemporaneicompilato per la pri-ma volta nel 1848 aLondra, tuttorapubbli-cato in vari Paesi, eche ha reso onore allamemoria dell’editoremodeneseAngeloFor-miggini, ebreo, autoredel Chi è? uscito nel1928, il qualedieci an-ni dopo si uccise get-tandosi dalla Ghirlan-dina per protestarecontro le leggi razziali che l’aveva-no privato dell’azienda e della casa.Sul biglietto da visita di Dell’Arti

    dovrebbe star scritto «giornalistacon archivio», cioè dotato del baga-glio imprescindibile per chi abbiascelto di cimentarsi nella professio-ne con serietà, così come su quellodi Cesco Baseggio e diMemoBenas-si c’era la dizione «attore con guar-daroba». Non dev’essere un casoche a questa seconda categoria ap-partenessero suo padre Consalvo,brindisino, morto nel 2005, e suamadre Carla Roinich, originaria diPola, 89anni compiuti dapochi gior-ni, che giravano i teatri d’Italia fa-cendo prosa e rivista con piccolecompagnie. Finoalla primaelemen-tare, frequentata in cinque città di-verse, Giorgio fu un apolide. I Del-l’Arti nonavevanonemmenounaca-sa. «Da neonato dormivo nei retro-scena, dentro un baule chemia ma-dre aveva adattato a culla. Da bam-bino mi facevano ballare il tip tapdurante le prove per sentire comerispondeva l’acustica del teatro.Vengo dalla fame. Lessi la dispera-

    zionenegli occhi dimiopadre il gior-no in cui Totò morì d’infarto: era unsabato di aprile del 1967 e il marte-dì successivo avrebberodovutogira-re insieme un carosello televisivo.Addio paga».NelCatalogodei viventinonho tro-vato lavoce che la riguarda.Chape-au! Vogliamo rimediare?«Dell’Arti Giorgio, Catania4 settem-bre 1945. Figlio unico. Sposato e se-parato.Due figlie: Lucrezia, giornali-sta, e Arianna, aiuto regista. Vive aRomaconLaurettaColonnelli.Ha la-vorato aPaese Sera e a LaRepubbli-ca, dov’è stato il primo direttore delVenerdì, che ha lasciato permetter-si in proprio con l’agenzia di servicegiornalistici Vespina. Attuale pro-prietario di Farabola, che ha rileva-to soprattutto per l’archivio fotogra-fico storico, il secondoper importan-za dopo Alinari».Com’è arrivato al giornalismo?«Per caso. Laureato in filosofia del-

    la storia, m’ingegnavo insegnandol’italiano ai diplomatici dell’amba-sciata americana di Roma. Causaguerra nel Vietnam, i fondi furonoridotti emi ritrovai a spasso.Mio pa-dre era stato presentatore all’Eiarcon Antonio Ghirelli, direttore delCorriere dello Sport. Controvoglia,gli telefonò. Appena Ghirelli udì lasua voce, si mise a piangere. Andaiapresentarmi. “Ricòrdati che il gior-nalismo sta alla letteratura come laprostituzione all’amore”, fu il viati-co. Emi spedì da Giorgio Cingoli, di-rettore di Paese Sera, che mi presesenza stipendio dicendomi: “Si scor-di di poter essere assunto”».Invece dopo due anni la assunse.«Iomanco compravo il giornale tut-ti i giorni. Mi fecero disegnare unapagina. Era una schifezza, ma uscìlo stesso in edicola. Questo per direche allora la grafica non aveva l’im-portanza esasperata che ha oggi. Ilettori non si rendono contodi quan-to bianco gli viene venduto. L’espe-rienza del Foglio dei fogli nasce co-sì, dalla sfida di far stare in otto fac-ciate le 56 pagine del Corriere».

    Complimenti.«Oggi i direttori guardano le paginecome se fossero quadri. Editori e artdirector pensano che i giornali sianocompratima non letti. La qualità deitesti è l’ultima preoccupazione. Intanti anni ho assistito a infiniti dibat-titi sulla grafica, però mai, dico mai,sul modo di scrivere. Ho proposto aun importante editore un supple-mento per il suo giornale.Me l’ha ri-fiutato. Sa con qualemotivazione?».No, peròme la immagino.«“La carta non va più”. Ma come? Iltuo lavoro è vendereparole stampa-te su carta, questo significa farel’editore. Se mi dici che la carta nonva più, significa che il tuomestiere èfinito».Hamandato in libreria il Catalogodei viventi il 2 novembre. Poco be-neagurante.«Al contrario. I morti ci proteggono.Non vedo la morte come una nemi-ca. Anche se come titolo io avevo

    suggerito I vivi. Matutti, a cominciare daGiuliano Ferrara, mihanno dato del mat-to: “Porta iella”».Voglio vederli quan-doglipropinerà ilCa-talogo deimorenti.«Ma è questo, no? Vi-venti e morenti sonola stessa cosa. Nonc’è vivente che nonsia anchemorente».Glien’è morto qual-cunomentre andavain stampa?«Più d’uno: il registaPontecorvo, il cardi-nale Pompedda, Ma-rio Merola. Il tasso fi-siologico di decessi inun villaggio di 5.000persone èdi un paioasettimana.AllaFalla-ci e a Facchetti siamoriusciti a fare il fune-rale, accompagnatodal grido di dolore diParrini: “Ci hannomassacrato la letteraF!”».Che tipo è Parrini?«È un livornese di 36anni. Appena laurea-

    to alla Bocconi, mi ha cercato: “Iodevo lavorare con lei”. Da allora hasempre lavorato solo con me. L’horivisto pochi giorni fa. Erano cinqueanni che non c’incontravamo».Come sarebbe a dire?«Massimoha sposato unabocconia-na che gira il mondo per la Colgate.Hanno vissuto cinque anni a HongKong. Poi lamoglie è stata trasferitaaLisbona,doveoggi vivono. Lui lavo-ra da casa, entra nel nostro archiviocon Internet, scrive, taglia, impasta.Haun caratteraccio,ma è lamia ve-ra fortuna. Un dono piovuto dal cie-lo».Quindi non serve che i giornalistivadano in redazione tutte le sere aspettegolare.«Certo che no. Basta qualche capo equalche editor a insaccare il mate-riale. Tutti gli altri, fuori. Scriveran-no e titoleranno da dove più gli gar-ba.C’è una logica stantia chepresie-de alla fattura dei quotidiani. Chesensohaavere organici di 400epas-sa redattori?Oltretuttoquesto impe-disce il ricambio.Nei giornali è total-

    menteassente il puntodi vista giova-nile. Mia figlia è del 1975 e aspettaun figlio: che le frega delle paginatedi rievocazione dei fatti d’Ungheriadel 1956?Già sono poco interessan-ti perme, che all’epocaavevo 11an-ni».S’è inventato un mestiere che nonesisteva: utilizzatore del lavoro al-trui.«Copiatore di professione. Però esi-stevagià. Picassoandavaognimatti-na in discarica a recuperare robabuttata via. La scimmia con il suocucciolo, una delle sculture più cele-bri, l’ha fatta con due vecchie auto-mobiline trovate nell’immondizia.Passate24ore, forseprima, il giorna-le diventa una gigantesca discaricainutilizzata. Ma non inutilizzabile.Oggi è impossibilenonsapereun fat-to. Per cui l’importante non è dare lenotizie, ma selezionarle. Quandounacosa l’hagiàdettabeneunaltro,non c’è ragione di riscriverla male.Picasso diceva: “Il ge-nio copia, il mediocreimita”. Ci credo».Di quale collega nonsi perde mai un pez-zo?«Esclusi i presenti?AldoCazzullo.Maperlascrittura ilpiùgran-degiornalista italianoè Stefano Malatesta.Cheperò non è gover-nabile, deve andareper conto suo, un po’come Lorenzetto».Questa me la devespiegare.«Lorenzetto è una te-stata.Sai già chepagi-na farà, è una garan-zia. Prendereo lascia-re».Il miglior direttorechi è?«Carlo Verdelli, Gaz-zetta dello Sport».Perché ha inseritonel Catalogo un ca-vallo?«Perchéno?Varenneè vivente, è italiano, ènotevole. L’ho fattoper ricordare a mestesso che sono homosapiens con unnome e un cognome.Apparteniamo tutti a una specie».Qual è il suo articolo di cui va piùorgoglioso?«Quando riprendo in mano i vecchipezzi mi sembra di non essere piùcapace di scrivere, mi prende unoscoramento, ma uno scoramen-to...».Allora?«Forseun’inchiesta che feci perEpo-ca dietro le quinte di Non è la Rai, ilprogramma di Gianni BoncompagniconAmbraAngiolini, IreneGhergoeSabrina Impacciatore. Accertai chelecalze indossatedalle ragazze,mar-ca Bombana, dopo due puntate lebuttavano via. A programma finito,ne avrebbero consumate 15.000 pa-ia. Però m’è venuto bene anche unarticolo di fisica sulla struttura dellamateria, flusso o particella?, scrittoper un supplemento diRepubblica».Ha qualche scoop all’attivo?«Uno in Tv, da giovane. DuranteunaTribunapolitica costrinsi Flami-nioPiccoli ad ammettere cheMiche-le Sindona avevadato duemiliardi e

    mezzo alla Dc. Tangentopoli era dilà da venire. Il Corriere mi citò inprima pagina».Lei ha detto: «Le parole per mescottano e voglio adoperarne ilmi-nor numero possibile». Invece Ni-no Nutrizio, fondatore della Notte,insegnava: «Un articolo brutto èsempre troppo lungo, un articolobello è sempre troppo corto».«Diciamo la stessa cosa. Guerra epace è breve, certe trame di film incinque righe sono lunghe. L’Infinitodi Giacomo Leopardi dice tanto conpoco. È il segreto della poesia. ItaloCalvino ne dava questa definizione:“Mettere il mare in un bicchiere”».Ha dichiarato che Berlusconi è lavoce più lunga del Catalogo. Non èvero. Prodi: 949 righe. Berlusconi:929.«L’ho scoperto dopo. M’era venutamoltopiù lunga labiografiadiBerlu-sconi. Nel tagliarla ho esagerato».Non dipenderà dal fatto che lei è

    stato iscritto al Pci?«Ne sono uscito nel 1979, non hopiù nessuna simpatia per i comuni-sti. Però da loro ho imparato un sac-co di cose».Per esempio?«Il concetto di dirigente. Il capo liti-ga all’interno ma non fa trapelarenulla all’esterno. L’esatto contrariodi ciò che avviene neiDs. Il dirigenteaveva l’ultimaparola su tutto.Quan-d’era segretariodel Pci torinese, Pie-ro Fassino a una riunione vide LiviaTurco con gonna marron, golf blu,calzettoni a strisce e zoccoli. Sedutaaccanto, un’amica conciata nellostesso modo. Disse loro: “Compa-gne, questi sono i soldi per due bi-glietti. Andate a Parigi e guardatecome si vestono le donne”».Perché ha maltrattato Walter Vel-troni?«Racconta un sacco di balle. Comela storia del cancellino tirato in testaal preside nel 1968. Il preside gliavrebbe chiesto: “Chi si crede di es-sere?”. E lui avrebbe risposto: “Ilmio nome è Bond, James Bond”.Peccato che sia stata Paola Balduc-

    ci, compagna di scuola del fratellomaggiore di Veltroni, a tirare il can-cellino al preside. Walter non eranemmeno in età da liceo. Io gli vo-gliobene.Gli correggevo i comunica-ti della Fgci quando aveva 14 anni.Ma è ossessionato dalla propria im-magine. Si circondad’unapletoradiaddetti stampa che gli tengono buo-ni i giornali. Anchequest’ultimabal-la che sta cercando Dio... E dai!».Èvero che il suohobby è fare soldi?«Lo dico per suscitare l’invidia deicolleghi. Li fa impazzire. In realtàsul conto in banca avrò 20.000 eu-ro. Il mio unico piacere è il lavoro».Come mai sul Foglio del lunedì cisonorubriche fisseper gli amori e idelitti e non, chessò, per le conver-sioni o gli atti di generosità?«Adamo ed Eva copulano. Poi Cainouccide Abele. Amore e delitti sono ifondamenti del genere umano».Èsicuro che i viventi notevoli ci sia-no tutti nel Catalogo?«No, tutti no. Quasi».Nonho trovatoFedericoFaggin, vi-centino, padre del microchip.«Ecco, vede? Adesso cheme lo dice,me lo ricordo».Non ho trovato Pierluigi Zappaco-sta, teatino, inventore del mouse efondatore della Logitech.(Inarca il sopracciglio). «Ha ragio-ne».Non ho trovato Paola Rizzoli Mala-notte, veneziana, che insegna alMitdi Bostoned è forse lamassimaespertamondiale di maree.(Si gratta l’orecchio). «Manca ancheLucaMercalli, il notometeorologo».Non ho trovato Marco Furlan, unodei due di Ludwig, condannato perdieci delitti.«Aaah, ancorapiùgrave!». (Si affer-ra il naso, poi la stanghetta degliocchiali). «Non ho giustificazioni.Comunque preferisco un libro in-completo ma aggiornato, piuttostoche uno completoma già vecchio al-l’uscita».Si tranquillizzi.Ho faticatouna set-timanaper riuscire a trovare qual-che assente.«Menomale, la prego di scriverlo».Che riflessioni le suggerisce il fattoche Sabrina Ferilli abbia il doppiodelle righe riservate a Sergio Mar-chionne, l’amministratore delega-to che ha salvato la Fiat?«La Ferilli è più popolare. Se inter-pello 100 passanti, 98 conoscono laFerilli e solo 50 Marchionne, 50 avoler essere ottimisti».Maallora che significa «notevoli»?«Belladomanda.Chesonostati nota-ti dagli autori. I quali, essendo uma-

    ni, possono non avernotato qualcuno cheandavanotato.Di que-sto chiedono scusa».Mi compili alcune vo-ci brevi. PaoloMieli.«Inventoredel cerchio-bottismo,cioè la terzie-tà rispetto a due policontrapposti. Negatanei fatti dalla scelta dischierare il Corrierecol centrosinistra allavigilia delle elezioni».Eugenio Scalfari.«Ilpiùgrandegiornali-sta del ’900». (Ride).«Rido perché fa ride-re, ma Scalfari ci cre-de. Inventoredell’este-tica del giornalismo.Eugenio ha un pensie-ro forte su come si fa ilprodotto giornale. Hoimparato da lui».Giuliano Ferrara.«Con Scalfari, l’unicoche ha indicato unanuovaviaper il giorna-lismo. Fine scrittore.Uomo di una liberalitàcommovente».Gianni Riotta.«Innovatore del Tg1.Sta facendo un ottimo

    telegiornale. Ha il merito d’aver ri-portato in video Enzo Biagi. È statoun pezzo di grande televisione: fa-cendoci vedere un anziano signorebalbettante, ha chiuso qualsiasi di-scorso sul ritorno di Biagi in Tv».Fausto Bertinotti.«Un vanesio travestito da rivoluzio-nario. Non mi piace. Conservatorefra i peggiori. Pessimo che continuia far politica, pessimo che non rie-sca a star lontano dal video. Diventiirraggiungibile, per unavolta. Impa-ri daMario Draghi».Alfonso Pecoraro Scanio.«Un fessacchiotto. Un bel ragazzo».Tracci la biografia di un collegatrombone in modo da rendernepossibile l’identificazione.«Anche fisicamente? Son tanti, eh».Provi.«Baffoni. Capelli bianchi. Mania discrivere in prima persona. Intimitàcongli Agnelli proclamata aogni oc-casione. Il più trombone di tutti».

    (353. Continua)[email protected]

    ,‘ ,L’editoremodeneseAngeloFormiggini,autore del«Chi è?» nel1928. Ebreo,si suicidò perprotestarecontro leleggirazziali

    TIPI ITALIANI

    Ho inserito anche un cavallo, VarennePer rammentare a me stesso cheappartengo alla specie homo sapiens.I direttori credono che le pagine sianoquadri e gli editori che i giornali nonvengano letti. Il lettore non si rendeconto del tanto bianco che gli vendono

    DiegoAbatantuono,primo nomedel «Catalogodei viventi»,con SabrinaFerilli, che hail doppio dellerighe di SergioMarchionne,l’ad della Fiat

    «Ho compilato il Catalogo dei viventiper ricordare che siamo dei morenti»

    Giornalista, scrittore e inventore di testate,si definisce «copiatore di professione».Da40anni archivia tutto ciò che è scrittobene. In un libro quattro volte più ampiodella Bibbia analizza 5.062 italiani notevoli

    Oggi è impossibile non sapere un fattoL’importante non è dare le notizie,ma selezionarle. Veltroni raccontaballe. Scalfari è il più grande direttoredel ’900. Riotta ci ha fatto vedere cheBiagi non può ritornare in Tv. Il piùtrombone? Un collega con i baffoni...

    DORMIVA IN UN BAULEGiorgio Dell’Arti, 61 anni,

    ha lavorato a «Paese Sera»e «La Repubblica», dov’è

    stato il primo direttore del«Venerdì». I suoi genitori

    erano attori. «Non ho avutouna casa fino alla prima

    elementare, frequentata incinque città diverse.

    Dormivo nei teatri, dentroun baule che mia madreaveva adattato a culla»

    GIORGIO DELL’ARTI

    il Giornale � Domenica19novembre2006 Cronache 15