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4 40 mila sino ad oggi, per niente. Già, perché sino ad oggi, al pubblico, alla gente, al “popolo”, quel popolo che di fatto ha sborsato quei 40 mila euro, è stato inter- detto l’accesso, in attesa che la politica decidesse cosa fare di quel giardino, come allestirlo (se di allestimenti si debba parlare), come renderlo agibile. E adesso, mentre in “quel” giardino, come in tutti i giardini, l’incipiente inverno incalza, facendo cadere le foglie ed appassire i fiori, si apre il dibattito ed affiorano le polemiche. Idee, pareri, dibattiti, la dicono lunga sul “quando”, il giardino del vescovo verrà dichiarato agibile. Quando si apriranno le porte ai brissinesi e ai turisti. Insomma, è solo adesso che si apre il dibatti- to, logico e consequenziale, sulla forma, lo scopo, la sal- vaguardia o meno della sua natura tranquilla e riposta, cercando quel compromes- so tipico, tra chi lo vorrebbe trasformare in un parco di divertimenti e chi individua invece una funzione meno appariscente e più “soft” del complesso, tra chi lo vede come una sorta di allargamento del concetto di luogo di sosta e rilas- samento “estivi”, peraltro già funzionale coi Giardini Si accende il dibattito sulla trasformazione del parco del palazzo vescovile. I progetti presentati dall’esperto svizzero incaricato dal Comune non incontrano però il favore della popolazione brissinese. Perplessità sono emerse anche dalla Soprintendenza provinciale ai beni architettonici. A due anni dalla firma del contratto di affitto il grande giardino è ancora off limits alla popolazione “polmone verde” D ue anni. Sono pas- sati due anni da quando al Comune è riuscita l’operazione di affittare , con un contratto ventennale, il giardino-frut- teto di Palazzo Vescovile. E’, come tutti sanno, una grande area tenuta a verde e con svariate piante di alberi da frutto (mele, ciliegie, pere, uva) al “servizio” del palazzo-castello del Princi- pe-Vescovo. Ma è anche, e questo va detto, verde pub- blico e quindi di tutti. Due anni da quelle storica firma in calce al contratto di loca- zione. Due anni nei quali il Comune ha sborsato pun- tualmente 20 mila euro ogni dodici mesi, totale dunque Rapp, e chi lo vorrebbe un “parco-esperienziale”, con musealizzazioni open-air piuttosto che parco diver- timenti. A pagamento ben s’intende, questa seconda parte di opzioni. Due anni intanto se ne sono andati, e come per la tangenziale (ma questa non doveva aprire già a giugno?) si rischia, invece della succulenta e fresca bistecca, di assaporare uno “stracotto”. Evidentemente la cucina delle idee del Comune, preferisce i piatti a lunga cottura! Eppure come dimenticare che già a metà degli anni Novanta personaggi come Klaus Dis- singer e Franz Oberkofler lanciarono l’dea di aprire il parco alla cittadinanza e di trasformarlo in una sorta di giardino pubblico sull’esempio di quanto era stato fatto dell’Hofgarten di Innsbruck. Far del gran- de pomario, 23 mila metri quadri, un punto di incontro della popolazione. Tant’è. Oggi, le serate informative- dibattimentali alla Cusa- no, non hanno fatto altro che sottolineare, in fondo, quanto lontani ancora si sia dalla meta. Come le diverse anime altro non facciano che evidenziare come il coinvolgimento della popo- lazione – in questo come in altri casi, quella colta, quella interessata, quella sveglia, quella attenta – dimostri quanto e come la dirigenza Il “pomarium” della discordia

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40 mila sino ad oggi, per niente. Già, perché sino ad oggi, al pubblico, alla gente, al “popolo”, quel popolo che di fatto ha sborsato quei 40 mila euro, è stato inter-detto l’accesso, in attesa che la politica decidesse cosa fare di quel giardino, come allestirlo (se di allestimenti si debba parlare), come renderlo agibile. E adesso, mentre in “quel” giardino, come in tutti i giardini, l’incipiente inverno incalza, facendo cadere le foglie ed appassire i fiori, si apre il dibattito ed affiorano le polemiche. Idee, pareri, dibattiti, la dicono lunga sul “quando”, il giardino del vescovo verrà dichiarato agibile. Quando si apriranno le porte ai brissinesi e ai turisti. Insomma, è solo adesso che si apre il dibatti-to, logico e consequenziale, sulla forma, lo scopo, la sal-vaguardia o meno della sua natura tranquilla e riposta, cercando quel compromes-so tipico, tra chi lo vorrebbe trasformare in un parco di divertimenti e chi individua invece una funzione meno appariscente e più “soft” del complesso, tra chi lo vede come una sorta di allargamento del concetto di luogo di sosta e rilas-samento “estivi”, peraltro già funzionale coi Giardini

Si accende il dibattito sulla trasformazione del parco del palazzo vescovile. I progetti presentati dall’esperto svizzero incaricato dal Comune non incontrano però il favoredella popolazione brissinese. Perplessità sono emerse anche dalla Soprintendenza provinciale ai beni architettonici. A due anni dalla firma del contratto di affitto il grande giardino è ancora off limits alla popolazione

“polmone verde”

Due anni. Sono pas-sati due anni da quando al Comune

è riuscita l’operazione di affittare , con un contratto ventennale, il giardino-frut-teto di Palazzo Vescovile. E’, come tutti sanno, una grande area tenuta a verde e con svariate piante di alberi da frutto (mele, ciliegie,

pere, uva) al “servizio” del palazzo-castello del Princi-pe-Vescovo. Ma è anche, e questo va detto, verde pub-blico e quindi di tutti. Due anni da quelle storica firma in calce al contratto di loca-zione. Due anni nei quali il Comune ha sborsato pun-tualmente 20 mila euro ogni dodici mesi, totale dunque

Rapp, e chi lo vorrebbe un “parco-esperienziale”, con musealizzazioni open-air piuttosto che parco diver-timenti. A pagamento ben s’intende, questa seconda parte di opzioni. Due anni intanto se ne sono andati, e come per la tangenziale (ma questa non doveva aprire già a giugno?) si rischia, invece della succulenta e fresca bistecca, di assaporare uno “stracotto”. Evidentemente la cucina delle idee del Comune, preferisce i piatti a lunga cottura! Eppure come dimenticare che già a metà degli anni Novanta personaggi come Klaus Dis-singer e Franz Oberkofler lanciarono l’dea di aprire il parco alla cittadinanza e di trasformarlo in una sorta di giardino pubblico sull’esempio di quanto era stato fatto dell’Hofgarten di Innsbruck. Far del gran-de pomario, 23 mila metri quadri, un punto di incontro della popolazione. Tant’è. Oggi, le serate informative-dibattimentali alla Cusa-no, non hanno fatto altro che sottolineare, in fondo, quanto lontani ancora si sia dalla meta. Come le diverse anime altro non facciano che evidenziare come il coinvolgimento della popo-lazione – in questo come in altri casi, quella colta, quella interessata, quella sveglia, quella attenta – dimostri quanto e come la dirigenza

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politica possa essere lontana dai desideri, soprattutto da quella degli attivisti “ver-di”, di chi per postulato si ponga come difensore del verde, della tranquillità, dell’idea che non tutto, asso-lutamente tutto, dev’essere a pagamento. Ed è questo uno dei punti fissi del sin-daco Pürgstaller e della sua giunta, che pur accettando il confronto col pubblico, parte dal presupposto che se qualcosa si realizza, “la cosa” dev’essere sostenibi-le. Per le casse comunali. E dunque essere messa a reddito. Investimento e rien-tro. D’altronde le esperienze bancarie del primo cittadino, la recessione, il (giusto) do-versi confrontare con cifre e bilanci non possono non aver influenzato e influenza-re la sua forma mentis. Così, l’affidare la realizzazione di un progetto allo svizzero Otto Steiner, guru degli al-

lestimenti open air e che di idee ne ha una marea, non ha avuto i riscontri entusiastici che (forse) lo stesso Pürg-staller si attendeva. Steiner è, tanto per intenderci, colui che ha realizzato una buona parte di Trauttmannsdorf, i giardini meranesi che tanto successo mietono, tanti ri-scontri di pubblico, di turisti e fior fior di incassi. Con la grotta “multimediale” che ti racconta la vita della

terra, dai grandi diluvi (e senti la pioggia che pare ti venga addosso e i fulmini e i tuoni) ai milioni di vulcani che eruttano (e senti l’odo-re del fumo e dello zolfo) fino alle piante che iniziano a coprire le terre emerse. Bene, intanto che Steiner finiva di approntare le sue proposte, a Bressanone na-sceva “Pro Pomarium”, comitato di brissinesi, inteso a dar battaglia. Le idee del

professionista svizzero in-fatti sono precedute dal suo curriculum, che oltre ad altre realizzazioni di prestigio, riguarda proprio i giardini meranesi. Una carta d’iden-tità di cui essere orgogliosi, ma della quale certi aspetti sono stati recepiti, forse, in senso negativo. E sono i

L’amministratore del patri-monio Mitterhofer e dioce-sano Matzneller con il sin-daco all’atto della firma del contratto di locazione

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Nel giardino del palazzo Vescovilenon manca un pizzico di esotismo

Nell’interessante diario compilato dal marche-

se Filippo Corsini, dignita-rio al seguito del granduca di Toscana Ferdinando II, troviamo una descrizione riferita al Palazzo principe-vescovile di Bressanone. In viaggio da Firenze alla vol-ta di Innsbruck, giunse nella nostra città verso sera del 6 novembre 1667 prendendo alloggio nell’albergo Aqui-

la d’Oro. Il giorno successi-vo il marchese visitò la città e poi il castello. “Detto pa-lazzo è di buona apparenza, cinto in ogni lato da un fos-so, sopra cui vi è un ponte levatoio che conduce alla porta dove si viddero alcuni pezzi di cannone e molte teste d’orsi che ritrovansi nelle vicine montagne. Vi è un cortile assai bello dove secondo il costume di molte case d’alemagna si vide una cicogna domestica, la quale con somma diligenza procurano di custodire. Si salì dopo ad una gran sala, alla quale conducono due

Negli angoli esterni del parco a ridosso del muro di cinta la curiosa presenza di un padiglione cinese e giapponese

scale, et una di esse è molto agevole e fatta all’italiana. Si viddero alcuni appar-tamenti et uno fra gl’altri assai ben addobbato. Vi è inoltre un giardino con statue, fontane e peschierie, dove si trovano tante trote tutte assai ben grosse e una considerevole quantità di altro pesce. Vi è un’eccel-leria ed un corridore che quivi dal palazzo conduce”. Questo ultimo riferimento riguarda il “Giardino di Corte”. Ma spostiamo ora lo sguardo a sud dell’ex pa-lazzo vescovile: circondato da un muro di recinzione

sette anni di lavoro e i costi quasi triplicati rispetto alle previsioni iniziali, sino ad un totale di 24 milioni di euro di Trauttmannsdorf, per un risultato che parla di oltre trecentomila visitatori annui. Ricordiamoci questa cifra. Il primo studio di Steiner prevede in sostanza una “spettacolarizzazione” dei tre ettari del parco, fa-cendone una sorta di Museo della Mela con al centro una costruzione denominata “Big Apple”. Lo stesso pro-gettista ha poi detto che que-sta soluzione ha incontrato avversità da parte “di chi avrebbe una funzione fonda-mentale per quanto riguarda i finanziamenti” (la Provin-cia, dunque) e che vedrebbe questa soluzione più adatta alla zona del meranese. Per cui si è virato verso un al-lestimento del parco come “un parco acquatico”, con diverse attrazioni, piante acquatiche, elementi esotici

e vasche, percorsi e approdi per barchette nei canali oltre ad un “laboratorio” sotterra-neo dedicato alla tematica dell’acqua. E pare che tra le due proposte, sia la seconda ad avere ottenuto i favori della giunta. Anche in que-sto caso ci si troverebbe però di fronte a modifiche di tipo invasivo e ad un costo (come ha precisato lo stesso sinda-co) di ben dodici milioni di euro. Così, anche favorito dalla legge naturale della

contrapposizione – come dire se il nero non piace, si sceglie il bianco – i favori paiono pendere dalla parte del progetto dell’architetto Eva Maria Schgaguler che, prendendo come punto di ri-ferimento il chiostro, preve-de l’evoluzione dell’attuale giardino in un vero e proprio parco botanico con aperture prospettiche sia sul patrimo-nio arboreo che sul tessuto monumentale con le due pagode trasformate in punti

di ristoro e di servizi per la popolazione. Per quanto ri-guarda poi l’ingresso e i suoi costi la giovane architetto (è questa la sua tesi di laurea) ha pensato ad un compro-messo: il biglietto d’ingres-so al parco dovrebbe infatti consentire la fruizione di vari servizi, a scalare. Nel senso che si paga, ma si ha (più o meno) diritto magari a bere un caffè già incluso nel prezzo. Le perplessità che si concentrano intorno a

Nella foto a fianco, il suggestivo padiglione cinese e, nella pagina a destra, una veduta di quello giapponese

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ecco estendersi un vasto frutteto, il “pomarium” documentato sin dal 1265, anno in cui il “vescovo di ferro” Bruno von Kirchberg trasferì la propria residenza dal vecchio palazzo attiguo al duomo nel solido castello circondato con tanto di fos-sato e di mastio. Quel gran-de frutteto esiste tuttora ed è l’unica area in centro città - un grande polmone verde - che ha sempre resistito alla inarrestabile avanzata del cemento. Ai vertici meri-dionali del muro di recin-zione sorgono due torrette caratteristiche per la loro struttura di tipo orientale. Si tratta di due padiglioni estivi: cinese quello situato lungo la via San Cassiano e giapponese quello adiacen-te all’educandato delle suo-re Terziarie di via Roncato. Queste opere complemen-tari risalgono al 1595. Preso

da un inarrestabile fervore edilizio il vescovo Andrea d’Austria (1591-1600), fi-glio dell’arciduca Ferdinan-do II, sovrano del Tirolo, fece elaborare un progetto ed un modello di un nuovo palazzo principe-vescovile che desse alla capitale del

principato ecclesiastico brissinese un tono artistico degno del suo rango. Il vescovo Andrea affidò l’in-carico all’architetto di corte ad Innsbruck Giovanni Al-berto Lucchese. Ancora nel 1595 il capomastro italiano Bartolomeo Valgoi diede

inizio ai lavori con l’erezio-ne dell’ala meridionale del palazzo. Contemporanea-mente il muratore brissinese Christian Prugger portò a termine il muro di recinzio-ne del frutteto. Conferendo un tocco di vivace esotismo all’austera architettura citta-dina il vescovo fece erigere agli angoli esterni del frut-teto le due torrette: quella cinese, restaurata, risulta elegantemente piacevole, tant’è vero che sono tanti i turisti e non solo che si fermano ad osservarla incu-riositi. Quella giapponese, un po’ tozza, è un tantino fuori mano, ma soprattutto necessita di lavori di si-stemazione. Non si sa con precisione in che modo i principi-vescovi, soprattutto nel Seicento, utilizzassero quelle torri da Sol Levante. Sicuramente non servivano per celebrare messa.

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Nel dibattito prendono posizione an-che diciotto architetti brissinesi che

intervengono come “ cittadini partecipi e in veste di esperti”. Riassumendo la presa di posizione sottoscritta dai professionisti brissinesi si evince come “…Il valore del sito può essere visto solo come un insieme. Esso rappresenta uno dei pochi in Europa e il solo esempio in Alto Adige, che si rap-porti a simili impianti del rinascimento ita-liano. E’ un’attrazione unica per visitatori interessati e culturalmente preparati. Con il distretto del Duomo forma il tranquillo quartiere “spirituale” di Bressanone, che

vive un contrasto urbanistico con il vivace quartiere “civico”. Approfittando di tali sinergie il centro storico di Bressanone guadagna una posizione di eccellenza. L’utilizzo futuro dell’area dovrebbe pre-vedere: l’ elaborazione di linee guida, fa-vorendo una zona pacifica e di ricreazione in confronto ad una “chiassosa” soluzione all’insegna della spettacolarizzazione; un concorso d’idee per esperti con procedi-mento di preselezione, a partecipazione limitata. Ciò non esclude l’inserimento oculato di successive “attrazioni”, da realizzarsi con un piano d’attuazione che si agganci al patrimonio storico e all’am-biente circostante”.

“Il parco va salvaguardato”Nel dibattito sul futuro del giardino del vescovo prendono posizione diciotto architetti brissinesi

progetti troppo invasivi sono sintetizzate da diversi inter-venti nel dibattito crescente nel quale gli ambientalisti, i verdi o comunque coloro che da sempre battagliano per una soluzione che tenga in giusto conto le esigenze di spazi aperti che i residenti giustamente hanno, fanno la parte del leone. Hans Heiss che plaude al concetto dell’architetto Schgaguler e che pone il serio proble-ma dei costi di gestione di strutture troppo innovative e complesse; Franz Pattis, del Comitato Civico per la salvaguardia del Giardino

Vescovile, che esprime se-rie preoccupazione per la fase transitoria nella quale, già dall’anno prossimo,

il parco dovrebbe essere aperto al pubblico dopo una serie di necessari lavori di adattamento. Le perplessità del comitato riguardano soprattutto il fatto che l’in-gresso gratuito permetta a chiunque di entrarvi con possibili vandalismi e rischi per il vicino Palazzo, e dice sì ad un progetto di siste-mazione definitivo anche per evitare sprechi di soldi pubblici, strizzando l’occhio alla giunta e al progetto “acqua”. Anche Markus Lobis, Enrico de Dominicis e gli altri rappresentanti di “Pro-Pomarium” si alline-ano e comunque contesta-

no l’ipotesi di un’apertura provvisoria al pubblico. Da gettare benziana sul fuoco ci pensa anche Hartmuth Staf-fler, di Südtiroler Freiheit, che chiede al sindaco di spiegare perchè si sia affi-dato l’incarico per i progetti senza un regolare concorso. Il sindaco Albert Pürgstaller afferma che quanto emerso sin dalla prima serata dovrà ora passare al vaglio del consiglio comunale e, per la decisione finale, non esclude il ricorso ad un referendum popolare, cosa già ipotizzata a suo tempo dall’ala Ecoso-ciale, entrata nel frattempo – con Elda Letrari – e non

Una veduta aerea del pomario

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senza qualche polemica interna alla stessa frazione “verde”, al governo della città. Per “tagliar la testa al toro” come si suol dire, ap-pare Waltraud Kofler Engl, responsabile provinciale dei Beni architettonici, che pone tre paletti fondamen-tali e boccia sia la “Big Apple” che il parco dedicato all’acqua. No ad interventi invasivi, no alla costruzione di strutture che vadano a sovrapporsi a quelle esi-stenti, no a scavi di canali e canalette. Un “no” secco al sogno della giunta e al progetto Steiner. Insomma, il dibattito si fa rovente. E, di conseguenza, inconcluden-te. Tutti bravi, tutti animati da spirito positivo, voglia di fare, rispetto per la città, per la monumentalità storica dei tre ettari di giardino, delle sue funzioni, delle casse della città, del turismo. C’è un fatto, anzi ce ne sono due di cui tener conto a livello generale. Il primo, evidente e indiscutibile, da cui nessun progetto pubblico, rivolto ai cittadini e ai visitatori può prescindere. Contro la vo-lontà dei residenti non si può andare. Anzi. Ma bisogna tener conto che in questo momento cruciale - e biso-gna sottolinearlo per onestà intellettuale - le idee am-bientaliste e di salvaguardia del patrimonio monopoliz-zano il dibattito.Il secondo punto, di cui non parla appa-

rentemente nessuno, ma di cui va assolutamente tenuto conto, riguarda quel segno, quell’appunto, che abbiamo fatto in apertura, sottoline-ando il numero di visitatori di Trauttmannsdorf. Ed è un concetto fondamentale: quello della “sostenibilità” di qualsiasi progetto. Non si vuol qui discutere di finan-ziamenti, di denaro, di costi, che attengono alla rete delle concessioni provinciali. Ma del numero, delle stime, sui visitatori. L’Altstadtfest, ne porta in città 80 mila. Una volta, forse oggi sono molti, molti meno. Ma comunque ciò diventa un problema che mobilizza forze (dell’ordine, del volontariato) che solo per un tempo limitato sono disponibili. E la festa dura solo tre giorni. Il Mercatino di Natale, quello del pane e i diversi eventi, necessitano – lo dice l’esperienza – di misure che esulano dal tran-tran quotidiano della città. Che non ha parcheggi ad esempio, se non fuori dalla cintura del centro storico. E dunque creare un’attrazione, che deve essere redditizia (come la vuole il sindaco) o che perlomeno in un tot di anni riesca a coprire i costi (di realizzazione, di gestione, di rinnovamento), divenendo così “autonoma” o perlomeno non troppo gra-vosa per le casse comunali.In questo caso la via obbli-gata è quella del ticket di

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Una storia lunga ottocento anni. Stia-mo parlando del frutteto, il poma-

rium (è espressione latina) si estende per circa tre ettari a sud del Palazzo Vescovile. I documenti lo danno come esistente già ai tempi del trasferimento del vescovo dal suo “vecchio” palazzo accanto al Duomo, nel nuovo “castello” fortificato. Siamo nel 1243. Esso serviva inizialmente a fornire frutta alla corte del Principe-Vescovo. Successivamente però i principi vescovi misero anche in risalto il valore della piantagione d’alberi da frutto rari, anche per un certo senso di rappresentanza, di sfarzo quasi da mostrare ai propri ospiti con orgoglio. Il giardino sorse al tempo del cardinale Cristoforo Madruzzo e del suo coadiutore,quello che successiva-mente diverrà anch’egli vescovo, Johann Thomas von Spaur. Come altri giardini di residenze dell’epoca possedeva una vasca per i pesci, una casina estiva, una voliera, un’aranciera per lo svernamento delle piante da vaso, nonché un giardino con stalle per i cervi. Questa parte era a nord e chiudeva il perimetro con Porta Sabiona includendo l’attuale ristorante-birreria e il Giardino dei Signori. La prima rappresen-tazione nota è quella di un dipinto della fine del ‘500: si vede il muro di cinta, le

due torrette (allora con il tetto a cono) e un accesso, a sud. Quelle due torrette, un tempo posto di osservazione dalle guardie che facevano servizio di ronda lungo il muro, vennero successivamente trasfor-mate, intorno al 1820, sotto il vescovo Lodron, in luogo d’incontro, di lettura, di riposo durante le passeggiate nel giardi-no. Fu allora che vennero ristrutturate e, secondo la moda che si ispirava ormai da tempo all’Oriente. Nella torre giapponese, il piano intermedio a volta fu affrescato verso il 1815 con motivi di colore verde: fiori, cornucopie, conchiglie, medaglioni con figure musicanti e lo stemma araldi-co della famiglia Lodron inserito nella finta cupola conferiscono allo spazio l’atmosfera di un fresco porticato. Fu, in realtà, l’unica vera trasformazione di un complesso che, fu mantenuto nei secoli, con gli alberi sparsi e le piante aromatiche Le torri agli angoli del frutteto sono ele-menti caratteristici dunque e presentano quel carattere di unicità da salvaguarda-re. Come ricorda la responsabile della Soprintendenza, Waltraud Kofler Engl, “..con la prevista risistemazione e l’ipo-tesi di accesso al pubblico, i valori mo-numentali del frutteto vanno conservati e costituiscono la base per un suo nuovo utilizzo. Modifiche di ordine funzionale o estetico dovranno rimanere in secondo piano rispetto alla qualità e peculiarità del complesso monumentale”.

Una storia lunga 800 anniDocumenti danno il pomario del palazzo vescovile già esistente nel 1243. Esso serviva inizialmente a fornire la frutta alla corte del Principe-Vescovo

ingresso. Ma quanti dovreb-bero essere i visitatori ogni giorno per coprire i costi? Mille? Duemila al giorno? E se questi mille, duemila, vanno a sovrapporsi a quelli del Mercatino, degli eventi, delle feste di piazza? Dove li parcheggiamo? Giù al parcheggio della discoteca? Nelle caserme? Guardiamo ciò che è successo durante la Landesausstellung di Fortez-za: con tremila visitatori, le auto – parcheggio esaurito – erano in sosta lungo la statale, la Pusteria, il lago. Multate. A Trauttmannsdorf c’è posto per trenta, quaranta pullman. Bressanone, se non vuol scoppiare, ne può ospitare al massimo dieci. A meno che non si voglia sfruttare il fenomeno e far fare ai vigili urbani rilievi di infrazione a gogò. Una manna. La soste-nibilità di un progetto passa anche attraverso queste con-siderazioni. E non è un punto da sottovalutare.

A fianco, e in basso, due vedute del grande poma-rio del palazzo vescovile

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