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Sommario: 1. Premessa - Le conseguenze del mutamento di indirizzo determinatosi in tema di anatocismo dopo le sentenze della Cassazione della primavera del 1999 - La deriva amministrativa come fonte della nuova figura dell’anatocismo bancario - 2. Le cause del fallimento e l’insegnamento di Libertini - 3. L’indagine strutturale dell’art. 1283, Cod. Civ. - 4. La prestazione oggetto dell’obbligazione accessoria di interessi - Disamina degli artt. 820, comma 3, e 821, comma 3, Cod. Civ. - 5. Disciplina e peculiarità del rapporto giuridi - co dell’obbligazione accessoria di interessi - La ratio dell’art. 1283, Cod. Civ. - 6. La scom - posizione dell’art. 1283, Cod. Civ.: l’inciso iniziale, l’anatocismo convenzionale e quello giu - diziale, la chiosa finale - Le correlazioni ed interazioni tra le diverse componenti dell’artico - lo - 7. Il conto corrente bancario e la rappresentazione contabile della disponibilità: distin - zione tra la contabilizzazione degli interessi e la loro capitalizzazione - 8. La contabilizza - zione degli interessi sul conto e l’estinzione della correlata obbligazione: l’anatocismo ban - cario come possibile ma non necessaria conseguenza della mancata estinzione dell’obbli - gazione di interessi. L’equivoca distinzione tra la compensazione propria e quella impro - pria - 9. La pariteticità temporale nel conteggio degli interessi creditori e debitori, come pre - supposto dell’anatocismo bancario: l’art. 120, c.p.v., D.Lgs. n. 385/93 (ovvero T.U. banca - rio) - La delibera C.I.C.R. del 9 febbraio 2000, pubblicata sulla G.U.R.I. n. 43 del 22 feb - braio 2000 - La individuazione in concreto della pariteticità temporale. Il sistema previgen - te le modifiche al testo dell’art. 120 del t.u. bancario e al D.Lgs. 27 gennaio 2010, n. 11 - 10. Una diversa ricostruzione dell’anatocismo bancario: la capitalizzazione degli interessi a debito del correntista, come clausola penale - La reductio ad aequitatem - 11. La prescri - zione dell’azione di ripetizione di indebito per il pagamento degli interessi capitalizzati 1. Premessa - Le conseguenze del mutamento di indirizzo determinatosi in tema di anatocismo dopo le sentenze della Cassazione della primavera del 1999 - La deri- va amministrativa come fonte della nuova figura dell’anatocismo bancario Con il proprio vaticinio, incentrato sulla apposizione della virgola prima o dopo la nega- zione non, la Sibilla cumana era in grado di preconizzare, sempre e comunque, il destino di Ibis redibis non morietur in bello, ovvero la sibilla cumana e l’anatocismo bancario Ugo Vassallo Paleologo Avvocato 1

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Sommario: 1. Premessa - Le conseguenze del mutamento di indirizzo determinatosiin tema di anatocismo dopo le sentenze della Cassazione della primavera del 1999 - Laderiva amministrativa come fonte della nuova figura dell’anatocismo bancario - 2. Le causedel fallimento e l’insegnamento di Libertini - 3. L’indagine strutturale dell’art. 1283, Cod. Civ.- 4. La prestazione oggetto dell’obbligazione accessoria di interessi - Disamina degli artt.820, comma 3, e 821, comma 3, Cod. Civ. - 5. Disciplina e peculiarità del rapporto giuridi -co dell’obbligazione accessoria di interessi - La ratio dell’art. 1283, Cod. Civ. - 6. La scom -posizione dell’art. 1283, Cod. Civ.: l’inciso iniziale, l’anatocismo convenzionale e quello giu -diziale, la chiosa finale - Le correlazioni ed interazioni tra le diverse componenti dell’artico -lo - 7. Il conto corrente bancario e la rappresentazione contabile della disponibilità: distin -zione tra la contabilizzazione degli interessi e la loro capitalizzazione - 8. La contabilizza -zione degli interessi sul conto e l’estinzione della correlata obbligazione: l’anatocismo ban -cario come possibile ma non necessaria conseguenza della mancata estinzione dell’obbli -gazione di interessi. L’equivoca distinzione tra la compensazione propria e quella impro -pria - 9. La pariteticità temporale nel conteggio degli interessi creditori e debitori, come pre -supposto dell’anatocismo bancario: l’art. 120, c.p.v., D.Lgs. n. 385/93 (ovvero T.U. banca -rio) - La delibera C.I.C.R. del 9 febbraio 2000, pubblicata sulla G.U.R.I. n. 43 del 22 feb -braio 2000 - La individuazione in concreto della pariteticità temporale. Il sistema previgen -te le modifiche al testo dell’art. 120 del t.u. bancario e al D.Lgs. 27 gennaio 2010, n. 11 -10. Una diversa ricostruzione dell’anatocismo bancario: la capitalizzazione degli interessi adebito del correntista, come clausola penale - La reductio ad aequitatem - 11. La prescri -zione dell’azione di ripetizione di indebito per il pagamento degli interessi capitalizzati

1. Premessa - Le conseguenze del mutamento di indirizzo determinatosi in temadi anatocismo dopo le sentenze della Cassazione della primavera del 1999 - La deri-va amministrativa come fonte della nuova figura dell’anatocismo bancario

Con il proprio vaticinio, incentrato sulla apposizione della virgola prima o dopo la nega-zione non, la Sibilla cumana era in grado di preconizzare, sempre e comunque, il destino di

Ibis redibis non morietur in bello, ovvero la sibilla cumana el’anatocismo bancarioUgo Vassallo PaleologoAvvocato

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quanti le chiedevano un responso, rendendo così possibile, grazie ad un siffatto artificio lin-guistico, ciò che nella realtà è inibito all’uomo, ovvero la conoscenza del proprio futuro.

Il linguaggio è una forma, anzi è la forma con la quale l’uomo comunica ai propri simi-li le proprie idee, le quali costituiscono l’originale elaborazione concettuale della realtà diciascuno di noi; il linguaggio è quindi un mezzo attraverso il quale l’individuo rappresentaagli altri il proprio porsi di fronte alla realtà 1 e quindi comunica.

Il linguaggio, di conseguenza, rappresenta un mezzo, ovvero un dispositivo, attraverso ilquale si rende possibile (il fine del)lo scambio di informazioni e di concetti tra gli esseri umani,e quindi non può essere fine a se stesso: detto in altri termini, non può mancare nel linguaggiola necessaria correlazione con la realtà percepita e condivisa anche dai soggetti destinataridella comunicazione, sicché il linguaggio non può divenire illusione di trasformare l’impossibi-le in possibile, così come, invece, sembrava avvenire con il vaticinio della Sibilla cumana.

Anche il diritto è linguaggio, e quindi forma attraverso la quale si esprimono concettivolti a disciplinare (nel senso più ampio del termine) rapporti giuridici nell’interesse dei sin-goli, in quanto tali, ovvero come appartenenti ad una collettività più o meno ampia: chi inter-preta una norma comunica, in realtà, con il linguaggio agli altri la propria elaborazione dellarealtà giuridica.

L’interpretazione (sia giurisprudenziale che dottrinale) del diritto è quindi analisi del lin-guaggio contenente la disciplina di un rapporto giuridico, a prescindere dalla natura dellasua fonte (legge, contratto, sentenza o atto amministrativo), che non deve essere però limi-tata al come essa viene espressa (dal Giudice, dal Legislatore o dalle parti di un contratto),ma si deve spingere sino all’individuazione dell’interesse sotteso e soprattutto all’effettivoconseguimento del fine della sua della tutela.

Si ha talvolta, però, l’impressione che l’interpretazione del diritto indugi maggiormen-te in questioni attinenti i profili qualificatori, pur sempre utili per classificare un istituto giuri-dico, senza considerare che il diritto è, prima di tutto e soprattutto, regolamentazione di inte-ressi concreti riferibili a soggetti.

Ne consegue che il lettore è costretto ad avventurarsi in un intricato dipanarsi di qua-lificazioni giuridiche, che pur nella loro importanza classificatoria, divengono sterili esercita-zioni formali, le quali, come il vaticino della Sibilla cumana, ritengono di trovare solo nellaforma la soluzione alle questioni di diritto.

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1 WILHELM VON HUMBOLDT nella prefazione alla sua opera Il linguaggio come forma e creazione soste -neva “che il linguaggio sia il dispositivo che lungi dal “trasmettere” un pensiero preformato, in effetti ne con -diziona profondamente l’articolazione e la fisionomia”; così Humboldt (1991, pp. 42-8), nella traduzione di D.Di Cesare, reperita sul sito <http://mondoailati.unical.it/didattica/archivi/easyup0405/docs/GiusyGallo_setti-ma_disp_ok.pdf>.

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Nel giurista deve essere quindi prevalente sull’intento qualificatorio/classificatorio del-l’istituto, quello della individuazione dell’interesse obiettivo delle parti, che deve non solorisultare coordinato, o quantomeno non contrastante, con i principi costituzionali 2, ma tene-re anche conto della diversa forza che le parti stesse esprimono, sia prima della costituzio-ne del rapporto contrattuale che durante il suo svolgimento.

Ritrovandosi nel regime degli interessi bancari uno di quei settori a maggior rischio disquilibrio tra i contraenti, per la palese preponderanza della forza contrattuale delle Banche,ne discende che l’interprete non può ritenersi appagato con il ricorso ad argomentazionimeramente formali, avendo il dovere di individuare l’indefettibile elemento causale chesostiene le relative pattuizioni ed indagare se esso sia concretamente idoneo a soddisfare“.... gli interessi reali che il contratto stesso è diretto a realizzare” 3.

Una tale ricerca nella materia de qua presenta però difficoltà maggiori, rispetto ad altrisettori del diritto, considerato il modo spesso frammentario e tardivo, con il quale il nostroLegislatore è intervenuto, ora per ottemperare agli imprescindibili obblighi di adeguamentodel nostro ordinamento giuridico al diritto comunitario ora per recepire taluni principi corag-giosamente espressi dai Giudici, ora per correggerne la portata ritenuta a torto potenzial-mente lesiva degli interessi particolari delle aziende di credito.

Alla frammentazione e al ritardo dell’intervento legislativo si sono poi sommate lemodalità della sua attuazione, spesso limitate alla semplice traccia dei contorni della disci-plina, piuttosto che alla definizione dei contenuti, compito quest’ultimo rimesso alle normesecondarie. Si è venuta così a creare una frammentazione delle fonti del diritto bancario,che, specie nell’ambito dell’attività contrattuale, ha eretto una sorta di diaframma tra i prin-cipi giuridici generali e la normativa di dettaglio, rendendo di fatto la seconda impermea-bile ai primi, nell’ottica di quel “...costante tentativo della banca di sottrarsi all’applicazionedel diritto generale”, che A. Maisano aveva anticipato nella sua ultima pubblicazione 4, ten-tativo condotto dal ceto creditizio in nome di una presunta e deprecabile autoreferenzialitàdel diritto bancario, tale da renderne superfluo il coordinamento con le categorie generalidel diritto civile.

Disatteso il precedente orientamento del Supremo Collegio che aveva legittimato conuna nutrita serie di pronunce l’uso della capitalizzazione degli interessi bancari, ed avvalen-

2 Per una lettura del diritto privato coordinata con la nostra Costituzione si vedano le fondamentali opere diF. Perlingeri, Il diritto civile nella legalità costituzionale ed Il diritto civile nella legalità costituzionale secondo ilsistema italo-comunitario delle fonti, Napoli, 2006.3 La locuzione è tratta dalla motivazione di Cass. Civ., Sez. III, 8 maggio 2006, n. 10490.4 MAISANO, Trasparenza e riequilibrio delle operazioni bancarie - la difficile transizione dal diritto della Bancaal diritto bancario -, Milano, 1993, pagg. 20 e segg..

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dosi di una corrente di pensiero affermatasi nella seconda metà degli anni ‘90 5, le due sen-tenze della Cassazione della primavera del 1999 (Sezione I, pubblicata il 16 marzo 1999,n. 2374, relatore G. Salmè, e Sezione III, pubblicata il 30 marzo 1999, n. 3096, relatore A.Amatucci), disconosciuta la valenza normativa al citato uso, hanno prima negato la suacapacità derogatoria dell’art. 1283, Cod. Civ., e quindi affermato la nullità parziale delle cor-relative clausole rinvenibili nei contratti bancari.

La paventata incidenza negativa dei pronunciamenti della Cassazione della prima-vera del 1999 sui bilanci dei gruppi bancari spingeva il Governo dell’epoca ad utilizzarela legge delega per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alleComunità Europee, per introdurre due ulteriori commi all’unico di cui era originariamentecomposto l’art. 120, d.Lgs. n. 385/93 ( di seguito T.U. bancario): mentre il secondocomma ha (ri)legittimato la produzione di interessi sugli interessi, purché venga garanti-ta nel loro conteggio la pariteticità temporale, tanto se a credito quanto se a debito delCliente, demandando al C.I.C.R. la definizione delle relative modalità, il terzo comma, poicaduto sotto lo scrutinio negativo della Corte Costituzionale 6, prevedeva il mantenimen-to delle vecchie clausole anatocistiche sino al momento dell’entrata in vigore della rifor-ma del T.U. bancario.

Il C.I.C.R. con la delibera del 9 febbraio 2000, pubblicata sulla G.U.R.I. n. 43 del 22febbraio 2000 ed entrata in vigore il 22 aprile dello stesso anno (art. 8 della delibera), davaattuazione a quanto disposto dall’art. 120, comma 2°, T.U. bancario, fissando le modalità edi criteri per la produzione di interessi sugli interessi scaduti, prevedendo all’art. 2, comma2°, che “nell’ambito di ogni singolo conto corrente deve essere stabilita la stessa periodicitànel conteggio degli interessi creditori e debitori”.

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5 INZITARI, Il mutuo ipotecario con riguardo al tasso “soglia” della disciplina antiusura, allo jus variandi e aldivieto dell’anatocismo, pubblicato in Mutui Ipotecari, Milano 1999, pag. 130, che raccoglie gli atti del conve-gno svoltosi a Bergamo il 13 novembre 1998. L’Illustre Autore sostiene che “con l’allora entrato in vigore art.1283, il codice fece, infatti, salvi gli eventuali usi contrari e, con questo, ha riconosciuto efficacia a quegli usiche già allora consentivano di pattuire convenzionalmente la produzione degli interessi sugli interessi. Ciòsignifica che, successivamente all’entrata in vigore del codice civile, non hanno mai potuto, per le ragionisopra esposte, essersi formati validamente altri usi normativi rispetto a quelli che erano già esistenti almomento di entrata in vigore del codice. Non possono essere riconosciuti efficaci usi normativi il cui contenu -to, ad esempio, preveda una più intensa produzione anatocistica rispetto a quella che costituiva appunto unuso riconosciuto del mondo bancario nel 1942, in quanto come abbiamo visto, la stessa formazione dell’usosi sarebbe basata su una prassi contrattuale invalida e contra legem”.6 Sentenza n. 425 del 17 ottobre 2000. La Corte, tra i molteplici profili di illegittimità rilevati dai giudici rimetten-ti, ha accolto solo quello incentrato sulla violazione dell’art. 76, Cost., affermando che l’art. 25, comma 3, deld.Lgs. n. 342 del 1999, stante l’indeterminatezza della fattispecie ivi prevista, non può essere ricondotto nel-l’ambito della delega conferita al Governo con l’art. 1, comma 5, della legge 24 aprile 1998, n. 128, avente adoggetto l’emanazione di “disposizioni integrative e correttive” del testo unico bancario, “nel rispetto dei principie criteri direttivi e con l’osservanza della procedura indicati nell’art. 25 della legge 19 febbraio 1992, n. 142” .

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Il verificarsi di tali accadimenti induceva chi scrive a commentare la sentenza dellaCassazione n. 2374/99, con un articolo che già nel titolo “la riforma dell’anatocismo banca -rio” 7 voleva richiamare l’attenzione del lettore sull’assenza di discontinuità tra il preceden-te regime degli interessi bancari e quello scaturito all’indomani delle sentenze dellaCassazione della primavera del 1999.

A distanza di cinque anni da quest’ultimo accadimento - con una monolitica giurispru-denza sia di merito che di legittimità che, salvo alcune rare ma significative distonie 8, neaveva confermato l’iter argomentativo - intervenivano le Sezioni Unite con la sentenza n.21095 del 2004 9, le quali, più che fornire nuovi spunti al dibattito, si preoccupano di difende-re lo stesso Supremo Collegio dall’obiezione di quanti gli avevano imputato di avere contribui-to con il proprio precedente orientamento al diffondersi della convinzione della legittimità (del-l ’ e fficacia derogatoria dell’art. 1283, Cod. Civ., da parte) dell’uso dell’anatocismo bancario.

L’attuale situazione del contenzioso in tema di anatocismo bancario risulta quindiessenzialmente bloccata sulle vertenze che riguardano i contratti stipulati anteriormenteall’entrata in vigore della delibera C.I.C.R. 9 febbraio 2000, inesorabilmente destinate peròad esaurirsi, salvo gli attesi interventi della Corte Costituzionale, dopo l’entrata in vigore del-l’art. 2, comma 61, della legge n. 10/2011.

Poco o nulla sembra invece possa accadere con riferimento ai contratti bancari stipu-lati dopo l’entrata in vigore della citata delibera C.I.C.R., le cui pattuizioni sulla produzionedi interessi sugli interessi risultano conformi alla disciplina normativa di primo e secondogrado che si è sopra delineata.

Di tal ché, se l’intento della Cassazione della primavera del 1999 e delle correnti dot-trinali di riferimento era quello di espungere dal nostro ordinamento giuridico l’anatocismobancario, marcando la natura contrattuale del relativo uso, si può affermare senza tema di

7 L’articolo risulta reperibile sul sito: http://www.giustamm.it/ago1/articoli/vassallopaleologo_anatocismo.htm efa parte del n. 5/2000.8 Si segnalano al riguardo due sentenze una del Tribunale di Roma del 27 gennaio 2003 e l’altra del Tribunaledi Palermo del 6 settembre 2002, che ritengono applicabile al conto corrente bancario “l’anatocismo c.d. “indi -retto” (in quanto mediato dal meccanismo di chiusura del conto) ex art. 1831 Cod. Civ. previsto per il contocorrente ordinario...”; il brano è tratto dalla motivazione della sentenza del Tribunale di Pescara del 4 aprile2005, che si pone nel solco della giurisprudenza maggioritaria.9 La sentenza è stata pubblicata in molte riviste, accompagnata da un nutrito numero di note di commento.Si segnalano, tra le tantissime: D&G - Dir. e giust., 2004, 42 29 con nota di ROSSETTI; Riv. dir. comm. 2005,7/8/9 163 con nota di COLOMBO; Dir. banca e mercato fin. , 2004, 645 con nota di NIGRO; Giur. it., 2005,66, 741, con nota di COTTINO; RAZZANTE; Banca borsa tit. cred., 2005, II, 115 nota AA.VV.; Contratti (I),2005, 221 nota SCOZZAFAVA; Dir. e prat. soc., 2004, 23 62 nota VACCARO BELLUSCIO; Resp. civ. e prev.,2005, 92; Giust. civ., 2005, 4 I, 969 con osservazione di TOMARCHIO; Banca borsa tit. cred., 2005, II, 253,con nota di SCOTTI CAMUZZI; Giust. civ., 2005, 7/8 I,1835, con nota di MORERA; Giust. civ., 2005, 11 I,2647, con nota di NARDELLI; Giust. civ., 2005, 5 I,1221, con nota di GIACALONE; Foro it., 2004, I,3294, connota DI CALMIERI, PARDOLESI.

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smentita che l’introduzione del secondo comma dell’art. 120, T.U. bancario, ha determina-to un’innegabile sconfitta di tali posizioni, sulle cui cause risulta opportuno indagare ancheper fornire, se possibile, nuovi spunti argomentativi, specie con riferimento ai contratti ban-cari stipulati dopo il 22 aprile 2000 10.

2. Le cause del fallimento e l’insegnamento di LibertiniL’individuazione delle cause del fallimento del tentativo di espungere definitivamente

dal nostro ordinamento giuridico l’anatocismo bancario non può prescindere da una sinte-tica rappresentazione del prolifico dibattito, non solo giuridico ma anche politico, che si èsviluppato in Italia, specie dopo gli anni ‘70, in merito all’individuazione dei correttivi neces-sari per ridurre la supremazia delle Banche nei confronti della clientela.

In estrema sintesi si osserva che i passi più significativi verso un nuovo equilibriomaggiormente comprensivo degli interessi degli utenti di servizi bancari si sono registratisolo allorquando la giurisprudenza e la dottrina hanno utilizzato solide argomentazioni didiritto sostanziale attinte dalle categorie generali del diritto. Risulta emblematica al riguar-do la vicenda che ha riguardato la validità delle clausole di rinvio agli usi su piazza per ladeterminazione della misura degli interessi bancari, prima difesa dalla Cassazione sullabase del formalistico ragionamento che nel mondo del diritto ciò che è determinabile equi-vale a ciò che è determinato 11, poi riconsiderata dalla giurisprudenza di merito alla luce

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10 Giusta il tenore dell’art. 8, contenuto nella stessa, la deliberazione del C.I.C.R. del 9 febbraio 2000, è entra-ta in vigore il 60° giorno successivo alla sua pubblicazione sulla G.U.R.I. n. 43 del 22 febbraio 2000.11 “Le clausole contrattuali di rinvio agli usi sono nulle e si considerano non apposte.”. Prima dell’entrata invigore della legge n. 154/92, la giurisprudenza, chiamata ad esprimersi sulla validità delle clausole di rinvioagli usi su piazza per la determinazione del saggio ultralegale degli interessi sulle operazioni bancarie avevaa ffermato. Indicativo dell’orientamento allora dominante è il passo della sentenza emessa dalla Cassazione,Sez. III, 18 giugno 1992, n. 7547, che afferma: “A norma dell’art. 1815 Cod. Civ., per la determinazione degliinteressi che il mutuatario deve corrispondere al mutuante si osservano le disposizioni dell’art. 1284 Cod.C i v.; questo a sua volta prescrive che gli interessi superiori alla misura legale devono essere determinati periscritto. Prescrizione, questa, intesa allo scopo non solo di frapporre una remora alla richiesta di interessiusurari; ma anche di rendere certa, consapevole e più seriamente impegnativa la obbligazione del debitore,spesso disposto a mal meditate concessioni onerose pur di ottenere il finanziamento (cfr. Cass. n. 4208 del1974). Il requisito, “ad substantiam” della forma scritta postula che la determinazione convenzionale degliinteressi ultralegali, afferenti ad un contratto di mutuo, venga documentata attraverso la indicazione nume -rico-percentuale del tasso pattuito; o quanto meno attraverso la indicazione chiara dei criteri in base ai qualila determinazione debba, al pre-sente o nel futuro, essere operata. Ai fini della determinabilità (ex art. 1346Cod. Civ.) dell’oggetto della prestazione degli interessi dovuti dal mutuatario occorre, comunque, che il tassoda applicare possa essere individuato con riferimento ad elementi prestabiliti dalle parti, le quali si sianoaccordate circa la futura variazione e circa i criteri e le modalità da osservarsi quel fine (cfr. Cass. n. 743 del1976). Elementi prestabiliti dalle parti, (e contenuti nel contratto nella forma richiesta ad substantiam) chepossono anche consistere nel riferimento a dati di fatto esistenti o sicuramente accertabili, tali da richiedereper la loro applicazione una mera operazione aritmetica; elementi prestabiliti e concordati che non possonoinvece consistere nel semplice riferimento ad un futuro accordo tra le parti o nell’arrendevole rinvio ad unafutura scelta di una sola delle parti oppure all’arbitrio del creditore (cfr. Cass. n. 3677 del 1975; 4617 del

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della insussistenza dell’oggetto della prestazione (accessoria) con la comminatoria dellanullità e x art. 1325, n. 3, Cod. Civ., soluzione, quest’ultima, alla fine recepita dall’art. 4,comma 3°, della legge n. 154/1992, con la previsione della (sanzione della) nullità (parzia-le) di tali pattuizioni.

La giurisprudenza ha seguito un analogo percorso anche con riferimento alla fideius-sione omnibus, prima sottraendola dalle censure di invalidità con argomenti formali 12 e poiaffermandone la nullità per l’indeterminatezza dell’oggetto del contratto di garanzia, soluzio-ne quest’ultima infine accolta dall’art. 10 della citata legge n. 154/1992, con il quale è statointrodotto il nuovo testo dell’art. 1938, Cod. Civ..

Si sviluppava, però, in stretta connessione con tali mutamenti giurisprudenziali ancheun acceso dibattito politico teso a ridurre la preponderanza contrattuale delle Banche, cheregistrò il suo apice in occasione della presentazione al Parlamento di alcuni progetti dilegge che poi, per quanto in buona parte disattesi, sfociarono nella legge n. 154/1992, sullac.d. trasparenza bancaria. Degna di particolare menzione per le attinenze con la materia diquesto lavoro è la proposta di legge Minervini, dal nome dell’Insigne Studioso suo primo fir-matario, che prevedeva il mantenimento della capitalizzazione degli interessi, “a condizio -ne che venisse rispettata la pariteticità temporale della loro contabilizzazione, tanto se acredito quanto se a debito del Cliente” 13.

Pur consapevole che i grandi mutamenti giurisprudenziali che essa stessa avevaintrodotto nella materia dei contratti bancari trovavano il proprio fondamento su solide argo-mentazioni di tipo sostanziale, la Cassazione nella primavera del 1999 preferì seguire ilcommodus discessus offerto da un’opzione prettamente formale, individuandola nell’insus-sistenza della valenza normativa nell’uso della capitalizzazione degli interessi bancari, per

1990). Quel che infatti rileva è che il richiamo, fatto per iscritto dalle parti, abbia quale suo termine di riferi -mento criteri od elementi che, ancorché estrinseci rispetto alla scrittura, siano obiettivamente e sicuramen -te individuabili e tale da consentire la concreta, univoca individuazione del tasso pattuito, non inficiata dasensibili margini di discrezionalità e quindi di incertezza. In tali sensi risulta orientata la giurisprudenza diquesta Corte (cfr. sent. n. 9518 del 1987, n. 2262 del 1984, n. 2521 del 1983) anche laddove ammette, inlinea di principio, che i criteri di determinabilità del tasso d’interesse, indicati nella scrittura od ivi richiamati“per relationem”, siano costituiti dalle condizioni usualmente praticate dalle banche per quella determinatacategoria e tipologia contrattuale (cfr. Cass. n. 2644 del 1989; n. 6554 del 1988; n. 8335 del 1987; n. 111 2del 1984 e n. 302 del 1978).”12 cfr. “La fideiussione “omnibus” non è nulla per indeterminatezza dell’oggetto quando la garanzia sia pre -stata per tutte le obbligazioni presenti e future del debitore nei confronti dell’istituto di credito, stante la deter -minabilità dell’oggetto della fideiussione “per relationem” sulla base di atti di normale esercizio dell’attività cre -ditizia.” Cassazione civile, sez. III, 25 agosto 1992, n. 9839, in Foro it., 1993, I,2172, con nota di VALCAVI;pubblicata anche in Banca borsa tit. cred., 1993, II, 237, con nota di DOLMETTA.13 La proposta di legge (del 24 marzo 1986, n. 3617) è pubblicata su B.B.T.C., 1986, parte I, p. 713, ss.. Perun’attenta disamina delle posizioni che portarono poi all’emanazione della legge n. 154/1992, sulla c.d. tra -sparenza bancaria, DOLMETTA, Per l’equilibrio e la trasparenza nelle operazioni bancarie: chiose critiche allalegge n. 154/1992, in B.B.T.C., Parte I, 1992, p. 375 ss..

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poi farne derivare l’insuscettibilità derogatoria dell’art. 1283, Cod. Civ. e, quindi, dichiararela nullità (parziale) delle correlative clausole 14.

La sintetica esposizione dell’iter argomentativo comune alle due sentenze in com-mento denota una scelta interpretativa del tutto avulsa dai molteplici profili sostanzialiche caratterizzano l’anatocismo bancario, istituto che (forse) come pochi altri, è il por-tato di più discipline riconducibili tanto alle categorie generali del diritto civile - si pensiall’indagine sulla struttura del rapporto obbligatorio avente ad oggetto gli interessi,ovvero alla definizione della sua accessorietà rispetto a quello principale - che a quel-le più intrinsecamente connesse al diritto dei contratti bancari, senza dimenticare chela disciplina codicistica di questi ultimi si limita a definirne i contorni, demandando difatto all’autonomia contrattuale delle parti (scilicet delle sole Banche) l’individuazionedei relativi contenuti 1 5.

L’assenza nelle motivazioni delle sentenze della primavera del 1999 di tali profili qua-lificatori in senso sostanziale dell’(istituto dell’)anatocismo bancario ha quindi agevolato ilcompito di un sin troppo tempestivo legislatore, che formulando il secondo comma dell’art.120, T.U. bancario, ha inteso trasfondere (l’istituto del)la capitalizzazione degli interessi inuna norma speciale di legge di pari rango rispetto a quella generale contenuta nell’art.1283, Cod. Civ., ripristinando così la deroga di quest’ultimo nell’ambito dei contratti banca-ri e consentendo quindi alle Banche di (ri)applicare (l’istituto del)la capitalizzazione degliinteressi anche a quelli stipulati dopo il 22 aprile 2000.

Si sono così smorzate le velleità riformistiche di quanti avevano sottolineato, con enfa-si a volte eccessiva, la (presunta) avevano amplificato la carica innovativa delle due sen-tenze della Cassazione della primavera del 1999.

Del resto la stessa giurisprudenza che in modo massiccio ne ha raccolto il segnale disif-fatta (presunta) discontinuità, non è stata poi in grado di elaborare ulteriori spunti argo-mentativi, assumendo, al di là di qualche significativa eccezione 16, come unico fondamen-

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1 4 È stato giustamente osservato che “la clientela, dall’infittirsi delle prescrizioni formali, rischia di vedere inste -rilita la tutela in un defatigante “rituale” di firme a ripetizione, di sottoscrizioni moltiplicate e continue, come spes -so accade per le clausole c.d. vessatorie dei contratti per adesione, dove la forma non sempre riesce a com -pensare la scarsa pubblicità o l’ignoranza, e perciò da sola non basta a promuovere un consenso informato ec o s c i e n t e”. Così P. RESCIGNO, Trasparenza bancaria e diritto comune, in B . B . T. C ., Parte I, 1990, p. 306.15 È indicativa di tale tendenza la considerazione che i principali contratti bancari sono atipici, in quanto nonriconducibili ad alcuno dei tipi contrattuali contemplati nel codice civile. Si pensi al conto corrente di corrispon -denza che per la dottrina maggioritaria e la giurisprudenza prevalente rientra nel novero dei contratti atipici,con la precisazione che si tratta “di un contratto innominato misto che utilizza parti di schemi negoziali tipici,in particolare quello del mandato, del deposito bancario e/o dell’apertura di credito, coordinati al fine di disci -plinare una situazione atipica” così F. MAIMERI, A. NIGRO, V. SANTORO in Contratti bancari, Vol. 1 Le ope -razioni bancarie in conto corrente, Milano 1991, pagg. 5-6.16 Vedi le sentenze citate alla precedente nota 8.

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to della declaratoria di nullità delle clausole anatocistiche la natura negoziale del relativouso con le ben note conseguenze applicative.

3. L’indagine strutturale dell’art. 1283, Cod. Civ.Non è estranea a siffatto conformismo interpretativo la stessa struttura dell’art.

1283, Cod. Civ., che ha indotto gli interpreti a focalizzare la propria attenzione unica-mente sull’inciso iniziale, il cui tenore connotato dalla generica locuzione “in mancanzadi usi contrari”, lascerebbe trasparire una sua efficacia derogatoria rispetto a tutto ilresto della disposizione, inclusa la sua chiosa finale “e sempre che si tratti di interessidovuti almeno per sei mesi”. In altri termini dottrina e giurisprudenza hanno preferitoporre l’accento sui presupposti in base ai quali l’uso acquisisce una propria capacitàderogatoria, piuttosto che indagare i rapporti tra il contenuto normativo derogato, percome rinvenibile nella seconda parte dell’articolo in commento, e quello derogante, pro-prio della fonte secondaria.

Si è così dimenticato l’insegnamento di Libertini, secondo il quale l’art. 1283, Cod.Civ., è stato dettato “.... proprio in funzione della causa dell’obbligazione di interessi; normache pone un limite all’ambito di applicazione dell’art. 1282, Cod. Civ.(che altrimenti si appli -cherebbe anche al debito relativo agli interessi già maturati)” 17.

La proposizione del Libertini, ponendo l’accento sul collegamento tra l’art. 1283 ed ilprecedente art. 1282, Cod. Civ., evidenzia come l’anatocismo sia, in realtà, il conglomera-to di più (segmenti di) istituti, che impongono, pertanto, all’interprete l’uso di una pluralità distrumenti di analisi, quali l’individuazione dell’imprescindibile giustificazione causale dell’at-tribuzione patrimoniale 18 sottesa alla produzione di interessi sugli interessi, l’interpretazio-ne strutturale e quella sistematica delle norme, i precedenti storici, e la comparazione congli ordinamenti più similari al nostro.

È quindi necessario offrire una lettura dell’art. 1283, Cod. Civ., che, diversamente daquella affermatasi dopo la primavera del 1999 nella giurisprudenza e nella dottrina, ne indi-vidui le innegabili e molteplici correlazioni con le altre disposizioni codicistiche che trattanola materia degli interessi, e quindi ne disveli la funzione di norma di chiusura di una disci-plina, quella dell’obbligazione di interessi, che il Legislatore del ‘42, sulla scorta dell’impo-stazione già utilizzata nel codice civile del 1865 19, ha frazionato tra il III ed il IV libro del

17 LIBERTINI, voce “Interessi”, E.d.D., volume XXII, Milano, 1972, § 31.1 8 La definizione di giustificazione dell’attribuzione patrimoniale, mutuata dalla Z u w e n d u n g del diritto tedesco,deve essere intesa, almeno con riferimento al nostro ordinamento giuridico, nel suo significato oggettivo di neces-sario ed indefettibile presupposto di ogni trasferimento di un bene o di un’utilità da un patrimonio ad un altro.19 Vedi infra sub nota 21.

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codice civile, definendone prima, con gli artt. 820, comma 3°, e 821, comma 3°, l’oggetto epoi, con gli artt. 1282 e 1283, Cod. Civ., il relativo regime giuridico 20.

4. La prestazione oggetto dell’obbligazione accessoria di interessi - Disaminadegli artt. 820, comma 3°, e 821, comma 3°, Cod. Civ.

L’articolo 820, comma 3°, Cod. Civ., rifacendosi alla tradizione dei codici civili europei delXIX secolo, qualifica gli interessi sui capitali come frutti civili 2 1, assumendone a presuppostola comune funzione di corrispettivo del godimento della cosa (o del capitale) da parte di altri:di tal ché, mentre rimangono fuori dall’ambito di applicazione della norma in commento gliinteressi compensativi (e x art. 1499, Cod. Civ.), non essendo in essi riscontrabile (il requisitodel) l’altruità della cosa oggetto del godimento, vi rientrano tanto i corrispettivi che i moratorinonché quelli e x art. 2033, Cod. Civ., risultando del tutto indifferente (per i profili che qui inte-ressano) che l’uso del denaro altrui sia conseguente ad una sua “concessione volontaria” 2 2,come nei primi, ovvero si fondi “su una ritenzione illegittima” 2 3, come negli altri due 2 4.

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2 0 Vedi per una q u a d r i p a r t i z i o n e della materia degli interessi LIBERTINI, o p . l o c . c i t ., § 4, il quale distingue tra “A)norme che prevedono il sorgere dell’obbligazione (art. 181, 669, 983, 1005, 1009, 1010, 1224, 1267, 1282, 1486,1499, 1652, 1714, 1720, 1815, 1825, 1950, 2031, 2033, 2036 Cod. Civ. ). B) Norme riguardanti i criteri di deter -minazione dell’ammontare degli interessi dovuti (821, 1224, 1284, 1815 Cod. Civ.). Tra queste norme possonoessere ricomprese anche quelle regolatrici dei negozi privati relativi agli interessi (v., in particolare, l’art. 1815comma 2 Cod. Civ.), in quanto questi negozi hanno oggi essenzialmente la funzione di incidere sulla misura degliinteressi dovuti. C) Norme riguardanti la ripercussione, sull’obbligazione di interessi, di atti o di vicende relativeall’obbligazione principale (articoli 1199, 1208, 1212, 1263, 1531, 1942 Cod. Civ.) o viceversa (art. 1820 Cod.C i v.); cioè regolanti il rapporto di accessorietà dell’una obbligazione nei confronti dell’altra. D) Norme disciplinan -ti l’obbligazione di interessi in quanto tale (art. 1194, 1207, 1283, 1312, 1794, 2948 Cod. Civ.; 54 l. fall.)” .2 1 L’articolo 444 del Cod. Civ. del 1865, dettato in materia di accessione, prevedeva al primo comma che “ifrutti naturali e i frutti civili appartengono per diritto d’accessione al proprietario della cosa che li produce”. Il suc-cessivo terzo comma chiariva che “sono frutti civili quelli che si otten-gono per occasione della cosa, come gliinteressi dei capitali...”. La disposizione del codice civile del 1865 si inseriva nella tradizione dei codici civili delXIX secolo, primo fra tutti quello francese, che in modo sintetico affermava all’art. 547, ricompreso nella sezio-ne dedicata all’usufrutto, che “i frutti naturali o industriali della terra, i frutti civili, i parti degli animali apparten -gono al proprietario per diritto di accessione”; lo stesso Codice Albertino riproduceva all’art. 450, primo comma,il tenore dell’art. 547 del codice francese, aggiungendo al successivo art. 451, terzo comma, che “i frutti civilisono le pigioni delle case, gli interessi dei capitali, le rendite delle enfiteusi, dei censi e dei vitalizi, ed ogni altra” .22 Le espressioni in corsivo racchiuse tra le virgolette sono di QUADRI, “Specie di obbligazioni: pecuniarie”,Cap. V, “Gli interessi”, in Trattato del Rescigno, Torino, 1984, pagg. 523 e segg..23 Vedi testo della nota immediatamente precedente.24 Alla luce di quanto esposto nel testo risulta infondata quella giurisprudenza che esclude dall’ambito diapplicazione dell’art. 2855, comma 2°, Cod. Civ., gli interessi moratori, assumendo che la funzione risarcito-ria di questi ultimi è incompatibile con la locuzione “iscrizione di un capitale che produce interessi”, che riguar-derebbe solo quelli corrispettivi. Ex multis cfr., Cass. 29 agosto 1998, n. 8657, in Mass. Giust. civ., 1998, 1818;Cass. 8 novembre 1997, n. 11033, in Fall., 1998, 1238, con nota di PETRAGLIA; Trib. Palermo 20 agosto1991, in Dir. fall., 1992, III, 300; App. Roma 27 novembre 1990, in Giust. civ., 1991, 1, 200. Nel senso dellariconduzione degli interessi moratori nell’ambito di applicazione dell’art. 2855, comma 2°, Cod. Civ., cfr. Cass.8 luglio 1998, n. 6668, in Nuova giur. civ. comm., 1999, I, 485, con nota di CAROZZI; Trib. Roma 12 luglio1989, in Fall., 1990, 405; Trib. Vicenza 2 marzo 1988, ivi, 1222; App. Palermo 5 ottobre 1985, ivi, 1986, 1352;Trib. Roma 18 luglio 1982, ivi, 1983, 524; Trib. Milano 14 maggio 1990, in Dir. fall., 1991, II, 109.

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L’uso del danaro altrui, a prescindere dalla sua fonte, è un evento comunque circo-scritto in un arco temporale, più o meno lungo, che ha il suo inizio, a seconda delle ipote-si, o con la dazione volontaria o con la ritenzione illegittima del capitale e il suo termine conla riconsegna di quest’ultimo a chi se ne era, o ne era stato, privato: questo arco di temposegna la durata dello squilibrio tra due patrimoni, quello del titolare del capitale, inciso nega-tivamente dalla temporanea indisponibilità di quest’ultimo, e quello di chi ne ha il godimen-to correlativamente avvantaggiato dalla temporanea disponibilità.

Ne discende che l’obbligazione di interessi rientra nel novero di quelle di durata 25, conla particolarità, però, rispetto a queste ultime, che in essa il tempo assume una duplice fun-zione: per un verso esso ne determina l’aspetto genetico (an debeatur), individuabile nell’i-stante in cui si verifica il distacco del capitale dal patrimonio del suo titolare, mentre per altroverso la durata di questa scissione influenza direttamente l’ammontare stesso della presta-zione (quantum debeatur).

L’obbligazione di interessi, inoltre, può sorgere, anche in assenza di un’espressa pat-tuizione, arg. ex artt. 1282, comma 1°, prima parte, 1284, comma 2°, e 1815, comma 1°,Cod. Civ., nel momento in cui inizia l’uso del denaro altrui, a prescindere dalla sussistenzao meno alla sua base di un atto volontario di chi ne viene privato, e si estingue con la inte-grale restituzione a quest’ultimo del capitale e degli interessi, che fa venire meno lo squili-brio tra i due patrimoni coinvolti, ristabilendosi la situazione ex quo ante.

Sotto il profilo della prestazione oggetto dell’obbligazione di interessi il protrarsi neltempo dell’uso del denaro altrui ne condiziona direttamente l’ammontare, stante il loroacquisto giorno dopo giorno, di cui all’art. 821, comma 3°, Cod. Civ. 26, che si ricollega allavisione naturalistica del diritto dalla quale è scaturita l’assimilazione dei frutti civili a quellinaturali 27. Il terzo comma dell’art. 821, Cod. Civ., si distacca pertanto dagli altri due che loprecedono: laddove questi ultimi due contengono regole specifiche per dirimere il (poten-ziale) conflitto nell’attribuzione dei frutti naturali tra il proprietario della cosa e chi ne ha ilgodimento, il terzo comma indica il criterio di quantificazione (della prestazione oggetto)

25 Cfr. QUADRI, op.loc.cit., pag. 530.2 6 Il codice civile del 1865, prevedeva all’art. 481, ricompresso nella Sezione I dedicata all’usufrutto, che “i frut -ti civili s’intendono acquistati giorno per giorno, ed appartengono all’usufruttuario in proporzione della duratad e l l ’ u s u f r u t t o”. La disposizione in commento, al pari di quella riportata alla precedente nota 21, trovava il pro-prio precedente nell’art. 586, del codice francese, giusta il quale “i frutti civili s’intendono acquistati giorno pergiorno, ed appartengono all’usufruttuario in proporzione della durata del suo usufrutto...”. Risultano conformiall’art. 586, del codice francese, anche l’art. 511, del Codice Napoleonico e l’art. 495 del Codice A l b e r t i n o .27 “La categoria è un’amplificazione del concetto naturalistico dei frutti; essa veramente coincide con il con -cetto di reddito, cioè con i proventi che si ritraggono da una cosa, come corrispettivo dell’utilità o del godimen -to che essa arreca ad altri. Frutti civili sono quindi gl’interessi dei capitali, i canoni enfiteutici, le rendite vitali -zie ed ogni altra rendita, le mercedi delle locazioni” così DE MARTINO F., Dei beni in generale - Proprietà, inCommentario al Codice Civile Scialoja - Branca, Bologna 1976, pag. 60.

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dell’obbligazione di interessi, essendo stato già individuato nel precedente art. 820, comma3°, Cod. Civ., il soggetto al quale appartengono i frutti civili, e quindi risolto in questa diver-sa sede il potenziale conflitto che può insorgere sulla loro appartenenza.

L’esigenza del legislatore di dettare con l’art. 820, comma 3°, Cod. Civ., il criterio diquantificazione (della prestazione oggetto) dell’obbligazione di interessi, denota inoltre ilchiaro intento di individuare un criterio il più possibile oggettivo, quale è il decorso deltempo, per compensare/risarcire il temporaneo sacrificio di chi si è /è stato privato del godi-mento di un capitale: la disposizione in commento, infatti, non si preoccupa di distinguerele diverse cause all’origine della scissione tra la titolarità del capitale ed il suo (momenta-neo) godimento da parte di altri.

L’art. 820, comma 3°, Cod. Civ., peraltro, ricompreso all’interno del Titolo I, intitolato“Dei beni”, nel Capo I “Dei beni in generale”, assolve l’ulteriore funzione di individuare dalpunto di vista oggettivo gli interessi, al fine di ricondurli nel novero delle “cose che posso -no formare oggetto di diritti” (art. 810, Cod. Civ.), lasciando al successivo libro IV “Delleobbligazioni” il compito di disciplinarne il relativo regime giuridico.

Così qualificata, si evidenza che quella di interessi deve essere considerata comeun’unica obbligazione, essendo unico il sostrato causale rinvenibile nella funzione di riequi-librio tra lo svantaggio (del patrimonio) di chi subisce una temporanea indisponibilità di unasomma di danaro ed il vantaggio (di quello) di chi ne assume il momentaneo godimento.Questo squilibrio è però temporaneo, in quanto circoscritto tra il momento in cui viene ese-guita la consegna 28 del capitale, o quello in cui si determina la sua illegittima ritenzione, el’altro nel quale la somma viene restituita al suo titolare: tali momenti segnano rispettiva-mente il primo, la nascita ed il secondo, l’estinzione della obbligazione di interessi, mentreil decorso del tempo incide solamente sull’ammontare della prestazione accessoria. Ciòesclude alla radice l’ipotesi che ogni giorno sorga una nuova obbligazione di interessi, allaquale poi si somma a quella del giorno successivo e così via, finché non ha termine l’altruigodimento della somma di danaro 29.

È però possibile che colui il quale detenga il godimento del capitale si obblighi a cor-rispondere periodicamente al soggetto cui esso appartiene gli interessi già maturati (ovve-ro anche quelli ancora non maturati), procedendovi sulla scorta di una loro liquidazione: in

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28 Al momento è indifferente specificare se la consegna volontaria della somma di danaro ad altri sia reale ogiuridica nel senso di disponibilità della stessa concessa al terzo.29 Così DEVOTO, Le obbligazioni ad esecuzione continuata, Padova, 1943, che ricondotto il fenomeno del-l’esecuzione continuata o periodica nell’ambito dell’obbligazione (pag. 39 ss.), ritiene che nei contratti ad ese-cuzione periodica siano riscontrabili una pluralità di obbligazioni (le quali sorgerebbero ciascuna, volta pervolta) sorrette da una pluralità di cause (pag. 141).

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ogni caso non si è in presenza di un’estinzione di tante obbligazioni quanti sono i giornipresi a riferimento, ma di un adempimento parziale dell’unica obbligazione (accessoria) diinteressi 30, relativamente alla quale “la durata è elemento causale” 31.

È stato esattamente osservato che “non è, invece, essenziale la periodicità della cor -responsione degli interessi, distinguendosene, appunto, la maturazione dalla scadenza; eciò deve essere tenuto ben presente per risolvere quei problemi come quello della decor -renza del termine di prescrizione” 32 del diritto alla loro percezione.

Non è dato pertanto rinvenire nell’art. 821, comma 3°, Cod. Civ., un sia pur implicitoriconoscimento della capitalizzazione degli interessi: nella disposizione in commento, infat-ti, l’interesse, come frutto civile, è indissolubilmente ed unicamente collegato all’altrui godi-mento del capitale, di cui costituisce il corrispettivo, difettando una assimilazione dell’inte-resse maturato al capitale.

L’assimilare, ovvero l’estendere una disciplina tipica di un istituto ad un altro, è infattiun’operazione che si realizza unicamente sul terreno di un ragionamento logico-formale, inbase al quale il Legislatore consente il prodursi di effetti giuridici similari da parte di istitutidifferenti: tale aspetto appartiene pertanto al regime giuridico dell’istituto degli interessi, cheil nostro Legislatore ha trattato nel successivo Libro IV del codice civile.

Pur concorrendo gli articoli ricompresi nelle citate partizioni del codice civile alla defi-nizione complessiva dell’istituto degli interessi prodotti da un capitale, risultano del tuttodiverse le prospettive dalle quali muovono gli articoli che li disciplinano nel Libro III rispettoa quelle degli articoli che li contemplano nel Libro IV.

Laddove nel Libro III il Legislatore si è preoccupato, definendone l’oggetto, esclusiva-mente dei rapporti tra due patrimoni, quello del titolare del capitale e l’altro di chi ne ha ilmateriale o giuridico godimento temporaneo, individuando nell’assimilazione degli interes-si ai frutti naturali lo strumento per rimediare al momentaneo squilibrio, e fornendo, quindi,

30 La situazione non muta, allorquando le parti convengono oltre la corresponsione periodica degli interessimedio tempore maturati, anche la restituzione di una quota del capitale: se la somma dei due importi è costan-te (rata costante), si determinerà, mano a mano che si procede al pagamento, ad una diminuzione della quotariservata agli interessi, essendo calcolata sul capitale residuo rimasto ancora nella disponibilità dell’utilizzato-re, ed un aumento di quella imputabile alla restituzione del capitale. Nel gergo bancario questa situazione èdefinita come mutuo scalare, ovvero con sistema di ammortamento alla “francese”: si segnala al riguardo unainteressante sentenza del Tribunale di Bari, Sezione distaccata di Rutigliano, del 29 ottobre 2008, G.O.T. dott.Pietro Mastronardi, la quale ha affermato che siffatto sistema di ammortamento viola l’art. 1283, Cod. Civ.,applicabile anche al (contratto di) mutuo (così Cass.Sez. III civ., 20 febbraio 2003, n. 2593), in quanto “il meto -do comporta una restituzione degli interessi con una proporzione più elevata rispetto all’ammortamento unifor -me, in quanto contiene una formula di matematica attuariale, giusta la quale l’interesse applicato è quellocomposto e non già quello semplice”.31 Così MESSINEO, voce Contratto (dir. priv. - teoria generale), E.d.D., vol IX, Milano 1961, cap. 45.32 Cfr. QUADRI, op.loc.cit., pag. 530, lett. e).

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un criterio obiettivo per la quantificazione della relativa obbligazione, nel Libro IV, invece,viene disciplinato il loro regime giuridico, che non può prescindere dalla comparazione trala posizione giuridica del creditore e quella del debitore, tale da non frustrare la prima e nonaggravare ingiustificatamente la seconda.

5. Disciplina e peculiarità del rapporto giuridico dell’obbligazione accessoria diinteressi - La ratio dell’art. 1283, Cod. Civ.

La prospettiva dalla quale muovono gli articoli ricompresi nel Libro IV del codice civi-le non può quindi non tenere conto anche degli interessi che connotano le contrapposteposizioni giuridiche dei soggetti del rapporto obbligatorio: non è più in discussione il rappor-to tra due masse patrimoniali, o meglio non è solo su queste ultime che si devono interpre-tare le disposizioni relative al regime giuridico dell’obbligazione avente ad oggetto gli inte-ressi prodotti da un capitale, dovendo necessariamente trovare ingresso nell’attività erme-neutica anche gli interessi sottesi alle contrapposte posizioni giuridiche dei soggetti neces-sari del rapporto obbligatorio.

Questo ulteriore arricchimento della prospettiva determina la necessaria valutazionedella meritevolezza degli interessi dei soggetti del rapporto obbligatorio, la quale segna nonsolo il limite invalicabile, oltre il quale non può spingersi l’autonomia contrattuale, arg. exart. 1322, cpv., Cod. Civ., ma anche il criterio in base al quale operare la reductio ad aequi -tatem di quelle clausole che possono aggravare in modo non giustificato la posizione giuri-dica del debitore.

Elemento essenziale dell’obbligazione di interessi è la sua accessorietà rispetto aquella principale avente ad oggetto la restituzione del capitale: le due obbligazioni sonoavvinte tra loro da una dipendenza unica ed unidirezionale, nel senso che le nullità cheaffliggono il rapporto obbligatorio principale si propagano a quello accessorio, ma non vice-versa. Il collegamento negoziale che si determina tra le due obbligazioni è quindi di tipogenetico, nel senso che l’obbligazione accessoria di interessi sorge solo se ed in quantosussista quella principale, senza però dimenticare, per come già sopra esposto, che rispet-to a quest’ultima possiede un’ulteriore e specifica giustificazione causale rinvenibile nell’al-trui godimento del capitale, in assenza del quale essa non può venire a giuridica esistenza.

È pur vero, però, che non è sufficiente a generare l’obbligazione di interessi la merasussistenza di quella principale, essendo necessario ravvisare in quest’ultima i requisitiespressamente indicati nell’art. 1282, comma 1°, Cod. Civ..

Il piano delle riflessioni si sposta, pertanto, sulla disamina di quest’ultima disposizio-ne, che ricomprende al suo interno due profili ben delineati l’uno rispetto all’altro: mentre il

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primo, caratterizzato dalla proposizione “i crediti liquidi ed esigibili di somme di denaro pro -ducono interessi di pieno diritto,...”, attiene all’individuazione dei requisiti in presenza deiquali un’obbligazione pecuniaria, in sé e per sé considerata, può generare quella accesso-ria avente ad oggetto gli interessi, il secondo, ricompresso nella frase “salvo che la legge oil titolo stabiliscano diversamente” introduce un limite al principio dell’automaticità dellanascita del credito di interessi.

Si può osservare che il primo dei due profili sopra indicati introduce, accanto al godi-mento dell’altrui capitale, due ulteriori elementi che concorrono insieme a quest’ultimo allanascita dell’obbligazione (accessoria): la liquidità, intesa come ammontare determinato, oquanto meno determinabile del credito 33 e la sua esigibilità, intesa quale assenza di un ter-mine iniziale o di una condizione sospensiva che escludano l’immediato adempimento del-l’obbligazione principale da parte del debitore.

L’articolo 1282, comma 1°, Cod. Civ., evidenzia, quindi, che i requisiti della liquidità edell’esigibilità del credito, pur facendo parte integrante della disciplina (sia legale che con-venzionale) del rapporto obbligatorio principale, concorrono (anche) alla nascita dell’obbli-gazione accessoria di interessi che trova la propria giustificazione causale nell’altrui godi-mento del capitale.

Il riferimento alla causa dell’attribuzione degli interessi a chi si è (ovvero è stato) pri-vato del godimento del proprio capitale crea un collegamento necessario tra l’art. 1282,comma 1°, Cod. Civ., e l’art. 820, comma 3°, prima parte, Cod. Civ., che costituisce l’ossa-tura portante della disciplina (della nascita) dell’obbligazione accessoria di interessi.

Le considerazione che precedono devono essere però valutate alla luce della locuzio-ne “di pieno diritto”, che non solo denota l’automaticità (scilicet l’attrazione delle obbligazio-ni pecuniarie nell’ambito di applicazione del principio della mora ex re, arg. ex artt. 1182,comma 3°, e 1219, comma 2°, n. 3, Cod. Civ.) con la quale si produce l’effetto giuridico dellanascita dell’obbligazione accessoria di interessi (nella ricorrenza di entrambi requisiti dellaliquidità e della esigibilità), ma contraddistingue anche la potenziale ampiezza applicativa

33 Tra le innumerevoli sentenze che definiscono la nozione di liquidità del credito si riporta Cass. 29 novem-bre 2006, n. 25365, la cui massima così recita: “la liquidità del credito - e cioè la determinazione del suoammontare in una quantità definita o la sua determinabilità mediante meri calcoli aritmetici in base ad elemen -ti o criteri prestabiliti dal titolo o dalla legge - è una caratteristica oggettiva sulla quale non incide l’eventualecontestazione da parte del debitore, che attiene all’accertamento del credito stesso, non alla sua consisten -za. Pertanto un credito (nella specie da deposito su libretto bancario) fornito di tale caratteristica produce inte -ressi di pieno diritto, ai sensi dell’art. 1282 cc.”. La dottrina meno recente sembra però discostarsi dall’inse-gnamento sopra riportato, in quanto riconduce nell’ambito della liquidità anche il concetto di incontrovertibilitàdel credito: si esprime in tale senso Giorgianni, voce “Obbligazione (diritto privato)”, N. mo D.sto, Vol. XI, §25, pag. 604, secondo il quale “il concetto di “liquidità” del credito (vedi ad es., art. 1243 e 1282 C. Civ.) èdiverso da quello di “determinatezza” della prestazione. Esso indica la situazione del diritto del creditore, allor -ché sia incontroverso nel suo titolo oltre che determinato nella sua consistenza”.

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dell’art. 1282, comma 1°, prima parte, Cod. Civ., astrattamente riferibile a qualunque spe-cie di obbligazione pecuniaria, ivi inclusa quella (accessoria) di interessi.

Si comprende così la funzione esplicata dalla seconda parte dell’art. 1282, comma 1°,Cod. Civ., che con il richiamo al titolo e alla legge, introduce degli elementi idonei a delimi-tare la eccessiva ampiezza applicativa del principio sancito nella prima parte della disposi-zione in commento: il riferimento alla legge è indicativo della scelta del Legislatore del ‘42,che non ha inteso lasciare campo libero alla sola autonomia dei privati nella disapplicazio-ne del principio della produzione di diritto del (l’obbligazione avente ad oggetti) gli interes-si, nella consapevolezza che non sempre le parti si presentano in sede di trattative in unaposizione di parità 34.

Ben più incisiva per i temi qui affrontati è l’ipotesi in cui è la legge a fissare il limite all’ap-plicazione a particolari categorie di obbligazioni pecuniarie del principio della produzione dipieno diritto degli interessi, pur in presenza di un credito liquido ed esigibile: si richiamanol’art. 2033, Cod. Civ., che in tema di obbligazione (ex lege) nascente dall’indebito oggettivoin buona fede, fa decorrere (la nascita dell’obbligazione accessoria de)gli interessi non dalgiorno in cui è stato eseguito il pagamento non dovuto, ma da quello della domanda, e l’art.1207, comma 1°, Cod. Civ., secondo cui non sono più dovuti al creditore costituito in mora ifrutti della cosa che non siano stati percepiti dal debitore 3 5. In entrambi i casi si determina,per una scelta del Legislatore basata su ragioni di equità sostanziale, una scissione tra ladurata dell’altrui godimento del capitale e l’ammontare degli interessi dovuti, nel senso chela prima ha un’influenza più ridotta rispetto al principio di cui all’art. 820, comma 3°, Cod. Civ. ,nella determinazione del secondo: l’acquisto degli interessi non è più in ragione di tutta ladurata del godimento ma solo di una sua parte normativamente identificata.

A ben vedere il tratto comune delle ipotesi normative (di deroga al principio dell’art.1282, comma 1°, prima parte, Cod. Civ.) dianzi esposte deve essere rinvenuto più sul

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34 Si aggiunga a quanto detto nel testo, l’ulteriore considerazione che la produzione di pieno diritto degli inte-ressi rientra nel novero dei naturalia negotii, essendo necessaria un’espressa pattuizione che ne impediscala nascita: ne discende che l’onere della prova della sussistenza del patto che esclude l’obbligazione di inte-ressi grava sul debitore.3 5 Alcuni commentatori riportano accanto alle ipotesi riferite nel testo anche quella contemplata nell’ultimocomma dell’art. 506, Cod. Civ.: siffatta ipotesi differisce però dalle altre, in quanto prevede in sede di accet-tazione dell’eredità con beneficio di inventario, che curata la pubblicazione dell’invito ai creditori e ai legata-ri di cui non è noto né il domicilio né la residenza (art. 498, comma 3°, Cod. Civ.), “...è sospeso il decorsodegli interessi dei creditori chirografari. I creditori tuttavia hanno diritto, compiuta la liquidazione, al colloca -mento degli interessi sugli eventuali residui”. Si deve osservare che la sospensione del decorso degli inte-ressi non è ascrivibile nel novero delle fattispecie estintive del rapporto obbligatorio accessorio avente adoggetto gli interessi, in quanto non determina la immediata caducazione del correlativo diritto di credito,tant’é che il diritto si riespande in presenza di eventuali utili residuati alla liquidazione dell’asse ereditarioaccettato con beneficio di inventario.

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piano della quantificazione dell’ammontare degli interessi, che non su quello della nascitadella relativa obbligazione accessoria: la legge riconosce comunque il diritto alla percezio-ne degli interessi da parte del creditore, ma lo circoscrive, in base ad espressi riferimentitemporali, ad un arco di tempo di durata inferiore rispetto a quella dell’effettivo godimentodell’altrui capitale.

Possono essere aggregate (in quanto diversamente connotate rispetto) alle preceden-ti ipotesi normative di deroga al principio della produzione di pieno diritto degli interessi, lefattispecie rinvenibili nell’art. 1283, Cod. Civ., norma che, pur replicando il precedente art.1232, del Cod. Civ. 1865 36, assume un particolare rilievo, ove si consideri l’epocale rivolu-zione del codice civile del ‘42, il quale, rispetto a quello precedente, ha notevolmente ridot-to l’area (applicativa dell’istituto) della mora ex persona, in favore del correlato allargamen-to di quella ex re, nel cui ambito sono oggi ricompresse (anche) le obbligazioni pecuniarie(arg. in base al combinato disposto degli artt. 1182, comma 3° e 1219, n. 3, Cod. Civ.).

L’estensione del principio della mora ex re (anche) alle obbligazioni pecuniarie nonpoteva non ricomprendere, stante la comune natura giuridica, anche quelle aventi ad ogget-to gli interessi: in astratto, essendo quest’ultime (di per sé) liquide ed esigibili (arg. ex artt.820, comma 3°, e 1185, comma 1°, Cod. Civ.), sono potenzialmente in grado di generareun’ulteriore obbligazione di interessi, dalla quale, a sua volta, può nascere un’altra ancorae così via in una progressione infinita, che tende a somigliare al debito che un Faraone con-trasse per riconoscenza con chi gli aveva insegnato il gioco degli scacchi 37.

L’insegnamento del Libertini presenta, quindi, l’indubbio pregio di avere ravvisato nel-l’art. 1283, Cod. Civ., un argine contro la infinita proliferazione di obbligazioni di interessiche sarebbe derivata da un’applicazione dell’art. 1282, comma 1°, prima parte, Cod. Civ.,del tutto indiscriminata in assenza di (necessarie ed opportune) limitazioni.

36 “Gl’interessi scaduti possono produrre altri interessi o nella tassa legale in forza di giudiziale domanda edal giorno di questa, o nella misura che verrà pattuita in forza di una convenzione posteriore alla scadenzadei medesimi”.Nelle materie commerciali l’interesse degl’interessi è inoltre regolato dagli usi e dalle consuetudini.L’interesse convenzionale o legale d’interessi scaduti per debiti civili non comincia a decorrere, se non quan -do trattasi d’interessi dovuti per una annata intera, salvo però riguardo alle casse di risparmio od altri similiistituti quanto fosse altrimenti stabilito dai rispettivi loro regolamenti.”37 Narra la legenda che l’astuto insegnante disse al Faraone: “metta un chicco di grano sul primo quadratodi quella scacchiera... e raddoppi fino in fondo per i sessantaquattro quadrati della scacchiera stessa, e io saròpiù contento se la Maestà Vostra vorrà regalarmi quel ponticello di grano che troverà sull’ultimo quadrato. IlFaraone dette in una gran risata, lodando la modestia di quella domanda, ma la risata gli rientrò in gola a pre -cipizio, quando, fatta la prova, si accorse che tutto il grano del suo vasto impero non sarebbe bastato a sal -dare il debito con quell’arcifanfano di giovanotto”. La legenda, tratta da Renato Fucini, Il ciuco di melesecche,rinvenibile al sito <http://liberliber.it/biblioteca/f/fucini/il_ciuco_di_melesecche/pdf/il_ciu_p.pdf>, pag. 13, narrache il Faraone non onorò il debito, ma, in compenso, nominò l’astuto insegnante primo dei suoi ministri, ammi-randone la sagacia e l’acuto intelletto.

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6. La scomposizione dell’art. 1283, Cod. Civ.: l’inciso iniziale, l’anatocismo con-venzionale e quello giudiziale, la chiosa finale - Le correlazioni ed interazioni tra lediverse componenti dell’articolo

Se per un verso è stata così individuata la funzione assegnata dal Legislatore all’art.1283 Cod. Civ., per altro verso non è stato sondato il come essa venga assolta dalla dispo-sizione in commento, specie a fronte della sua complessa struttura costituita, per come giàanticipato sopra, da una parte - l’inciso iniziale “in mancanza di usi contrari” - derogatoria,o meglio solo parzialmente derogatoria della seconda, la quale, a sua volta, include nonsolo le due fattispecie che consentono la deroga al divieto di anatocismo, ma anche la chio-sa finale “... e sempre che si tratti di interessi dovuti almeno per sei mesi”.

L’inciso iniziale è stato studiato dalla dottrina posta dalla Cassazione a fondamentodelle proprie sentenze della primavera del 1999, in una prospettiva pseudostorica, in quan-to se ne è limitata l’indagine alla sola fonte secondaria dell’uso normativo 38, dimenticandodi considerare due aspetti di assoluto rilievo per l’esatto inquadramento della materia del-l’anatocismo.

In primo luogo la dottrina qui avversata non ha segnalato che, vigente l’art. 1232, codi-ce civile del 1865, le deroghe al divieto di capitalizzazione degli interessi trovavano il lorofondamento in una molteplicità di fonti, rinvenibili quanto alle materie commerciali negli usie nelle consuetudini e quanto al settore creditizio nei regolamenti delle casse di risparmioe di altri simili istituti 39.

Il Legislatore del ‘42, consapevole di siffatta molteplicità ha allineato l’efficacia dero-gatoria dell’art. 1282, Cod. Civ., al livello più basso della gerarchia delle fonti, l’uso (arg. exart. 1, disp.prel. al Cod. Civ.), consentendo quindi, sia pure implicitamente, a quelle inter-medie, quali i regolamenti, pari efficacia derogatoria; opinando diversamente si perverreb-be all’assurda conclusione che l’effetto derogatorio di una norma primaria può essere con-temporaneamente riconosciuto a quelle fonti che occupano il gradino più basso della gerar-chia e negato a quelle intermedie.

L’attenzione degli studiosi che hanno disconosciuto la natura normativa al relativo usocontemplante la capitalizzazione trimestrale degli interessi bancari si è però concentrata

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38 Si rinvia al contenuto della nota 5. 39 Il testo dell’art. 1232, Cod. Civ. 1865, recitava: “Gli interessi scaduti possono produrre altri interessi o nella tassa legale in forza di giudiziale domanda e dal gior -no di questa, o nella misura che verrà pattuita in forza di una convenzione posteriore alla scadenza dei medesimi.Nelle materie commerciali l’interesse degl’interessi è inoltre regolato dagli usi e dalle consuetudini.L’interesse convenzionale o legale d’interessi scaduti per debiti civili non comincia a decorrere, se non quan -do trattasi d’interessi dovuti per una annata intera, salvo però riguardo alle casse di risparmio ed altrisimili istituti quando fosse altrimenti stabilito dai rispettivi loro regolamenti”.

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esclusivamente sulla ricerca degli elementi idonei ad escludere il requisito della opinio juris,obliterando del tutto di considerare al riguardo la disamina della disciplina normativa dell’at-tività creditizia, sia anteriore che successiva al ‘42.

Con riferimento alla disciplina anteriore al ‘42, parte della quale è venuta meno solo aseguito dell’entrata in vigore del d.P.R. n. 385/93 40, si richiamano:

- gli artt. 240 e 242 del Decreto luogotenenziale 23 marzo 1919, n. 1058 41, cheespressamente prevedono il primo che “gli interessi sia attivi che passivi sui conti correntisi liquidano, di regola, a semestri maturati, e scadono il 1º luglio e il 1º gennaio di ogni anno”ed il secondo che “gli interessi liquidati in fine di ogni semestre sulle somme in conto cor -rente sono portati in aumento al capitale in conto nuovo”;

- l’art. 6 del R.D.L. 3 marzo 1927, n. 296 42, in base al quale “gli interessi sui depositiin effetti pubblici o in numerario sono liquidati a semestri maturati con scadenza al 1º gen -naio e al 1º luglio di ogni anno, quando il capitale nominale o effettivo di detti depositi supe -ri le lire 10.000”;

- anche se avente riguardo ai soli interessi attivi, gli artt. 25 del R.D. 14 giugno 1928,n. 1309, recante disposizioni in merito all’”Ordinamento del servizio dei conti correnti eassegni postali” e 116 del R.D. 27 febbraio 1936, n. 645;

- ancora con riferimento ai servizi postali, si rammenta il R.D. 8 maggio 1933, n. 841,intitolato “Approvazione del regolamento di contabilità per i servizi e dei telegrafi”, il cui art.181, penultimo comma, prevede che nel raffronto tra la contabilità di fatto, determinata sullascorta dei documenti e dei riepiloghi affluiti dalle province presso il servizio centrale, e quel-la di diritto, costituita dal riepilogo generale dei libretti in circolazione, deve essere esegui-ta la “previa liquidazione e capitalizzazione degli interessi relativi”.

Si aggiungano a tali riferimenti normativi quelli minuziosamente esposti nella sentenzadel Tribunale civile di Ragusa, G.U. dott. Vincenzo Saito, del 27 aprile 2005, inedita, riferi-menti che “estesero l’anatocismo a settori affini a quello creditizio (casse di risparmio posta -li e cassa depositi e prestiti: art. 2 r.d. 1677/22, art. 24 l. 453/13, art. 6 d.l. 296/27); poi la cir -colare della Confederazione Generale Bancaria Fascista n. 30/2045 del 7.1.1929 (il cui alle -

40 L’articolo 161, include un elenco alquanto nutrito di intere leggi e di singole norme abrogate che sarebbesin troppo lungo riportare, alcune delle quali citate nel infra nel testo. Si indicherà nelle correlative nota la lorointervenuta abrogazione. Degna di essere sottolineata è la previsione di cui al sesto comma della disposizio-ne in commento, secondo cui i contratti già conclusi... alla data di entrata in vigore del d.Lgs. n. 385/93 resta-no regolati dalle norme anteriori. 4 1 in Gazz. Uff., 22 settembre 1919, n. 228). “ Approvazione del regolamento per la esecuzione del libro I edella parte I del libro II del t.u. delle leggi sulla Cassa depositi e prestiti e gestioni annesse, approvato conr.d. 2 gennaio 1913, n. 453”42 Intitolato: “Modificazioni al servizio dei depositi amministrativi dalla cassa dei depositi e prestiti e pubblica -to (in Gazz. Uff., 16 marzo, n. 62)”.

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gato era il “Testo delle norme che regolano i conti correnti di corrispondenza”) previde lacapitalizzazione trimestrale degli interessi passivi; nello stesso anno vennero raccolte lenorme contrattuali bancarie sulla disciplina trimestrale dei conti correnti di corrispondenza; lamanualistica di tecnica bancaria dei primi decenni del ‘900 contemplò la generale chiusuratrimestrale dei c/c (già menzionata da Cass. 9.5.1927 n. 1682); nonché in varie raccolte delleCamere di Commercio (ai sensi degli artt. 34, 39, 40, r.d. 2011/34 e dell’art. 2 d.leg. 315/44)”.

Tali riferimenti attinti da diverse fonti normative evidenziano che la chiusura periodicadei conti, con conseguente liquidazione degli interessi bancari sia attivi che passivi, era fun-zionalmente coordinata ad un’attività, quella di vigilanza sugli enti creditizi, di chiara impron-ta pubblicistica, periodicamente esercitata dai competenti organismi ispettivi: da qui la scel-ta del semestre come periodo da prendere a riferimento per la predisposizione dei rendi-conti e delle relazioni di accompagnamento. È emblematico al riguardo l’art. 29, comma I,R.D. 5 febbraio 1931, n. 225, 43, il quale disponeva che “la vigilanza sugli istituti è esercita -ta dal ministero dell’agricoltura e delle foreste per mezzo dell’esame delle situazioni seme -strali dei conti, dei rendiconti annuali e degli altri documenti prescritti dal presente regola -mento,...”; analoga disciplina era prevista nella legislazione relativa ai Monti di credito supegno 44 e, più in generale dall’art. art. 177, del codice di commercio, per tutte le societàaventi per oggetto l’esercizio del credito 45.

La stessa legge bancaria del 7 marzo 1938, n. 141 (vigente sino alla data di entratain vigore del d.Lgs. n. 385/93), prevedeva, del resto, all’art. 31, comma 1°, che “le azien -de sottoposte alle disposizioni del presente titolo sono tenute a trasmettere all’ispettorato,nei modi e nei termini da esso stabiliti, le situazioni periodiche ed i bilanci, nonché ognialtro dato richiesto” 4 6.

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43 Il Regio decreto 5 febbraio 1931, n. 225 (in Gazz. Uff., 21 marzo, n. 66) era intitolato: “Approvazione delregolamento per l’esecuzione del testo unico delle leggi sull’ordinamento delle casse di risparmio e dei montidi pietà di prima categoria”. È stato però abrogato per intero dall’art. 161 del D.L.vo 1 settembre 1993, n. 385.44 L’articolo 25 del R.D 25 maggio 1939, n. 1279 (in Gazz. Uff., 8 settembre, n. 210), intitolato “Attuazionedella Legge 10 maggio 1938-XVI, n. 745, sull’ordinamento dei monti di credito su pegno”, disponeva che: “Imonti devono compilare, alla fine di ogni semestre, una situazione dei conti. Quella del 31 dicembre deve con -tenere le risultanze del conto patrimoniale, dei depositi, degli impieghi, delle rendite, delle spese, del movi -mento dei pegni e di ogni altro conto dell’azienda.Con provvedimento del capo dell’ispettorato sono stabiliti i modelli a cui devono essere conformate le situa -zioni semestrali, le quali devono essere certificate conformi alla verità, con dichiarazione sottoscritta dal pre -sidente del consiglio di amministrazione, dai sindaci, dal direttore e dal ragioniere del monte”. È stato peròespressamente abrogato dall’art. 161 del d.L.vo 1 settembre 1993, n. 385.45 L’articolo in commento prevedeva l’obbligo per le società in esame di presentare presso il Tribunale di com-mercio nei primi otto giorni di ogni mese un modello indicante la situazione patrimoniale del mese preceden-te, debitamente sottoscritto da almeno un amministratore ed un sindaco, che dovevano asseverare la corri-spondenza dei dati esposti alla effettiva situazione contabile.46 La norma è stata espressamente abrogata dall’art. 161 del d.L.vo 1 settembre 1993, n. 385.

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Un espresso riferimento all’anatocismo era inoltre contenuto in molti degli statuti dellepiù importanti banche di interesse nazionale 4 7, alcuni peraltro adottati molto tempo dopo l’en-trata in vigore dell’attuale codice civile, tra le quali si citano quelli del Credito Italiano, chedisponeva all’art. 5, cpv., 4 8: “salvo diversa richiesta della Banca o patto contrario, l’interessenella misura previamente determinata correrà, in deroga eventualmente al disposto del codi -ce civile, anche per le operazioni per qualsiasi ragione non rinnovate a scadenza o proroga -te e gli interessi comunque dovuti saranno produttivi di interesse nella misura applicata alc a p i t a l e” e della Banca Commerciale Italiana, approvato con D.C.Gov. 7 ottobre 1936 4 9.

Il riferimento delle previsioni statutarie bancarie alla capitalizzazione deve essere con-siderato nella sua oggettività, a prescindere dal valore che si vuole attribuire ad esse, anchese l’ultimo comma dell’art. 1232, Cod. Civ. 1865, ne riconosceva la piena efficacia deroga-toria: vigente la vecchia legge bancaria, la giurisprudenza era incerta se attribuire o menoforza normativa 50, sia pure di rango secondario, alle disposizioni (incidenti sulla disciplinadelle singole operazioni bancarie) contenute negli statuti degli istituti di credito di diritto pub-blico, forza talvolta affermata 51 e, talaltra, negata 52. Oscillazione frutto di quel dibattito chesi era registrato in dottrina sul (più ampio) tema sulla forza degli statuti delle banche di dirit-to pubblico, con riferimento ai quali alcuni insigni autori sostenevano “che le disposizioni in

47 L’articolo 27 della legge 7 marzo 1938, n. 141, prevedeva che “gli statuti degli istituti di credito di dirittopubblico e delle banche di interesse nazionale sono approvati con decreto del capo del governo, su propostadel comitato dei ministri, sentito il comitato tecnico corporativo del credito”.48 Lo statuto del Credito Italiano venne approvato con D.C.Gov. 7 ottobre 1936; quindi successivamentemodificato con dd.MM. 7 maggio 1939; 21 marzo 1941; 24 agosto 1942; 31 ottobre 1945; 26 dicembre 1945;22 giugno 1946; 27 aprile 1949; 3 maggio 1958; 15 maggio 1959; legge 8 maggio 1966, n. 424.49 Lo statuto della Banca Commerciale Italiana venne successivamente modificato con dd.MM. 5 maggio1949; 4 maggio 1959; 16 giugno 1966.50 I termini forza e valore connotano la famosa impostazione assunta dallo ZANOBINI per determinare lagerarchia delle fonti. Si rimanda per ulteriori approfondimenti a due suoi testi: Gerarchia e parità tra le fonti,in Studi in onore di Santi Romano, I, Padova, 1939, 587 e ss., ora in Scritti vari di diritto pubblico, Milano,1959. Per una disamina più recedente sul problema della gerarchia delle fonti, MODUGNO F., voce Fonti deldiritto (gerarchia delle), Enc. dir., Milano 1997, aggiornamento Vol. I.51 Così: Cass. 14 febbraio 1935, in B.B.T.C., 1935, II, 193; Cass. 12 maggio 1937, ivi, 1938, II, 1; Cass. 22gennaio 1953, n. 157; Cass. 23 giugno 1953, n. 1907, ivi, 1953, II, 251; App. Napoli, 9 giugno 1951, ivi, 1951,II, 286; Trib. Trieste, 26 aprile 1952, ivi, 1952, II, 210. “Un superamento di questo indirizzo si può già scorge -re nella sentenza Cass. 23 giugno 1953, ivi, 1953, II, 251, che, pur confermando la cit. decisione della CorteNapoletana, ha stabilito che la efficacia delle norme statutarie, che impongono al correntista l’obbligo di con -testare per iscritto ed in un certo termine le risultanze degli estratti conto, non dipende dalla natura di leggemateriale propria delle stesse norme, ma deriva dalla stessa legge bancaria (art. 32, lett. g.) Viene quindimeno la stessa ratio degli artt. 1341 e 1342 Cod. Civ., e cioè quella di assicurare una contrattualità effettivaee non soltanto formale nei contratti per adesione; per clausole siffatte, conseguentemente, non solo nonnecessita l’approvazione scritta, ma la norma di legge dalla quale esse derivano deve essere osservata anchein mancanza di clausola” così V. De Martino, voce Le operazioni bancarie in generale, in Enciclopedia dellaBanca e della Borsa, Roma/Milano 1967, vol. II, pag. 11, nota 57.52 Così Cass. 23 febbraio 1965, n. 302, in Riv. dir. comm., 1965, II, 354; Cass. 19 giugno 1972, n. 1927, inB.B.T.C., 1973, II, 10.

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essi contenute possono derogare alle norme di diritto comune, anche a quelle inderogabilida clausole contrattuali” 53, mentre altri, all’opposto, ne negavano la possibilità “di dettareprincipi che contraddicono a quelli posti inderogabilmente dalla legge” 54.

Questo dibattito si era poi giocoforza esteso anche agli usi bancari, la cui obbligato-rietà nei confronti della clientela non veniva allora revocata in dubbio, a condizione cheessi non fossero contrari alle leggi scritte commerciali ovvero ai principi e alle norme diordine pubblico e di buon costume 5 5. La scarsa giurisprudenza reperita al riguardo dissol-veva la nozione di “obbligatorietà” in quella di “conoscibilità” da parte del cliente bancariodell’esistenza di siffatti usi, conoscibilità resa anche astrattamente possibile solo se, ed inquanto, fosse stata data alle norme consuetudinarie una sufficiente pubblicità da partedella banca 5 6.

Maisano, in linea con la sua impostazione di fondo contraria alla tendenza del dirittobancario ad astrarsi dai principi di diritto comune, osservava che “il legislatore del ‘42 nonsi è proposto affatto l’obiettivo di tutelare la clientela bancaria. Secondo alcuno ciò si spie -gherebbe considerando che ai compilatori del codice civile del ‘42 la materia dei contrattibancari appariva soggetta a regolamentazione amministrativa: essi infatti avevano di certoben presenti sia l’art. 32, lett. B) e C) della legge bancaria, sia la delibera adottata all’indo -mani della emanazione della legge bancaria dall’allora comitato ministeriale per il credito,che aveva sancito la generale vincolatività del cartello concordato dalle maggiori banche,instaurando così un regime di prezzi amministrati” 57.

La capitalizzazione degli interessi bancari è peraltro rinvenibile in talune disposizio-ni successive all’entrata in vigore del Codice civile del ‘42, afferenti sia il più generaleambito della legge n. 154/92 5 8 e delle correlative (e molteplici) Istruzioni della Banca

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53 così RUBINO, Determinatezza e determinabilità del credito garantito nella costituzione di pegno, in Banca,borsa e tit. di credito, 1952, II, p. 479; CAMMEO, Corso di diritto amministrativo, Padova, 1914, I, pp.479; IlMESSINEO, Manuale di diritto civile, vol III, pag. 36, §§ 8, include nel diritto bancario obiettivo anche gli sta-tuti bancari approvati con decreto ministeriale.54 MOLLE, La banca nell’ordinamento giuridico italiano, Milano, 1987, pag. 169; in senso conforme però conriferimento esteso a tutti gli enti pubblici: ZANOBINI, Corso di diritto amministrativo, Milano, 1954, I, p. 96;VITTA, Diritto amministrativo, Milano, 1954; BODDA, Sulla potestà normativa delle regioni secondo la nuovacostituzione, in Nuova Rassegna, 1948, pag. 614; RAVÀ, Gli statuti degli enti pubblici, Milano, 1936; pagg.193-194; ROMANO S., Corso di diritto amministrativo, Padova, 1930, I, pag. 59.55 GRECO, Corso di diritto bancario, Padova 1936, pagg. 5 e segg..56 Così Trib. Milano, 14 novembre 1931, in Riv. Dir. Comm., 1932, II, pag. 123; App. Bologna 14 febbraio1930, in Temi Emil., 1930, pag. 86; App. Milano 12 gennaio 1927, in Mon. Trib., 1927, pag. 182.57 MAISANO, op.loc.cit., Milano 1993, pag. 3.58 L’articolo 8 prevede l’obbligo per le Banche di fornire periodicamente, e comunque almeno un volta all’an-no, ai propri Clienti “...una completa e chiara informazione sui tassi di interesse applicati nel corso del rappor -to, sulla decorrenza delle valute, sulla capitalizzazione degli interessi....”.

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d’Italia 5 9, che quelli più specifici delle discipline dei buoni postali fruttiferi 6 0 e dei finanzia-menti pubblici erogati in conto interessi 6 1.

Risulta così del tutto sconfessata, proprio sul piano di quella ricostruzione storica del-l’istituto dell’anatocismo bancario dalla quale avrebbe voluto attingere la propria forza, ladottrina presa a riferimento dalle sentenze della Cassazione della primavera del 1999. Leprevisioni normative, tanto quelle richiamate nel testo che le altre riportate nelle correlativenote, siano esse anteriori ovvero successive al Codice civile del 1942, presentano un’uni-ca ratio individuabile nella funzione espletata dalla chiusura periodica dei conti e dalla con-seguenzale liquidazione degli interessi ai fini dell’esercizio dell’attività di controllo dell’atti-vità bancaria da parte degli organi preposti.

Il fine della tutela del risparmio non può che radicare alla base (anche) l’opinio jurisatque necessitatis dell’uso della capitalizzazione, al quale conseguentemente deve esserericonosciuta una valenza normativa.

Ne consegue che il vulnus alla derogabilità dell’art. 1283, Cod. Civ., da parte dell’usocontemplante l’anatocismo bancario non può essere inferto sulla scorta di incerte ed incom-plete ricostruzioni storiche degli elementi caratterizzanti la sua natura normativa, ma devefare leva su ben più consistenti argomenti sostanziali che devono necessariamente attinge-re la propria forza dall’imprescindibile richiamo alle categorie generali del diritto.

Prima di passare alla disamina della seconda parte dell’art. 1283, Cod. Civ., è benechiarire che i termini “anatocismo” o “capitalizzazione degli interessi” indicano entrambi un

59 Si richiamano al riguardo:- Istruzioni della Banca d’Italia (G.U.R.I. 30/5/1992, n. 126), emesse in attuazione della legge 17 febbraio1992, n. 154, e del decreto del Ministro del tesoro del 24 aprile 1992, in materia di trasparenza delle opera-zioni e dei servizi bancari e finanziari, che all’Allegato 1, prevedono l’obbligo per le Banche di indicare la perio -dicità della capitalizzazione;- Istruzioni della Banca d’Italia (in G.U.R.I. del 29 maggio 1996, n. 124, contenenti il 1° Aggiornamento del 20maggio 1996 alla circolare n. 163 del 29 maggio 1992 concernente le istruzioni applicative in materia di tra-sparenza delle operazioni e dei servizi finanziari, nel disciplinare la forma, il contenuto e le modalità della pub-blicità, alla cui osservanza sono tenute le Banche in merito alle caratteristiche dei servizi e delle operazioniprestate, prevedono che “i tassi d’interesse sono indicati al valore nominale e sono riportati su base annua,con indicazione della periodicità di capitalizzazione”;- La Sezione IV delle precitate Istruzioni della Banca d’Italia prevede, inoltre, che le Banche includano nelleproprie Comunicazioni periodiche alla clientela, anche “una... completa e chiara informazione.... sulla capita -lizzazione degli interessi...” (così § 1).60 Sono molteplici i Decreti Ministeriali che prevedono che la capitalizzazione degli interessi sui buoni posta-li fruttiferi venga effettuata annualmente, al lordo dell’imposta sostitutiva. Si richiamano i DD.MM. 7/12/1998,n. 1292500, in G.U.R.I. 9/12/1998 n. 287; 16/12/1998, n. 1319100, in G.U.R.I. 20/12/1999 n. 297; 19/12/2000,n. 1355800, in G.U.R.I. 27/12/2000 n. 300, 24/12/1997; n. 1788200 in G.U.R.I 31/12/1997 n. 303; 26/2/1999,n. 195300 in G.U.R.I 1/3/1999 n. 49, 27/11/1996, n. 10119000 in G.U.R.I 30/11/1996 n. 281.61 Il D.M. 12/3/1990, n. 374200, in G.U.R.I 16/6/1990 n. 139, dettato in tema di credito peschereccio di eser-cizio, prevede, con riferimento ai prestiti ammessi al concorso pubblico nel pagamento degli interessi, all’art.10, ult. comma, che “la capitalizzazione degli interessi avviene, qualunque sia la forma tecnica di erogazione,in ragione di anno civile”.

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effetto, non solo contabile ma anche e soprattutto giuridico, conseguente ad un mutamen-to del titolo dell’obbligazione (accessoria) di interessi: la produzione di interessi sugli inte-ressi non è mai automatica, essendo comunque necessaria la presenza di un atto giuridi-co (in senso stretto) che determini (quella che al momento indichiamo in modo meramentedescrittivo) una trasformazione giuridica dell’obbligazione accessoria di interessi, a seguitodella quale quest’ultima acquista la capacità di generare, a sua volta, un’ulteriore obbliga-zione accessoria 62.

La produzione di interessi, pertanto, da semplice effetto giuridico geneticamente con-nesso al godimento che altri abbia del capitale diviene, in virtù di un mutamento del propriotitolo, causa (nel senso di fonte) di un’ulteriore obbligazione avente ad oggetto (la produzio-ne de)gli interessi anatocistici: si determina così la nascita di una nuova obbligazione dop-piamente ed ulteriormente accessoria, soggetta alle vicende giuridiche tanto di quella prin-cipale che di quella accessoria, ma che, a sua volta, non influenza la sorte di quest’ultimané, tanto meno, della prima.

La precisazione ha un’indubbia valenza pratica, ove si consideri che mentre la nullitàdell’obbligazione principale travolge sia l’obbligazione accessoria di interessi che quelladoppiamente ed ulteriormente accessoria avente ad oggetto la capitalizzazione di questiultimi, la nullità parziale di quest’ultima non libera il debitore dall’obbligazione accessoria dicorrispondere al creditore i soli interessi semplici (e quindi al netto della capitalizzazione).

La seconda parte dell’art. 1283, Cod. Civ., pone in un unico ambito normativo due ipo-tesi, che, pur accomunate dallo stesso effetto giuridico, scilicet la produzione di interessisugli interessi già scaduti, sono tra loro ben differenti quanto a ratio e quindi a presupposti:nel caso del c.d. anatocismo giudiziale è indefettibile la proposizione di una specificadomanda giudiziale, mentre alla base del c.d. anatocismo volontario si rinviene l’accordo trail creditore ed il debitore consacrato in una convenzione necessariamente posteriore allascadenza degli interessi.

La r a t i o dell’anatocismo giudiziale deve essere ricercata nel principio secondo il qualeil tempo del giudizio non deve essere di nocumento a chi agisce 6 3, principio oggi formalmen-

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62 Un autore dei primi del ‘900 definì l’anatocismo bancario una “conversione degli interessi in debito di capi -tale allo scopo di provocare la decorrenza di nuovi interessi sulla somma per tale titolo dovuta”, così G.C.MESSA, L’obbligazione degli interessi e le sue fonti, Milano, 1911, p. 101. Il riferimento è tratto da G.M. SAN-TUCCI, Riflessioni sulla nuova derogabilità del divieto di anatocismo, in Giur. comm., 2001, parte II, pp. 191-192, ed ivi, in particolare, nota 8.63 FEDELA A., Appunti in tema di anatocismo giudiziale, in Riv. dir. comm., 1952, I, p. 41 e segg.. L’articolo1283, Cod. Civ., riprende sul punto il testo dell’art. 1232, Codice civile 1865 (Cfr. testo precedente nota 36),che a sua volta si rifaceva alla tradizione dei codici civili del XIX secolo, quali il codice Francese (art. 1154) eper quelli preunitari, il Codice Albertino (art. 1245) e quello Estense (art. 1204).

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te costituzionalizzato con il nuovo testo dell’art. 111, comma 2°, seconda parte, Cost. 6 4, chedenota la sua duplice valenza di interesse pubblico dello Stato Comunità al raggiungimentodella massima efficienza nell’erogazione del servizio giustizia e di diritto fondamentale delsingolo alla effettività della tutela giurisdizionale (arg. e x art. 24, comma 1°, Cost.): si aff i a n-cano alle norme di rango costituzionale altre norme di rango inferiore che contribuiscono alr a fforzamento della tutela della posizione giuridica di chi agisce nel giudizio civile, tra le qualisi segnalano quelle che disciplinano il decorso della prescrizione durante il processo 6 5.

Perché si possa determinare l’anatocismo giudiziale occorre in primo luogo che essovenga invocato da chi vi ha interesse con una specifica ed espressa domanda 66, connes-sa a quella di condanna al pagamento degli interessi, ed in secondo luogo che sia stataaccolta dal giudice.

Ne consegue che l’anatocismo giudiziale trova il suo presupposto nella domanda e la suafonte nell’accertamento contenuto nella sentenza che l’ha accolta: quest’ultima, in realtà, nelsostituirsi al rapporto giuridico dedotto in giudizio, lo estingue divenendo, pertanto, l’unica fonteche regolerà i rapporti tra le parti in causa: lo si desume dai principi in tema di giudicato sostan-ziale e di decorso della prescrizione dell’azione da esso discendente (art. 2953, Cod. Civ. ) .

Con questa chiave di lettura appare mal posta la questione se l’anatocismo giudizia-le contempli solo l’ipotesi nella quale il credito dedotto in giudizio sia già liquido, ovveropossa abbracciare anche quella in cui il credito è illiquido, essendo necessario perché sidetermini il suo esatto ammontare l’intervento del giudice: in realtà, ragioni di equità indu-cono a ritenere che, retroagendo gli effetti della sentenza alla data della domanda giudizia-le, la produzione di interessi sugli interessi possa ammettersi anche quando si chiede lacondanna al pagamento di un credito illiquido, in deroga al principio di cui all’art. 1282,comma 1°, prima parte, Cod. Civ..

La nascita dell’obbligazione doppiamente ed ulteriormente accessoria avente adoggetto gli interessi sugli interessi già scaduti è pertanto una conseguenza tipica previstadalla legge nella ricorrenza dei due presupposti sopra individuati, che si integrano neces-sariamente tra loro per determinare tale effetto, dovendosi escludere che l’uno autonoma-mente dall’altro possa conseguire da solo un tale risultato.

64 L’articolo 111, Cost., è stato modificato dall’art. 1, della legge costituzionale n. 2 del 23 novembre 1999,con l’introduzione del principio della ragionevole durata del processo.6 5 L’articolo 2945, comma 2°, Cod. Civ., prevede l’interruzione del decorso della prescrizione a seguitodella notifica di un atto con il quale si inizia un giudizio (sia di cognizione ovvero conservativo o esecutivo,arg. e x art. 2943, comma 1°, Cod. Civ.), che permane sino al momento in cui passa in giudicato la senten-za che lo ha definito.66 Cfr. ex multis: C. Conti reg. Campania, sez. giurisd., 08 agosto 2006, n. 1559; Cassazione civile, sez. I, 31marzo 2006, n. 7696; Cassazione civile, sez. trib., 08 marzo 2006, n. 4935.

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Del tutto diverso rispetto a quello giudiziale è l’anatocismo convenzionale, così defi-nito in quanto è il frutto di uno specifico accordo tra il creditore ed il debitore, avente adoggetto solo ed unicamente gli interessi già scaduti: anche se non espressamente indi-cato dalla disposizione in commento si deve ritenere che la forma di tale convenzioneanatocistica, incidendo sulla misura effettiva del tasso debitore, non può che essere scrit-ta, pena la comminatoria della nullità e x art. 1284, comma 3°, Cod. Civ. 6 7, salvo che iltasso effettivo degli interessi, pur applicandosi la capitalizzazione, rimanga al di sottodella soglia legale.

L’anatocismo convenzionale trova un precedente nel più volte citato art. 1232, Cod.Civ. del 1865, caratterizzato da una locuzione 68 sostanzialmente equiparabile a quella del-l’attuale art. 1283, Cod. Civ., ma differente rispetto alle analoghe (per materia) disposizionipresenti in taluni codici preunitari, quali:

- il Codice Albertino, che all’art. 1245, comma 2°, recitava: “Possono bensì gli interes -si scaduti produrre interessi quando o per sostituzione all’antico debito di un altro debi -to di specie diversa, ovvero per mutazione della persona del debitore, o del creditore, gliinteressi assumono la natura di capitale”;

- il Codice Estense, che all’art. 1204, comma 1°, prevedeva che “Gli interessi legitti -mamente dovuti sopra capitali fruttiferi, certi in quantità, e dovuti almeno per un anno inte -ro, possono essere ridotti in capitale produttivo di nuovi frutti, mediante un nuovocontratto, il quale estinguerà intieramente le ragioni competenti al creditore in forzadel precedente contratto pei frutti convertiti in capitale”.

Il riferimento ai codici preunitari costituisce un importante indizio circa la natura giuri-dica della convenzione avente ad oggetto gli interessi già scaduti, di cui all’art. 1283, Cod.Civ.: i riferimenti alla sostituzione dell’antico debito con un altro di specie diversa denotanocome alla radice della convenzione anatocistica si possa rinvenire una vicenda estintivadell’originaria obbligazione di interessi, al posto della quale sorge una nuova.

Sia il Codice Albertino che quello Estense disvelano all’interprete che la produzione diinteressi sugli interessi è in realtà l’effetto giuridico di una novazione oggettiva dell’obbliga-zione accessoria di interessi, mercé la quale a questi ultimi, purché scaduti, si sostituisceun’altra, di pari importo, avente ad oggetto la restituzione di un capitale.

Certo non è facile scorgere la convenienza per il debitore a sottoscrivere una conven-zione anatocistica, che finisce con l’aggravare la sua posizione: in realtà gli interessi essen-do già scaduti, per il combinato disposto degli artt. 1182, comma 3° e 1219, n. 3, Cod. Civ.,

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67 Così, LIBERTINI, op.loc.cit., § 31.68 Per il testo dell’art. 1232, Cod. Civ. del 1865, si rimanda alla precedente nota 36.

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sono anche immediatamente esigibili; conseguentemente l’accordo tra il creditore ed ildebitore consente a quest’ultimo di procrastinarne nel tempo il pagamento.

Gli interessi già scaduti devono, quindi, essere considerati come un (nuovo) capitale,che, sommandosi a quello originariamente dovuto, concorre a produrre con quest’ultimoulteriori interessi: l’attribuzione convenzionale della natura di capitale agli interessi già sca-duti ha refluenze in merito all’applicazione dell’art. 1194, Cod. Civ., in quanto il pagamentoeseguito dopo la stipula della convenzione anatocistica non potrà più essere preliminar-mente imputato agli interessi (già scaduti) oggetto dell’accordo, ma a quelli ulteriori.

Ne consegue mercé (l’artificio del) la novazione oggettiva dell’obbligazione di interes-si in obbligazione di capitale che si determina una dilazione del pagamento degli interessigià scaduti: in tal senso l’art. 1283, Cod. Civ., costituisce nella parte de qua un’eccezioneal principio di cui all’art. 1231, Cod. Civ., secondo il quale le modifiche di una modalitàaccessoria dell’obbligazione, quali “....l’apposizione o l’eliminazione di un termine non pro -ducono novazione”. Al contrario, nell’ambito dell’obbligazione accessoria avente ad ogget-to gli interessi già scaduti la dilazione del loro pagamento costituisce la modifica di una suamodalità essenziale, tale da determinarne la sostituzione con una di pari importo avente aoggetto un nuovo capitale.

L’assunzione della natura di obbligazione di restituzione del capitale da parte diquella avente ad oggetto gli interessi determina altresì l’applicazione del termine decen-nale della prescrizione ordinaria, in luogo di quello quinquennale previsto dall’art. 2948,n. 4, Cod. Civ. .

Le considerazioni che precedono consentono di meglio percepire la fondatezza del-l’affermazione che vede nell’”anatocismo convenzionale una specifica modalità di estinzio -ne dell’obbligazione accessoria di interessi diversa dall’adempimento” 69.

Il sottolineare la natura di novazione oggettiva rivestita dalla convenzione anatocisti-ca presenta un ulteriore risvolto pratico, individuabile nella necessità che la volontà diestinguere l’obbligazione precedente deve risultare in modo non equivoco (arg. e x a r t .1230, cpv., Cod. Civ.) 7 0: ne consegue la necessaria bilateralità dell’accordo, anche quan-do l’obbligazione principale scaturisca da un negozio unilaterale 7 1 e la consequenzialeimpossibilità che l’effetto novativo venga rimesso alla volontà di una sola delle parti delrapporto obbligatorio.

69 Così MARINETTI G., voce Interessi (diritto civile), in Nss.D.I., Vol. VIII, p. 879 e ss..7 0 “L’ i m p o r t a n z a . . .” dell’art. 1231 Cod. Civ. risiede nella sottolineatura della “... insufficienza della volontà diret -ta a novare (il cosiddetto animus novandi) quando manchi una obiettiva modifica o la modalità abbia caratterea c c e s s o r i o”. Così RESCIGNO P., voce Novazione (diritto civile), i n N s s . D . I ., Vol. XI, p. 436, § 9, col. 2.71 Cosi MARINETTI G., op.loc.cit., p. 879, prima colonna.

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Contrariamente a quanto sostenuto dall’autorevole dottrina citata nelle ultime due noteindicate nel testo 72, si ritiene che possono costituire oggetto della convenziona anatocisti-ca, oltre gli interessi corrispettivi anche quelli moratori, assunta la riconduzione di entram-be le tipologie nella categoria dei frutti civili più sopra illustrata.

“Quanto alla convenzione, la legge richiede che essa sia posteriore alla scadenzadegli interessi e ciò allo scopo di impedire che il creditore ne imponga la stipulazione comeconditio sine qua non per la concessione del mutuo...” 73, di tal ché non può avere cittadi-nanza nel nostro ordinamento un accordo tra il creditore ed il debitore relativo alla produ-zione di interessi sugli interessi preventivo alla loro scadenza.

L’espressa previsione normativa della necessità che la convenzione anatocistica siasempre e comunque successiva alla scadenza degli interessi è giustificabile non solo inbase al favor debitoris che ispira l’intera disposizione in commento, ma anche, e soprattut-to, perché risulta del tutto inammissibile sul piano concettuale, ancor prima che giuridico,che una vicenda estintiva, come la novazione, possa contemplare un’obbligazione nonancora venuta a giuridica esistenza, pur avendo predicato un’autorevole dottrina l’ammis-sibilità della novazione di un’obbligazione futura 74, ritenendo l’art. 1234, comma 1°, Cod.Civ., applicabile alla sola novazione commutativa e non anche a quella aleatoria 75. Tale tesi,

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7 2 “Il negozio estintivo interviene necessariamente... dopo il sorgere dell’obbligazione e prima della sua sca -denza. Esso può essere riferito tanto agli interessi legali quanto agli interessi negoziali, ma, salvo pattoespresso, non può ritenersi compreso nella previsione negoziale. Così, estinto l’obbligo di corrispondere gliinteressi corrispettivi o compensativi in dipendenza della obbligazione di capitale per effetto di convenzioneo di rinuncia, il negozio deve intendersi avere il suo termine di riferimento finale nella mora: da questomomento decorrono sul credito gli interessi moratori”. Così MARINETTI G., stesso riferimento di cui alle pre-cedenti note 69 e 71.73 Così MONTEL A., voce Anatocismo, in Nss.D.I., Vol. I, Tomo 1, p. 614, col. 2.74 Qualche autore ammette in realtà la novazione di un’obbligazione futura. “In tale ipotesi, la fattispecienovativa di un rapporto futuro non potrà produrre l’effetto estintivo, ma in virtù del consenso novativo l’obbli -gazione al suo sorgere si estinguerà automaticamente, consentendo ad un tempo il consolidamento o la pro -duzione dell’effetto costitutivo, cioè della nascita dell’obbligazione destinata a sostituirsi alla prima, nata perestinguersi. La struttura di una tale fattispecie negoziale è analoga alla struttura dei negozi su beni futuri. Sitratterà di negozio legalmente condizionato e ad effetti tipici parzialmente sospesi”. Così PERLINGERI P.,Modi di estinzione delle obbligazioni diversi dall’adempimento, Bologna, 1975, p. 139, che richiama nella nota2 oltre il proprio saggio Negozi su beni futuri, p. 152 e ss., p. 168 e ss., per i profili concernenti la novazionecondizionale “lo studio giovanile di Allara (Riv. dir. civ., 1926, 313 e segg.”.75 PERLINGERI, op.loc.cit., pag. 137 e ss. ritiene che l’art. 1234, comma 1°, Cod. Civ., si riferisca solo allac.d. novazione commutativa, assumendo a fondamento di tale sua opinione il principio di cui all’art. 1472,Cod. Civ., (vendita di cose future), il cui secondo comma sanziona con la nullità la vendita, se la cosa nonviene ad esistenza, salvo che le parti non abbiano voluto concludere un contratto aleatorio. L’Autore ritiene(passim pag. 138) pertanto che “la futurità e l’incertezza dell’esistenza del rapporto da estinguere possonoquindi tramutare la funzione estintiva della fattispecie, da commutativa in aleatoria... L’accordo novativo restavalido anche se tende a sostituire un’obbligazione nuova ad un’obbligazione originaria, la cui esistenza è sog -gettivamente incerta, purché la parti abbiano assunto consapevolmente l’alea dell’esistenza, considerandocomunque valida la costituzione della nuova obbligazione o, viceversa, l’estinzione dell’obbligazione origina -ria (a prescindere dalla sua effettiva esistenza)”.

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però, non convince, in quanto risulta fondata su un’interpretazione che, limitando l’applica-zione dell’art. 1234, comma 1°, Cod. Civ., alla sola novazione commutativa, dimentica chequest’ultimo rappresenta l’applicazione di specie del più generale principio di cui all’art.1418, comma 2°, Cod. Civ., che per le modalità con le quali è formulato non ammette ecce-zioni, salvo che non vi sia un’espressa previsione di legge.

Anche se si dovesse ritenere aleatoria la nascita della futura obbligazione, la circo-stanza che quest’ultima non è più sorta refluisce comunque sulla (sussistenza della) stes-sa novazione, la cui operatività è in ogni caso necessariamente connessa ad una obbliga-zione già esistente: in altri termini risulta del tutto illogico ritenere che si possa estinguereun rapporto giuridico ancor prima che esso venga a giuridica esistenza 76.

I tre profili dell’art. 1283, Cod. Civ., individuati nell’inciso iniziale, nell’anatocismo giu-diziale ed in quello convenzionale, devono essere ora raccordati e coordinati con il quartoinerente la chiosa finale “... e sempre che si tratti di interessi dovuti almeno per sei mesi.”,oggetto di della rilevante innovazione rispetto al precedente art. 1232, Cod. Civ. 1865, indi-viduabile nella contrazione del periodo minimo necessario al verificarsi della capitalizzazio-ne degli interessi da un anno a sei mesi, che il Legislatore del ‘42 giustifica nella relazionesul progetto ministeriale al codice civile, osservando che “... il valore odierno della monetaconsente di ritenere che con l’importo di un semestre di interessi si può costituire unasomma rilevante che il creditore potrebbe utilizzare come capitale. La riduzione perciò noncomporta il pericolo d’usura”.

L’indagine della parte terminale dell’art. 1283, Cod. Civ., deve procedere su due diret-trici: da un lato, va identificata la funzione che la chiosa finale assolve rispetto alle due formedi anatocismo contemplate nella norma in commento e, dall’altro, se (ed eventualmente inquali termini) la fonte secondaria di cui all’inciso iniziale possa derogare anche la previsionenormativa del semestre come unità temporale minima perché gli interessi possano a lorovolta produrre altri interessi e la necessità che si tratti comunque di interessi (già) dovuti.

L’indagine sin qui svolta ha evidenziato come gli interessi anatocistici siano in realtàl’oggetto di un’obbligazione doppiamente ed ulteriormente accessoria, geneticamente col-legata o ad una statuizione del giudice ovvero ad un accordo novativo tra il debitore ed ilcreditore: in entrambe le ipotesi all’originaria obbligazione accessoria di interessi si sostitui-

76 Si deve osservare, del resto, che la novazione costituisce uno dei modi di estinzione dell’obbligazionediversi dall’adempimento. In quanto tale essa rappresenta un’evenienza che si deve collocare necessaria-mente, al pari dell’adempimento, in un momento necessariamente successivo e distinto rispetto a quello incui sorge l’obbligazione. Alterare questa distinzione significa creare un artificio giuridico del tutto superfluo,non avendo senso il ritenere che un’obbligazione non ancora sorta sia comunque destinata, ancor prima dinascere, ad essere sostituita da una nuova.

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sce un’altra, mercé la quale questi ultimi concorrono con l’originario capitale a produrre aloro volta ulteriori interessi.

Nell’anatocismo giudiziale la chiosa finale dell’art. 1283, Cod. Civ., impedisce che ilgiudice accolga una domanda giudiziale avente ad oggetto interessi già scaduti relativi adun arco di tempo inferiore al semestre: in tal senso si determina una limitazione al principiotendenzialmente espansivo di cui all’art. 24, Cost..

Nell’anatocismo convenzionale l’(ulteriore) attribuzione patrimoniale in favore del cre-ditore ed il correlativo depauperamento (del patrimonio) del debitore, costituisce un’estrin-secazione dell’autonomia contrattuale di cui godono le parti per costituire, regolare o estin-guere tra loro un rapporto giuridico nei limiti imposti dalla legge (art. 1322, Cod. Civ.).

In tal senso la chiosa finale dell’art. 1283, Cod. Civ., rappresenta uno dei limiti impo-sti dalla legge all’autonomia contrattuale delle parti, rivolto a circoscrivere quest’ultima allor-quando si tratti di dare corpo ad accordi tra il debitore ed il creditore aventi ad oggetto inte-ressi scaduti relativi ad un periodo inferiore al semestre.

La chiosa finale dell’art. 1283, prevede, però, un ulteriore limite alla operatività dell’a-natocismo sia giudiziale che convenzionale, nel senso che oggetto della nuova obbligazio-ne non possono che essere gli interessi (già) dovuti: la riconduzione degli interessi nelnovero dei frutti civili e l’assunzione alla base di questi ultimi del principio dell’acquisto coti -die, condensato nel termine maturazione, denotano che con l’uso del participio passato delverbo dovere il Codice intende riferirsi agli interessi già maturati che siano quindi già ingrado di assolvere la funzione di corrispettivo del godimento da parte di altri del capitale.

Non è pertanto possibile contemplare tanto nell’ambito della anatocismo giudizialeche di quello convenzionale, rispettivamente o una domanda o un accordo finalizzati adeterminare la produzione di interessi con riferimento ad interessi non ancora scaduti,anche se essi facciano riferimento ad un periodo di durata pari o superiore al semestre.

Ne consegue che di tutto l’art. 1283, Cod. Civ., la parte che nella enunciazione liber-tiniana condiziona effettivamente e più incisivamente la causa dell’obbligazione di interessideve essere individuata proprio nella chiosa finale in commento.

Quest’ultima, a differenza degli artt. 2033 e 1207, Cod. Civ., che influiscono sullaquantificazione della prestazione accessoria avente ad oggetto gli interessi, detta un pre-ciso limite o alla tutela giurisdizionale o all’autonomia privata, influenzando direttamente lafattispecie generativa dell’obbligazione secondariamente ed ulteriormente accessoria,avente ad oggetto gli interessi degli interessi: si spiega così la ragione del perché piùsopra si è affermato che l’art. 1283, Cod. Civ., costituisce un’ipotesi aggregata a quellepreviste nei citati artt. 2033 e 1207.

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Il riferimento alla legge, di cui alla seconda parte dell’art. 1282, comma 1°, Cod. Civ.,assume così un duplice rilievo: con riferimento agli artt. 2033 e 1207, Cod. Civ., condizional’ammontare della prestazione (accessoria) avente ad oggetto gli interessi, mentre nellachiosa dell’art. 1283, Cod. Civ. costituisce un limite inderogabile alla capacità dell’obbliga-zione di interessi di generare un’ulteriore obbligazione di interessi.

L’uso dell’aggettivo inderogabile consente di spostare l’indagine sulla seconda delledue direttrici di indagine, quella concernente se (ed eventualmente in quali termini) la fontesecondaria di cui all’inciso iniziale possa derogare anche la previsione normativa delsemestre come unità temporale minima perché gli interessi possano a loro volta produrrealtri interessi.

Si è sostenuto da parte di alcuni autori che la portata (volutamente) generica dell’inci-so iniziale comporterebbe quale conseguenza la derogabilità dell’intero art. 1283, Cod. Civ.,da parte degli usi normativi 77. L’argomentazione presenta però un vizio di fondo inelimina-bile: il rapporto tra norma derogata e norma derogante è assimilabile a quello intercorrentetra il genus, nel caso in esame il principio di ordine generale, e la species, ravvisabile nellanorma particolare che deroga al primo.

Quest’ultima, a differenza del primo, deve avere un contenuto necessariamente det-tagliato, proprio perché deve indicare i presupposti in virtù dei (ed i limiti entro i) quali è giu-ridicamente ammissibile la deroga del principio generale 78.

L’anzidetto è ancor più vero, ove il principio generale sancisca un limite all’esercizio diun diritto: il superamento di detto limite è possibile, a patto che la norma derogante indivi-dui esattamente le condizioni nella cui ricorrenza l’ordinamento giuridico consente la dero-ga: in altri termini, mentre il principio può essere espresso in termini essenzialmente gene-rici, la deroga deve sempre e comunque essere formulata in termini tipici e specifici 79. Secosì non fosse il principio generale non avrebbe più ragione di esistere, potendo qualunquenorma secondaria e dal contenuto generico derogarlo incondizionatamente.

7 7 L I B E RTINI M., op. loc.cit., § 31, sostiene che “è da ritenere che, essendo il rinvio agli usi formulato in termi -ni generali, in questo caso non valga neanche il limite minimo dei sei mesi”. L’Autore richiama nella nota corre-lata al brano riportato in corsivo BALOSSINI, Consuetudini, usi, pratiche, regole del costume, Milano, 1958, 715.7 8 C f r. BALOSSINI, voce Usi (teoria degli), i n N.mo D.I., vol., pag. 204, col I, il quale richiama il brano di un pro-prio precedente lavoro, Consuetudini, usi, pratiche, regole del costume, Milano, 1958, p. 461, qui di seguito ripor-tato: “Non potendo trattarsi di una disciplina veramente diversa rispetto a quella stabilita dalle leggi e dai rego -lamenti (perché allora nessun confronto sarebbe più possibile), dovrà trattarsi di un rapporto da species agenus, e cioè senza contrasto tra quella e questo, ma con uno sviluppo interno, come approssimativamente sipuò concepire tracciando centri concentrici minori (species) dentro un cerchio maggiore (genus). Fuori di metafo -ra, ai fini di fissare l’ambito di validità degli usi, si può e si deve (mancando di alternative) paragonare la discipli -na dettata dalle leggi e dai regolamenti a quella dettata dagli usi, e considerare le materie come “non regolate”qualora gli usi contengano norme più specifiche di quelle contenute nelle leggi e nei regolamenti”.79 Cfr. BALOSSINI, op.loc.cit., e testo riportato nella nota 78.

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La genericità dell’inciso iniziale dell’art. 1283, Cod. Civ., non può quindi essere utiliz-zata come argomentazione che giustifichi l’indiscriminata disapplicazione delle limitazionialla produzione degli interessi sugli interessi.

Si osservi al riguardo che rispetto all’inciso iniziale dell’attuale art. 1283 le derogheall’art. 1252, Cod. Civ. 1865, erano molto più dettagliate e circostanziate, precisando ilsecondo comma che “nella materie commerciali l’interesse degl’interessi è inoltre regolatodagli usi e dalla consuetudine” e facendo salve l’ultima parte del terzo comma le disposi-zioni dettate al riguardo dai regolamenti “...delle casse di risparmio ed altri simili istituti...”.

Del resto se si ravvisa, per come è indubbio che sia, nella chiosa finale dell’art. 1283,Cod. Civ., una limitazione all’esercizio di un diritto, sia nelle forme della tutela giurisdizionaleche in quelle dell’autonomia privata, dovremmo ritenere ammissibile che una fonte seconda-ria possa derogavi e ritenere conseguentemente che, in presenza di un uso normativo con-templante la capitalizzazione di interessi infrasemestrali, il giudice possa condannare il con-venuto al loro pagamento ovvero le parti ne possono fare oggetto di uno specifico accordo.

Ravvisato nel divieto di accordo tra le parti avente ad oggetto gli interessi già scadutiafferenti un periodo infrasemestrale un espresso limite alla loro autonomia contrattualeimposto dalla legge ex art. 1322, Cod. Civ., sarebbe del tutto incoerente ritenere che lo stes-so limite possa essere poi derogato da una norma di rango inferiore, peraltro priva delnecessario contenuto di specificità che deve contraddistinguere la disposizione deroganterispetto a quella derogata. Ad identiche conclusioni si perviene esaminando il rinvio allalegge formulato dall’art. 1282, comma 1°, seconda parte, Cod. Civ., che nel disattivare l’ap-plicazione della prima, fa specifico riferimento (oltre che al titolo) alla legge.

Ne consegue che la chiosa finale dell’art. 1283, Cod. Civ., costruisce il vero limiteall’indiscriminata applicazione dell’art. 1282, comma 1°, prima parte, anche all’obbligazionedi interessi, che non può essere derogata dall’uso contemplato (scilcet dalla fonte secon-daria) nell’inciso iniziale dell’art. 1283, Cod. Civ..

Se pertanto risulta del tutto inammissibile che una norma di rango inferiore possaderogare l’art. 1283, Cod. Civ., prevedendo una capitalizzazione infrasemestrale, a maggiorragione si deve sostenere l’inderogabilità della norma primaria citata in presenza di unafonte secondaria che addirittura ometta di indicare l’estensione del periodo al termine delquale gli interessi possono a loro volta produrre altri interessi 80.

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80 In senso contrario al testo, Cass. civ., Sez. I, 30 maggio 1989, n. 2644, secondo cui l’art. 1283, Cod. Civ.“sottintendendo un principio generale di divieto di anatocismo...., come emerge dalla tassatività delle ipotesidi deroga introdotte dall’espressione “gli interessi scaduti possono produrre interessi solo.....”, disciplina inpositivo le ipotesi in cui l’anatocismo viene consentito”, nella ricorrenza o di una convenzione posteriore allascadenza dei primi interessi (prima condizione) ovvero, in alternativa, alla formulazione di un’espressa

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Va del pari contrastato, in quanto risulta del tutto privo di fondamento giuridico, quel-l’orientamento giurisprudenziale che vorrebbe trarre dall’art. 1284, comma 1°, Cod. Civ.,secondo cui “il saggio degli interessi legali è determinato in misura pari al... per cento inragione d’anno.....” argomenti per sostenere la legittimità della capitalizzazione annuale 81.

Alcuni giudici di merito, infatti, hanno ravvisato in tale norma l’affermazione del princi-pio della cadenza annuale e x l e g e degli interessi, ammettendo, di conseguenza, la sostitu-zione della capitalizzazione trimestrale, la cui clausola è affetta da nullità per violazione del-l’art. 1283, Cod. Civ., con quella annuale. Essi, però, finiscono con lo scambiare la sempliceespressione matematica del saggio degli interessi rapportata all’anno con la trasformazionegiuridica degli interessi in capitale, nei limiti in cui è consentita dall’art. 1283, Cod. Civ. .

Si è visto sopra come l’art. 820, comma 3°, Cod. Civ., individui negli interessi il corri-spettivo maturato per l’altrui godimento di un capitale protrattosi per un certo tempo: essicostituiscono quindi l’espressione di un dato numerico, costituito da una percentuale dellasomma di denaro, rapportata ad un’unità convenzionale temporale, che può essere l’anno,il semestre, il quadrimestre, il trimestre o il mese, necessaria per determinare la misura del-l’acquisto cotidie, di cui all’art. 821, ult. comma, Cod. Civ. 82.

La sostituzione della capitalizzazione trimestrale con quella annuale viene giustificatadalla giurisprudenza qui osteggiata anche in base alla considerazione che in tal modo si eli-mina quella disparità tra la posizione della Banca e quella del Cliente, attesa la cadenzaannuale con la quale quest’ultimo percepisce gli interessi sui propri depositi.

Si contrappone, però, a tale orientamento giurisprudenziale, quello, anch’esso riferibile aigiudici di merito, che esclude la sostituzione del(la clausola che preveda) la capitalizzazione tri-

domanda giudiziale (seconda condizione) e che si tratti, comunque, di interessi per almeno sei mesi (terzacondizione). È pur vero, secondo la sentenza in commento, che mentre le prime due condizioni “vengonosemplicemente elencate...”, la terza “...viene introdotta con l’espressione “e sempre che si tratti di interessidovuti....”; la diversa espressione, però, ha un preciso significato, sol che si rilevi la situazione di alter nativitàtra di loro delle...” due prime e tra loro alternative condizioni di derogabilità del divieto di anatocismo, mentrela terza “...estende la sua efficacia sia all’ipotesi in cui l’anatocismo si radichi in base a domanda giudiziale,sia che esso trovi fondamento in pattuizione convenzionale..... Se questo è il significato della norma fonda -mentale espressa dall’articolo in esame, la disposizione introduttiva dell’articolo, consentendo una maggiorepermissività dell’anatocismo in presenza di usi contrari ha..... incidenza derogativa rispetto a tutte le condizio -ni successivamente elencate e già esaminate e, tra esse, anche rispetto a quella del limite temporale minimodella capitalizzazione degli interessi. In sostanza, accanto all’anatocismo convenzionale e a quello giudiziale,la legge ammette l’anatocismo fondato sugli usi, facendo così salva la disciplina dell’abrogato Codice diCommercio. Poiché il rinvio agli usi è formulato in termini generali, devesi ritenere che in questo caso nonvalga neppure il limite dei sei mesi”. 81 Si segnalano: Tribunale Trani, 26 marzo 2008, n. 387; Tribunale di Civitavecchia, 5 novembre 2007;Tribunale Trapani, 24 gennaio 2007; Tribunale di Lecce, 30 maggio 2005; Tribunale di Roma, 3 giugno 2004.82 La maturazione giorno dopo giorno dell’interesse viene definita dietim: si perviene utilizzando la formula“C x i/360”, dove “C” è il capitale iniziale, “i” indica il tasso di interesse periodale, in genere tasso unitarioannuo, ma può essere semestrale, quadrimestrale, trimestrale e mensile, e “360” il numero dei giorni dell’an-no (180 se l’interesse periodale è semestrale, 120 se è quadrimestrale, 90 se è trimestrale e 30 se mensile).

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mestrale con quella annuale: “non vi è.... alcuna possibilità di sostituzione legale o di inserzioneautomatica di clausole prevedenti capitalizzazioni di diversa periodicità, in quanto l’anatocismoè consentito dal sistema con norma eccezionale e derogatoria (cfr. le citate Sezioni Unite dellaCassazione) soltanto in presenza di determinate condizioni (quelle di cui di cui all’art, 1283 Cod.C i v.), in mancanza delle quali esso rimane giuridicamente non pattuito tra le stesse” 8 3.

Il passo della motivazione appena riferita si pone nel solco di quella corrente di pen-siero, che riconosce all’obbligazione di interessi una specialità rispetto al (genus del)leobbligazioni pecuniarie.

L’orientamento giurisprudenziale che riconosce la specialità dell’obbligazione di inte-ressi si pone del resto nell’autorevole solco tracciato dalle Sezioni Unite della Cassazione 8 4,che hanno affermato: “Il debito di interessi pur concretandosi nel pagamento di una sommadi denaro, non si configura come una obbligazione pecuniaria qualsiasi, ma presenta conno -tati specifici, sia per il carattere di accessorietà rispetto all’obbligazione relativa al capitale,sia per la funzione (genericamente remuneratoria) che gli interessi rivestono, sia per la disci -plina prevista dalla legge proprio in relazione agli interessi scaduti. (...) Invero gli interessiscaduti, se equiparati in toto ad una qualsiasi obbligazione pecuniaria (credito liquido ed esi -gibile di una somma di denaro), sarebbero stati automaticamente produttivi d’interessi dipieno diritto, ai sensi dell’art. 1282 cod. civile. Tale effetto, invece, è escluso dal successivoart. 1283 (dettato a tutela del debitore ed applicabile per ogni specie d’interessi, quindi ancheper gli interessi moratori), alla stregua del quale, in mancanza di usi contrari, gli interessi sca -duti possono produrre interessi solo dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di con -venzione posteriore alla loro scadenza, e sempre che si tratti di interessi dovuti almeno persei mesi (cd. anatocismo o interessi composti). La citata disposizione non comporta soltan -to un limite al principio generale di cui all’art. 1282 Cod. Civ., ma vale anche a rimarcare laparticolare natura che, nel quadro delle obbligazioni pecuniarie, la legge attribuisce al debi -to per interessi, con la previsione di una disciplina specifica, che si pone come derogatoriarispetto a quella generale in tema di danni nelle obbligazioni pecuniarie, stabilita dall’art.

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83 Così Tribunale di Napoli, Sez. III, 19 dicembre 2004; la sentenza della Cassazione a S.U. citata in motiva-zione è la n. 9653 del 17 luglio 2001; ancora in senso conforme alla prima: App. Milano 4 aprile 2003, n. 1142,App. Torino 21 gennaio 2002 in www.adusbef.it, Trib. Brindisi 13 maggio 2002 in Foro.It., 2002, I, 1887; cfr.anche A.TANZA, che nella nota alla sentenza del Tribunale di Trani, Sezione promiscua, dott. Binetti,, 9dicembre 2004, pubblicata su Altalex del 21 dicembre 2004, che a proposito del c.d. “anatocismo equitativo”,afferma che “... a livello normativo non vi è nulla che possa giustificare l’assurda conversione dell’anatocismotrimestrale in quello annuale”, sulla scorta dell’art. 1284, Cod. Civ., norma che secondo l’A. “...consacra inmateria di misurazione degli interessi la loro quantificazione in ragione di anno.... Ciò significa, solo edesclusivamente, che il tasso di interesse è normalmente sempre rapportato all’anno e quindi parlare ad esem -pio parlare ad esempio del 2% quadrimestrale è come parlare del 6% annuale”.84 Così Cass. S.U. n. 9653 del 17 luglio 2001.

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1224 cod. civile, e che proprio per il suo carattere di specialità deve prevalere su quest’ulti -ma norma. (...). Se così non fosse, del resto, l’art. 1224 Cod. Civ. verrebbe ad assorbire tuttoil campo applicativo dell’art. 1283, che resterebbe circoscritto ai casi in cui il debito per inte -ressi è quantificato all’atto della proposizione della domanda. Ma una simile limitazione del -l’ambito applicativo del citato art. 1283 Cod. Civ. non emerge da tale norma e viene anzi aporsi con essa in contrasto, perché trascura la peculiare natura del debito per interessi soprasegnalata ed elude, almeno in parte, la finalità di tutela per la posizione del debitore che lanorma ha previsto stabilendo in quali casi e con quali presupposti gli interessi scaduti pos -sono essere produttivi di altri interessi. (...). Conclusivamente, il debito per interessi (anchequando sia stata adempiuta l’obbligazione principale) non si configura come una qualsiasiobbligazione pecuniaria, dalla quale derivi il diritto agli ulteriori interessi dalla mora nonchéal risarcimento del maggior danno ex art. 1224 comma II Cod. Civ., ma resta soggetto allaregola dell’anatocismo di cui all’art. 1283 Cod. Civ., derogabile soltanto dagli usi contrari edapplicabile a tutte le obbligazioni aventi ad oggetto originario il pagamento di una somma didenaro sulla quale spettino interessi di qualsiasi natura” .

Un ulteriore argomento che pregiudica la fondatezza dell’orientamento giurisprudenzialeche ammette la sostituzione della (clausola che contempla la) capitalizzazione trimestrale conquella annuale è il ritenere del tutto scontato che alla chiusura periodica dei conti, e quindi allaliquidazione (anche) degli interessi consegua automaticamente la loro capitalizzazione 8 5.

Un acuto Autore ha affermato che “uno è la produzione di nuovi interessi da parte degliinteressi già scaduti (anatocismo) ed altro è l’annotazione degli interessi sul conto corren -te bancario (con la conseguente produzione di interessi, non già da parte dei vecchi inte -ressi, bensì in relazione al saldo dello stesso conto)” 86.

8 5 L’errata percezione della capitalizzazione degli interessi (sia a debito che a credito del cliente) come c o n s e -guenza automatica della chiusura periodica dei conti correnti, (o contabilizzazione periodica) può essere signi-ficativamente riscontrata in Trib. Civitavecchia 5 novembre 2007, ove si legge: “non può negarsi che costitui -sca fatto notorio la circostanza che, nella generalità dei contratti di conto corrente bancario stipulati tra gli isti -tuti di credito e la clientela, siano sempre state inserite clausole che hanno indirettamente previsto la periodicacapitalizzazione degli interessi (in genere in epoca antecedente al 1999, trimestrale per gli interessi debitori eannuale per quelli creditori), come conseguenza della diversa periodica chiusura contabile annuale dei conticreditori e quella trimestrale dei conti anche saltuariamente debitori, con il conseguente accredito o addebitodegli interessi con la stessa periodicità prevista per la chiusura contabile. Tali clausole, ove si ritenesse l’insus -sistenza di un uso normativo atto a derogare al disposto dell’art. 1283 Cod. Civ., dovrebbero ritenersi tutte affet -te da nullità (anche quelle che comportano la capitalizzazione annuale degli interessi creditori a favore del clien -te), non venendo all’evidenza in considerazione né una domanda giudiziale né una convenzione posteriore allascadenza degli interessi, per l’evidente ragione che la stipulazione del contratto di conto corrente (contenentele clausole relative alla periodica chiusura contabile del conto con la conseguente capitalizzazione degli inte -ressi) precede il maturarsi degli interessi stessi, che è conseguenza dello svolgersi del rapporto”. 86 Così G. CABRAS, La capitalizzazione degli interessi nel conto corrente bancario: l’equivoco della sined -doche, in Giur. comm., 2000, parte I, p. 348 e ss. ed in particolare p. 356.

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Occorre pertanto ripartire da quest’ultima considerazione, per verificare in che terminisi possa eventualmente parlare di anatocismo nell’ambito del conto corrente bancario.

7. Il conto corrente bancario e la rappresentazione contabile della disponibilità:distinzione tra la contabilizzazione degli interessi e la loro capitalizzazione

Il dibattito sull’anatocismo bancario può ingenerare nel lettore la sensazione che,almeno in linea tendenziale, si sia sviluppato per buona parte lungo direttrici che il più dellevolte risultano svincolate non solo dai principi generali della materia del(l’obbligazioneavente ad oggetto) gli interessi prodotti da un capitale, ma anche dallo specifico rapportocontrattuale nel quale trova la propria fonte la capitalizzazione degli interessi: il conto cor-rente bancario detto anche conto corrente di corrispondenza, contratto non espressamen-te disciplinato dal Codice civile 87.

Con un “linguaggio che può apparire grezzo, ma che in realtà riflette,..., un intento cor -rettissimo: quello di non dare, davanti a fenomeni di cui il Legislatore percepiva la profon -da novità, qualificazioni giuridiche, ma di disciplinarne comportamenti (si pensi ad esempioall’espressione: “...l’accreditato può utilizzare in una o più volte il credito “, art. 1843, comma1, Cod. Civ.” 88..., che è poi del tutto funzionale alla consolidata tendenza delle Banche a(pre)determinare i contenuti contrattuali “proposti” alla clientela, ha definito all’art. 1842,Cod. Civ., l’apertura di credito bancario, come quel “... contratto con il quale la banca diobbliga a tenere a disposizione dell’altra parte una somma di danaro per un dato periododi tempo o a tempo determinato”.

L’obbligo della banca di tenere a disposizione dell’altra parte una somma di denaroviene poi sintetizzato nel successivo art. 1843, Cod. Civ., con la locuzione “utilizzazione delcredito”, dove quest’ultimo termine va interpretato nella sua accezione tecnico-bancaria diprestito e non anche in quella giuridica correlata al diritto 89.

Esorbita dai limiti del presente lavoro dare conto del travaglio dottrinale cui ha datoluogo la natura giuridica del conto corrente bancario, ora qualificato come contratto tipico,

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87 La capitalizzazione degli interessi è pure presente nel contratto di mutuo bancario, dove il mancato paga-mento di una rata scaduta, determina anche per la parte di quest’ultima includente gli interessi corrispettivi, ildiritto della Banca a percepire gli interessi moratori.88 Così FERRO-LUZZI, Una nuova fattispecie giurisprudenziale: “l’anatocismo bancario”; postulati e conse -guenze, in Giur. comm., 2001, parte I, p. 10.8 9 La c.d. d i s p o n i b i l i t à di cui gode il correntista non può costituire in alcun modo un suo diritto di credito neiconfronti della Banca, per come insegna quel filone giurisprudenziale che ne ha negato la sua pignorabilità e xartt. 543 e segg., cod. proc. civ., da parte del creditore del correntista stesso, per il quale si indicano e x m u l t i s:Corte di Appello di Torino 23 ottobre 2002, in Foro it., 2003, I, 3154, o anche in Contratti (I), 2003, 812; Tr i b u n a l eRoma 20 ottobre 1997, in Giust. civ., 1998, I, con nota di L. COSSIGNANI, Impugnabilità dei versamenti inconto per ridurre il saldo passivo, i n Giust. civ., 1998, 12, 3265; Pretura Monza (ord.) 3 marzo 1989, in Foro it.,1990, I, 1408, con nota di G. COSTANTINO; Trib. Milano 20 ottobre 1987, in G i u r. it., 1998, I, 2, 512.

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ora come contratto innominato misto 90, ora come un’ipotesi di collegamento negoziale, oraricondotto nell’alveo del conto corrente ordinario, di cui agli artt. 1823 - 1833, Cod. Civ. 91.

La scarna disciplina che il codice dedica tanto al deposito bancario (artt. 1834-1838)quanto all’apertura di credito bancario (artt. 1852-1857, Cod. Civ.), assume un valore mera-mente integrativo di quella figura contrattuale che la prassi bancaria, ancor prima delCodice civile del ‘42, aveva già elaborato, definendola conto corrente bancario (o ancheconto corrente di corrispondenza), nel quale confluiscono essenzialmente, ma non unica-mente, i due tipi contrattuali appena indicati, regolati entrambi in conto corrente (artt. 1852-1857, Cod. Civ.).

Si è cercato di dare una qualificazione giuridica unitaria al conto corrente di corrispon-denza, assumendo a suo imprescindibile presupposto “l’esistenza presso la Banca di fondidisponibili a favore del cliente” 92, di tal ché sarebbe del tutto indifferente che la disponibilitàprovenga da un deposito bancario del cliente ovvero da un’apertura di credito concessa aquest’ultimo dall’Azienda di credito: la concreta utilizzazione della disponibilità importereb-be, comunque, un’ulteriore pattuizione, rispetto ai due cennati contratti, avente ad oggetto“...un mandato dal cliente alla banca”, alla cui esecuzione è tenuta quest’ultima, ma nei limi-ti in cui il correntista abbia ancora dei fondi disponibili sul conto stesso.

L’avere incentrato il problema qualificatorio del conto corrente di corrispondenza enu-cleandone al suo interno l’esistenza di un mandato conferito dal correntista alla propriaBanca, ha oscurato la rilevanza che assumono nel contratto innominato in esame i due tipicontrattuali che ne costituiscono comunque l’intelaiatura.

Corollario di tale oscuramento è l’indifferenza, rispetto all’unitaria considerazione delladisponibilità, che quest’ultima sia costituita da somme depositate dal correntista ovvero ero-gategli dalla Banca. Ne è conseguita una scarsa propensione della dottrina a sondare quel-la gamma di obbligazioni che, pur sorgendo prima della definitiva chiusura del conto cor -rente bancario, non trovano la propria giustificazione causale nel mandato, ma in quellaficta traditio di una somma di danaro che determina l’altrui godimento e che è ravvisabiletanto nel deposito bancario quanto nell’apertura di credito.

Si deve, invece, tenere ben presente questa differenziazione, proprio per discrimina-re quelle obbligazioni che sorgono dal rapporto di mandato conferito dal correntista alla

90 In giurisprudenza per la qualificazione giuridica del conto corrente bancario come “negozio giuridico auto -nomo complesso” nel quale confluiscono elementi di mandato, del conto corrente e del deposito bancario,vedi Cass. civ., Sez. I, 7 febbraio 2007, n. 2711.91 È la posizione di F. MARTORANO, Il conto corrente bancario, Napoli, 1955, che riconduce il conto corren-te bancario nell’alveo del conto corrente ordinario.92 Così G. FERRI, Conto corrente di corrispondenza, voce Enc. dir., vol. IX, Milano 1961, § 2.

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Banca, e le altre che, al contrario, trovano il proprio fondamento genetico nell’altrui godi-mento del capitale.

Le obbligazioni che sorgono dal rapporto di mandato conferito dal correntista allaBanca trovano una espressa indicazione nell’art. 1826, Cod. Civ., il quale ammette, salvopatto contrario, l’inclusione nel conto, e quindi la loro esigibilità non differita al momento dellaconclusione del rapporto, dei diritti di commissione del rimborso delle spese per le operazio-ni che danno luogo alle rimesse. Tale articolo è applicabile anche alle operazioni bancarieregolate in conto corrente, atteso il suo espresso richiamo contenuto nell’art. 1857, Cod. Civ. :le banche si riservano tale facoltà, inserendo nei modelli contrattuali proposti alla clientelaclausole che consentono loro di portare “... in conto, con valuta “data di regolamento” dell’o -perazione..., le commissioni e le spese ed applicando le trattenute fiscali di legge” 9 3.

Quanto alle obbligazioni la cui causa deve essere ravvisata nel corrispettivo dovuto dachi (delle due contraenti) ha il godimento di un’altrui somma di danaro, sia essa del corren-tista stesso, come nel deposito bancario, ovvero messa a disposizione di quest’ultimo dallaBanca, come nell’apertura di credito, è evidente il riferimento a quelle aventi ad oggetto gliinteressi: il principio del loro acquisto cotidie per tutta la durata del godimento del capitale(art. 821, comma 3°, Cod. Civ.) è del tutto coerente con la facoltà riconosciuta al correnti-sta ex art. 1852, Cod. Civ., di disporre della disponibilità, ricostituendola con successivi ver-samenti (ex art. 1843, Cod. Civ.) 94.

Ne consegue che nel conto corrente di corrispondenza coesistono obbligazioni le cuifonti rimangono ben differenziate le une rispetto alle altre non solo per tutta la durata del rap-porto ma anche dopo la sua chiusura, per come è dato evincere dalla disapplicazione dellacapitalizzazione degli interessi, una volta intervenuto il recesso di una delle parti. Sarebbe,pertanto, incompatibile con tale constatazione il ritenere il contratto in esame rimanga assor-bito in una figura contrattuale prevalente, che ne detta anche la natura giuridica.

Se pertanto, per come si è appena visto, la figura contrattuale del conto corrente dicorrispondenza presume ed implica la sussunzione al suo interno di diversi tipi contrattua-li, che mantengono comunque ciascuno la propria autonomia funzionale, ne conseguenecessariamente la differenziazione delle modalità con le quali possono essere estinte levarie obbligazioni che trovano in tali differenti tipi la propria giustificazione causale.

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93 Così art. 8 del “Mod. CC 39 B (Ed. 04/2005)/E, del Banco di Sicilia, intitolato “conto corrente bancario”.94 Cass. civ., Sez. I, 25 novembre 2003, n. 17945, ha affermato che “L’obbligo di corrispondere interessi sullesomme depositate in banca, a norma degli artt. 1834 e 1835 Cod. Civ., non è legato all’esigibilità del creditorestitutorio. Esso invece discende dalla regola del deposito irregolare e del mutuo, cui questo è a tal fine assi -milabile (artt. 1782 e 1915, Cod. Civ.). Si tratta, pertanto, di interessi connaturati al mero fatto che le sommedepositate siano poste nella disponibilità della banca depositaria: essi perciò spettano al depositante per tuttoil tempo in cui tale situazione perduri”.

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L’equivoco di quanti intravedono nel conto corrente di corrispondenza un contrattoinnominato misto è in realtà il frutto di una errata sopravalutazione del modo nel quale ven-gono annotate sul conto stesso le diverse partite, sia a credito che a debito del correntista:la loro unificazione in un documento contabile, che si preferisce definire per brevità rappre-sentazione contabile della disponibilità, non determina la dissoluzione della natura giuridi-ca dei diversi tipi contrattuali che compongono il contratto in esame, al posto dei qualisubentra una sorta di composto giuridico formato da più porzioni di contratti tipici.

Le differenti modalità di estinzione delle obbligazioni mantengono, pertanto, ciascunala propria autonomia, che è la diretta conseguenza di quella che ne caratterizza le relativefonti, nonostante esse possano produrre i loro effetti, solo se ed in quanto e comunque neilimiti in cui il loro ammontare venga portato in conto, scilicet annotato, incidendo esse, uni-tamente ai prelievi ed ai versamenti, sulla quantificazione della disponibilità: la rappresen-tazione contabile di quest’ultima assume così un’evidente centralità, perché solo per il suotramite è possibile soddisfare il requisito essenziale di cui all’art. 1325, n. 3, Cod. Civ., pena,in caso contrario (la sanzione del)la nullità ex art. 1418, comma 2°, Cod. Civ..

Le continue variazioni alle quali può essere soggetto il conto in conseguenza del succeder-si delle diverse annotazioni impone, pertanto, la necessità di cristallizzare il suo esatto ammonta-re, detto saldo, secondo cadenze temporali che possono essere giornaliere, mensili, trimestrali,semestrali o annuali, costituente il risultato delle diverse operazioni racchiuse nell’arco di tempopreso a riferimento, l’uno e le altre riportate in un documento contabile definito estratto conto.

I criteri di quantificazione della disponibilità devono, quindi, necessariamente soggia-cere alla fondamentale regola, di cui all’art. 1346, Cod. Civ., con la ulteriore conseguenzache il regolamento contrattuale del conto corrente bancario deve contenere, al riguardo,regole certe 95 che indichino il momento nel quale l’annotazione sul conto determina la defi-nitiva variazione della disponibilità, senza che la Banca possa unilateralmente modificarlo.

Secondo il gergo bancario tale evenienza si verifica quando sono spirati i “termini dinon stornabilità”, ovvero quei “termini oltre i quali, fatti salvi i casi di forza maggiore, i titoliversati e le disposizioni rilasciate non possono essere più stornati senza l’autorizzazionedel...” 96 Cliente. Entrambe le locuzioni indicano quello che nella prassi bancaria viene indi-

9 5 “La liquidità del credito - e cioè la determinazione del suo ammontare in una quantità definita, o la sua deter -minabilità mediante meri calcoli aritmetici in base ad elementi o criteri prestabiliti dal titolo o dalla legge - è unacaratteristica oggettiva sulla quale non incide l’eventuale contestazione da parte del debitore, che attiene all’ac -certamento del credito stesso, non alla sua consistenza. Pertanto un credito (nella specie da deposito su libret -to bancario) fornito di tale caratteristica produce interessi di pieno diritto, ai sensi dell’art. 1282 Cod. Civ., ancor -ché sia contestato dal debitore”, così Cass. Civ.,, sez. I, 29 novembre 2006, n. 25365, in Giust. civ. Mass. 2006,11; In senso conforme alla prima parte della massima cfr. Cass. 26 ottobre 1973 n. 2775.96 Il corsivo è tratto dalle “Condizioni economiche” di cui al “Mod. CC 39 B (Ed. 04/2005)/E, del Banco diSicilia, intitolato “conto corrente bancario”.

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cato come saldo disponibile, il quale si differenzia da quello contabile per il differimento tem-porale tra la data in cui si avvera definitivamente la condizione sospensiva del buon finedella singola operazione e la data del (mero) suo annotamento sul conto, momenti destina-ti, di norma, a non coincidere, specie quando si tratti del versamento di un assegno o di unaltro titolo bancario ovvero di un bonifico 97.

La quantificazione del capitale di cui uno dei due contraenti ha il godimento, insita nelsaldo disponibile, determina per chi lo ha concesso il diritto e x artt. 820, comma 3°, e 821, allapercezione degli interessi: parimenti a quanto già affermato con riferimento all’oggetto delcontratto di conto corrente di corrispondenza, anche l’oggetto dell’obbligazione accessoriaavente ad oggetto gli interessi deve essere “possibile, lecito, determinato o determinabile” 9 8.

La comminatoria della nullità, che con l’introduzione dell’art. 4, comma 3°, della legge17 febbraio 1992, n. 154, 9 9 1 0 0 ha colpito le cd. clausole di rinvio agli usi per la determinazio-ne del saggio degli interessi, restringe il campo dell’analisi dei requisiti dell’oggetto dell’ob-bligazione di interessi ai criteri che lo rendono determinato, s c i l i c e t ai criteri in base ai qualila Banca procede alla loro liquidazione periodica, registrandone l’importo sul conto corrente.

Tale saldo, però, differisce tanto dal saldo contabile che da quello disponibile, essen-do unicamente preordinato alla liquidazione degli interessi 101, e quindi direttamente influen-zato dalla decorrenza convenzionale, che la prassi bancaria definisce “valuta”, sia degliaccrediti che degli addebiti di volta in volta annotati sul conto: la prassi bancaria lo defini-sce “saldo per valuta”.

La modulistica bancaria - almeno quella predisposta prima del 13 gennaio 2011, datadi entrata in vigore del nuovo testo dell’art. 120 T.U. bancario introdotto dal d.Lgs. 4 agosto

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97 Sull’individuazione del momento nel quale con le parole di G. OLIVERI “il beneficiario di un pagamentoacquista la piena disponibilità delle somme accediate sul suo conto” vedi dello stesso A. La rilevanza deltempo nei sistemi di pagamento in B.B.T.C., 2000, I p.161 e segnatamente le pp. 165-167 dalle quali è trattoil corsivo che precede.9 8 Mentre non sorgono particolari problemi per la “p o s s i b i l i t à”, la “l i c e i t à” dell’obbligazione accessoria aventead oggetto gli interessi è strettamente connessa alla misura del saggio degli interessi che diviene illecita seviene superato il c.d. tasso soglia, che si calcola aumentando del 50% il tasso effettivo globale medio rilevatoperiodicamente ai fini dell’applicazione della legge sull’usura (del 7 marzo 1996, n. 108) per ciascuna catego-ria di f i n a n z i a m e n t o e riportato in un decreto del Ministro della Finanze, pubblicato ogni semestre sulla G.U.R.I..99 L’articolo 4, della legge n. 154/92, recitava “le clausole contrattuali di rinvio agli usi sono nulle e si consi -derano non apposte”.100 L’articolo 4, al pari della legge n. 154/92 di cui fa parte, è stato abrogato dall’art. 161, del d.Lgs. 1° set-tembre 1993, n. 385, e quindi sostituito dall’art. 117, comma 6°, di quest’ultimo, il quale così dispone: “Sononulle e si considerano non apposte le clausole contrattuali di rinvio agli usi per la determinazione dei tassi diinteresse e di ogni altro prezzo e condizione praticati nonché quelle che prevedono tassi, prezzi e condizionipiù sfavorevoli per i clienti di quelli pubblicizzati “.101 Si legge spesso nella modulistica bancaria che “la valuta applicata all’accreditamento determina unica -mente le decorrenza degli interessi senza conferire al cliente alcun diritto alla disponibilità dell’importo”. Cosìart. 5, comma 2, del “Mod. CC 39 B (Ed. 04/2005)/E, del Banco di Sicilia, intitolato “conto corrente bancario”.

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2010, n. 141 - riporta nelle condizioni economiche del conto corrente di corrispondenza lediverse decorrenze degli interessi, discriminate a seconda del tipo di versamento o di pre-lievo, esprimendole in numero di giorni lavorativi decorrenti da quello dell’annotamento: dinorma, la decorrenza degli interessi coincide con quella di esecuzione della singola opera-zione se si tratta, per gli accrediti, di versamenti in danaro contante o di assegni tratti sullostesso sportello bancario nel quale viene intrattenuto il rapporto, mentre i prelevamentisaranno assoggettati alla valuta della data di emissione dell’assegno ovvero a quello delprelievo bancomat.

Termini più lunghi sono previsti, invece, quando i versamenti sono costituti da assegnifuori piazza, da assegni circolari di altre banche o da valori postali, andando da un minimodi tre giorni per i primi due casi sino ad un massimo di dieci giorni per il terzo.

Stranamente la tematica delle diverse tipologie di saldo è stata e continua ad esseresin dai primi anni ‘80 1 0 2 appannaggio esclusivo della giurisprudenza e della dottrina, che sene sono occupate per stabilire la natura solutoria delle rimesse eseguite sul conto correntebancario del fallito. Solo incidentalmente e sporadicamente risulta utilizzata la discriminazio-ne tra i saldi nell’ambito dell’anatocismo bancario, nonostante le acute osservazioni formu-late da un autore all’indomani della pubblicazione delle sentenze della Cassazione della pri-mavera del ‘99 1 0 3, peraltro superficialmente tacciate di costituire un “giochetto contabile” 1 0 4.

Il raggruppamento delle diverse operazioni registrate sul conto, teleologicamentepreordinato a determinare ora il saldo disponibile ora quello per valuta, non deve far dimen-ticare che l’inclusione nel conto corrente di una registrazione non determina alcuna nova-zione del correlato titolo: il principio, espressamente sancito per il conto corrente ordinariodall’art. 1827, Cod. Civ., deve essere esteso anche a quello bancario, per “come si desu -me dal richiamo fatto dall’art. 1857 Cod. Civ. all’art. 1832 Cod. Civ., per il quale la stessaapprovazione del conto non preclude la contestazione della validità e dell’efficacia dei tito -li contrattuali da cui derivano gli accrediti e gli addebiti (Cass. 15 giugno 1995, n. 6736; 26luglio 2001, n. 10186; 15 dicembre 2003, n. 18626)” 105.

102 Si richiama la storica sentenza della Cassazione civ., Sez. I, 18 ottobre 1982, n. 5413, in Foro it. 1982, I,2779, con nota sulla stessa rivista nell’anno 1983, I, 69; in Dir. fall. 1982, II, 1313, con altra nota pubblicatasulla stessa rivista, 1983, II, 387; in Fallimento 1982, 1429 (nota) e sempre sulla stessa rivista nell’anno 1983,428 (nota); Giur.it 1983, I, 1, 42, con altra nota pubblicata sulla stessa rivista, 1983, I, 1, 1510; Banca Borsatit.cred. 1983, II, 8 (nota), con altra nota pubblicata sulla stessa rivista, 1984, II, 168.103 FERRO-LUZZI, op.loc.cit., in Giur. comm., 2001, parte I, p. 5 e ss. stigmatizza così le censure addotteda altri autori alle proprie tesi.104 Così FERRO-LUZZI, op.loc.cit., in Giur. comm., 2001, parte I, p. 18, ed il paradigmatico esempio sull’e-sattore Shyloch.105 Così Cass. civ., Sez 1^, 5 novembre 2004 n. 21237, che chiarisce come il Legislatore del ‘42 con l’art.1827, Cod. Civ., abbia abbandonato “l’opposto principio sancito dall’art. 345, primo comma, n. 1, del codicedi commercio abrogato (Relazione al codice, § 737)”.

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Le considerazioni che precedono consentono di operare una netta distinzione, deltutto assente dalle motivazioni delle due sentenze della Cassazione della primavera del ‘99,tra la contabilizzazione periodica degli interessi già maturati, connessa all’obbligazioneaccessoria che trova la propria causa nel godimento dell’altrui capitale, e la loro capitaliz-zazione, che costituisce l’oggetto di un’obbligazione ulteriormente accessoria rispetto aquella fondata sugli artt. 820, comma 3°, e 821, comma 3°, Cod. Civ.

§ 8. La contabilizzazione degli interessi sul conto e l’estinzione della correlata obbli-gazione: l’anatocismo bancario come possibile ma non necessaria conseguenza della man-cata estinzione dell’obbligazione di interessi. L’equivoca distinzione tra la compensazionepropria e quella impropria.

In realtà alla contabilizzazione degli interessi non consegue automaticamente e neces-sariamente la loro capitalizzazione, essendo il logico presupposto di quest’ultima la mancataestinzione dell’obbligazione accessoria di interessi (scaduti), sicché essa può eventualmentesorgere solo nell’apertura di credito e solo se ed in quanto, dopo l’annotamento e prima dellasuccessiva chiusura periodica del conto, non sia stata estinta l’obbligazione di interessi; alcontrario non si può verificare alcuna capitalizzazione nel deposito bancario, in quanto laBanca, provvedendo periodicamente a corrispondere gli interessi al depositante/correntista,estingue con il proprio adempimento la correlata obbligazione accessoria.

Da qui la necessità di distinguere, pur nell’ambito del conto corrente bancario, tra ildeposito bancario e l’apertura di credito 106, assumendo ad elemento diversificatore tra ledue fattispecie contrattuali la diversa posizione assunta dal depositante/correntista: que-st’ultimo, infatti, con riferimento all’obbligazione restitutoria risulta creditore della Banca neldeposito, mentre è debitore di quest’ultima nell’apertura di credito.

Ed invero nel deposito bancario il depositante/correntista è contemporaneamente pro-prietario della somma di danaro depositata presso la Banca, legittimato a disporne median-

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106 Per l’autonomia tra il deposito bancario e l’apertura di credito è Cass. civ., Sez. I. 13 aprile 2007, n. 8711,in Giust. civ. Mass. 2006, 4, secondo cui: “In tema di contratti bancari, la circostanza che le operazioni con -nesse ad un contratto di apertura di credito vengano eseguite in conto corrente non privano il contratto diconto corrente bancario della sua autonomia: con la conseguenza che il recesso della banca dall’apertura dicredito, operato in base ad una clausola contrattuale che consenta tale recesso anche in difetto di giustacausa, mentre non implica necessariamente il recesso dall’altro contratto, giustifica solo il rifiuto di pagare gliassegni del cliente, pervenuti successivamente, sulla base dell’affidamento revocato, ma non costituisce, incostanza di contratto di conto corrente di corrispondenza, valida ragione per rifiutare al correntista di effettua -re il deposito della provvista occorrente per il pagamento di essi. Quest’ultimo comportamento - se posterio -re al recesso dall’apertura di credito e come tale ininfluente nella valutazione della non arbitrarietà dello stes -so - va pertanto valutato distintamente, alla luce del principio di buona fede, al fine di stabilire se, nel bilan -ciamento dei contrapposti interessi contrattuali, vi siano validi motivi per giustificare il recesso dal contratto diconto corrente senza quel preavviso che consenta al correntista di limitare i danni alla sua reputazione com -merciale, al tempo stesso garantendo l’azienda di credito - con l’offerta della provvista - da qualsiasi rischio”.

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te prelievi e creditore della depositaria sia dell’obbligazione di restituzione che di quella diinteressi, costituendo quello disciplinato dagli artt. 1834-1836, Cod. Civ., un’ipotesi di depo-sito irregolare (art. 1782, Cod. Civ.). Nell’apertura di credito, invece, viene meno la coinci-denza dei tre profili appena evidenziati in capo al correntista, non appartenendogli i fondi dicui ha il godimento ed essendo così obbligato a corrispondere gli interessi alla Banca chene è la titolare.

Alle differenze che si sono evidenziate con riferimento alla diversa posizione assuntadal depositante/correntista si aggiungono quelle che si possono apprezzare con riferimen-to alla diversa funzione assunta dalle due figure contrattuali.

Per come esattamente posto in evidenza da un’autorevole dottrina i “depositi banca -ri...costituiscono l’operazione passiva essenziale della banca, quella operazione attraversola quale la banca provvede alla “raccolta del risparmio” e cioè alla raccolta dei capitalinecessari per l’esercizio della funzione creditizia” 107. La stretta ed indissolubile connessio-ne tra la “raccolta del risparmio” ed il suo “impiego” è il tratto qualificante dell’esercizio delcredito, oggetto della tutela prevista dall’art. 47 Cost., attuata attraverso l’assunzione daparte della Repubblica delle funzioni di disciplina, di coordinamento e di controllo.

Mercé il loro deposito, scilicet il perfezionamento del relativo contratto, la Banca acqui-sta la proprietà delle somme di danaro (ex art. 1834, comma 1°, Cod. Civ.) ed è quindi obbli-gata, come qualunque soggetto che abbia il godimento dell’altrui capitale, a corrisponderegli interessi al depositante, anche se quest’ultimo non l’abbia ancora utilizzato, per tutta ladurata del contratto, per la quale, a differenza del mutuo, non risulta essenziale la fissazio-ne di un termine finale.

L’autorevole dottrina citata in ultimo 108 ritiene che il deposito bancario possegga“...un’indubbia utilità per la banca - quella utilità che consegue al potere di disporre mediotempore delle somme depositate e che consente alla banca di pagare essa un corrispetti -vo al depositante - questa utilità deriva non tanto dal fatto che il deposito bancario sia uncontratto di credito, quanto piuttosto dal fatto che il deposito bancario è un’operazione dimassa. Nella massa delle operazioni di deposito la banca può contare su una giacenzamedia, presso che costante, delle somme depositate. Una previsione del comportamentodel depositante non è possibile rispetto a un contratto singolo: è invece possibile la previ -sione del comportamento di massa di depositanti”.

Del resto il mantenimento di un corretto equilibrio tra la massa dei depositi e quelladegli impieghi è un indice, se non l’indice, alla cui stregua valutare il corretto esercizio del-

107 Così G. FERRI, voce “Deposito bancario”, in Enc. dir., vol. XII, Milano 1964, § 2.108 Così G. FERRI, op.loc.cit., Enc. dir., vol. XII, Milano 1964, § 3.

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l’attività creditizia di una Banca, proprio in quella chiave di tutela del risparmio, che il nostroCostituente ha ricondotto nel novero dei rapporti economici di rilevanza costituzionale.L’interesse della Banca al mantenimento nel tempo di tale rapporto rientra, quindi, tra quel-li che ex art. 1322, Cod. Civ. sono “meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico”.

Tale interesse costituisce, pertanto, il legittimo fondamento di quelle clausole con le qualila Banca tende ad incentivare la prosecuzione del deposito, utilizzando la leva del saggio di inte-resse, maggiore in presenza di depositi vincolati minore negli altri regolati in conto corrente.

La differenziazione dei saggi di interessi non è però l’unico strumento attraverso ilquale le Banche tendono a mantenere costante nel tempo l’ammontare delle giacenzemedie, potendo inserire nei relativi contratti anche clausole che prevedano un ulterioreincentivo per il cliente per prolungare la durata del rapporto di deposito.

Appartengono a questa seconda tipologia di strumenti pattizi quelle clausole con lequali la Banca si obbliga nei confronti del depositante/correntista, che non abbia esercitatola propria facoltà di recesso dal deposito bancario (anche se regolato in conto corrente), acorrispondergli alla scadenza di ciascun periodo mediante il loro annotamento sul conto,oltre l’importo degli interessi già maturati, anche quello determinato applicando sullasomma di questi ultimi al capitale lo stesso tasso pattuito per gli interessi semplici.

Si è in presenza di capitalizzazione meramente contabile (o simulacro di capitalizza-zione), in quanto viene a mancare quello che costituisce il necessario presupposto causa-le della capitalizzazione giuridica, individuabile nella mancata estinzione dell’obbligazioneaccessoria di interessi, non ravvisabile nel deposito bancario: in tale figura contrattuale,infatti, la Banca, adempiendo la propria obbligazione di corresponsione periodica degli inte-ressi sul capitale depositato dal correntista, ne determina l’estinzione, in conseguenza dellaquale non si possono produrre ulteriori effetti giuridici, quali, appunto, l’anatocismo.

Si realizza così quella funzione economico-individuale che l’attuale orientamento giu-risprudenziale della Cassazione, inaugurato dalla sentenza della Terza Sezione civile n.10490 dell’8 maggio 2006 109, riprendendo una risalente dottrina 110 impropriamente spaccia-

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109 La sentenza, pubblicata su: Giust. civ., 2007, fasc. 9, 1985, con nota di B. IZZI, “La causa del contrattocome funzione economico-individuale”, è stata così massimata: “La causa, quale elemento essenziale delcontratto, va intesa non come funzione economico-sociale, ma come funzione economico-individuale.Pertanto anche nel caso di contratto legalmente tipico (nella specie, contratto d’opera), è necessario verifica -re in concreto la sintesi degli interessi reali che il contratto è diretto a realizzare al di là del modello - anchetipico - adoperato, fermo restando che detta sintesi costituisce la ragione concreta della dinamica contrattua -le e non anche della volontà delle parti”. Tra gli innumerevoli contributi dottrinali sulla sentenze si segnalanoquelli di ROSSI, in Rass. dir. civ. 2008, 2 564; di BOSCHETTI, in Giur. it. 2007, 10 2203; di UNGARI TRAN-SATTI, in Riv. notariato 2007, 1 180; di MINERVINI, in Il civilista 2008, 9 71.110 Vedi BETTI, voce “Causa” in N.mo D.sto, Torino 1967. Nell’impossibilità di riportare la vastissima lettera-tura che caratterizza l’argomento se ne indicano alcuni (ma non tutti) capisaldi: G.B. FERRI, “Causa e tiponella teoria del negozio giuridico”, Milano 1966; C.M. BIANCA, “Diritto civile”, vol. III, “Il contratto”, Milano

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ta per recente 111, ha posto a fondamento della causa del negozio giuridico, “ricostruendotale elemento in termini di sintesi degli interessi reali che il contratto è diretto a realizzare(al di là del modello - anche tipico - adoperato)” 112.

Nel deposito bancario è rinvenibile una sintesi tra l’interesse (concreto) della Banca almantenimento delle giacenza media dei depositi bancari e quello (altrettanto concreto) delcorrentista/depositante a percepire un ulteriore importo come corrispettivo per non avereesercitato il proprio diritto di recesso dal contratto.

Nell’apertura di credito, invece, la sintesi degli interessi reali si realizza tra quello dellaBanca teso a mantenere al livello più basso l’ammontare degli impieghi, onde garantire ilmiglior rapporto tra questi ultimi ed i depositi primo indice di efficienza dell’attività creditizia,e l’altro del correntista a procrastinare nel tempo (anche) l’adempimento di quella obbliga-zione che trova nel godimento dell’altrui capitale la propria giustificazione causale.

Il soddisfacimento dell’interesse concreto della Banca si attua con clausole che pre-vedano (anche) la periodica estinzione dell’obbligazione accessoria di interessi da parte delcorrentista, essendo del resto ciò in linea con i principi generali che governano l’obbligazio-ne in esame, solo che essa, precedendo e non presumendo la chiusura definitiva del rap-porto, incide sull’ammontare della disponibilità di cui gode il correntista.

I regolamenti contrattuali che disciplinano il conto corrente bancario sono al riguardoalquanto criptici, limitandosi ad indicare la possibilità per la Banca di “portare in conto, convaluta “data di regolamento” dell’operazione, gli interessi, le commissioni e le spese” 113 esottacendo che, così operando, si può determinare l’estinzione delle correlate obbligazioniprima della chiusura definitiva del conto.

Il punto saliente della questione, una volta differenziata la contabilizzazione degliinteressi dalla loro capitalizzazione, è costituito proprio dal modo diverso dall’adempi-mento con il quale si estingue l’obbligazione accessoria di interessi: l’uso di quest’ulti-ma locuzione non è casuale, volendosi con essa sottolineare come nell’apertura di cre-dito (regolata in conto corrente) tale effetto giuridico è la conseguenza dell’applicazio-ne di uno degli istituti riportati nel Capo IV, del Titolo I, del Libro IV: la compensazione(artt. 1241-1252, Cod. Civ. ) .

1987, p. 419 e ss.; GIORGIANNI, voce “Causa” in Enc. dir., VI, Milano 1960, p. 547 e ss.; SCOGNAMIGLIO“Contratto in generale”, in Commentario del codice civile a cura di Scialoja e Branca, “Libro IV delle obbliga -zioni (artt. 1321-1352”, Bologna-Roma 1970, pp. 300 e ss..111 Così l’editoriale di P. FRANCESCHETTI, “la causa del contratto, ovvero i vestiti nuovi dell’imperatore”, suAlatalexMese n. 2/2007, rinvenibile sul sito “www.altalex.com”.112 Così la citata Cass. civ., Sez. III, 8 maggio 2006, n. 10490.11 3 Il corsivo, tranne la coniugazione al gerundio nel testo in luogo dell’infinito del verbo “p o r t a r e”, è tratto dal-l’art. 8, comma 2, del “Mod. CC 39 B (Ed. 04/2005)/E, del Banco di Sicilia, intitolato “conto corrente bancario” .

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Si è già visto sopra come un’isolata posizione ha ravvisato il fondamento comune sia alconto corrente ordinario che a quello di corrispondenza, proprio nella compensazione 11 4 11 5,orientamento che però la dottrina ha respinto in modo pressoché unanime, sulla base del rilie-vo, sintetizzato dallo stesso Martorano, che nel “conto corrente bancario farebbe difetto l’ele -mento della reciprocità delle rimesse, in quanto la banca non effettuerebbe che pagamenti atitolo di adempimento del prestito concesso (apertura di credito) o di restituzione delle sommericevute (deposito) senza mai diventare creditrice” 11 6.

L’escludere l’operatività della compensazione dal conto corrente di corrispondenzarisponde inoltre alla preoccupazione percepita dalla giurisprudenza che si è occupata dellarevocatoria fallimentare delle rimesse sul conto, secondo la quale un’applicazione dell’isti-tuto in esame avrebbe determinato, per il disposto dell’art. 56, l.f., un ridimensionamentodell’azione prevista dall’art. 67, l.f. 117, preoccupazione, però, venuta meno dopo le modifi-che che ne hanno profondamente inciso il testo riducendone enormemente l’ambito di ope-ratività proprio con riferimento alle rimesse operate sul conto corrente del fallito 118.

La giurisprudenza di legittimità, con l’apporto della Sezione lavoro, ha quindi ope-rato (quella che si dimostrerà essere) un’artificiosa distinzione tra la compensazioneprevista dal codice civile, definita propria, e quella cd. impropria, che opera nell’assen-za (e quindi al di fuori) dei presupposti previsti per la prima: è indicativa di tale orienta-mento la massima secondo la quale “l’istituto della compensazione e la relativa norma -tiva codicistica - ivi compreso l’art. 1246 Cod. Civ. sui limiti della compensabilità dei cre -diti - presuppongono l’autonomia dei rapporti cui si riferiscono i contrapposti crediti delleparti e non operano quando essi nascono dal medesimo rapporto, il quale può compor -

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114 Vedi MARTORANO, op.loc.cit., alla precedente nota 91.115 Divergenze si registrano però anche sulla natura della compensazione nel conto corrente ordinario, rite-nendo taluni che essa sia volontaria: così BARASSI, La teoria generale delle obbligazioni, III, Milano 1948,pag. 152; G. RAGUSA MAGGIORE, voce Compensazione (dir. civ.), in Enc. Dir., Milano, 1961, p. 23.Sostengono, invece, la natura legale della compensazione: SCOZZAFAVA-GRISI, voce il conto corrente ordi -nario, in Trattato di dir. civ. curato da Rescigno, Torino 1985, pag. 756, nota 37.116 Così MARTORANO, op.loc.cit., § 7, sintetizza il principale rilievo opposto alla propria tesi dalla prevalen-te dottrina. Per quest’ultima si richiamano in particolare GRECO, Le operazioni di banca, Padova, 1931, p. 22e ss., MOLLE, Contratti bancari, p. 451; TERRANOVA, Conti correnti bancari e revocatoria fallimentare,Milano,1982, p. 375.117 Il riferimento è in particolare al testo dell’art. 67, l.f., anteriore alla sua modifica introdotta dall’art. 2 del d.l.14 marzo 2005, n. 35, a seguito della quale “non sono soggetti all’azione revocatoria: a).......b) le rimesseeffettuate su un conto corrente bancario, purché non abbiano ridotto in maniera consistente e durevole l’e -sposizione debitoria del fallito nei confronti della banca”.118 L’articolo 2 della legge del d.l. 14 marzo 2005, n. 35, convertito con legge 14 maggio 2005 n. 80 (in Suppl.ordinario n. 91 alla Gazz.Uff., 14 maggio, n. 111), ha sostituto l’originario testo dell’art. 67, l.f., prevedendo,per i profili che qui interessano, al comma 3, lett. b), che non sono soggetti all’azione revocatoria “le rimesseeffettuate su un conto corrente bancario, purché non abbiano ridotto in maniera consistente e durevole l’e -sposizione debitoria del fallito nei confronti della banca”.

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tare soltanto una compensazione in senso improprio, ossia un semplice accertamentodi dare ed avere,....” 11 9.

La giurisprudenza ha così affermato che “in tema di revocatoria fallimentare di paga -menti, l’accredito, da parte di una banca, in un conto corrente assistito da apertura di cre -dito, di somme rimesse da terzi o provenienti da distinta posizione debitoria dell’istituto dicredito, costituisce un’operazione che, salvo patto contrario, s’inserisce nell’ambito dell’uni -tario complesso rapporto di conto corrente e non realizza un’obbligazione autonoma dellabanca di rimettere al cliente le somme riscosse, suscettibile di compensazione legale con ilsaldo passivo, in quanto determina una semplice variazione quantitativa del debito del cor -rentista, la quale può configurare, secondo le circostanze, o un atto ripristinatorio delladisponibilità del correntista medesimo, ovvero un atto direttamente solutorio del debito diquesti, risultante dal saldo contabile” 120.

La distinzione tra una compensazione propria ed una impropria risulta però più il frut-to di una sopravalutazione delle novità introdotte dal Codice del ‘42 nell’istituto in esameche di una ponderata interpretazione 121.

Sotto il profilo interpretativo non è stato infatti considerato che le rimesse, s c i l i c e t g l iannodamenti sul conto, possono trovare il proprio titolo causale in una delle diverse figurecontrattuali (mandato, deposito ed apertura di credito) che confluiscono, senza però perderela loro autonomia, nel conto corrente di corrispondenza, figure che conseguentemente deter-minano anche un diverso e ben differenziato modo di estinzione delle correlate obbligazioni.

La sopravalutazione delle novità introdotte dal Codice del ‘42 risiede nella considera-zione, desumibile dall’art. 1241, Cod. Civ., secondo cui “la compensazione determina la eli -sione di due reciproche posizioni debitorie fino al limite della loro concorrenza, lasciandosopravvivere cioè un eventuale credito per la parte titolare del maggior diritto” 122, risultan-do essenziale per la operatività dell’istituto in esame solo ed unicamente la dualità dei patri-

119 Cass. civ., Sez. lav., 2 marzo 2009, n. 5024, che a sua volta richiama: Cass.17 aprile 2004, n. 7337 eCass. 29 marzo 2004, n. 6214, dalla cui motivazione la sentenza in esordio della presente nota ha tratto ilparagrafo riportato nel testo in corsivo; quest’ultima sentenza, poi, richiama Cass. civ. 5 maggio 1995, n. 4873e Cass. 21 ottobre 1998, n. 10456. La distinzione tra compensazione propria (o codicistica o tecnico-giuridi-ca) ed impropria o contabile) operata dalla Sezione Lavoro della Corte Suprema è servita per escludere l’am-bito di operatività dell’art. 1246, n. 3, Cod. Civ., consentendo quindi al datore di lavoro di opporre i propri cre-diti a quelli vantati dal dipendente purché aventi entrambi causa nel rapporto di lavoro subordinato, senzaalcuna limitazione e nonostante il principio della retribuzione giusta e sufficiente di cui all’art. 36 Cost..120 Così Cass. civ., sez. I, 19 novembre 2002, n. 16261, in Giust. civ. Mass. 2002, 2003; in Fallimento 2003,751 osservazione di SIGNORELLI.1 2 1 Nutrono più di una perplessità sulla necessità che la c o m p e n s a z i o n e p r o p r i a non possa mai prescindere dalladiversità del titolo: PERLINGERI, Modi di estinzione delle obbligazioni diversi dall’adempimento, i n Comm. Cod.C i v. a cura di Scailoja e Branca, Bologna-Roma 1975, p. 263 e ss., e PORZIO, Contratti bancari, p. 872 e ss..122 Così G. RAGUSA MAGGIORE, op.loc.cit., in Enc. Dir., Milano 1961, vol. VIII, § 1.

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moni coinvolti. La compensazione, pertanto, ed è proprio questa la novità del Codice del‘42, risulta così “...svincolata dal rigore formalistico romano e dalla necessità di una eademcausa per le due obbligazioni” 123.

La ratio dell’abbandono (della rigida osservanza) del principio romanistico è però coe-rente all’ampliamento dell’ambito di applicazione dell’istituto, estesa anche a soggetti estra-nei al rapporto dal quale scaturisce il credito da opporre in compensazione, quali il cessio-nario del credito (arg. ex artt. 1248, Cod. Civ.), il creditore di un’obbligazione solidale (art.1302, Cod. Civ.) e il titolare di un credito garantito da terzi (art. 1247, Cod. Civ.); è quindievidente come tali norme rispondano all’esigenza di far conseguire l’effetto della compen-sazione anche, ma non solo, in presenza di contrapposte ragioni di credito, scaturenti dadue rapporti giuridici differenziati.

La compensazione prevista dal Codice del ‘42 può pertanto operare sia quando le con-trapposte ragioni di credito sorgano dal medesimo rapporto sia quando esse trovano la pro-pria giustificazione causale in rapporti differenti, purché sia presente la dualità dei patrimoni,stante, in caso contrario, la configurabilità della confusione (arg. e x art. 1253, Cod. Civ. ) .

Se ciò è vero per la compensazione legale, lo diventa ancor di più per quella volonta-ria (art. 1252, Cod. Civ.), nella quale l’autonomia privata può determinare forme di compen-sazione anche in assenza delle “condizioni previste dagli articoli precedenti”: pertanto,ammesso e non concesso, che tra queste ultime sia ravvisabile anche quella che imponela diversità dei rapporti dai quali scaturiscono le contrapposte ragioni di credito, è ammissi-bile che l’autonomia privata possa derogare da tale principio.

Occorre poi sottolineare come la giurisprudenza, nel distinguere la compensazionepropria da quella impropria, fornisce una nozione di quest’ultima, utilizzando formule lingui-stiche più descrittive che indagative dell’istituto, ritenendola “...un semplice accertamentocontabile di dare e avere” 124, o una “... mera operazione di conguaglio” 125, o ancora un“...mero conguaglio contabile nell’ambito del diritto del correntista di variare la disponibilitàcon versamenti e prelievi” 126, oppure una “mera situazione contabile” 127, ovvero come la

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123 Così G. RAGUSA MAGGIORE, op.loc.cit., in Enc. Dir., Milano 1961, vol. VIII, §2.124 Così Cass. civ., Sez. Lav., 2 marzo 2009, n. 5024; cfr. Cass. civ., Sez. lav., 24 luglio 2007, n. 16349; cfr.Cass. civ., Sez. lav., 29 marzo 2004, n. 6214; cfr. Cass. civ., sez. II. 23 aprile 1998, n. 4174. Cass. 18 mag-gio 2006 n. 11749, in Foro it., 2007, I, 184; Cass. 25 luglio 2001 n. 10129, in Arch. civ., 2001, 1228, alle qualiadde, Cass. 8 agosto 2003 n. 11961, in Banca, borsa, 2004, II, 377, secondo cui la mancata contestazionedell’addebito in conto corrente delle passività derivanti dall’esecuzione di un mandato affidato alla banca nonpreclude al cliente di far valere successivamente, nei confronti della medesima banca mandataria, il proprioeventuale credito risarcitorio per la non diligente esecuzione di quel mandato.125 Così Cass. civ., Sez. I, 17 ottobre 2005, n. 20101.126 Così Corte appello Bologna, 23 gennaio 2004.; cfr. Cass. civ., Sez. I, 11 dicembre 1978, n. 5836.127 Così Cass. civ., Sez. I, 24 gennaio 1997, n. 745.

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conseguenza di “semplici effetti contabili dell’esercizio del diritto, spettante al correntista, divariare la disponibilità del conto con versamenti e prelievi” 128, o in alcuni casi come “varia -zione quantitativa del debito del correntista” 129.

Una tale confusione linguistica è il frutto di un’esasperata sopravvalutazione della rap-presentazione contabile a discapito della mancata percezione della necessaria coesistenzadelle tre figure contrattuali che connotano il conto corrente di corrispondenza, e che comun-que mantengono una loro autonomia funzionale, soddisfacendo, ciascuna, interessi concre-ti differenziati: la Banca, quale mandataria del correntista, assume nei suoi confronti l’obbli-gazione di curare il versamento del denaro o dei titoli di credito (provvedendo in questosecondo caso anche alla corretta attivazione e coltivazione delle connesse procedure di esa-zione), mentre il beneficiario dell’apertura di credito è obbligato nei confronti della Banca acorrisponderle periodicamente gli interessi nella misura che essa liquida periodicamente.

La Banca, pertanto, procede con la periodica chiusura del conto, oltre alla liquidazio-ne del saldo contabile anche alla contabilizzazione degli interessi maturati, rendendo cosìil proprio credito liquido ed esigibile: in merito alla certezza occorre ribadire che essa puòanche non sussistere, pur in assenza di impugnazioni dell’estratto conto nel termine pattui-to, in quanto la inclusione nel conto non priva il contraente che vi abbia interesse ad impu-gnare il titolo in virtù del quale è stata operata la registrazione.

La Banca, quindi, compenserà la propria ragione di credito 130 con il controcredito cheil correntista vanta nei suoi confronti, costituito dai versamenti annotati sul conto dopo laregistrazione dell’ammontare degli interessi. Il correntista, però, potrebbe anche non ese-guire versamenti successivi sul proprio conto, ovvero gli importi di quelli eseguiti essereinsufficienti ad estinguere integralmente il credito di interessi della Banca: quest’ultima, diconseguenza, computerà il proprio controcredito di interessi, per la parte non ancora estin-ta con la compensazione, come base di calcolo, unitamente all’ammontare della disponibi-lità, per liquidare gli interessi afferenti il periodo successivo: si è così descritta la capitaliz-zazione degli interessi nell’apertura di credito.

Risulta pertanto evidente come la liquidazione degli interessi e l’annotamento sul contodel loro ammontare rappresentano solo le forme attraverso le quali si opera nell’apertura dicredito (regolata in conto corrente) l’estinzione dell’obbligazione di interessi, in base al pattopreventivo di compensazione (e x artt. 1241-1252, Cod. Civ.) delle contrapposte ragioni di

128 Così Corte di Appello Roma 11 aprile 1986.129 Così Cass. civ., Sez. I, 12 aprile 1984, n. 2353.130 Si procede nello stesso modo di estinzione descritto nel testo anche per gli altri crediti che la Banca vantanei confronti del correntista, quali ad esempio quelli inerenti le spese di tenuta conto, le commissioni per l’e-secuzione di bonifici, ecc..

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credito, ciascuna delle quali, peraltro, è riferibile ai due patrimoni, ben distinti e diff e r e n z i a t i ,del correntista, da un lato, e della Banca, dall’altro; così come, dal punto di vista meramen-te descrittivo, la capitalizzazione degli interessi a credito della Banca può procedere solo dauna mancata o parziale estinzione per compensazione della correlata obbligazione.

In sé e per sé considerata la rappresentazione contabile costituisce, quindi, lo stru-mento attraverso il quale si realizza la combinazione degli effetti che portano all’estinzionedell’obbligazione di interessi, restando quindi esclusa un’efficacia causale autonoma edassorbente dell’annotamento sul conto rispetto al sottostante titolo contrattuale. L’equivocodella giurisprudenza qui criticata risiede proprio nell’avere a torto distolto la rappresentazio-ne contabile dalla sua unica funzione strumentale, per attribuirle una propria rilevanza cau-sale del tutto autonoma rispetto al titolo sottostante alla registrazione.

L’attribuzione di un’ipotetica efficacia causale autonoma alla rappresentazione conta-bile, implicherebbe che, a seguito dell’annotamento sul conto, si verifichi la novazione del-l’originario titolo dal quale essa è scaturita: si incorrerebbe, così, un’insormontabile contrad-dizione con l’altro l’orientamento giurisprudenziale, pienamente condivisibile, secondo ilquale l’annotamento sul conto corrente, sia ordinario che bancario, di un credito non pro-duce alcuna novazione del correlato titolo (arg. ex art. 1827, Cod. Civ.), difettando il princi-pale requisito di quest’ultima, ovvero la volontà inequivoca delle parti di estinguere la pre-cedente obbligazione (arg. ex art. 1230, cpv., Cod. Civ.)

Né risulta percorribile, per attribuire un sostrato causale alla rappresentazione conta-bile, la strada della ficta confessio che la giurisprudenza quasi unanimemente assegnaall’approvazione, anche tacita, dell’estratto conto periodico, risultando pacifico che la pre-clusione di cui all’art. 1832, cpv., Cod. Civ., norma ricompresa tra quelle espressamenterichiamate nell’art. 1857, Cod. Civ., “... può concernere solo il fatto che la banca abbia ese -guito quei certi addebiti o accrediti, mentre rimane impregiudicata la questione se essabanca avesse o meno diritto di procedere alle operazioni annotate in base al rapporto diconto corrente (restando comunque preclusa ogni possibilità di contestare la legittimitàsostanziale delle annotazioni stesse in virtù di rapporti fra il correntista ed altri soggetti o inbase a vizi afferenti la posta annotata, ma estranei al contento del rapporto” 131.

La preclusione derivante dalla mancata contestazione nei termini dell’estratto conto,pertanto, non può mai determinarsi con riferimento a quelle annotazioni che scaturisconoda un rapporto intercorrente tra la stessa Banca ed il suo cliente, come sicuramente è quel-lo avente ad oggetto la corresponsione degli interessi sia a credito che a debito.

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131 Così MAIMERI, A. NIGRO, SANTORO, Contratti Bancari, Vol. I, Le operazioni bancarie in conto corren -te, Milano, 1991, p. 364, e giurisprudenza ivi citata.

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La confessione, sia essa giudiziale o stragiudiziale, del resto “è la dichiarazione cheuna parte fa della verità di fatti ad essa sfavorevoli e favorevoli all’altra parte” (art. 2730,Cod. Civ.), sicché all’approvazione anche tacita da parte del correntista dell’estratto contoperiodicamente inviatogli dalla Banca, può conseguire l’incontrovertibilità, tra le parti 132, delsolo fatto storico dell’avvenuta registrazione della relativa operazione, ma non anche laincontrovertibile validità ed efficacia del titolo in base al quale si è provveduto al suo anno -tamento sul conto, postulando queste ultime un giudizio, frutto dell’interpretazione giuridicadelle norme e dei contenuti contrattuali 133.

Anche la odierna giurisprudenza si è inserita nel solco di quella più risalente, conti-nuando ad affermare che “in tema di conto corrente, la mancata tempestiva contestazionedell’estratto conto da parte del correntista nel termine previsto dall’art. 1832, Cod. Civ.rende inoppugnabili gli accrediti e gli addebiti solo sotto il profilo meramente contabile, enon preclude pertanto la contestazione della validità e dell’efficacia dei rapporti obbligatorida cui essi derivino” 134.

“Ed ancora, muovendo dal riconosciuto valore confessorio dell’approvazione tacita delconto, si è precisato che tale valore confessorio “va inteso limitatamente ai fatti e non alleposizioni giuridiche delle parti, e può dirsi che l’approvazione preclude la possibilità di con -testare che le appostazioni siano erronee, ossia si riferiscano a situazioni non vere o ine -sattamente rilevate”, anche se non all’insussistenza delle posizioni giuridiche afferenti aquei fatti (Cass. 24 maggio 1991, n. 5876, e Cass. 19 gennaio 1984, n. 452)” 135.

1 3 2 La precisazione è importante, non assumendo alcun valore giuridico l’approvazione tacita degliestratti conto da parte del correntista poi fallito, nei confronti del curatore che è e rimane soggetto terzorispetto al rapporto contrattuale, anche quando promuove nell’interesse della massa dei creditori le azio-ni revocatorie fallimentari. La terzietà del curatore fallimentare è il portato di un consolidatissimo orienta-mento giurisprudenziale.133 MAIMERI, A. NIGRO, SANTORO, op.loc.cit., Milano, 1991, p. 365, riportano una risalente posizione,secondo la quale “... l’approvazione anche tacita dell’estratto conto precluda comunque ogni contestazionefondata su ragioni sostanziali, attinenti alla legittimità dell’inclusione o dell’eliminazione di partite contabili: cosìCass., 12 ottobre 1954, n. 3264 (in Banca, Borsa, tit. cred., 1955, II, 20); Trib. Roma, 28 luglio 1956, cit.; Cass.23 gennaio 1959, n. 186, cit.; Trib. Roma 10 luglio 1960, cit.; Cass. 30 gennaio 1964, n. 261 (in Banca, Borsatit. cred., 1974, II, 324); in dottrina V. Fiorentino, Le operazioni bancarie 2, Napoli, 1952, p. 19; Molle, Contrattibancari [II ediz., 1973], p. 467 (diversamente invece nella IV ediz., 1981, p. 559)”.1 3 4 Così Cass. civ., Sez. I, 19 marzo 2007 n. 6514, in Giust. civ. Mass. 2007, 3, Giust. civ. 2008, 10, 2252.In senso conforme anche: Cass. 18 maggio 2006 n. 11749, in Foro it., 2007, I, 184; Cass. 25 luglio 2001 n.10129, in Arch. civ., 2001, 1228, alle quali a d d e, Cass. 8 agosto 2003 n. 11961, in Banca, borsa, 2004, II,377, secondo cui la mancata contestazione dell’addebito in conto corrente delle passività derivanti dall’ese-cuzione di un mandato affidato alla banca non preclude al cliente di far valere successivamente, nei confron-ti della medesima banca mandataria, il proprio eventuale credito risarcitorio per la non diligente esecuzionedi quel mandato.135 Così Cass. civ., sez. I, 15 giugno 1995, n 6736.

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9. La pariteticità temporale nel conteggio degli interessi creditori e debitori, comepresupposto dell’anatocismo bancario: l’art. 120, cpv., D.Lgs. n. 385/93 (ovvero T.U. ban-cario) - La delibera C.I.C.R. del 9 febbraio 2000, pubblicata sulla G.U.R.I. n. 43 del 22 feb-braio 2000 - La individuazione in concreto della pariteticità temporale. Il sistema previgen-te le modifiche al testo dell’art. 120 del t.u. bancario e al D.Lgs. 27 gennaio 2010, n. 11 .

L’equivoco di attribuire alla rappresentazione contabile un’efficacia causale assorben-te e quindi prevalente rispetto a quelle che sorreggono le diverse figure contrattuali checompongono il conto corrente di corrispondenza, ha finito con l’inficiare anche la trasposi-zione normativa del principio - caro al progetto di legge del Minervini ispirato al consegui-mento di una sostanziale equità nei rapporti contrattuali tra le Banche ed i clienti - di ammet-tere la capitalizzazione degli interessi, nel rispetto e nei limiti, però, della “...pariteticità tem -porale della loro contabilizzazione, tanto se a credito quanto se a debito del Cliente” 136.

Il principio della pariteticità temporale è stato ripreso dal legislatore delegato del ‘99,il quale, conscio della disparità sostanziale tra Banche e clienti ed obbligato comunque ad“armonizzare” l’attività creditizia con i principi comunitari, con l’art. 25 del d.Lgs. 4 agosto1999, n. 342, ha modificato il precedente testo dell’art. 120, t.u. bancario, disponendo che“il C.I.C.R. stabilisce modalità e criteri per la produzione di interessi sugli interessi matura-ti nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria, prevedendo in ognicaso che nelle operazioni in conto corrente sia assicurata nei confronti della clientela lastessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori” 137.

Solo che l’organo tecnico 138, incaricato di recepire l’ideale testimone, non ha saputo(o voluto....) introdurre alcuna normativa secondaria di dettaglio, limitandosi con la propriadelibera del 9 febbraio 2000, pubblicata sulla G.U.R.I. n. 43 del 22 febbraio 2000, emana-

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136 Vedi supra nota 13.137 L’articolo 25, comma 3°, del d.Lgs. 4 agosto 1999, n. 342, aveva introdotto pure il terzo comma dell’art.120, T.U. bancario, in forza del quale “le clausole relative alla produzione di interessi sugli interessi maturati,contenute nei contratti stipulati anteriormente alla data di entrata in vigore della delibera di cui al comma 2,sono valide ed efficaci fino a tale data e, dopo di essa, debbono essere adeguate al disposto della menzio -nata delibera, che stabilirà altresì le modalità e i tempi dell’adeguamento. In difetto di adeguamento, le clau -sole divengono inefficaci e l’inefficacia può essere fatta valere solo dal cliente”. Il comma è stato però dichia-rato incostituzionale dalla Corte Costituzionale, con la sentenza n. 425 del 17 ottobre 2000, la quale, tra i mol-teplici profili di illegittimità rilevati dai giudici rimettenti, ha accolto solo quello incentrato sulla violazione del-l’art. 76, Cost., affermando che l’art. 25, comma 3, del d.Lgs. n. 342/1999, stante l’indeterminatezza della fat-tispecie ivi prevista, non può essere ricondotto nell’ambito della delega conferita al Governo con l’art. 1,comma 5, della legge 24 aprile 1998, n. 128, avente ad oggetto l’emanazione di “disposizioni integrative e cor -rettive” del testo unico bancario, “nel rispetto dei principi e criteri direttivi e con l’osservanza della proceduraindicati nell’art. 25 della legge 19 febbraio 1992, n. 142....”.138 Il Comitato Interministeriale per il Credito ed il Risparmio è stato istituito con Decreto Legislativo del CapoProvvisorio dello Stato del 17 luglio 1947, n. 691, che, ad eccezione degli articoli 3, 4, 5 e per le competenzevalutarie del C.I.C.R. previste dall’art. 1, primo comma, è stato abrogato dall’art. 161, T.U. bancario (d.Lgs.von. 385/93). L’attività e la composizione del C.I.C.R. è oggi disciplinata dall’art. 2 del T.U. bancario.

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ta in attuazione dell’art. 120, comma 2°, T.U. bancario, all’art. 2, a clonare la generica for-mulazione del Legislatore delegato del ‘99.

Il Comitato, infatti, pur dichiarando di avere “tenuto conto.... dell’esistenza di diversetesi sulla configurazione della fattispecie dell’anatocismo e dunque sull’ambito di applica -zione dell’art. 1283 del codice civile” 139, nel successivo art. 2, comma 1°, si limita ad affer -mare che “nel conto corrente l’accredito e l’addebito degli interessi avviene sulla base deitassi e con le periodicità contrattualmente stabiliti. Il saldo periodico produce interessisecondo le medesime modalità”, disponendo nel successivo secondo comma dell’articoloda ultimo citato che “nell’ambito di ogni singolo conto corrente deve essere stabilita la stes -sa periodicità nel conteggio degli interessi creditori e debitori”.

Per tale via si è però finito con l’affidare l’effettiva sussistenza della pariteticità tempo-rale al dato estrinseco e meramente formale del come la Banca procede all’annotamento sulconto delle diverse operazioni, modo che, per quanto detto nel paragrafo precedente, costi-tuisce la rappresentazione contabile del susseguirsi dei diversi annotamenti, e quindi laforma che riveste l’estratto conto periodico, ma non è in alcun modo sufficiente a costituire,o meglio a sostituire novandolo, il titolo in base al quale si procede al singolo annotamento.

Né lo sforzo di specificazione del concetto di pariteticità temporale è stato assunto dalleBanche, atteso che anche la relativa modulistica bancaria risulta volutamente evasiva sulpunto, limitandosi ad indicare genericamente che “i rapporti di dare e avere relativi al conto,sia esso debitore o creditore, vengono regolati con identica periodicità indicata nell’allegatomodulo, portando in conto, con valuta “data di regolamento” dell’operazione, gli interessi, lecommissioni e le spese ed applicando le trattenute fiscali di legge. Il saldo risultante dallachiusura periodica così calcolato produce interessi secondo le medesime modalità” 1 4 0.

Come nel vaticinio della Sibilla cumana il destino dell’uomo è affidato ad un artificiolinguistico, così nell’attuale disciplina dell’anatocismo bancario la fonte della sua validità èil portato di un artificio contabile, che sembra però espungere quella ricerca dell’equilibriodi forze tra a Banca ed il cliente, sul quale il Minervini aveva fondato il proprio progetto dilegge e al quale si era poi idealmente collegato il Legislatore delegato del ‘99.

Il formalismo indotto dalla errata traduzione in concreto dell’insegnamento delMinervini ha creato un solco con i principi che avevano ispirato il Maestro, che è sembrato

139 Il testo del quarto periodo del preambolo della delibera C.I.C.R. 9 febbraio 2000, dal quale è tratto il branoriportato in corsivo nel testo, recita: “tenuto conto delle peculiarità tecniche che connotano la produzione e ilconteggio degli interessi sugli interessi scaduti nelle diverse tipologie di operazioni bancarie e finanziarie edell’esistenza di diverse tesi sulla configurazione della fattispecie dell’anatocismo e dunque sull’ambito diapplicazione dell’art. 1283 del codice civile”140 Così art. 8 intitolato “Condizioni economiche e chiusura periodica del conto, regolamento degli interessi,commissioni e spese”, del “Mod. CC 39 B (Ed. 04/2005)/E”, citato alla precedente nota 93.

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ai più ormai incolmabile, di un’ampiezza tale da sopire qualunque interesse per l’istituto inesame, avvertendosi inconsciamente anche il rischio che un intervento sull’attuale discipli-na dell’anatocismo bancario possa ledere la posizione di quanti percepiscono dalle Banchegli interessi sui propri depositi bancari.

I pochi che hanno cercato di mettere in crisi l’attuale disciplina dell’anatocismo banca-rio, forse con la convinzione di registrare lo stesso successo ottenuto con la sentenza dellaCorte Costituzionale n. 425 del 17 ottobre 2000, hanno fondato le proprie questioni di legit-timità costituzionale inerenti l’art. 25, comma 2°, del d.Lgs. n. 342/1999, oltre che su unagenerica violazione dell’art. 2, Cost., anche e soprattutto sul profilo formale della gerarchiadelle fonti, ascrivendo al Legislatore delegato del ‘99 una violazione all’art. 76, Cost..

In particolare il Tribunale di Catania 141 ha profilato che, pur dopo la citata deliberaC.I.C.R., “la condizione di reciprocità non “muta i profili di illegittimità”” dell’anatocismo ban-cario in relazione all’art. 1283, Cod. Civ. e che il legislatore delegato del ‘99 sarebbe incor-so, emanando la norma impugnata, in un eccesso di delega, non essendo ravvisabile nellegislatore delegante né la volontà di derogare l’articolo del codice civile citato, contenenteperaltro una norma imperativa ed inderogabile, né, tantomeno, quella di attribuire tale pote-re derogatorio al Comitato interministeriale per il credito ed il risparmio.

La questione di legittimità costituzionale sollevata dal giudice siciliano è stata però rigettatadalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 341, del 12 ottobre 2007 1 4 2, che ha richiamato il pro-prio consolidato orientamento, alla luce del quale “...il sindacato di costituzionalità sulla delegalegislativa postula che il giudizio di conformità della norma delegata alla norma delegante si espli -chi attraverso il confronto tra due processi ermeneutici paralleli, l’uno relativo alle norme chedeterminano l’oggetto, i principi e i criteri direttivi indicati dalla delega, l’altro relativo alle normeintrodotte dal legislatore delegato, con la precisazione che i principi e i criteri direttivi della leggedi delegazione devono essere interpretati sia tenendo conto delle finalità ispiratrici della delega,sia verificando, nel silenzio del legislatore delegante sullo specifico tema, che le scelte del legisla -tore delegato non siano in contrasto con gli indirizzi generali della stessa legge-delega” 1 4 3.

Il Giudice delle leggi ha pertanto dichiarato non fondata la questione di legittimitàcostituzionale dell’art. 25, comma 2, d.Lgs. n. 342/1999, nella parte in cui, modificando l’art.120, TU. Bancario, ha conferito al C.I.C.R. il compito di stabilire le modalità ed i criteri in

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141 Ordinanza del Tribunale ordinario di Catania del 9 agosto 2005, in G.U., 1° serie speciale, n. 17/2006, eriportata anche in B.B.T.C., 2006, II, 220, con nota di MIRONE, La normativa sull’anatocismo bancario nuo -vamente al vaglio della Corte Costituzionale.142 La sentenza risulta pubblicata sulle seguenti riviste: Giur. Cost. 2007, 5, Il Merito 2007, II, 11 26 con notadi SCAVONETTO, Giust. civ., 2007, 12, 2662, Foro it., 2008, 7-8 2100.143 Così § 2.2. della motivazione.

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base ai quali gli interessi scaduti possono produrre interessi, purché sia rispettata la parite-ticità temporale del conteggio sia di quelli a debito che degli altri a credito.

Uguale sorte a quella del giudice siciliano è toccata poi anche al Tribunale di Vicenza 1 4 4,il quale aveva dubitato “della legittimità costituzionale della disposizione che consente alle ban -che, in violazione di quanto previsto dall’art. 1283 del codice civile, di applicare la capitalizza -zione anatocistica degli interessi con cadenza trimestrale (o comunque infrannuale) nei rappor -ti in conto corrente, anche in caso di pattuizione anteriore alla scadenza degli interessi” .

La Corte Costituzionale ha avuto facile gioco nel rigettare la questione di legittimitàcostituzionale posta dal giudice vicentino, rilevando, sulla scorta della propria precedentesentenza n. 341 del 2007, che “in assenza di elementi di sostanziale novità della prospet -tazione del rimettente, non vi è motivo per discostarsi da tale precedente decisione” 145.

I due pronunciamenti del Giudice delle Leggi inducono ad un’ulteriore riflessione, checoncerne la possibilità di utilizzare il sofisticato sistema interpretativo proposto illustratonelle due sentenze, focalizzandolo, però, sulla effettiva conformità alla norma primaria ema-nata dal Legislatore delegato del ‘99 (l’art. 120, comma 2°, T.U. bancario, per come modifi-cato dall’art. 25, comma 2°, del d.Lgs. n. 342/1999) della norma secondaria emessa dalC.I.C.R. con la delibera del 9 febbraio 2000.

La necessità di una tale riflessione è soprattutto pratica, ove si consideri che perve-nendo ad un giudizio di difformità della fonte secondaria rispetto a quella primaria, il Giudiceordinario potrebbe in virtù dell’art. 5, della legge abolitiva del contenzioso, 20 marzo 1865,n. 2248, allegato E (di seguito L.A.C.), disapplicare la delibera C.I.C.R. del 9 febbraio 2000.

Chi scrive aveva già posto in luce nel 2000 1 4 6, atteso il valore di atto amministrativo pro-prio delle deliberazioni del C.I.C.R., come sia estensibile anche a queste ultime l’istituto delladisapplicazione, specie tenendo conto dei risultati cui è pervenuta la dottrina amministrativa.Quest’ultima, in particolare, assegna all’istituto di cui all’art. 5 L.A.C. la funzione di “rimedio dicarattere generale, volto a garantire - principalmente sulla scorta dell’art. 4 delle Disposizionisulla legge in generale - la risoluzione in sede giudiziale delle antinomie tra le fonti” 1 4 7.

144 Ordinanza di rimessione della q.l.c. depositata il 25 ottobre 2007, sollevata dal giudice veneto con riferi-mento ad un giudizio di opposizione allo stato passivo proposto da una Banca nei confronti di una Curatelafallimentare, la quale aveva visto ammesso il proprio credito, discendente dal saldo di un conto corrente,detratta una percentuale dell’importo riferibile agli effetti della capitalizzazione trimestrale degli interessi suc-cessivi alla citata delibera C.I.C.R..145 Così ordinanza Corte Cost. 4 luglio 2008, n. 254, reperibile in Giur. Cost. 2008, 4, 2957, ed in Foro It.2008, 10, 2728.146 Vedi nota 7.147 C. Ferrari - M. Airoldi, La disapplicazione del regolamento da parte del giudice amministrativo, in Riv. Dir.Proc. Amm. 1998, pagg. 45-46. Non sono però mancate in dottrina voci di diverso segno, le quali hanno postoin rilievo il carattere processuale dell’istituto, sul rilievo che esso consente al Giudice ordinario di decidere lacontroversia, considerando l’atto illegittimo tamquam non esset.

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Non sono estranei ai risultati cui è pervenuta sul punto la dottrina gli orientamenti dellaCorte Costituzionale e del Consiglio di Stato: se la prima ha sempre limitato il proprio sin-dacato alle norme primarie, essendo riservato quello relativo a quelle secondarie ex art. 5L.A.C. ad ogni altro Giudice, ivi incluso quello amministrativo 148, il secondo ne ha tratto 149

l’ulteriore conseguenza che il giudice può esercitare ex officio il potere disapplicativo del-l’atto amministrativo, anche quando quest’ultimo è affetto da incompetenza, violazione dilegge o incompetenza 150.

Gli approdi del dibattito dottrinale e giurisprudenziale in tema di disapplicazione, por-tano a fornire una risposta di segno positivo al quesito più sopra formulato, nel senso cheil giudice ordinario, allorquando sia investito di una controversia la cui decisione dipendedall’applicazione dell’anatocismo bancario, può disapplicare anche ex officio la delibera delC.I.C.R. del 9 febbraio 2000, ove ravvisi il contrasto tra quest’ultima e una norma di rangosuperiore 151 152.

Acclaratane la sua rilevanza pratica, occorre sottolineare che il giudizio di effettivaconformità della delibera C.I.C.R. del 9 febbraio 2000 all’art. 120, comma 2°, T.U. bancario,per come modificato dall’art. 25, comma 2°, del d.Lgs. n. 342/1999, non può in alcun modoprescin-dere dalla verifica in concreto del perseguimento da parte del Comitato intermini-steriale degli scopi che hanno giustificato la delega in suo favore.

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148 Così a partire dalla innovativa decisione del Cons. St., Sez. V, 26 febbraio 1992, n. 154, in Foro amm.,1992, pag. 478, la quale profila già in nuce la sindacabilità ex officio da parte del giudice amministrativo dellaattitudine, in generale, degli atti di normazione secondaria ad innovare l’ordinamento giuridico; nello stessosenso anche Cons. St., Sez. V, 7 aprile 1995, n. 531, pure idem, 1995, pag. 900.149 Cfr. Cons. St., Sez. V, n. 1332/95, in Foro amm., 1995, 1892.1 5 0 Un’autorevole dottrina (CAIANELLO, Diritto processuale amministrativo, Torino, 1988, pp. 11 6 - 117) limitail potere di disapplicazione dell’atto amministrativo da parte del giudice ordinario solo all’ipotesi di sua inesisten-za, “...che risulti emanato al di fuori di un’apposita investitura normativa in capo all’amministrazione”, ricono-scendolo, invece, estensibile anche in presenza di uno dei tre vizi di legittimità, in sede di giudizio di opposizio-ne avverso l’irrogazione di sanzioni amministrative, in quanto “la lesione al privato per effetto delle statuizionicontenute in un atto amministrativo, avviene... non direttamente per effetto di tale atto, sibbene solo a seguitodella irrogazione della sanzione cui egli venga sottoposto per l’inosservanza del provvedimento”. Più sfumatarimane in giurisprudenza la ammissibilità del potere disapplicativo del giudice ordinario dell’atto amministrativoviziato da eccesso di potere: in senso contrario si segnala Cass. S.U. 3 novembre 1982, n. 5751, in Giust. civ.1983, I, 842; in senso invece favorevole all’ammissibilità si veda Cass. S.U., 26 maggio 1997, n. 4670 in F o r oi t. 1997, I, 2081 e in Giust. civ. 1997, I, 3090; ancora Cass., Sez. lav., 17 marzo 1982, n. 1740.151 “Il giudice ordinario, chiamato a conoscere degli effetti di un atto amministrativo che si assume nonconforme a legge, deve, ai fini della sua disapplicazione (che la legge n. 2248, all. E, del 1865 consente didichiarare con effetti limitati al giudizio in corso), accertare anche d’ufficio, in ogni stato e grado del processo,i presupposti di validità dell’atto stesso, ivi compreso quello della competenza ad emetterlo”; così Cass. S.U.,12 gennaio 1993, n. 270.152 la giurisprudenza della Cassazione ammette la disapplicazione (anche) del regolamento delegato daparte del giudice ordinario, basandolo sul potere dovere di quest’ultimo di riscontrare la costituzionalità e lalegittimità di un atto amministrativo normativo. Si veda tra le altre: Cass. 1 aprile 1982 n. 2006 in Riv. giur. edi -lizia 1983, I,29; Cass., 16 giugno 1981 n. 3928.

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La delega, infatti, trova la propria giustificazione nella necessità di demandare all’or-gano tecnico l’adozione dei criteri di capitalizzazione, i quali, oltre a rispettare lo specificodettato della norma dal quale tale organismo trae la propria competenza nella materia dequa, siano coerenti con i diversi schemi contrattuali bancari e facilmente intellegibili da partedel Cliente. Correlata a tale motivazione è l’altra relativa alla necessità di sottrarre alla fontecontrattuale la disciplina dell’anatocismo bancario.

Il sistema eretto dal Legislatore delegato del ‘99 si basa quindi su due capisaldi: da unlato l’enunciazione in sede di norma primaria, scilicet l’art. 120, comma 2°, T.U. bancario,del principio della pariteticità temporale nella contabilizzazione degli interessi, sia a debitoche a credito per il correntista, dall’altro la specificazione dei criteri di computazione degliinteressi demandata ad un organo tecnico, dotato di una propria e specifica competenza,distaccata da quella della Banca d’Italia.

Il sistema così delineato è però entrato in crisi nel momento in cui il C.I.C.R. non hacolto (o non ha voluto cogliere) l’ideale testimone trasmessogli dal legislatore, rinunciandodi fatto, con la mera clonazione del principio della pariteticità temporale del conteggio degliinteressi, ad ogni sforzo di specificazione della materia: il Comitato interministeriale si èstranamente astenuto dal considerare che la pariteticità temporale, cui avrebbe dovuto dareconcreto contenuto, non può prescindere in alcun modo dall’individuazione del tipo di saldoda prendere in considerazione ai fini dell’effettivo rispetto del principio stesso.

Omissione quest’ultima ancor più rimarchevole, ove si consideri la ricchezza del dibat-tito giurisprudenziale registrato sul problema della revocatoria fallimentare delle rimesse sulconto corrente del fallito, cui si è fatto cenno più sopra.

Il mancato assolvimento della delega determina un giudizio di non conformità della deli-bera C.I.C.R. del 9 febbraio 2000 rispetto all’art. 120, comma 2° del T.U. bancario, ma nonsolo, essendo del tutto evidente che l’omessa specificazione dei criteri in base ai quali con-siderare effettiva la suddetta pariteticità temporale pone ulteriori ed altrettanto delicati proble-mi applicativi, essendo profilabile l’eccezione di nullità e x artt. 1418, comma 2°, e 1325, n. 3,Cod. Civ., della correlata obbligazione ulteriormente accessoria, avente ad oggetto la capi-talizzazione degli interessi. Ed invero non è dato comprendere in base alla delibera C.I.C.R.9 febbraio 2000, quale delle tre tipologie di saldo (contabile, per valuta, disponibile) sia la piùidonea a rispettare il principio sancito dall’art. 120, comma 2°, T.U. bancario.

In particolare la sfasatura temporale che contraddistingue le tre tipologie di saldo di unconto corrente, portato dell’orientamento giurisprudenziale consolidatosi in tema di revoca-toria fallimentare delle rimesse sul conto corrente bancario, avrebbe dovuto indurre ilC.I.C.R. a specificare se il criterio di perequazione temporale nel computo degli interessi sia

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lo stesso che determina il saldo contabile, ovvero quello per valuta, o ancora quello dispo-nibile, essendo evidente che l’assumere l’uno piuttosto che l’altro alla base del computodegli interessi influenza sia l’an che il quantum debeatur dell’obbligazione ulteriormenteaccessoria, nella quale si ravvisa la capitalizzazione degli interessi.

Si può quindi affermare che nel sistema previgente l’entrata in vigore del nuovo testodel citato art. 120, t.u. bancario e del d.Lgs. n. 11/2010 (artt. 19-23), la pratica attuazione(del principio della) pariteticità del conteggio degli interessi, risultava così rimessa di fattoalle Banche, essendo, per quanto appena detto, intimamente connessa alle decorrenzedegli interessi, differenziate l’una dall’altra a seconda del tipo di operazione, secondo i pro-spetti riportati nei propri moduli contrattuali che le aziende di credito propongono ai propripotenziali clienti. Molto spesso, infatti, le valute sui versamenti di assegni o altri titoli pote-vano decorrere, a seconda delle combinazione delle due coppie di elementi “piazza/fuoripiazza” - “stessa banca/altra banca” riferiti entrambi alla dipendenza presso la quale èintrattenuto il rapporto bancario, dai tre sino ai dieci giorni lavorativi successivi la data dicontabilizzazione dell’operazione; laddove la valuta sui prelevamenti coincide o con la datadi emissione, se operato con assegni bancari, ovvero con quella dell’operazione, se si uti-lizza la carta bancomat.

Che la decorrenza delle valute connesse alle singole operazioni influenzi in concretoil conseguimento della pariteticità del loro conteggio lo si evince anche da nuovo testo del-l’art. 120, T.U.bancario, che, mantenuta l’originaria rubrica “Decorrenza delle valute emodalità di calcolo degli interessi”, oggi recita ai cui suoi primi tre commi, introdotti dall’art.4 del d.Lgs. 13 agosto 2010, n. 11 153:

“01. Il titolare del conto corrente ha la disponibilità economica delle somme relativeagli assegni circolari o bancari versati sul suo conto, rispettivamente emessi da o tratti suuna banca insediata in Italia, entro i quattro giorni lavorativi successivi al versamento.

1 Gli interessi sul versamento di assegni presso una banca sono conteggiati fino algiorno del prelevamento e con le seguenti valute:

a) dal giorno in cui è effettuato il versamento, per gli assegni circolari emessi dallastessa banca e per gli assegni bancari tratti sulla stessa banca presso la quale è effettua -to il versamento;

b) per gli assegni diversi da quelli di cui alla lettera a), dal giorno lavorativo successi -vo al versamento, se si tratta di assegni circolari emessi da una banca insediata in Italia, e

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1 5 3 Il testo previgente dell’art. 120, comma 1, per come modificato dall’art. 25 del d.Lgs. 4 agosto 1999, n. 342,recitava: “Gli interessi sui versamenti presso una banca di denaro, di assegni circolari emessi dalla stessa bancae di assegni bancari tratti sulla stessa succursale presso la quale viene effettuato il versamento sono conteggia -ti con la valuta del giorno in cui è effettuato il versamento e sono dovuti fino a quello del prelevamento” .

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dal terzo giorno lavorativo successivo al versamento, se si tratta di assegni bancari tratti suuna banca insediata in Italia;

1-bis. Il C.I.C.R. può stabilire termini inferiori a quelli previsti nei commi 1 e 1-bis inrelazione all’evoluzione delle procedure telematiche disponibili per la gestione del serviziodi incasso degli assegni” 154.

Lo sforzo di specificazione della decorrenza delle valute è stato esteso anche agli stru-menti di pagamento diversi dagli assegni circolari e bancari, con il rinvio, di cui al quarto commadel citato art. 120, agli articoli dal 19 al 23 del d.Lgs. 27 gennaio 2010, di “attuazione della diret -tiva 2007/64/CE, relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno, recante modifica alledirettive 97/7/CE, 2002/65/CE, 2005/60/CE, 2006/48/CE, e che abroga la direttiva 97/5/CE” .

La normativa in commento impone, pertanto, oggi alle Banche una tempistica preci-sa, e comunque non superiore a quella loro imposta, nella decorrenza delle valute, arrivan-do a coincidere quest’ultima con quella di annotamento sul conto della relativa operazione(comma 1 lett. a): si è voluto così evitare che l’azienda di credito in presenza di versamen-ti in cui è assente il rischio dell’insolvenza del terzo, come nel caso di quelli eseguiti percontanti o tramite propri assegni circolari, ovvero è immediatamente riscontrabile, come nelcaso di assegni tratti su conti correnti tenuti presso la stessa filiale, si avvantaggi ingiustifi-catamente nei confronti del correntista, applicando una differente valuta e quindi operandoun’indebita sospensione del decorso degli interessi.

L’effetto sanante della normativa entrata in vigore il 2010 non esclude però la perma-nenza del problema per la contabilizzazione degli interessi maturati tra il 22 aprile 2000 edil 13 gennaio 2011, 120esimo giorno successivo alla data di pubblicazione del.Lgs. n.141/2010 sul S.O. n. 212 alla G.U.R.I. del 4 settembre, stante la inattuazione da parte delC.I.C.R. della delega conferitagli in materia di pariteticità temporale nel computo degli inte-ressi sia a debito che a credito. Ne dovrebbe conseguire - il condizionale è d’obbligo atte-so quanto si esporrà in seguito con riferimento all’art. 2, comma 61, della legge 26 febbraio2011, n. 10 di conversione del d.l. 29.12.2010, n. 225 (cd. “decreto mille proroghe”) - che ilGiudice non essendo in grado di verificare nel caso concreto la sussistenza del presuppo-sto formale, scilicet la pariteticità temporale, che legittima la capitalizzazione degli interes-si, potrebbe però disapplicare per le ragioni più sopra esposte la delibera del 9 febbraio2000: il saldo contabile, infatti, è del tutto improprio ed inadeguato a comprovare se laBanca abbia o meno rispettato il criterio della pariteticità temporale nella contabilizzazionedegli interessi sia a debito che a credito.

1 5 4 La numerazione dei commi dell’art. 120, per come introdotti dall’art. 4 del d.Lgs. 13 agosto 2010, n. 141,è stata modificata secondo l’ordine indicato nel testo dall’art. 3, comma 3, del d.Lgs. 14 dicembre 2010, n. 218.

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Ed invero nelle intenzioni del Legislatore delegato del ‘99, per sedare i problemi indot-ti sul sistema bancario dalle sentenze della primavera dello stesso anno, si era ritenuto diattuare la deroga dell’art. 1283, Cod. Civ., in base ad una norma di eguale rango, l’art. 120,comma 2°, T.U. bancario, superando, mercé l’enunciazione del principio della pariteticitàtemporale, i problemi connessi all’iniziale ablativo assoluto della disposizione codicistica.

Consapevole però che il rapporto tra la norma derogata e quella derogante non è soloun problema di equiordinazione nella gerarchia delle fonti, ma investe anche il rapporto tra iltesto normativo derogato e quello derogante, e che pertanto la mera enunciazione del prin-cipio non è di per sé sufficiente a sortire l’effetto giuridico sperato, il Legislatore del ‘99 avevademandato il completamento, e quindi il pieno raggiungimento dell’effetto derogante, alComitato interministeriale, competente a specificare quei criteri e quelle modalità di calcolodegli interessi idonei a consentire il rispetto (del principio) della pariteticità temporale.

La delibera C.I.C.R., quindi, partecipava, nel senso di completarlo, alla piena esplica-zione dell’effetto derogatorio dell’art. 1283, Cod. Civ., di cui all’art. 120, comma 2°, T.U. ban-cario, almeno nel testo previgente le modifiche apportate dal d.Lgs. n. 141/2010, sicché lamancata indicazione dei criteri e delle modalità da parte del Comitato interministeriale neha impedito l’esplicarsi della funzione derogatoria assegnatagli: si è visto più sopra come ilrapporto tra norma derogata e norma derogante deve essere sempre un rapporto tra genuse species. È quindi evidente che nel previgente testo l’art. 120, comma 2°, T.u. bancario, inassenza di una chiara specificazione dei criteri e delle modalità di contabilizzazione degliinteressi, atti a garantire l’identica pariteticità temporale sia per gli interessi a credito cheper quelli a debito del cliente, non possedeva quel carattere di species, idoneo a realizza-re l’effetto derogatorio dell’art. 1283, Cod. Civ..

La conclusione alla quale si è appena pervenuti comporta due ulteriori corollari, sem-pre però riferiti agli interessi maturati prima del 13 gennaio 2011: il primo si sostanzia nellaconsiderazione che in assenza di specificazione dei criteri e delle modalità da parte delC.I.C.R., la clausola contrattuale che prevede la contabilizzazione con la identica periodi-cità sia per gli interessi a debito che per quelli a credito del cliente, non è da sola idonea aderogare l’art. 1283, Cod. Civ., essendo palese la volontà del Legislatore delegato del ‘99di sottrarre dal terreno contrattuale la tematica dell’anatocismo bancario, pena, in caso con-trario l’insorgere di un nuovo uso contrattuale, comunque inidoneo a legittimare la produ-zione di interessi sugli interessi scaduti.

Il secondo corollario si incentra sulle considerazioni svolte più sopra in merito allediverse tipologie di saldo enucleabili nell’ambito del conto corrente bancario, sicché il prin-cipio della pariteticità temporale della contabilizzazione degli interessi sia a debito che a

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credito per il cliente non può prescindere dai criteri di computo degli interessi: ritenere, per-tanto, che il compito assegnato dal Legislatore delegato del ‘99 al C.I.C.R. non ricompren-desse anche la specificazione di tali criteri significa frustrare la ratio stessa della delega dicui all’art. 120, comma 2°, T.U. bancario e, soprattutto, impedire di fatto l’attuazione del prin-cipio della partiteticità temporale.

Ricostruita in tali termini la centralità che ha assunto, almeno sino al 12 gennaio 2011,la delibera C.I.C.R. in commento, e considerata che essa si è limitata a clonare il principioenunciato dall’art. 120, comma 2°, T.U. bancario, si constata che quella emanata dal citatoorgano il 9 febbraio 2000, sia venuta meno all’imprescindibile funzione specificativa neces-saria per completare l’effetto derogativo dell’art. 1283, Cod. Civ..

10. Una diversa ricostruzione dell’anatocismo bancario: la capitalizzazione degliinteressi a debito del correntista, come clausola penale - La reductio ad aequitatem

Permane comunque il problema della sorte della capitalizzazione degli interessi matu-rati sino al 12 gennaio 2011, nel caso in cui si dovesse ritenere che la soluzione propostanel precedente paragrafo, ossia la disapplicazione della delibera C.I.C.R. 9 febbraio 2000,una sorta di fuga in avanti, tale da rappresentare, per complessive ragioni di giustizia, unpotenziale pericolo per gli attuali assetti Banche - Clienti, per come ricomposti dalla legisla-zione delegata del ‘99.

La nuova formulazione dell’art. 120, introdotta dal d.Lgs. n. 141/2010, sembra peral-tro avere diminuito quella sorta di elasticità contabile che aveva contraddistinto il previgen-te sistema di computo degli interessi.

Riportato in tale ambito l’interesse alla qualificazione giuridica dell’anatocismo banca-rio, si rileva che, una volta attribuitagli ex lege la capacità derogatoria dell’art. 1283, Cod.Civ., la sua giustificazione causale può essere attinta ricorrendo ad istituti giuridici, la cuiapplicazione era prima preclusa dal timore di aprire pericolosi varchi nel muro del divietoimposto dall’art. 1283, Cod. Civ..

Il riferimento è alla clausola penale, e quindi alla possibilità per i contraenti di stabilireche l’inadempimento di una di esse legittimi l’altra, creditrice, a pretendere il pagamento diun’ulteriore somma di danaro, pari al saggio convenzionale applicato sulla somma degliinteressi moratori e del capitale, che la giurisprudenza di legittimità non ha mai accolto 155.

Occorre, pertanto, verificare la correttezza di un siffatto atteggiamento della giurispru-denza tendente a negare la cittadinanza nel nostro ordinamento giuridico ad una clausolapenale predeterminata sulla capitalizzazione degli interessi.

155 Cfr. Cass. civ., sez. III, n. 17813 del 18.09.2002.61

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La funzione della pattuizione in esame viene ravvisata nella facoltà dei contraenti didisciplinare “gli effetti dell’inadempimento in modo diverso d quello stabilito dalla legge, con -cordando una preventiva e convenzionale liquidazione del danno. Tale conclusione nonmuta il fatto che in tale clausola può essere ravvisata anche una funzione punitiva, perchénella sua stipulazione si commina una sanzione per l’inadempimento, consistente in unaprestazione che il contraente inadempiente dovrà effettuare all’altro indipendentemente daldanno sofferto da quest’ultimo” 156.

La configurabilità della clausola penale determinata sulla base del computo degli inte-ressi sugli interessi già scaduti può ritenersi fondata sulla considerazione che essa è colle-gata ad un ritardo nella corresponsione di questi ultimi da parte del correntista, nel sensoche le rimesse successive al loro annotamento non ne estinguano, o lo estinguano solo inparte, il relativo ammontare.

Per altro verso, la Banca in costanza del rapporto del conto corrente bancario non puòpretendere l’adempimento della obbligazione principale, scilicet del saldo debitore, essen-do tenuta a mantenere la disponibilità concessa al correntista. Ne discende che la clauso-la penale in questione disciplina un caso di ritardo nell’adempimento, che ne legittima lacoesistenza con il diritto del creditore a richiedere al debitore l’adempimento dell’obbliga-zione principale (arg. ex art. 1383, secondo lemma, Cod. Civ.) 157.

Rileva, inoltre, a favore della configurabilità di una clausola penale nel senso qui ipo-tizzato la considerazione che la delibera C.I.C.R. del 9 febbraio 2000 prevede espressa-mente che, intervenuto il recesso dal conto corrente bancario, viene meno la capitalizzazio-ne degli interessi maturati successivamente alla chiusura del rapporto stesso 158, effettoquest’ultimo giustificato in base alla consequenziale immediata esigibilità per la Banca delcredito derivante dal saldo liquidato, costituente l’obbligazione principale: torna così ad ope-rare la regola stabilita nel primo lemma dell’art. 1383, Cod. Civ., che sancisce la inderoga-bile alternatività tra l’adempimento dell’obbligazione principale e quello della prestazioneaccessoria imposta al debitore dalla clausola penale.

Ritenere che nell’attuale sistema dell’anatocismo bancario la relativa clausola sia qua-lificabile come clausola penale non è il frutto di un mero estetismo giuridico, ma è finalizza-to a suscitare nel giudice l’esercizio del potere riconosciutogli dall’art. 1384, Cod. Civ. di

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156 Così Cass. civ., sez. III, n. 9295 del 26.6.2002.157 Sull’interpretazione della norma estesa anche al lemma, si veda l’originale contributo di Sergio SABET-TA, “L’interpretazione del comma: la norma quale ricombinazione multidimensionale”, del 23.02.2008, rinve-nibile su www.altalex.com ed ivi pubblicato il 23.2.2008.158 L’articolo 2, comma 3°, prevede, infatti, che “il saldo risultante a seguito della chiusura definitiva del contocorrente può, se contrattualmente stabilito, produrre interessi. Su questi interessi non è consentita la capita -lizzazione periodioca”.

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diminuirne anche ex officio 159 l’ammontare, qualora “l’obbligazione principale è stata ese-guita in parte ovvero se l’ammontare della penale è manifestamente eccessivo, avuto sem-pre riguardo all’interesse che il creditore aveva all’adempimento”.

La mancata enucleazione dei criteri in base ai quali valutare l’effettiva pariteticità tempo-rale nel computo degli interessi potrebbe però determinare anche la nullità parziale della clau-sola relativa alla capitalizzazione degli interessi, argomentando dal combinato disposto degliartt. 1418, comma 2° e 1346 Cod. Civ. per la mancanza del requisito essenziale di cui all’art.1325 n. 3, Cod. Civ.: l’oggetto. Si potrebbe però ritenere che ricorra nella fattispecie in esamel’opzione offerta dall’art. 1349 comma 1, seconda parte, Cod. Civ., assumendo che la deter-minazione dell’oggetto della pattuizione in esame sia stata rimessa ad un terzo, il C.I.C.R.,che avendola di fatto omessa, abilita il giudice a sostituirsi ad esso onde procedervi.

11. La prescrizione dell’azione di ripetizione di indebito per il pagamento degliinteressi capitalizzati

I precedenti paragrafi hanno evidenziato come la capitalizzazione degli interesse nondeve essere confusa con la loro contabilizzazione, non mancando però di sottolinearecome quest’ultima non può prescindere da una corretta rappresentazione contabile deimovimenti registrati sul conto che sia coerente con il principio, così solennemente afferma-to dall’art. 120 comma 2, t.u. bancario, per come già modificato dall’art. 25 del d.Lgs. n.342/99, della pariteticità temporale degli interessi sia a debito che a credito del Cliente.

La dimostrazione che la provvista delle rimesse successive alla liquidazione degli inte-ressi a debito del correntista venga portata in compensazione di questi ultimi sino alla com-pleta estinzione della correlata obbligazione, individua il termine iniziale dal quale decorrela prescrizione dell’azione di ripetizione delle somme indebitamente utilizzate dalla Bancaai fini della estinzione dell’obbligazione ulteriormente accessoria relativa agli interessi ana-tocistici, sul presupposto che si controverta con riferimento a quelli maturati prima del 22aprile 2000, data di entrata in vigore della più volte citata delibera C.I.C.R. del 9 febbraiodello stesso anno.

La questione è stata oggetto di una recente sentenza della Cassazione a SezioniUnite, la n. 24418 del 2 dicembre 2010 160, la quale intervenuta per comporre un contrasto

159 Con la sentenza n. 18128/2005, le Sezioni Unite civili della Cassazione, ponendo fine ad un contrastogiurisprudenziale avente per oggetto il potere del giudice di ridurre l’importo della clausola penale ex art. 1384del codice civile, hanno affermato il principio in base al quale il giudice può esercitare tale potere anche d’uf-ficio e in mancanza di una specifica domanda da parte del soggetto che sarebbe tenuto al pagamento.160 La sentenza risulta pubblicata in varie riviste, tra le quali si segnalano: Guida al diritto 2011, 1, 74 connota di Mastromarino; Diritto&Giustizia 2010 con nota di MILIZIA.

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insorto sul punto 161, ed assunto a fondamento la tesi qui osteggiata della natura unitaria delconto corrente bancario di corrispondenza già enunciata da altri precedenti pronunciamen-ti 162, ha affermato che il termine della prescrizione decennale 163 - perché riferito all’azioneex art. 2033 Cod. Civ. senza che possa trovare applicazione quello quinquennale previstodall’art. 2948 n. 4, Cod. Civ. - per la restituzione delle somme indebitamente corrisposte dalcorrentista alla propria banca in applicazione della clausola anatocistica, decorre dalla datadella definitiva chiusura del rapporto creditizio.

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1 6 1 Cass. civ., sez. I, 3 maggio 1999 n. 4389 in B . B . T. C . 2 0 0 0, II, 505, che ha affermato con riferimento al libretto dideposito a risparmio con clausola al portatore “La prescrizione del diritto alla restituzione delle somme depositate neldeposito bancario inizia a decorrere non già dalla data della richiesta di restituzione e neppure da quella del rifiutodella banca ma dal giorno in cui il depositante poteva richiederla restituzione, ossia o dal giorno stesso della costitu -zione del rapporto ovvero da quello dell’ultima operazione compiuta, se il rapporto si sia sviluppato attraverso accre -ditamenti e prelevamenti: ciò in quanto, essendo il diritto alla restituzione un diritto di credito nel quale si è converti -to il diritto di proprietà del depositante, il mancato esercizio di siffatto diritto dà luogo immediatamente a quello statodi inerzia che è il presupposto della prescrizione (massima non ufficiale). La sentenza è annotata da BRIOLINI. L’ A .riporta nella nota 20 del proprio scritto ulteriori riferimenti giurisprudenziali nello stesso senso della sentenza annota-ta: Cfr., Cass., 24 gennaio 1979, n. 535, in questa B . B . T. C ., 1981, II, p. 11; Cass., 21 marzo 1963, n. 689, in B . B . T. C .,1963, II, p. 12, con nota adesiva di FAVARA, Sulla decorrenza della prescrizione nei depositi in conto corrente, e d i nR i v. dir. comm., 1963, II, p. 378, con nota critica di G. FERRI, Deposito bancario in conto corrente e prescrizione deldiritto alla restituzione; in F o r o . i t. 2000, I, 3306. Per la giurisprudenza di merito: Trib. Genova, sez. VI, 18 ottobre 2006,in Foro padano 2007, 3-4- 493, con nota di GHIGLIOTTI; Trib. Genova 4 gennaio 2008, in Guida al diritto 2008, 1883, la cui massima così recita: “In materia di ripetizione di indebito il termine di prescrizione comincia a decorrere, aisensi dell’art. 2935 c.c., dal giorno in cui il diritto alla ripetizione può essere fatto valere. Il “dies a quo”, secondo uncriterio di generale applicazione, coincide con quello in cui è stato effettuato il pagamento indebito, vale a dire, conriguardo all’arbitraria capitalizzazione trimestrale degli interessi da parte di un istituto di credito, con quello in cui gliinteressi passivi vengono effettivamente percepiti dalla banca, normalmente mediante compensazione contabile conle poste attive a favore del correntista. Quando il conto è in attivo, tale percezione avviene al momento della liquida -zione e imputazione sul conto, sì che deve escludersi che il momento iniziale del termine di prescrizione decennaledecorra dalla chiusura definitiva del rapporto. Quando invece il conto è in passivo non vi è percezione effettiva di inte -ressi da parte della banca ma un incremento del suo credito, per cui non decorre alcun termine prescrizionale. Laprescrizione infatti, come già evidenziato, opera allorché il correntista agisca per la ripetizione di un indebito e quin -di presuppone un pagamento effettivo. (Esemplificando, precisa il giudicante, può osservarsi che l’azione di ripetizio -ne, e di conseguenza la relativa prescrizione, è ipotizzabile - oltre che nel momento in cui un conto corrente sia statoestinto con il pagamento delle relative passività - quando, nel corso del rapporto, il saldo, a seguito di versamenti ese -guiti dal correntista, sia divenuto anche temporaneamente attivo, essendo stati in qual momento pagati tutti i pregres -si interessi, anche anatocistici e le spese legittimamente o illegittimamente addebitate dalla banca. Poiché nella fat -tispecie il saldo dei conti è sempre stato passivo, si è affermato, conclusivamente, che il termine di prescrizione hacominciato a decorrere dopo la chiusura e non è decorso alla data di instaurazione della causa)”. Sempre l’A. citatoindica anche la dottrina favorevole alle tesi seguita dalla massima della sentenza annotata: MOLLE, Depositi banca -ri e prescrizione, i n B . B . T. C ., 1964, I, p. 554 ss.; ID., voce Deposito bancario, in Noviss. Digesto it., V, Torino, 1964,p. 526 s.; FAVARA, Sulla decorrenza della prescrizione, cit., p. 12 e ss..162 Cass. civ. 9 aprile 1984, n. 2262, in Giust. civ. Mass. 1984, fasc. 3-4. e Cass. civ. 14 maggio 2005, n.10127, in Riv. dir. comm. 2005, 7/8/9, 163 con nota di COLOMBO.163 In tal senso la giurisprudenza di merito. Cfr. ex multis: Trib. Bari, sez. II, 5 maggio 2005, n. 1012, inGiurisprudenzabarese.it 2005; Trib. Bergamo 29 maggio 2006 in Corriere del merito 2006, 8-9 981; Trib.Cassino 29 ottobre 2004, in Corriere del merito 2005, 12; Trib. Messina, sez. I, 18 marzo 2005, che impro-priamente afferma che “detto termine inizia a decorrere solo dal passaggio in giudicato della sentenza chedichiari la nullità della clausola, poiché prima di tale momento permane l’esistenza del titolo che aveva datoluogo al versamento della somma ed è esclusa la possibilità legale dell’esercizio del diritto”.

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In realtà “... la distanza tra le due posizioni appare meno netta di quanto potrebbesembrare, considerata l’intrinseca idoneità di atti della banca, quali l’accreditamento ovve -ro la capitalizzazione degli interessi, ad interrompere il decorso della prescrizione, in quan -to implicitamente ricognitivi del diritto del cliente-creditore (ex art. 2944 c.c.)” 164.

Al principio affermato dalle Sezioni Unite nell’esercizio del proprio fondamentale pote-re nomofilattico, prerogativa che il Giudice di Legittimità intende esercitare con sempremaggiore frequenza per un’evidente ragione deflattiva del contenzioso civile al cui perse-guimento contribuisce anche l’art. 360 bis n. 1), Cod. Proc. Civ., si è però contrapposto ilLegislatore che con la legge 26.2.2011 n. 10 (in G.U.R.I. di pari data) di conversione del d.l.29.12.2010 n. 225, ha previsto all’art. 2, comma 61 che “in ordine alle operazioni bancarieregolate in conto corrente l’articolo 2935 del codice civile si interpreta nel senso che la pre -scrizione relativa ai diritti nascenti dall’annotazione in conto inizia a decorrere dal giornodell’annotazione stessa. In ogni caso non si fa luogo alla restituzione degli importi già ver -sati alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto.”

Ne è scaturito un vivace dibattito che ha già condotto taluni Giudici 1 6 5 a sollevare laquestione di legittimità costituzionale della norma in commento, secondo una griglia di ecce-zioni che contemplano l’impatto della nuova disposizione sui giudizi in corso e la consequen-ziale lesione del diritto ad agire in giudizio (art. 24), l’ingiustificata disparità di trattamento el’irragionevolezza (art. 3) e l’indebita appropriazione da parte del Legislatore delle prerogati-ve proprie della funzione giurisdizionale per come solennemente consacrate nell’art. 102Cost., non mancando peraltro di sottolineare l’assenza dei presupposti che secondo la giu-risprudenza costituzionale possono legittimarlo all’emanazione di norme interpretative 1 6 6.

Nell’assenza alla data di definizione del presente scritto dell’esito delle questioni dilegittimità così sollevate dai diversi giudici e rilevato che la sentenza delle Sezioni Unitemuove da un presupposto, quello della unitarietà del contratto di conto corrente bancarioche si contesta per le ragioni più sopra esposte, si tenterà di fornire una diversa chiave dilettura al poco edificante esempio di legislazione espropriativa rappresentato dall’art. 2comma 61 della legge n. 10/2011.

Si è cercato di dimostrare che la rappresentazione contabile non può in alcun modoassurgere a fonte delle reciproche obbligazioni al cui adempimento sono tenuti reciproca-mente, l’uno verso l’altra, il Cliente e la Banca in base al contratto di conto corrente banca-rio. L’annotazione in conto ha infatti lo scopo ben diverso di quantificare l’importo comples-

164 Così BRIOLINI, op.loc.cit. alla nota 161, in B.B.T.C. 2000, II, p. 522.165 Ex multis Trib. Benevento, ordinanza 10.3.2011; Trib. Brindisi, sez. dist. Ostuni, ordinanza 10.3.2011.1 6 6 Si vedano e x m u l t i s le sentenze n. 374/2002, n. 26/2003, n. 274/2006, n. 234/2007, n. 170/2008, n. 24/2009.

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sivo di cui il correntista può disporre secondo la propria discrezione e ciò a prescindere sela provvista derivi da un deposito ovvero da un’apertura di credito.

Assumono pertanto rilievo preminente i criteri da utilizzare per determinare giorno pergiorno l’esatto ammontare della somma di cui può disporre il correntista, con l’avvertenzache questi criteri influiscono in maniera preponderante anche sulla quantificazione dell’am-montare degli interessi che, a seconda del contraente che ne è creditore, devono esserecorrisposti da chi ha goduto del capitale altrui.

In tal senso la rilevata assenza della normativa secondaria circa i criteri in base aiquali garantire l’unica condizione legittimante la deroga al divieto di anatocismo di cuiall’art. 1283 Cod. Civ., la pariteticità temporale nel conteggio degli interessi sia debito chea credito, solo parzialmente e comunque tardivamente superata dal nuovo testo dell’art.120 del t.u. bancario, porta a ritenere che possa essere esclusa l’applicazione dell’art. 2,comma 61, della legge n. 10/2011, in base al noto brocardo contra non valentem agerenon currit praescriptio.

Il decorso della prescrizione, infatti, presume che il titolare del diritto sia nelle condi-zioni oggettive e soggettive di esercitarlo: solo ricorrendo entrambe, infatti, si può radicarenei consociati il convincimento che il mancato esercizio è stato l’inequivocabile frutto di unascelta del titolare di abbandonare il proprio diritto.

La prima parte dell’art. 2, comma 61, della legge n. 10/2011, dimentica del tutto chel’annotamento degli interessi maturati nell’arco di tempo precedente la chiusura periodicadel conto non determina, in sé e per sé considerato, la nascita dell’obbligazione avente adoggetto la restituzione degli interessi anatocistici: perché ciò avvenga è necessario che lerimesse successive a tale annotamento non siano sufficienti in tutto o in parte ad estingue-re il pagamento degli interessi semplici già liquidati.

Sennonché, la più volte rilevata inattuazione da parte del C.I.C.R. della delega confe-ritagli legislatore con l’art. 120, comma 2, del d.Lgs. n. 385/1993, in uno alla mancata espo-sizione negli estratti conto dell’annotamento relativo al pagamento degli interessi anatoci-stici che ai sensi del precedente art. 119, le Banche devono inviare periodicamente ai pro-pri Clienti, rende legittima la domanda se effettivamente sia configurabile il decorso del ter-mine di prescrizione per il Correntista con riferimento alla (domanda di) ripetizione del paga-mento (indebito) eseguito.

Con l’ulteriore precisazione che l’estratto conto, contemplando solo la liquidazione degliinteressi semplici, non implica necessariamente anche la data del pagamento degli interes-si dovuti in applicazione della loro capitalizzazione, sicché risulta oggettivamente incerta l’in-dividuazione del momento in cui la Banca procede all’annotamento di tale atto solutorio.

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Gli estratti conto, infatti, espongono al di fuori del prospetto contenente la registrazionedelle operazioni secondo il criterio temporale, solo i cd. “valori numerari” 1 6 7 che, nell’assenza dielementi idonei a verificarne l’esattezza, vengono portati dalla Banca in compensazione, se acredito, ovvero sommati, se a debito, alle spese per la tenuta del conto dovute dal Correntista.

Si aggiunga a quanto precede il doveroso riferimento alla normativa comunitaria chepretende la puntuale esposizione di tutti i costi accessori dovuti al professionista che erogaun servizio, normativa che con riferimento al settore creditizio è contenuta nella direttiva2007/64/CE 168, relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno, recante modifica delledi-rettive 97/7/CE, 2002/65/CE, 2005/60/CE, 2006/48/CE ed abrogativa della 97/5/CE, cheè stata recepita nel nostro ordinamento con il d.Lgs. 27 gennaio 2010, n. 11 (in S.O. n. 29alla G.U.R.I. 13 febbraio 2010, n. 36).

Si legge nel considerando n. 26 della citata direttiva 2007/64/CE, che “... la presentedirettiva dovrebbe confermare il diritto del consumatore di ricevere informazioni importantia titolo gratuito prima che sia vincolato da qualsiasi contratto di servizi di pagamento. Il con -sumatore dovrebbe inoltre poter esigere informazioni preventive nonché il contratto quadrosu supporto cartaceo a titolo gratuito in ogni momento nel corso del rapporto contrattualein modo da consentirgli di paragonare i servizi resi dai prestatori di servizi di pagamento ele relative condizioni e verificare in caso di controversie i suoi diritti e obblighi contrattuali.Tali disposizioni dovrebbero rispettare la direttiva 2002/65/CE.”.

Date siffatte premesse, ne consegue che potrebbe trovare applicazione la sospensio-ne prevista dall’art. 2941 n. 8), Cod. Civ., a tenore del quale la prescrizione rimane sospe-sa “tra il debitore che ha dolosamente occultato l’esistenza del debito ed il creditore, finchéil dolo non sia scoperto”: la sospensione della prescrizione avrebbe ad oggetto il diritto delcorrentista ad agire ex art. 2033 Cod. Civ. nei confronti della propria banca debitrice per larestituzione di quanto eventualmente indebitamente pagato a titolo di interessi anatocistici.

La Cassazione ha di recente affermato che “in tema di sospensione della prescrizio -ne di un diritto, l’occultamento doloso è requisito diverso e più grave della mera omissionedi un’informazione, la quale ha rilievo, ai fini della detta sospensione, soltanto se sussistaun obbligo di informare” 169: si perviene così ad una perfetta equiparazione ai fini della

167 I valori numerari sono quelli che esprimono una modifica degli elementi del patrimonio aziendale cioèdella disponibilità di condizioni produttive monetarie. In pratica, sono valori numerari il denaro contante e ognialtro mezzo di regolamento ad esso assimilabile (debiti e crediti). Nei vecchi estratti conto i numerari veniva-no esposti analiticamente secondo l’andamento giornaliero del conto corrente, in modo tale da offrire una piùprecisa esposizione della loro quantificazione.168 Per un commento si rimanda a MUCCIARIONE, La liceità delle “spese secondarie” nelle operazioni ban -carie: l’impatto della direttiva 2007/64/CE sui servizi di pagamento, in B.B.T.C. 2010, 01, 0062.1 6 9 Così Cass. civ., Sez. III, 29 gennaio 2010, n. 2030, in Giust. civ. Mass. 2010, 1, 124; in Red. Giust.c i v. Mass. 2010, 1.

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sospensione della prescrizione tra l’occultamento doloso e quello posto in essere in viola-zione di uno specifico obbligo di informazione previsto dalla legge.

Del resto già in precedenza la Cassazione aveva affermato che “ai fini dell’applicazio -ne della causa di sospensione della prescrizione prevista dall’art. 2941 n. 8 c.c. in caso didoloso occultamento del debito da parte del debitore, è necessario che il debitore abbiaposto in essere un comportamento che sia intenzionalmente diretto ad occultare al credito -re l’esistenza dell’obbligazione e che si concretizzi in una condotta ingannatrice, fraudolen -ta e tale da comportare per il creditore una vera impossibilità di agire e non una mera diffi -coltà di accertamento del credito” 170.

Si ottiene così un ulteriore ampliamento dell’ambito applicativo dell’art. 2941 n. 8, Cod.Civ., ricorrendo ad una sua interpretazione sulla scorta dei principi di ordine generale dellabuona fede e della correttezza che permeano anche la fase esecutiva del contratto, per cuinon si può imporre al correntista una conoscenza della matematica attuariale che è appan-naggio di pochi rispetto alla moltitudine di persone che ne ignorano persino l’esistenza.

...In memoria di Peppino

68170 Così Cass. civ. Sez. I, 3 maggio 1999, n. 4389 - sez. I, citata alla precedente nota 161.