IL CONCETTO STORICO GEOGRAFICO DI SALENTO Regione … · le ipotesi di Codacci Pisanelli quelle...

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  • IL CONCETTO STORICO GEOGRAFICO DI SALENTO

    Il Salento è innanzitutto una realtà geografica, definita da sempre sulla cartografia internazionale e

    le mappe territoriali. Ma è anche un organismo culturale ed economico che anticipa l’attuale

    dibattito sull’utopia di una Regione Salento, da considerarsi probabilmente un progetto della

    Storia.

    Alla base di tutto ci sono le origini storiche della terra salentina che si rintracciano, per antica

    convenzione nell’epopea della Messapia, la terra tra i due mari.

    La civiltà messapica e il successivo condizionamento culturale della cosiddetta Magnagrecia

    (periodo ellenistico) hanno predisposto il terreno per una più consapevole e moderna identità

    sociale e territoriale del Salento, che rappresenta una geografia a se stante rispetto al resto della

    Puglia. Nella Storia e nella geografia, infatti, non esiste la Puglia, esistono le Puglie; e la scelta

    dell’unica regione con capoluogo Bari è sempre apparsa agli occhi dei salentini un indirizzo politico

    ideologico in distonia con il contesto socio culturale e storico di riferimento.

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  • Anche sul piano della morfologia geografica e non soltanto della cultura e della storia, il Salento si

    impone come realtà a se stante. L’essere penisola protesa tra due mari ne faceva territorio “ a parte”,

    “luogo altro”. Una visione satellitare della Puglia chiarisce facilmente l’esistenza di una sub regione

    con caratteristiche totalmente diverse, tanto da renderla naturalmente ascrivibile in un contesto di

    diversa estensione.

    Pianura e bassipiani e formazioni calcaree sono una nota distintiva di una terra che si riconosce

    nella sua autonoma visione geografica, primo elemento per stabilire i confini e il contorno di una

    regione.

    La politica avrebbe dovuto tener conto di tutto questo, ma inspiegabilmente non lo ha fatto. Come a

    dire che a un certo punto il destino della civiltà avesse intrapreso un corso innaturale e forzato.

    Parliamo di una vicenda che affonda le sue radici nella storia remota, quando a più riprese è

    riemerso forte l’anelito all’autonomia amministrativa del territorio di Lecce, Brindisi e Taranto,

    l’antica e indimenticata Terra d’Otranto.

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  • La questione della Regione salentina cioè di un territorio che aveva un proprio ruolo nel contesto

    della Puglia e perciò era meritevole di ottenere una propria autonomia, fu ben presente nella prima

    metà del secolo scorso anche in autorevoli uomini della cultura meridionale e di quella parte della

    cultura pugliese per così dire libera e autonoma sul piano intellettuale.

    Una delle prime certificazioni documentali e storiografiche della consistenza politico

    amministrativa della Regione Salento deriva dallo scritto del principe Apostolico Orsini dal titolo

    “La penisola salentina costituisce una regione”. Volume antesignano di ben altre opere che attestano

    lucidamente il fondamento storico, culturale e geografico che fa da sfondo al progetto di autonomia

    regionale della Terra d’Otranto.

    E ancora Gaetano Salvemini, identificando il Salento con l'antica provincia di Lecce e questa con

    la “Terra d'Otranto”, riconosceva che questa era una “regione naturale” distinta nettamente dalla

    Terra di Bari e dalla Capitanata. Sempre Salvemini si ribellava all'idea che si potesse attuare in

    Italia un autonomismo alla rovescia e cioè creare le regioni per legge da parte dei “signori che

    stanno a Roma”.

    Anche il fondatore del Partito popolare Don Luigi Sturzo ebbe modo di confrontarsi con la

    questione affermando che in materia di Autonomie regionali e di Mezzogiorno, “Il Salento

    costituisce indiscutibilmente una regione, perché oltre ad essere circoscritta naturalmente, è

    una vera unità specifica di lingua, di storia, di costumi, di affinità, di interessi...”.

    Il Parlamento italiano non rimase escluso dal dibattito che in Salento emergeva e si faceva sempre

    più accorato. Illustri intellettuali e politici con l’on. Giuseppe Grassi e l’on. Vito Mario

    Stampacchia ripresero, in tempi e modalità diverse, la questione della centralità di Lecce quale

    capitale della terra d’Otranto e del ruolo strategico del Salento nell’assetto dell’amministrazione

    statale.

    Si andava delineando un movimento di pensiero vivace sul piano dei contributi intellettuali e

    culturali ma privo forse di quella organizzazione strutturale che, al contrario, avrebbe potuto

    facilitare il raggiungimento del risultato, ovvero l’autonomia della Regione Salento.

    Non meno significativa nel tempo della Costituente e negli anni del secondo dopoguerra l’azione di

    un altro illustre studioso. La figura politica più eminente che prese a cuore la battaglia per

    l’istituzione di una regione salentina autonoma fu senza dubbio Giuseppe Codacci Pisanelli,

    statista e letterato figlio del Salento, personaggio a cui si lega indissolubilmente la creazione

    dell’Università di Lecce e al quale il Movimento Regione Salento di Paolo Pagliaro ha pensato di

    dedicare l’intitolazione dell’ateneo, con una campagna di sensibilizzazione e un’istanza proposta in

    forma condivisa alle amministrazioni locali e agli enti territoriali di riferimento. Nell’Università

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  • degli Studi, fra i tanti illustri studiosi, discepoli di Codacci Pisanelli in tanti hanno sposato la causa

    dell’autonomia regionale del Salento.

    Fra questi il noto avvocato Nicola Flascassovitti il quale nel 1946 scriveva che “spesso le regioni

    comprendono territori e genti completamente distinte, anzi opposte tra loro. E' possibile

    ignorare che Lecce, Brindisi e Taranto hanno una propria storia, una propria tradizione, una

    lingua propria, oltre che interessi, costumi, economia in comune, diversi, distinti e sovente

    opposti alle rimanenti popolazioni e territori della Puglia e cioè Terra di Bari e di

    Capitanata?”. La mancata istituzione della Regione Salento in quello storico anno non impedì

    comunque a Nicola Flascassovitti di continuare negli anni successivi la sua costante ed appassionata

    attività intesa a richiamare l'attenzione dei responsabili della Cosa Pubblica sul problema della

    autonomia del Salento: tanto con articoli sui giornali quanto con interventi conferenze, dibattiti e

    iniziative culturali.

    Fra i grandi nomi della Cultura salentina spicca quello dell’attore Carmelo Bene, intellettuale di

    sopraffina creatività artistica. Egli dice che “non esiste la Puglia, ci sono le Puglie. Nasco in

    Terra d’Otranto, nel sud del sud dei santi. Mettere insieme Bari e Otranto sarebbe come dire

    che Milano e Roma siano la stessa cosa…”.

    Concetto ripreso successivamente da un grande politologo pugliese. “La Puglia non esiste… è una

    congettura”, ha scritto lo storico e giornalista Marcello Veneziani nel suo libro intitolato SUD.

    “La Puglia non è una regione ma un condominio di province, repubbliche o principati: c’è

    una bella differenza tra dauni e messapi. E tra San Severo e Otranto c’è molta più distanza

    che tra San Severo e Roma”.

    Ciò spiega chiaramente le premesse espresse fin’ora.

    L’AUTONOMIA TRADITA E L’AUTONOMIA POSSIBILE

    Il Salento, quindi, ha sempre avvertito questa spinta interiore verso l’autodeterminazione e di

    recente ha colto la felice intuizione con l’orientamento che si erano dati nei primi anni 2000 i

    presidenti delle tre province di Terra d’Otranto sperimentando un dialogo operoso con il marchio

    Grande Salento.

    Purtroppo, anche in questo, tutto è rimasto relegato nell’angolo delle buone intenzioni.

    Le province non hanno avuto né la forza né il peso specifico per condizionare gli assetti e le

    prospettive di sviluppo dei territori e la pretesa di crescita a tutto tondo del Salento rimane utopia

    senza la presenza di un sistema governativo regionale in linea con l’avvento del federalismo

    moderno.

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  • Agli inizi degli anni 2000 i presidenti delle Province di Brindisi Lecce e Taranto hanno

    pubblicamente sostenuto la legittimità di un’istanza di autodeterminazione territoriale che si può

    sintetizzare in brevi assunti programmatici che hanno avuto risonanza mediatica.

    L’ex Presidente dell’amministrazione provinciale di Taranto Gianni Florido così si è espresso: “Io

    penso, se non vogliamo essere ipocriti, che il tema c’è, non è che non ci sia, se pensiamo che la

    somma di Taranto, Brindisi e Lecce è di un milione e 800mila abitanti e se pensiamo che in Italia le

    Regioni… un milione e 800mila abitanti è più grande delle Marche, più grande della Basilicata,

    più grande di tante Regioni italiane.

    Quindi questo vuol dire che forse basterebbe andare a rileggere quello che scrisse Codacci

    Pisanelli, questo grande salentino, questo leccese, professore universitario e grande intellettuale,

    quando arrivò alla Camera la proposta della Regione Salento, poi fu bocciata. Però se rileggiamo

    le ipotesi di Codacci Pisanelli quelle ragioni ci sono tutte. Infine, quale era la ragione, noi siamo

    troppo marginali, in Puglia ci puoi arrivare su delle direttrici di marcia storiche che si fermano a

    Bari, se devi venire nel Salento, ci devi venire, devi scegliere di venirci. Allora noi dobbiamo

    conquistare con i baresi, con i foggiani non come salentini, queste battaglie, questo ogni giorno

    convincerli che bisogna fare le ferrovie anche da noi, che per gli aeroporti abbiamo dovuto fare

    battaglie terrificanti, il porto di Taranto che ancora non parte, allora mentre faccio un esempio per

    Bari si spende, la Regione dà un miliardo e 260 milioni di euro per infrastrutture per lo sviluppo,

    noi come Salento ne prendiamo 200milioni. Se guardiamo questo, le ragioni per dire una Regione

    Salento, non sarebbe una iattura, assolutamente no, ha tutte le motivazioni. Poi io insisto, si

    arriverà a questo?. Non lo so se si arriverà a questo, certo che se non si trovano le ragioni in

    Puglia, perché questa diversità, questo essere tacco, non è un problema solo orografico, di

    rappresentazione, è un problema serio, perché, non ho capito, l’alta velocità si deve fermare a

    Bari, è inaccettabile. Io quello che ho sentito dire da Moretti, lo considero terrificante, Moretti

    dice: “Ma noi l’alta velocità la portiamo dove ci sono i passeggeri”, ma è esattamente il contrario,

    tu devi portare qui l’alta velocità, perché arrivino i passeggeri, se non porti l’alta velocità e ti

    fermi a Bari, allora la salentinità, questa ipotesi di Regione Salento, cioè la Regione della vecchia

    Terra d’Otranto troverà sempre più forti sostenitori in maniera direttamente proporzionale alla

    disattenzione che la Regione Puglia pone a questi temi”.

    Sulla stessa linea l’omologo di Brindisi Massimo Ferrarese che palesò il suo interesse per il

    progetto del Movimento di Paolo Pagliaro: "...capisco perfettamente l'obiettivo del Presidente del

    Movimento Regione Salento, Paolo Pagliaro a voler ottenere una regione. Perchè?, qual'è

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  • l'obiettivo... . E' comune a tutti noi. Siamo molto in simbiosi con Pagliaro sotto questo aspetto.

    Perchè lui vuole questo? .

    Per dare di più alla nostra gente e perchè non ci sia un baricentrismo che l'ha fatta da padrone per

    decenni. Se daremo più competenza a questa provincia, che abbiamo già risanato sotto molti

    aspetti, io sarò sicuramente contento e soddisfatto di governarla ancora meglio. Se dovessero,

    chiaramente un domani, abolire la provincia di brindisi, a quel punto credo sia giusta la Regione

    Salento. A quel punto se dovessi fare ancora politica sarei il primo, quindi sarò il primo a dare un

    aiuto al Movimento.”

    La storia recente ha fatto in modo che, almeno per la prima parte, le cose siano andate proprio così,

    con l’abolizione delle Province così come la conosciamo attraverso il ddl Delrio.

    Dello stesso avviso il presidente della Provincia di Lecce Antonio Gabellone sostenendo che “E’

    evidente che in una Regione come la nostra, così estesa in lunghezza, in un territorio come il

    nostro, così composito in termini di Comuni estesi lungo una disposizione che interessa diversi

    km… ci sono delle differenze enormi. Allora è evidente che se tutto ciò dovesse portare di fatto alla

    eliminazione delle Province, a questo punto in una Regione come la nostra, a mio avviso pensare

    ad una Regione che comprenda Lecce, Brindisi e Taranto, quindi alla possibilità che ci possa

    essere la Regione Salento, non credo che sia un’idea fuori dall’interesse, che vada oltre

    l’interesse del territorio, sarebbe esattamente ciò che è necessario per il territorio stesso”.

    L’istanza, come si è visto, non solo arriva da lontano ma ha trovato recenti motivazione e

    argomentazioni condivise da autorevoli rappresentanti della pubblica amministrazione.

    Un’onda che infrange le rigide posizioni di certa politica e che trova seguito nelle espressioni di un

    altro autorevole amministratore, l’ex presidente della Provincia di Lecce Giovanni Pellegrino, fine

    giurista e noto per aver guidato la commissione parlamentare sulle autorizzazioni a procedere e

    l’immunità.

    Dice Pellegrino: “se dovessimo continuare ad avere delle Province debolissime allora tanto vale

    abolirle e cominciare a ragionare nell’ottica che forse la Puglia è una Regione troppo grande.

    Quell’idea sulla quale mi sono detto sempre molto perplesso, della Regione Salento, potrebbe

    acquisire una sua logica, in un’ipotesi di soppressione delle Province. Avere, quindi, un’unica

    macro Provincia a questo punto, con l’idea di innalzarla a Regione, diventerebbe più logica”.

    Parole chiare ed inequivocabili, specificate in maniera ancor più determinante da una altro ex

    presidente di provincia, Michele Errico, omologo di Pellegrino ai tempi dell’utopia del Grande

    Salento. Secondo il notaio Errico solo il Salento può favorire lo sviluppo del Salento stesso:

    “mentre noi, Lecce, Brindisi e Taranto, possiamo determinare con maggiore efficacia ed efficienza

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  • ciò che è meglio, Bari non lo può fare perché il nostro sistema deve essere, per Bari, misurato su

    altri sistemi, quello barese e quello foggiano. Ecco perché un protocollo d’intesa fra i tre

    presidenti di Provincia non è sufficiente nei confronti di una Regione che è sorda, ma è sorda non

    perché vuole esserlo, ma perché non può fare di più in quanto gli interessi configgenti nella

    regione sono tali e tanti da lasciare quasi le briciole in questi territori esaltando invece altri.

    Quindi questa è una rivoluzione.”

    Il dato emergente, pertanto, oggi più che mai, riguarda l’urgenza di sottrarre i territori delle

    province di Brindisi, Lecce e Taranto alla marginalità geografica subita in questi anni di preminenza

    “baricentrica” delle politiche di sviluppo con una costante disattenzione che ha esasperato i contorni

    sociali ed economici della questione meridionale, dando vita ad una questione salentina.

    Esiste, infatti, un’assurda dinamica nelle Puglie (non a caso le Puglie). Il Salento rappresenta un

    pezzo di storia messapico-magno greca ed un polo attrattivo sempre crescente per il turismo eppure

    il Salento nelle sue componenti imprenditoriali e politico amministrative un isolamento crescente.

    L’omogeneità culturale e la fusione di esperienze storico-antropologiche che in passato hanno

    costituito la Terra d’Otranto oggi meritano di cogliere l’opportunità del federalismo. Già al

    momento della formazione delle Regioni, in seno all’Assemblea costituente dell’Italia repubblicana,

    Codacci Pisanelli aveva segnalato l’opportunità dell’istituzione della Regione Salento. Ma a

    prevalere, nello scorrere di una sola notte, furono altre decisioni che, di fatto, cancellarono il

    Salento dando vita alla Puglia. Un concetto territoriale poco adatto alle ragioni storiche, sociali e

    culturali dei territori di Lecce, Taranto e Brindisi.

    Ragioni emergenti e sopravanzanti il resto della regione sul piano musicale, culturale,

    architettonico, archeologico, turistico, naturalistico, balneare, agricolo, teatrale, cinematografico.

    Ragioni alle quali non corrisponde una coerente azione di sostegno e valorizzazione dai centri

    decisionali che contano, quelli che determinano lo sviluppo e che hanno dalla loro il potere

    legislativo.

    Ecco, perché l’istituzione di una regione salentina autonoma non è una fantasia, ma un progetto

    possibile, soprattutto indispensabile.

    LA REGIONE VIRTUOSA

    Il progetto intende ribaltare quelle distorsioni che per troppo tempo hanno penalizzato le vocazione

    di crescita del territorio.

    Prima fra tutte riagganciare il Salento all’Italia e all’Europa. Rendere il territorio fabbro del proprio

    destino, cogliendo l’occasione del federalismo.

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  • Il Salento non è una terra povera, come erroneamente si ritiene, ma una terra dotata di risorse a tutti

    livelli: risorse storico-artistiche, architettoniche, naturali, paesaggistiche sulle quali è possibile far

    leva per produrre ricchezza: Fino a oggi tuttavia le scelte dei governi pugliesi non lo hanno

    consentito. Non solo per cattiva volontà degli amministratori che si sono avvicendati, ma per la

    difficoltà oggettiva ad amministrare un territorio così esteso, difficile da controllare e da conoscere.

    La Puglia è, infatti, la regione più lunga d’Italia e d’Europa, un gigante che non consente la pratica

    della buona amministrazione. Parliamo di un’amministrazione di prossimità più vicina e

    ragionevolmente aderente al territorio e alla comunità che vive ed opera al suo interno.

    Va ricordato che il peso economico del Salento è di tutto rispetto. Nel «tacco d'Italia» si realizza il

    43,2 per cento della ricchezza prodotta dalla Puglia ed è presente circa il 44 per cento del reddito

    disponibile. Le province di Lecce, Taranto e Brindisi danno lavoro a poco meno del 44 per cento

    degli occupati in regione ed ospitano il 41 per cento delle imprese. Senza considerare che il Salento

    attrae quasi il 50 per cento dei 3,1 milioni di turisti che villeggiano in Puglia.

    Il Salento potrebbe avere tutte le carte in regola, se fosse una regione, dotata di poteri e autonomia

    decisionale, per ottimizzare le politiche di gestione della cosa pubblica secondo la visione di una

    nuova governance. Ma per questo occorrono alcuni minimi accorgimenti:

    Si deve far si, per esempio, che le tasse delle multinazionali e dei grossi gruppi industriali e

    imprenditoriali vengano pagate qui per porre fine al lungo saccheggio e innestare così un percorso

    virtuoso.

    Stando alle simulazioni progettuali messe a punto negli ultimi anni dal Movimento Regione

    Salento, la nascita della Regione Salento porterebbe con sè l'eliminazione di 98 consiglieri

    provinciali, 32 assessori, 3 presidenti provinciali, 3 difensori civici, di una moltitudine di società

    partecipate, enti di sottogoverno, Ato, Agenzie e Fondazioni varie per far posto a 21 consiglieri

    regionali (oggi i Salentini in regione sono ben 31), 6 assessori e un Presidente.

    La strada per la creazione della Regione Salento è naturalmente in salita. Nonostante l'efficace

    attivismo del Movimento Regione Salento, le adesioni trasversali all'iniziativa giunte da esponenti

    politici pugliesi di primo piano – tra cui spicca il nome di Francesco Schittulli, influente presidente

    della provincia di Bari, che ha sposato appieno il progetto del Movimento Regione Salento e ha più

    volte espresso la necessità che la Puglia sia divisa in due Regioni: “Ritengo sia necessario che la Puglia sia divisa in due Regioni: la Regione Salento formata da Brindisi, Lecce e Taranto e la Regione

    Federiciana formata da Bari, Foggia e Bat".

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  • Nel merito ben 72 dei 146 comuni delle province di Lecce, Brindisi e Taranto si sono espressi a

    favore del progetto. Pesano gli scandali alla Regione Lazio e le inchieste che rischiano di travolgere

    molte altre regioni, ma soprattutto il fatto che il coacervo di poteri forti e interessi Bari-centrici,

    addentellati a funzionari e dirigenti della Regione Puglia, ancora di più che ai politici di turno,

    continuerà a lavorare contro la possibilità di vedere nascere la Regione Salento.

    Il pagamento dei tributi in loco da grandi gruppi industriali, della grande distribuzione, delle

    banche, delle infrastrutture turistiche e delle tante altre aziende che producono sul nostro territorio,

    ma i cui ricavi milionari vengono tassati a beneficio del Nord o addirittura di altre nazioni del

    mondo, consentirebbe l’inversione di un modello che ha penalizzato lungamente la nostra

    economia.

    Il dato economico interno sarebbe non solo consistente ed autosufficiente, ma addirittura indice di

    ricchezza.

    Nell’ottica di una Regione Salento, un federalismo fiscale che si potrebbe definire “genuino”,

    abbinato ad una gestione autonoma e dunque non Bari-centrica, consentirebbe di realizzare le

    infrastrutture e un modello di sviluppo del Salento in linea con le nostre vocazioni. Un percorso che

    parta da una nuova Regione insomma: il Salento.

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  • UN NUOVO REGIONALISMO

    La posizione geografica del Salento può diventare, con una nuova regione, una risorsa straordinaria

    e non una penalizzazione.

    Il Salento, infatti, non è periferia dell’Impero, ma centro del Mediterraneo, di un nuovo mondo che

    si sta affacciando all’Europa e all’Occidente e che ripercorre il percorso di civilizzazione storica a

    partire dall’antichità e dal tempo di Roma imperiale.

    Certo, le regioni nascono in un contesto, quello degli anni '70 del Novecento, nel quale il quadro

    sociale ed economico dell’Italia era profondamente diverso da oggi.

    Dopo 40 anni dall’istituzione delle Regioni la democrazia ha mostrato i segni di un evidente

    mutazione del rapporto tra cittadino e apparati dello Stato, nei suoi diversi livelli.

    Le autonomie locali assumono, quindi, una sempre maggiore forza in virtù della emancipazione dei

    poteri dello Stato in senso federale.

    Ma il cammino delle autonomie è informato dalla crescente affermazione di identità locali che

    chiedono attenzione e considerazione nell’organizzazione dei nuovi modelli politici federalisti.

    Ecco perché quello della Regione Salento sarebbe un modello virtuoso da esportare, senza sprechi.

    Fuori dai privilegi e lontano da tutto quel corredo pericoloso di enti e carrozzoni inutili.

    L'idea della Regione Salento si innesta in un progetto riformista e regionalista di un'Italia non più

    formata da 20 Regioni, spesso disomogenee e pensate solo sulla carta, alcune cancellate con un

    colpo di spugna, pur avendo ragione di esistere nella Storia, come nel caso del Salento.

    Il sistema regionalista ha bisogno di una riforma seria ed efficace, magari utilizzando lo schema

    progettuale messo a punto dalla Società Geografica Italiana in collaborazione con il Movimento

    Regione Salento riguardante 36 regioni di dimensioni ottimali, ognuna con la propria autentica

    identità culturale; regioni efficienti e prossime al cittadino. Ognuna delle quali è chiamata a

    valorizzare la propria identità, le proprie risorse in termini di ricchezze culturali ed economiche e a

    corrispondere le proprie vocazioni.

    Da quanto narrato brevemente emerge chiaro che la strada è già segnata, occorre adesso forza di

    volontà e una strategia programmatica, ecco perché ci pare utile, se non addirittura indispensabile,

    riproporre un modello di alleggerimento amministrativo capace di dare fiato e speranza ai territori.

    Innanzitutto partiamo dalle fondamenta, ovvero dalla riduzione delle micro realtà comunali che non

    hanno alcuna possibilità di incidere sullo sviluppo dei territori e che spesso, in virtù di una

    rappresentanza campanilistica, producono solo inutili costi alle tasche dei cittadini.

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  • Partendo dall’accorpamento dei comuni al di sotto dei 5000 abitanti, si avrebbe un risparmio

    notevolissimo da monetizzare in servizi generali a servizio delle realtà municipali così più

    significative.

    Ma il punto centrale della grande riforma sarebbe il cambio di rotta verso un regionalismo di tipo

    federale e di stampo europeo che prevede 31/36 nuove regioni tutte uguali, di dimensioni ottimali,

    virtuose e prossime al cittadino, con l’opzione sacrosanta del Senato delle autonomie federali. La

    Camera alta così diventerebbe un motore di rappresentanza territoriale composto dai presidenti delle

    nuove regioni, chiaramente eletti dai cittadini, e da 4 senatori (sempre eletti) per ogni nuova

    regione. Una rappresentatività politica omogenea e capillare per il territorio e un numero ridotto di

    rappresentanti, comunque eletti dal popolo, al fine di evitare che le istituzioni italiane si trasformino

    in blocchi di garanzia per i partiti che nominano i loro adepti.

    Si tratta del prospetto principale di una nuova architettura istituzionale sostenuta da una riforma

    unica, pensata per tutelare i cittadini e migliorare la qualità delle vita degli italiani, anche in ragione

    del loro rapporto con le istituzioni democratiche.

    Se è vero che l’Europa ci giudica soprattutto per le riforme, allora bisogna fare in modo che la

    riforma sia organica e complessiva, non fatta di cento o mille tentativi di aggiustamento e

    adattamento dello status quo.

    La riforma deve avere il carattere della novità assoluta e il potenziale per il cambiamento reale.

    Fondamentale a questo punto il “fattore 36” ovvero un modello di coerenza istituzionale e

    amministrativa nell’ottica di un equilibrio sociale e territoriale.

    L’obiettivo centrale resta quello della riduzione dei costi della spesa pubblica e il benessere di tutti i

    cittadini non come previsto da ddl Delrio che con le città metropolitane condannerà molti all'inferno

    ed altri più fortunati in paradiso. La Pubblica Amministrazione deve scegliere su quali organismi

    puntare, perché la debolezza del Paese è dipesa in tutti questi anni proprio dalla frammentazione

    delle sue istituzioni. Centri di potere, di governo e sottogoverno, di Stato, sottostato e parastato che

    hanno solo prodotto privilegi ad alcuni e limitato la libertà di tutti.

    Perché non c’è vera liberta in uno Stato che produce sprechi, perché non c’è bisogno di mille

    apparati che sono stati inventati ad arte per le fortune dei soliti noti.

    Sulla spinta del rinnovamento e gli impulsi forniti dalla spending review, che non è un fatto

    esclusivamente italiano, si potrebbe pensare alla concentrazione su base neo-regionale ad esempio

    delle Camere di Commercio o delle stesse prefetture. Ogni nuovo distretto regionale vedrebbe la

    presenza degli organi territoriali di riferimento.

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  • Ciò significa che a fronte di 36 regioni in Italia si potrebbero avere 36 Prefetture e altrettante

    Questure, per finire poi all’elenco di tutte quelle strutture provinciali che con l’abolizione delle

    Province dovrebbero seguire coerentemente la stessa sorte, senza tuttavia estinguersi del tutto,

    entrando piuttosto nella visione neo regionalista che prevede il fattore 36.

    Questo varrebbe per le Agenzie delle Entrate, le Camere di Commercio, l’Archivio di Stato,

    Archivio notarile Distrettuale, la Ragioneria dello Stato, le Unità territoriali ACI e la

    Motorizzazione Civile.

    Perdute le Province, eliminate del tutto o esautorate del loro potere di rappresentatività/territoriale,

    così potrebbe avvenire, quindi, per molti altri organismi di chiaro stampo provinciale immaginando

    invece una struttura unica, di raccordo operativo, più adatta alle necessità delle nuove regioni anche

    in questo caso di 110 strutture ne rimarrebbero 31/36. E’ chiaro che parliamo sempre di nuove

    regioni, perché sopprimere le unità provinciali accorpandole all’attuale capoluogo regionale sarebbe

    una rovina. Se ciò dovesse avvenire in Puglia sarebbe un’autentica tragedia per il Salento, una

    sciagura in più da aggiungersi alle tante che già vedono il Salento e i salentini penalizzati ed

    estromessi dai centri decisionali.

    Tutte quelle organizzazioni, quei carrozzoni maldestri e pachidermici, immaginati per assecondare

    le mire espansionistiche di soggetti politici che non hanno soddisfatto per intero le loro ambizioni

    con gli strumenti democratici, dovrebbero naturalmente sparire. “Pochi enti ma buoni” deve

    diventare il concetto portante dell’Italia 2.0. Un’Italia in grado di correre alla pari fra Sud e Nord,

    senza distanze e meccanismi perversi.

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  • Piace l’idea, lo sappiamo, perché tutti ripetono queste cose, anche se a volte in maniera

    disarticolata, ed è per questo motivo che oggi non è più dato a nessuno di scherzare e di giocare a

    carte con la vita dei cittadini.

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