il complesso monumentale di san paterniano a fano · Gianni Volpe solenni cerimonie e doni preziosi...

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il complesso monumentale di san paterniano a fano

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sin dalla fondazione la chiesa di san paterniano è stata sempre valutata come una delle più adatte a contenere cerimonie di grande significato re-ligioso e di forte impatto scenografico. due in particolare sono state ampiamente registrate nel-la cronaca fanese e persino sintetizzate in opusco-li ah hoc: quella del 1° aprile 1582 e quella del 23 maggio 1735.

La cerimonia del 1582pietro maria amiani nella sua monumentale sto-ria di fano appunta all’anno 1582 una solenne cerimonia svoltasi in san paterniano in ricordo del centenario della concessione dell’abbazia ai canonici lateranensi:

“Calmati in tal guisa i rumori nella Marca, le mi­lizie ripassarono in Romagna nel fine di Febbraio, e nel dì 29 di Marzo lo stesso Legato da molta uf­ficialità servito ritrovassi in Fano, qui trattenuto­si per assistere alla sontuosa Festa, che l’Abbate D. Gian­Battista Domenichi Ferrarese insieme con i Canonici Regolari di S. Salvatore solennizzar volle con magnifica pompa, e ricco apparato nel dì primo di Aprile pel centesimo anno, dacchè l’Abbazia di S. Paterniano era loro stata concessa. Tra le molte Iscrizioni, delle quali era adorno il Tempio, - pro-segue l’amiani - due ne restarono scolpite in Mar­mo riferite da Lorenzo Scraderi tra i Monumenti d’Italia, le quali, perché mancanti e con errori da quello Scrittore sono rapportate, mi piace così rife­rirle come di presente si leggono.”1

segue quindi da parte dello storico fanese la tra-scrizione dei due testi delle lapidi ancora oggi visibili all’interno della chiesa, una murata sulla parete della navata sinistra della chiesa, sotto l’or-gano, l’altra sulla parete sinistra del presbiterio2. Quindi la conclusione:

“Terminatasi la solenne funzione in S. Paterniano dalli Canonici di S. Salvatore, partissene il Legato Apostolico servito dal nostro Vescovo Francesco Ru­sticucci alla volta di Rimini, e presa il Rusticucci

Gianni Volpesolenni cerimonie e doni preziosi

la strada di Ravenna, vi si trattenne insino alla celebrazione del Concilio provinciale convocato dall’Arcivescovo Boncompagni, i di cui atti insieme con gl’altri Vescovi della Romagna anche il nostro sottoscrisse”.3

presso la Biblioteca federiciana di fano sono con-servate inoltre due copie del testo che raccoglie la cronaca dell’avvenimento. si tratta delle Essequie celebrate per la f. memoria di Papa Sisto IIII. Nel Centesimo anno dell’unione della Badia di Santo Paterniano di Fano, alla Congregatione de Cano­nici Regolari di San Salvatore. Ordinate & descritte dal Rever. D. Gio. Battista Domenichi da Ferrara Abbate, opera dedicata Al Ser.mo Francesco Maria II. Duca Sesto d’Urbino e stampata a pesaro nel 1584 per i tipi di Girolamo concordia.il volume non contiene solo l’orazione funebre, ma descrive in tutti i minimi particolari gli appa-rati, le decorazioni, i testi delle lapidi e dei carti-gli messi in opera per la cerimonia che si svolse in san paterniano esattamente il primo giorno

A fronteuna delle due tavole che accompagnano il volume Solenni Esequie di Maria Clementina Sobieski Regina dell’Inghilterra celebrate nella chiesa di S. Paterniano, fano 1735

frontespizio del volume Essequie celebrate per la f. memoria di Papa Sisto IIII, pesaro 1584

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d’aprile del 1582. ecco una sintesi dei passi più significativi.la descrizione inizia col citare l’artefice della sce-nografia:

“gli dico che l’addobbo, e apparato fu fatto nella nostra Chiesa col parer e diligenza di M. Gio Lodo­vico Brunazzi, huomo, per dire il vero, ingegnoso e giudicioso in così fatte invenzioni. Et il disegno era tale”.

dopo una breve sintesi architettonica della strut-tura della chiesa, terminante con un elogio del “fregio a chiaro scuro, cornigiato di pietra viva”, che caratterizza l’edificio, si entra subito nella de-scrizione dell’addobbo:

“Da questo fregio dunque, fino a terra, fu apparato tutta dentro e fuori delle navate e collocati per ogni verso, di panni finissimi e bellissimi paonazzi, con frange di seta dell’istesso colore d’intorno, avuti con altre robbe e ornamenti assai di seta e d’oro, dalla guardaroba di sua Altezza con buona gratia sua.In oltre, era talmente oscurato ogni lme naturale, che non si scorgea dove si fosse finestra, o porta, e ogni pillastro e collocato per dentro la navata di mezzo, porgeva in fuori un cornucopia a guisa di brazzo e mano che con una testa di morte naturale in capo facea base e candeliere a un torchio di cera bianca e due ossa di gambe gli facevano croce: fuora ciasche­duno di questi, era una cartella con ornamento di chiaro scuro e lettere nere in campo bianco e fuora questa era stesa una figura di morte grande, come un uomo naturale, che havea un’arma della Rovere in capo; et fra un pilastro e l’altro nel mezzo del panno era posto una testa di morte con altri ornamenti, nei luoghi principali e prospettive della Chiesa, erano bellissimi cartelloni con varie e diverse inserittioni […] Entrato poi nella chiesa era tanta la copia de torchi, e faccole accese, e con bellissima maniera di­sposte, per tutto il corpo della navata e per ciascun colonato, che rendevano quell’oscuro un chiaro gior­no […]; alzando gl’occhi, e camminando per diritto della Chiesa, si batteva di vista in una prospettiva

fatta nella Tribuna sovra l’altar maggiore, dov’era nel mezzo un’arma grande della Rovere in ovato, con ghiande d’oro e di finissimi colori, fra festoni e altri acconzi situata […]”.

seguono quindi i testi delle varie cartelle con iscri-zioni dedicate a sisto iV. si procede poi procede con la descrizione dei tre “bellissimi padiglioni, pure di panno paonazzo”, del ciborio con la sua cupola, della cassa ornata di vari motti e cartelle. sotto l’organo – si legge – c’era poi un “bellissimo cartellone” con la narrazione della “vita claustrale di questo gran Pontefice”, mentre un altro era si-stemato “dirimpetto all’organo, sovra la porta della Chiesa” contenente l’elenco delle “opere egregia­mente fatte da questo nostro Sisto Quarto nel suo Pontificato”. altre cartelle erano sui pilastri della navata centrale e un grande cartellone “si vedea nel mezzo volto fra le due colonne che sostentano il choro per traverso della Chiesa […] sotto il ritratto di Papa Sisto”.

la descrizione si conclude con l’elenco delle ce-rimonie che si svolsero il giorno seguente, dalla predica svolta dal r.p. mastro egidio marchesini da Bologna, “singolare predicatore dell’ordine de Predicatori”, all’orazione tenuta da “D. Serafino Girardo Bresciano”.l’apparato funebre fu tenuto per tre giorni

“acciocché [tutti] potessero con più commodità leg­gere i motti, e le iscrittioni, e pigliarne copia, come fu fatto da molti”.

La cerimonia del 1735 si tratta delle solenni esequie celebrate a fano il 23 maggio 1735 in ricordo della appena defunta regina d’inghilterra maria clementina sobiesky, moglie del re Giacomo iii stuart. non furono esequie qualsiasi giacché nella chiesa di san pa-terniano, scelta per l’occasione, venne eretta una vera e propria “machina” a testimoniare l’eccezio-nalità e la grandezza della cerimonia. ma andia-mo per ordine e vediamo gli antefatti di queste

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straordinarie relazioni tra la città di fano e i reali d’inghilterra.come ha già scritto qualche tempo fa franco Battistelli, “la vicenda umana di Giacomo iii stuart (James edward francis steward, detto il cavaliere di s. Giorgio), figlio di secondo letto di Giacomo ii re d’inghilterra (Vii come re di sco-zia), nato nel 1688 alla vigilia della rivoluzione che travolse il trono paterno a vantaggio della fi-glia maria e del genero Guglielmo iii d’orange, è ben nota agli storici come quella del ‘vecchio pretendente’, vissuto esule in francia e in italia fino alla morte, avvenuta a roma nel 1766. […]fu nel clima di questi ultimi avvenimenti che […] papa clemente Xi (l’urbinate Giovanni francesco albani) gli concesse di utilizzare come propria residenza l’antico palazzo ducale di ur-bino. e qui lo ritroviamo infatti nel febbraio del 1718, alla vigilia della sua venuta a fano: venuta dettagliatamente descritta in una cronaca d’epo-ca […]”4 e nelle memorie storiche dell’amiani.5 “Giacomo iii stuart – prosegue il Battistelli – venne dunque a fano nel carnevale del 1718, restandovi ospite dieci giorni” e fu sempre in quell’occasione che “[…] conobbe il conte pietro paolo carrara, noto arcade con il nome di cla-rimbo palladico, che nel 1727 avrebbe ospitato nel proprio palazzo la moglie dello stuart, ma-ria clementina sobieska, nello stesso periodo in cui papa Benedetto Xiii (pier francesco orsini) incaricò il cardinal Giulio alberini (altro illustre personaggio debitore di ospitalità al carrara) di riconciliare Giacomo iii con la consorte”.6a proposito di questo passaggio a fano nell’estate del 1727, l’amiani ricorda anche altri momenti:

“Ebbe similmente la Città nostra sul principio di Luglio la consolazione di servire nel Palazzo del cavalier Pietro Paolo Carrara la Regina Clemen­tina Sobieschi moglie di Re Giacomo III Stuardo, la quale portatasi nella Chiesa di S. Domenico, stette lungamente in orazione sopra il Sepolcro di P. Maestro Braun soggetto di grande stima nella Religione Domenicana, e figliuolo di questo Con­

vento, il quale in Roma per più anni aveva servito la Regina in qualità di suo Confessore, e dopo avere ammirato con suo stupore il nostro superbo Teatro, benché per simili divertimenti non fosse fatto il suo cuore, tutto inclinato alle orazioni, ed alla pietà, partissene questa Principessa alla volta di Bologna per rivedervi i due suoi figliuoli, che in quella Città soggiornavano, allorché il Re Giacomo nella Città d’Avignone trattenevasi in attenzione degli avveni­menti del Regno d’Inghilterra dopo la morte del Re Giorgio seguita verso Osnabruk, cui succedette nel Trono della gran Brettagna Giorgio II Prencipe di Galles suo Primogenito”.7

sempre il Battistelli ricorda poi che “due anni dopo la sobieska sarebbe stata nuovamente ospite del carrara, insieme con il secondogenito duca di York, futuro cardinale, consolidando un’amicizia di cui restano numerose testimonianze nell’ope-ra poetica del nobile fanese e nello splendido in folio pubblicato per le solenni esequie di maria clementina, tenute a fano nel 1735.”8

la regina moriva infatti il 18 gennaio 1735 e la

frontespizio del volumeSolenni esequie di Maria Clementina Sobieski Regina dell’Inghilterra celebrate nella chiesa di S. Paterniano in Fano, fano 1735

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una delle due tavole che accompagnano il volume Solenni esequie di Maria Clementina Sobieski Regina dell’Inghilterra celebrate nella chiesa di S. Paterniano in Fano, fano 1735

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cosa ebbe ovviamente molta risonanza in città, dove, come si è visto, sia lei che il marito erano stati più volte ospiti. siamo dunque tornati al 23 maggio di quell’anno e al giorno dell’eccezionale commemorazione della defunta nella chiesa di san paterniano.l’amiani, partendo dalle lodi per il novello ve-scovo di fano, l’eugubino Giacomo Beni, appe-na succeduto al defunto alessandro dolfi, così descrive la cerimonia funebre:

“Certamente il pio, e generoso cuore del medesi­mo moderno Vescovo Giacomo Beni non sarà già mai bastevolmente commendato nella memoria de’ posteri a misura dell’incomparabile suo merito, al­lorché ravvisarono nelle pubbliche Stampe più, che nelle presenti memorie Istoriche, riferito il sontuoso Funerale a sue spese, e spese immense, fatto nel gran­dioso Tempio di S. Paterniano l’anno 1735 alla Re­gina Maria Clementina Subieschi, già Moglie del Re Giacomo Stuardo, defunta in Roma nel dì 18 di Gennaio, e ciò non tanto per compiacere al zelo del Pontefice dimostrato appresso a tutte le Chiese di suffragare quell’Anima, che qual santa in oggi è ri­guardata da tutti, quanto per rendere una pubblica testimonianza del suo gran dolore, e dell’obligazio­ne già contratta di aiutare coi Suffragj quell’anima grande, e reale, e per famigliarità, e servitù, ch’egli ha sempre goduto verso que’ Principi. Nel dì 23 di Maggio più sopra della metà della Chiesa videsi eretta una Machina alta settan’otto palmi romani, e larga venti sei rappresentante un Tempio di forma ottagonale, tutto addobbato di vaghi colori, e ricche tappezzerie, entro il quale vedevasi un’Urna, e so­pra di essa uno Scheletro, che colla sinistra alzata in aria reggeva una Corona d’oro tramezzata da uno Scetro d’avorio, e colla destra appoggiata sul fianco il ritratto della Regina. Immensa era la quantità di Lumi, di Cerei, di Cartelloni, e d’Iscrizioni, che pendevano nell’apparato di detta Chiesa, e datosi il principio della sacra Funzione colla Messa celebra­ta Pontificalmente dal medesimo Vescovo, in mezzo della quale dal Padre Sebastiano Paoli della Con­gregazione della madre di Dio riccitossi una erudita

Orazione; terminò poi il Funerale coll’assistenza di Monsignor Lante Arcivescovo di Petra, Presidente d’Urbino, ed in oggi Cardinale, di Monsignor Spa­da Vescovo di Pesaro, di Monsignor Allegri Vescovo di Cagli, e del Reverendissimo Padre D. Ludovico Mariotti Abbate del Monistero di S. Paterniano, i quali in abito Pontificale compirono colla loro benedizione la Sacra funebre funzione, essendovi accorso a sì bella vista un immenso Popolo dalle cir­convicine Città; la stessa sera i Magistrati nel pub­blico Palazzo superbamente apparato colla recita di molti componimenti fecero celebrare la memoria di sì illustre, e santa Principessa. In quest’Accademia occupò il primo luogo con una bene ordinata, e dot­ta orazione il Conte Pietro Paolo Marcolini, Priore nell’Ordine de’ Cavalieri di santo Stefano, soggetto assai rinomato fra i letterati del nostro secolo, e che per le sue rare prerogative, allorché in Roma risie­dette Prelato domestico di Clemente XI fu spedito in varie Corti d’Europa per trattarvi con i Prin­cipi Cristiani gli affari i più premurosi della Sede Apostolica”.9

l’amiani cita due cose che vale la pena approfon-dire: le “pubbliche stampe” a ricordo dell’avveni-mento e la “machina” costruita all’interno della chiesa.per quanto riguarda la prima questione il ri-ferimento va al testo stampato per l’occasione e intitolato Solenni Esequie di Maria Clementi­na Sobieski Regina dell’Inghilterra celebrate nella chiesa di S. Paterniano in Fano dall’Ill.mo, e R.mo Monsignor Giacomo Beni vescovo di detta città li 23 maggio MDCCXXXV. E descritte da Sebastia­no Paoli della Congregazione della Madre di Dio, in fano, appresso Gaetano fanelli, stampatore Vescovile, e del s. uffizio. con licenza de’ su-periori.10

il testo è diviso praticamente in due capitoli: un “Ragguaglio”, con la spiegazione di tutti gli ad-dobbi predisposti per l’evento, e le “Lodi” pro-nunciate per l’occasione dal vescovo.nel primo viene descritto innanzitutto il luogo delle esequie, e cioè la basilica di san paterniano,

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chiesa “modernamente rifabbricata” su disegno di Jacopo sansovino, ricordando comunque che

“mercè alcune diligenze fatte in questa occasione si è trovato con indubitati documenti ch’ella è assai più antica, ed è forse opera del Bramante, di cui è il bellissimo ornamento della porta maggiore fornito di marmi d’Istria”.

segue quindi la descrizione della sua architettura (pianta, navate, cappelle, pilastri, chiostro) e dei suoi elementi decorativi e d’arredo (coro, lunette, altari, confessionali).si passa quindi alla descrizione del “solennissimo funerale”, a cominciare dalle decorazioni (panneg-gi e iscrizioni sulle facciate) per finire con i meda-glioni, le fasce, gli scudi, i festoni, i candelieri, i lumi, i lampadari e gli ornamenti dell’interno; tra questi il più sorprendente fu certamente la “ma­china”, come è detta nella cronaca dell’amiani. eccone la descrizione completa trasmessaci da sebastiano paoli:

“Più sopra della metà della Chiesa, e frà il quarto, e quinto Piastrone, alzatasi una machina alta 78 palmi Romani, e larga venti sei rappresentante un Tempio di forma ottagonale: quale posatasi sopra un ampio Piedistallo d’ordine composito, tutto co­perto, ed accerchiato di tela grigia figurante traver­tino, adorno di cornici bianche, le quali ricorrevano all’intorno sì nella cima, che nella base del medesi­mo. In ogn’uno degli otto angoli divisati sporgeva in fuori un Modiglione di fondo nero arabescato di bianco con vaghissimi bassi rilievi, e nella parte di contro alla porta maggiore della Chiesa, e nell’altra in faccia alla testata dava adito sovra il predetto Piedistallo, ò base dell’edifizio una comoda scalinata di undici scalini similmente di travertino commesso con cordone di marmo mischio: e da ambe le parti scendeva una balaustrata con i suoi basamenti in mezzo de’ quali era stato artificiosamente incastrato un vaso ovato di Cristallo, ripieno d’acqua, dietro a cui ardeva con sommo piacere de’ riguardanti una grossa face. Sulla testa degli stessi basamenti sedeva

uno scheletro, che reggeva colla destra un gran vitic­cio diviso in otto fogliami rabescati, e ciascuno di essi carico di fiaccolotti. Attorno poi all’orlo del divisato Piedistallo, ò imba­samento alzavansi quattro Archi magnifichi nelle quattro facciate, sostenuto ciascuno d’essi da due Colonne di paragone con fascie bianche, e Capitel­lo d’ordine Jonico: in mezzo a quelli pendeva sovra lo spigolo uno scudo coll’arma Sobieski. Da ambi i lati degli Archi vedevansi sedici Pilastri forniti di cristalli verdi a punta di diamante, framezzati con altri bianchi di figura ovati, e tutti copiosamente il­luminati di dietro, e dalla fiamma delle faci, e dagli spessi ri" essi di alcuni lastroni di orpello, accomoda­ti in guisa, che ricevendo la luce, in essi gaiamente la ri" ettevano. Otto proporzionati piedistalli, rap­portati di drappo bianco e nero, e nelle loro raddop­piate facciate ornati con varj lavori di cannelline di cristallo framezzavano i Pilastri. Sovra di quelli posavano otto ben alte Colonne di ordine composi­to, ma tutte formate di lunghi e sottilissimi tubi, ò vogliamo dire cannuccie di lucentissimo cristallo: le quali colonne avendo il fusto cavo e pieno di lumi sembravano composte di una fiamma cangiante e tremula: cosa per verità vaghissima a vedersi. Su’l Capitello di queste ricorreva poi il suo bellissimo cornicione bianco e colla fascia adorna con grotte­schi di teste e d’ossa di basso rilievo. Finalmente su per ciascun angolo di questa machina posavano al­cuni Volutoni che viè più torcendosi, ed accostandosi venivano a formare una Corona Imperiale quà e là sparsamente arricchita di cascate, di festoncini e di varj fogliami. Il capo di detto volutone era tutto di cannellini di Cristallo bianco co’ suoi lumi nasco­sti: e a cavallo di esso eravi uno scheletro con grosso doppiere in mano. Di più la punta della corona e lo spazio fra l’uno e l’altro de’ Volutoni, ed i fian­chi de’ medesimi, e tutto il cornicione, che ricingeva la machina e le di lei balaustrate e loro basamenti erano doviziosamente sparsi di candelotti, di torcie e di viticci di metallo dorato arricchiti di lumi, che la mole perfezionavano e diletto insieme aggiunge­vano.Nel vano ottagonale di sì vago e maestoso edifizio

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vedevasi una base coperta di bianco e di quando in quando toccata con alcuni arabeschi neri e in mezzo a questa leggevasi

aeternae memoriae / mariae cle-mentinae / suBiesKi / maGnae Bri-tanniae reGinae / pro laude sat est

E nella parte opposta verso l’incrociatura della Chiesa

eXpectantas Beatam spem / et ad-Ventum Gloriae maGni dei

Ne’ suoi quattro angoli eranvi stati disposti quattro Scabelloni finti di marmo bianco sostenenti grosse faci, intarsiato di striscie e foglie nere: e sopra di essa sorgeva un piedistallo su cui posavansi quattro volutoni che reggevano un’Urna in forma di pira­mide spuntata vagamente e riccamente adornata, e su loro lati sedevano quattro dolenti simulacri di morte, accomodati in varie mestissime positure, e tutto questo lavoro veniva accompagnato da quan­tità grande di fiaccolotti disposti in guisa che orna­mento rendevano e non confusione. Di minor vaga pompa facevano di se alcuni arabeschi e cartellami di minutissime cannelline di cristallo che pendeva­no nel vano formato dai Volutoni dell’Urna. Ma più di ogn’altra cosa traeva a se gli sguardi degli Spettatori uno scheletro sedente sulla sezione della Piramide dell’Urna medesima, che colla sinistra al­zata in aria reggeva una Corona d’oro tramezzata da un Scettro d’avorio, e colla destra appoggiata su’l fianco il Ritratto della Regina, luttuosa cagione del funebre apparato”.11

la seconda parte del testo del paoli ricostruisce invece la figura della defunta, la sua personalità ed il suo profondo carattere religioso. corredano infine il volume due preziosissime e raffinate incisioni che raffigurano appunto il grande apparato funebre messo in scena; incisio-ni realizzate da Giuseppe camerata, su disegni dell’architetto-impresario francesco tasso e del pittore michele marieschi.

del veneziano francesco tasso, artefice e impre-sario del lavoro, poco sappiamo. un succinto medaglione, approntato dalla casa d’aste cristies per un suo catalogo, ci informa che questi venne a fano con altri aiutanti (“the Venetian architect Francesco Tasso, who brought with him 7 assistants to execute the enormous task at hand. " e huge cata falque and the decorated nave of San Pater­niano, the results of Tasso and his team’s work, are illustrated in the folding plates”12).michele marieschi (1710-1743) invece è ben noto alla critica, che lo definisce scenografo e pittore celeberrimo per le sue vedute veneziane. figlio d’arte (il padre fu incisore), lavorò inizial-mente nella bottega del Vicentini e forse anche presso il canaletto; alcuni sostengono che ini-ziasse la sua carriera in Germania, come deco-ratore e scenografo alla corte di sassonia. pietro Guarienti nel 1753 scriveva infatti che

“datosi con indefesso studio alla Quadratura ed Ar­chitettura, fu presto in istato di staccarsi dal Padre e portarsi in Germania, dove con la bizzarria e copia di sue idee piacque a molti Personaggi, che lo im­piegarono in grandi e piccole operazioni; con che di non poche facoltà fece acquisto”13.

fabio mauroner sostiene poi che il marieschi entrò presto in contatto col bellunese Gaspare diziani e che possa essere stato proprio il dizia-ni, che già aveva avuto contatti con la Germania come scenografo, a favorirne il viaggio in quel paese.14 nel 1731 è comunque già in contatto a Venezia con francesco tasso visto che partecipa alla realizzazione degli apparati scenici del “giove-dì grasso” in piazzetta. anche il pallucchini ricor-da la sua venuta a fano nel 1735, assieme all’im-presario tasso, “per allestire gli addobbi funebri in occasione della morte di maria clementina sobiesky”15. tra il 1735 e il 1743 il marieschi fu iscritto alla Fraglia de’ Pittori Veneti. sempre il Guarienti scrive infine che fu “la troppo assiduità alla fatica e allo studio” a causargli la morte, avve-nuta nel 1743.16

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francesco maria niccolò Gabburri (1676-1742) nel su Vite di pittori ebbe a scrivere che mari-eschi è “molto stimato e sempre più s’incammina alla gloria”.17

per quanto riguarda la sua attività, risulta che due opere furono acquistate dal famoso collezio-nista Johann matthias von der schulenburg, il comandante in capo delle armate della serenis-sima. oggi i suoi lavori si possono ammirare in vari musei del mondo, da stoccolma a dublino, da londra a cambridge, da hannover a filadel-fia, da Venezia a Vicenza, a napoli. a titolo di cronaca si ricorda che il Capriccio con arco classico e accampamento è al museo civico Gaetano fi-langeri di napoli; la Veduta fantastica con obelisco è nelle Gallerie dell’accademia di Venezia, men-tre altre Vedute si trovano alla nelson Gallery di Kansas city e al museo nazionale di hannover. suo è anche il famoso campionario di incisioni Magnificentiores Selectioresque Urbis Venetiarum Prospectus, con straordinarie vedute di Venezia datate 1741.a complemento di quanto finora esposto giova ri-portare anche i testi delle due iscrizioni realizzate per la cerimonia, così come trascritti nel volume del 173518. la prima si riferisce ad un “cartellone di forma quadra” posto sull’ingresso principale della chiesa, mentre la seconda, ad una “lapide sepolcrale con sua cornice” posta sull’ingresso late-rale della chiesa.

testo della prima iscrizione:

d.o.m. / mariae clementinae / Ja-coBi ludoVici suBiesKi / FILIAE / Joannis poloniae reGis / COGNOM MAGNI NEPOTI / JacoBi iii anGl. et franc. reGis uXori / inteGritatae Vitae, suaVitatae morum / pieta-te in deum / Beneficentia in pau-peres / commendaBili / NUPER HEU / innaturo fato / terris ereptae, coeloQue redditae/ QUOD / de ca-tholica reliGione / de apostolica

sede / TAM BENE’ MERUERIT / et ur-Bem hanc / suo olim numine, ma-iestateQue/ impleVerit./ JacoBus Beni / episcopus fanensis / ciVium omnium freQuentia, et lacrYmis / Justa persolVit. / ViXit annos XXXii. m. Vi. d. ii oB. XViii. Jan. an. / rep. s. m. dccXXXV

testo della seconda iscrizione:

pie hospes inGredere / mariae cle-mentinae suBiesKi / ANGL. SCOT. HI­BERN. FRANCOR. / reGinae optimae / PATRONAE B.M. / JacoBus episcopus colon. Jul. fanen. / honorario tumulo / parental l. m. s. / V annos XXXii. m. Vi. d. ii. / o XV. Kal. feBr. mdccXXXV

programma sacro datato 30 maggio 1828

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Importanti cerimonie ottocentesche tommaso massarini nella sua ottocentesca Cro­naca fanestre ha registrato alcune importanti funzioni religiose celebratesi nella chiesa di san paterniano che giova qui ricordare. la prima av-venne il 31 ottobre del 1823 ed è collegata con la nomina del nuovo pontefice, il marchigiano annibale sermattei della Genga, papa col nome di leone Xii. scrive il cronista fanese:

“Messa solenne in San Paterniano, decentemente ad­dobbato, in ringraziamento per l’ellezione in Sommo Pontefice dell’Eminentissimo Annibale della Genga seguita il di 28 prossimo passato, con assumere il nome di Leone XII coll’intervento, in gran Gala, di tutte le Autorità ecclesiastiche che secolari”.19

un’altra importante cerimonia in pompa ma-gna e gran concorso di autorità civili, militari e

religiose, fu il funerale del cavalier luigi Bracci, colonnello della truppa provinciale del 2° reggi-mento, avvenuto all’inizio di febbraio del 1827, con un catafalco tenuto poi in esposizione per una settimana, e conclusosi con la sepoltura nella cappella gentilizia di famiglia.20

la terza cerimonia, sempre nella consueta gran-de spettacolarità scenografica che accompagna simili occasioni, si ebbe nel dicembre 1839, quando la Beata Vergine di san silvestro venne trasportata in san paterniano “per farvi un De­voto Triduo”. scrive il massarini che il corteo fu accompagnato da

“circa 70 torce e molto popolo dicendo le Litanie; in seguito, il di 9, 10, 11 viddesi quel Tempio, Plaustri e piazzale si pieno, che non fu più veduto e dopo datta la Benedizione, fu procisionalmente riportata in San Silvestro […]”.21

processione con trasporto dell’urna di san

paterniano per le vie di fano il 10 luglio 1941

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processione con l’urna di san paterniano in piazza XX settembre negli anni cinquanta

altre cerimonie accompagnate da grandi feste popolari furono organizzate nel 1846 all’annun-cio dell’elezione al soglio pontificio di un altro marchigiano, il cardinal Giovanni maria mastai ferretti, salito al trono con il nome di pio iX. ecco come il mabellini, sulla scorta di quanto raccolto dal francolini, ricorda l’accaduto:

“Il Francolini ci fa sapere che il 28 giugno 1846, giorno stabilito per celebrare l’ascesa al Pontificato del Card. Mastai Ferretti, fu solennemente festeg­giato. Alle ore 10 nella chiesa di San Paterniano, sul cui portale si leggeva un’iscrizione di Stefano Tomani Amiani fu celebrata una solenne messa con musica del concittadino M° Gaetano Mililot­ti, essendo presenti il Vescovo ed i corpi Municipale e Militare; e quella sera e le due seguenti la città fu sfarzosamente illuminata, mentre il concerto Municipale rallegrava la festa notturna. […] Così

al sorgere dell’aurora del 16 agosto, al suono delle campane e al tuonar dei cannoni, s’innalzava su la torre di Piazza il vessillo Pontificio. Nella chiesa di S. Paterniano, sul cui portale era un’altra iscrizione del Tomani Amiani, l’Abbate dei Canonici Latera­nensi pontificò una solenne messa diretta dal Mili­lotti ed eseguita dal concerto di ottoni. Verso le 4 del pomeriggio si estrassero nella Piazza maggiore dieci doti per fanciulle povere; e subito dopo, sempre in S. Paterniano e con l’intervento della Magistratura, fu cantato a tutte voci su l’organo il salmo Exaudiat te Dominus in die tribulationis. Poi, verso l’imbruni­re, fu elevato un globo aerostatico mentre il concerto era accompagnato dai cantori, che intonavano in lode del S. Pietro un inno di gioia appositamente strumentato dal Mililotti.[…]

nuova occasione di festa fu il 1848, per la con-cessione dello statuto:

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“[…] Il popolo, richiamato anche questa volta dalla musica, dalle campane e dagli spari d’allegria, usci­va dalle case di buon mattino e nella gioia comune era un reciproco salutarsi, un baciarsi, un piangere di commozione. Il Gonfaloniere distribuiva ai po­veri 400 pani; e verso le 11 al suono dei tamburi lo Stato Maggiore e l’Ufficialità nello splendore del­le loro uniformi sfilavano per il Corso e voltava­no, diretti al Palazzo Municipale, per la Piazza a prendervi tutte le Autorità, seguite dal Clero con bandiere tricolori. Si recavano così alla chiesa di S. Paterniano, dove, dopo una solenne messa musicata dal Mililotti ed il canto del te deum, il Vescovo Carsidoni impartiva la Benedizione”.22

sempre per restare in tema di festeggiameni gio-va ricordare infine le manifestazioni organizzate nel luglio del 1897, in occasione del centenario di san paterniano. ecco come furono descritte dal cronista del giornale “il Gazzettino”, di fano del 16 luglio di quell’anno:

“Le feste celebrate in occasione del centenario di S. Paterniano, patrono della città, riuscirono benissi­mo, e però non lesiniamo la lode ai signori com­ponenti il Comitato, i quali molto si adoperarono, perché tutto procedesse bene.La chiesa, splendidamente addobbata dai Sigg. Pellicione e Cingolani, per tre giorni di seguito fu affollatissima.Il giorno 9 ebbero luogo i Vespri, e la mattina del 10 la messa pontificale cantata dagli egregi artisti della Cappella di Loreto e diretti dal bravo maestro Amadei. Mancandoci lo spazio per parlarne un po’ diffusamente, ci limitiamo a dire che la musica ap­parve buona e l’esecuzione ottima.Sabato 10 alle ore 17 si fece la processione coll’effige del Santo. Vi presero parte molte compagnie religio­se della campagna. Il Clero con a capo il Vescovo, la Società Diocesana, sezione maschile e sezione fem­minile coi rispetivi stendardi, il Circolo di S. Pater­niano con bandiera, le società cattoliche di Pesaro pure con bandiera, il Concertino dell’immacolata egregiamente diretto dal Maestro Luigi Pettinari, e

una folla immensa di popolo.Alla sera l’illuminazione fantastica del corso e della Piazza XX Settembre erano illuminate a palloncini a varie forme e di vari colori”.

Lo stendardo turcooltre che da solenni cerimonie, come quelle te-stè descritte, la chiesa di san paterniano fu anche interessata da donazioni curiose. pier maria amiani nelle sue Memorie istoriche della città di Fano del 1751 nel raccontarci le ge-sta contro i turchi del fanese conte ludovico di montevecchio ci informa che costui,

“[…] dopo aver militato nove anni nel Reggimen­to Reale Italiano di Francia, dove fu Capitano, e si trovò presente nelle Campagne di Sonoffé, Gant, Ipri, e di altri luoghi nell’Olanda, ritornatosene in Italia nel 1681, fu Castellano di Perugia, e poscia nel 1684 passò al comando della Fortezza di Civi­tavecchia, e finalmente imbarcatosi nelle Galere del Papa, v’andò colla sua Compagnia d’Otramontani da lui comandata; e benché sotto l’assedio di Corone Piazza fortissima del Pelopenese, che oggidì porta il nome di Morea, vi restasse gravemente ferito, con tutto ciò con il coraggio suo, che fu in vero sorpren­dente, proseguì a combattere in compagnia degl’Im­periali, e de’ Veneziani, ed ebbe la consolazione dopo la resa di quella città, d’entrarvi valorosamente, e di togliere dalle mani di que’ Infedeli un Stendardo Turchesco, che egli poscia ritornato alla Patria, volle appeso nella Chiesa di S. Paterniano […]”.23

anche stefano tomani amiani nella sua Guida Storico Artistica di Fano del 1853 si è a lungo soffermato su questo particolare dono inviato dal conte ludovico di montevecchio e recato in chiesa nel 1687: un trofeo di guerra tolto ai tur-chi in battaglia e che è stato mostrato ai fedeli per secoli appeso alla volta accanto al monumentale organo. scrive lo storico fanese:

“È qui che vogliamo mandare inosservata la in­segna Ottomana che vedesi appesa al lato sinistro

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interno della chiesa di san paterniano come appariva negli anni trenta con l’organo e, sul fianco destro, lo stendardo turco appeso alla volta

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della Croce latina in vicinanza dell’Organo, limi­tandoci solamente a narrare, esser quella un memo­rabile trofeo di vittoria e di ossequio al S. Protettore della Città donato a questa Chiesa dal C.e Lodovi­co di Montevecchio al servizio delle armi Cesaree, poich’ebbe ventura di strapparla dalle mani di un infedele all’assedio di Castel Nuovo nel 1687, del quale avvenimento si ha memoria in una iscrizione che si conserva racchiusa nell’asta della istessa ban­diera.E poiché così della leggenda accennata, come del Mu­sulmano vessillo trattò alla distesa il chiariss.o Abb.e Michelangelo Lanci Fanese nella sua grand’opera delle Simboliche arabiche rappresentanze pubbli­cata in Parigi nel 1845 al Volume II non meglio potevamo provvedere alla istruzione dell’osservato­re, che riportando in Appendice l’intero brandello del nostro sapiente concittadino, al quale ci lega singolarissima estimazione e specialissimo affetto, sicuri di rendere con questo un importante servigio così ai nostri conterranei, come a tutti coloro che o non conoscono affatto, o in viaggiando non possono avere tra le mani il laborioso ed utile lavoro di quel sommo Orientalista”24

cosa scriveva il famoso orientalista fanese a pro-posito di questo stendardo che aveva studiato qualche anno prima? ecco la sua descrizione a commento della tavola con il disegno del “tur-chesco drappo” pubblicato nel suo celebre Trat­tato delle simboliche rappresentanze arabiche e del­la varia generazione de’ musulmani caratteri sopra differenti materie operati da Michelangelo Lanci, stampato a parigi nel 1846:

“Dichiarazione della Tavola LI. Non moverei pa­role su lo stendardo fanese ove attaccatagli non fosse una patria storia che mi sarìa sconoscenza verso gli amici e i proteggitori concittadini occultare. Impe­rocché se dall’un de’ lati il turchesco drappo non of­fre alla paleografica scienza scritture di ponderazion meritevoli, certo è che dall’altro ne addita il valore e la prodezza di un uomo che all’splendor del lignag­gio unir seppe la gloria dell’armi e divenne famoso. Innanzi leggete ciò che inchiuso è contiene in can­nelletto guardato entro un vano dell’asta, poi suvvi un tantolino ragioneremo:Vexillum hoc in oppugnato illyrici castro-novo ab armis venetis quibus innocentius Xi pont.

il famoso orientalista fanese michelangelo lanci

e, a fianco, il frontespizio del suo trattato all’interno

del quale è riportato il disegno dello stendardo turco conservato a suo

tempo in san paterniano

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max. navavit operam et auxilium, ludovicus co-mes de montevecchio, dux ecclesiasticae gentis e triremibus eductor, invictissime e turcis signiferi manibus abstulit mdclXXXVii prid. Kal. oc-tob. Quod ut aeternitati mandaret, astori comiti de montevecchio immisit ut in obsequium san-cti paterniani, sui et omnium fanensium patro-ni, propenderetur, annuente hyppolito amiano hanc abatialem ecclesiam praeclarissime regen-te. Ciò in nostra favella ripete:‘Questa bandiera nella oppugnazione di Castrono­vo d’Illiria per le venete armi, alle quali Innocen­zo XI porse opera e aiutamento, Lodovico conte di Montevecchio, duce della ecclesiastica milizia d’in su le galere da lui capitanate, vittoriosamente arra­pò dalle mani del turchesco gonfaloniere nel 1687, il dì ultimo di settembre. Il quale stendardo, per vo­lerlo confidato alla perpetuità, egli mandò al conte Astorre di Montevecchio, affinché in ossequio di san Paterniano, proteggitor suo e di tutti i fanesi, pen­duto fosse col beneplacito d’Ippolito Amiani, di essa abbazial chiesa ragguardevolissimo Reggitore’.La recitata dizion latina era chiusa nell’asta del pennoncello sin quando giù scendere il feci dalla

volta del tempio (dove, a trionfo del conquistatore e a pietosa memoria di sua devozione in vero Pater­niano, il santo Proteggitore di Fano, si penzolava) per far disegnati i vocaboli arabescamene parlanti. La qual memoria non si vole perduta, anzi vi fu rimessa con istudio e sollecitudine per averla anco più conservata che in addietro non fosse mai stata, aggiuntogli il maomettan dettao della invocazione divina per colorati su la bandiera asseguito: [segue testo in caratteri arabi]Coll’italico modo: in nome di dio misericordevo-le, misericordioso; e lo stendardo a sua prima posta fu appiccato.[…]Ciò narratovi a grata mia significanza verso il ge­nerso e raro amico, seguiterò a parlarvi dello sten­dardo com’esso dall’altra faccia senza scrittura con­tenga la maomettana spada a due punte, appellatasi dul-fekàr, e ancora un esagono con entravi la luna, e otto cerchietti, che sono stelle, di qua e di là dal sagro tra fiere, e più da ultimo una crescente luna in congiunzion con pianeta, e diciamolo pur Venere, e ne aggrada. Delle quali cose quando voleste avere un allegorico senso, tornate alle prime parti di que­sto lavoro e ve ne sarà fatta larghezza”.25

il disegno dello stendardo turco pubblicato nel trattato del lanci

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come ricorda un trafiletto comparso su “il Gaz-zettino” di fano del 23 luglio 1897, nei giorni precedenti lo stendardo veniva rimosso per ana-lizzarne lo stato di conservazione:

“Lo stendardo turchesco conquistato a Castelnuovo d’Illiria da un Montevecchio nel secolo XVII fu in questi giorni rimosso dal luogo ove era appeso in S. Paterniano, per provvedere alla sua miglior conser­vazione nella stessa Chiesa. Fu un ottimo pensiero”.

ricordiamo che quell’anno in san paterniano erano state fatte solenni cerimonie per il centena-rio e molto probabilmente l’operazione rientrava tra le cose importanti che simile data richiedeva. non sappiamo a che cosa portò l’analisi del ves-sillo, che comunque tornò al suo posto.nel numero di natale del 1911 sulla rivista mar-chigiana “picenum” usciva un lungo articolo si-glato V.l. che ripercorreva la storia del famoso stendardo con una accesa verve nazionalista e anti-turca che ben si inserisce nel clima politico internazionale del momento. eccone per intero il testo, che contiene peraltro anche altri interes-santi dettagli storici sul conte di montevecchio:

“Rievoco una gloriosa pagina di storia nostra, oggi che la fanfara di guerra è passata come una raffica violenta sul popolo italiano e ha destato un fremito lungo, immenso, indescrivibile di entusiasmi pa­triottici. E parlo di un marchigiano che si coprì di gloria combattendo i turchi, questi eterni fanatici, barbari, sanguinari, questi soldati che sono stati ri­coperti di lode dai giornalisti e banchieri dell’Eu­ropa paurosa di una Italia forte e guerriera, men­tre più che per altro essi essi vanno additati come maestri di insidie, di tradimenti e possessori di una sbalorditoria malafede. Barbare e feroci quanto le attuali masnade nella nostra Tripolitania, erano le torme musulmane che, circa il 1685, minacciava­no stragi e rapine alle coste italiane dell’Adriatico. A prevenire il pericolo e a combattere e fiaccare il nemico, Papa Innocenzo XI inviò le sue truppe in Levante dove rimasero per diversi anni alleate alle

soldatesche e protette dalle galere delle fiorenti Re­pubbliche di Venezia, Pisa e Genova.Il 15 maggio 1685, guidate da un valoroso marchi­giano, il conte Lodovico di Montevecchio, sbarca­rono le truppe pontificie correndo all’espugnazione della ben guarnita Piazza di Corone: fece miraco­li di ardimento e cadde gravemente ferito il duce, mentre i nostri però prendevano le fortezze e ne cac­ciavano in fuga il nemico.Altri tempi, ma sempre lo stesso generoso sangue la­tino: duce un altro eroe, il colonnello Fara, i nostri piccoli bersaglieri si lanciarono con pari impeto ed ardimento su le trincee nemiche, al forte di Messri!Il conte di Montevecchio era rimasto gravemente ferito alla presa di Piazza Corone; ma meno di un anno dopo, il 6 aprile 1686, tornava completa­mente ristabilito al comando delle sue truppe e in­cominciava una nuova serie di combattimenti gravi e sanguinosi, facendo rifulgere nella storia dell’epoca le vittorie e i nomi di Navarrino, Modone, Napoli di Romania, ecc., città riconquistate alla cristianità e alla civiltà occidentale.Mandato in Dalmazia, in soccorso della Repubbli­ca di Venezia, il conte Lodovico di Montevecchio si trovò nel 1687 all’assalto e all’espugnazione di Ca­stelnuovo d’Illiria, e fu in quella gravissima batta­glia che, rotti e messi in fuga i nemici, egli conquistò gloriosamente il suo superbo trofeo di guerra: uno stendardo turco che poi donò alla sua diletta città di Fano e che in Fano tutt’ora si conserva nell’abbazia­le Chiesa di S. Paterniano.Questo stendardo fatto di grossa tela colore terra­cotta, con orlo giallo, reca da una parte la spada di Maometto a due punte, di cui una perpendicolare, mentre l’elsa della spada appare foggiata a testa ro­strata d’un uccello di rapina. In basso havvi una stella a sei punte, portante nel centro una minu­scola mezzaluna dai corni rivolti in alto. E ancora, a sinistra campeggia una altra mezzaluna, grande, unita ad otto cerchietti disposti intorno alla spada maomettana e raffiguranti astri celesti.Dalla parte opposta dello stendardo si ammira tut­ta una dicitura araba, formata nelle sue lettere da pezze di seta gialla in fondo rosso scuro. È il solito

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motto del Corano ‘Allah ahachim ahalhim’ – In nome di Allah clemente e misericordioso – motto poi trascritto anche su pergamena finemente miniata e racchiusa nel pennone dello stendardo.Questa pergamena vergata in bellissimi caratteri, ricorda anche il glorioso fatto d’armi di Castelnuo­vo d’Illiria, nel quale fu presa dal comandante delle truppe pontificie Conte Ludovico di Montevecchio, e la susseguente donazione alla città di Fano. L’il­lustre poliglotta fanese professor Michelangelo Lan­ci così volgarizzò l’iscrizione di detta pergamena: ‘Questa bandiera nella oppugnazione di Castro­novo d’Illiria per le venete armi alle quali Inno­cenzo XI porse opera e aiutamento, Lodovico conte di Montevecchio, duce della ecclesiastica milizia, d’in su le galere da lui capitanate, vittoriosamente strappò dalle mani del turchesco gonfaloniere, nel 1687, il dì ultimo di settembre. Il quale stendardo per volerlo confidato alla perpetuità, egli mandò al conte Astorre di Montevecchio, affinché in ossequio a S. Paterniano, proteggitor suo e di tutti i fanesi, penduto fosse col beneplacito di Ippolito Amiani, di essa abbazial chiesa, ragguardevolissimo reggitore’. E il trofeo turco sta tutt’oggi nella chiesa di S. Pa­terniano, pare non troppo bene conservato, se debbo prestar fede a quanto un fanese scriveva giorni sono ad un foglio locale:‘A Cagliari i soldati nostri partenti per la guerra furono salutati dal popolo che portava con sé, glo­rioso segno augurale, uno stendardo che un eroe sardo strappò ai Turchi nel periodo più ferocemen­te attivo della potenza e prepotenza turchesca. A Fano, dove il valore di un Montevecchio, abbiamo l’onore di conservare un altro stendardo conquistato nella difesa della città nostra (?) contro quel popo­lo asiatico, vediamo deperire il glorioso trofeo quasi dimenticato, appeso in un angolo della chiesa di S. Paterniano. Non potrebbe l’autorità ecclesiastica, in un patriottico accordo con le autorità civili e con la famiglia Montevecchio provvedere a togliere di lassù lo stendardo, per conservarlo bene, e meglio in vista, in un mobile adatto?’Io ripeto la domanda a chi di ragione, lieto che la cortesia della nobile famiglia Montevecchio m’ab­

bia consentito di poter riprodurre in base a docu­menti e lettere esistenti nel suo così ricco e splendido archivio, la gloriosa istoria dello stendardo turco e del suo conquistatore, istoria che tanto più vale ri­chiamare oggi mentre l’italiano valore rinnova le sue vittoriose prove contro la ferocia e la barbarie della musulmana mezzaluna.

all’inizio dell’anno successivo, riprendendo quan-to testè pubblicato sulla rivista illustrata marchi-giana, si tornava a parlare del famoso drappo con questo articolo, comparso su “il Gazzettino” di fano del 1 Gennaio, che reca interessanti notizie circa la famosa pergamena custodita nel pennone dello stendardo:

“A questo documento glorioso del valore di un nostro illustre concittadino del secolo decimosettimo dedica un suo articolo la rivista marchigiana illustrata il ‘picenum’ e in questi giorni ne è apparsa una foto­grafia nelle vetrine del cartolaio Boschi.Diciamo subito, che la fotografia è stata fatta non sull’originale, ma sopra un disegno non esattissimo, che ne esiste nella Biblioteca Federiciana, e che la pergamena della quale l’articolista del picenum reca il testo, vergato in bellissimi caratteri, non esiste più.Lo stendardo fu nel luglio del 1897abbassato per constatarne il grado di conservazione [si veda il trafiletto poc’anzi riportato n.d.a.] e dentro una specie di guaina formata da una fascia di tela av­voltolata, nella quale è infilato un bastone d’abete, che sostiene la bandiera, fu trovata non una perga­mena, ma un piego di carta composto di due fogli di diversa epoca. Nel più antico si legge una iscrizione latina che può tradursi così: ‘Questo vessillo nell’oppugnazione di Castelnuovo Il lirico eseguita dalle armi venete, alle quali dette opera e aiuto Innocenzo undecimo, Ludovico conte di Montevecchio capitano delle milizie ecclesiasti­che sbarcate dalle triremi, vittoriosamente strappò dalle mani dell’Alfiere turco l’ultimo di settembre del 1867 [1687 sic!], e per conservarne perpetua memoria lo mandò ad Astorre conte di Montevec­

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chio onde appenderlo in ossequio a S. Paterniano protettore suo e di tutti i fanesi, consenziente Ip­polito Amiani rettore precarissimo di questa Chiesa Abbaziale.Nel foglio di carta più recente si legge:La bandiera turca fu ristorata da Pompeo di Monte­vecchio Duca di Ferentillo nel 1828, essendo Abate di S. Paterniano il reverendissimo Padre Bergamin­di. Questa bandiera contiene le arabe parole ‘Allah ahachim, ahalhim’ che dicono: In nome di Dio mi­serecordevole e misericordioso, e significa che Iddio è misericordioso in potenza e in atto. Michelangelo Lanci Fano 27 settembre 1838. Don Francesco Sorcinelli Abbate di Governo S. Pa­terniano et uno delli visitatori dell’ordine’.”

lo stendardo è rimasto appeso sulla volta della chiesa, in prossimità dell’organo, fino al 1943 quando venne trasferito nel museo civico di fano per essere meglio conservato. il trasferi-mento è narrato con dovizia di particolari, in una lettera scritta il 30 maggio 1943 dal conte piercarlo Borgogelli all’allora podestà di fano, comm. maggiore alberto tonucci, e in una me-moria, entrambi conservati in una busta presso la Biblioteca federiciana di fano, con tanto di fotografia che lo mostra appeso vicino all’orga-no. ecco il testo della lettera e del prezioso do-cumento che per la prima volta interamente si pubblicano.

Fano, 30 maggio 1943/ XXIAl Comm. Maggiore Alberto TonucciPodestà di FanoCaro Podestà,ho il piacere di comunicarVi che l’Ecc. il Vescovo di Fano, Mons. Vincenzo Del Signore, ha annuito che lo STENDARDO TURCO appeso quale ex voto nella Basilica di San Paterniano, affinché possa me­glio conservarsi, venga depositato nel nostro Civico Museo; questo deposito deve essere fatto alle seguenti condizioni:1) che sia redatta una memoria di tale deposito.2) che di detto stendardo ne sia fatto un disegno a

colori e con dicitura spiegativi sia appeso, incorni­ciato, nella Cappella di San Paterniano.3) che lo stendardo sia fatto accomodare – nelle par­ti più rovinate – da mano esperta. (A questo io ho già provveduto consegnandolo alle Monache di san Domenico, espertissime in questa materia di ram­mendi).4) che si restituisca all’Eccellenza il Vescovo, una di quelle colonne romane che Egli dette nel 1938 al Museo, volendola mettere nel sagrato del Duomo con sopra la CROCE.Tanto Vi doveva, mentre attendo Vostro benestare a quanto sopra.Il Sovrintendente On° Comunale alle Antichità e Belle Arti Conte Piercarlo Borgogelli. Questo il testo della memoria:

“ad futuram rei memoriamIl 30 settembre 1687 il conte Ludovico Gabrielli di Montevecchio patrizio fanese e capitano delle Milizie Ecclesiastiche inviate in aiuto dei veneziani all’assedio di Castelnuovo Illirico (Dalmazia) tolse ad un Alfiere turco uno STENDARDO di stoffa rossa bordata di verde e con figurazioni in giallo.Lo stendardo è alto m 2,50, e largo m 1.72. Da un lato vi è intagliata in stoffa gialla una spada bifida avente l’elsa a testa di aquila con becco aperto e dentato.D’altro lato è la dicitura: allah ahachim ahaihim che significa: in nome di dio misericordeVole e misericordio-so, come interpretò nel 1838 il celebre orientalista fanese Michelangelo Lanci.Tornato il Montevecchio in Italia e a Fano, offerse al Santo Patrono della Città, lo STENDARDO, che fu appeso a cornu Evangelii – e propriamente vicino all’organo – nella Basilica di san Paterniano. Ivi stette fino ad oggi.Più volte nei tempi passati si levarono voci cittadine per la conservazione del prezioso STENDARDO; fino a che nel 1943 si constatò il suo forte deperi­mento per la sua più che secolare esposizione all’aria e alla polvere; la stoffa poi non aveva più nulla del

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suo primitivo colore!Tuttociò faceva pronosticare una perdita – in un non lungo lasso di tempo – del prezioso cimelio; tan­to che il Regio Ispettore Onorario ai Monumenti e alle gallerie, conte Piercarlo Borgogelli Ottaviani, promosse una intesa tra sua Eccellenza Monsignor Vincenzo Del Signore Vescovo di Fano e il Com­mendatore Maggiore Alberto Tonucci Podestà di Fano al fine di trovare una soluzione per conservare lo STENDARDO in parola, e così realizzare anche i voti di amanti di patrie memorie di ieri e di oggi.L’intesa tra le alte Autorità portò ai seguenti accordi:1) S.E. Mons. Vescovo suddetto permette che il so­pradescritto STENDARDO, per maggiormente conservarlo, venga tolto dall’alto del soffitto della Basilica di San Paterniano e venga depositato nel Civico Museo Malatestiano consegnandolo al Diret­tore Onorario conte Piercarlo Borgogelli Ottaviani.2) Con questo deposito resta sempre inteso che lo STENDARDO rimane sempre di proprietà della Chiesa dedicata al Santo Patrono, rappresenta­ta esclusivamente dal Vescovo – pro tempore – di Fano.3) Nella Cappella dedicata a S. Paterniano – e a spese del Comune – verrà posto un piccolo quadro in cui sia riprodotto a colori il detto STENDAR­DO, e vi sia trascritta memoria di questo atto.4) S.E. Monsignor Vescovo desidera riavere una delle colonne romane che il 30 marzo 1938 dette al Museo; e ciò per poterla erigere – con sopra la CROCE – nel sagrato del Duomo e propriamente nell’angolo tra Via Roma e Via Rainerio.Il Podestà accetta con piacere, che lo STENDAR­DO sta depositato nel Museo; aderisce al desiderio di S.E. per la colonna romana ed ordinando che a tutto quanto sopra si dia esecuzione, fa redigere il presente atto in cinque copie originali per conse­gnarle – come si consegnano – nel modo seguente:Una a S.E. Mons. Vescovo; una all’Archivio Comu­nale; una al Direttore Onorario del Museo; una al Direttore della Biblioteca Federiciana; una al Par­roco della Basilica di S. Paterniano.Si vuole poi dar atto di quanto segue:Il giornaletto fanese ‘Il Gazzettino’ nel suo nume­

ro del I gennaio 1912 stampò che fin dal 1897 fu constatata la perdita della pergamena ricordante il dono sopraricordato – fatto dal Montevecchio; pergamena che doveva trovarsi nella guaina che è in alto dello STENDARDO, ed in cui è infilato il sostegno di esso. Che nel 1897 vi si trovarno invece due semplici fogli di carta ricordante il fatto.Oggi però si constata che né nella guaina dello STENDARDO, né legati intorno al sostegno che non è altro che un semplice bastone piatto in abete si sono ritrovati i due fogli di carta menzionati dal Gazzettino.Fano, 10 giugno 1943”26

seguono le firme del vescovo, del podestà e dell’ispettore onorario.aldo deli ha ripreso qualche anno fa il tema del vessillo turco, commentandolo con altre infor-mazioni che riguardano principalmente il prota-gonista dell’impresa, il conte ludovico di mon-tevecchio. scrive lo studioso fanese:“ma ludovico di montevecchio, il più avventu-roso e spericolato degli uomini d’arme del sei-cento fanese, merita un cenno particolare. era un soldato ‘nato’. avviato alla carriera eccle-siastica lasciò la commenda di una abbazia ad un fratello e andò in francia; col reggimento italia-no combattè in olanda nel 1622. l’anno succes-sivo, sempre in francia, si arruolò nella " otta e si distinse per il suo valore meritando il grado di te-nente. Visse fuori d’italia fino al 1676 acquistan-dosi fama di buon soldato nell’esercito imperiale impegnato contro i turchi, e anche come costrut-tore di macchine e fuochi d’artificio. innocenzo Xi lo volle castellano a perugia e poi a civitavec-chia, fu capitano della Guardia pontificia e com-ponente il consiglio di guerra. Gli ultimi cinque anni della sua vita, era già vecchio, furono densi di avventure. nel 1685 (erano passati sessantatre anni dalla sua prima esperienza militare se sono esatti i dati su lui tramandati) fu inviato nel pelo-ponneso (allora si diceva in ‘morea’) contro i tur-chi e si comportò egregiamente nella conquista di Koroni e nella battaglia di calamata nel golfo di

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messenia. l’anno dopo all’assedio di navarrino sostituì il comandante pontificio, rimasto ucciso, ed entrò per primo nella città conquistata. […] lodovico nel 1686 prese parte ad altre azioni di guerra e forse fu ferito a modone; ma l’anno dopo tornò come comandante della squadra pontificia nell’armata del generale veneziano cornaro che pose l’assedio a castelnuovo in dalmazia. tenne allora una fitta corrispondenza col conte astorre di montevecchio a cui da lissa fra l’altro scriveva: ‘lei preghi dio che negli assalti m’assista, che se non vi resto quest’anno spero lunga vita’. dice-va che la guarnigione turca era bravissima ed era comandata da un ‘demonio’: era gente che aveva di fronte la scelta fra la morte o la schiavitù. il 3 settembre ’87 scrive: ‘sento il peso degli anni, ad ogni modo mi affatico volentieri’. il 30 di quel-lo stesso mese durante il vittorioso assalto finale strappò ad un alfiere turco uno stendardo e lo in-viò al conte astorre perché lo esponesse in duo-mo ’a gloria di quei santi protettori che hanno liberato quelle spiagge dai pirati’. ma in un’altra lettera:’la bandiera la metta dove vuole purché sia in fano, ma avrei più gusto che fosse esposta in s. paterniano’. e li è rimasto, nella cappella del santo, fino a qualche decennio fa [ora in un deposito del museo civico n.d.a.].il conte ludovico doveva aver fatto incetta di stendardi perché pensava di mandarne altri due, presi a dulcigno e a Valona; un altro, conquista-to dalla sua compagnia, lo mandò nell’ex feudo della sua famiglia a montevecchio. alessandro Viii gli rinnovò il comando di una squadra pon-tificia nell’89 e ludovico ancora una volta vinse a malvatia. nel viaggio di ritorno, colpito da ma-laria, morì nelle acque del golfo di Baia (1690) e fu sepolto nella cattedrale di pozzuoli: la tomba e l’iscrizione (di cui è noto il testo) sono andate distrutte”.27

sempre il deli, a commento dell’immagine e dei due disegni delle facce dello stendardo dise-gnate dal lanci, riporta, in didascalia, la tradu-zione della scritta vergata in latino che si trova nel pennoncello (l’asta) dello stendardo: “Questo

vessillo, nella espugnazione di castelnuovo di il-liria operata da armi venete alle quali innocenzo Xi porse aiuto e protezione, lodovico conte di montevecchio, capitano della milizia ecclesiasti-ca da lui condotta con le galere, vittoriosamente strappò dalle mani di un alfiere turchesco il dì ultimo di settembre del 1687. il quale stendar-do, volendo consacrato ai posteri, inviò al conte astorre di montevecchio affinché in ossequio a san paterniano, protettore suo e di tutti i fanesi, fosse appeso col beneplacito di ippolito amiani illustrissimo abate di quella Basilica.”chiude quindi con questo commento sulla inter-pretazione dei simboli riportati nel vessillo così come la dà il lanci: “il grande orientalista fanese michelangelo lanci (1779-1867), a cui si deve il disegno delle due facce dello stendardo, dice che la sacra spada maomettana a due punte si chia-mava Dul­fekàr, gli otto cerchietti in alto sono le stelle, la luna è crescente in congiunzione con Ve-nere, e un’altra luna è dentro un ‘esagono’ (non parla di ‘stella’ di davide). il tutto ovviamente aveva un carattere simbolico. la scritta in ‘vo-caboli arabescamene parlanti’, distesa nella fac-cia posteriore dello stendardo, significa In nome di Dio misericordevole, misericordioso. il colore originale dello sfondo dello stendardo era rosso carminio acceso (lo deduciamo dalle parti non scolorite perché coperte dalle stelle e dalla spada che vi sono state cucite sopra): cfr. michelange-lo lanci, Trattato delle simboliche rappresentanze arabiche, parigi 1845, t. ii, pp. 181-182; t. iii, tav. li”.28

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note

1. p. m. amiani, op. cit., vol. ii, p. 220.2. per le lapidi conservate in san paterniano si veda anche il re-centissimo testo di G. l. patrignani, f. Battistelli, Il tempo e la pietra. I marmi parlanti. Nuovo catalogo delle epigrafi ubicate nel territorio comunale di Fano, fano 2010, pp. 337-350.3. p. m. amiani, op. cit., vol. ii, p. 221.4. f. Battistelli, Carnevale 1718 Giacomo III Stuart ospite a Fano, in “fano supplemento al ‘notiziario di informazione sui pro-blemi cittadini” (1981), pp. 79-80, contenente anche il testo del manoscritto Venuta del Re Giacomo III d’Inghilterra 22 febbraio 1718, conservato presso la Biblioteca federiciana di fano, mss. federici, 243/a. del manoscritto esistono, sempre presso la Bi-blioteca federiciana, anche due trascrizioni moderne (mss. fede-rici, 142/11 e 243/b). per la permanenza dei reali inglesi in ur-bino si veda anche il Diario di Giovanni Fortuniano Gueroli Pucci sulla venuta, permanenza, e discesso da Urbino del Re della Gran Bretagna, Giacomo III Stuart e quindi del di lui ritorno di passag­gio in Urbino con Clementina Sobieski sua sposa, citato in G. de Zoppi, La cappella del Perdono e il tempietto delle Muse nel Palazzo Ducale di Urbino. Analisi e proposta d’attribuzione a Francesco di Giorgio Martini, in “annali di architettura”, 16 (2004), nota 6. 5. p. m. amiani, op. cit., vol. ii, pp. 323-324.6. f. Battistelli, op. cit., pp. 83-84. 7. p. m. amiani, op. cit., vol. ii, p. 328.8. f. Battistelli, op. cit., pp. 84-85. a ricordo della visita fatta a fano nel 1729 dalla regina e dal nipote duca di York, resta ancora oggi una epigrafe, di forma circolare, fatta apporre da pietro paolo carrara a ricordo dell’ospitalità offerta il 22 maggio 1729 presso il suo palazzo di città. la lapide si trova ora nel deposito comunale, nei sotterranei del municipio di fano, e proviene dalla cappel-la del palazzo nobiliare dei carrara dove è rimasta fino al 1930, anno in cui l’edificio venne demolito per far posto a piazza mar-coni. ecco il testo dell’iscrizione come trascritto in G. l. patri-gnani, f. Battistelli, op. cit., p. 312: clementina sVBiesKi / reGina maGnae Britanniae / Vna cVm henrico / eBoracensi dVce filio / dVm Bononia romam peteret / eXimio humanitatis eXemplo / hanc domVm reGio diGnata hospitio / dVoBus hic sacris interfVit / X Kal iVn mdccXXiX / pet paV carrara eQ et commend s stheph / iacoBi iii maGnae Britanniae reGis / in clientelam co-optatVs / mp9.p. m. amiani, op. cit., vol. ii, pp. 330-331.10. il testo è conservato presso la Biblioteca federiciana di fano. cfr. f. Battistelli, op. cit., p. 85.11. Solenni esequie di Maria Clementina Sobieschi regina dell’In­ghilterra celebrate nella chiesa di S. Paterniano in Fano dall’Ill.mo, e R.mo Monsignor Giacomo Beni vescovo di detta città li 23 maggio MDCCXXXV. E descritte da Sebastiano Paoli della Congregazione della Madre di Dio, in fano, appresso Gaetano fanelli, stampa-tore Vescovile, e del s. uffizio. con licenza de’ superiori, pp. XiV- XVi.12. nota di presentazione dell’asta cristies, lot 94, sale 2178 www.christiesinternational.com/lotfinder/lot_details.aspx pos=10 13. p. a. orlandi, p. Guarienti, Abecedario pittorico : contenente

le notizie de’ professori di: Pittura Scoltura ed Architettura in questa edizione corretto e notabilmente di nuove notizie accresciuto da Pie­tro Guarienti, Venezia 1753.14. f. mauroner, Michiel Marieschi, Kansas city 1940.15. r. pallucchini, La pittura nel Veneto ­ Il Settecento, milano 1995.16. p. a. orlandi, p. Guarienti, op. cit.17. f. m. n. Gabburri, Vite di pittori, firenze, Biblioteca nazio-nale centrale, ms. palatino, e.B.9.5 i-iV, vol. iV, ad vocem.18. il testo delle due lapidi è tratto da Solenni esequie, cit., ff. Vi e Vii. i due testi sono stati di recente riproposti, con qualche piccolo errore di trascrizione, in “a Jacobite Gazetteer – italy” alla voce fano, consultabile nel sito www. jacobite.ca/gazetteer/ italy/fano.htm19. t. massarini, Cronaca fanestre o siano memorie delle cose più notabili occorse in questi tempi nella città di Fano, Quaderno n. 6 di “nuovi studi fanesi, fano 2001, pp. 166.20. Ibidem, pp. 167-168. dell’altare appartenente alla famiglia Bracci parla anche il tomani amiani nella sua guida del 1853: “l’ultimo altare che appartiene alla famiglia Bracci ha un quadro il cui soggetto è il transito di s. Giuseppe. […] il pennello del cavaliere Giuseppe de’ arpino operò questo lavoro con molta maestria ed accortezza […]”. s. tomani amiani, op. cit., p. 153.21. Ibidem, p. 190.22. a. mabellini, Festeggiamenti fanesi per Pio IX, in Fanestria. Uomini e cose di Fano, fano 1937, pp. 446-462. per il francolini citato il riferimento è al ms conservato presso la Biblioteca fede-riciana di fano, mss. federici, n.137-5.23. p. m. amiani, op. cit., vol. ii, pp. 302-303.24. s. tomani amiani, op. cit., p. 154. 25. m. lanci, Trattato delle simboliche rappresentanze arabiche e della varia generazione de’ musulmani caratteri sopra differenti ma­terie operati da Michelangelo Lanci, 2 voll., parigi 1846, vol. ii, pp. 181-182. lo stendardo è riprodotto nel vol. iii, tav. li.26. il documento è tuttora conservato in una busta presso la Bi-blioteca federiciana di fano e mi è stato mostrato, insieme alla lettera e alla fotografia, dalla signora maria pia Vecchione Zen-garini che ringrazio nuovamente per la cortesia e la disponibilità mostrata.27. a. deli, Fano nel Seicento, urbino 1989, pp. 297-298. per ulteriori notizie sull’illustre orientalista fanese si veda anche a. mei del testa, Michelangelo Lanci e l’interpretazione dei geroglifici, Quaderno n° 7 (2002) di “nuovi studi fanesi”.28. Ibidem, pp. 296-297.