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1 IL DIRITTO DEI CONTRATTI, LA GIUSTIZIA SOCIALE E L’AGENDA TECNOCRATICA di Enrico Baffi ∗⋅ 1. INTRODUZIONE. Molti studiosi del diritto hanno sottolineato, in questi anni, l’esigenza che le pattuizioni private siano sottoposte ad un controllo da parte dell’ordinamento al fine di evitare che un possibile abuso della forza contrattuale di taluni contraenti si traduca in accordi contrastanti con il senso di equità. Viene anche manifestata la necessità di perseguire i fini della giustizia sociale e della redistribuzione della ricchezza attraverso un sindacato e una correzione dei risultati della autonomia privata 1 . Un indirizzo dottrinario che, in più occasioni, ha espresso una forte avversione all’idea secondo cui il diritto dei contratti possa divenire strumento per perseguire finalità di giustizia sociale e d’equità, è rappresentato dalla scuola di analisi economica del diritto. Sia gli studiosi che si riconoscono in quella linea di pensiero che ha avuto il suo centro nella facoltà di giurisprudenza di Yale quanto quelli appartenenti alla scuola di Chicago 2 Titolare di contratto di docenza integrativa presso l’Università di Roma Tre; J. D., Università degli Studi di Roma “La Sapienza”; L.L.M., George Mason University. Desidero ringraziare Giuseppe Dari-Mattiacci, Maria Cecilia Paglietti, Maria Teresa Pandolci, Francesco Parisi e Paolo Santella per gli utili consigli. Ringrazio Francesco Parisi anche per il costante incoraggiamento. Sono ovviamente responsabile di qualunque errore. 1 Il tema della giustizia sociale nel diritto dei contratti forma oggetto del manifesto firmato da eminenti studiosi europei dal titolo: “Giustizia sociale nel diritto contrattuale europeo: un manifesto”, in Riv. Crit. Dir. Priv, 23, 99 (2005). 2 Sulle due scuole di analisi economica del diritto si veda G. Alpa, L’analisi economica del diritto nella prospettiva del giurista, in G. Alpa, F. Pulitini, S. Rodotà e F. Romani ( a cura di ), Interpretazione giuridica e analisi economica, Milano, 1982, pp. 9 ss..

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IL DIRITTO DEI CONTRATTI, LA GIUSTIZIA SOCIALE E L’AGENDA

TECNOCRATICA

di

Enrico Baffi∗∗∗∗⋅⋅⋅⋅

1. INTRODUZIONE.

Molti studiosi del diritto hanno sottolineato, in questi anni, l’esigenza che le pattuizioni

private siano sottoposte ad un controllo da parte dell’ordinamento al fine di evitare che un

possibile abuso della forza contrattuale di taluni contraenti si traduca in accordi contrastanti

con il senso di equità. Viene anche manifestata la necessità di perseguire i fini della giustizia

sociale e della redistribuzione della ricchezza attraverso un sindacato e una correzione dei

risultati della autonomia privata1.

Un indirizzo dottrinario che, in più occasioni, ha espresso una forte avversione all’idea

secondo cui il diritto dei contratti possa divenire strumento per perseguire finalità di

giustizia sociale e d’equità, è rappresentato dalla scuola di analisi economica del diritto.

Sia gli studiosi che si riconoscono in quella linea di pensiero che ha avuto il suo centro nella

facoltà di giurisprudenza di Yale quanto quelli appartenenti alla scuola di Chicago2

∗ Titolare di contratto di docenza integrativa presso l’Università di Roma Tre; J. D., Università degli Studi di Roma “La

Sapienza”; L.L.M., George Mason University. ⋅ Desidero ringraziare Giuseppe Dari-Mattiacci, Maria Cecilia Paglietti, Maria Teresa Pandolci, Francesco Parisi e Paolo

Santella per gli utili consigli. Ringrazio Francesco Parisi anche per il costante incoraggiamento. Sono ovviamente

responsabile di qualunque errore. 1 Il tema della giustizia sociale nel diritto dei contratti forma oggetto del manifesto firmato da eminenti studiosi europei

dal titolo: “Giustizia sociale nel diritto contrattuale europeo: un manifesto”, in Riv. Crit. Dir. Priv, 23, 99 (2005). 2 Sulle due scuole di analisi economica del diritto si veda G. Alpa, L’analisi economica del diritto nella prospettiva del

giurista, in G. Alpa, F. Pulitini, S. Rodotà e F. Romani ( a cura di ), Interpretazione giuridica e analisi economica,

Milano, 1982, pp. 9 ss..

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escludono che il diritto dei contratti possa divenire strumento per la promozione di questi

scopi.

La posizione dei giuseconomisti appare coincidente con quella degli economisti neoclassici

e l’identità di vedute porta gli studiosi delle due discipline ad indicare una serie di

prescrizioni di policy che si potrebbe definire “l’agenda tecnocratica”.

Tali prescrizioni vengono infatti considerate svincolate da ogni particolare tipo di scelta

politica.

Con tale lavoro si intende andare alla ricerca dei motivi di una tale posizione.

2. L’ANALISI ECONOMICA DEL DIRITTO E IL CONCETTO DI

EFFICIENZA ECONOMICA.

L’analisi economica del diritto mutua alcune categorie concettuali dall’economia, in

particolare dall’economia neoclassica e da quella del benessere.

In ogni trattato di Law and Economics si fa ricorso al principio di efficienza economica,

talvolta indicato con l’espressione “Pareto-ottimalità”.

Una situazione si definisce efficiente quando non è possibile realizzare un cambiamento,

attraverso un intervento dello Stato, che determini un miglioramento della condizione di

qualcuno senza allo stesso tempo causare il peggioramento della posizione di qualcun altro.

Una situazione è invece inefficiente quando sarebbe possibile realizzare un tale

cambiamento.

Il cambiamento idoneo ad avvantaggiare alcuni consociati senza danneggiare nessun’altro

viene indicato “miglioramento paretiano”.

In presenza di una situazione di inefficienza, si può ricorrere a strumenti normativi per

raggiungere uno stato Pareto-ottimale. Spesso, peraltro, tali interventi realizzano un

cambiamento che costituisce un miglioramento paretiano solo potenziale, ma non reale.

Con ciò si vuole dire che determinati interventi dello Stato, aventi come fine la rimozione di

una inefficienza, causano un danno ad una parte dei soggetti interessati; tuttavia, attraverso

un successivo intervento imperativo e costituito da trasferimenti di denaro dai soggetti

avvantaggiati dal cambiamento a quelli danneggiati, si potrebbe effettivamente ottenere un

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miglioramento paretiano. Prima del secondo intervento pubblico, però, il cambiamento

costituisce un miglioramento paretiano solo potenziale perché vi sono alcuni danneggiati.

La possibilità di attuare un successivo miglioramento paretiano reale discende dal fatto che,

nel passaggio dalla situazione di inefficienza alla situazione di efficienza, coloro che

migliorano la loro posizione ottengono un guadagno superiore alla perdita subita dai

danneggiati; pertanto, pur indennizzando completamente questi ultimi, gli avvantaggiati si

verrebbero a trovare in una condizione migliore.

Quando un intervento statale causa un cambiamento che costituisce un miglioramento

paretiano solo potenziale, si dice, utilizzando il linguaggio economico, che l’efficienza è

stata promossa secondo il criterio di Kaldor-Hicks3.

Il criterio di Kaldor-Hicks costituisce uno strumento per aggregare il benessere degli

individui ed ottenere una misura del benessere sociale. Secondo tale criterio il benessere

sociale aumenta anche quando si attua un cambiamento che rappresenta un miglioramento

paretiano potenziale e non soltanto, quindi, quando viene a realizzarsi un miglioramento

paretiano reale.

Le prescrizioni formulate dagli economisti si giustificano, in termini di benessere sociale,

normalmente in forza del criterio di Kaldor-Hicks e non di quello di Pareto.

Operazioni quali la produzione di beni pubblici finanziata dall’imposizione generale, la

tassazione di esternalità negative, l’imposizione di un certo prezzo al monopolista, la

previsione di un’assicurazione obbligatoria al fine di evitare fenomeni di selezione avversa

sono azioni desiderabili, da un punto di vista sociale, perché avvantaggiano i beneficiati più

di quanto peggiorino la condizione dei danneggiati.

Anche l’analisi economica del diritto fa uso del criterio di efficienza di Kaldor-Hicks: è così

desiderabile che una norma sia sostituita con un’altra quando il cambiamento che ne deriva

costituisce un miglioramento paretiano potenziale4.

3 Il concetto di efficienza economica è analizzato in molti lavori di economisti e giuseconomisti, fra i quali si segnalano:

J. Coleman, Markets, Morals, and the Law, Oxford, 1998, spec. Parte II; N. Mercuro e S. Medema, Economics and the

Law, Princeton, 1997, pp. 3-50; M Kelman, A Guide to Critical Legal Studies, Cambridge (Mass), 1987, pp. 114-150

e R. Zerbe Jr., Efficiency in Law and Economics, Aldershot, 2001. 4 R. Posner, Economic Analysis of Law, V ed., New York, 1998, p. 12 ss., sin dalle pagine iniziali del suo manuale

dichiara di utilizzare il criterio di efficienza di Kaldor-Hicks.

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I giuseconomisti appartenenti alla scuola di Chicago ritengono che il diritto privato di alcuni

ordinamenti possa essere interpretato come un sistema di norme tutto proteso a promuovere

l’efficienza secondo il criterio di Kaldor-Hicks. Ciò significa che le norme di questi

ordinamenti mirerebbero a realizzare soluzioni efficienti senza preoccuparsi di tutelare i

soggetti danneggiati attraverso indennizzi e senza sacrificare, in nome dell’equità, il

perseguimento dell’efficienza5.

Alcune idee, elaborate alla fine degli anni trenta dello scorso secolo, sono state

fondamentali nella formazione dell’indirizzo di pensiero attualmente seguito sia dai

giuseconomisti che dagli economisti.

Nel 1938 l’economista inglese Lionel Robbins6 pubblicò un saggio in cui affrontava la

questione dei limiti entro i quali l’economista potesse orientare il potere politico nelle

proprie scelte. Egli intendeva individuare delle risposte che non comportassero giudizi di

valore, ma le sue conclusioni non risultarono promettenti. Robbins, infatti, concludeva che

non potessero essere individuate prescrizioni alla cui base non vi fosse un giudizio di valore,

cioè una scelta politica L’economista non aveva la possibilità, a parere dello studioso

inglese, di formulare prescrizioni “scientifiche”.

Vi era, però, nella letteratura economica, un concetto idoneo ad essere utilizzato per

individuare alcune prescrizioni dotate del carattere dell’apoliticità.

Tale concetto era rappresentato dal miglioramento paretiano reale7. Il miglioramento

paretiano reale può essere considerato come un cambiamento nella società per la cui

realizzazione vi sarebbe il consenso unanime di tutti i consociati: attuandosi un

miglioramento paretiano reale, infatti, nessun soggetto risulta danneggiato, per cui non vi

dovrebbero essere individui contrari alla sua realizzazione.

Se le scelte politiche implicano il sacrificio di alcuni interessi a vantaggio di altri, oppure se

le scelte politiche sono quelle in cui la volontà di taluni deve necessariamente prevalere

sulla volontà di altri, allora la decisione di realizzare un miglioramento paretiano reale può

apparire come una scelta apolitica, neutra.

5 La posizione della scuola positiva di analisi economica del diritto è esposta chiaramente in M. Abrescia,

Presentazione a D. Friedman, L’ordine del diritto, Bologna, 2004, p. 9. 6 L. Robbins, Interpersonal Comparisons of Utility: a Comment, 48 Econ. J. 635 (1938). 7 Cfr., V. Pareto, Manuale di economia politica, Milano, 1906.

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Gli economisti Nicholas Kaldor8 e John Hicks9 rielaborarono il concetto di miglioramento

paretiano per individuare una più ampia gamma di prescrizioni apolitiche. Essi infatti,

consapevoli che l’intervento statale spesso determina una perdita di benessere per taluni

soggetti, affermarono che si potevano ritenere in ogni caso desiderabili quei cambiamenti in

cui i soggetti avvantaggiati fossero in grado, potenzialmente, di indennizzare in modo

completo i perdenti , conservando tuttavia una posizione migliore.

Tali cambiamenti apparivano agli occhi dei due economisti in ogni caso desiderabili perché

il miglioramento paretiano potenziale poteva essere trasformato dalle autorità politiche in un

miglioramento paretiano reale.

La possibilità, però, di tenere distinto il provvedimento diretto alla massimizzazione della

ricchezza rispetto a quello finalizzato ad indennizzare i perdenti ampliava notevolmente lo

spettro di decisioni che potevano considerarsi sempre desiderabili, cioè apolitiche.

Lo Stato avrebbe infatti potuto preoccuparsi di perseguire l’efficienza economica senza

attuare di volta in volta un trasferimento coattivo di ricchezza fra i soggetti, al fine di

indennizzare i perdenti, e realizzare invece una redistribuzione della ricchezza attraverso un

sistema generale di imposte e trasferimenti10.

3. LA REDISTRIBUZIONE DELLA RICCHEZZA ATTRAVERSO IL

SISTEMA FISCALE.

8 N. Kaldor, Le proposizioni della scienza economica relative al benessere e i raffronti interpersonali di utilità, trad. it.,

in F. Caffè (a cura di), Saggi sulla moderna “economia del benessere”, pp. 73-77; ed. orig: Welfare Propositions of

Economics and Interpersonal Comparisons of Utility, 49 Econ. J. 549 (1939). 9 J. Hicks, Le basi dell’economia del benessere, trad. it., in F. Caffè (a cura di), Saggi sulla moderna economia del

benessere, cit., pp. 78-102; ed. orig.: The Foundations of Economic Welfare , 49 Econ. J. 696 (1939). 10 Un’analisi molto dettagliata dei rapporti fra efficienza ed equità è in E. Granaglia, Efficienza ed equità nelle politiche

pubbliche, Milano, 1998.

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Un apparato dello Stato si sarebbe così preoccupato di promuovere l’efficienza, cioè la

massimizzazione della ricchezza11, mentre un altro apparato avrebbe realizzato, secondo la

volontà politica dei governanti, la distribuzione equa della stessa fra i consociati12.

La convinzione che i problemi dell’efficienza (cioè della massimizzazione della ricchezza) e

della redistribuzione possano essere tenuti distinti da quelli della distribuzione verrà

consacrata nei due principi dell’economia del benessere che gli economisti Kenneth Arrow

e Gerard Debreu13 formularono verso l’inizio degli anni cinquanta e avrà una successiva

chiara indicazione nel manuale di economica pubblica di Richard Musgrave14.

Gli economisti cominciarono a sostenere la necessità di un intervento dello Stato per

regolamentare i mercati nei casi in cui l’interazione fra i soggetti non conduca ad uno stato

del mondo Pareto efficiente; di produrre quei beni (i beni pubblici) che il mercato non è in

grado di fornire e di correggere quelle situazioni di inefficienza dovute alla presenza di

effetti esterni (esternalità) negativi o positivi. La regolamentazione dei mercati non avrebbe

dovuto avere la finalità di realizzare la giustizia sociale (o, per usare il linguaggio degli

economisti “la redistribuzione”) perché al raggiungimento di tale scopo sarebbe preordinato

il sistema fiscale15.

11 Nel linguaggio economico e giuseconomico, le espressioni “massimizzazione della ricchezza”, “massimizzazione del

benessere sociale” e “promozione dell’efficienza” sono indistintamente usate per indicare lo scopo di ogni politica che

intenda realizzare i cambiamenti indicati dal criterio di Kaldor-Hicks. 12 Jean Tirole, nel giustificare la posizione assunta nel suo manuale di teoria dell’organizzazione industriale afferma

che “ si ipotizza che la redistribuzione del reddito da un consumatore ad un altro non abbia effetti sul benessere..

l’intervento del mercato ha effetti desiderabili o indesiderabili sulla redistribuzione del reddito, ma io mi concentrerò

sull’efficienza dei mercati, usando la struttura di Musgrave (1959), in cui il ramo della struttura pubblica che si occupa

di distribuzione si occupa della distribuzione, e il ramo che si occupa di allocazione (quello considerato in questo libro)

affronta il problema dell’efficienza. Il “principio di compensazione” di Hicks (1940) e Kaldor (1939) afferma che

dobbiamo occuparci solo di efficienza. Se aumenta il surplus totale, chi ha di più può compensare chi ha di meno e tutti

stanno meglio.” ( J. Tirole, Teoria dell’organizzazione industriale, trad. it. , Milano, 1991, p. 20; ed. orig.: The Theory

of Industrial Regulation, Cambridge (Mass.) e Londra,1988). 13 K. Arrow e G. Debreu, Existence of Equilibrium for a Competitive Economy, 22 Econometrica 265 (1954) e G.

Debreu, The Theory of Value, New York, 1959. Sul tema mi sia consentito rinviare a E. Baffi, I limiti dell’autonomia

contrattuale nel pensiero economico e filosofico contemporaneo, in Riv. Crit. Di., Pri.v., 22, 631, (2004). 14 R. Musgrave, The Theory of Public Finance, New York, 1959. 15 La contrapposizione fra efficienza ed equità è talvolta indicata come contrapposizione fra efficienza ed uguaglianza.

Si veda A. Okun, Eguaglianza ed efficienza. Il grande trade-off, trad. it., Napoli, 1990; ed. orig.: Equality and

Efficiency: The Big Trade-Off , Washington DC, 1975.

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Tale modo di pensare non fu però, a ben vedere, una vera novità nel pensiero economico:

già infatti Arthur Pigou16 e, prima ancora, Alfred Marshall17, avevano sviluppato i loro

ragionamenti lungo le stesse linee.

La scuola prescrittiva di analisi economica del diritto, pur attenta in alcuni casi alle

questioni distributive poste da singole norme, accoglie tale impostazione. La scuola

positiva, la quale sembrerebbe essere sollevata da scelte sul piano dei valori, manifesta

anch’essa la preferenza per un sistema con tali caratteristiche18.

Il pensiero giuseconomico ha anche prodotto un’autonoma giustificazione di tale modo di

ragionare, giustificazione rinvenibile nei lavori di Louis Kaplow e Steven Shavell19.

Nel pensiero economico e giuseconomico la regolamentazione dei mercati deve avere,

quindi, l’esclusiva finalità di promuovere l’efficienza, essendo la giustizia sociale un fine da

conseguire attraverso altri strumenti. Così il diritto dei contratti deve preoccuparsi

esclusivamente di promuovere l’efficienza economica, non la redistribuzione (l’equità)20.

16 Afferma N. Kaldor, Le proposizioni della scienza economica relative al benessere e i raffronti interpersonali di

utilità, cit., p. 76 s., che il criterio da lui elaborato giustifica il procedimento adottato da Pigou di dividere l’economia

del benessere in due parti, la prima relativa alla produzione e la seconda alla distribuzione: “La prima parte, che è quella

di gran lunga più importante, dovrebbe includere tutte le affermazioni circa l’incremento del benessere sociale che si

riferiscono all’accrescimento nella produzione complessiva, tutti i problemi riguardanti l’incoraggiamento

dell’occupazione, il livellamento dei prodotti netti sociali e l’adeguamento dei prezzi ai costi marginali, rientrerebbero

in questa sezione (…). Nella seconda parte, attinente alla distribuzione, l’economista non si dovrebbe occupare affatto

di “precetti”, bensì dei vantaggi comparativi dei diversi metodi di attuazione di determinati fini politici”. 17 Su Marshall si veda D. D. Friedman, Does Altruism Produce Efficient Outcomes? Marshall vs Kaldor, 17 J. Legal

Studies 1 (1988). 18 Si veda, sul punto, R. Posner, The Justice of Economics, in Economia delle Scelte Pubbliche, 5, 15 (1987). Per un

inquadramento generale del rapporto fra equità ed efficienza si veda U. Mattei, Comparative Law and Economics, 1997,

spec. cap. I. 19 Cfr, L. Kaplow e Steven Shavell, Why The Legal System is Less Efficient Than The Income Tax in Redistributing

Income, 23 J. Legal Stud. 667 e S. Shavell, Foundations of Economic Analysis of Law, Cambridge (Mass.) e Londra

(2004), pp. 467 ss. Hanno espresso, invece, una posizione diversa, A. Kronman, Contract Law and Distributive Justice,

89 Yale L. J. 472 (1980), p. 598 il quale afferma essere una questione “empirica” , da risolvere caso per caso, la

superiorità o meno della tassazione rispetto alla regolamentazione dei contratti per scopi redistribuitivi; G. Calabresi,

The Pointlessness of Pareto: Carrying Coase Further, 100 Yale Law J. 1211 (1991), p. 1224 nota 36, che ha indicato

come la questione non abbia affatto una soluzione indiscussa. 20 Sui rapporti fra diritto ed economia si segnalano, nella letteratura italiana, M. R. Ferrarese, Diritto e Mercato,

1992, Torino, N. Irti, L’ordine giuridico del mercato, Roma-Bari, 1998 , N. Irti, E. Baffi e altri, Diritto ed Economia,

Padova, 1999 e F. Denozza, Norme efficienti. L’analisi economica delle regole giuridiche, Milano, 2003.

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4. L’IMPOSTAZIONE NEOCLASSICA E IL DIRITTO DEI CONTRATTI.

Questa impostazione, quando riferita al diritto dei contratti, ha un’ulteriore giustificazione

che è rappresentata dalla difficoltà (e, in alcuni casi, dall’impossibilità) di redistribuire la

ricchezza attraverso la regolamentazione dei rapporti contrattuali.

Più precisamente, si riconosce che sia possibile attuare una, sia pur imprecisa,

redistribuzione della ricchezza attraverso una regolamentazione completa del contenuto del

contratto, che si ha quando l’ordinamento fissa autoritativamente sia le prestazioni principali

sia quelle accessorie.

Si afferma invece l’impossibilità di una reditribuzione della ricchezza attraverso una

regolamentazione imperativa parziale del rapporto contrattuale. La regolamentazione

parziale si avrebbe nel caso in cui venissero disciplinate imperativamente, per fini di

giustizia sociale, solo alcune clausole dei contratti, lasciando le altre alla pattuizione privata.

In tal caso gli effetti redistributivi voluti non si verificherebbero: le forze del mercato

porterebbero infatti ad una modifica delle clausole lasciate alla autonomia privata, in

particolare di quelle attinenti alle prestazioni principali, cosicché i vantaggi conseguenti alle

disposizioni di origine eteronoma sarebbero minori, per la parte che si intendeva tutelare,

degli svantaggi determinati dalla modifica delle clausole lasciate all’autonomia privata.

Dato cioè un contratto con un certo contenuto (in particolare con un certo corrispettivo o

prezzo di equilibrio) e stipulato in un mercato in equilibrio, il nuovo contratto che verrebbe

concluso dopo l’intervento normativo e il raggiungimento, da parte del mercato, del nuovo

equilibrio (e quindi del nuovo prezzo di equilibrio), sarebbe peggiore, per la parte che si

intendeva tutelare, di quello che veniva offerto prima dell’intervento autoritativo21.

L’economista e il giuseconomista sono pertanto scettici che, in assenza di un market failure,

si riesca ad avvantaggiare, ad esempio, l’agente commerciale prevedendo che egli abbia

diritto ad una equa indennità dopo la fine del rapporto contrattuale, senza peraltro allo stesso

21 La previsione imperativa di una prestazione determinerebbe un aumento del corrispettivo (del prezzo, nel linguaggio

economico) di equilibrio, tale per cui risulterebbe diminuito il surplus di ogni consumatore.

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tempo disciplinare imperativamente gli altri aspetti del contratto, fra cui in primo luogo

l’ammontare della provvigione22.

Allo stesso modo essi ritengono che, in assenza di un fallimento del mercato, non si possa

dettare una disciplina imperativa dei diritti di garanzia “al fine di dare adeguata protezione

ai creditori pur evitando l’oppressione dei debitori”23 senza disciplinare imperativamente e

allo stesso tempo gli altri aspetti contrattuali, fra cui il tasso di interesse.

E, ugualmente, giuseconomista ed economista ritengono che non si possa, in assenza di un

fallimento del mercato, evitare che i contratti standard realizzino un assetto contrattuale

squilibrato, se allo stesso tempo non si fissano imperativamente anche le prestazioni

principali, fra cui in primo luogo l’ammontare del corrispettivo24.

Viene invece evidenziato il rischio che un intervento regolativo del mercato e compiuto allo

scopo di avvantaggiare una parte contrattuale porti poi a risultati del tutto opposti. Si

andrebbe cioè incontro all’eterogenesi dei fini.

Quindi, il ragionamento economico e quello giusecomico giungono ad escludere che il

diritto dei contratti possa avere una finalità diversa da quella della promozione

dell’efficienza economica per una duplice serie di ragioni:

- perché la redistribuzione si può attuare, in maniera più efficiente, attraverso il sistema

tributario;

- perché la redistribuzione della ricchezza attraverso la regolamentazione dei contratti risulta

essere di difficile attuazione, essendoci il rischio che la traslazione (il passing-on) dei costi

delle legal rules, dovuta ad un adeguamento del contenuto negoziale del contratto, renda

inefficace, se non controproducente, l’intervento normativo.

Ciò non significa, peraltro, che gli interventi propugnati da economisti e giuseconomisti in

materia di diritto dei contratti siano normalmente contrastanti con il senso di equità. Anzi,

per lo stesso meccanismo in forza del quale un intervento non giustificato dall’efficienza

economica e compiuto per avvantaggiare una certa parte porta ad un peggioramento della

22 Il caso dell’equa indennità dell’agente commerciale è riportato nel manifesto per la giustizia sociale nel diritto

contrattuale europeo (Giustizia sociale nel diritto contrattuale europeo: un manifesto, cit., p. 119). Ciò che si vuole dire

è che, in assenza di un fallimento del mercato, la diminuzione dell’ammontare della provvigione prevista nel contratto

annulla i benefici che si volevano garantire attraverso la norma imperativa sulla equa indennità. 23 Giustizia sociale nel diritto contrattuale europeo: un manifesto, cit., p. 120. 24Giustizia sociale nel diritto contrattuale europeo: un manifesto cit., p. 119.

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posizione della parte stessa, così interventi compiuti in nome dell’efficienza economica e

apparentemente a vantaggio di una sola parte possono comportare, invece, un beneficio per

entrambi i contraenti. E tale risultato è dovuto a quel fenomeno dell’adeguamento del

contenuto non imperativamente regolato del contratto alle nuove condizioni25.

Quindi interventi sui risultati dell’autonomia privata, compiuti al fine di promuovere

l’efficienza economica, possono conseguire risultati equi.

Si tratta ora di verificare se la posizione degli studiosi efficiency minded sia effettivamente

sorretta dalla teoria economica.

5. LA REDISTRIBUZIONE ATTRAVERSO IL DIRITTO DEI CONTRATTI E IL

PASSING ON DEI COSTI DI PRODUZIONE.

L’analisi economica insegna che in ogni mercato si forma un prezzo che eguaglia domanda

ed offerta; si forma cioè un prezzo di equilibrio.

Quando si procede alla ricostruzione del funzionamento di un mercato concorrenziale, una

volta individuata la curva di domanda, si passa ad individuare la curva di offerta. Tale curva

indica, per ogni possibile prezzo, quale quantità sarà offerta dalle imprese che producono

quel bene o servizio. Ciascuna impresa decide quanto produrre sulla base dei costi di

produzione che deve sopportare e, in un mercato concorrenziale, spinge la produzione fino

al punto in cui il costo marginale, cioè il costo di produzione dell’ultima unità, eguaglia il

prezzo di mercato. Una ulteriore unità verrebbe a costare più di quanto si può ricavare dalla

sua cessione e quindi non viene prodotta.

Dal fatto che, in un mercato concorrenziale, le imprese producano fino al punto in cui il

costo marginale eguaglia il prezzo discende la nota proprietà del prezzo di equilibrio: esso è

uguale al costo marginale sopportato dalle imprese.

25 Così, per esempio, se l’esigenza di promuovere l’efficienza economica richiede che un certo rischio sia trasferito sul

consumatore, la diminuzione del corrispettivo previsto nel contratto sarà tale per cui anche il consumatore ne risulterà

avvantaggiato. Ciò può peraltro verificarsi solo se il trasferimento del rischio risulta efficiente, se cioè il beneficio per il

professionista è maggiore del sacrificio aggiuntivo per il consumatore. Allo stesso modo, nel caso in cui il mercato non

offra una prestazione che è valutata dal consumatore più di quanto essa costi al produttore, la previsione imperativa

della stessa determinerà un aumento del corrispettivo tale per cui i produttori non risulteranno danneggiati, ma tale

incremento sarà inferiore al beneficio lordo per i consumatori, per cui essi risulteranno avvantaggiati.

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A questo punto appare utile chiarire che il costo marginale (e, più in generale, il costo per

unità prodotta) non è rappresentato esclusivamente dalla spesa che l’imprenditore deve

affrontare per adempiere alla prestazione principale, ma è la somma dei costi, certi ed

eventuali, necessari per offrire la prestazione principale e le prestazioni accessorie.

Così, se l’imprenditore deve sopportare, in forza del contratto, un costo che eventualmente

può derivare da un dato evento dannoso, allora il costo atteso di quell’evento fa parte del

costo marginale.

Ugualmente, se l’imprenditore deve eseguire una prestazione accessoria, come la consegna

del bene in un dato luogo o la predisposizione di un servizio di assistenza, il costo

necessario per eseguire quella prestazione fa parte del costo marginale.

Il costo potrà essere certo o semplicemente atteso (eventuale); esso costituirà ugualmente

parte del costo di produzione.

Alla luce di quanto detto, la distinzione fra equilibrio economico ed equilibrio normativo del

contratto tende a sfumare: tanto la parte economica quanto la parte normativa del contratto

danno vita a costi che il produttore deve sostenere per offrire il bene o servizio.

Un intervento regolativo finalizzato alla tutela del consumatore comporterà un costo

aggiuntivo per ogni unità prodotta. Tale costo aggiuntivo si avrà – merita di essere qui

ripetuto - sia che la regolamentazione preveda una prestazione da cui consegue un costo

certo per la controparte (come, ad esempio, l’imposizione di un certo standard qualitativo)

sia nel caso in cui essa determini il trasferimento di un rischio negativo dalla parte tutelata

alla controparte (come, ad esempio, nel caso in cui la regolamentazione preveda che il

rischio di un evento dannoso sia trasferito sulla parte più forte).

L’aumento del costo sopportato da ciascuna impresa per la produzione di ogni unità del

bene o servizio si tradurrà in un incremento del corrispettivo pagato dal consumatore. Può

dirsi che dalla misura di tale incremento dipenderà l’efficacia o meno dell’intervento a

favore della parte debole. Questo incremento può costituire altresì il parametro per

verificare se gli effetti dell’intervento regolativo abbiano determinato una eterogenesi dei

fini: quando esso risulterà superiore ai benefici ottenuti dalla parte che si intendeva tutelare,

allora l’eterogenesi dei fini potrà dirsi verificata.

Si tratta ora di esaminare più concretamente alcune ipotesi.

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12

6. CONSUMATORI CON PREFERENZE IDENTICHE E CONSUMATORI CON

PREFERENZE ETEROGENEE.

Il primo caso che si può esaminare è rappresentato dall’ipotesi in cui i consumatori abbiano

preferenze identiche, valutino cioè tutti allo stesso modo la prestazione che si intende

prevedere con la regolamentazione imperativa26. Si ipotizzerà un mercato concorrenziale27.

La previsione imperativa di una nuova prestazione (che può consistere anche nella

assunzione di un rischio) comporta uno spostamento verso l’alto della curva di offerta. Una

certa quantità del bene il cui contratto è stato regolamentato verrà infatti offerta, dalle

imprese, a un nuovo prezzo che corrisponde alla somma del prezzo precedente con il nuovo

costo aggiuntivo per unità.

In tale ipotesi non è, peraltro, solo la curva di offerta a muoversi: nella misura in cui la

nuova prestazione comporta un beneficio per i consumatori, questi ultimi saranno disposti a

pagare di più per il bene o il servizio e, conseguentemente, anche la curva di domanda si

muoverà verso l’alto. La curva di offerta si sposterà parallelamente verso l’alto per un

ammontare pari al costo per unità che deve essere sopportato dai produttori; la curva di

domanda si muoverà parallelamente verso l’alto per un ammontare pari alla disponibilità

massima a pagare dei consumatori per la nuova prestazione28.

Questo movimento delle due curve fa sì che il nuovo prezzo di equilibrio sarà superiore al

precedente e che i costi sopportati dall’impresa per una nuova prestazione si trasferiranno,

in tutto o in parte, sui consumatori. Si ha così il passing on dei costi dovuti alla previsione

nel contratto di una nuova prestazione a vantaggio dei consumatori.

26 Nel senso che tutti i consumatori sono disposti a pagare una uguale somma massima di denaro per l’ottenimento di

quella prestazione. 27 Il contributo di Law and Economics in cui per la prima volta sono state affrontate queste problematiche è R. Craswell,

Passing on the Costs of Legal Rules: Efficiency and Distribution in Buyer-Seller Relationships, 43 Stan. L. Rev 361

(1991), a cui si rimanda per un’analisi più dettagliata dei problemi. Nella letteratura economica si vedano K. Lancaster,

Variety, Equity and Efficiency: Product Variety in an Industrial Society, New York, 1979; M. Spence, Product

Differentiation and Welfare, 66 Am Ec. Rev. 407 (1976), (papers & proceedings) e A. Dixit e J. Stiglitz, Monopolistic

Competition and Optimum Product Diversity, 66 Am. Ec. Rev. 297 (1977). 28 Nei casi che infra verranno esaminati, si ipotizzerà che la curva di offerta sia inclinata verso l’alto. I risultati,

tuttavia, non mutano immaginando una curva di offerta perfettamente elastica o inclinata verso il basso.

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Nel caso in cui il costo della prestazione imperativamente prevista sia inferiore alla

disponibilità massima a pagare dei consumatori, una tale previsione imperativa risulta

giustificata in termini di efficienza economica, essendo il beneficio lordo per ciascun

consumatore superiore all’incremento di costo unitario sopportato dai produttori.

Come si può osservare graficamente dalla Figura 1, i consumatori risulteranno

avvantaggiati, in tale ipotesi, in quanto l’incremento di prezzo viene ad essere inferiore

all’incremento di benessere lordo che ottiene ciascun consumatore.

Figura 1

Nella Figura 1 si ipotizza il caso in cui la prestazione contemplata da una norma imperativa comporti un

costo per i produttori inferiore al beneficio lordo per ciascun consumatore. O1 rappresenta la curva di offerta

prima dell’intervento normativo, D1 la curva di domanda e P1 il prezzo di equilibrio. La previsione

imperativa della prestazione comporta lo spostamento delle due curve verso l’alto (O2 e D2). P2 rappresenta

il nuovo prezzo di equilibrio. E1 ed E2 costituiscono i due equilibri, prima e dopo l’intervento eteronomo.

D1

D2

O1

O2

Q2 Q1

P1

P2

E2

E1

{∆p { ∆B

Q

P

O

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14

Come si può osservare dal grafico, l’incremento di prezzo, ∆P, risulta inferiore all’incremento di benefico

lordo per i consumatori, ∆B.

L’ipotesi in cui il mercato non porti all’offerta di una prestazione il cui costo è inferiore alla

disponibilità a pagare dei consumatori è plausibile nella misura in cui si riesca ad

identificare un fallimento del mercato. Si deve infatti individuare una causa in forza della

quale una prestazione che comporta un costo inferiore a quanto i consumatori sono disposti

a pagare non venga offerta volontariamente sul mercato.

In presenza di tale scenario, l’intervento eteronomo sembra giustificabile anche in una

logica di giustizia sociale. I consumatori, infatti, risultano avvantaggiati senza che vi sia un

danno per i produttori.

Nell’ambito dell’ipotesi di consumatori con preferenze identiche, vi è poi il caso in cui la

prestazione contemplata dalla norma imperativa comporti un costo per i produttori superiore

alla disponibilità massima a pagare dei consumatori per quella prestazione (Figura 2). Un

tale intervento non è idoneo a promuovere l’efficienza economica, ma non sembra neanche

in grado di favorire la giustizia sociale, comunque la si voglia intendere. Infatti, come si può

osservare graficamente nella Figura 2, l’incremento di prezzo è superiore al beneficio lordo

che ottiene ciascun consumatore; pertanto questi ultimi risultano danneggiati dall’intervento

eteronomo.

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15

Figura 2.

Anche in questo caso si ipotizza che i consumatori abbiano preferenze identiche, nel senso che attribuiscano

tutti alla nuova prestazione un uguale valore. Il valore che i consumatori attribuiscono alla prestazione,

tuttavia, è inferiore all’incremento di costo per i produttori. Il conseguente incremento di prezzo, che

determina il passing on dei costi di produzione, è superiore al beneficio lordo per ciascun consumatore.

Questi ultimi risultano, quindi, danneggiati.

E1 indica il prezzo e la quantità di equilibrio prima dell’intervento regolativo. E2 costituisce il punto di

equilibrio successivo all’intervento eteronomo.

∆p costituisce l�incremento di prezzo, mentre ∆B rappresenta l�incremento di beneficio lordo.

D1

D2

O1

O2

Q2 Q1

P1

P2

E2

E1 {∆p {∆B

Q

P

O

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L’ipotesi esaminata fino ad ora può apparire poco realistica: si è immaginato, infatti, che i

consumatori avessero preferenze identiche, cioè valutassero tutti allo stesso modo la

prestazione aggiuntiva contemplata dalla norma imperativa.

Merita, peraltro, di esser ancora rilevato che in tale ipotesi un intervento regolativo non

giustificato dall’esigenza di promuovere l’efficienza economica bensì da quella di tutelare la

parte debole va incontro al fenomeno dell’eterogenesi dei fini.

Si deve ora esaminare il caso, forse più realistico, in cui le preferenze dei consumatori non

siano identiche29. Trattasi quindi, della ipotesi in cui la disponibilità a pagare dei

consumatori, per la nuova prestazione, è diversa fra gli stessi.

Il fenomeno per cui consumatori con preferenze diverse circa una singola prestazione non

principale confluiscono in un unico mercato e aderiscono allo stesso modello contrattuale è

oggetto di osservazione da molti anni, da parte dei giuristi. In alcuni autori la

consapevolezza di ciò ha determinato una forte avversione per le condizioni generali di

contratto e i contratti standard, in forza dei quali consumatori con preferenze diverse sono

chiamati ad aderire ad uno stesso modello contrattuale30.

La possibilità che consumatori con preferenze diverse confluiscano tutti in uno stesso

mercato ha ricevuto, invece,da parte degli economisti un’attenzione relativamente minore31.

29 Cfr, R. Craswell, op.cit., pp. 372 ss.. Nella letteratura giueconomica italiana l’ipotesi di consumatori con preferenze

eterogenee è ripresa da R. Cooter, U. Mattei, P. G. Monateri, R. Pardolesi e T. Ulen, Il mercato delle regole, Bologna,

1999, pp. 307 s.. 30 Fra i molti contributi della dottrina italiana si segnala, per la tempestività nel cogliere le problematiche dei contratti

standard, E. Roppo, Contratti standard, Milano, 1989, ristampa inalterata dell’edizione del 1975. 31 La diffusione di un unico standard contrattuale in un dato settore economico, da cui consegue che consumatori con

preferenze diverse stipulino contratti con un identico contenuto, può dipendere dal fatto che: 1) costa molto poco

copiare; 2) è conveniente fare uso di un modello contrattuale utilizzato da altre imprese in quanto esso ha già subito,

per alcune parti, una valutazione giurisprudenziale, con conseguente rimozione dell’incertezza sull’interpretazione e la

validità dello stesso ; 3) è conveniente utilizzare un contratto standard diffuso perchè le potenziali controparti

conoscono già il contratto, in forza di esperienze precedenti con altre imprese, sono maggiormente in grado di valutarlo

e risultano più disposte, quindi, ad accettarlo. Cfr, M. Kahan e M Klausner, Standardization and Innovation in

Corporate Contracting (or “The Economics of Boilerplate”), 83 Va. L. Rev. 713 (1997), pp. 719. ss

Più in generale la diffusione di un unico modello contrattuale in un certo settore economico può essere la conseguenza

di una “cascata informativa”: ciascuno operatore copia il modello di altri nella convinzione che quel modello

contrattuale sia stato scelto sulla base di una conoscenza adeguata e si sia dimostrato idoneo a regolamentare in modo

conveniente i rapporti contrattuali.

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Il modello classico della concorrenza perfetta ipotizza che vi sia un mercato per ogni singola

possibile combinazione di clausole e in tal caso la diversa valutazione della stessa da parte

dei consumatori non è fonte di possibili inefficienze. Il modello economico dei mercati

concorrenziali comporta, implicitamente, che vi siano tanti mercati nei quali i consumatori

si distinguono anche in base alle loro preferenze per le prestazioni non principali. Si può

dire che nel modello dei mercati concorrenziali esisterà un mercato in cui acquistare un

certo bene o servizio insieme ad una prestazione accessoria ed un mercato in cui si può

acquistare quello stesso bene o servizio senza la prestazione accessoria. E ciò varrebbe per

ogni possibile prestazione non principale32.

Quando i consumatori hanno preferenze diverse circa le clausole contrattuali e non di meno

aderiscono tutti allo stesso standard contrattuale, l’effetto complessivo dovuto alla

previsione imperativa di una prestazione dipende dall’esatto ammontare dell’incremento di

corrispettivo che ne deriva. L’incremento del corrispettivo dipende a sua volta dal beneficio

lordo che l’inserimento delle nuova clausola arreca ai consumatori marginali, cioè quei

consumatori che hanno una disponibilità massima a pagare per l’offerta contrattuale

complessiva poco superiore al prezzo di equilibrio.

In alcuni settori economici esistono apposite istituzioni che elaborano modelli contrattuali che gli operatori possono

utilizzare. Così ad esempio, l’International Swap and Derivative Dealers Association (ISDDA) predispone modelli di

contratti derivati.

Per la letteratura giuseconomica in materia di diffusione di un unico modello contrattuale standard in un dato settore

economico, oltre al contributo di M. Kahan e M. Klauner già citato, si vedano M. Klausner, Corporations, Corporate

Law, and Network of Contracts, 81 Va. L. Rev. 757 (1995); M. Kahan e M. Klausner, Path Dependence in Corporate

Contracting: Increasing Returns, Herd Behavior and Cognitive Biases, 74 Wash. U. L. Q. 347 (1996). Nella letteratura

economica, sul cosidetto “herd behavior “ e le “informational cascades”, si vedano A. Banerjee, A Simple Model of

Herd Behavior, 107 Q. J. Econ. 797 (1992) e S. Bickhchandani, D. Hirshleifer e I. Welch, A Theory of Fads, Fashion,

Custom, and Cultural Cahange as Informational Cascades, 100 J. Pol. Econ. 992 (1992). 32 Affermano R. Pardolesi e A. Pacces, Clausole vessatorie e analisi economica del diritto: note in margine alle ragioni

(ed alle incongruenze) della nuova disciplina, in Diritto privato, 2, 337, 1996, p. 392, che “i mercati perfettamente

concorrenziali sono caratterizzati dall’omogeneità di tutti gli attributi (tra i quali vanno incluse anche le clausole

contrattuali) del bene o servizio scambiato. Sicché, diverse combinazioni di clausole standard sarebbero comunque

disponibili, nello scenario ipotizzato, ma in mercati differenti e contigui tra loro, qualificati dalla diversità nelle

condizioni contrattuali praticate. In tale contesto, sempre per via dell’assenza di barriere che connota la concorrenza

perfetta, i consumatori, nonché tutte le risorse disponibili, potrebbero muoversi da un mercato all’altro senza dover

sostenere alcun costo addizionale”.

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A titolo esemplificativo, consideriamo il caso in cui i consumatori marginali valutino la

nuova prestazione meno di quanto essa sia valutata dai consumatori inframarginali (si veda

la Figura 2). In tale ipotesi la curva di domanda si muoverà verso l’alto ma non

parallelamente, bensì cambiando inclinazione o subendo una totale modificazione della

forma. L’effetto complessivo sul benessere dei consumatori può essere valutato

considerando separatamente i consumatori marginali e quelli inframarginali. Per quanto

riguarda i primi, se essi valutano la prestazione accessoria più dell’incremento di

corrispettivo, allora la loro posizione risulterà migliorata. Si può facilmente valutare

l’effetto per i consumatori inframarginali: attribuendo costoro alla clausola un valore

superiore a quello espresso dai consumatori marginali, essi a maggior ragione vedranno

migliorare la loro posizione.

Nel caso in cui l’incremento di prezzo sia superiore all’incremento di beneficio lordo per i

consumatori marginali, allora la valutazione, sia in termini di efficienza economica che in

quelli della giustizia sociale, apparirà incerta. I consumatori marginali risulteranno, infatti,

danneggiati; quelli inframarginali potrebbero invece ottenere un vantaggio, essendo la loro

disponibilità a pagare superiore a quella dei consumatori marginali. E’ possibile allora che

l’intervento eteronomo avvantaggi alcuni consumatori e ne danneggi altri33.

33 Vi è infine l’ipotesi in cui i consumatori marginali valutino più dei consumatori inframarginali la nuova clausola. In

tale situazione, nel caso in cui l’incremento di corrispettivo sia maggiore del benefico lordo per i consumatori

marginali, l’intervento eteronomo appare dannoso per i consumatori ed inefficiente. Alcuni soggetti subiranno una

perdita e nessuno un guadagno. Vi è poi il caso in cui in cui l’incremento del corrispettivo è minore del beneficio

ottenuto dai consumatori marginali. Si ha in tal caso un miglioramento della loro posizione. Non è possibile invece

stabile con esattezza l’effetto che l’inserimento della nuova clausola ha sui consumatori inframarginali: essendo la loro

disponibilità a pagare minore rispetto a quella dei consumatori marginali, l’incremento del corrispettivo può essere

superiore o inferiore al beneficio lordo.

La valutazione, in termini di giustizia sociale, sarà incerta, in quanto vi sono consumatori danneggiati.

Incerta è anche la valutazione, in termini di efficienza economica, dell’intervento regolativo, potendo essere la

variazione del surplus totale positiva o negativa

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19

Figura 3.

Nella Figura 3 è raffigurato il caso in cui i consumatori marginali valutino la nuova prestazione meno dei

consumatori inframarginali. Una valutazione in termini di giustizia sociale è certa solo nel caso in cui i

consumatori marginali attribuiscano alla nuova prestazione un valore maggiore all’incremento di prezzo. Nel

caso in cui ciò non sia vero, vi saranno consumatori danneggiati e consumatori avvantaggiati e la

valutazione, in termini di giustizia sociale, risulterà incerta. ∆P costituisce l�incremento di prezzo.

6. IL DIRITTO DEI CONTRATTI E L’AGENDA TECNOCRATICA.

Il tecnocrate, economista o giuseconomista, formatosi sui testi dell’economia neoclassica, è

mosso dalla convinzione di non dover compiere una scelta politica quando formula

prescrizioni in materia di diritto dei contratti. Ipotizzando, infatti, consumatori con

preferenza identiche, egli sa che una prescrizione di policy volta all’inserimento di una

D1

D2

O1

O2

Q2

P1

P2

E2

E1

O

{∆P

Q

P

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clausola efficiente (non offerta dal mercato) è idonea a determinare un miglioramento di una

parte contrattuale senza il peggioramento dell’altra, e ciò a causa del fenomeno

dell’adeguamento del contenuto del contratto e il raggiungimento del nuovo equilibrio di

mercato. Si realizza così un miglioramento paretiano reale, cioè un tipo di cambiamento la

cui attuazione sembra non implicare alcuna scelta di natura politica.

Il tecnocrate si ritiene sollevato dal peso di qualunque scelta politica anche nel formulare la

prescrizione secondo cui clausole inefficienti non devono essere introdotte imperativamente

nei contratti. Ipotizzando, anche in questo caso, consumatori con preferenze identiche,

l’inserimento imperativo di una clausola inefficiente determinerebbe un trasferimento dei

costi attraverso l’adeguamento del contenuto del contratto, tale per cui la parte che si

intendeva avvantaggiare risulterà in effetti danneggiata senza che ciò determini un

miglioramento dell’altra parte. Si realizzerebbe cioè un cambiamento in cui alcuni soggetti

sono danneggiati e nessuno è avvantaggiato; un cambiamento che si può considerare non

desiderabile indipendentemente dalle scelte politiche che i governanti hanno inteso

compiere.

L’agenda tecnocratica, quindi, in presenza di consumatori con preferenze identiche, ha

senza dubbio un contenuto concreto.

Ma spesso l’ipotesi di consumatori con preferenze identiche non appare verosimile, per cui

le valutazioni in termini di efficienza economica risultano più complesse e richiedono

l’impiego di un criterio di misurazione del benessere sociale diverso dal criterio di Pareto.

Sarà necessario, infatti, ricorrere al criterio di Kaldor-Hicks.

L’indicazione, inoltre, secondo cui l’inserimento di clausole inefficienti non può essere lo

strumento per promuovere la redistribuzione della ricchezza non sarà più valida. Una

clausola che determina una perdita di ricchezza per la società nel suo complesso potrà, in

presenza di consumatori con preferenze diverse, promuovere la giustizia sociale

avvantaggiando alcuni particolari contraenti.

L’agenda tecnocratica conserva, allora, il suo contenuto solo in forza della prima

giustificazione dianzi indicata: cioè che risulta più efficiente redistribuire attraverso il

sistema fiscale piuttosto che attraverso la disciplina dei contratti.

Meno convincente appare la seconda giustificazione, rappresentata dall’impossibilità di

redistribuire attraverso la regolamentazione dei contratti.

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7. UN ESAME DEI RISULTATI CONSEGUITI.

A questo punto si può procedere ad una valutazione dei risultati a cui si è giunti fino ad ora:

le ipotesi in cui tutti i consumatori risultino avvantaggiati o danneggiati da un intervento

eteronomo sembrano essere meno probabili di quelle in cui taluni consumatori vedono

migliorare la loro posizione mentre altri subiscono un peggioramento.

La convinzione secondo la quale una regolamentazione dei mercati finalizzata

esclusivamente a tutelare il contraente debole (e, quindi, non giustificata dalla presenza di

un fallimento del mercato) è destinata ad andare sempre incontro ad una eterogenesi dei fini

appare così una estremizzazione del ragionamento.

Normalmente interventi regolativi sui mercati arrecheranno vantaggi ad alcuni contraenti

deboli e danni ad altri contraenti della stessa natura.

Incerta apparirà la valutazione sia che si adotti come criterio l’efficienza economica sia che

si utilizzi il parametro della giustizia sociale.

Merita però di essere rilevato il fatto che la previsione di una nuova prestazione non

comporta un beneficio a costo nullo per il contraente debole: la nuova prestazione, e più in

generale una qualunque tutela, comporterà per la parte tutelata un costo rappresentato

dall’incremento di corrispettivo.

Vi è, inoltre, il grave problema della non identificabilità dei consumatori avvantaggiati e di

quelli danneggiati.

Come si è visto, in alcuni casi i consumatori marginali risultano danneggiati mentre sono

avvantaggiati quelli inframarginali. Altre volte avviene l’opposto.

Una politica diretta alla realizzazione della giustizia sociale dovrebbe basarsi sulla

conoscenza delle caratteristiche dei soggetti su cui ricadono gli effetti dell’intervento

regolativo, ma appare poco realistico ipotizzare che lo Stato abbia informazioni di questo

tipo. E’ possibile che fra i contraenti danneggiati vi siano proprio coloro che si intendeva

avvantaggiare. Ad esempio, nel caso in cui i consumatori marginali siano rappresentati dai

consumatori poveri, una regolamentazione che intendesse tutelare i meno ricchi e che

avvantaggiasse i consumatori inframarginali e a danno di quelli marginali, realizzerebbe un

risultato opposto a quello desiderato.

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E’ peraltro possibile che una certa politica sia efficace nella promozione della giustizia

sociale anche se risultasse non giustificabile in termini di efficienza economica.

L’agenda tecnocratica, alla luce dell’analisi compiuta, appare forse meno ricca di quanto

sembrano far ritenere le riflessioni dei tecnocrati che si ispirano all’economia neoclassica.

Allo stesso tempo appare più ricca l’agenda politica, in quanto molte scelte, anche in

materia di diritto di contratti, sembrano destinate a contemperare interessi contrapposti.

8. LA CONTRAPPOSIONE FRA EQUITA’ ED EFFICIENZA E I POSSIBILI

EQUIVOCI. CONCLUSIONI.

La posizione di giuseconomisti ed economisti richiede allora la precisazione secondo cui è

sì vero che il diritto dei contratti può essere utilizzato per scopi redistribuitvi, ma tale

strumento, se utilizzato per questo scopo, appare fortemente inefficiente.

Si può conciliare, dopo tale precisazione, la posizione di economisti e giuseconomisti con

quella dei giuristi classici, i quali riconoscono al diritto dei contratti anche la funzione di

perseguire la giustizia sociale?

Una risposta a tale quesito, che apparentemente sembrerebbe essere senz’altro negativa,

potrebbe però, entro determinati limiti, risultare positiva, in quanto l’inconciliabilità fra le

varie posizioni sembrerebbe discendere da un equivoco nel significato attribuito ad alcuni

termini normalmente usati dagli studiosi.

Gli economisti e i giuseconomisti, infatti contrappongono il concetto di equità a quello di

efficienza. Una tale contrapposizione non esiste nel linguaggio dei giuristi e vi è il rischio

che si ritenga erroneamente coincidente il concetto di equità dei giuristi con quello di

economisti e giuseconomisti.

E’ possibile che, nel linguaggio dei giuristi, anche le esigenze di promozione dell’efficienza

economica confluiscano nel concetto di equità, per cui può accadere che ciò che il giurista

definisce “equo”, dal giuseconomista potrebbe essere chiamato, invece, “efficiente”. Il

giurista potrebbe affermare che in forza dell’equità sia necessario un certo intervento

regolativo. Il giuseconomista, senza conoscere il tipo di intervento regolativo, potrebbe

respingere una tale idea ritenendo che lo scopo del diritto dei contratti sia costituito

esclusivamente dalla promozione dell’efficienza economica. Può essere, tuttavia, che

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l’intervento invocato dal giurista in nome dell’equità sarebbe voluto anche dal

giuseconomista in nome dell’efficienza economica. Ciò che è equo per il giurista potrebbe

essere efficiente per il giuseconomista, ma la contrapposizione dei concetti di equità e di

efficienza che è presente nel linguaggio dei giuseconomisti può far ritenere che il primo

proponga interventi necessariamente non condivisibili dal secondo.

Il valore della giustizia sociale che viene difeso dai giuristi e che dovrebbe informare di sé

anche il diritto dei contratti, assume così una nuova luce. La giustizia sociale può richiedere

anche (se non in primo luogo) la correzione dei fallimenti del mercato.

Vengono in evidenza in particolare quei casi nei quali la carenza di informazione da parte

dei consumatori porta ad un fenomeno di selezione avversa per cui i contratti in cui i rischi

sono a carico del professionista scompaiono dal mercato a vantaggio di quei modelli

contrattuali squilibrati ai danni dei consumatori34.

I giuristi considererebbero tali contratti “iniqui”; gli economisti li definirebbero

“inefficienti”. Ma la contrapposizione fra i due concetti che è presente nel linguaggio

economico fa sì che possa sfuggire l’identità di vedute.

Un uguale discorso può farsi circa l’iniquità dei contratti offerti dal monopolista, iniquità

che l’economista sarebbe portato a chiamare “inefficienza”35.

34 Sul fenomeno di selezione avversa che colpirebbe le clausole dei contratti standard si vedano R. Pardolesi A. Pacces,

Clausole vessatorie e analisi economica del diritto: note in margine alle ragioni (ed alle incongruenze) della nuova

disciplina, cit., pp. 412 ss. e, per riferimenti alla letteratura nordamericana, E. Baffi, I limiti all’autonomia contrattuale

nel pensiero economico e filosofico contemporaneo, cit., pp. 662 ss.. 35 Il problema dell’offerta di clausole inefficienti da parte del monopolista è stato in più occasioni trattato dagli studiosi

di analisi economica del diritto. L’intuizione e, forse, l’osservazione della realtà potrebbero far ritenere che il

monopolista utilizzi la sua forza contrattuale (derivante dal suo potere di mercato) non solo per imporre prezzi troppo

elevati, ma anche per offrire clausole squilibrate a suo vantaggio. Questo modo di pensare è stato contestato dal

giuseconomista di Yale Alan Schwartz negli anni settanta e da allora la sua posizione è stata accolta diffusamente.

Secondo Schwartz (A. Schwartz, A Reexamination of Nonsubstantive Unconscionability, 63 Va. L. Rev 1063 (1977), p.

1071 ss.) il monopolista che intende massimizzare i propri profitti offrirebbe le stesse clausole che verrebbero offerte in

un mercato di concorrenza perfetta, cioè le clausole efficienti.

Si può comprendere l’idea di Schwartz con un esempio: si supponga un monopolista che offra un certo bene e che

massimizzi i suoi profitti richiedendo il prezzo di $100. Nel contratto che offre ai consumatori non è prevista la

consegna a domicilio del bene stesso. Si immagini ora che la consegna costi $10 al monopolista e sia valutata $20 da

ciascun consumatore. Modificherà il monopolista il contratto per prevedere la consegna a domicilio? Si potrebbe

pensare che il monopolista abbia interesse ad evitare la consegna e potrebbe usare la sua forza contrattuale per imporre

un contratto che non la preveda. Ma essendo i consumatori disposti a pagare più di quanto il servizio costi al

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Con ciò non si vuole escludere che, talvolta, una esigenza puramente redistributiva sia alla

base della richiesta di contratti meno iniqui.

In questo caso l’economista può avanzare le sue osservazioni circa la possibile inefficienza

del diritto dei contratti come strumento per la redistribuzione della ricchezza ed il rischio

dell’eterogenesi dei fini.

monopolista, vi è spazio per un guadagno congiunto. Infatti, prevedendo la consegna a domicilio, il monopolista potrà

chiedere oltre al prezzo di $100, una somma compresa fra $11 e $19. I consumatori sarebbero disposti a pagare $20 al

massimo per la consegna, e quindi per una somma inferiore a $20 sono ben lieti di accettare. Ma chiedendo una somma

compresa nei limiti indicati anche il monopolista ha un guadagno ulteriore. Egli quindi offrirà quel servizio, inserendo

così la clausola che sarebbe stata offerta in regime di concorrenza perfetta (la clausola efficiente).

Schwartz elaborò la sua idea sulla base degli studi di alcuni economisti, fra cui: J. Hirschleifer, Price Theory and

Applications, Englewood Cliff (1976) e E. Panzer, Quality Choice and Monopoly Regulation, in R. Caves e M. Roberts

(a cura di), Regulating the Product: Quality and Variety, Vol. III, Cambridge (Mass.), (1975).