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A Florian Göbel (1972-2008)

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Alessandro De Angelis

L’enigmadei raggi cosmiciLe più grandi energiedell’universo

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ALESSANDRO DE ANGELISMax Planck Institute for Physics, Monaco di Baviera

Collana i blu – pagine di scienza ideata e curata da Marina Forlizzi

ISSN 2239-7477 e-ISSN 2239-7663

ISBN 978-88-470-2046-7 e-ISBN 978-88-470-2047-4DOI 10.1007/978-88-470-2047-4

© Springer-Verlag Italia 2012

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Coordinamento editoriale: Pierpaolo RivaImpaginazione: le-tex publishing services GmbH, Leipzig, GermaniaLayout copertina: Ikona, MilanoImmagine di copertina: Il resto della supernova nella nebulosa del Granchio,immagine del satellite Chandra della NASAStampa: GECA Industrie Grafiche, Cesano Boscone (MI)

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Prefazione

Questo libro ripercorre tutta la storia delle misteriose radiazioniscoperte agli inizi del XX secolo e la serie di esperimenti che ar-rivarono a sfatare l’idea che provenissero dall’interno della terrae a provare la loro natura extraterrestre. È una storia che mostraanche con evidenza come il progresso scientifico sia un’impresacollettiva e soprattutto vuole rendere giustizia a un fisico italiano,Domenico Pacini, che per primo ideò una nuova tecnica per la mi-sura delle radiazioni, provando la loro origine extraterrestre. Il suodecisivo esperimento fu fatto nel giugno 1911, un anno prima diquello dell’austriaco Victor Hess, che invece fu universalmente ri-conosciuto come lo scopritore dei raggi cosmici e per questo ebbeil premio Nobel per la fisica nel 1936, quando Pacini era morto dadue anni e il suo lavoro dimenticato.

La tecnica di Pacini consisteva nel misurare la misteriosa radia-zione in montagna, a livello del mare e poi sott’acqua. L’esperimen-to fu compiuto nel golfo di Genova e poi nel lago di Bracciano.Poiché la radiazione ionizzante diminuiva con la profondità, Paciniconcluse che non poteva venire dalla crosta terreste, ma dall’alto.

L’austriaco Hess condusse invece una serie di misure da terra eda pallone a varie altezze. Nell’agosto 1912 raggiunse l’altezza di5 200 metri e arrivò alla conclusione che il grado di ionizzazionecresceva con l’altezza e quindi la causa ionizzante doveva veniredall’alto.

Prima e durante la grande guerra molti scienziati si cimentaro-no in questo genere di misure, sia utilizzando la tecnica di Pacinisia quella di Hess. Si riteneva che la radiazione ionizzante fosse dinatura elettromagnetica, quella più energetica – raggi gamma ge-nerati da “cambiamenti nucleari” secondo lo statunitense Millikan.Fu solo nel 1932 che Compton mostrò che si trattava di particellecariche e solo nel 1941 furono identificate essere in maggioranzaprotoni. Grazie ai raggi cosmici fu scoperta la prima particella di

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antimateria, l’antielettrone o positrone, e poi i mesoni e altre par-ticelle instabili. Insomma i raggi cosmici sono stati i primi accelera-tori di particelle naturali fino agli anni ’50 quando cominciò la co-struzione dei primi acceleratori. Oggi la fisica delle astro particel-le è divenuta un campo di ricerca interdisciplinare fondamentaleper la ricerca della materia oscura e si stanno sviluppando strut-ture per la misura dei raggi cosmici più energetici sia da terra siadallo spazio, prodotti dai resti di supernove e dalle ancora pococonosciute regioni centrali delle galassie.

Molto interessante è la parte del libro in cui si riporta la corri-spondenza fra Pacini e Hess. In una lettera del 6 marzo 1920 a Hess,Pacini si congratula per l’importanza e la chiarezza di esposizionedi alcuni lavori, ma lamenta che non siano stati citati i lavori ita-liani sull’argomento e a cui spetta la priorità. Hess risponde moltogentilmente il 17 marzo adducendo a giustificazione che l’articoloera la pubblicazione di una conferenza divulgativa, senza pretesadi dare una citazione completa di tutti i lavori sull’argomento.

Ma il 12 aprile Pacini scrive ancora che in un articolo appar-so su una rivista specializzata Hess cita molti lavori ma dimenti-ca completamente di citare ancora una volta i lavori relativi allesue misure sotto la superficie del lago di Bracciano che portaronoalle conclusioni che lui, Hess, confermò con le sue esperienze inpallone.

Oggi gli scambi di corrispondenza, grazie alla posta elettroni-ca, sono molto più rapidi, e l’uso di quell’esperanto scientifico cheè diventato l’inglese facilita la lettura di testi di colleghi stranieri.Pacini scriveva in italiano, Hess in tedesco e le pubblicazioni nonviaggiavano come ora alla velocità della luce (o quasi). Comun-que fatti del genere succedono ancora oggi e ognuno di noi neavrebbe qualcuno da raccontare. In particolare gli americani nonsempre leggono le riviste europee e a volte riscoprono l’ombrello.

Edoardo Amaldi in una lettera del 14 luglio 1941 al direttoredell’Istituto di Fisica Antonino Lo Surdo dichiarava che non c’eraalcun dubbio che Pacini era lo scopritore dei raggi cosmici. Questalettera fu causata da una paradossale affermazione del giornale IlTevere che il 2 luglio 1941 scriveva che la fisica nucleare e la fisicadei raggi cosmici erano “scienze giudaiche”! A che aberrazioni puòportare una dittatura. Grazie proprio a essa dobbiamo la perditadi grandi fisici come Fermi, Bruno Rossi, Segrè, tutti emigrati negliStati Uniti in conseguenza delle leggi razziali del ’38 – una delle

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IXPrefazione

pagine più vergognose della storia d’Italia e d’Europa. ComunqueAmaldi ribadiva che questa affermazione era molto strana per chisa che l’italiano Domenico Pacini, un non ebreo, fu lo scopritoredei raggi cosmici.

Il libro conclude riportando, per i più esperti di scienze fisiche,tre articoli originali che descrivono alcune fra le esperienze pionie-ristiche legate allo studio dell’origine e delle proprietà della radia-zione ionizzante.

La lettura di questo libro, oltre a far capire come procede lascienza, come ogni scoperta avvenga col contributo più o menocosciente di molte persone, vuole essere un tributo alla memoriadi un grande scienziato dimenticato.

Maggio 2011 Margherita Hack

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Indice

Prefazione VII

Introduzione XIII

Capitolo 1

I raggi cosmici 1

Capitolo 2

Gli inizi della ricerca sui raggi cosmici 9

2.1 L’enigma della ionizzazione dell’atmosfera 102.2 Il contributo di padre Wulf 16

Capitolo 3

Pacini e le misure di attenuazione in acqua 19

3.1 Pacini: una breve biografia 193.2 Il contributo di Pacini alla ricerca 233.3 La via che portò Pacini a formulare l’ipotesi

della radiazione extraterrestre 26

Capitolo 4

Hess e lemisure su pallone aerostatico 33

4.1 I precursori: Gockel e Bergwitz 334.2 L’ambiente culturale viennese all’inizio del ’900 354.3 Victor Hess 364.4 La conferma da parte di Kolhörster 444.5 L’85o congresso dei fisici e dei medici di lingua tedesca 44

Capitolo 5

Sviluppi dopo la prima guerramondiale 47

5.1 I raggi cosmici sono carichi o neutri? 505.2 Positivi o negativi? 525.3 Albori della fisica delle particelle elementari 57

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Capitolo 6

Il riconoscimento della comunità scientifica 61

6.1 Il premio Nobel per i raggi cosmici 616.2 L’opinione di Edoardo Amaldi 656.3 La corrispondenza tra Pacini ed Hess 706.4 Perché il lavoro di Pacini fu dimenticato? 72

Capitolo 7

I raggi cosmici e la fisica delle particelle elementari 75

7.1 Il leptone μ e i mesoni 767.2 La scoperta della stranezza 827.3 Lo “zoo” delle particelle 867.4 Il meccanismo di accelerazione di Fermi 88

Capitolo 8

La fisica dei raggi cosmici oggi 89

8.1 Raggi cosmici di altissima energia 908.2 Ricerca di antimateria 948.3 Raggi gamma 958.4 La fisica dei neutrini cosmici 1028.5 Nuovi messaggeri: il futuro 1088.6 Post scriptum 110

Appendice. Tre articoli originali fondamentali

nella storia dei raggi cosmici 111

Ringraziamenti 139

Bibliografia 141

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Introduzione

Nei primi anni del ’900 gli scienziati scoprirono l’esistenza di ra-dioattività naturale sulla Terra, e si chiesero da dove questa ra-dioattività originasse; tra le varie ipotesi la più accreditata era chefosse dovuta a radiazioni provenienti dalla crosta terrestre. La so-luzione dell’enigma richiese una decina di anni, e fu una delleimprese intellettuali più emozionanti della storia della scienza. Es-sa portò alla scoperta che gran parte della radiazione trae origineda sorgenti extraterrestri – e alla radiazione extraterrestre fu inseguito dato il nome di “raggi cosmici”.

Sappiamo oggi che i raggi cosmici sono particelle (in maggio-ranza nuclei d’idrogeno, cioè protoni) che urtano l’atmosfera ter-restre apparentemente da ogni direzione, a velocità prossime aquelle della luce. Le loro energie arrivano alle più alte osservatein natura (fino a cento milioni di volte l’energia delle particelle del-l’acceleratore LHC al CERN di Ginevra); devono quindi provenireda potentissimi acceleratori cosmici, probabilmente in resti di su-pernova e nei dintorni di buchi neri supermassicci. Il meccanismodi accelerazione fu spiegato da Enrico Fermi nel 1949 (raggi co-smici di minore energia provengono, invece, dal Sole). Arrivare aquesta conclusione fu difficile: la contemporanea esistenza di ra-diazione cosmica e di radiazione terrestre rendeva gli esperimentiparticolarmente delicati.

Durante una serie di esperimenti condotti tra il 1907 e il 1911, ilfisico italiano Domenico Pacini [1], a quel tempo giovane ricercato-re presso l’Ufficio Centrale di Meteorologia e Geodinamica di Ro-ma, condusse importanti studi sulla radiazione naturale. Nel suoesperimento conclusivo, condotto nel giugno 1911 presso l’Acca-demia Navale di Livorno e confermato nel lago di Bracciano un pa-io di mesi più tardi, Pacini, con una tecnica sperimentale innova-tiva, osservò che le radiazioni penetranti naturali diminuivano nelpassaggio dalla superficie dell’acqua a pochi metri sott’acqua (sia

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Se gran parte della radioattività viene dall’alto, ci aspettia-mo di misurare in quota una ionizzazione maggiore di quel-la al suolo, e sotto la superficie di un lago o del mare una io-nizzazione minore. Queste due tecniche consentirono di ri-solvere un secolo fa il primo enigma legato ai raggi cosmici,identificando l’esistenza di una radiazione extraterrestre

in mare sia nel lago), dimostrando così per primo che una parterilevante di tali radiazioni non poteva venire dalla Terra.

Pochi mesi dopo le misure di Pacini l’austriaco Victor Hess, aquel tempo giovane assistente a Vienna, realizzò un famoso espe-rimento: in una serie di voli in mongolfiera fino a 5300 metri misu-rò che il tasso di ionizzazione aumenta con l’altitudine, fornendo laprova definitiva riguardo all’origine extraterrestre delle radiazioni.Hess, che era poi divenuto professore in Austria, ricevette il No-bel per la fisica nel 1936, due anni dopo la morte di Pacini, il qualea sua volta era diventato professore di Fisica Sperimentale pressol’Università di Bari [2].

La scoperta dei raggi cosmici, una pietra miliare nella scienzae un’affascinante avventura intellettuale (si pensi che Walt Disneynel 1957 produsse un documentario [3] di un’ora per la regia diFrank Capra in cui la storia veniva raccontata come un giallo conla partecipazione di pupazzi e cartoni animati; il documentario siavvaleva della consulenza scientifica del premio Nobel Andersone del grande fisico italiano Bruno Rossi) è dovuta a diversi scien-ziati in Europa e nel Nuovo Mondo, e ha avuto luogo durante un

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XVIntroduzione

periodo caratterizzato da nazionalismo e mancanza di comunica-zione. Le figure di Pacini e di Hess sono certamente molto rilevanti,probabilmente le più rilevanti insieme a quella del gesuita Theo-dor Wulf che nella fase iniziale migliorò in modo decisivo gli stru-menti di misura della radiazione, e per primo nel 1909 introdus-se la tecnica di misurazione in quota (dalla sommità della torreEiffel). Fatti storici, politici e personali, inseriti nel contesto stori-co pre- e post-prima guerra mondiale, hanno fatto dimenticare lasuccessione delle scoperte.

Questo lavoro si propone di dare un resoconto storico della sco-perta dei raggi cosmici, in occasione del centenario dei primi espe-rimenti cruciali, e di raccontare l’evoluzione successiva dello studiofino ai giorni nostri, delineando i problemi ancora insoluti e il mo-do in cui essi vengono affrontati. Tre articoli fondamentali per lastoria dei raggi cosmici sono riprodotti in Appendice.

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Capitolo 1

I raggi cosmici

I cosiddetti “raggi cosmici” sono particelle subatomiche, prove-nienti dallo spazio esterno all’atmosfera terrestre. Sono in parteresponsabili della radioattività naturale misurata sulla Terra (cheviene in parte anche dal suolo). Il termine “raggio” deriva dai pri-mi anni della ricerca sulla radiazione, quando il flusso di tutte leradiazioni ionizzanti era definito un “raggio” (ad esempio i raggialfa, che sono nuclei di elio, o i raggi beta, elettroni).

Il numero di raggi cosmici che arrivano sulla Terra dipende mol-to dalla loro energia E, e cala velocemente con essa.

Tipicamente l’energia delle particelle viene misurata in elet-tronvolt (eV). Un elettronvolt è l’energia cinetica acquisita da unelettrone accelerato da una differenza di potenziale di 1 volt, ed èall’incirca l’energia della luce visibile; un giga-elettronvolt, o GeV(un miliardo di elettronvolt) è all’incirca l’energia necessaria percreare un protone in base alla nota relazione di Einstein E = mc2;un tera-elettronvolt, o TeV, è pari a 1 000 GeV. L’energia dei fasci diLHC è pari a 7 TeV; l’energia dei raggi cosmici più energetici rivelatiè di circa un miliardo di TeV.

La distribuzione in energia (il cosiddetto spettro) dei raggi co-smici è abbastanza ben descritta localmente da una legge di po-tenza (ossia da una funzione del tipo E−p), con p numero positivo.Il cosiddetto indice spettrale p è la pendenza del grafico dei datiin unità logaritmiche. Dopo la regione di basse energie, dominatada raggi cosmici provenienti dal Sole (parte del cosiddetto ven-to solare), tale spettro diventa più ripido con p ∼ 2.7 per valoridell’energia inferiori a ∼ 1 000 TeV. Per valori superiori dell’ener-gia si ha un ulteriore irripidimento, con p che diviene pari a circa 3;

A. De Angelis, L'enigma dei raggi cosmici© Springer-Verlag Italia 2012

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Fig. 1.1. Lo spettro (numero di particelle incidenti per unità dienergia, per unità di tempo, per unità di superficie eper unità di angolo solido) dei raggi cosmici primari ([4],© Infn/Asimmetrie)

il punto in cui tale cambio di pendenza ha luogo viene denomi-nato “ginocchio”. Per energie ancora più alte (oltre un milione diTeV) lo spettro dei raggi cosmici torna a essere meno ripido, dan-do luogo a un ulteriore cambio di pendenza che viene chiamato“caviglia” (Fig. 1.1). Per fare un esempio quantitativo, una legge di

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Fig. 1.2. Quando una particella cosmica primaria interagisce coni nuclei dell’atmosfera terrestre si genera uno sciame di par-ticelle. Gli sciami possono essere composti anche da milionidi particelle, con una complessa storia di interazioni a cate-na, produzioni, assorbimenti e decadimenti spontanei

potenza con indice spettrale p uguale a 3 (come in gran parte del-lo spettro dei raggi cosmici) implica che se l’energia considerataraddoppia il flusso dei raggi cosmici si riduce a un ottavo.

Il mezzo interstellare contiene nuclei atomici di ogni elementodella tavola periodica, in movimento per effetto di campi elettricie magnetici. La maggioranza delle particelle di alta energia in ar-rivo di raggi cosmici sono protoni (nuclei di idrogeno), circa il 10%sono nuclei di elio (particelle alfa), e l’1% sono nuclei di elementipiù pesanti. Questi insieme costituiscono il 99% dei raggi cosmici,e gli elettroni, i fotoni e tracce di antimateria partecipano al restan-te 1%. Il numero di neutrini (particelle neutre di massa piccolissi-ma con bassa probabilità d’interazione con la materia) è stimatoessere ad alta energia confrontabile a quello dei fotoni; a bassaenergia è molto grande a causa dei processi nucleari che avven-gono nel Sole, processi che comportano una grande produzionedi neutrini.

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Fig. 1.3. Il resto della supernova nella nebulosa del Granchio, unpotente emettitore di raggi gamma nella nostra galassia.L’esplosione della supernova avvenne nel 1054 e fu regi-strata da astronomi cinesi. È ben visibile il vortice di materiaintorno al centro, dove si trova una stella di neutroni in rapi-da rotazione alla quale si deve un’emissione periodica (pul-sar). Alcuni resti di supernova, visti dalla Terra, hanno unadimensione apparente di qualche decimo di grado – all’in-circa come la Luna. Immagine del satellite Chandra dellaNASA

I raggi cosmici che incidono sull’atmosfera (detti raggi cosmiciprimari) producono in generale particelle secondarie che possonoarrivare alla superficie della Terra attraverso il meccanismo dei co-siddetti “sciami” moltiplicativi, che comporta il susseguirsi di unacomplessa storia di interazioni a catena, produzioni, assorbimen-ti e decadimenti spontanei (Fig. 1.2). Senza l’effetto schermantedell’atmosfera terrestre, raggi cosmici che rappresentano un gra-ve pericolo per la salute ci colpirebbero direttamente (persone chevivono in alta montagna o che fanno frequenti viaggi in aereo so-

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no soggette a una dose supplementare misurabile di radiazioni).Oltre agli effetti legati alla radioattività, si congettura anche unacorrelazione tra i raggi cosmici e le condizioni meteorologiche. Re-centemente sono stati raggiunti importanti risultati sperimentaliin questo senso. Nell’agosto 2011 fisici del CERN di Ginevra han-no ricostruito nell’esperimento CLOUD embrioni di nuvole artifi-ciali, osservando che i raggi cosmici fanno aumentare (anche finoa 10 volte) la formazione di particelle di aerosol e la velocità con cuiqueste si aggregano per formare grappoli, che via via diventanosempre più grandi fino a costituire nuvole.

All’incirca una volta al secondo, una singola particella suba-tomica entra nell’atmosfera terrestre con la stessa energia di unsasso ben lanciato [5]. Da qualche parte nell’universo ci sono ac-celeratori che possono impartire a un singolo protone energie100 milioni di volte più grandi dell’energia ottenibile dai più po-tenti acceleratori terrestri. Dove sono questi acceleratori e comefunzionano?

Si ritiene che il motore ultimo dell’accelerazione dei raggi co-smici sia legato alla forza di gravità. In giganteschi collassi gravi-tazionali come quelli che avvengono nei resti di supernova (stel-le che implodono alla fine della loro vita, si veda ad esempio laFig. 1.3) e nell’accrescimento dei buchi neri1 supermassicci (paria milioni di masse solari) a spese della materia circostante (Fig. 1.4),parte dell’energia potenziale gravitazionale viene trasformata, at-

1 Un buco nero è un oggetto dotato di un’attrazione gravitazionale talmente ele-vata che nulla può allontanarsi dalla superficie. Questo si verifica quando la ve-locità di fuga (cioè la minima velocità necessaria per fuggire dalla sua attrazio-ne gravitazionale) à superiore alla velocità della luce: per sfuggire una particelladovrebbe muoversi più velocemente della luce stessa. La condizione di buco ne-ro è quantificata per un corpo sferico in quiete da una relazione tra la massa eil raggio R: la massa deve essere maggiore di Rc2/2G, dove c è la velocità dellaluce e G è la costante di gravitazione universale (se la Terra, la cui velocità di fu-ga è di circa 11 chilometri al secondo e il raggio di circa 6 400 chilometri, venis-se schiacciata fino ad avere un raggio di 9 millimetri, si comporterebbe come unbuco nero). Le stelle più grandi possono evolvere spontaneamente in buchi ne-ri dopo che il loro combustibile nucleare è finito. La maggior parte delle galas-sie note sembra avere un buco nero supermassiccio (da milioni a miliardi di mas-se solari) nel suo centro – in particolare la Via Lattea ha nel suo centro, nella co-stellazione del Sagittario, un buco nero di quasi quattro milioni di masse solari.Una volta formatosi, date le condizioni di forte gravità, un buco nero supermassic-cio tende ad accrescersi inghiottendo la materia circostante e generando violentecollisioni.

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Fig. 1.4. Un buco nero supermassiccio si accresce inghiottendoi corpi stellari vicini, ed emette getti di particelle cariche eraggi gamma

traverso meccanismi non facili da spiegare e non ancora comple-tamente capiti, in energia cinetica delle particelle.

La ragione per cui gli acceleratori costruiti dall’uomo non pos-sono competere con gli ancora misteriosi acceleratori cosmici èsemplice. Il metodo più efficiente per accelerare particelle richie-de il loro confinamento entro un raggio R tramite un campo ma-gnetico B, e l’energia è proporzionale al prodotto di R per B. SullaTerra è difficile ipotizzare ragionevolmente raggi di confinamentopiù grandi di un centinaio di chilometri e campi magnetici più fortidi una decina di tesla (centomila volte il campo magnetico terre-stre). Questa combinazione può fornire energie dell’ordine delladecina di TeV, come quelle dell’acceleratore LHC del CERN. In na-tura ci sono invece acceleratori con raggi molto maggiori, comei resti di supernove (centinaia di anni luce) e i nuclei galattici atti-vi delle galassie (decine di migliaia di anni luce). Oggi finalmentesappiamo sfruttare questi acceleratori cosmici, che, a differenza di

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quelli costruiti dall’uomo che costano ormai miliardi di euro, sonogratis.

Le radiazioni di particelle cariche, viaggiando attraverso la ViaLattea, sono deviate dal debole campo magnetico galattico (all’in-circa pari a un milionesimo del campo magnetico terrestre) pri-ma di raggiungere la Terra. Al di sotto di un’energia di circa cen-tomila TeV l’effetto dei campi magnetici galattici fa sì che si per-da ogni informazione sulla direzione di provenienza. Le particel-le neutre, invece, arrivano ai rivelatori conservando l’informazionesulla direzione originaria di provenienza.

I raggi gamma (chiamati raggi gamma per motivi storici) sonofotoni (particelle di luce) di altissima energia, e occupano la partepiù energetica dello spettro della luce; essendo privi di carica elet-trica possono percorrere lunghe distanze senza essere deviati daicampi magnetici galattici ed extragalattici, e consentono lo studiodiretto delle sorgenti di emissione.

Lo spettro dell’energia dei raggi gamma si estende fino all’infi-nito, ma tipicamente quando si parla di radiazione gamma rivelatanei raggi cosmici ci si riferisce a un intervallo che va dai MeV (mi-lioni di volte l’energia della luce visibile) ai TeV (migliaia di miliardidi volte l’energia della luce visibile).

Questi fatti stanno spingendoci oggi a studiare soprattuttoi raggi gamma di altissima energia e i raggi cosmici di centinaia dimilioni di TeV. Tuttavia, i raggi gamma sono poco numerosi rispet-to ai raggi cosmici carichi, e l’andamento dello spettro di energiafa sì che anche i raggi cosmici carichi di centinaia di milioni di TeVsiano eventi molto rari.

I satelliti, considerando il costo attuale delle tecnologie spazia-li, sono vincolati a piccole dimensioni e piccole aree efficaci: difatto, dato il rapido calo del flusso di particelle con l’aumentaredell’energia, per esplorare le altissime energie occorre dunque uti-lizzare strumenti che coprano grandi superfici al suolo (possibil-mente collocati in alta montagna), rivelando i prodotti dell’intera-zione dei raggi gamma con l’atmosfera.

Come siamo arrivati a scoprire l’esistenza della radiazione natu-rale, e come siamo riusciti a concludere che gran parte di questaradiazione viene dal cosmo? I prossimi capitoli analizzano la sto-ria della ricerca sui raggi cosmici, un’affascinante avventura che daoltre un secolo impegna e appassiona molti scienziati.

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Capitolo 2

Gli inizi della ricercasui raggi cosmici

L’elettroscopio (Fig. 2.1) è un dispositivo atto a rivelare la caricaelettrica. Tipico è l’elettroscopio a foglie che rivela la carica attra-verso il fatto che due lamine sottili (le foglie) realizzate in metallo,vincolate all’estremità superiore, si respingono e quindi divergonoquando sono cariche.

Se non fosse per un isolamento imperfetto, sembrerebbe a pri-ma vista che un elettroscopio debba mantenere per sempre la suacarica. Già nel 1785 invece Coulomb1 aveva osservato [6] che glielettroscopi si scaricano spontaneamente in aria, anche se isolatiquanto meglio possibile dal punto di vista elettrico. Dopo gli stu-di dedicati al problema da Faraday2 intorno al 1835 [7], Crookesosservò nel 1879 [8] che la velocità di scarica diminuiva quandola pressione veniva ridotta. Si concluse quindi che la causa diret-ta della scarica dell’elettroscopio dovesse essere la ionizzazionedell’aria contenuta nell’elettroscopio stesso. Ma qual era la causaprima?

La spiegazione del fenomeno della scarica spontanea arrivòall’inizio del XX secolo e aprì la strada a una scoperta scientifica

1 Charles-Augustin de Coulomb (Angoulême 1736 - Parigi 1806) fu ufficiale del ge-nio militare francese. Si occupò di meccanica, di dinamica dei fluidi, e soprattuttodi elettricità e magnetismo, campi ai quali dedicò fra il 1785 e il 1789 sette fonda-mentali memorie. Membro dell’Académie des Sciences e magistrato generale alleacque, fu poi costretto a vita privata dai rivoluzionari.2 Michael Faraday (Newington 1791 - Hampton Court 1867) fu un chimico e fisicoinglese; diede contributi importantissimi alla chimica e all’elettromagnetismo.

A. De Angelis, L'enigma dei raggi cosmici© Springer-Verlag Italia 2012

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Fig. 2.1. Funzionamento schematico dell’elettroscopio

rivoluzionaria per l’umanità: i raggi cosmici. Molti articoli e volu-mi di rassegna sono stati scritti sulla storia della ricerca sui raggicosmici; si vedano ad esempio [9-21].

2.1 L’enigma della ionizzazionedell’atmosfera

Lo studio della velocità di scarica degli elettroscopi richiedevauna tecnologia sperimentale abbastanza sofisticata; fortunata-mente questo tipo di misura era molto in voga fin dalla fine delXVIII secolo, in quanto legato a questioni di elettricità atmosfericaconnesse in ultima analisi a problemi di meteorologia. WilliamThomson, che più tardi sarebbe stato nominato Lord Kelvin3,trasformò l’elettrometria in una scienza, inventando nuovi elet-troscopi trasportabili. La tecnica ebbe notevoli sviluppi oltreche in Gran Bretagna anche negli Stati Uniti, in Canada, in Ita-

3 William Thomson (Belfast 1824 - Netherall 1907) lavorò a Cambridge e fu profes-sore a Glasgow. Svolse ricerche sui maggiori problemi della fisica, in particolaredella termodinamica.

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lia (grazie alla scuola del professor Giovanni Battista Beccaria), inGermania, e in particolare in Austria. In alcuni casi questi studiavevano applicazioni legate all’agricoltura e alle scienze militari,due settori che avrebbero tratto grande profitto dalla possibi-lità che l’uomo potesse influenzare con l’elettricità i fenomeniatmosferici.

Grande importanza per lo sviluppo degli studi sull’elettricità at-mosferica ebbero nella seconda metà dell’Ottocento le ricerche diFranz Exner a Vienna. Exner, la cui scuola fu premiata da nume-rosi premi Nobel [22], non solo perfezionò ulteriormente l’elettro-scopio migliorando gli strumenti di Lord Kelvin, ma riuscì anchead attrarre molti bravi studenti, in particolare Schrödinger4 che siappassionò alla fisica proprio grazie allo studio della ionizzazio-ne dell’atmosfera. Inoltre fu il primo a effettuare voli su palloneaerostatico a Vienna per scopi legati alla misura della ionizzazionedell’atmosfera.

La radioattività naturale fu scoperta nel 1896 da Becquerel [23].Pochi anni dopo [24], Marie5 e Pierre Curie (Fig. 2.2) osservaronoche gli elementi Polonio e Radio6 sono soggetti a trasmutazioniche generano radioattività (decadimenti radioattivi).

In presenza di un materiale radioattivo, un elettroscopio caricosi scarica più velocemente; si può dunque concludere che la sca-rica spontanea degli elettroscopi possa essere dovuta a particellecariche emesse nei decadimenti radioattivi. La velocità di scarica diun elettroscopio può dunque venire utilizzata per misurare il livel-

4 Erwin Schrödinger (Vienna 1887-1961) era un fisico e biologo austriaco, tra i fon-datori della meccanica quantistica avendo per primo formulato nel 1926 l’equazio-ne d’onda di particelle non-relativistiche (valida cioè per velocità piccole rispettoalla velocità della luce). Professore a Oxford, Dublino, Graz e Vienna, fu premiatocon il Nobel per la fisica nel 1933.5 Maria Sklodowska, meglio nota come Marie Curie (Varsavia 1867 - Parigi 1934)fu una chimica e fisica russo-polacca, naturalizzata francese. Nel 1903 fu insignitadel premio Nobel per la fisica (assieme al marito Pierre Curie e ad Antoine Hen-ri Becquerel) e, nel 1911, del premio Nobel per la chimica per i suoi lavori sul ra-dio (è l’unico scienziato che abbia vinto il premio Nobel in due diverse disciplinescientifiche).6 Secondo la nomenclatura dell’epoca, veniva chiamata radioemanazione l’insie-me dei prodotti gassosi del Radio, oggi denominato radon. Il radon decade attra-verso l’emissione di particelle α (nuclei di elio) in quello che veniva chiamato Ra A(o radio A o Ra. A), che a sua volta decade ancora con l’emissione di particelle α inRa B; quest’ultimo a sua volta si trasforma con l’emissione di raggi β (elettroni) in RaC. L’insieme delle sostanze Ra A, Ra B e Ra C veniva chiamato “radioattività indotta”.

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Fig. 2.2. Marie e Pierre Curie, vincitori di premi Nobel per scopertelegate alla radioattività naturale, con la loro figlia Irène, chea sua volta avrebbe vinto il premio Nobel per la chimica nel1935 per la scoperta della radioattività indotta o artificiale

lo di radioattività. Questa osservazione aprì in Europa e nel NuovoMondo (Stati Uniti e Canada in particolare) una nuova stagionenella ricerca legata agli studi sulla radioattività naturale, e in qual-che modo unificò, data la comune tecnica sperimentale, gli studidella ionizzazione realizzati nel contesto della meteorologia e lericerche legate alla radioattività ambientale.

Intorno al 1900, Elster e Geitel [25] migliorarono la tecnica diisolamento dell’elettroscopio in un recipiente chiuso, aumentan-do così la sensibilità dello strumento (Fig. 2.3). Di conseguenzapoterono effettuare misure quantitative della velocità di scaricaspontanea.

Julius Elster (1854-1920) e Hans Geitel (1855-1923) erano dueinsegnanti di ginnasio di una piccola cittadina della bassa Sas-sonia, Wolfenbüttel; amici fin dal tempo della scuola, diviserola stessa casa con la famiglia di Elster e lavorarono con dedizio-ne maniacale allo studio dell’elettricità atmosferica, divenendo-ne pionieri. In un esperimento condotto nel 1899 [25], isolandol’elettroscopio riscontrarono una diminuzione della radioattivi-tà, determinando così che la scarica era dovuta in gran parte ad

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Fig. 2.3. Un elettroscopio di Elster e Geitel degli inizi del XX seco-lo. Questo strumento è composto da un elettroscopio at-traverso il quale può essere pompato un flusso d’aria. Percortesia del Gabinetto di Fisica dell’Istituto Calasanzio diEmpoli

agenti ionizzanti provenienti dall’esterno del recipiente in cui eracontenuto l’elettroscopio stesso. Le domande ovvie riguardavanola natura di tali radiazioni, e se esse fossero di origine terrestre oextra-terrestre. L’ipotesi più semplice era che esse provenisseroda materiali radioattivi, e quindi l’origine terrestre era un’assun-zione comune; una dimostrazione sperimentale, però, sembravadifficile da raggiungere.

Wilson7 confermò immediatamente [26] il risultato di Elster eGeitel e suggerì la possibilità che l’origine della ionizzazione po-tesse essere una radiazione estremamente penetrante di prove-

7 Charles Thomson Rees Wilson (Edimburgo 1869-1959) era un fisico britannico in-ventore, nel 1911, del rivelatore chiamato camera a nebbia, o anche, dal suo co-gnome, camera di Wilson; di questo strumento parleremo nel seguito. Wilson siera laureato nel 1892 all’Università di Cambridge dove lavorò con J.J. Thomson allaboratorio Cavendish e nel 1925 fu nominato professore di filosofia naturale. Ese-guì numerose ricerche sui nuclei di condensazione che formano le nubi e le nebbie,sull’elettricità atmosferica, i temporali, gli ioni, i raggi X e gamma, i raggi cosmici. Inriconoscimento dell’invenzione della camera a nebbia, vinse il premio Nobel per lafisica nel 1927.

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nienza extraterrestre. Wilson scrisse:

Si devono condurre esperimenti per capire se la produzio-ne di ioni nell’aria priva d’impurità possa venire spiegatacome originata da sorgenti esterne all’atmosfera, probabil-mente di radiazioni come i raggi di Röntgen o i raggi cato-dici, ma enormemente più penetranti.

Tuttavia, le indagini sperimentali non supportarono l’ipotesi extra-terrestre: Wilson portò il suo elettroscopio in una galleria in Sco-zia, ben schermata dalla roccia circostante, ma non misurò, a cau-sa delle incertezze sperimentali, una diminuzione della radioatti-vità come si aspettava di trovare se quell’ipotesi fosse stata vera.La teoria di una provenienza extraterrestre della radiazione, an-che se di tanto in tanto discussa, fu abbandonata per i dieci annisuccessivi.

I risultati di Elster e Geitel e di Wilson motivarono un grandeinteresse per la questione in Germania e in Inghilterra, al Caven-dish Laboratory di Cambridge; Vienna rimase comunque uno deipunti focali della ricerca in Europa. Al di là dell’oceano, in Cana-da, nel 1903 Rutherford8 e Cooke [27] e McLennan e Burton [28]confermarono il fatto che la ionizzazione era significativamente ri-dotta quando l’elettroscopio era chiuso in una scatola di metallopriva d’impurità radioattive, e fecero vari esperimenti cambiandole condizioni di isolamento, in particolare collocando pareti iso-lanti in diverse direzioni. Conclusero (non senza coraggio, date lecondizioni sperimentali incerte) che la radiazione sembrava venireda tutte le direzioni con la stessa intensità.

Nel periodo dal 1906 al 1908 numerose ricerche sistematichevennero compiute nel mondo per caratterizzare l’origine della ra-diazione. Il gruppo di Mache a Vienna e il gruppo di McLennanin Canada misurarono la radiazione in diverse condizioni di tem-peratura, altitudine e posizione, dal monte Cervino alla superficie8 Ernest Rutherford (Nelson, Nuova Zelanda 1871 - Cambridge 1937) lavorò al Ca-vendish Laboratory di Cambridge, dove iniziò a studiare sotto la direzione diJ.J. Thomson la ionizzazione prodotta dai raggi X nei gas. Dal 1898 si dedicò allostudio della natura dell’emissione radioattiva. Introdusse la tecnica d’indagine mi-croscopica nella quale si bombardano i bersagli di cui vuole studiare la strutturacon particelle di alte energie, studiandone la deflessione (scattering); per questericerche, che consentirono di ricostruire la forma dell’atomo, fu premiato con il No-bel per la chimica nel 1908. Geiger, l’inventore dell’omonimo rivelatore di particelle,fu suo assistente.

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ghiacciata dei Grandi Laghi. In linea di principio ci aspettiamo chela radiazione sulla superficie di un lago sia un po’ più bassa che sulterreno, data la minor presenza di materiali radioattivi nell’acqua;le fluttuazioni legate alla posizione, all’ora del giorno, alla pressio-ne e alla temperatura erano però superiori alla precisione deglistrumenti, e sembrava impossibile farsi un’idea chiara. Mache rite-neva tuttavia, in base allo studio della ionizzazione in funzione del-la velocità del vento, che esistesse una componente atmosfericadella radiazione.

Nel 1907 Strong misurò la radioattività in molti luoghi diversitra cui il suo laboratorio, il centro di una cisterna piena di acquapiovana, e un luogo all’aria aperta; i risultati erano dominati daerrori statistici e sistematici, e le fluttuazioni non consentirono ditrarre conclusioni.

Fra il 1907 e il 1908 anche Eve effettuò misure in vari luoghi;i risultati mostrano entro gli errori livelli di radioattività consistentinell’Oceano Atlantico, in Inghilterra e a Montreal.

Nel 1908 Elster e Geitel osservano un calo del 28% spostando illoro elettroscopio dalla superficie della Terra fino al fondo di unaminiera di sale. Essi concludono che, in accordo con la letteratu-ra, la Terra è la sorgente della radiazione penetrante e che certitipi di suolo, come i depositi di sale, sono relativamente liberi dasostanze radioattive, e quindi possono agire efficientemente daschermi.

La situazione nel 1909 è ben riassunta da Kurz [29] e daCline [30]. Il fenomeno di scarica spontanea è coerente con l’ipote-si che anche in ambienti isolati esista una radiazione di fondo. Nelsuo articolo di rassegna del 1909 Kurz discute tre possibili sorgentiper la radiazione penetrante: una radiazione extraterrestre forseproveniente dal Sole [31], radioattività dalla crosta della Terra, eradioattività nell’atmosfera. Kurz conclude che la possibilità di unaradiazione extraterrestre sembra scarsa: l’opinione prevalente erache la maggior parte delle radiazioni provenissero da materialeradioattivo nella crosta terrestre. Fu calcolato come la radiazionedovrebbe diminuire con l’altezza (si veda ad esempio Eve [32]) efurono eseguite misure orientate a verificare la consistenza delloscenario.

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2.2 Il contributo di padreWulf

Gli strumenti di misura tuttavia erano ancora difficili da traspor-tare; occorreva un miglioramento delle condizioni sperimentalie possibilmente un’idea innovativa su come realizzare le misure.A questa esigenza rispose il fondamentale lavoro di Wulf.

Padre Theodor Wulf (Hamm, Westfalia, 1868 - Winterberg, Sau-erland, 1946) fu uno scienziato tedesco; divenne sacerdote ge-suita all’età di venti anni, prima di studiare fisica sotto la guida diWalther Nernst presso l’Università di Göttingen. Insegnò fisica nel-l’Università dei Gesuiti di Valkenburg, nei Paesi Bassi, dal 1904 al1914 e dal 1918 al 1935, e lavorò al Collegio Romano (l’universitàgesuita di Roma).

Wulf progettò e costruì un elettrometro più sensibile, e soprat-tutto più trasportabile, rispetto al normale elettroscopio a foglied’oro; nell’elettroscopio di Wulf le due foglie erano sostituite dadue fili o lamelle di vetro metallizzato con silicio, con una molla ditensione di vetro posta nel mezzo.

Nel 1909 Wulf provò il suo elettroscopio misurando la ionizza-zione in vari luoghi della Germania, dell’Olanda e del Belgio. Con-cluse che i risultati dei suoi esperimenti confermavano la validi-tà dello strumento da lui sviluppato, e che tutto era consistentecon l’ipotesi che la radiazione penetrante fosse causata da sostan-ze radioattive presenti negli strati superiori della crosta della Ter-ra. Misurò anche variazioni temporali che interpretò come causa-te da fluttuazioni nella pressione atmosferica o nel flusso d’aria.Scrisse infine che, se una componente addizionale esisteva, es-sa era troppo piccola per venire misurata con la strumentazionea disposizione.

Una volta perfezionato lo strumento e verificata la validità del-le misure, Wulf ebbe l’idea di misurare la variazione di radioattivitàcon l’altezza per capire la sua origine. L’idea era semplice: se la ra-dioattività veniva dalla Terra, essa sarebbe diminuita con l’altezza.

Nel 1909-1910 [33] portò con sé a Parigi l’elettroscopio da luiinventato (Fig. 2.4), e misurò il tasso di ionizzazione a Parigi in ci-ma alla Torre Eiffel (a circa 300 metri di altezza). Ipotizzando che lamaggior parte della radiazione fosse di origine terrestre si aspet-tava di trovare in cima una ionizzazione minore di quella al suo-lo; il tasso di ionizzazione mostrò, tuttavia, un calo troppo picco-lo per confermare l’ipotesi. Wulf concluse nel suo articolo che, in

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Fig. 2.4. L’elettroscopio di Wulf [33]. Il cilindro ha 17 cm di diametroe 13 cm di profondità. A destra il microscopio da cui si leggela distanza tra i due fili di vetro metallizzato, illuminati conuna luce riflessa dallo specchio a sinistra. La sensibilità dellostrumento è di circa 1 volt

confronto con i valori al suolo, l’intensità della radiazione dimi-nuisce “a circa 300 metri di nemmeno della metà del suo valorea terra”, mentre nell’ipotesi che la radiazione emergesse dal terre-no si aspettava che rimanesse in cima alla torre “solo una piccolapercentuale della radiazione a terra” [33].

Le osservazioni di Wulf furono di grande valore, perché i dativennero registrati a diverse ore del giorno e per diversi giorni nellostesso luogo. Per lungo tempo i dati di Wulf sono stati consideraticome la fonte più affidabile d’informazione sugli effetti dell’alti-tudine sulla radiazione penetrante. Wulf, tuttavia, concluse che laspiegazione più probabile del suo risultato era ancora l’emissioneda parte del suolo. L’esperimento di Wulf colpì inoltre l’immagina-zione collettiva per la sua semplicità ed eleganza.

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L’interpretazione prevalente era insomma che la radioattivi-tà provenisse principalmente da materiali radioattivi nella crostaterrestre. Schrödinger, il quale aveva svolto all’interno del grup-po di Exner anche misure sperimentali di ionizzazione, scrissenel 1911 [34] che tre possibili spiegazioni erano state suggeri-te riguardo alla sorgente della radiazione penetrante osservata,ma le opinioni degli esperti riguardo all’importanza relativa delletre erano veementemente in disaccordo: le sostanze radioatti-ve contenute nel suolo o precipitate sulla superficie della Terra;sostanze radioattive sospese nell’atmosfera; ipotetiche sorgentiextraterrestri di radiazione.

La terza sorgente di radiazione [. . . ] è completamente ipo-tetica e dovrebbe essere introdotta, solo se adeguatamen-te giustificata, unicamente se si dimostrasse che le primedue sono assolutamente insufficienti a spiegare le osser-vazioni [34].

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Capitolo 3

Pacini e le misuredi attenuazione in acqua

La congettura che la radioattività provenisse principalmente dallacrosta terrestre fu messa in dubbio dal fisico italiano Domenico Pa-cini. A conclusione di una serie di misure del tasso di ionizzazionein montagna, sulla superficie di un lago, e sul mare Tirreno [35,36],nel 1911 Pacini realizzò un innovativo esperimento immergendoun elettroscopio in profondità nel tratto di mare antistante Livor-no [37] e poi nel lago di Bracciano, misurando una significativa di-minuzione della radioattività in profondità rispetto alla superficie:dimostrò così che parte della radiazione veniva dall’alto.

Chi era Domenico Pacini [1, 2, 38-40], e perché le sue scopertesono state dimenticate (in particolare in Italia)? Le sue vicende per-sonali intrecciate alle vicende storiche hanno contribuito a questodestino.

3.1 Pacini: una breve biografia

Domenico Pacini (Fig. 3.1) nacque il 20 febbraio 1878 a Marino(Roma) da Filippo, allora trentenne, segretario comunale, e daGiovanna Annunziata Mecheri, ventiduenne, casalinga. La fami-glia del padre era originaria di Scanzano di Foligno, in provinciadi Perugia. Nella guerra del 1870 il padre era stato sottufficialedell’esercito pontificio, e aveva combattuto contro i piemontesivenendo fatto prigioniero e inviato al carcere di Peschiera; succes-sivamente si era laureato in filosofia presso l’Università Pontificia.La famiglia della madre era originaria di San Giovanni Valdarno, inprovincia di Arezzo.

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Fig. 3.1. Domenico Pacini

Per ragioni di salute della madre il padre Filippo si dimise dall’in-carico a Marino nel 1885; fu congedato dal comune con un enco-mio e una generosa gratifica. Si trasferì dapprima a Roma, e in se-guito nel paesino di Forme di Massa d’Albe in provincia dell’Aquila,divenendo amministratore delle tenute dei conti Pace.

Domenico Pacini (in famiglia Mimmino, e poi Mimmo) soggior-nò a Forme fino all’età giusta per andare a studiare a Roma, dovefrequentò gli studi secondari superiori presso la sezione fisico-ma-tematica dell’istituto tecnico “Leonardo da Vinci”. Si laureò poi infisica nel 1902 presso la Facoltà di Scienze dell’Università di Roma.

Presso l’Università di Roma, per i successivi tre anni, lavorò co-me assistente del professor Pietro Blaserna1, e studiò anche la con-ducibilità elettrica nei mezzi gassosi sotto la supervisione del pro-

1 Pietro Blaserna (Fiumicello di Aquileia 1836 - Roma 1918) divenne professore diFisica Sperimentale presso l’Università di Palermo, e, dal 1879, Presidente dell’Uffi-cio Italiano di Meteorologia e Geodinamica. Nominato senatore nel 1890, dal 1906fu vicepresidente del Senato. Blaserna lavorò sull’induzione elettromagnetica, sul-la misurazione degli indici di rifrazione, sulla cinetica dei gas, e sull’acustica. Fu trai fondatori della Società Italiana di Fisica, e il suo primo presidente nel 1897 [41,42].

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3.Pacinie

lemisure

diattenuazionein

acqua

fessor Alfonso Sella2. Nel 1904 Pacini decise di studiare i famigeratiraggi N.

I raggi N sono spesso ricordati come un esempio di “cattivascienza”, come recentemente la “fusione fredda” – e le due storiehanno molte similitudini. All’inizio del XX secolo il fisico france-se René-Prosper Blondlot, intento allo studio dei raggi X, asserìdi avere scoperto una nuova radiazione visibile in grado di pe-netrare l’alluminio; tale radiazione venne chiamata “raggi N” esuscitò grandissimo interesse. Inizialmente molti scienziati con-fermarono le osservazioni di Blondlot, ma dopo numerosi studi lesue affermazioni vennero smentite: i raggi N semplicemente nonesistevano.

Pacini eseguì un esperimento sui raggi N, il cui risultato (nullo)fu comunicato in una lettera a Nature [43].

Anche se le osservazioni furono realizzate in condizionimolto favorevoli [. . . ] egli non poté rilevare alcun aumen-to di luminosità in uno schermo fosforescente causato daignoti raggi derivanti da acciaio stirato o temperato, da unalampada di Auer, da una lampada di Nernst, da vibrazionisonore, o da un campo magnetico, sebbene vari osserva-tori francesi affermassero che in ciascuno di questi casivengono emessi raggi N che producono un effetto sulloschermo.

Insomma, il giovane Pacini si dimostrò nell’occasione uno speri-mentatore serio, e il suo contributo fu segnalato da una rivista mol-to prestigiosa.

Nell’agosto del 1905 Pacini ottenne un posto di ruolo comeassistente al Regio Ufficio Centrale di Meteorologia e Geodinamica,diretto a quel tempo dal professor Luigi Palazzo3, e lavorò nelgruppo incaricato di studiare i temporali e i fenomeni elettricinell’atmosfera. Molte delle attività dell’Ufficio Centrale richiede-vano viaggi in diverse parti d’Italia: Pacini trascorse lunghi periodiin missione per conto dell’ente: in particolare a Castelfranco Ve-neto, presso il Monte Velino in Abruzzo (non lontano da Forme),

2 Alfonso Sella (Biella 1865 - Roma 1907) era figlio di Quintino Sella, mineralogistae presidente del Consiglio del governo italiano. Professore all’Università di Roma,lavorò sulla radioattività.3 Luigi Palazzo (Torino 1861 - Firenze 1933) fu un geofisico e un accademico; diressel’Ufficio Centrale di Meteorologia e Geodinamica dal 1900 al 1931.

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e presso l’osservatorio meteorologico di Sestola, vicino a Modena,a un’altitudine di 1 090 metri sul livello del mare.

Nel luglio del 1913 Pacini ottenne, su proposta di una com-missione presieduta dal professor Vito Volterra4, la libera docenza(abilitazione all’insegnamento) in Fisica Sperimentale. Fu incarica-to del corso di Matematica per gli studenti di Chimica e di ScienzeNaturali all’Università di Roma dal 1915 al 1919, e poi del corso diFisica Terrestre dal 1924 al 1925.

Nel 1926 Pacini partecipò a una selezione per una cattedra inFisica Sperimentale all’Università di Bari, e fu classificato al terzoposto. Nel 1927 fu promosso geofisico principale presso l’UfficioCentrale di Meteorologia e Geodinamica. Tuttavia, dal momentoche i due migliori candidati classificati nel concorso a cattedra del1926, Polvani5 e Rita Brunetti, erano stati nel frattempo nominatiprofessori rispettivamente a Pisa e a Ferrara, Pacini poté optare peril ruolo di professore ordinario presso l’Università di Bari, e si dimisenel 1928 dal Regio Ufficio Centrale di Meteorologia e Geodinamica.

A Bari fu incaricato della istituzione degli studi di Fisica dellaFacoltà di Medicina, e della riorganizzazione dell’Istituto di Fisica,che egli diresse. Insegnò Fisica Generale per Scienze della vita, eMineralogia. In Puglia i suoi interessi di ricerca si concentraronoprincipalmente sui processi di diffusione della luce nell’atmosfera.Nel 1932 Guglielmo Marconi lo nominò membro del Comitato perl’Astronomia, la Matematica Applicata e la Fisica in seno al Consi-glio Nazionale delle Ricerche (Fig. 3.2). Nel 1933 organizzò insiemea Quirino Majorana6 il Congresso Nazionale della Società Italianadi Fisica, che si svolse proprio a Bari.

4 Vito Volterra (Ancona 1860 - Roma 1940) fu un matematico e fisico, noto per i suoicontributi alla biologia matematica e alle equazioni integrali. Divenne professoredi fisica matematica a Pisa nel 1883 e poi, nel 1900, all’Università di Roma. Nomi-nato senatore nel 1905, nel 1922 si unì all’opposizione al regime fascista di Musso-lini e nel 1931 fu uno dei pochi professori che rifiutarono di prestare il giuramentoobbligatorio di fedeltà. Come risultato fu costretto a dimettersi dal suo incaricouniversitario e dalla sua appartenenza ad accademie scientifiche, e negli anni suc-cessivi visse in gran parte all’estero, tornando a Roma solo poco prima della morte.Tra i fondatori della Società Italiana di Fisica, ne fu presidente dal 1909 al 1919; fuanche presidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche.5 Giovanni Polvani (Spoleto 1892 - Milano 1970) fu un fisico sperimentale,presidente della Società Italiana di Fisica e del Consiglio Nazionale delle Ricerche.6 Quirino Majorana (Catania 1871 - Rieti 1957), zio del più famoso Ettore, fu profes-sore di fisica sperimentale all’Università di Roma, al Politecnico di Torino e all’Uni-versità di Bologna. Fu presidente della Società Italiana di Fisica. Con i suoi esperi-

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Domenico Pacini morì di polmonite a Roma il 23 maggio 1934,un anno dopo la scomparsa della madre, e poco dopo il matrimo-nio (che avvenne a Bologna il 7 aprile 1934) con la bolognese Ca-terina Rangoni, battezzata Pierina in San Pietro in Vaticano a Ro-ma il 25 ottobre 1887; la vedova donò tutti i suoi manoscritti e libriall’Università di Bari, ma questi manoscritti non sono stati ritrovati.

La città di Marino e l’Università di Bari ricordarono Pacini po-co dopo la morte. Il professor Giovanni Battista Rizzo7 dell’Istitutodi Fisica Terrestre dell’Università di Napoli scrisse l’epitaffio ufficia-le [38] per la Società Italiana di Fisica, e tenne l’orazione funebrea Bari. Il professor Filippo Eredia8 scrisse l’orazione funebre per ilcomune di Marino.

Pacini fu sepolto a Roma nel Cimitero Monumentale del Verano;nel 1988 le sue spoglie vennero traslate presso il cimitero di For-me di Massa d’Albe, nella tomba in cui è sepolta anche la madre.Nelle vicinanze di Forme parte della discendenza di Ada e AugustaPacini, sorelle di Domenico, vive ancora.

3.2 Il contributo di Pacini alla ricerca

Il contributo di Domenico Pacini alla fisica si sviluppò all’inizio lun-go tre linee principali di ricerca:

• La radiazione solare, il magnetismo terrestre, e la meteorolo-gia. Il lavoro di Pacini in questi campi sembra essere nei primianni, secondo il giudizio del collegio di docenti che lo valutòper l’abilitazione all’insegnamento nel 1913, per lo più descrit-

menti sulla trasmissione dei segnali diede un importante contributo alla nascita eallo sviluppo della telefonia.7 Giovanni Battista Rizzo (1866-1941), fisico, fu dapprima assistente all’Osservato-rio Astronomico di Torino, e poi al Gabinetto di Fisica dell’Università della stessacittà. Conseguita la libera docenza in Ottica fisica e Spettroscopia, nel 1908 fu no-minato Professore di Fisica presso l’Università di Messina, trasferendosi successiva-mente a Napoli dove diresse l’Istituto di Fisica Terrestre e Meteorologica. Pubblicònumerosi lavori di meteorologia, spettroscopia, magnetismo e vulcanesimo.8 Filippo Eredia (Catania 1877 - Roma 1948) studiò fisica a Catania e divenne assi-stente dapprima all’Osservatorio Astrofisico di Catania, e quindi all’Istituto di Fisicadell’Università. Studioso di meteorologia, entrò nel 1905 all’ufficio centrale meteo-rologico di Roma, dove rimase fino al 1926, raggiungendo la carica di geofisicoprincipale. Partecipò alla spedizione polare Amundsen-Ellsworth col dirigibile ‘Nor-ge’, e nel 1934 divenne divenne professore ordinario, prima a Napoli e poi a Roma.Fu anche noto divulgatore scientifico.

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Fig. 3.2. Copia della lettera a firma di Guglielmo Marconi con cui Pa-cini viene nominato membro del Comitato per l’Astrono-mia, la Matematica Applicata e la Fisica in seno al ConsiglioNazionale delle Ricerche

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tivo [39]. In un periodo successivo, però, Pacini sviluppò tecni-che originali di spettroscopia. Nell’ambito dello studio del co-lore del cielo [44], egli effettuò a Sestola misure sulla composi-zione spettrale della luce diffusa dall’atmosfera. Misurò il rap-porto tra l’intensità della luce diffusa a 90◦ e l’intensità dellaluce emessa dal Sole per un certo numero di lunghezze d’on-da, e in questo modo poté fornire una stima della costante diAvogadro. Dal momento che parte della luce del cielo è dovu-ta all’albedo della Terra (la frazione di energia solare riflessa dalsuolo verso l’atmosfera), e deve essere sottratta negli studi didiffusione della luce del Sole, Pacini decise di misurare l’albedostesso al fine di migliorare la qualità dei suoi risultati; queste ul-time misure furono eseguite a Sestola e a Ciampino tra il 1927e il 1928 [45].

• La conducibilità elettrica attraverso i gas [46]. Relativamentea questo argomento, si deve notare che la conducibilità del-l’aria, misurata dal tasso di scarica di un elettroscopio, era stu-diata all’inizio del XX secolo [19] come parte della fisica dell’at-mosfera (meteorologia). Tale linea di ricerca permise a Pacinidi migliorare il suo know-how sulla strumentazione necessariaa misurare bassi livelli di ionizzazione; questo sarà importanteper il suo principale argomento di ricerca (punto successivo).

• La radioattività e l’elettricità atmosferica. Questo è l’argomen-to principale della ricerca di Pacini, e sarà discusso in maggiordettaglio nella prossima sezione.

Oltre ai tre temi sopra elencati, dopo il 1913 Pacini lavorò allo stu-dio delle emissioni di carica elettrica da parte di sali radioattivi [47]e della formazione dei nuclei di condensazione [48].

Nell’ambito dello studio della formazione di nuclei di conden-sazione, Pacini si interessò alla condensazione di vapore su picco-le impurità nell’aria, neutra o ionizzata. Egli concluse che questofenomeno avviene quando il vapore è soprassaturo, a un livelloche aumenta man mano che i nuclei di condensazione diventa-no più piccoli, e propose una tecnica per misurare la densità delleparticelle di polvere a partire dal tasso di condensazione.

Pacini scrisse infine tre articoli di rassegna, due relativi all’ener-gia elettrica atmosferica [49, 50], e uno sui fenomeni dell’alta at-mosfera [51].

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3.3 La via che portò Pacini a formularel’ipotesi della radiazione extraterrestre

Sicuramente il principale contributo di Pacini alla fisica è legatoallo studio della ionizzazione atmosferica.

La lunga strada che portò Pacini all’ipotesi dei raggi cosmici (o,per essere più precisi, di radiazioni che non provengono dalla Ter-ra) prese avvio dagli studi sulla conducibilità elettrica nei mezzigassosi che egli realizzò presso l’Università di Roma durante i primianni del XX secolo. Pacini si interessò al problema della ionizzazio-ne dell’aria, e familiarizzò con molti strumenti per la misurazionedi questa quantità (Fig. 3.3). La ionizzazione può derivare dai rag-gi ultravioletti, dal vento, e da effetti meccanici; ma la causa prin-cipale è dovuta alla radioattività – anche se il livello finale di io-nizzazione è influenzato da molti effetti, ad esempio dall’umidità.Prima di studiare in modo corretto la ionizzazione, è quindi neces-saria una formazione accurata per imparare a controllare gli effettisistematici.

Fig. 3.3. Tre elettroscopi utilizzati da Pacini nelle sue misure (si trat-ta degli strumenti originali andati perduti). In primo pianol’elettroscopio di Ebert

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Pacini iniziò gli studi sulla ionizzazione nel 1905, e dimostròdapprima che l’effetto della ionizzazione è maggiore in presenzadi alcuni aerosol, come quelli di alcol; egli spiegò questo fattoformulando un modello appropriato.

Nel periodo dal 1907 al 1911 Pacini, in quegli anni assistenteal Regio Ufficio Centrale di Meteorologia e di Geodinamica, effettuòdiverse misure sistematiche della conducibilità dell’aria, utilizzan-do un elettroscopio di Ebert, derivato dall’elettroscopio di Elstere Geitel (Fig. 2.3) e ad esso molto simile, strumento che miglioròper aumentare la sensibilità della misura (egli sostenne di poterraggiungere una sensibilità di un terzo di volt).

In un primo periodo realizzò molte misure (Fig. 3.4) per stabilirele variazioni nel tasso di scarica dell’elettroscopio in funzione del-l’ambiente. Nel 1907 e nel 1908 effettuò misure sistematiche del-la densità ionica a Roma, a Sestola, a Livorno, sul Monte Velino enella vallata sottostante presso Forme. Pacini cercò di individuarele sorgenti della ionizzazione, e in particolare tramite lo studio deltasso di disattivazione di un filo carico poté riconoscere le famigliedel radio, del torio e dell’attinio; tali fonti di radioattività sono pre-senti nella crosta terrestre. Un riassunto di questi risultati indica,secondo le conclusioni dell’autore, che

. . . nella ipotesi che l’origine delle radiazioni penetrantisia nel terreno, siccome bisogna ammettere che, almenoquando questo non è coperto per recenti precipitazioni,esse siano emesse dal suolo in quantità all’incirca costante,non si possono spiegare i risultati finora ottenuti [35].

Come riassunto da Cline [30] nel 1910, gli esperimenti di quel tem-po erano prevalentemente orientati a misurare variazioni giorna-liere o variazioni stagionali della ionizzazione. Nei mesi di agosto esettembre del 1908, Pacini iniziò uno studio sistematico della va-riazione nel tempo della ionizzazione in una camera di zinco di1.3 millimetri di spessore. Egli trovò forti variazioni (fino a un fat-tore cinque), dipendenti da temperatura, pressione e umidità. In-dividuò anche un ciclo giornaliero con due massimi; per spiegaretale variazione temporale egli ipotizzò l’origine solare di una par-te della radiazione penetrante, confermando osservazioni prece-denti [31]; concluse tuttavia che il Sole non poteva essere l’unicasorgente. Cline citò il lavoro di Pacini sulle variazioni giornaliere

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Fig. 3.4. Pacini fotografato mentre effettua una misura nel maggio1910

della radiazione. La misura di Pacini fu sottolineata nell’articolo diCline come una prima prova del fatto che si può escludere che ilSole sia la principale causa della radiazione penetrante; il lavorodi Pacini fu citato anche da Marie Curie nel suo Traité de radioacti-vité.

Pacini continuò e perfezionò il suo programma sperimentale dimisure sistematiche della radiazione al suolo (a quote differenti,anche a livello del mare (Fig. 3.4), e in diversi luoghi per studiaregli effetti locali) e sul mare [36]. Ulteriori misure furono eseguite sulmar Tirreno, di fronte all’Accademia Navale di Livorno [52, 53] suuna nave della Marina Militare Italiana, il cacciatorpediniere “Ful-mine” (Fig. 3.5), comandato dal capitano di Corvetta Gustavo Orsi-ni (Pacini aveva già svolto misure sul “Fulmine” a partire dal 1907,in particolare con il professor Palazzo, direttore del suo Istituto).Queste misure erano volte a verificare se la radioattività all’internodella crosta terrestre fosse sufficiente a spiegare gli effetti di ioniz-zazione (circa 13 ioni al secondo per ogni centimetro cubo d’aria)che erano stati misurati sulla superficie terrestre. Inizialmente Pa-cini posizionò l’elettroscopio sul terreno e sul mare a pochi chi-lometri dalla costa; le misure di ionizzazione erano confrontabili,

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Fig. 3.5. Il cacciatorpediniere “Fulmine” fotografato durante la pri-ma missione cui Pacini partecipò, nel 1907. La fotogra-fia è stata scattata nelle vicinanze dell’approdo di SantaMargherita Ligure

ma sembrava osservarsi una leggera diminuzione dei valori misu-rati sulla superficie del mare, pur comparabile con le fluttuazioniintrinseche. Studi accurati [36] dimostrarono che la ionizzazionesulla superficie del mare, a 300 metri dalla spiaggia di Livorno difronte all’Accademia Navale, era circa due terzi della ionizzazionea terra. In disaccordo rispetto al punto di vista dominante all’epo-ca i risultati supportavano, anche se in modo solo marginalmentesignificativo dal punto di vista della statistica, l’idea che una par-te non trascurabile della radiazione penetrante fosse indipenden-te dall’emissione del suolo. Pacini concluse, non senza coraggio,che

. . . dai risultati qui ottenuti appare che una parte non picco-la della radiazione penetrante presente nell’aria, e in mo-do particolare quella parte che è soggetta ad oscillazionianche notevoli, ha origine indipendente dall’azione direttadelle sostanze attive contenute negli strati superiori dellacrosta terrestre.

L’esperimento definitivo, tuttavia, è quello effettuato nel giugnodel 1911 [37], durante sette giorni di misure in acque profonde

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nel mar Tirreno, di fronte all’Accademia Navale di Livorno. Questoesperimento ha un posto importante nella storia della fisica, inquanto introduce per la prima volta la tecnica di misurazione dellaradiazione sott’acqua.

Con l’apparecchio alla superficie del mare a 300 metri dalla co-sta, Pacini misurò otto volte durante tre ore la velocità di scaricadell’elettroscopio, ottenendo come risultato una perdita media di12.6 volt all’ora, pari a 11.0 ioni al secondo per centimetro cubo(con un errore stimato di 0.5 volt all’ora); con l’apparecchio a unaprofondità di 3 metri in un tratto di mare profondo 7 metri, eglimisurò come risultato di sette prove una perdita media di 10.3 voltall’ora, pari a 8.9 ioni al secondo per centimetro cubo (con un er-rore stimato di 0.2 volt all’ora). La differenza (2.1 ioni al secondoper centimetro cubo) fu ritenuta essere per la maggior parte (circal’80% nella stima di Pacini) attribuibile a una radiazione particola-re, indipendente dalla radiazione generata dalla crosta terrestre –la misurazione subacquea era del 20% inferiore rispetto a quellaalla superficie, in linea con l’assorbimento da parte dell’acquadi una radiazione proveniente dall’esterno. Il risultato era per laprima volta statisticamente significativo: usando un linguaggiomoderno, la significatività era di 4.3 deviazioni standard. Risultaticonsistenti con questi furono ottenuti durante misure successivecompiute al lago di Bracciano, alla stessa profondità.

Pacini riportò queste misure, i risultati ottenuti, e la loro inter-pretazione, in una nota intitolata “La radiazione penetrante allasuperficie ed in seno alle acque” [37]. Questa nota, pubblicata sulNuovo Cimento nel febbraio del 1912 (Fig. 3.6), segnò l’inizio del-la tecnica subacquea per gli studi dei raggi cosmici (una tecnicache è stata implementata tante volte fino ai giorni nostri). Paciniscrisse:

Con un coefficiente di assorbimento di 0.034 per l’acqua, èfacile dedurre dalla nota equazione I/I0 = exp(−d/λ), do-ve d è lo spessore della materia attraversata, che, nelle con-dizioni dei miei esperimenti, le attività del fondo marino edella superficie erano entrambe trascurabili. La spiegazio-ne sembra essere che, a causa del potere assorbente del-l’acqua e della quantità minima di sostanze radioattive inmare, l’assorbimento della radiazione proveniente dall’es-terno avviene, dunque, quando l’apparecchio è immerso.

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E [37] concluse:

. . . appare confermino le esperienze di cui è oggetto que-sta nota [. . . ] che esista nell’atmosfera una sensibile causa io-nizzante, con radiazioni penetranti, indipendente dall’azionediretta delle sostanze radioattive del terreno.

La tecnica di Pacini non poteva escludere con certezza un’origineatmosferica della radiazione, ma Pacini citò Eve il quale aveva con-cluso che il contributo di sostanze radioattive nell’aria è trascura-bile. Questa fu la prima volta in cui venne stabilito che i risultati dimolti esperimenti sulla radiazione non potevano essere spiegatidalla radioattività della crosta terrestre.

Va citato come curiosità il fatto che nel 1910 Pacini aveva cer-cato di verificare un possibile aumento della radioattività durante

Fig. 3.6. Copertina del numero del Nuovo Cimento nel quale è statopubblicato l’articolo [37]

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il passaggio della cometa di Halley [54], e non aveva trovato indizidi un effetto dalla cometa stessa.

Infine, come sottolineato in [39], l’Italia già all’inizio del seco-lo aveva palloni aerostatici in grado di volare fino a 5 000 metri dialtitudine; sebbene Pacini avesse pubblicato nel 1909 un artico-lo [55] sulle perturbazioni prodotte da palloni sul campo elettricoterrestre, non realizzò mai misure della ionizzazione in alta quota.

L’edizione completa delle pubblicazioni originali di Pacini rela-tive ai raggi cosmici può essere consultata in [56].

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Capitolo 4

Hess e le misuresu pallone aerostatico

Al fine di chiarire le osservazioni di Wulf sull’effetto dell’altitudine,divenne ben presto evidente la necessità di esperimenti su palloneaerostatico [57].

Va detto che in quel periodo gli esperimenti su pallone aerosta-tico erano comunque ampiamente utilizzati per gli studi sull’elet-tricità atmosferica. Inoltre fin dall’invenzione della mongolfiera daparte del gesuita Bartolomeu de Gusmão e dei fratelli Montgol-fier l’uso delle misure in quota nella scienza era diffuso. Famosa èl’ascensione fino a 6 000 metri effettuata dai giovani Gay Lussac eBiot nel 1805 per verificare le leggi dei gas.

4.1 I precursori: Gockel e Bergwitz

Il primo volo in mongolfiera finalizzato a studiare le proprietà del-la radiazione penetrante fu effettuato in Svizzera nel dicembre del1909 con un pallone denominato Gotthard dell’aeroclub svizzero.Albert Gockel, professore all’Università di Friburgo in Svizzera, ef-fettuando misure fino a 3 000 metri di altitudine trovò [58, 59] chela ionizzazione non diminuisce con l’altezza come ci si attende-va nell’ipotesi di un’origine terrestre (Fig. 4.1). Gockel confermò laconclusione di Pacini in [35], citandolo correttamente, e concluse

A. De Angelis, L'enigma dei raggi cosmici© Springer-Verlag Italia 2012

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Fig. 4.1. La ionizzazione misurata da Gockel a varie altitudini nel1911

“che una parte non trascurabile della radiazione penetrante è indi-pendente dall’azione diretta delle sostanze radioattive degli stratipiù superficiali della Terra” [59].

In effetti Gockel era stato particolarmente sfortunato. Calcolisuccessivi, effettuati da Schrödinger durante il suo lavoro di tesie subito dopo, dimostrarono che, se la radioattività viene in partedalla Terra e in parte dall’alto (come è il caso), fino a tremila metrila decrescita della radioattività proveniente dalla crosta terrestrepuò essere compensata dalla crescita della radioattività da sorgen-ti extraterrestri (una tale conclusione venne riportata in seguito daHess, che forse conosceva i calcoli di Schrödinger dato che entram-bi si trovavano a Vienna; Hess tuttavia non citò il lavoro di Schrö-dinger). Se Gockel avesse insistito probabilmente avrebbe otte-nuto un risultato significativo. Contemporaneamente a Gockel, iltedesco Bergwitz eseguì misure fino a 1 500 metri di altitudine.

Nonostante le conclusioni di Pacini, e i risultati (non conclusivi)di Wulf e Gockel sulla dipendenza della radioattività dall’altitudi-ne, i fisici erano comunque riluttanti ad abbandonare l’ipotesi diun’origine terrestre.

La situazione fu chiarita grazie a una lunga serie di voli in pal-lone aerostatico da parte del fisico austriaco Victor Hess, che la-vorava alla scuola di Vienna. Hess poté fornire una prova indipen-dente e solida dell’origine extraterrestre di almeno una parte dellaradiazione che causa la ionizzazione osservata.

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4.2 L’ambiente culturale vienneseall’inizio del ’900

All’inizio del XX secolo l’Austria-Ungheria godeva di una situa-zione culturale eccezionale, riassumendo in sé le culture tedesca,ungherese, ceca, slovacca, polacca, slovena, croata e italiana, so-lo per citare le più importanti; le culture centroeuropee a lorovolta portavano con sé la memoria delle culture dell’Asia Cen-trale. Il cuore di questo melting pot era Vienna, e non è quindiper caso che in questo periodo a Vienna nascessero e si svi-luppassero alcune delle idee interdisciplinari più rivoluzionarieper il genere umano, dalla psicoanalisi, alla fisiologia, alla teo-ria quantistica, alla nuova musica. Probabilmente questo sistemacomplesso, che conteneva già nella sua molteplicità il germe del-la propria decadenza, ha disperso nel suo disfacimento i semidella cultura contemporanea che sono poi cresciuti in tutto ilmondo.

Vienna era una metropoli di commercio, di politica e di cultura,rispettosa dei diritti degli ebrei (che costituivano il 5% della popo-lazione nel 1910). Dopo che Mahler, ebreo boemo, decise di trasfe-rirvisi, le nuove visioni musicali di Schönberg e di Webern vi trova-rono una culla naturale. L’architettura funzionalista abbellì la città,e la nuova pittura vi si stabilì con Klimt e poi con Schiele e Koko-schka. La letteratura raggiunse il livello più alto in particolare conMusil e poi con Roth. Tutti questi creativi si potevano incontrarenei caffè del centro.

La scienza non fu da meno, partorendo personalità difficili dainquadrare in questa o quella disciplina scientifica, come Mach(che aveva influenzato Musil, il quale aveva scelto come argomen-to della sua tesi di laurea proprio le idee di Mach), Boltzmann,Wittgenstein, Freud.

Mach era forse il fisico più noto della scuola di Vienna alla finedell’800. Di origine morava, aveva una profonda cultura interdisci-plinare (gli vennero offerte una cattedra di fisiologia, una di fisicae una di matematica, e scelse quest’ultima); dovette purtroppo la-sciare Vienna per motivi di salute nel 1901 per concludere la suavita a Monaco di Baviera (le sue spoglie sono custodite al cimiterodi Nordfriedhof vicino all’istituto Max Planck per la fisica), mentre

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a Vienna diventava sempre più luminosa la stella di Boltzmann, cuiera stata assegnata nel1894 la cattedra già occupata da Stefan. Lavisione olistica impregna la cosiddetta “idea di Mach”1, che tantoavrebbe influenzato la fisica moderna e in particolare il pensierodi Einstein.

Pure in un ambiente così ricco, la fisica terrestre non era trascu-rata, anzi. Come detto il gruppo di Exner eccelleva, e Schrödingerche entrò in università nel 1906 (l’anno del suicidio di Boltzmann)scelse all’inizio della sua carriera di occuparsi di fisica ambientale.Nei primi anni del ’900 studiò a Vienna – con Boltzmann – ancheLise Meitner, che fu tra le prime donne a conseguire il dottorato infisica e proprio a Vienna iniziò le ricerche nel campo della radioat-tività che l’avrebbero portata in seguito alla scoperta della fissionenucleare.

In questo ambiente forse unico nella storia si inserì Victor Hess.

4.3 Victor Hess

Victor (o Viktor)2 Franz Hess nacque il 24 giugno 1883 nel castellodi Waldstein vicino a Steiermark, nella regione austriaca della Sti-ria (il padre, Vinzens, era amministratore delle tenute del principeÖttingen-Wallerstein; la madre, Sarafine Grossbauer, era casalin-ga). Frequentò il ginnasio a Graz, e nel 1901 cominciò a studiarefisica nell’università della città. Divenne dottore in fisica nel 1906“sub auspiciis imperatoris” (una menzione di eccezionalità).

Dopo la laurea avrebbe voluto trasferirsi a Berlino per lavorare aquestioni di ottica con il professor Drude, il quale lo aveva accetta-to come post-doc; ma Drude si suicidò poche settimane prima del-l’inizio del contratto, ed Hess decise di trasferirsi a Vienna nell’Isti-tuto diretto da Exner. Exner lo spinse a occuparsi di radioattività edelettricità atmosferica.

1 Mach afferma che i comportamenti di un sistema fisico (e in particolare l’iner-zia dei corpi) dipendono dalla distribuzione delle masse nell’universo. Ne derivanoun’incompatibilità con lo schema riduzionista (lineare) di Cartesio, Galilei e New-ton, e l’impossibilità di studiare il tutto scomponendolo in parti più piccole e poirisommandole (il cosiddetto “principio di sovrapposizione”).2 Il nome è scritto come Viktor in molte delle pubblicazioni, mentre è scritto conl’ortografia latina nella biografia autorizzata dallo stesso Hess per la fondazioneNobel.

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Nel 1910 Hess ottenne l’abilitazione all’insegnamento, e fu in-caricato di corsi di fisica medica presso la facoltà di Medicina Vete-rinaria; divenne assistente del professor Meyer all’Istituto di Ricer-ca sul Radio dell’Accademia Viennese delle Scienze, dove svolse lamaggior parte del suo lavoro sui raggi cosmici.

Hess iniziò i suoi esperimenti dallo studio dei risultati di Wulf,conoscendo le dettagliate previsioni di Eve [61] sui coefficienti diassorbimento per la radioattività nell’atmosfera. Eve aveva scrittoche, se si assume una distribuzione uniforme di sostanze radioat-tive sulla superficie e negli strati più superficiali della Terra, “un in-nalzamento di 100 metri dovrebbe ridurre l’effetto [della radiazio-ne] al 36 per cento del valore al suolo”. Hess aggiunse:

Questa è una discrepanza così seria [rispetto ai risultati diWulf ] che la sua soluzione sembra essere della massima im-portanza per la teoria radioattiva dell’elettricità atmosferi-ca [63].

Dal momento che nell’interpretazione dei risultati di Wulf e Go-ckel la lunghezza di assorbimento della radiazione (in quel mo-mento identificata per la maggior parte come radiazione gammanell’aria) entrava in modo cruciale, Hess decise per prima cosa dimigliorare l’accuratezza sperimentale dei risultati di Eve tramite“misure dirette dell’assorbimento dei raggi gamma nell’aria” [62]con campioni radioattivi a distanze variabili dall’elettroscopio(probabilmente a causa della manipolazione di queste sostanzeradioattive Hess in seguito si ammalò e dovette subire l’ampu-tazione di un pollice) e ottenne un coefficiente di assorbimentocompatibile con quello di Eve. Quindi la contraddizione dei risul-tati di Wulf rimaneva; Hess concluse che “una chiarificazione puògiungere solo da ulteriori misure della radiazione penetrante inascensioni in mongolfiera” [62].

Hess continuò quindi i suoi studi tramite osservazioni su pallo-ne aerostatico (Fig. 4.2). La prima ascensione ebbe luogo il 28 ago-sto 1911. “Il pallone aerostatico ‘Radetzky’ dell’aeroclub austriacocon il sottotenente S. Heller come pilota e me come unico pas-seggero fu portato in quota” [62]. L’ascensione durò quattro ore earrivò fino a una altezza di 1 070 metri dal suolo.

Una seconda ascensione con un altro pallone (“Austria”) fu ef-fettuata durante la notte del 12 ottobre 1911.

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Fig. 4.2. Lo storico volo in mongolfiera di Hess nel 1912

Durante entrambi i voli, Hess trovò che l’intensità della radia-zione penetrante non variava con l’altitudine entro gli errori.

Dall’aprile del 1912 all’agosto del 1912 Hess ebbe l’opportu-nità di effettuare sette ascensioni portando a bordo tre diversistrumenti di misura della radioattività (racchiusi in contenitoricon pareti metalliche di spessori differenti per stimare l’effettodella radiazione beta).

Ho usato in primo luogo per l’osservazione della radiazionepenetrante due rivelatori di radiazione di Wulf con paretidi tre millimetri di spessore, a perfetta tenuta e capaci diresistere alle variazioni di pressione in tutte le ascensioni[. . . ]Entrambi gli strumenti erano stati zincati elettroliticamenteall’interno per ridurre la radiazione dalle pareti del recipien-te [. . . ]

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Fig. 4.3. Il volo decisivo di Hess da Aussig a Pieskow nell’agosto 1912

Lo spessore delle pareti degli strumenti 1 e 2 è di tre mil-limetri, in modo che essenzialmente solo i raggi gammapossano essere efficaci.Al fine di studiare simultaneamente il comportamento deiraggi beta ho usato anche un terzo strumento, che nonè stato costruito a tenuta d’aria, ma consisteva in un co-mune elettrometro di Wulf a due lamelle su cui è statorovesciato un vaso cilindrico di ionizzazione di volume paria 16.7 litri, fatto della lamina di zinco più sottile disponibilein commercio, [. . . ] in modo che raggi soffici con le carat-teristiche dei raggi beta potessero anch’essi svolgere unruolo efficace.

Nel volo finale, il 7 agosto del 1912, Hess raggiunse i 5 200 metria bordo della mongolfiera “Böhmen” (Boemia) durante un viag-gio di sei ore da Aussig, nella Boemia settentrionale, a Pieskow, unvillaggio a una sessantina di chilometri a est di Berlino (Fig. 4.3).

I risultati mostrarono chiaramente che la ionizzazione, dopo es-sere passata per un minimo, aumentava considerevolmente conl’altezza (Fig. 4.4). Hess trovò che: (i) immediatamente sopra al suo-

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Cop

pie

di io

ni/(

cm3s)

Cop

pie

di io

ni/(

cm3s)Rivelatore 1

Rivelatore 21913

1914

Altitudine (km) Altitudine (km)

30

20

10

20

60

40

80

2 4 6 2 4 6 8

Fig. 4.4. Variazione della ionizzazione con l’altitudine. A sinistra: l’as-censione finale di Hess (1912), con due elettroscopi (l’elet-troscopio 2 era schermato con pareti più spesse). A destra:le ascensioni di Kolhörster (1913, 1914)

lo la radiazione totale diminuisce leggermente; (ii) a un’altitudinefra i 1 000 e i 2 000 metri avviene una leggera ricrescita della ra-diazione penetrante; (iii) l’aumento raggiunge, a un’altitudine frai 3 000 e i 4 000 metri, già il 50% della radiazione totale che si os-serva al suolo; (iv) tra i 4 000 e i 5 200 metri la radiazione è più fortedi oltre il 100% che al suolo [63].

Hess concluse che l’aumento della ionizzazione con l’altezzadeve dipendere dal fatto che la radiazione proviene dall’alto, epensò che questa radiazione fosse di origine extraterrestre:

I risultati delle presenti osservazioni sembrano essere spie-gati più logicamente dall’assunzione che una radiazione digrandissimo potere penetrante entri nella nostra atmosferadall’alto, e produca in seguito negli strati più bassi una par-te della ionizzazione osservata in recipienti chiusi. L’intensi-tà di questa radiazione sembra essere soggetta a variazionitransitorie, osservabili su scale di tempo di un’ora [63].

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Inoltre egli escluse il Sole come sorgente diretta di questa ipote-tica radiazione penetrante a causa dell’assenza di variazione fra lanotte e il giorno, e dai risultati di una missione compiuta duranteun’eclissi parziale.

Hess infine pubblicò un riassunto dei suoi risultati nel Physika-lische Zeitschrift nel 1913 [64], un articolo che raggiunse il grandepubblico. Lo scienziato austriaco coniò per la radiazione il termine“Höhenstralung” (radiazione dall’alto).

L’anno successivo (1913) Hess ebbe l’opportunità di volare sulpallone “Astarté” (di proprietà del triestino E. Sigmundt, che glieloaveva messo a disposizione gratuitamente) fino a 4 500 metri. Lemisure quantitative si dimostrarono in accordo con i risultati pre-cedenti e con calcoli effettuati dal giovane Schrödinger nell’ipotesiche una parte della radiazione venisse dal suolo e una parte fossedi origine cosmica. Questi calcoli sono un bell’esempio di un usoelegante dell’analisi matematica.

Dopo gli anni della guerra Hess continuò a insegnare a Vienna,e in seguito divenne professore associato di Fisica Sperimenta-le a Graz nel 1920; nello stesso anno si sposò con Maria BerthaBreisky, vedova di un ufficiale e di lui più anziana. Nel febbra-io 1921 iniziò un periodo di congedo sabbatico biennale negliStati Uniti, dove divenne direttore di un laboratorio di ricerca sul-la radiazione nel New Jersey (il laboratorio fu costruito sotto lasua supervisione). In quel periodo Hess insegnò in varie univer-sità americane e lavorò come consulente per l’Ufficio Minerariofederale.

Hess tornò all’Università di Graz nel 1923 e fu nominato profes-sore ordinario. Rimase a Graz fino al 1931, quando accettò un po-sto come professore di fisica sperimentale e direttore dell’Istitutoper la ricerca sulle radiazioni presso l’Università di Innsbruck. Con-tinuò a studiare i raggi cosmici, in particolare progettando e rea-lizzando esperimenti in alta montagna. Hess si accostò con grandiprogetti alla nuovo cattedra: il suo sogno era di costruire un la-boratorio sul monte Hafelekar presso Innsbruck, a un’altitudine di2 300 metri sul livello del mare; il laboratorio avrebbe offerto una“Stazione di ricerca sulla radiazione extraterrestre”, un osservato-rio meteorologico, un piccolo osservatorio astronomico e un la-boratorio per ricerche alpine. Tuttavia, a causa dell’insufficienza difondi, riuscì solo ad attrezzare a laboratorio una stanza di 13 metriquadrati nel rifugio dello Hafelekar (Fig. 4.5). L’energia elettrica era

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Fig. 4.5. Il rifugio dello Hafelekar

disponibile, l’acqua doveva essere presa in inverno dalla stazionea monte della funivia.

Nel 1936 gli fu assegnato il premio Nobel per la fisica, e di que-sto parleremo diffusamente in un capitolo successivo.

Nel 1937 Hess tornò a Graz. Nel 1938, pochi mesi dopo l’annes-sione dell’Austria alla Germania, gli fu tolto il posto, probabilmen-te sia perché aveva una moglie ebrea, sia perché aveva espressoopinioni contrarie all’annessione. Con l’aiuto di un ufficiale dellaGestapo suo amico, il quale gli rivelò che la sua famiglia stava peressere internata in un campo di concentramento, riuscì tuttavia ariparare in Svizzera, e da lì negli stati Uniti, dove un figlio di suamoglie già viveva e dove gli era stata offerta una cattedra di fisicasperimentale alla Fordham University (l’università gesuita di NewYork).

Negli Stati Uniti Hess (che divenne cittadino americano nel1944) si dedicò con passione all’insegnamento (Fig. 4.6) e orientòla sua ricerca a problemi di meteorologia e di radioprotezione.Divenne un forte oppositore dei test nucleari (disse che “sappia-mo troppo poco di radioattività in questo momento per dire concertezza che i test sotterranei o al di sopra dell’atmosfera non

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Fig. 4.6. Hess fa lezione alla Fordham University (Archivio Fordham)

avranno alcun effetto sul corpo umano”). Scrisse anche che avevaintenzione di dedicare il resto della sua vita a comprendere megliogli effetti delle radiazioni sugli esseri umani.

Gli anni americani furono caratterizzati anche dalla morte del-la moglie nel 1955, e da un secondo matrimonio, avvenuto nellostesso anno, con Elizabeth Hoencke, che aveva assistito la moglienell’infermità. Da nessuno dei due matrimoni Hess avrebbe avutofigli propri.

Hess andò in pensione nel 1958, ma continuò a lavorare comeprofessore emerito (anche se la sua salute si deteriorò) vivendo aNew York fino alla morte avvenuta nel 1964; fu sepolto nel cimiterodi White Plains, nella contea di Westchester. La Fordham Universityha allestito un archivio che custodisce i suoi manoscritti e i libri.

Oltre agli articoli scientifici, Hess ci ha lasciato anche alcune mo-nografie, tra cui il volume “Die Weltstrahlung und ihre biologischeWirkung” (1940), scritto con Jakob Eugster e pubblicato nell’ultimaedizione con il titolo “Cosmic Radiation and its Biological Effects”(“I raggi cosmici e i loro effetti biologici”) dalla casa editrice dellaFordham University nel 1949.

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4.4 La conferma da parte di Kolhörster

I risultati di Hess furono successivamente confermati da Kolhör-ster [65], che in una serie di voli fino a 9 300 metri di altitudine com-piuti fra il 1913 e il 1914 trovò un aumento nella ionizzazione finoa dieci volte rispetto al livello del mare. Egli misurò anche il coeffi-ciente di assorbimento della radiazione; il valore ottenuto suscitògrande sorpresa dato che era otto volte più piccolo del coefficien-te di assorbimento dell’aria per i raggi gamma conosciuto in quelmomento. Kolhörster non investigò ulteriormente questo risulta-to che avrebbe potuto portarlo all’importante conclusione che laradiazione extraterrestre non era costituita prevalentemente daraggi gamma; e così si dovettero aspettare ancora quindici anniprima di capirlo.

Perfezionando un’idea di Hess, Kolhörster aveva realizzato elet-troscopi di vario spessore che potevano venire perfettamente si-gillati, riducendo quindi alcuni possibili errori sistematici della mi-sura; questa infatti nel caso di elettroscopi a pareti sottili dove-va venire corretta per le variazioni di pressione, introducendo unacerta arbitrarietà.

4.5 L’85o congresso dei fisici e dei medicidi lingua tedesca

Dal 21 al 28 settembre 1913 si tenne a Vienna uno dei più impor-tanti congressi della storia della fisica, l’ottantacinquesimo con-gresso dei fisici e dei medici di lingua tedesca; esso offrì una vetrinaunica per la discussione dei nuovi risultati sui raggi cosmici.

Vienna era al massimo del suo splendore architettonico, arti-stico e in generale culturale; oltre settemila scienziati accorseroall’evento, forse il più grande della storia della scienza fino a queltempo. La corte imperiale e la città di Vienna organizzarono ban-chetti per i congressisti.

I fisici viennesi poterono mostrare il loro nuovo Istituto per lostudio della radioattività; erano previste ben sei sessioni dedica-te alla fisica (nella seconda sessione il giovane Einstein presentò innuce il suo lavoro sulla relatività generale, la famosa prima versionedel calcolo della deflessione della luce nel passaggio vicino al So-le, affermando: “speriamo che l’eclissi prevista nel 1914 ci consenta

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di ottenere finalmente l’importante decisione [fra l’approccio dellarelatività generale e quello classico]”; naturalmente polarizzò l’at-tenzione del pubblico). Sui contributi alla fisica di quel congressosi potrebbe scrivere un libro intero; essi influenzarono gli sviluppisuccessivi della relatività e della fisica quantistica – anche perchénegli anni successivi, a causa della guerra, gli scienziati avrebberoavuto poche possibilità d’incontrarsi.

La terza sessione era dedicata alla misura della radioattività ealla radiazione penetrante nell’atmosfera. Geiger, che dopo esserestato assistente di Rutherford a Manchester aveva avuto da pocol’insegnamento a Berlino, presentò le idee che sarebbero state allabase del famoso rivelatore di radiazione che oggi prende il suo no-me. Hess tenne una presentazione sperimentale, discutendo i mi-glioramenti da lui apportati all’elettroscopio di Wulf.

Wulf fece una presentazione di rassegna sull’origine dei raggicosmici, riassumendo una serie di esperimenti a lui noti e conclu-dendo che “l’idea di una sorgente extraterrestre dei raggi cosmicinon è supportata dalle osservazioni. Se questo tipo di radiazionesi può osservare a grandi altezze, non è apprezzabile vicino al suo-lo”. Egli affermò inoltre che le variazioni osservate potevano esseredovute a fluttuazioni.

Hess non riportò sui voli su pallone, essendo la presentazio-ne sull’argomento stata affidata a Kolhörster. All’epoca Kolhörsteraveva realizzato tre ascensioni in mongolfiera, raggiungendo quo-te di 3 600 metri, 4 000 metri e 6 300 metri rispettivamente; i risul-tati confermavano l’esito dell’esperimento di Hess (anche se nonancora in modo così spettacolare come quelli dei voli del 1914).

Gli altri due pionieri dei voli in pallone, Bergwitz e Gockel, pre-senti alla discussione, si divisero: Gockel sostenne i risultati di Hesse Kolhörster, mentre Bergwitz si mostrò dubbioso, non essendoconvinto dell’affidabilità dell’apparato sperimentale di misura.

Pacini, che non apparteneva all’ambiente universitario, non fuinviato al congresso. Se nella vita c’è a volte un ultimo treno, Pacinilo perse in quel settembre del 1913.

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Capitolo 5

Sviluppi dopola prima guerra mondiale

Durante la prima guerra mondiale (1914-1918), e negli anni imme-diatamente successivi, furono realizzate pochissime indagini sul-la radiazione penetrante. Kolhörster continuò i suoi studi utiliz-zando strumenti di misura di nuova concezione e realizzò misu-re in montagna con risultati (pubblicati nel 1923) in accordo conquelli dei voli su pallone aerostatico. Ci furono, comunque, ancheposizioni negative rispetto all’ipotesi di una radiazione extrater-restre. Il tedesco Hoffmann, utilizzando elettrometri sensibilissimida lui sviluppati, concluse [66] che la causa della ionizzazione era-no gli elementi radioattivi nell’atmosfera. Conclusioni simili furonoraggiunte da Behounek [67].

Dopo la guerra, il fulcro della ricerca si spostò negli Stati Uni-ti. Millikan1 e Bowen [68] svilupparono un elettrometro di picco-la massa (circa 200 grammi) e una camera a ioni per ascensionisenza pilota su pallone aerostatico utilizzando tecnologie di tra-smissione sviluppate durante la guerra mondiale. In ascensioni fi-no a 15 000 metri di altitudine in Texas trovarono con grande sor-presa un’intensità di radiazione di non più di un quarto dell’inten-sità riportata da Hess e Kolhörster. Attribuirono questa differen-za a un rovesciamento dell’intensità ad altitudini maggiori, dato

1 Robert A. Millikan (Morrison 1868 - Pasadena 1953) fu un fisico sperimentale ame-ricano, premio Nobel per la fisica per le sue misure della carica dell’elettrone e peril suo lavoro sull’effetto fotoelettrico. Studioso di letteratura classica prima di de-dicarsi alla fisica, fu presidente del California Institute of Technology (Caltech) dal1921 al 1945.

A. De Angelis, L'enigma dei raggi cosmici© Springer-Verlag Italia 2012

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Fig. 5.1. Millikan e collaboratori trasportano apparecchi per la misu-ra dei raggi cosmici sul monte Whitney nel 1925. Cortesiadel California Institute of Technology

che non conoscevano l’esistenza di un effetto geomagnetico chefa sì che la quantità di radiazione cosmica in quota sia significati-vamente diversa in Europa e in Texas. Millikan quindi pensò chenon vi fosse radiazione extraterrestre, e al congresso dell’Ameri-can Physical Society nel 1925 affermò che “l’intera radiazione pe-netrante è di origine locale”.

Nel 1926 tuttavia Millikan e Cameron [69] effettuarono misu-re di assorbimento della radiazione a diverse profondità nei laghi(riproducendo la tecnica di Pacini) e ad altezze elevate (Fig. 5.1).Basandosi sui coefficienti di assorbimento noti all’epoca e sulla di-pendenza della radiazione dall’altitudine, conclusero che la radia-zione era formata da raggi gamma di alta energia e che “questiraggi si propagano attraverso lo spazio in modo uniforme in tuttele direzioni”, chiamandoli “raggi cosmici”. Il lavoro di Pacini non fucitato, così come non fu citato il lavoro di Hess.

Millikan aveva fama di scienziato rapace: una delle battuteche circolavano su di lui al Caltech era “Jesus saves, and Milli-kan takes the credit” (Gesù ci salva, e Millikan se ne prende ilmerito). Oltre a questa presunta rapacità sapeva gestire con ener-

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Fig. 5.2. Millikan ebbe l’onore della copertina del diffusissimo setti-manale Time

gia e competenza la comunicazione con i media, e negli StatiUniti la scoperta dei raggi cosmici divenne, secondo l’opinionepubblica, un successo della scienza americana (Fig. 5.2). Milli-kan sostenne che le radiazioni sono “generate da cambiamen-ti nucleari che hanno valori di energia non lontani da [quelli]nella materia nebulosa dello spazio”, e scrisse che la radiazionecosmica era il “vagito di nascita degli atomi” nella nostra galas-sia. Le sue lezioni attrassero un’attenzione notevole da parte,fra gli altri, di Eddington e Jeans, che si impegnarono nella de-scrizione di processi che potessero giustificare le affermazioni diMillikan.

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5.1 I raggi cosmici sono carichi o neutri?

Generalmente si credeva che la radiazione cosmica fosse costitui-ta da fotoni di tipo gamma a causa del suo potere di penetrazione(il potere di penetrazione delle particelle cariche di altissima ener-gia non era conosciuto al tempo). Millikan aveva proposto l’ipotesiche questo tipo di raggi gamma venissero prodotti quando i pro-toni e gli elettroni formano nuclei di elio nello spazio interstellare.

Un esperimento cruciale, che avrebbe stabilito la natura deiraggi cosmici (e in particolare se fossero carichi o neutri), fu la mi-surazione della dipendenza dell’intensità dei raggi cosmici dallalatitudine geomagnetica. Il campo magnetico terrestre, infatti, de-via le particelle cariche, fatto che induce una disomogeneità nelflusso di tali particelle provenienti dall’esterno a diverse latitudini.Importanti misure furono effettuate nel 1927 e nel 1928 dall’olan-dese Clay [70] che, durante due viaggi in nave tra Giava e Genova,seguiti poi da altri viaggi tra Giava e Amsterdam e Giava e South-ampton, trovò che la ionizzazione aumentava con la latitudine

Fig. 5.3. Misure di radioattività effettuate da Clay e collaboratori;è chiaro l’effetto della latitudine

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Fig. 5.4. Contatori Geiger del 1930

(Fig. 5.3) in modo riproducibile. Variazioni di questo genere nonsi sarebbero attese se la radiazione fosse stata di tipo gamma,ma Clay non trasse una conclusione definitiva sulla natura dellaradiazione cosmica. Il lavoro di Clay fu confutato da Millikan.

Con l’introduzione del tubo contatore di Geiger-Müller (Fig. 5.4)nel 1928 iniziò una nuova era negli esperimenti. Il contatore Gei-ger, inventato da Hans Wilhelm Geiger (1882-1945), e perfezionatodal suo studente Walther Müller, è uno strumento utile per misu-rare radiazioni di tipo ionizzante. In particolare può essere usatoper misurare le radiazioni provenienti da decadimenti di tipo alfa ebeta (rispettivamente nuclei di elio ed elettroni). È costituito da untubo contenente un gas a bassa pressione. Lungo l’asse del tuboè teso un filo metallico, isolato dal tubo stesso; tra il filo e il tubo sistabilisce un’alta differenza di potenziale, dell’ordine di 1 000 volt.Quando una radiazione attraversa il tubo e colpisce una delle mo-lecole del gas, la ionizza, creando, tramite il processo della molti-plicazione a valanga, coppie di cariche positive e negative. L’im-pulso elettrico risultante è testimone dell’avvenuto contatto conuna radiazione ionizzante – lo strumento ha quindi grande sensi-bilità alle particelle cariche, e consente di distinguere tra particellecariche e neutre.

Mediante l’uso del contatore di Geiger-Müller presto arrivò laconferma definitiva che la radiazione cosmica è principalmen-te corpuscolare, grazie a un’indagine sperimentale compiuta daBothe2 e Kolhörster [71]. L’indagine utilizzava la tecnica di coinci-denza appena introdotta da Bothe; sostanzialmente, la tecnica di

2 Walther Wilhelm Georg Bothe (Oranienburg 1891 - Heidelberg 1957) era un fisico,matematico e chimico tedesco, vincitore del premio Nobel per la fisica nel 1954,per “il metodo della coincidenza e le scoperte fatte in quell’ambito.” Fu professorepresso l’Università di Heidelberg.

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coincidenza consente di dire se un evento si è verificato contem-poraneamente (o entro un intervallo di tempo prestabilito) tradue punti diversi e quindi, in particolare, di tracciare la direzionedi provenienza di una particella.

Nonostante i chiari risultati sperimentali Millikan era anco-ra scettico. Nel 1932 Compton3 svolse un esperimento a livelloplanetario per risolvere la controversia; a questo esperimentoparteciparono più di sessanta fisici che svolsero misure indipen-dentemente (era un esperimento antesignano di quella che oggichiamiamo big science). A seguito dei risultati ottenuti Comptonriferì [72] che vi era un effetto di latitudine, che i raggi cosmicierano particelle cariche e che Millikan aveva torto. Millikan attac-cò con forza Compton, ma dopo aver ripetuto il suo esperimentonel 1933 ammise che vi era un effetto di latitudine e che i raggicosmici dovevano essere (per la maggior parte) particelle cariche.

5.2 Positivi o negativi?

Ci si chiedeva a questo punto se le particelle fossero positive onegative. La soluzione fu trovata grazie a un’idea originale di Bru-no Rossi, un fisico italiano (Venezia 1905 - Boston 1993) che, dopoaver studiato tra Padova e Bologna, fondò la scuola fiorentina di fi-sica dei raggi cosmici, lavorando come astrofisico presso l’osserva-torio di Arcetri, e nel 1932 diventò professore di fisica sperimentaleall’Università di Padova. Rossi si prodigò per la costruzione dell’at-tuale dipartimento di fisica della città veneta, ma nel 1938, essen-do di origini ebraiche, fu costretto a lasciare l’Italia a seguito dellapromulgazione delle leggi razziali, spostandosi negli Stati Uniti (la-vorò in diverse prestigiose università ed enti di ricerca, e si stabilìalla fine al Massachusets Institute of Technology – MIT – di Boston,dove oggi viene custodito un archivio dei suoi manoscritti e delmateriale scientifico da lui lasciato).

Ad Arcetri nel 1930 Rossi perfezionò la tecnica di coincidenza,costruendo circuiti che consentivano di collegare rivelatori a gran-di distanze. Nello stesso anno ebbe l’idea di utilizzare il campo

3 Arthur Holly Compton (Wooster 1892 - Berkeley 1962) fu professore dal 1920 allaWashington University, Saint Louis, e dal 1923 a Chicago. Nel 1927 vinse il premioNobel per la scoperta dell’effetto che da lui prende il nome; l’effetto Compton èlegato alle proprietà corpuscolari della luce.

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Fig. 5.5. Il fatto che i raggi cosmici siano prevalentemente particel-le di carica positiva fa sì che, per l’interazione con il cam-po magnetico terrestre, provengano prevalentemente daOvest che da Est. L’effetto è particolarmente chiaro vicinoall’Equatore

magnetico terrestre per misurare se le particelle cosmiche fosseroprevalentemente positive o negative (Fig. 5.5): se i raggi cosmicisono prevalentemente particelle di carica positiva, per l’interazio-ne con il campo magnetico terrestre appariranno provenire preva-lentemente da Ovest; se sono particelle negative appariranno pro-venire prevalentemente da Est. Eseguì la misura proprio ad Arcetri,e ottenne un risultato ambiguo.

Rossi allora pensò di spostarsi all’Asmara nelle colonie eritree,perché l’effetto Est-Ovest doveva essere maggiore in prossimi-tà dell’Equatore (Fig. 5.6). Riuscì a programmare il suo viaggio nel1933, dimostrò che i raggi cosmici erano prevalentemente parti-

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Fig. 5.6. Il giovane Rossi, un soldato italiano e un ascaro (soldato eri-treo che collaborava con le autorità coloniali) accanto allatenda usata come campo base per le misure

celle di carica positiva, e pubblicò il suo risultato nel 1934. Rossi fusfortunato: qualche mese prima Alvarez4 e Compton avevano ot-tenuto lo stesso risultato (citarono comunque correttamente nelloro lavoro il fatto che l’idea era stata di Rossi). Un terzo gruppoamericano, guidato da Johnson, confermò indipendentementei risultati di Alvarez e di Rossi. Solo più tardi, nel 1941, si potécomunque concludere con certezza che tali particelle di caricapositiva erano protoni.

Nel corso delle sue misure all’Asmara Rossi ottenne un altro ri-sultato importantissimo. Riportò durante un test delle apparec-chiature l’osservazione di scariche quasi simultanee di contatoriGeiger molto distanti tra loro posti su una linea orizzontale. Nellasua relazione sull’esperimento, scrisse [73]:

La frequenza delle coincidenze registrate con i contatorilontani l’uno dall’altro e indicata nelle tabelle sotto il no-

4 Luis Walter Alvarez (San Francisco 1911 - Berkeley 1988) era un fisico statunitensedi origine spagnola. All’inizio degli anni Cinquanta, il suo gruppo rilevò l’esistenzadi nuove particelle instabili sconosciute all’epoca; per questo nel 1968 gli venneassegnato il premio Nobel per la fisica.

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me di “coincidenze casuali”, appare più elevata di quellache sarebbe stata prevedibile in base al potere risolutivodelle registrazioni, misurato a Padova prima della partenza(2 × 10−4 secondi per la registrazione II). Ciò fece nascereil dubbio che tali coincidenze non fossero, in realtà, tuttecasuali. Questa ipotesi sembra essere avvalorata dalle dueseguenti osservazioni:

1. In 21 ore e 37 vennero registrate fra tre contatori al-lontanati e disposti in modo che uno stesso corpusco-lo non potesse attraversarli, 14 coincidenze. Se que-ste fossero da considerarsi come casuali, alla registra-zione dovrebbe venir attribuito un potere risolutivodi circa 0.02 secondi; ma in questo caso fra due con-tatori scoperti dovrebbero prodursi circa 200 coinci-denze casuali all’ora, mentre in realtà se ne osservanosolamente 6.

2. Quando in una delle due registrazioni adoperatei contatori erano disposti in modo da registrare lecoincidenze doppie “casuali”, le rare coincidenze se-gnate da questa registrazione erano spesso accompa-gnate da una coincidenza simultanea della secondaregistrazione.

Parrebbe dunque (poiché il dubbio di possibili disturbivenne escluso con opportune esperienze di controllo),che di tanto in tanto giungessero sugli apparecchi deglisciami molto estesi di corpuscoli, i quali determinasserocoincidenze fra contatori anche piuttosto lontani l’uno dal-l’altro. Mi è mancato purtroppo il tempo di studiare più davicino questo fenomeno per stabilire con sicurezza l’esi-stenza dei supposti sciami di corpuscoli ed investigarnel’origine.

Nel 1937 Pierre Auger, probabilmente ignaro del precedente arti-colo di Rossi, rilevò lo stesso fenomeno e indagò in maggior det-taglio. Concluse [74] che ampi sciami di particelle vengono ge-nerati da particelle di raggi cosmici primari ad alta energia cheinteragiscono con i nuclei d’aria nell’alta atmosfera, dando inizioa una cascata di interazioni secondarie che alla fine porta uno scia-me di elettroni, fotoni, muoni che raggiungono il livello del suolo.

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Gli sciami di particelle sono la spiegazione diretta del fenomenodi scarica spontanea degli elettroscopi, da cui tutta l’indagine erapartita all’inizio del secolo!

La teoria formale dello sviluppo degli sciami venne poi svilup-pata grazie a Bethe, Heitler, Rossi, Greisen, e a contributi pionieri-stici di Heisenberg5, con il quale Rossi aveva un fitto rapporto epi-stolare. Prima della seconda guerra mondiale Heisenberg, a queltempo a Lipsia, aveva pubblicato diversi lavori sui raggi cosmici,e in particolare sugli sciami di particelle (si veda, ad esempio, [75,76]). Nel 1943, durante la guerra, Heisenberg curò un volume suiraggi cosmici in onore di Sommerfeld [77]; cinque degli articoli delvolume sono scritti dallo stesso Heisenberg6.

Negli anni tra le due guerre fu data molta attenzione alla que-stione della variazione nel tempo della radiazione. Molti ricercatori(Wulf, Pacini ed Hess in particolare) avevano osservato tali varia-zioni, ma verso il 1930 l’opinione generale era che esse non fosse-ro significative. Un’analisi accurata compiuta da Forbush dimostròche l’intensità dei raggi cosmici osservata nell’atmosfera terrestrevariava significativamente con il tempo [78].

5 Werner Heisenberg (Würzburg 1901 - Monaco di Baviera 1976) iniziò i suoi stu-di a Monaco sotto la guida di Sommerfeld. Nel 1922 iniziò a collaborare con Bohra Copenaghen e con Hilbert a Göttingen; elaborò un nuovo formalismo matema-tico per la meccanica quantistica e dimostrò il teorema noto come “principio diindeterminazione” che stabilisce l’esistenza di un limite intrinseco alla determina-bilità simultanea di alcune coppie di osservabili. Nel 1927 fu chiamato a ricoprirela cattedra di fisica teorica all’università di Lipsia; nel 1932 gli fu conferito il premioNobel per la fisica per i suoi contributi alla fisica quantistica. Accusato di collabora-zione con i nazisti, fu fatto prigioniero, fino a che, riabilitato, dal 1952 fu incaricatodi creare e organizzare a Monaco l’istituto di ricerca Max Planck per la fisica e l’astro-fisica, che oggi porta il suo nome. S’impegnò a fondo nella ricostruzione dei centridi ricerca tedeschi ed europei, e fu tra i fondatori del CERN di Ginevra. Diede ancheimportantissimi contributi logici, filosofici ed epistemologici alla fisica quantistica.6 Nella prefazione, datata giugno 1943, Heisenberg descrive la difficile situazioneper la scienza in Germania. Egli sottolinea la mancanza di informazioni da parte dipaesi stranieri e l’assenza di relazioni a partire dall’estate del 1941. La situazione diboicottaggio degli scienziati tedeschi è simile a quella che si era verificata durantee subito dopo la prima guerra mondiale.

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5.3 Albori della fisica delle particelleelementari

Grazie allo sviluppo della fisica dei raggi cosmici gli scienziati sco-prirono che le sorgenti astrofisiche fornivano proiettili ad altissimaenergia che giungevano nell’atmosfera. Fu quindi naturale sia in-dagare la natura di tali proiettili, sia utilizzarli come sonde per stu-diare in dettaglio la materia, sulla falsariga dell’esperimento realiz-zato da Rutherford nel 1900 (Rutherford aveva introdotto la tec-nica d’indagine microscopica nella quale si bombardano i bersa-gli di cui vuole studiare la struttura con particelle di alte energie,studiando la deflessione di queste ultime).

La fisica delle particelle elementari, scienza dei costituenti fon-damentali della materia, ebbe dunque inizio con i raggi cosmici.E grazie ai raggi cosmici furono fatte molte scoperte fondamen-tali, probabilmente le più importanti nella storia della fisica delleparticelle.

La prima fu la scoperta dell’antimateria, una scoperta che hacambiato il modo in cui gli esseri umani si pongono di fronte all’u-niverso.

L’equazione di Schrödinger, proposta nel 1926 come equazio-ne del moto di una particella quantistica, aveva la pecca di essereinconsistente con la teoria della relatività. Il giovane Dirac7 giun-se a un’equazione quantisticamente corretta e consistente con lateoria della relatività, e la pubblicò nei Proceedings of the Royal So-ciety of London il 2 gennaio 1928, col titolo “La teoria quantisticadell’elettrone”.

L’equazione di Dirac era molto elegante e spiegava lo spin (os-sia il momento angolare intrinseco) dell’elettrone, come pure ilcorretto valore del suo momento magnetico, tutto questo senzabisogno di alcuna ipotesi ulteriore. Prediceva inoltre un nuovosottile effetto sull’energia degli elettroni nell’atomo d’idrogeno,

7 Paul Adrien Maurice Dirac (Bristol 1902 - Tallahassee 1984) è stato tra i fondato-ri della fisica quantistica. Dopo gli studi in fisica, divenne professore di matema-tica a Cambridge. Nel 1933 ricevette il premio Nobel assieme a Schrödinger per“la scoperta di nuove forme della teoria atomica”. Assegnò al concetto di “bellezzamatematica” un ruolo preminente tra gli aspetti fondamentali intrinseci alla naturafino al punto di sostenere che “una teoria matematicamente bella ha più probabi-lità di essere giusta e corretta di una sgradevole che venga confermata dai datisperimentali”.

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Fig. 5.7. La camera a nebbia costruita e utilizzata da Anderson eNeddermeyer tra il 1935 e il 1940 (California Institute ofTechnology)

effetto che fu puntualmente osservato. Tuttavia prediceva anchequalcosa di più: l’esistenza di anti-particelle per tutte le particelleelementari di materia esistenti. Quindi oltre all’elettrone ci dovevaessere un “anti-elettrone”, particella identica al “nostro” elettronema di carica positiva. Inizialmente Dirac non si rese conto di que-sta implicazione; quando il “problema” gli fu presentato nel 1930da Weyl, cercò di eliminarlo.

Nel frattempo un nuovo strumento prendeva piede nello stu-dio dei raggi cosmici: la camera a nebbia. La camera a nebbia(Fig. 5.7) è una scatola a tenuta ermetica che contiene aria sa-tura di vapore acqueo collegata, mediante un condotto, a uncilindro entro il quale scorre un pistone. Un rapido spostamentodello stantuffo provoca nella camera un’espansione adiabaticadel vapore che passa allo stato instabile di soprassaturazione.In tali condizioni una particella carica elettricamente che pene-tri nella scatola ionizzando gli atomi con i quali si scontra crea,lungo il proprio tragitto, un fitto susseguirsi di nuclei di con-densazione (atomi ionizzati), attorno ai quali il vapore sopras-saturo si raccoglie a formare minuscole goccioline (nebbia). Latraccia lasciata dalla traiettoria percorsa della particella può es-sere fotografata attraverso una parete trasparente della scatola.

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Fig. 5.8. Fotografia che mostra il passaggio di un anti-elettrone,o positrone, attraverso una camera a nebbia immersa inun campo magnetico. Si capisce che la particella viene dalbasso per il fatto che, dopo avere attraversato la lastra dimateriale nel mezzo (e quindi perduto energia), il raggio dicurvatura diminuisce. Si capisce che è positiva dal verso dirotazione nel campo magnetico. La massa si misura dalladensità delle bolle (un protone avrebbe perso energia piùvelocemente)

Diventava quindi possibile “fotografare” le traiettorie dei raggicosmici.

Carl Anderson8 era uno studente di Millikan al quale il relatoreaveva chiesto di costruire una camera a nebbia. All’interno del-la sua camera a nebbia Anderson sistemò una lastra di piomboper far perdere energia alle particelle. Mentre stava analizzandole tracce dei raggi cosmici che passavano attraverso la sua ca-

8 Carl David Anderson (New York 1905 - Pasadena 1991) era un fisico statunitensedi origine svedese. Allievo di Millikan, dopo il premio Nobel nel 1936 divenne dal1939 professore presso il California Institute of Technology. Millikan era anche unapersona originale come supervisore: Anderson raccontò nelle sue memorie che,dopo avergli assegnato l’argomento di tesi, non andò mai a trovarlo durante i treanni dello svolgimento della tesi stessa.

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mera a nebbia, Anderson nel 1932 scoprì l’antimateria9in formadell’anti-elettrone (Fig. 5.8), l’elettrone positivo anche chiamatopositrone [79].

Quindi Dirac non aveva bisogno di modificare la sua teoria:l’equazione si era dimostrata più intelligente del suo autore.

Molte scoperte vennero fatte successivamente in fisica delleparticelle grazie ai raggi cosmici, e ne parleremo nel Capitolo 7.

9 È tuttavia ormai un fatto storicamente stabilito che il fisico russo Dmitry Skobel-tzyn (1892-1982) della scuola di Leningrado osservò sperimentalmente positroninei raggi cosmici già fra il 1923 e il 1927, ben prima di Anderson. Purtroppo sotto-valutò la scoperta e non la pubblicò, riportando solo in un congresso a Cambrid-ge che curiosamente aveva osservato tracce di elettroni che curvavano nel versosbagliato. In assenza di una teoria la sua osservazione fu dimenticata nello stessomodo in cui egli l’aveva trascurata.

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Capitolo 6

Il riconoscimentodella comunità scientifica

Finalmente nel 1936 la scoperta dell’origine dei raggi cosmici fupremiata con il Nobel (Fig. 6.1) che fu assegnato a Victor Hess; ilpremio fu condiviso con C.D. Anderson, il quale fu scelto per lascoperta del positrone (la prima particella di antimateria scopertadall’umanità, rivelata anch’essa nei raggi cosmici).

Il lavoro di Pacini fu correttamente citato nella relazione del Co-mitato per il Nobel, nonostante egli non fosse mai stato nominatoper il premio (stupisce in particolare a tale riguardo la totale as-senza di proposte da parte della comunità scientifica italiana, fattoche probabilmente è spiegabile con la chiusura e l’organizzazio-ne in “clan” dell’ambiente culturale e accademico). Va comunquesottolineato che Pacini, essendo morto da due anni, non avrebbepotuto essere premiato.

La ricerca scientifica è caratterizzata oggi dalla rapida comuni-cazione dei risultati. Quando i raggi cosmici furono scoperti la si-tuazione era molto diversa [2]: la comunicazione era lenta, vi era-no importanti barriere linguistiche aggravate dal nazionalismo e leconseguenze degli esiti della prima guerra mondiale erano moltopesanti.

6.1 Il premio Nobel per i raggi cosmici

La Reale Accademia di Svezia aveva ricevuto nel 1936 trentunocandidature per il premio Nobel; poiché alcuni nomi si ripetevanonelle candidature stesse, i papabili erano in totale ventidue.

A. De Angelis, L'enigma dei raggi cosmici© Springer-Verlag Italia 2012

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Fig. 6.1. Da sinistra Petrus Debye (premio Nobel per la chimica), CarlAnderson e Victor Hess (premi Nobel per la fisica) aspettanodi ricevere il premio a Stoccolma il 10 dicembre 1936. Die-tro di loro alcuni scienziati premiati negli anni precedenti:Manne Siegbahn (premio Nobel per la fisica nel 1924), Gu-stav Dalén (premiato per la fisica nel 1912) e The Svedberg(premiato per la chimica nel 1926) (Fondazione Nobel)

Hess era stato candidato da Clay (il quale aveva suggerito chea Hess venisse assegnato un premio non condiviso con altri; ungrande gesto di signorilità, dato che Clay era a sua volta candidatoper la scoperta della dipendenza del flusso dei raggi cosmici dallalatitudine) e da Compton (che aveva suggerito di attribuire il pre-mio a Hess e ad Anderson, cosa che poi avvenne). Hess era statonominato per la prima volta nel 1931 da Pohl, professore a Göttin-gen, poi nel 1933 da Plotnikov, professore a Zagabria, e nel 1934da Willstätter, professore a Monaco di Baviera.

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Nella sua lettera di candidatura per Hess e Anderson Comptonaveva scritto:

. . . è giunto il momento, mi sembra, in cui si può dire concertezza che i cosiddetti raggi cosmici hanno origine a di-stanze così remote dalla Terra che possono essere corret-tamente chiamati cosmici, e che l’uso di queste particelle[di altissima energia] ha ormai portato a risultati di un’im-portanza tale che essi possono essere considerati una sco-perta di prima grandezza [. . . ] Credo sia corretto affermareche Hess fu il primo a stabilire l’aumento della ionizzazioneosservata negli elettroscopi con l’aumento dell’altitudine;ed egli fu il primo ad attribuire con sicurezza tale aumen-to di ionizzazione a una radiazione proveniente dall’esternodella Terra.

Perché un riconoscimento così tardivo? Compton sottolinea chesolo di recente lo studio dei raggi cosmici è stato utile anche inaltre aree della fisica, e scrive:

Prima che fosse corretto assegnare il premio Nobel per lascoperta di questi raggi, è stato necessario attendere pro-ve più concrete delle loro caratteristiche peculiari e della lo-ro importanza in vari campi della fisica. Questo ora è avve-nuto. Studi degli effetti della latitudine magnetica sul flus-so di questa radiazione hanno mostrato che essa compren-de particelle di energie molto più alte di quelle disponibi-li da sorgenti artificiali, e hanno fornito ulteriori confermeche esse vengono da sorgenti che possono appropriata-mente venire chiamate cosmiche. L’utilità di questa radia-zione è stata dimostrata dall’esperimento che ha rivelatol’esistenza dell’anti-elettrone [2].

La Reale Accademia formò una sottocommissione incaricata distudiare le candidature legate ai raggi cosmici; la sottocommis-sione era formata dai professori H. Pleijel, presidente; A.E. Lindh,C.W. Oseen e M. Siegbahn; E. Hulthén, segretario. Questa sot-tocommissione preparò una relazione di nove pagine sui raggicosmici e la inviò al Comitato per il Nobel per la fisica nel giugno1936; la relazione, firmata da Hulthén, fu poi inclusa come ap-pendice nella proposta del Comitato alla Reale Accademia delleScienze di Svezia.

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Hulthén rileva che, per quanto riguarda la candidatura di Hess,la sua scoperta è abbastanza vecchia. Tuttavia sia Clay sia Comp-ton, nominando Hess, sottolineano che solo di recente l’originedella radiazione cosmica penetrante è stata stabilita con certezza,e che essa è stata molto importante in relazione ad altre scoperterecenti. Nella sua relazione attenta e completa Hulthén descriveanche in dettaglio il lavoro di Hess sulle misure di ionizzazione re-sidua osservata all’interno di elettroscopi da parte di Wilson e diElster e Geitel. Ulteriori ricerche compiute da Rutherford e Cooke,e da McLennan e Burton, hanno dimostrato che la ionizzazioneosservata si riduce quando l’elettroscopio è circondato da assor-bitori. Hulthén sottolinea che all’epoca la ricerca sulla radioattivi-tà, scoperta nel 1896 da Becquerel, era nella sua infanzia e l’azionedi sostanze radioattive nel terreno sembrava una spiegazione na-turale dell’origine della ionizzazione. Afferma che in seguito sullabase di esperimenti di Eve, Pacini e Mache era diventato chiaro chesolo una piccola frazione della ionizzazione residua potesse esse-re attribuita a sostanze radioattive. Sulla base di misure di assorbi-mento dei raggi gamma erano state elaborate stime sulla ionizza-zione a diverse quote; tuttavia, le prime misurazioni su pallone daparte di Bergwitz e Gockel non avevano mostrato una riduzionesignificativa della ionizzazione con l’altitudine.

Hulthén commenta il fatto che i risultati delle misure su pal-lone aerostatico confermano le misure di Pacini, le quali indica-vano che una parte non trascurabile della radiazione è indipen-dente dall’azione diretta di sostanze contenute nella crosta terre-stre. Egli rileva tuttavia che il lavoro attento di Hess comprendeanche una misurazione accurata dell’assorbimento dei raggi gam-ma in funzione della distanza e varie ascensioni in mongolfieratra il 1911 e 1912, al termine delle quali viene trovato finalmenteun aumento di un fattore due nella ionizzazione a un’altitudine di5 200 metri. Hulthén cita la conclusione di Hess secondo cui i risul-tati mostrano che una radiazione molto penetrante incide sull’at-mosfera dall’esterno (“I risultati delle presenti osservazioni sembrapossano essere spiegati partendo dal presupposto che una radia-zione di altissima forza di penetrazione entri dall’alto nella nostraatmosfera” [64]). I risultati di Hess avevano attirato molta attenzio-ne, ma erano stati anche messi in discussione a causa di incertezzesperimentali; molto presto, però, ricevettero conferma da Kolhör-ster, che misurò una ionizzazione 40 volte più grande che al suolo

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a un’altitudine di 9 300 metri. Dopo la prima guerra mondiale la ri-cerca è stata ripresa nel 1920. I risultati di Hess e Kolhörster furonoancora messi in discussione, tra gli altri da Millikan, che tuttavia nel1925 confermò la conclusione di Hess.

Hulthén conclude la sua relazione con una discussione sull’im-portanza dei risultati di Hess per altri settori della fisica fondamen-tale.

6.2 L’opinione di Edoardo Amaldi

Edoardo Amaldi1 non aveva alcun dubbio sul fatto che DomenicoPacini fosse lo scopritore dei raggi cosmici, come dichiarato in unalettera (Fig. 6.2) scritta il 14 luglio 1941 all’allora direttore dell’Isti-tuto di Fisica di Roma, Antonino Lo Surdo2.

La lettera di E. Amaldi fu motivata da un articolo dal titolo “Lascienza e gli ebrei” [81] apparso il 2 luglio 1941 nel giornale roma-no Il Tevere. Nell’articolo, a firma del direttore Giuseppe Pensabe-ne, si affermava che la fisica nucleare e la fisica dei raggi cosmicierano scienze giudaiche. Questo articolo bene illustra la pesanteatmosfera culturale dei tempi del fascismo.

Non è da oggi che si osserva da quelli che guardano nell’in-sieme lo stato delle scienze fisiche un crescente turbamen-to che sembra incepparle e comunque confonderne i pro-pri e nitidi caratteri [. . . ] formati in Italia [. . . ] di porsi davantialla natura in un’attitudine riverente di osservatori e di spe-

1 Edoardo Amaldi (Carpaneto Piacentino 1908 - Roma 1989) lavorò a stretto con-tatto con Enrico Fermi (fu uno dei “ragazzi di Via Panisperna”) fino al 1938, quandoFermi fu costretto a lasciare l’Italia. Professore di fisica sperimentale a Roma per piùdi 40 anni, fu co-fondatore del CERN, di cui fu il primo segretario generale (così eradenominato quello che oggi è il direttore generale) durante gli anni 1952-1954,dell’ESA, e della Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN), di cui fu presidente dal1960 al 1965. I suoi campi di interesse sono stati la fisica delle particelle elementari,la fisica nucleare, e la fisica della radiazione cosmica, con una particolare attenzioneallo studio delle onde gravitazionali.2 Antonino Lo Surdo (Siracusa 1880 - Roma 1949) fu professore di fisica all’Univer-sità di Roma dal 1919; divenne direttore dell’Istituto di Fisica nel 1937. Fondatoredell’Istituto Nazionale di Geofisica, fu espulso dopo la seconda guerra mondialedall’Accademia dei Lincei, una delle più prestigiose accademie scientifiche d’Ita-lia, a causa di denunce di collaborazione con il regime di Mussolini, e più tardireintegrato [80].

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Fig. 6.2. Lettera di E. Amaldi a Lo Surdo. La lettera fa parte dell’Archi-vio Amaldi (scatola 212, fasc. 1) all’Università “La Sapienza”di Roma (per cortesia di U. Amaldi e G. Battimelli)

rimentatori anziché di raziocinanti, e di scopritori delle sueleggi anziché di ideatori di surrogati teorici della realtà.

Valga per tutti un esempio: da un pezzo oramai sono pe-netrati nella fisica i concetti della geometria pluridimensio-nale. Questa come tutti sanno non ha nessun legame conla realtà: è solo il risultato d’una convenzione che può far-si come non farsi senza che nessuna necessità lo imponga.Infatti ha solo per base un’analogia, cioè questa: nello stes-so modo come ai numeri elevati alla seconda e alla terzapotenza corrispondono nella realtà i quadrati ed i cubi co-sì anche a quelli elevati alla quarta, alla quinta od alla en-nesima potenza poniamo che corrispondano figure a quat-tro, a cinque o ad enne dimensioni. Siffatte figure nessuno

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mai le ha viste: appartengono ad uno spazio diverso e sco-nosciuto dal nostro: poniamo però che esistano. Ora unamatematica così fatta potrà se mai seguirsi solo come unacuriosa costruzione logica: ma il volere oggi adeguare adessa persino la fisica che è per eccellenza scienza di osser-vazione, ed adeguarla in modo non che questa sia servitadalla matematica (come s’era fatto dopo Cartesio) ma cheaddirittura la serva anche nelle sue meno reali costruzio-ni, è già un segno d’evidente decadenza. Cosa che si è vi-sta soprattutto in un’occasione: cioè quando lo scienziatoEinstein ha creduto di potere dimostrare tra l’altro la va-lidità di siffatta irreale matematica osservando la pretesacurvatura d’un raggio luminoso, proveniente da una stellalontanissima.

Il nome di Einstein non viene fuori di proposito. L’orienta-mento accennato della fisica non è infatti più antico d’uncinquantennio; ed è stato indubbiamente contemporaneoall’apparire anche in questo campo di personalità ebraiche,spesso divenute molto influenti per l’attitudine alla propa-ganda propria della loro razza; ed in ogni modo portateper istinto a questo modo di pensare. Nel quale il motivocabalistico è a prima vista evidente. Una conoscenza anchesuperficiale degli antichi filosofi e matematici di quella na-zione permette di rendersene conto. Per esempio si guardiad uno dei cavalli di battaglia degli ebrei che oggi si oc-cupano di fisica: cioè sopratutto alla fisica nucleare. Unacostruzione in gran parte fondata sull’arbitrio; e intantoqual è il suo tema fondamentale? Quello dell’identità tramateria ed energia. Non pare di ritrovare le stesse vedutedella Cabala, quelle cioè per cui il mondo non è che con-tinua emanazione? Tipica d’altronde l’incapacità ebraicadi guardare alla natura, cioè di osservare: che è stato in-vece il fondamento nel quale si è fino ad oggi sviluppatain Occidente la scienza. Gli ebrei teorizzano, non osserva-no: ecco una delle ragioni per cui la scienza decade. Giac-ché si trova come tante altre cose sotto l’influenza degliebrei.

Tuttociò considerato non mi sembra che abbia torto unostudioso, l’ing. G. Di Gaddo, del quale proprio in questi gior-

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ni ci è pervenuta una lettera e che ha osservato tra l’altro:esiste una scienza ebraica; cioè un modo ebraico di trattareo piuttosto di corrompere la scienza. Visto che ci siamo libe-rati sotto tanti aspetti dell’influenza degli ebrei perché nondare un occhio anche a questo? Cosa che a quel che pareancora non si fa. Infatti, proprio in questi giorni, nella RivistaLa Ricerca scientifica del Consiglio Nazionale delle Ricercheè uscito al posto d’onore un articolo intitolato ‘La cameradi Wilson dell’Istituto di Fisica di Milano’ corredato da mol-te fotografie sul quale ecco come scrive il Di Gaddo: ‘È ladescrizione d’un apparecchio ideato da un inglese che untal Polvani ha fatto costruire per l’Università di Milano im-piegando fondi forniti dal Consiglio delle Ricerche. L’appa-recchio serve a ricerche di fisica giudaica come tutti sanno;vi pare che i denari del Consiglio delle Ricerche non si do-vrebbero spendere meglio specie in questo momento?’ Inrealtà scopo dell’apparecchio è di prestarsi alle ricerche suiraggi cosmici e alle infinite ed arbitrarie elucubrazioni allequali danno luogo: campo anche questo adattissimo per lamentalità cabalistica e al tempo stesso pubblicitaria degliebrei. Noi da parte nostra osserviamo: qual è il programmadel Consiglio nazionale delle Ricerche? Incoraggiare quellericerche che per i loro eventuali sviluppi possano mostrarsigiovevoli alla vita nazionale. Non si può dire certo che que-ste siano di tale natura. E poi rispecchiano l’indole d’un’al-tra razza: distruttrice e sovvertitrice di qualsiasi vera ricerca.Per tale doppio motivo concordiamo con quanto ci è statoscritto dal Di Gaddo; e non troviamo opportuna l’iniziativadenunciata.

Anche se Il Tevere non era il giornale ufficiale del partito fascista,esercitava comunque una grande influenza politica, dato che eraopinione diffusa che il suo contenuto venisse dettato da BenitoMussolini. Amaldi scrive che l’opinione espressa dal direttore delgiornale, potenzialmente pericolosa per la scienza fondamenta-le in Italia, “sembra così strana a chi [. . . ] sa certamente che l’ita-liano Domenico Pacini [un non-ebreo], fu lo scopritore dei raggicosmici”.

Va tra l’altro sottolineato che Pacini, come ricordato da Rizzonella sua commemorazione all’Università di Bari, era stato iscritto

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al partito fascista, come la maggior parte degli accademici e deifunzionari pubblici italiani dell’epoca. Non risulta però che Pacinisia stato politicamente attivo. Un episodio [83] indica comun-que che egli non sostenne posizioni razziste, ma anzi avrebbefatto quanto in suo potere per rimediare a ingiustizie da essecreate. L’episodio è legato alla storia di Max Mayer, uno studen-te ebreo di medicina a Bari, poi divenuto medico missionario(gli fu anche dedicato un film documentario, “Benvenuto MaxMayer”, uscito nel 2006). Risulta dai ricordi della famiglia Mayerche Pacini aiutò Max, il quale era stato ostacolato in Germania,nell’ammissione alla facoltà universitaria di medicina e negli studia Bari3.

Guardando i fatti da lontano, è giusto dire, come fece Edoar-do Amaldi, che Pacini fu lo scopritore dei raggi cosmici e che fupoi seguito da Hess, Kolhörster, ecc.? Una grande scoperta è ingenere il risultato degli sforzi comuni di molti ricercatori. È cer-tamente vero che Pacini scrisse, già nel 1909, che l’azione dellesostanze attive nel terreno non era sufficiente a spiegare le pro-prietà osservate della radiazione penetrante; e che egli fu il primoa trarre questa conclusione sulla base di dati sperimentali, for-nendo una dimostrazione conclusiva nel 1911 (un anno prima diHess, che era a conoscenza dei risultati di Pacini quando pubbli-cò il suo famoso articolo). È anche vero che le misure di Pacininel giugno del 1911 rappresentarono una svolta, dato che la tec-nica di misura sotto la superficie del mare, utilizzando l’acquacome schermo, ebbero inizio proprio grazie al suo esperimento.Bisogna tuttavia riconoscere che l’esperimento di Pacini, che di-mostrò che la radiazione proveniva in gran parte dall’esterno dellacrosta terrestre, non poté escludere con fermezza l’atmosfera co-me una possibile sorgente, mentre l’esperimento di Hess potéfarlo.

3 Max Mayer nacque a Bonn nel 1913. La sua iscrizione all’università venne rifiuta-ta a Berlino e poi a Monaco a causa delle leggi razziali. Nel 1933 emigrò a Bari e fuaccettato dalla facoltà di Medicina; Pacini all’epoca era direttore dell’Istituto di Fisi-ca di Medicina. Quando anche in Italia vennero promulgate le leggi razziali, Mayerscappò e si rifugiò in India dove esercitò la professione di medico nei villaggi. Suc-cessivamente si trasferì a Dublino e poi a Londra, dove morì nel 2005. Durante glianni dell’esilio in India Mayer portò con sé una valigia dalla quale non si separò finoalla morte; la valigia conteneva le sue cose più care. La moglie Ivonne aprì la vali-gia dopo la morte di Mayer, e vi trovò l’immagine commemorativa della morte diPacini.

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In ogni caso:

. . . in Pacini è impressionante lo svolgersi di un filo condut-tore per la ricerca basato sul convincimento, espresso findal primo lavoro, che l’azione diretta delle sostanze attivenel terreno non è sufficiente a spiegare le proprietà osser-vate della radiazione penetrante, come confermato dall’a-nalisi delle oscillazioni, dalle misure sul mare e sotto il ma-re [39].

6.3 La corrispondenza tra Pacini ed Hess

Alcuni estratti da scambi di corrispondenza che avvennero trai due scienziati nel 1920, riportati da [2,38], sono molto illuminantiriguardo all’attribuzione delle priorità scientifiche e alla reciprocaconoscenza dei risultati.

Il 6 Marzo 1920, Pacini scrisse a Hess:

. . . ho potuto leggere alcune Sue pubblicazioni sui fenome-ni elettro-atmosferici da Lei spedite al direttore del RegioUfficio Centrale di Meteorologia e Geodinamica. Alcuni diquesti lavori erano già noti a me nei riassunti che ne sonopotuti pervenire durante la guerra. [Ma] mi è giunto quel-lo nuovo intitolato “Die Frage der durchdringenden Stra-hlung ausserterrestrischen Ursprunges” (“Il problema dellaradiazione di origine extraterrestre”). Mentre devo farle inproposito i miei complimenti per la chiarezza con cui espo-ne in forma semplice lo stato della importante questione,mi duole che non siano stati citati affatto i lavori italiani suquesto argomento, lavori a cui spetta senza dubbio la prio-rità, per quanto si riferisce alla previsione delle importan-tissime conclusioni a cui sono successivamente pervenutiil Gockel, Ella stessa, signor Hess, ed il Kolhörster; e tantopiù me ne duole, in quanto, nelle mie pubblicazioni, io nonho mai dimenticato di citare chi di dovere.

La risposta di Hess, datata 17 marzo 1920, fu:

Stimatissimo signor Professore, il suo pregiatissimo scrittodel 6 corrente mi fu particolarmente gradito, perché rian-noda le nostre relazioni così lungamente interrotte duran-te la sfortunata guerra: volentieri io le avrei scritto prima di

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allora, ma, purtroppo, ignoravo ove ella fosse. La breve me-moria: “Il problema della radiazione penetrante di origineextraterrestre” è la pubblicazione di una conferenza popo-lare, e perciò la letteratura non ha alcuna pretesa di esserecompleta. Poiché si trattava, in prima linea, delle misure fat-te su pallone aerostatico, non mi sono addentrato a parlarein modo speciale delle sue misure sul mare, le quali mi so-no ben note. Io la prego di scusare benevolmente questaomissione, la quale era lontana da ogni mio proposito.

Il 12 aprile 1920, Pacini scrive ancora a Hess:

. . . sta benissimo quanto ella mi dice circa le misure di radia-zione penetrante eseguite su pallone aerostatico, tuttavianella sua pubblicazione “Il problema della radiazione pe-netrante di origine extraterrestre” si parla a lungo delle mi-sure fatte per stabilire l’assorbimento di queste radiazioni esi citano vari autori, mentre non vedo citati i miei lavori inproposito, eseguiti in seno alle acque del mare e in seno alleacque del lago di Bracciano, lavori dai quali potetti dedurreil valore della radiazione penetrante nell’aria e trarre con-clusioni che le esperienze a bordo di un pallone aerostaticohanno poi confermato.

Nella lettera conclusiva del 20 maggio 1920 Hess risponde:

. . . riconosco volentieri che indubbiamente spetta a lei lapriorità di aver espresso la convinzione che vi è una radia-zione non proveniente dal suolo. [. . . ] Tuttavia la certezzadella esistenza di una nuova sorgente della radiazione pe-netrante proveniente dall’alto è scaturita dalla mia ascen-sione del 7 agosto 1912, nella quale io ho osservato per laprima volta un aumento enorme della radiazione al di sopradei 3 000 metri.

La corrispondenza fra Hess e Pacini, nove anni dopo il lavoro di Pa-cini e otto anni dopo il volo in mongolfiera di Hess del 1912, mo-stra quanto fosse difficile la comunicazione a quel tempo. Anchele difficoltà linguistiche possono avere contribuito, dato che Paci-ni pubblicò prevalentemente in italiano ed Hess in tedesco (anchenelle lettere scambiate ognuno scrive nella propria lingua). Infi-ne, a causa della mancanza di libertà accademica, Pacini non poté

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partecipare alla conferenza di Vienna del settembre 1913 (85a Ver-sammlung Naturforscher Deutscher und Ärtze, il congresso de-gli scienziati naturali e dei medici di lingua tedesca) in cui furo-no discussi i nuovi risultati sull’origine della radiazione penetran-te [57].

6.4 Perché il lavoro di Pacini fu dimenticato?

Il professor H. Pleijel, presidente del Comitato per il Nobel per la fi-sica della Regia Accademia Svedese delle Scienze, dichiarò nel suodiscorso [82] alla cerimonia di premiazione del Nobel del 10 di-cembre 1936:

[Una] ricerca di sostanze radioattive fu svolta [da parte didiversi scienziati]: nella crosta terrestre, nei mari, e in atmo-sfera; e fu usato lo strumento appena citato – l’elettrosco-pio. Furono trovati ovunque raggi radioattivi, sia che le in-dagini fossero state effettuate nelle acque profonde dei la-ghi, o in alta montagna. [. . . ] Sebbene queste indagini nonavessero fornito risultati concreti, esse mostrarono che l’on-nipresente ionizzazione non poteva essere attribuita all’a-zione di sostanze radioattive della crosta terrestre. [. . . ] Il mi-stero dell’origine di questa radiazione rimase insoluto finoa quando il professor Hess lo scelse come il problema dellasua vita. [. . . ] Con superba abilità sperimentale Hess perfe-zionò l’attrezzatura strumentale utilizzata ed eliminò le fon-ti di errore. Dopo aver completato questi preparativi, Hessfece una lunga serie di ascensioni su pallone aerostatico.[. . . ] Da queste indagini Hess trasse la conclusione che esi-ste una radiazione estremamente penetrante, provenientedallo spazio, che entra nell’atmosfera terrestre.

Un’intera comunità di ricercatori fu coinvolta in quel campo diricerche. Pacini certamente impresse una svolta introducendo latecnica della misurazione subacquea e misurando una diminuzio-ne significativa della radiazione rispetto alla superficie, fatto grazieal quale si poté escludere la Terra come unica fonte di radiazione;purtroppo, egli non poté partecipare in modo adeguato al dibat-tito in corso, e non riuscì a proporre i suoi risultati con energia.Il lavoro di Pacini fu realizzato in condizioni difficili a causa della

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mancanza di risorse disponibili, della mancanza di libertà scientifi-ca durante gli anni cruciali in cui lavorava presso l’Ufficio Centraledi Meteorologia e Geodinamica, e della sostanziale indifferenzacon cui il suo lavoro fu accolto dal mondo accademico italiano – ilche, di per sé, rese difficile la candidatura al premio Nobel.

Molte cause potrebbero aver contribuito alla mancanza di ri-conoscimento che scontò e sconta ancora oggi il lavoro di Paci-ni [39, 40], ultime in ordine di tempo le rivalità e le controversietra l’Europa e gli Stati Uniti [2, 22, 84]. La ricerca che portò alla sco-perta dei raggi cosmici, una pietra miliare nel campo della scienza,coinvolse scienziati in Europa e nel Nuovo Mondo e si svolse in unperiodo caratterizzato da mancanza di comunicazione e dal nazio-nalismo che era conseguenza anche dalla prima guerra mondiale.Nel lavoro che culminò con i voli in mongolfiera ad alta quota daparte di Hess, furono dimenticati importanti contributi.

Accanto a storie personali legate agli avvenimenti della vita deisingoli protagonisti, e alla situazione politica internazionale, moltialtri fatti storici e politici legati all’Italia contribuirono alla mancan-za di riferimenti al lavoro di Pacini. Se oggi il lavoro di Hess è moltopiù conosciuto, ciò si deve in gran parte a una diversa organizza-zione nazionale della ricerca in Germania e in Italia. Un’organizza-zione nazionale della ricerca illuminata, aperta e lungimirante puòessere la chiave del successo e del consolidamento di una tradi-zione culturale. Molti sono abituati a pensare che agli italiani nonserva organizzazione, e che il “genio italico” riesca a sopperire al-la carenza d’infrastrutture; probabilmente questo non è mai statovero, e certamente non è vero nella scienza di oggi.

La vicenda di Pacini dovrebbe servire da insegnamento perla politica scientifica del futuro. Si vuole comunque sottolinearea conclusione del capitolo, dopo aver cercato di dare un resocontoobiettivo e organico della storia, l’opinione personale dell’autoredi questo libro: e cioè che al di là delle nostre cure e delle nostrepene di studiosi, rivolte a un’organizzazione corretta e ben piani-ficata del progresso della scienza e della società, la vita sia fattaanche di episodi.

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Capitolo 7

I raggi cosmici e la fisicadelle particelle elementari

Dopo la fondamentale scoperta dell’antimateria da parte di An-derson, i nuovi risultati sperimentali sulla fisica delle particelle ele-mentari con i raggi cosmici ebbero un’accelerazione, guidata e ac-compagnata da un miglioramento degli strumenti di rivelazione,e in particolare dal perfezionamento della camera a nebbia.

Una scoperta immediatamente successiva fu quella della con-versione dei fotoni in coppie di elettroni e positroni [86] nel 1933.Oltre a predire l’esistenza dell’antielettrone o positrone, la teoriadi Dirac prevede anche che un fotone di energia sufficientemen-te alta possa trasformarsi in una coppia elettrone-antielettrone; ilfenomeno fu effettivamente osservato nei raggi cosmici da Bla-ckett1 e Occhialini2, che avevano inventato a Cambridge una nuo-va tecnica di osservazione accoppiando una camera a nebbia a unsistema di contatori in coincidenza in modo tale che si poteva de-cidere di fotografare la camera a nebbia stessa in corrispondenza

1 Patrick Maynard Stuart Blackett (Londra 1897-1974) era un fisico britannico. Do-po gli studi e un periodo post-dottorale all’Università di Cambridge lavorò all’Uni-versità di Manchester e all’Imperial College di Londra. È noto per i suoi studi sullacamera a nebbia, per il perfezionamento della quale gli fu conferito il premio Nobelper la fisica nel 1948.2 Giuseppe (per gli amici Beppo) Occhialini (Fossombrone 1907 - Parigi 1993) fuprofessore di fisica a Milano. Contribuì in maniera essenziale all’ideazione e allo svi-luppo della tecnica delle camere a nebbia, tecnica mediante la quale si scoprironogli sciami di particelle e gli elettroni positivi nella radiazione cosmica. Essenziale fuanche il suo contributo allo sviluppo della tecnica delle emulsioni nucleari. Occhia-lini esplorò nuovi campi di ricerca, tra i quali spicca quello della fisica dello spazio,e partecipò alla fondazione dell’Agenzia Spaziale Europea [85].

A. De Angelis, L'enigma dei raggi cosmici© Springer-Verlag Italia 2012

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del passaggio di raggi cosmici. Questo aumentava la probabilità diottenere una fotografia significativa, e quindi l’efficienza.

La produzione di coppie elettrone-antielettrone è una confer-ma dell’equivalenza tra massa ed energia: la differenza tra una par-ticella di massa non nulla e una senza massa non è cruciale. Questaè una conferma semplice e diretta di quanto predetto dalla teoriadella relatività.

È anche una dimostrazione del comportamento particellaredella luce, e conferma il concetto quantistico che inizialmenteera stato espresso come “dualismo onda-particella”: il fotone sicomporta in modo evidente come particella di luce.

7.1 Il leptone μ e i mesoni

Già nel XVII secolo Newton aveva concluso che oltre all’interazio-ne elettrica e alla forza di gravità doveva esistere a piccole scale didistanza un’interazione più forte che teneva insieme la materia, in-terazione che diventava invisibile a grandi distanze. Questa intera-zione è stata proprio chiamata in seguito “forte” (o anche “nuclea-re”). Fino a un secolo fa, tuttavia, nessuno sapeva spiegare comequesta forza, intensissima a distanze dell’ordine di un fermi (det-to anche femtometro, un miliardesimo di micron), si attenuasserapidamente a maggiori distanze (essendo già trascurabile a unadistanza di un millesimo di micron).

Nel 1935 il fisico giapponese Yukawa3, allora ventottenne, for-mulò un’innovativa teoria della forza “forte” che spiegava il com-portamento di quest’interazione [87]. Tale teoria aveva notevolianalogie con la teoria dell’interazione elettromagnetica, richie-dendo una particella “mediatrice”; mentre però l’interazione elet-tromagnetica è mediata dal fotone, una particella di massa nulla,l’interazione forte sarebbe stata mediata da una particella a queltempo non ancora scoperta, di massa intermedia tra quella del-l’elettrone e quella del protone – e per questo chiamata mesone(“in mezzo” tra l’elettrone e in protone). Se la massa del protonecorrisponde a un’energia di circa 1 GeV, la massa dell’elettrone èun duemillesimo di questa; Yukawa formulò la previsione secon-

3 Hideki Yukawa (Tokyo 1907 - Kyoto 1981), professore all’università di Kyoto, die-de fondamentali contributi alla meccanica quantistica. Per le sue ricerche gli fuassegnato il premio Nobel per la fisica nel 1949.

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do cui il mesone doveva avere una massa di circa un decimo diGeV (circa duecento volte la massa dell’elettrone): una tale massaavrebbe spiegato il rapido attenuarsi dell’interazione forte con ladistanza.

Negli anni successivi gli studiosi dei raggi cosmici cominciaro-no a notare nuovi tipi di particelle di masse intermedie. Lo stessoAnderson, che nel frattempo era diventato professore, e il suo stu-dente S.H. Neddermeyer osservarono sulle montagne del Colora-do particelle di raggi cosmici positivi e negativi con una capaci-tà di penetrazione che superava quella delle particelle conosciu-te al tempo; sembrava che queste particelle fossero più pesantidell’elettrone ma più leggere del protone. Neddermeyer e Ander-son pubblicarono i loro risultati nel 1937 [88], suggerendo il nome“mesotrone” per la nuova particella. Negli anni 1938 e 1939 venneeffettuata grazie all’analisi di fotografie di raggi cosmici in cameraa nebbia una misura accurata, calcolando la quantità di moto dallacurvatura della traiettoria in campo magnetico, e la velocità dallaionizzazione. Le misure fornirono un valore di un decimo di GeVper la massa (più precisamente, una massa compresa tra 200 voltela massa dell’elettrone e 240 volte la massa dell’elettrone); questocorrispondeva alle previsioni di Yukawa. La maggior parte dei ri-cercatori si convinse che queste particelle fossero proprio i por-tatori della forza “forte” previsti da Yukawa, e che venissero crea-te quando raggi cosmici primari urtano nuclei negli strati più al-ti dell’atmosfera, così come un elettrone emette fotoni quando siscontra con un nucleo. Vedremo che l’interpretazione era sbaglia-ta: i mesotroni erano ben presto destinati a cambiare nome.

La vita media dei mesotroni fu misurata studiandone il flussoa diverse altitudini, in particolare dal gruppo di Bruno Rossi in Co-lorado (Rossi si era nel frattempo trasferito negli Stati Uniti persfuggire alle persecuzioni razziali); il risultato fu che tale vita me-dia era di circa due microsecondi (circa cento volte più grande diquella predetta da Yukawa per la particella che trasmetteva l’inte-razione forte, ma comunque non troppo dissimile). L’attenuazionedel numero di mesotroni in funzione dell’altitudine consentì an-che una verifica della cosiddetta “dilatazione dei tempi”, previstadalla teoria della relatività (in assenza di tale dilatazione, i mesotro-ni dovrebbero percorrere in media solo uno spazio pari al prodot-to della loro vita media per la velocità della luce, circa 600 metri,e non arrivare mai dall’alta atmosfera alla superficie della Terra).

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Si trovò che alla fine della sua vita il mesotrone decadeva in unelettrone e in altre particelle neutre (neutrini) che non lasciavanotracce nella camera a bolle (il mesotrone positivo decadeva in unelettrone positivo e in neutrini).

Al di là dell’eccitazione iniziale, però, i conti non tornavano. Inparticolare, la particella di Yukawa era la “colla” fra i nucleoni (os-sia i protoni e i neutroni), e quindi non poteva essere altamentepenetrante – i nuclei dell’atmosfera avrebbero dovuto assorbirlarapidamente.

Molti teorici cercarono spiegazioni complicate per salvare lateoria. La spiegazione più semplice si dimostrò corretta: quelloche era stato chiamato mesotrone non era la particella di Yuka-wa. L’ipotesi formulata fu che le particelle in gioco fossero due: laparticella predetta da Yukawa, da allora chiamata pione (anche iltermine “mesone π” viene utilizzato per indicare lo stesso ogget-to), è creata nelle interazioni dei protoni cosmici con l’atmosfera,e poi interagisce con i nuclei dell’atmosfera o decade in quelloche era stato chiamato mesotrone; quest’ultima particella, che daallora venne chiamata muone (o, per motivi che chiariremo dopo,leptone μ), non è il portatore della forza “forte”.

La misura chiave in proposito è dovuta a Marcello Conversi eOreste Piccioni, ai quali in un secondo tempo si aggregò EttorePancini. Questi ricercatori, in un epico esperimento [89] per misu-rare la penetrazione dei raggi cosmici con coincidenze veloci allaRossi, svolto a Roma tra il 1941 e il 1944, in mezzo ai bombarda-menti della seconda guerra mondiale, determinarono che i muonicosmici non potevano essere le particelle responsabili dell’intera-zione forte che tiene insieme i nucleoni nei nuclei. Quando il loroapparato sperimentale era quasi pronto, nel 1943, l’Università diRoma fu duramente bombardata; Conversi e Piccioni spostaronotutti gli strumenti in un sotterraneo presso il Vaticano, nella con-vinzione poi verificatasi corretta di essere maggiormente al sicuro.I risultati finali dell’esperimento furono pubblicati solo nel 1947.

Restava ancora da scoprire il pione, il vero mesone di Yukawa.Se il pione interagiva velocemente con i nuclei, per trovarlo spe-rimentalmente l’unica possibilità sembrava di andare a compieremisure in altissima montagna o inviare rivelatori nelle fasce supe-riori dell’atmosfera (questo può essere per esempio realizzato me-diante palloni senza equipaggio, o mediante palloni con cabinepressurizzate; agli inizi tuttavia vennero effettuati anche voli su ca-

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bine non pressurizzate, alcuni dei quali si conclusero tragicamen-te). Il problema era quello di progettare rivelatori appropriati, chefunzionassero efficientemente senza supervisione umana e senzaenergia elettrica.

Fra gli anni ’30 e gli anni ’40 la tecnica delle misure nella strato-sfera (ad altezze superiori a 12-15 chilometri) ebbe grande svilup-po soprattutto nel contesto delle ricerche sui raggi cosmici, gra-zie ai fratelli Piccard e alla Società Spaziale Sovietica, istituita nel1929. Nel 1932 Auguste Piccard raggiunse i 16 chilometri di altez-za. Nel 1933 il pallone sovietico “Sirius” raggiunse i 18 chilometridi altezza, e tornò al suolo con i suoi tre passeggeri sani e salvi. Al-la fine del 1933 Jean Piccard, fratello di Auguste (fra i due fratelliera in corso una sfida), volò con il pallone “Secolo del progresso”(Fig. 7.1) fino a quasi 19 km; a bordo aveva strumenti per la rivela-zione dei raggi cosmici, e moscerini per studiare se l’esposizioneai raggi cosmici potesse indurre mutazioni genetiche. Nel 1934,raggiunta una quota di 20 chilometri, il “Sirius” collassò e cadde,con la morte dei tre ricercatori a bordo impegnati in una missioneper lo studio dei raggi cosmici. Una serie di francobolli fu emessaper celebrare i fasti del “Sirius”. La tecnica di voli su palloni strato-sferici sarebbe ripresa con grande vigore dopo la seconda guerramondiale.

Powell4 e Occhialini (che era tornato in Inghilterra dopo avertrascorso un periodo in Brasile, dove aveva fondato una scuola distudiosi dei raggi cosmici ancora oggi attivissima) in Inghilterratentarono entrambe le sfide, quella dei palloni aerostatici e quelladell’alta montagna.

Avevano risolto il problema dei rivelatori non supervisionatiutilizzando emulsioni nucleari (una tecnica simile a quella usa-ta da Marie Curie nei suoi studi sulla radioattività con emulsio-ni fotografiche) che venivano analizzate con un microscopio. Leemulsioni nucleari sono rivelatori di particelle subnucleari conottima risoluzione spaziale (migliore di un decimo di micrometro)costituiti da cristalli di sali d’argento in sospensione in un gel or-ganico (spesso di origine animale). Rispetto alle normali emulsionifotografiche, le emulsioni nucleari sono di maggiore spessore (e

4 Cecil Frank Powell (Tonbridge, UK 1903 - Valsassina 1969) fu studente di Ruther-ford e Wilson a Cambridge, e divenne poi professore a Bristol. Gli fu assegnato il pre-mio Nobel per la fisica nel 1950 per lo sviluppo del metodo fotografico e le scopertesui mesoni compiute grazie a tale metodo.

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Fig. 7.1. Il volo del “Secolo del progresso” nel 1933

quindi consentono una ricostruzione tridimensionale) e hannouna maggiore densità di cristalli. Come le pellicole fotograficheesse vanno sviluppate dopo l’esposizione per visualizzare l’imma-gine. Analogamente al caso della camera a nebbia la massa dellaparticella può essere ottenuta dalla densità dei puntini che forma-no la traccia e dalle deviazioni della traiettoria da una linea rettaa causa di collisioni con i nuclei dell’emulsione; più lenta è la par-ticella, più atomi è in grado di ionizzare, e maggiore è la densitàdei punti; più leggera è la particella, più facilmente viene deviatanegli urti.

Nel 1946 Powell e Occhialini esposero alcune dozzine di lastrefotografiche sul Pic du Midi, nei Pirenei francesi, a un’altitudine dicirca 2 900 metri. Contemporaneamente Perkins dell’Imperial Col-lege di Londra volò su un aereo della RAF a 9 100 metri di altitudi-ne, portando con sé lastre fotografiche che vennero impressiona-te dai raggi cosmici. I risultati sembravano indicare l’esistenza delpione, ma non erano decisivi.

Erano necessarie misure più complete, con lunghe esposizioniad altezze superiori a quella del Pic du Midi. Fortunatamente Oc-

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Fig. 7.2. Pione e muone: la catena di decadimenti π → μ → e (il pio-ne viaggia dal basso in alto a sinistra, il muone orizzontal-mente, e l’elettrone dal basso in alto a destra della fotogra-fia). La quantità di moto mancante è trasportata da neutrini.Da C.F. Powell, P.H. Fowler & D.H. Perkins, The Study of Ele-mentary Particles by the Photographic Method (PergamonPress 1959)

chialini aveva portato con sé dal Brasile uno studente, Cesare Lat-tes5, che conosceva il luogo giusto per svolgere le misure: l’altopia-no delle Ande. In particolare sul monte Chacaltaya in Bolivia, nonlontano dalla capitale La Paz, c’era un laboratorio meteorologicoa 5 500 metri di altezza. Nel 1947 Powell, Occhialini e Lattes [90],esponendo emulsioni nucleari ai raggi cosmici sul monte Chacal-taya, dimostrarono finalmente l’esistenza dei pioni carichi, positivie negativi, osservando contemporaneamente il pione e il muonee determinandone le masse (la massa del pione risultò del 30%superiore a quella del muone). Per questa scoperta a Cecil Powell,capogruppo, fu assegnato il premio Nobel nel 1950.

Numerose fotografie di emulsioni nucleari raccolte nel segui-to, soprattutto in esperimenti su pallone aerostatico, mostraronochiaramente le tracce di due tipi di particelle. La particella più pe-sante era il pione. Alla fine della sua traccia cominciava quella diuna particella più leggera; questa particella era il muone. L’analisidelle emulsioni consentì di misurare la massa del muone, che risul-tò essere di circa 106 MeV (1 MeV è un millesimo di GeV, circa duevolte la massa dell’elettrone), e la massa del pione carico, che risul-tò di 140 MeV. In alcune fotografie si vedeva la catena completa didecadimenti π → μ → e (Fig. 7.2).

5 Cesare (o César) Lattes (Paraná 1924 - Campinas 2005) fu un fisico brasiliano diorigine italiana. Professore a Rio de Janeiro, a San Paolo e a Campinas, fondò ilCentro Brasiliano di Ricerche Fisiche.

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A questo punto era chiara la distinzione tra pioni e muoni. Il lep-tone μ, o muone, è un fratello maggiore dell’elettrone, e appartie-ne quindi alla famiglia dei leptoni; è molto penetrante perché co-me tutti i leptoni non “sente” l’interazione forte. Dopo la scopertadel pione il muone, in base alle conoscenze dell’epoca, non avevanessun motivo teorico per esistere (è attribuita al fisico Isidor Rabinegli anni ’40 la famosa battuta: “Chi l’ha ordinato?”).

Il pione neutro

Prima ancora di sapere che i mesotroni non erano le particelle diYukawa, la teoria dei mesoni ebbe grande sviluppo. Nel 1938 inGran Bretagna Kemmer aveva pubblicato la teoria della simmetriadi carica, secondo la quale il fatto che le forze fra protoni e neutro-ni, fra neutroni e neutroni e fra protoni e protoni sono simili implicache esistano mesoni positivi, negativi e anche neutri.

Il pione neutro era più difficile da scoprire rispetto a quello ca-rico, a causa del fatto che le particelle neutre non lasciano traccenei rivelatori (e anche del fatto, scoperto successivamente, che lasua vita è cento milioni di volte più breve). Tuttavia, fra il 1947 e il1950, esso fu identificato nei raggi cosmici analizzando i suoi pro-dotti di decadimento all’interno degli sciami; più tardi arrivò unaconferma chiara mediante acceleratori di particelle.

Così, dopo quindici anni di ricerca, la teoria di Yukawa avevafinalmente trovato completa conferma.

7.2 La scoperta della stranezza

Anche la scoperta delle cosiddette “particelle strane” [91] fu rea-lizzata grazie ai raggi cosmici.

Nel 1947, dopo che lo spinoso problema del mesone era sta-to risolto, la fisica delle particelle sembrava una scienza compiu-ta. Si conoscevano 14 particelle (alcune delle quali all’epoca era-no solo postulate, e sarebbero state trovate sperimentalmente inseguito): al protone, al neutrone (protone e neutrone nel loro in-sieme appartengono alla famiglia dei barioni; l’etimologia grecadella parola richiama al concetto di “pesantezza”) e all’elettrone,con le loro antiparticelle, si affiancavano il neutrino, che era stato

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postulato per spiegare apparenti violazioni osservate al principiodi conservazione dell’energia, tre pioni e due muoni.

A parte il muone, che sembrava una particella inutile, tutte lealtre parevano avere un ruolo nella natura: l’elettrone e i nucleonicostituiscono l’atomo, il fotone trasporta la forza elettromagneti-ca, e il pione la forza “forte”. I neutrini sono necessari per la conser-vazione dell’energia. Ma ancora una volta, quando tutto sembravachiarito, una nuova rivoluzione era dietro l’angolo.

Fin dal 1944 strane topologie di particelle cosmiche comincia-rono a venire fotografate di quando in quando in camere a nebbia.Nel 1947 G.D. Rochester e C.C. Butler dell’Università di Manchester

Fig. 7.3. Le prime immagini del decadimento di particelle che oggiconosciamo come mesoni K o kaoni – i primi esempi di par-ticelle “strane”. L’immagine di sinistra mostra il decadimentodi un kaone neutro. Essendo neutro esso non lascia trac-cia, ma quando decade in due particelle più leggere cari-che, ognuna delle quali è un pione (appena sotto la barracentrale verso destra), appare una “V”. L’immagine a destramostra il decadimento di un kaone carico in un muone e unneutrino. Il kaone arriva in alto a destra della camera e il de-cadimento avviene dove la traccia sembra piegare brusca-mente a sinistra. La traccia al di là di questo nodo è dovutaal muone, che attraversa la barra centrale essendo altamen-te penetrante. Il neutrino non ha carica e rimane invisibi-le nel rivelatore – la sua presenza è dedotta dall’apparenteviolazione della conservazione della quantità di moto (daC. Butler e G. Rochester, 1947)

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osservarono chiaramente nelle fotografie di camera a bolle un pa-io di tracce, provenienti da un unico punto, a forma di lettera V; ledue tracce venivano deviate in versi opposti da un campo magne-tico esterno [91]. L’analisi della fotografia dimostrò che una parti-cella sconosciuta neutra, con massa di circa mezzo GeV (interme-dia tra la massa di un protone e quella di un pione) si disintegra-va in una coppia di pioni di carica opposta. Una traccia spezzatain una seconda fotografia indicava il decadimento di una parti-cella carica, all’incirca della stessa massa, in una coppia di pioni,uno neutro e l’altro carico (Fig. 7.3). Queste particelle, che veniva-no prodotte unicamente in interazioni molto energetiche, si os-servavano solo ogni centinaio di fotografie. Fino al 1953 non fupossibile produrle in laboratorio, e i raggi cosmici ne costituiro-no l’unica sorgente. Esse sono oggi note come mesoni K (o kao-ni); i kaoni possono essere positivi, negativi o neutri. Una nuovafamiglia di particelle era stata scoperta, e queste nuove particellevennero chiamate “particelle strane” (per usare una terminologiamoderna, tutte le particelle composte dal quark strano). Lo studiodei mesoni K motivò l’esperimento G-Stack, un rivelatore su pallo-ne che per primo dimostrò la violazione della simmetria di parità.Dopo i mesoni K vennero scoperte anche particelle strane più pe-santi del protone e del neutrone. Esse decadevano con una topo-logia “a V” in stati finali che includevano protoni: erano i cosiddettibarioni strani, o iperoni (Λ, Σ, . . . ).

Laboratori sulle montagne

La scoperta dei mesoni, che aveva messo in subbuglio la fisicamondiale nell’immediato dopoguerra, si può considerare comel’origine della “moderna” fisica delle particelle elementari.

Gli anni successivi mostrarono un rapido sviluppo dei gruppi diricerca che si occupavano di raggi cosmici, insieme a un progressodelle tecniche sperimentali di rivelazione, che sfruttavano la com-plementarietà delle camere a nebbia e delle emulsioni nucleari.

Il costo limitato delle emulsioni nucleari consentì la diffusionedi esperimenti e lo stabilirsi di collaborazioni internazionali.

Divenne evidente che era opportuno attrezzare laboratori sullemontagne per studiare i raggi cosmici; in Europa l’Italia (Fig. 7.4),la Francia e l’Unione Sovietica in particolare si arricchirono di talilaboratori.

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Fig. 7.4. Il laboratorio della Testa Grigia (sopra) e quello del passoFedaia (sotto)

Per quanto riguarda l’Italia, il gruppo di fisici di Roma guidatoda Gilberto Bernardini con Pancini, Conversi ed Edoardo Amaldicostruì il laboratorio della Testa Grigia di Cervinia. Il laboratorioera stato collocato nel posto più alto d’Italia che fosse in teoriaraggiungibile tutto l’anno; la quota era di 3 505 metri. Era collegatocon il fondovalle tramite la più alta funivia d’Europa inaugurata,a sua volta, nel 1938. Costruito in legno e alluminio per permetterela massima penetrazione dei raggi cosmici, doveva però resisterea venti fortissimi e metri di neve in inverno. Venne inaugurato nel1948, e formò la scuola di Torino.

Nel 1950 la SADE (Società Adriatica di Elettricità), che alloraaveva il monopolio nel Triveneto della produzione e della distri-buzione dell’energia elettrica, iniziò la costruzione di una digaper ottenere energia idroelettrica immagazzinando le acque didisgelo della Marmolada presso il Pian Fedaia, alla quota di circa2 000 metri. Per iniziativa di Antonio Rostagni di Padova fu costrui-

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to ai piedi del versante Nord della Marmolada un laboratorio perlo studio dei raggi cosmici, che poteva disporre di grandi quan-tità di energia elettrica. Fu quindi possibile sistemarvi un grandeelettromagnete, costruito all’uopo dall’ingegner Someda; giovanifisici di Padova come Bassi, Cresti, Filosofo, Guerriero, Loria, Zago,vi trasferirono una parte rilevante della loro attività sperimentale.Fermi e Powell vi passarono brevi periodi.

Nel frattempo, tuttavia, la tecnologia degli acceleratori di par-ticelle cominciava ad affermarsi consentendo di effettuare misurein condizioni controllate.

7.3 Lo “zoo” delle particelle

I fisici delle particelle utilizzarono i raggi cosmici come strumentoprincipale per le loro ricerche fino all’avvento degli acceleratori diparticelle negli anni ’50, e i risultati pionieristici in questo camposono dovuti ai raggi cosmici.

Per i primi trent’anni i raggi cosmici consentirono di ricavareinformazioni sulla fisica delle particelle elementari. Con l’avvento

Fig. 7.5. Il cosiddetto “acceleratore massimo” di Fermi (riproduzio-ne del disegno originale di Fermi nel suo discorso del 1954all’American Physical Society) (Fermi National Laboratory,Batavia, IL)

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degli acceleratori di particelle, a partire dal 1950, la maggior partedei fisici passò dalla caccia alla pastorizia. Sono questi gli anni delcosiddetto “zoo di particelle”: il numero di quark passa da tre a sei,il numero di mesoni da una manciata a un migliaio, il numero dibarioni da tre a qualche centinaio.

Va però sottolineato che, nonostante i grandi progressi dellatecnica degli acceleratori, e gli indubbi vantaggi della pastoriziarispetto alla caccia, le più alte energie saranno sempre raggiuntedai raggi cosmici. I padri fondatori del CERN (Laboratorio Europeoper la Fisica delle Particelle), nella costituzione dell’organismo diricerca (Convention for the Establishment of a European Organiza-tion for Nuclear Research, 1953) specificarono esplicitamente chetra gli scopi dell’ente c’è lo studio dei raggi cosmici.

Abbiamo già fornito nell’introduzione una stima della massimaenergia ragionevolmente possibile per le energie raggiunte da unacceleratore. È interessante a questo proposito riportare un calco-lo [92] effettuato da Fermi6 per stimare la massima energia rag-giungibile – anche irragionevolmente e con ipotesi ottimistiche.

6 Enrico Fermi (Roma 1901 - Chicago 1954) dopo aver studiato a Pisa si presentònel 1922, per avere suggerimenti sulla strada da intraprendere, a Corbino, alloradirettore dell’Istituto di fisica dell’università di Roma. Questi riconobbe subito l’ec-cezionalità del giovane e si adoperò per indirizzarlo alla carriera accademica. Nel1925 Fermi andò a Firenze come professore incaricato di meccanica razionale, edopo avere pubblicato nel 1926 il famoso articolo su quella che oggi viene chia-mata statistica di Fermi fu chiamato in cattedra a Roma. Ben presto si circondò diun gruppo di brillanti giovani collaboratori, i cosiddetti “ragazzi di via Panisper-na”, tra cui E. Amaldi, E. Majorana, B. Pontecorvo, Rasetti, Segrè. Per Fermi, teoriaed esperimento erano inseparabili: come altri grandi fisici del passato egli tennesempre ferma per tutta la vita, e realizzò nella propria attività di ricerca, l’esigenzadi una stretta unità di competenze e di capacità teoriche e sperimentali. Nel 1934scoprì che i neutroni lenti catalizzavano una certo tipo di reazioni nucleari, il checonsentì di ricavare energia atomica dalla fissione. Il lavoro intensissimo dei “ra-gazzi di via Panisperna” sui neutroni proseguì nel 1935, ma sul finire di quell’annoRasetti si trasferì in America, Pontecorvo a Parigi, Segrè divenne professore a Paler-mo. Nel 1938 Fermi si recò a Stoccolma per ricevere il premio Nobel, conferito perquesti suoi fondamentali lavori sui neutroni, e da lì proseguì per gli Stati Uniti, do-ve si stabilì prendendo la cittadinanza americana nel 1944 in aperta contestazionedelle leggi razziali. Partecipò attivamente al progetto Manhattan, per l’utilizzazio-ne bellica dell’energia nucleare, ma si espresse contro l’uso della bomba atomicasu bersagli civili. Subito dopo la fine della guerra, si dedicò a studi teorici sulla fisicadelle particelle elementari e sull’origine dei raggi cosmici. Pochi scienziati del No-vecento hanno inciso così profondamente come Fermi in settori diversi della fisica:Fermi si colloca per eleganza e potenza di pensiero nel gruppo di geni immortalicome Einstein, Landau, Feynman, Heisenberg.

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Fermi aveva preso in considerazione un acceleratore di proto-ni con un anello grande come la circonferenza massima della Ter-ra (Fig. 7.5). Nel discorso “What can we learn with High EnergyAccelerators” (“Che cosa possiamo imparare dagli acceleratori dialta energia”) tenuto all’American Physical Society il 29 gennaiodel 1954, aveva considerato l’ipotesi di un acceleratore di protoni,avente il raggio terrestre, come il maggior acceleratore possibile.Assumendo un campo magnetico di 2 tesla, si ottiene un’energiamassima di circa 5 000 TeV. È l’energia dei raggi cosmici un po’ sot-to il “ginocchio”, la tipica energia degli acceleratori galattici. Fermistimò con grande ottimismo, estrapolando il ritmo del progressodegli acceleratori negli anni ’50, che questo acceleratore si sarebbepotuto realizzare nel 1994 al costo di circa 170 miliardi di dollari.

Le cose non sono andate come Fermi prevedeva, e il progres-so degli acceleratori è rallentato. I cacciatori di particelle hannocontinuato a lavorare e da vent’anni stanno vivendo una nuovastagione di gloria.

7.4 Il meccanismo di accelerazione di Fermi

Nel grande giallo mancava ancora una spiegazione del modo incui i raggi cosmici sono accelerati, il modo cioè in cui acquisisco-no le altissime energie che hanno quando li riveliamo sulla Terra.A questa domanda diede una risposta Enrico Fermi alla fine deglianni ’40.

L’idea originale di Fermi [93] era che le particelle cariche nellagalassia guadagnassero energia nelle collisioni con le regioni di di-somogeneità dei campi magnetici, regioni che sono in movimento(il mezzo interstellare è occupato da un plasma a bassa densità chesi sposta). Questa è una successione di molti eventi casuali, duran-te i quali una particella acquista ogni volta una frazione di energiaproporzionale a quella iniziale, fino ad arrivare a energie altissime,un po’ come nel caso di una palla da tennis che viene colpita piùvolte da racchette (le quali pure hanno velocità non troppo alterispetto alla velocità finale acquisita dalla palla). Fermi poté spie-gare il fatto che lo spettro di energia dei raggi cosmici è descrittoda una legge di potenza.

Successivamente l’idea di Fermi venne raffinata, ma è ancoraalla base della visione odierna del meccanismo di accelerazione.

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Capitolo 8

La fisica dei raggi cosmicioggi

I raggi cosmici sono oggi in primo piano nella ricerca soprattuttograzie al nuovo campo d’indagine costituito dalla cosiddetta fisi-ca astroparticellare, un settore interdisciplinare tra astrofisica, co-smologia e fisica delle particelle elementari. La fisica astroparticel-lare è cresciuta e sta crescendo in modo considerevole nel XXI se-colo e molti grandi progetti sono in corso per la ricerca, ad esem-pio, della materia oscura1 dell’universo.

Circa un centinaio di esperimenti sui raggi cosmici sono attual-mente operativi, spesso sulle montagne più sperdute; essendo piùeconomica della fisica agli acceleratori, la fisica dei raggi cosmici èpiù “dispersa” e interessa anche piccole nazioni. Il lavoro è faticosoe spesso svolto in condizioni difficili; decine di colleghi hanno pa-gato con la vita il loro impegno, e tra questi l’amico Florian Göbelcui questo libro è dedicato. Ma i luoghi sono spesso bellissimi, el’entusiasmo delle scoperte fa dimenticare la fatica e le difficoltà.

Alcuni esperimenti sono collocati in gallerie nelle montagne,per schermare i rivelatori dai raggi cosmici meno penetranti e re-gistrare solo le particelle più penetranti (i muoni e, a maggior ra-gione, i neutrini, che a energie ordinarie hanno scarsa probabili-tà di interagire con la materia anche passando attraverso il dia-metro della Terra). Grandi laboratori in cui si svolgono queste ri-

1 La cosiddetta materia oscura è una forma di materia non ancora rivelata, che sipensa costituisca circa un quarto del contenuto totale di energia dell’universo ecirca il 90% della sua massa; essa manifesta i suoi effetti gravitazionali in moltepli-ci fenomeni astronomici, ma la sua natura è uno dei principali misteri della fisicamoderna.

A. De Angelis, L'enigma dei raggi cosmici© Springer-Verlag Italia 2012

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Fig. 8.1. L’osservatorio Pierre Auger in Argentina, con i suoi 1 600“bidoni” e i quattro rivelatori di fluorescenza periferici (ladistanza orizzontale coperta dalla mappa è di oltre sessantachilometri)

cerche si trovano per esempio in Italia (i Laboratori Nazionali delGran Sasso dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare), in Francia, inSpagna, negli Stati Uniti, in Canada, e in Giappone, dove la fisicadelle particelle elementari è stata eccellente negli ultimi anni do-minando in particolare il panorama mondiale della fisica dei neu-trini con una messe di nuovi risultati. Molti esperimenti sono postinegli osservatori astrofisici; molti in regioni desertiche.

8.1 Raggi cosmici di altissima energia

Lo studio degli sciami indotti nell’atmosfera dai raggi cosmici dipiù alta energia, settant’anni dopo la scoperta di sciami atmosfe-rici di particelle da parte di Rossi e Auger, continua a essere fontedi nuove conoscenze.

Come studiare l’origine dei raggi cosmici? Un modo diretto po-trebbe essere una specie di “osservazione astronomica”, mappan-

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do il cielo con i raggi cosmici stessi. Il valore dei campi magneticigalattici tuttavia fa sì che le particelle cariche (che costituisconocome abbiamo visto la componente principale dei raggi cosmici)vengano deviate e non sia possibile tracciarne l’origine, a menoche non si arrivi a energie qualche joule (un joule, l’unità di mi-sura dell’energia nel sistema internazionale, è all’incirca l’energiacinetica acquisita da una massa di 100 grammi che cade da un’al-tezza di un metro; corrisponde a più di sei miliardi di GeV) e ol-tre per particella. Il rapido calo del numero di raggi cosmici conl’energia fa sì che a queste energie si abbia meno di una particel-la per chilometro quadrato ogni anno: occorrono quindi rivelatorigrandissimi. La fisica degli sciami però ci viene in aiuto: poiché unosciame è composto da molte particelle, non occorre coprire tuttala superficie che si vuole usare per la rivelazione, ma è sufficientecampionarla.

Nel 1992 Cronin2 e Watson proposero la costruzione di un os-servatorio per i raggi cosmici così grande da poter raccogliere unastatistica consistente sui raggi cosmici di altissime energie; que-sto osservatorio richiedeva una nazione generosa e ospitale chemettesse a disposizione una vasta superficie, e l’Argentina risposepositivamente.

Nel 2004 il grande rivelatore a terra chiamato OsservatorioPierre Auger [94] ha cominciato a raccogliere dati; esso campio-na attualmente una superficie di oltre 3 000 chilometri quadrati(Fig. 8.1) nella pampa vicino a Malargue (circa tre volte la superfi-cie del comune di Roma, che è il più esteso d’Italia; oltre 50 voltela superficie dell’isola di Manhattan).

L’osservatorio Auger [94] sta fornendo informazioni fondamen-tali sui raggi cosmici, in particolare indicando (Fig. 8.2) che la dire-zione dei raggi cosmici di energia estremamente alta (superiore adalcuni joule per particella) sarebbe correlata ai nuclei delle galassieal di fuori della Via Lattea [95]. Sembrerebbe quindi provato chel’origine dei raggi cosmici di altissima energia è legata ai collassigravitazionali in prossimità dei buchi neri supermassicci.

Va anche detto che esiste un limite superiore teorico all’energiadei raggi cosmici che arrivano da sorgenti lontane. Questo limite è

2 James (Jim) Cronin (Chicago 1931) è un fisico americano, professore emeritoa Chicago, insignito del premio Nobel nel 1980 per i suoi studi sulle proprietà deimesoni K.

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Fig. 8.2. I 58 eventi con energia superiore a circa 10 joule visti dal-l’Osservatorio Auger sono rappresentati con punti neri inuna mappa del cielo in coordinate galattiche (la Via Latteasi trova sul piano equatoriale), mentre con diverse grada-zioni di scuro è rappresentata la densità di galassie con nu-clei attivi (buchi neri supermassicci), entro una distanza dicirca 600 milioni di anni luce [4]. Si nota una concentrazionedi eventi nella zona ad alta densità di galassie (più scura)

stato calcolato nel 1966 da Greisen, Kuzmin and Zatsepin [96], ed èoggi chiamato in loro onore il “cutoff GZK”. I protoni di energie su-periore a una decina di joule interagiscono con i fotoni che soprav-vivono dal big bang, la cosiddetta radiazione cosmica di fondo (ininglese Cosmic Microwave Background, CMB) a una temperatu-ra di circa 3 kelvin, e quindi non viaggiano per distanza superio-re a quelle tipiche del superammasso locale di galassie3. A menoche le leggi della fisica in regioni lontane dell’universo non sianodiverse da quelle verificate vicino a noi, quindi, le particelle di altis-sima energia rivelate provengono da galassie nel nostro superam-masso. Lo scoprire una frazione rilevante di particelle oltre il cutoffGZK indicherebbe sorgenti esotiche, come particelle di grandissi-ma massa sopravvissute ai primi istanti di vita dell’universo, o leg-

3 Le galassie sono organizzate in gruppi, ammassi e superammassi. Il superammas-so cui appartiene la Via Lattea, la nostra galassia, è detto superammasso locale; essocomprende il nostro Gruppo Locale, e all’interno di questo la nostra galassia. Ha laforma di un disco appiattito, con un diametro di circa 200 milioni di anni luce. Com-prende circa 100 tra gruppi e ammassi di galassie, e ha circa 1015 stelle (diecimilavolte il numero di stelle della Via Lattea).

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gi della fisica diverse da quelle che conosciamo (come ad esempiouna violazione del principio di relatività).

L’astronomia con i raggi cosmici carichi è comunque difficile,perché anche con strumenti grandissimi come Auger, il numero dieventi raccolti è piccolo (qualche decina all’anno).

Una tecnica recentemente che ha cominciato a dare i suoi frut-ti “sposta” il problema: poiché l’interazione di raggi cosmici conl’atmosfera comporta l’emissione di onde radio, la rivelazione ditransienti radio con antenne può essere associata, in condizioni dibasso rumore come quelle che si possono avere in Antartide e inparticolare nell’alta atmosfera, a raggi cosmici di altissima energia.L’esperimento ANITA al Polo Sud ha recentemente pubblicato unospettro di energia dei raggi cosmici con questa tecnica.

Un’altra tecnica, che si pensa di realizzare nella decade del2020, sfrutta l’osservazione del cielo da un’orbita “alta” qualchecentinaio di chilometri attorno alla Terra alla ricerca dei “flash”causati dalla luce di fluorescenza che viene dall’interazione deiraggi cosmici con l’atmosfera. Un piccolo strumento (che potreb-

Fig. 8.3. Il funzionamento del rivelatore di raggi cosmici di altissimaenergia JEM-EUSO

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be essere agganciato alla Stazione Spaziale o anche volare suun proprio satellite) può sorvegliare una grandissima superficieefficace (Fig. 8.3); il progetto giapponese JEM-EUSO (Extreme Uni-verse Space Observatory on the Japanese Experiment Module) sisviluppa lungo questa linea.

8.2 Ricerca di antimateria

Nello studio dei raggi cosmici l’alta energia e le grandi distanzenon sono l’unica frontiera: anche la ricerca di antimateria può for-nire nuove conoscenze fondamentali. La distinzione tra materia eantimateria con gli strumenti attuali è possibile solo fino a energienon altissime; questo tipo di ricerche riguarda quindi il cosiddetto“fondo diffuso” nell’universo, senza possibilità di puntare diretta-mente alle sorgenti.

Come è noto viviamo in un mondo fatto quasi esclusivamentedi materia, e uno dei più grandi problemi della fisica attuale è capi-re perché (l’antimateria è scomparsa nei primi istanti di vita dell’u-niverso o si trova ancora da qualche parte lontano da noi?). Poichél’antimateria si annichila rapidamente a contatto con la materia, èmolto improbabile che una particella primaria di antimateria arrivisulla Terra, in quanto interagisce prima con l’atmosfera; per questoè necessario collocare i rivelatori di antimateria nello spazio.

Lo spettrometro magnetico PAMELA [97] è un satellite princi-palmente progettato e costruito da scienziati russi e italiani; es-so può misurare le cariche e le masse delle particelle, e quindi di-stinguere tra materia e antimateria. Lanciato nel 2006, ha recente-mente rivelato un fatto difficile da spiegare: la quantità di antielet-troni è molto più alta di quella che ci si attendeva, e per giunta ilrapporto fra antielettroni ed elettroni cresce all’aumentare dell’e-nergia. Tuttora non riusciamo a capire perché; una delle ipotesi èche questo risultato indichi l’esistenza di particelle di grandi mas-se, riconducibili forse ai primi istanti di vita dell’universo, che de-cadono “democraticamente” in particelle di materia e particelle diantimateria.

La missione AMS-02 [98] della NASA, un rivelatore con una fortepartecipazione italiana in orbita dal maggio 2011 a bordo dellaStazione Spaziale Internazionale (ISS), sta per estendere l’indagineastroparticellare sull’antimateria.

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Si stanno anche rendendo disponibili palloni ad alta quota perlunghi voli circumpolari (oltre i quaranta giorni) che potrebberorendere economica l’esplorazione al di fuori dell’atmosfera; la di-sponibilità di questo tipo di strumenti potrebbe essere di giova-mento anche alla fisica dei raggi gamma (vedi nel seguito).

8.3 Raggi gamma

Come si è visto all’inizio di questo capitolo le tecniche basate sullarivelazione di raggi cosmici carichi richiedono energie elevatissi-me per poter fare in modo adeguato astrofisica, e la finestra osser-vativa è molto piccola essendo superiormente limitata dal cutoffGZK. Per questo si seguono linee diverse; quella che ha dato i fruttipiù spettacolari negli ultimi anni è la rivelazione dei raggi cosmicineutri (che però costituiscono un piccolo sottoinsieme del flussototale). In particolare i raggi gamma, per i quali siamo ormai riusci-ti a sviluppare tecniche efficienti di rivelazione [99], sono circa unmillesimo del flusso totale di raggi cosmici.

I raggi gamma, non venendo deviati dai campi magnetici inquanto neutri, puntano direttamente alle loro sorgenti e sono la“firma” di raggi cosmici decine di volte più energetici.

Già nel 1959 a Mosca Giuseppe Cocconi suggerì la possibilitàdi rivelare fotoni di altissima energia da sorgenti cosmiche; i foto-ni gamma potevano essere separati dal fondo perché puntavanoalla sorgente, e Cocconi suggerì anche di “osservare” la nebulo-sa del Granchio, che in base ai suoi calcoli sarebbe potuta essereuna sorgente di raggi gamma. La sua proposta motivò AleksandrChudakov dell’Istituto Lebedev a costruire pochi anni dopo il pri-mo telescopio per i raggi gamma in Crimea; questo telescopio nonriuscì tuttavia a rivelare il segnale dalla nebulosa del Granchio.

I fotoni (o raggi) gamma possono venire osservati in modo di-retto, sistemando rivelatori su satelliti, o indiretto, rivelando a terragli sciami di particelle da essi generati nell’interazione con l’atmo-sfera. Questa seconda tecnica, tuttavia, costringe a osservare sol-tanto raggi gamma di altissima energia, essendo i raggi gamma dibassa energia assorbiti nelle fasce superiori dell’atmosfera.

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I satelliti gamma: Fermi e AGILE

Lo studio dei raggi gamma da satellite fu preceduto da una fasepionieristica di studio dell’emissione di sorgenti astrofisiche nellabanda dei raggi X [100]. Questo studio rivelò molti nuovi aspettidi tali sorgenti – e per i brillanti risultati ottenuti venne assegnatoal fisico italoamericano Riccardo Giacconi (Genova 1931) il premioNobel per la fisica nel 2002.

Dopo che i primi satelliti gamma scoprirono più sorgenti diquante ci si potesse aspettare e strani fenomeni come emissio-ni violentissime [101] di raggi gamma, come i cosiddetti “fiot-ti di raggi gamma” (Gamma Ray Bursts, GRB), che emettono inpochi secondi più energia radiante di quanta ne emetta tutto il

Fig. 8.4. Sopra: il satellite Fermi. Sotto: schema di funzionamento deltelescopio

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resto dell’Universo [102], si rese necessario progettare un grandesatellite, che richiedeva una grande collaborazione internazionale.

Il satellite Fermi della NASA [103], originariamente chiamatoGLAST (la NASA usa cambiare nome ai suoi satelliti dopo che sonoentrati con successo in orbita), viene ideato nel 1994 dal gruppo diAtwood a Stanford, e nasce alla fine del XX secolo da una collabo-razione fra gli Stati Uniti, l’Italia, il Giappone, la Francia e la Svezia.Lanciato nel 2008, orbita a una distanza dalla terra di circa 565 kmcon un periodo di rivoluzione di 95 minuti; è stato progettato inmodo da poter funzionare per almeno dieci anni.

Lo schema di funzionamento è illustrato nella Fig. 8.4: il cuoredello strumento, che ha circa 1,8 × 1,8 metri quadrati di superfi-cie, è il Large Area Telescope o LAT, costruito dall’industria italiana;esso registra la conversione dei fotoni gamma attraverso il traccia-tore, che è una successione di piani paralleli di rivelatori di siliciointercalati da piani convertitori di tungsteno. Il satellite Fermi haun peso di circa tre tonnellate, e grazie a un’elettronica sofisticataconsuma solo 500 watt (come cinque lampade a incandescenza).

Già nel primo anno il satellite Fermi ha identificato circa 1 500sorgenti di raggi gamma di energia superiore a un decimo di GeV(Fig. 8.5).

Fig. 8.5. Mappa dell’universo in coordinate galattiche che mostrai circa 1 500 emettitori di raggi gamma a energie più grandidi 100 MeV; la mappa è ricavata dai dati raccolti nel primoanno dal satellite Fermi

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I raggi gamma sono testimoni di processi particolarmente vio-lenti e lontani dall’equilibrio termico: in particolare una parte del-l’energia rilasciata nei collassi gravitazionali di sistemi supermas-sicci è emessa sotto forma di raggi gamma che hanno consentitoe consentono di “fotografare” (anzi di “filmare”, data la rapida va-riabilità dei processi in gioco) questi eventi cataclismici. Il cielo vi-sto dal satellite Fermi è una sequenza di lucine che si accendonoe si spengono con scale di tempi spesso dell’ordine del giorno, ea volte anche di pochi minuti.

Un precursore tutto italiano del satellite Fermi è il satellite AGI-LE (Astro rivelatore Gamma a Immagini LEggero), progettato e co-struito dall’Agenzia Spaziale Italiana insieme all’Istituto Nazionaledi Fisica Nucleare, all’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) e a in-dustrie italiane di eccellenza. AGILE ha fatto in qualche modo da“guida” a Fermi, venendo lanciato un anno prima; nonostante lasua sensibilità sia circa un decimo di quella del telescopio Fermi, hafornito e fornisce importanti informazioni scientifiche. Insomma ilcielo è abbastanza grande per tutti!

I grandi esperimenti gamma a terra

I satelliti, considerando il costo attuale delle tecnologie spaziali,sono vincolati a piccole dimensioni: di fatto, dato il calo rapido delflusso di fotoni gamma con l’aumentare dell’energia, le massimeenergie rivelabili da satellite sono di circa 100 GeV (se si considerala sorgente di raggi gamma più luminosa del cielo, essa invia suun’area come quella del satellite Fermi, il più grande dei telescopigamma mai messi in orbita, meno di un fotone al giorno a questaenergia).

Per esplorare le altissime energie, quelle oltre il centinaio diGeV, occorre dunque utilizzare strumenti al suolo, rivelando glisciami di particelle prodotti dell’interazione dei raggi gamma conl’atmosfera. Gli sciami di particelle originati da raggi gamma sipossono distinguere con sofisticate tecniche di classificazione ericonoscimento dagli sciami originati dai protoni, un migliaio divolte più numerosi.

Il numero di particelle cariche prodotte da un tipico sciameelettromagnetico generato da fotoni gamma di altissima energiaha un massimo a cinque-dieci chilometri di quota, ed è trascurabi-le al livello del mare. Pertanto se vogliamo rivelare i raggi gamma

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Fig. 8.6. Mappa dell’universo che mostra gli emettitori di raggi gam-ma a energie più grandi di 100 GeV. Il piano equatorialemostra la nostra galassia; gli emettitori della Via Lattea so-no prevalentemente resti di supernova. Fuori dall’equatore,buchi neri supermassicci di altre galassie

con rivelatori di particelle sensibili agli elettroni e ai positroni dellosciame (tecnica cosiddetta degli Extensive Air Shower detectors,rivelatori di sciami estesi, utilizzata per esempio dall’esperimentoitalo-cinese ARGO in Tibet) bisogna collocare gli strumenti ad al-tissima quota, con notevoli problemi logistici. Anche con questisforzi, le soglie minime di energia per i rivelatori di sciami estesisono piuttosto alte e la sensibilità alla scoperta di nuove sorgentiè limitata.

La tecnica che si è dimostrata vincente per l’astrofisica gamma èla tecnica Cherenkov4, che sfrutta l’emissione di luce da parte del-le particelle cariche in uno sciame. Negli sciami, sia elettromagne-tici sia adronici, le particelle cariche possono viaggiare a velocitàsuperiori a quella della luce in atmosfera (ricordiamo che questonon viola la teoria della relatività, in quanto la velocità della luce inun materiale trasparente è c/n, dove n è l’indice di rifrazione ed èmaggiore dell’unità). In questi casi emettono un lampo di luce, lacosiddetta luce Cherenkov (dal nome dello scopritore del fenome-no, premio Nobel nel 1958 per la scoperta), che è l’analogo ottico

4 Pavel Alekseevic Cherenkov (Novaja Cigla 1904 - Mosca 1990) fu un fisico sovieti-co, membro della prestigiosa Accademia delle Scienze. A trent’anni scopri l’effettoche oggi porta il suo nome.

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del “bang” supersonico per le onde sonore. Il lampo è emesso inun cono di ampiezza di circa un grado rispetto alla direzione dellaparticella che lo genera, e viaggia verso il suolo insieme alle altreparticelle dello sciame: la luce è in gran parte visibile, e l’emissioneè più intensa nella regione del blu.

I rivelatori Cherenkov riflettono con la loro grande superficie ot-tica il debole lampo di luce su un sensore a matrice di fotomoltipli-catori posto nel piano focale del telescopio; quindi le informazionisui singoli fotomoltiplicatori (pixel) che hanno ricevuto il segna-le vengono digitalizzate. In questo modo il raggio gamma vienefotografato come se fosse una specie di stella cadente, il cui lam-po dura appena 2 o 3 nanosecondi; l’immagine viene registrata suun sistema di computer e immagazzinata per l’analisi dei dati. Se-condo una tecnica i cui pionieri sono stati Weekes, irlandese dive-nuto professore a Tucson, e Hillas, la forma dell’immagine consi-ste di distinguere gli sciami generati da fotoni dagli sciami (mol-to più numerosi) generati da protoni. Questa tecnica consentì nel1989 di localizzare il primo emettitore di raggi gamma ad altissimaenergia, che era proprio la nebulosa del Granchio (Crab nebula).

Tre sistemi multitelescopio ad effetto Cherenkov per la rivela-zione di raggi gamma altissima energia sono attualmente opera-tivi; essi sono strutturalmente e funzionalmente simili. HESS (HighEnergy Stereoscopic System, [105]) in Namibia, operativo dal 2003;MAGIC (Major Atmospheric Gamma Imaging Cherenkov telesco-pe, [106]) alle Canarie (Fig. 8.7), operativo dal 2004; e VERITAS (VeryEnergetic Radiation Imaging Telescope Array System [107]) nel de-serto dell’Arizona, operativo dal 2006, stanno disegnando, in si-nergia con il satellite Fermi, la mappa degli emettitori cosmici deiraggi gamma (e quindi, indirettamente, dei raggi cosmici) nella re-gione dei TeV. Il risultato più importante è proprio quello che dallamorfologia dell’emissione dei resti di supernova nella galassia si èavuta la prova che tali oggetti sono emettitori di raggi cosmici finoad alcune centinaia di TeV.

Grazie ai telescopi Cherenkov negli ultimi cinque anni il numerodi sorgenti di altissima energia conosciute è più che decuplicato,con una frequenza di scoperte di circa una o due sorgenti al me-se: si conoscono oggi oltre 100 sorgenti. Dalla Fig. 8.6 si vede cheil cielo gamma ad altissime energie è popolato soprattutto in cor-rispondenza del piano galattico: la vicinanza gioca un ruolo fon-damentale nel definire l’abbondanza delle sorgenti osservate. Le

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Fig.8.7.

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sorgenti soffrono di un interessante effetto di attenuazione: l’uni-verso è poco trasparente ai raggi gamma a causa dell’interazionedi questi con la “nebbia” di fotoni infrarossi delle stelle nelle galas-sie e con la radiazione fossile del big bang; tale interazione portaalla formazione di coppie di particelle di cariche opposte. La misu-ra dell’orizzonte gamma è quindi anche una misura della densitàdi fotoni nell’universo.

Esternamente alla Via Lattea si osservano prevalentemente ga-lassie brillanti, in gran parte nuclei galattici attivi, cioè buchi ne-ri supermassicci al centro di galassie che si stanno accrescendoa spese del materiale stellare circostante. Gli oggetti celesti piùlontani non sono facilmente visibili, in quanto più deboli a cau-sa della distanza. La maggior parte delle rivelazioni riguardano unparticolare sottoinsieme di nuclei galattici attivi chiamati blazar.In circa un decimo dei nuclei galattici attivi la materia che cade nelbuco nero accende potenti getti collimati che fuoriescono a velo-cità relativistiche in versi opposti (Fig. 1.4). Se un getto è osserva-to a un angolo piccolo rispetto alla linea di vista, l’emissione rive-lata è amplificata per la teoria relatività sino a due o tre ordini digrandezza, e domina l’osservazione: abbiamo in tal caso un blazar.

I telescopi Cherenkov stanno anche mettendo alla prova la teo-ria della relatività in regioni sconosciute, in cui ci si aspetta cheessa possa essere violata [108], e studiando la struttura del vuotoquantistico [109].

Le collaborazioni MAGIC, HESS e VERITAS si sono da poco con-sorziate per costruire lo strumento del futuro: due giganteschematrici di telescopi, chiamate Cherenkov Telescope Array (CTA), lacui sensibilità dovrebbe superare di oltre un ordine di grandezzaquella dei telescopi attuali. Per questa nuova impresa la tecnolo-gia scelta sembra essere simile a quella utilizzata oggi, replicatasu decine di strumenti, con due siti, uno nell’emisfero australee uno nell’emisfero boreale, a coprire superfici di vari chilometriquadrati. L’industria italiana è responsabile dell’ottica di questistrumenti.

8.4 La fisica dei neutrini cosmici

Oltre ai fotoni gamma un altro strumento d’indagine con messag-geri che puntano direttamente alle sorgenti potrebbe essere quel-

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lo che si basa sulla rivelazione dei neutrini. Fra i raggi cosmici, so-prattutto a energie relativamente basse, c’è un gran numero dineutrini, anche perché queste particelle sono prodotte copiosa-mente dal Sole.

I neutrini interagiscono molto poco con la materia: circa 100 mi-liardi di neutrini provenienti dal Sole passano ogni secondo attra-verso un nostro dito, ma non li sentiamo perché interagiscono ra-ramente e solo molto debolmente con la materia. Per ogni cen-to miliardi di neutrini solari che passano attraverso tutta la Terra,solo uno interagisce con essa. Se da un lato questo consente diguardare l’universo in grande profondità, dall’altro rende difficilecostruire rivelatori sensibili.

Ci sono tre tipi di neutrini conosciuti. La fusione nucleare nel So-le produce neutrini che sono associati con gli elettroni, i cosiddettineutrini dell’elettrone. Gli altri due tipi di neutrini, i neutrini muo-nici e i neutrini del tau, sono prodotti, per esempio, negli accelera-tori in laboratorio o a maggior ragione nei grandi acceleratori (restidi supernova e buchi neri) fuori dal sistema solare, o ancora neglisciami che vengono dall’interazione dei raggi cosmici primari conl’atmosfera.

Fino agli anni ’90 si sapeva ben poco dei neutrini, a causa dellaloro scarsa probabilità d’interazione con la materia. Non si sapevaneppure se essi fossero dotati di massa, ed era prevalente l’opinio-ne che ne fossero privi, come i fotoni. Gli anni a cavallo tra il XX eil XXI secolo hanno visto una rivoluzione nella fisica dei neutrini;questa rivoluzione è legata allo studio dei raggi cosmici, e alla co-struzione di rivelatori di neutrini così grandi da potere stimare ilflusso di queste particelle elusive. Dato che i neutrini hanno pro-babilità d’interazione bassa, gli esperimenti che li rivelano devonoessere schermati dagli altri tipi di radiazione cosmica, ed esserequindi collocati nelle profondità sottomarine, in gallerie dentro lemontagne, o in miniere.

Il primo mistero legato ai neutrini cosmici è stato storicamenteil cosiddetto “problema dei neutrini solari”. Sappiamo che il So-le produce energia tramite un meccanismo di fusione nucleareche in sostanza trasforma idrogeno in elio; questo processo com-porta emissione di neutrini dell’elettrone, e dall’energia del Solesiamo in grado di sapere quanti neutrini vengono prodotti ognisecondo. Il primo esperimento in grado di contare i neutrini del-l’elettrone emessi dal Sole fu progettato e realizzato negli Stati

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Uniti da Davis5; nel 1968 cominciò a misurare il flusso di neutrini.Questo si rivelò essere circa un terzo di quello calcolato dai mo-delli di fusione nucleare del Sole (l’esperimento di Davis rivelavasolo i neutrini dell’elettrone, mentre non era sensibile ai neutrinimuonici e a quelli del tau). Quindi o l’esperimento era sbagliato,o i modelli di emissione da parte del Sole erano sbagliati, oppureinfine accadeva qualcosa ai neutrini dell’elettrone nel loro viaggiodal Sole alla Terra.

Bruno Pontecorvo6 aveva suggerito una possibile spiegazio-ne, legata alla possibilità che i neutrini si trasformassero l’unonell’altro durante il viaggio. Questo spiegherebbe un flusso dineutrini dell’elettrone sulla Terra pari a circa un terzo di quelloemesso. La fisica quantistica implica che una tale transizione siapossibile solo se i neutrini hanno massa diversa da zero. Questapossibilità motivò Koshiba7 a compiere misure specifiche utiliz-zando un nuovo rivelatore sotterraneo di neutrini in una minieradi zinco in Giappone, inizialmente da lui concepito per lo studiodei possibili decadimenti dei nucleoni. Il rivelatore Kamiokandeè un enorme serbatoio di acqua circondato da rivelatori dei lam-pi di luce Cherenkov prodotta quando i neutrini interagisconocon i nuclei atomici nelle molecole d’acqua. Koshiba dapprimaconfermò i risultati di Davis secondo cui neutrini dell’elettroneche arrivano dal Sole sono meno di quelli previsti. Nel 1987 Ka-miokande ebbe un colpo di fortuna: una supernova esplose nella

5 Raymond (Ray) Davis (Washington 1914 - New York 2006) era un fisico statuni-tense; lavorò nell’esercito americano e ai Laboratori Nazionali di Brookhaven. Ideòe diresse un esperimento per la rivelazione di neutrini nelle miniere d’oro di Ho-mestake, in South Dakota; per i risultati di questo esperimento gli fu attribuito ilpremio Nobel per la fisica nel 2002, premio condiviso con Koshiba e Giacconi. Ne-gli ultimi anni di vita era affetto dalla sindrome di Alzheimer, e la lezione magistralein occasione della consegna del premio Nobel dovette essere tenuta da suo figlioAndrew, professore a Chicago.6 Bruno Pontecorvo (Pisa 1913 - Dubna 1993) era un fisico italiano allievo e poi as-sistente di Enrico Fermi. Divenuto cittadino britannico nel 1948, partecipò alla co-struzione della bomba atomica britannica. In seguito nel 1950 si trasferì a Dubnapresso Mosca, nel prestigioso centro di ricerca sovietico sull’energia atomica, e lìcontinuò i suoi studi sui neutrini e sui muoni; divenne Accademico delle Scienzedell’Unione Sovietica.7 Masatoshi Koshiba (Toyohashi 1926) è un astrofisico giapponese, professorea Chicago e a Tokyo, insignito nel 2002 del premio Nobel per la fisica per i suoicontributi alla fisica dei neutrini.

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Fig. 8.8. L’esperimento Super-Kamiokande visto dall’interno.Super-K è costituito da un rivelatore cilindrico di 39 metridi diametro e 42 metri di altezza contenente 50 000tonnellate di acqua; è posto nella miniera di Kamioka, inGiappone, sotto un chilometro di roccia che lo scherma dairaggi cosmici con l’eccezione dei neutrini. L’acqua costitui-sce il bersaglio per l’interazione dei neutrini; le particelleprodotte emettono un flash di luce Cherenkov, che vienerivelato da 11 000 fotomoltiplicatori di mezzo metro didiametro che coprono la superficie interna del cilindro.Con questo rivelatore è possibile ricostruire l’energia e ladirezione delle particelle provenienti dai neutrini

Grande Nube di Magellano, una galassia satellite della Via Lattea,a pochi milioni di anni luce di distanza; il rivelatore osservò unfiotto di dodici neutrini provenienti dall’esplosione (anche l’espe-rimento IMB negli Stati Uniti osservò otto neutrini in corrispon-denza dell’evento, e l’esperimento Baksan in Russia rivelò cinqueneutrini).

Dopo la costruzione di una versione ancora più grande e piùsensibile del suo rivelatore, chiamata Super-Kamiokande (Fig. 8.8)o Super-K, divenuta operativa nel 1996, Koshiba osservò nel 1998un deficit di neutrini muonici provenienti dai raggi cosmici. Questaera la prova che i neutrini muonici “scomparivano” trasformandosiin un altro tipo di neutrini, e quindi spiegava implicitamente anche

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il problema dei neutrini solari. I risultati dei gruppi di Davis e diKoshiba furono completati e migliorati dagli esperimenti GALLEXe MACRO al Gran Sasso.

Successivamente, nel 2002 in Giappone, l’esperimentoKamLAND, che rivelava neutrini prodotti da un reattore lontanocirca 180 chilometri, osservò in condizioni controllate la scompar-sa di neutrini dell’elettrone. Contemporaneamente l’esperimentoSNO (Sudbury Neutrino Observatory, collocato circa 2 km sottola superficie terrestre nella miniera Creighton vicino alla città diSudbury, Ontario) in Canada rivelò la comparsa di neutrini di tipodiverso da quello dell’elettrone dal flusso di neutrini elettroni-ci provenienti dal Sole. Infine nel 2010 l’esperimento OPERA aiLaboratori Nazionali del Gran Sasso, che rivela i prodotti dell’in-terazione di un fascio di neutrini muonici proveniente dal CERNdopo circa 700 chilometri di viaggio sotto la crosta della Terra,migliorò i risultati giapponesi e canadesi fotografando la compar-sa di un neutrino del tau (che veniva dunque presumibilmentedalla trasformazione di un neutrino del mu prodotto dal CERN incondizioni controllate); nel 2011 in Giappone l’esperimento T2K,che osserva il flusso di neutrini muonici prodotti dall’accelerato-re J-PARC, a circa 300 chilometri di distanza, osservò in 6 casi lacomparsa di neutrini dell’elettrone.

Quello che è probabilmente il più importante risultato di fisicadelle particelle degli ultimi vent’anni (il fatto che il neutrino hamassa diversa da zero) è stato quindi ottenuto dallo studio deiraggi cosmici, e solo molto più tardi è stato confermato grazie agliacceleratori.

I neutrini come tracciatori di processi astrofisici

Il fatto che i neutrini abbiano bassa probabilità d’interazione e cheviaggino in linea retta li rende anche molto adatti a rivelare sor-genti lontane di raggi cosmici; sfortunatamente, a parte i neutrinisolari e i neutrini dalla supernova del 1987 di cui abbiamo già par-lato, finora non sono mai state rivelate sorgenti astrofisiche di neu-trini. È quindi evidente che i “telescopi di neutrini” per poter rivela-re i flussi da sorgenti astrofisiche debbano essere molto più grandidi rivelatori già grandissimi come Super-K.

Due linee di ricerca sono in corso per costruire grandi rivelatoridi neutrini con volumi attivi dell’ordine del chilometro cubo.

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Un progetto molto avanzato (IceCube), proposto dal fisicofiammingo-americano Halzen, sfrutta come rivelatori i ghiaccidell’Antartide, instrumentati con fotorivelatori. Il cuore dell’osser-vatorio comprende oltre 5 000 rivelatori grandi come palloni dapallacanestro, organizzati in 86 serie di 60 e disposti all’internodi un chilometro cubo di ghiaccio (Fig. 8.9). I rivelatori sono stati“calati” nel ghiaccio forando il ghiaccio stesso con trivelle e gettidi acqua calda; poco dopo l’operazione, il ghiaccio si riforma e ilfotorivelatore è “in posizione”. La costruzione del rivelatore è stataconclusa alla fine del 2010, e gli scienziati impegnati nel proget-to stanno ora regolando gli ingranaggi di questa macchina cosìgrande e complicata.

Un progetto in corso di perfezionamento è chiamato Km3Net,e consiste in una serie di stringhe di fotorivelatori calati nel mar

Fig. 8.9. Il rivelatore IceCube

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Mediterraneo, in particolare al largo di Marsiglia, di Capo Passeroin Sicilia, e dell’isola di Pilos in Grecia.

8.5 Nuovi messaggeri: il futuro

Le informazioni raccolte dai telescopi gamma presenti e futuri po-trebbero aprire la strada ai grandi rivelatori di neutrini cosmici cuiabbiamo accennato, e anche ai rivelatori di onde gravitazionali,lungo una via della quale fu pioniere Edoardo Amaldi.

Le onde gravitazionali (gravitoni), mai rivelate, sono ipotizzateessere il messaggero della più debole delle interazioni, per l’ap-punto l’interazione gravitazionale, e sono associate al moto relati-vo delle masse stesse; sono previste essere particolarmente inten-se in condizioni di accelerazione come quelle associate a catacli-smi cosmici.

L’onda gravitazionale, al suo passaggio, deforma lo spazio, ecambia le distanze di quantità piccolissime. Si spera di poter mi-surare queste variazioni di distanza con il metodo dell’interfero-metria di fasci di luce. Lo strumento tipico è un interferometro condue bracci perpendicolari tra loro, o un triangolo nel quale si misu-ra la somma degli angoli interni (se questa è diversa da 180 gradilo spazio si è deformato).

Attualmente sono in funzione nel mondo tre grandi interfero-metri, due negli Stati Uniti per il progetto LIGO (Laser Interfero-meter Gravitational-wave Observatory [111]), con bracci di 4 km,e uno vicino a Pisa (Fig. 8.10), con bracci di 3 km, chiamato Vir-go [112]. Questi interferometri lavorano in sinergia per aumentarel’efficienza e consentire di localizzare i possibili emettitori di ondegravitazionali.

La speranza è che un cataclisma abbastanza vicino (ma nontroppo!) come un’esplosione di supernova o la coalescenza di unsistema binario possa emettere un fiotto di gravitoni abbastanzapotente da essere rivelato. Data la trasparenza della materia neiloro confronti, le onde gravitazionali giungono dal cuore del ca-taclisma stellare, fornendo dati altrimenti inaccessibili. Si ritieneanche che le onde gravitazionali siano il primo segnale emesso ineventi di altissima energia.

È in fase di progetto da parte dell’ESA con la collaborazionedella NASA un interferometro spaziale chiamato LISA (Laser Inter-

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109Capitolo

8.La

fisicadeiraggicosm

icioggi

Fig. 8.10. Vista aerea del rivelatore di onde gravitazionali Virgoa Cascina presso Pisa (laboratorio EGO)

ferometer Space Antenna [113]) con bracci di 5 milioni di chilo-metri (15 volte la distanza tra la Terra e la Luna), da collocare inorbita nel Sistema Solare (Fig. 8.11) all’incirca nel 2020. Si sperache esso sarà sensibile a fenomeni violenti a distanze cosmologi-che, quali i collassi di materia e la coalescenza di buchi neri su-permassicci; ciò darà preziose informazioni sui primi istanti di vitadell’universo.

Venus Mercury

Sun

Earth5 × 106 km

60°

20°

1 A

U

Fig. 8.11. L’orbita del sistema di satelliti LISA nel Sistema Solare

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110

L’enigmadeiraggicosm

ici

8.6 Post scriptum

In un libro come questo, che si conclude con una rassegna degliesperimenti in corso, si rischia di terminare la lettura con una mag-giore attenzione rispetto ai problemi da risolvere rispetto alla con-siderazione della quantità di problemi risolti e delle conoscenzeacquisite.

Questo sarebbe ingiusto nei confronti dei pionieri dello studiodei raggi cosmici e anche dei ricercatori presenti, visto che in unsecolo è stato possibile accumulare una quantità impressionantedi conoscenze. Nel 1911 non avevamo certezze: oggi sappiamo,raccontandolo in sintesi estrema, che i raggi cosmici sono di ori-gine extraterrestre (quelli di più bassa energia vengono dal Sole,quelli di energia intermedia dalla Via Lattea e in particolare dai re-sti di supernova, quelli di più alta energia, oltre la decina di jouleper particella, dai buchi neri supermassicci al centro delle galas-sie); che sono prevalentemente protoni, con una piccola frazionedi nuclei di elio, elettroni, fotoni, neutrini e tracce di altre parti-celle; sappiamo in linea di principio come vengono prodotti, conquale spettro di energie e come viaggiano nello spazio. Inoltre, inconsiderazione dei limiti fondamentali degli acceleratori sulla Ter-ra, che difficilmente potranno nel XXI secolo superare le energie diuna decina di TeV, i raggi cosmici e le sorgenti cosmologiche sononuovamente diventati il punto focale della fisica delle alte energie.

Al di là di ciò che abbiamo imparato, ed è moltissimo, le sorpre-se che potrà ancora regalare l’universo nell’osservazione di que-sti fenomeni sono il premio di cui potranno godere gli scienziatiche con pazienza e sempre maggior competenza investiranno nel-la ricerca in questo ramo all’incrocio tra l’astrofisica e la fisica del-le particelle. È proprio la potenzialità di scoperta di questo nuovosettore che sta attirando un numero sempre maggiore di giovaniscienziati, e che porta allo sviluppo di nuove idee, alla realizzazio-ne di nuove tecnologie e all’individuazione di nuovi misteri. E ab-biamo la coscienza che i rivelatori che abbiamo costruito in questagenerazione sono le vedette dei confini dell’universo.

L’avventura iniziata un secolo fa ha dato frutti che nessuno al-l’epoca avrebbe potuto immaginare. È bello pensare che i pionieridella fisica dei raggi cosmici possano vedere tutte le scoperte chele loro intuizioni hanno generato ed è bello pensare che potranno,e speriamo noi con loro, vedere le scoperte ancora a venire.

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Appendice

Nel seguito vengono riportati e commentati tre articoli fondamen-tali nella storia dei raggi cosmici.

Essi sono stati scelti in quanto, a parere dell’autore di questovolume, rappresentano e sintetizzano l’evoluzione della compren-sione dei raggi cosmici nella fase pionieristica.

• Il primo articolo (febbraio 1912) è quello fondamentale di Pa-cini nel quale viene riportata la misura sottomarina del 1911.In questa misura per la prima volta viene stabilita la presenzadi una componente extraterrestre della radiazione.

• Il secondo articolo (novembre 1912) è quello nel quale Hessdescrive le sue esperienze su mongolfiera. Ora si può parlarecon certezza di raggi cosmici.

• Il terzo articolo (1913) è quello che descrive la scoperta dell’an-timateria da parte di Anderson, studiando i raggi cosmici conuna camera a nebbia.

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Domenico PaciniLa radiazione penetrante alla superficieed in seno alle acque∗

Pezzo a pezzo si compone nella mente originale e creativa di Paci-ni il puzzle che porta alla corretta interpretazione dell’origine deiraggi cosmici. Questo è l’esempio di una metodologia che portaa una ricerca scientifica di successo.• Nel 1909 Pacini aveva riportato una misura delle variazioni pe-

riodiche diurne e delle fluttuazioni della ionizzazione, e conclu-deva che “[n]ella ipotesi che l’origine delle radiazioni penetran-ti sia nel terreno [. . . ] non si possono spiegare i risultati finoraottenuti.”

• Nel 1910 Pacini pubblica il risultato di un confronto tra la ioniz-zazione dell’aria sulla superficie del mare (anche lontano dallacosta) e al suolo; trova che la radiazione è leggermente minorealla superficie del mare e conclude che “dai risultati qui otte-nuti appare che una parte non piccola della radiazione pene-trante presente nell’aria, e in modo particolare quella parte cheè soggetta ad oscillazioni anche notevoli, ha origine indipen-dente dall’azione diretta delle sostanze attive contenute neglistrati superiori della crosta terrestre.”

• Nel terzo e decisivo articolo Pacini completa il suo studio misu-rando una riduzione significativa della ionizzazione sott’acquarispetto alla superficie del mare, e conclude che “appare con-fermino le esperienze di cui è oggetto questa nota [. . . ] che esi-sta nell’atmosfera una sensibile causa ionizzante, con radiazio-ni penetranti, indipendente dall’azione diretta delle sostanzeradioattive del terreno.”

Qui di seguito riportiamo la trascrizione dell’articolo decisivo diPacini. Le note inserite dall’autore di questo volume sono compre-se fra parentesi quadre, e identificate dall’espressione “Nota delcuratore”. Per rendere il testo più “moderno” e facilmente com-prensibile, è stato utilizzato il modo oggi correntemente accettatodi esprimere le unità di misura e sono stati usati i simboli attualidel Sistema Internazionale; la virgola è stata sostituita dal puntocome separatore tra le cifre intere e le decimali; è stata qualchevolta modificata la punteggiatura.∗ Nuovo Cimento vol. VI/3 (1912), pp. 93 e ss.

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113Appendice.

Dom

enicoPacini

LA RADIAZIONE PENETRANTE ALLA SUPERFICIEED IN SENO ALLE ACQUE

Nota di D. PACINI

Le osservazioni eseguite sul mare nel 19101 mi conducevanoa concludere che una parte non trascurabile della radiazionepenetrante che si riscontra nell’aria avesse origine indipenden-te dall’azione diretta delle sostanze attive contenute negli stratisuperiori della crosta terrestre.

Riferirò ora sopra ulteriori esperienze che confermano quellaconclusione.

I risultati precedentemente ottenuti indicavano esistere sullasuperficie del mare, dove non è più sensibile l’azione del terreno,una causa ionizzante di tale intensità da non potersi spiegare esau-rientemente considerando la nota distribuzione delle sostanze ra-dioattive nell’acqua e nell’aria. Difatti, come l’Eve2 ha mostrato, sipuò calcolare facilmente quale dovrebbe essere l’azione ionizzan-te dovuta alle radiazioni γ emesse da particelle attive nell’aria, allasuperficie del mare.

Sia:

– Q l’equivalente in Ra. C per cm3 nell’atmosfera, espresso comein grammi di Radio in equilibrio radioattivo Q = 8 × 10−17;

– K il numero di ioni generati per cm3 al secondo da un grammodi Radio ad 1 cm di distanza: K = 3.4 × 109 per l’aria racchiusain elettroscopio d’alluminio; K = 3.1 × 109 all’aria libera;

– λ il coefficiente d’assorbimento dei raggi γ nell’aria = 0.000044;

– r la distanza dal punto in cui si considera l’azione;

allora il numero q di ioni dovuti ai raggi γ del Radio C nell’aria saràespresso da:

q = 2πKQ∫ ∞

0

r2e−λr

r2 dr

q = 2πKQλ

= 0.035 .

1 D. Pacini. Ann. dell’Uff. Centr. Meteor. Vol. XXXII, parte I, 1910. – Le Radium, T. VIII,pag. 307, 1911.2 A.S. Eve. Phil. Mag., 1911.

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ici

Bisognerebbe ora tener conto dell’effetto dei prodotti attividel Torio; ma non si hanno elementi precisi in proposito per po-ter completare il calcolo. L’Eve ammette che, per effetto dellaradiazione γ emessa dai prodotti del Torio, si generino, per cm3 alsecondo, ioni 0.025. Il che fa in totale per l’aria ioni 0.06. In questocalcolo si suppone che l’aria al disopra della superficie del mareabbia la stessa composizione radioattiva come al disopra del suo-lo, mentre in realtà, ad una certa distanza dalla costa, il contenutodi emanazione radioattiva nell’aria del mare è inferiore a quel-lo dell’aria sul suolo, specialmente per ciò che riguarda il Torio.Per il contributo dato dall’acqua del mare, il calcolo si fa anchefacilmente, conoscendosi dalle esperienze di Joly3 l’equivalentein Radio Q′ = 1.1 × 10−14; il coefficiente di assorbimento λ′ siottiene subito ricordando che il rapporto fra detto coefficiente ela densità:

λ′

ρ= 0.034 4 .

Così si ottiene per il mare il valore q = 0.066.Dobbiamo aggiungere al valore, q = 0.066, l’effetto della radia-

zione secondaria destata sulle pareti del recipiente, che possiamoammettere aumenti del 20 % l’azione che si avrebbe all’aria libe-ra; giungeremo così in totale ad una ionizzazione che è dell’ordinedel decimo di ione per cm3.

Le osservazioni da me fatte sul mare avevano tuttavia fornitoper q, in media, dei valori notevolmente più grandi di quello che lateoria comporterebbe. Prendo ad esempio le indicazioni dell’ap-parecchio A5 che aveva le pareti di 1.5 mm e tali cioè da escluderela grande maggioranza delle radiazioni tipo β. [Nota del curato-re: il cosiddetto “apparecchio A” usato da Pacini è un elettrome-tro di Wulf schermato da pareti più spesse di quelle dell’analogo“apparecchio B”. Dal confronto delle misure “A” e “B” Pacini riescea distinguere le radiazioni β, meno penetranti, dalle radiazioni piùpenetranti, che egli pensava essere prevalentemente radiazioni γ.Una tecnica simile verrà usata da Hess.] Questo apparecchio dettesul mare, a bordo di una lancia di circa 4 m2 di superficie, una me-dia di ioni 8.9 ed un minimo di ioni 4.7; e nella ipotesi, avvalorata

3 Joly. Phil. Mag., September 1909.4 Mc. Lelland. Phil. Mag., July 1904.5 Vedi Pacini, l.c.

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115Appendice.

Dom

enicoPacini

dai risultati finora ottenuti, che il minimo di ioni 4.7 possa ascriversiinteramente alla ionizzazione residua, resta una media di ioni 4.2,dalla quale sottraendo l’azione delle radiazioni secondarie avremoil valore:

q = ioni 3.4

come dovuto alla radiazione penetrante sul mare a oltre 300 metridalla costa.

Successivamente nel maggio 1911 è stata pubblicata una notadi Simpson e Wright6 che hanno istituito osservazioni di elettricitàatmosferica a bordo del “Terra Nova” nel viaggio dall’Inghilterraalla Nuova Zelanda della spedizione antartica del capitano Scott.Per quanto riguarda la radiazione penetrante i citati Autori hannotrovato in media, a bordo della loro nave, il valore di circa 6 ioni;essi riscontrarono però valori di circa 9 ioni per molte ore dopoche la nave aveva lasciato le coste; quindi un aumento di 3 ioni sulvalore medio di q. Il minimo valore che ottennero per q fu di 4 ioni.

Questi risultati di Simpson e Wright intanto confermano cheanche all’infuori dell’azione diretta del suolo è possibile consta-tare oscillazioni notevoli nei valori della radiazione penetrante, equelli delle esperienze sulle quali ora riferirò sembrano anch’essiattestare della presenza di effetti ben misurabili della radiazionepenetrante nell’aria sopra un mezzo assorbente.

Vedremo pertanto che immergendo l’apparecchio nelle acquesi può ulteriormente abbassare, al disotto del suo medio valore,la radiazione penetrante osservata alla superficie del mare o di unlago.

L’apparecchio A, già. adoperato nelle esperienze sopra citate,venne racchiuso in una scatola di rame per poterlo immergere inseno alle acque. Le esperienze furono condotte ancora presso l’Ac-cademia navale di Livorno e precisamente nello stesso luogo doveerano state eseguite quelle dell’anno precedente.

L’apparecchio fu disposto a bordo della medesima lancia chefu ancorata a oltre 300 metri dalla costa, sopra 8 m di fondo e dal24 al 31 giugno [Nota del curatore: la data del 31 giugno è citatanella pubblicazione] si fecero delle osservazioni coll’apparecchioalla superficie, e coll’apparecchio immerso nelle acque, a 3 m diprofondità.

6 G.C. Simpson e C.S. Wright: “Atmospheric Electricity over the Ocean”. Proceed. ofthe Royal Soc. Vol. 85, pag. 175, 1911.

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L’enigmadeiraggicosm

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Ecco i risultati di queste osservazioni, ciascuna delle quali haall’incirca la durata di 3 ore:

– Coll’apparecchio alla superficie del mare si ebbe una perditaoraria di Volta:

13.2 − 12.2 − 12.1 − 12.6 − 12.5 − 13.5 − 12.1 − 12.7

media 12.6 equivalente a ioni 11 per cm3 al secondo.

– Coll’apparecchio immerso:

10.2 − 10.3 − 10.3 − 10.1 − 10.0 − 10.6 − 10.6

media 10,3 equivalente a ioni 8.9 per cm3 al secondo.

La differenza fra questi due valori è di ioni 2.1.La barca era la medesima che servì per le misure in cui fu possi-

bile constatare il minimo di 4.7 ioni, ed essendo essa sempre tenu-ta nelle stesse condizioni, cioè o in mare, o sospesa sul mare dallabanchina mediante grue, abbiamo ragione di ritenere che la im-barcazione non contenesse materiali attivi estranei a quelli prove-nienti dall’aria o dal mare. Nelle ore in cui non si facevano esperien-ze, l’apparecchio era tenuto carico, sempre nello stesso locale, ovela dispersione della elettricità si conservò rigorosamente costante.

Collo stesso apparecchio furono eseguite osservazioni anchesul lago di Bracciano. A 350 metri dalla riva, ottenni in superficieq = 12.4 ed in seno alle acque a 3 m di profondità, in un luogoove il fondo superava i 7 m, si ebbe q = 10.2. La differenza nei duevalori di q fu quindi di ioni 2.2.

Il coefficiente d’assorbimento per l’acqua essendo 0.034 è faci-le dedurre dalla nota equazione I/I0 = e−λd, dove d è lo spesso-re di materia traversata, che nelle condizioni delle mie esperien-ze l’azione del fondo e quella della superficie erano trascurabili.La temperatura dell’acqua fu in media di pochi decimi di gradoinferiore a quella dell’aria sovrastante e, operandosi a tenuta d’a-ria, il numero di ioni generato nello spazio interno varierà solo alvariare della causa ionizzante. Dalle differenze 2.1 e 2.2 sottraen-do il 20 % come dovuto alla radiazione secondaria, quei numeri siriducono a:

ioni 1.7 per il mare

e ioni 1.8 per il lago di Bracciano.

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117Appendice.

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Questa diminuzione nel valore di q, passando dalla osservazio-ne in superficie all’indagine dell’interno delle acque, sarà dovu-ta alle azioni esterne o forse ad una variazione della ionizzazioneresidua del recipiente nel passaggio dall’aria all’acqua?

Nulla sappiamo di sicuro circa la origine della ionizzazione resi-dua dell’aria rinchiusa in un recipiente metallico.

Le cause che ci appaiono come possibili generatrici della ioniz-zazione residua, quando l’aria introdotta sia priva di emanazione,sono: l’attività propria, o le impurità radioattive del metallo, e forseanche la ionizzazione spontanea del gas racchiuso7.

È poco probabile che, nelle condizioni in cui vengono adoperatiper queste esperienze, i metalli, ad eccezione del piombo, conten-gano impurità radioattive: d’altronde nella lunga serie di osserva-zioni fatte in precedenza coll’apparecchio da me adoperato, nonfu osservato un aumento di dispersione che potesse ascriversi adimpurità.

Nella ipotesi di un’attività propria del metallo, o di una emis-sione di elettroni per disgregazione spontanea del gas racchiu-so nell’apparecchio, non appare come si potrebbe dedurre unavariazione di queste cause ionizzanti col mutare di condizionedell’istrumento, a tenuta d’aria, fra la superficie e l’interno delleacque.

La spiegazione che sembra doversi dare del fenomeno è che,per il potere assorbente dell’acqua e per la quantità minima di so-stanze radioattive contenute nel mare, realmente si verifichi, nel-l’atto della immersione, un assorbimento delle radiazioni γ prove-nienti dall’esterno.

Di questa ionizzazione dell’aria dovuta alla radiazione pene-trante, e che non dipende direttamente dalle sostanze attive con-tenute nel terreno, è naturale, come già fu osservato8, ricercarnel’origine in un accumulamento, intorno al luogo d’osservazione,del materiale radioattivo diffuso nell’atmosfera.

Anche Simpson e Wright attribuiscono a questa causa l’aumen-to di tre ioni sulla ionizzazione normale da essi osservata in mare;secondo questi Autori le particelle attive si sarebbero deposita-te dall’aria sulla nave, quando la nave trovavasi in vicinanza dellacosta.

7 G.C. Simpson and C.S. Wright (l.c.).8 D. Pacini (l.c.).

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Se supponiamo che i prodotti attivi siano ripartiti uniforme-mente nell’atmosfera fino a 5 km di altezza, e che essi venganorapidamente a depositarsi dall’aria sulla superficie della terra, daidati di Eve si deduce che si avrebbe, per ogni cm2, uno strato diRa. C equivalente a 4 × 10−11 grammi di Radio, in equilibrio conesso; e questo genererebbe nell’aria, ad un metro di altezza, ioni1.8 per cm3 al secondo.

Nel caso delle mie esperienze, trascurando l’azione delle par-ticelle attive che si depositano sulle acque, perché può supporsiche esse vadano presto in soluzione a causa del moto ondoso, cisi può fare un’idea di quale sarebbe l’effetto della sostanza attivache si depositasse sulla barca che ha circa 4 m2 di superficie. Sup-poniamo che il Ra. C depositatosi sulla barca agisca sull’apparec-chio (che era situato al centro, sopra una tavola, all’altezza dell’or-lo) come se fosse distribuito uniformemente sulla superficie di unamezza sfera di 80 cm di raggio, in ragione di una quantità Q, equi-valente a 4 × 10−11 grammi di Ra per ogni cm2. Il numero di ionia cui tutto il deposito radioattivo darebbe luogo in un cm3 d’aria,al centro della emisfera sarebbe espresso da

q =KQr2 e−λr2πr2 = 0.8 ioni

e supponendo che i prodotti del Torio influiscano in questo casoper 0.5 ioni, avremmo in totale ioni 1.3. Il calcolo ci fornisce cosìun valore minore di quello osservato, ma tuttavia l’effetto sarebbeben misurabile.

Un rapido abbassamento dei prodotti attivi dell’atmosfera po-trebbe verificarsi per forti valori del campo terrestre e sopratuttonel caso di precipitazioni. Le osservazioni finora eseguite sull’an-damento della radiazione penetrante durante la pioggia non sonoabbastanza concordi, né sufficientemente numerose, per stabilirein modo indubbio la esistenza di una azione nel senso sopra detto.

Recentemente sono state fatte delle ricerche in pallone liberosulla radiazione penetrante nell’alta atmosfera9. Anche queste os-servazioni, sebbene non si possano considerare come definitiveper ciò che riguarda lo studio della radiazione penetrante ad unacerta altezza sul suolo, avrebbero tuttavia mostrato che là dove,per la legge dell’assorbimento dell’aria (recentemente verificata

9 A. Gockel. Phys. Zeit., p. 595, 1911 e V.F. Hess. Phys. Zeit., p. 998, 1911.

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119Appendice.

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dall’Hess), non è più sensibile l’azione delle sostanze attive del ter-reno, si riscontrano ancora alti valori per la radiazione penetran-te. Risultato questo che ha condotto il Gockel e l’Hess a ripeterequanto lo scrivente ebbe a concludere dalle prime osservazionieseguite sul mare e quanto appare confermino le esperienze di cuiè oggetto questa nota: cioè che esista nell’atmosfera una sensibilecausa ionizzante, con radiazioni penetranti, indipendente dall’azionediretta delle sostanze radioattive del terreno.

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Victor Franz HessMisure della radiazione penetrante in sette volisu pallone∗

Nel seguito è tradotto il fondamentale articolo di Hess del 1912,articolo che gli vale il premio Nobel, nel quale per la prima voltasi misura un significativo aumento della radiazione all’aumenta-re dell’altitudine. Ciò avviene nell’ultimo dei sette voli su palloneaerostatico descritti.

Gran parte dell’articolo è dedicata alle fluttuazioni delle misuredi radioattività; per non confondere o annoiare il lettore abbiamoomesso il dettaglio di questo materiale.

∗ Physikalische Zeitschrift vol. 13 (1912), pp. 1 084 e ss.

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121Appendice.

VictorFranzHess

Dalla Sezione di Geofisica, Meteorologia e Geomagnetismo:

Viktor F. Hess (Vienna), Osservazioni delle radiazionipenetranti in sette voli su pallone

L’anno scorso ho avuto l’opportunità di compiere due ascese supallone aerostatico per indagare la radiazione penetrante: sul pri-mo volo ho già riferito nel corso della riunione scientifica a Karls-ruhe.1 In entrambi i viaggi non è stato riscontrato fino a un’alti-tudine di 1 100 metri alcun cambiamento fondamentale nella ra-diazione rispetto ai valori misurati al suolo. Gockel2 analogamen-te in due ascensioni in mongolfiera non era riuscito a trovare lariduzione della radiazione prevista con l’altezza. Si concluse quin-di che non ci deve essere altra fonte della radiazione penetranteoltre alla radiazione gamma dalle sostanze radioattive nella crostaterrestre.

Un contributo della Reale Accademia delle Scienze di Viennami ha permesso di effettuare quest’anno una serie di altre setteascese su pallone, da cui ho potuto ottenere materiale osservativopiù completo, esteso in vari modi.

Ho usato in primo luogo per l’osservazione della radiazione pe-netrante due rivelatori di radiazione di Wulf con pareti di tre milli-metri di spessore, a perfetta tenuta e capaci di resistere alle varia-zioni di pressione in tutte le ascensioni.

Lo strumento 1 ha un volume di ionizzazione di 2 039 centimetricubi, e la sua capacità è di 1 597 centimetri.

Lo strumento 2 ha un volume di 2 970 centimetri cubi, e capa-cità pari a 1 097 centimetri.

Quindi una perdita di carica di 1 volt per ora corrispondeva nel-lo strumento 1 a un tasso di ionizzazione di q = 1.56 ioni per cen-timetro cubo al secondo, e nello strumento 2 a q = 0.7355 ioni percentimetro cubo al secondo.

Entrambi gli strumenti erano stati zincati elettroliticamente al-l’interno per ridurre la radiazione dalle pareti del recipiente. Que-sta tecnica è stato suggerita dal dottor Bergwitz. Dopo il tratta-mento il rilevatore 1 indicava in condizioni normali una ionizza-zione di circa 16 ioni per centimetro cubo al secondo, il rivelatore2 di 11 ioni per centimetro cubo al secondo. La fabbrica di Gun-

1 Phys. Zeit. 12, 998-1 001; Wien. Sitz.-Ber. 120, 1 575-1 585, 1911.2 Phys. Zeit. 12, 595-597, 1911.

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ther e Tegetmeyer a Braunschweig ha anche fornito un altro mi-glioramento fondamentale per l’apparato: fino ad allora la misuradi precisione della posizione delle lamelle si svolgeva unicamentespostando l’oculare, il che dava luogo a un cambiamento non tra-scurabile nell’ingrandimento, e nei successivi aggiustamenti que-sto produceva differenze fino a 0.5 ioni per centimetro cubo alsecondo nelle letture. La fabbrica ha ora montato nel tubo ocu-lare un obiettivo scorrevole, che permette la messa a fuoco dellefibre per varie posizioni senza apprezzabili variazioni dell’ingran-dimento. La precisione della regolazione è dunque notevolmentemigliorata.

Lo spessore delle pareti degli strumenti 1 e 2 è di tre millimetri,in modo che essenzialmente solo i raggi gamma possano essereefficaci.

Al fine di studiare simultaneamente il comportamento dei rag-gi beta ho usato anche un terzo strumento, che non è stato co-struito a tenuta d’aria, ma consisteva in un comune elettrometrodi Wulf a due lamelle su cui è stato rovesciato un vaso cilindricodi ionizzazione di volume pari a 16.7 litri, fatto della lamina di zin-co più sottile disponibile in commercio (spessore della parete di0.188 millimetri), in modo che raggi soffici con le caratteristichedei raggi beta potessero anch’essi svolgere un ruolo efficace. Unapunta di zinco di 20 centimetri fissata al supporto per le foglie del-l’elettrometro agiva come dispersore di carica. La capacità era di6.57 centimetri.

La perdita di isolamento nei rivelatori di Wulf con pareti spesse,1 e 2, è stata determinata come di consueto con un tubo di con-trollo. La perdita oraria di carica era pari a 0.2 volt nello strumento1, e a 0.7 volt nello strumento 2. Non si è mai osservata una bruscaperdita di isolamento a causa di eccessiva umidità.

. . .

Maggiore attenzione è stata dedicata alle fluttuazioni della ra-diazione. Pacini3 ha osservato, misurando contemporaneamentedue rivelatori di Wulf con letture a intervalli di un’ora, un’indub-bia correlazione nelle variazioni delle velocità di scarica sulla terrae sul mare; la causa delle fluttuazioni è quindi chiaramente al difuori della stessa apparecchiatura di misura della radiazione.

. . .

3 Le Radium, 8, 307-312, 1911.

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123Appendice.

VictorFranzHess

L’ultimo e più importante punto dell’indagine è stata la misu-ra della radiazione alle maggiori altezze possibili. Mentre nelle seiascese effettuate partendo da Vienna la debole forza di solleva-mento del gas e le condizioni meteorologiche non lo avevano per-messo, in una salita con un pallone riempito d’idrogeno da Aussigsull’Elba sono riuscito a effettuare misurazioni fino a 5 350 metri dialtitudine.

Per diverse ore prima di ogni volo sono state effettuate misuredi controllo con tutti e tre i rivelatori. A questo scopo gli strumen-ti sono stati fissati per mezzo di staffe al cesto del pallone, esat-tamente come durante il volo. Le osservazioni prima dell’ascesasono state effettuate presso il sito dell’Österreichischen Aeroklub,un terreno erboso nel Prater a Vienna. L.V. King4 aveva congettu-rato che le osservazioni su pallone potrebbero essere disturbatedalla vicinanza della sabbia usata come zavorra, sabbia che è de-bolmente radioattiva. Non è mai stato trovato un aumento dellaradiazione causato da campioni della sabbia usata per la zavorra.

Negli strumenti 1 e 2, la densità dell’aria stessa prevale sem-pre all’interno dello spazio di ionizzazione rispetto al sito della sa-lita (in media 750 millimetri). D’altra parte nel rivelatore a paretesottile 3, la pressione è sempre la stessa dell’esterno. Un’opportu-na correzione dei dati osservati direttamente è quindi necessaria,soprattutto nelle osservazioni a grandi altezze.

. . .

Nel seguito q1, q2, q3 denotano la radiazione penetrante osser-vata con i tre strumenti 1, 2, 3, espressa in ioni per centimetro cuboal secondo. La carica elementare è assunta essere e = 4, 65×10−10

esu [Nota del curatore: il valore è espresso nelle unità cgs, un siste-ma di unità di misura oggi sostituito dal sistema internazionale; ècirca del 3 % inferiore rispetto al valore oggi ben conosciuto]. L’al-tezza media del pallone durante un dato periodo di osservazione(di solito della durata di un’ora) è stata desunta con un metodografico dalla traccia del barografo. Un valore medio dell’altezza re-lativa è stato quindi calcolato partendo dall’altitudine sul livellodel mare della località direttamente sottostante. L’ora del giorno èdata nelle tabelle in una scala da 0 a 24 ore.

Un resoconto completo di tutte le osservazioni su pallone è sta-to presentato alla Accademia Imperiale delle Scienze a Vienna, e

4 Phil. Mag. (6) 23, 242, 1912.

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pubblicato nei proceedings. Qui mi limiterò a dare resoconti detta-gliati della sole due ascensioni più importanti e mi accontenteròdi citare i valori medi per gli altri.

Primo volo

Il primo volo avvenne in occasione della notevole eclissi parzialedi Sole in Austria meridionale il 17 aprile 1912. Abbiamo effettuatoosservazioni dalle 11 del mattino all’una di pomeriggio a un’altitu-dine assoluta di 1 900-2 750 metri sopra uno strato quasi completodi nubi cumuliformi. Non è stata osservata alcuna riduzione dellaradiazione penetrante durante l’eclissi. Lo strumento 2 ha misura-to, ad esempio, una ionizzazione di 10.7 ioni prima della salita; 11.1ioni più tardi, a un’altezza media relativa di 1 700 metri; 14.4 ioni da1 700 a 2 100 metri, durante la prima fase dell’eclissi; e in seguito15.1 ioni a circa 50 % di oscuramento solare. Ulteriori misure nonsono state possibili, dato che il pallone è stato costretto a scenderea causa del raffreddamento del gas.

A circa 2 000 m è stato misurato un aumento della radiazione.Poiché non si vedeva alcun effetto dell’eclissi sulla radiazione pe-netrante, si può concludere che, se una parte della radiazione è diorigine cosmica, difficilmente può venire dal Sole, almeno finché sipensa a una radiazione di tipo gamma che propaga in linea retta.Il fatto che in successivi voli in mongolfiera non abbia mai trovatouna differenza significativa nella radiazione tra il giorno e la notteconferma questa tesi.

. . .Il settimo volo, descritto nel seguito, è stato fatto a una quota

veramente alta.

Settimo volo (7 agosto 1912)

Siamo partiti alle 6:12 del mattino da Aussig sull’Elba. Abbiamosorvolato il confine della Sassonia da Peterswalde, Struppen vici-no a Pima, Bischofswerda e Kottbus. Abbiamo raggiunto l’altez-za di 5 350 metri nella regione di Schwielochsee. Alle 12:15 siamoatterrati vicino a Pieskow, 50 km a est di Berlino. Purtroppo nonabbiamo potuto effettuare osservazioni presso il luogo della sali-ta prima del viaggio, ma le misurazioni [di calibrazione] sono sta-te effettuate dopo l’atterraggio sotto il pallone ancora gonfio, per

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vedere subito dopo la discesa dai 5 000 metri se il pallone si eracoperto di radioattività indotta e quindi emetteva a sua volta ra-diazione. [. . . ] [N]on è stato osservato alcun segno di un aumen-to della radiazione sotto il pallone dopo l’atterraggio. Il cielo nonera perfettamente sereno in questo viaggio: una depressione ba-rometrica in avvicinamento da ovest si è fatta evidente causandoun rannuvolamento. Va tuttavia espressamente affermato che nonsiamo mai stati dentro una nuvola e nemmeno nelle vicinanze; altempo in cui isolate nubi cumuliformi sono apparse distribuite sututto l’orizzonte, eravamo già sopra i 4 000 metri di altezza. Sopradi noi mentre ci avvicinavamo alla massima altezza si è formatoun sottile strato di nuvole molto più elevato, la cui base era proba-bilmente almeno a 6 000 metri, e attraverso il quale il Sole brillavasolo debolmente.

Consideriamo dapprima i risultati con gli strumenti a paretispesse 1 e 2. Fra i 1 500 e i 2 500 metri di altitudine media la radia-zione misurata è circa uguale a quella a terra. Poi inizia un chiaropercettibile aumento della radiazione con l’altezza, visto da entrambigli strumenti – a 3 600 metri sopra il suolo entrambi i valori sonogià di circa 4-5 ioni più elevati rispetto a quelli al suolo.

. . .

In entrambi i rivelatori di raggi gamma i valori alla massima alti-tudine sono di circa 20-24 ioni superiori a quelli al suolo. Valori moltoelevati (q1 = 28.1 e q2 = 22.7) sono stati trovati anche in fase di di-scesa a 4 400 metri. Questi sono molto superiori ai valori normali di12 e 11 ioni. Nella successiva rapidissima discesa (2 metri al secon-do) abbiamo misurato il valore molto basso di 9.7 con lo strumen-to 1 a un’altezza media di 1 200 metri, mentre lo strumento 2 haregistrato il valore normale di 11.5. Credo sia possibile che nellostrumento 1, che aveva lamine molto spesse, una certa rigidità delfilamento a volte potesse produrre notevoli fluttuazioni.

I risultati ottenuti da entrambi i rivelatori sotto il pallone ancoragonfio dopo l’atterraggio erano, come osservato in precedenza,del tutto normali.

Per ottenere un quadro della variazione media della radiazionepenetrante con l’altitudine, ho combinato nella seguente tabellatutti gli 88 valori di radiazione osservati nel volo in intervalli ap-propriati di altezza. Per ogni altezza, le medie sono formate da di-versi singoli valori che sono stati ottenuti in condizioni diverse e

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che potrebbero essere influenzati dalle già citate variazioni transi-torie, sicché non ci si deve aspettare di avere un quadro del tuttoesatto della dipendenza della radiazione dall’altezza. Il numero traparentesi indica il numero di osservazioni da cui ogni valore medioè stato ottenuto.

Tabella dei valori medi

Altezza media Radiazione osservata (ioni/cm3/s)

sul suolo (m) Strumento 1 Strumento 2 Strumento 3

q1 q2 q3 q3(corretto) (non corretto)

0 16.3 (18) 11.8 (20) 19.6 19.7 (9)Fino a 200 15.4 (13) 11.1 (12) 19.1 18.5 (8)200-500 15.5 (6) 10.4 (6) 18.8 17.7 (5)500-1 000 15.6 (3) 10.3 (4) 20.8 18.5 (2)1 000-2 000 15.9 (7) 12.1 (8) 22.2 18.7 (4)2 000-3 000 17.3 (1) 13.3 (1) 31.2 22.5 (1)3 000-4 000 19.8 (1) 16.5 (1) 35.2 21.8 (1)4 000-5 200 34.4 (2) 27.2 (2) – –

Da questa tabella impariamo che direttamente sopra il suolola radiazione decresce un po’; in media questa diminuzione è pa-ri a 0.8-1.4 ioni. Poiché, tuttavia, una diminuzione di più di 2 ioni èstata osservata in molti casi, e fino a 3 ioni in alcune ascensioni, sti-miamo a circa 3 ioni il valore massimo della diminuzione. Questadiminuzione continua fino a 1 000 metri dal suolo. Essa viene chia-ramente, come detto in precedenza, dall’assorbimento dei raggigamma emessi dalla superficie della Terra. Quindi possiamo con-cludere che la radiazione gamma dalla superficie terrestre e daglistrati più alti della crosta terrestre fornisce una ionizzazione di circa3 ioni per cc al secondo in vasi di zinco.

Ad altitudini fino a 2 000 metri la radiazione comincia di nuovoad aumentare sensibilmente. Da 3 000 a 4 000 metri l’incrementoè pari a 4 ioni, e da 4 000 a 5 200 metri è pari a 16-18 ioni, in en-trambi i rivelatori. Con il rivelatore a pareti sottili, quando i valorisono corretti per ottenere il valore stimato a pressione normale, ladiminuzione è invertita più presto e in modo più evidente.

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Qual è la causa dell’aumento della radiazione penetrante conl’altitudine, osservata molte volte e contemporaneamente con trerivelatori?

Se si adotta il punto di vista che solo le sostanze radioattive co-nosciute presenti nella crosta terrestre e l’atmosfera emettono unaradiazione con le caratteristiche delle radiazioni gamma e produ-cono ionizzazione in recipienti chiusi, si hanno gravi difficoltà chesfidano ogni spiegazione.

Secondo le determinazioni dirette del coefficiente di assorbi-mento dei raggi gamma in aria pubblicate da me5 e da Chadwick6,l’assorbimento della radiazione proveniente dalla superficie dellaTerra deve essere rapido, in modo che appena il 10 % della radia-zione può sopravvivere a 500 metri di altitudine. Come è stato ri-cordato, sono stato in grado di confermarlo sperimentalmente nelvolo in pallone; ma allo stesso tempo sembra che le sostanze ra-dioattive provenienti dal terreno non giochino un ruolo prepon-derante nella radiazione totale come molti autori credono. La par-te legata alla radiazione del terreno è stata stimata di 3 ioni percentimetro cubo al secondo [Nota del curatore: secondo le misureattuali circa un quarto della radioattività totale: la stima di Hess era,dunque, abbastanza corretta – come lo era stata quella di Pacini].

Ci sono ancora i prodotti di decadimento delle emanazioni, chepotrebbero produrre ionizzazione attraverso radiazioni gamma adalta quota. A causa della loro breve vita media, le emanazioni do-vute al torio e all’attinio e ai loro prodotti di decadimento non so-no in grado di raggiungere grandi altezze. Solo le emanazioni delRadio, con un tempo di dimezzamento di circa 4 giorni, possonoessere spinte fino a grandi altitudini dalle correnti d’aria ascensio-nali. In generale, comunque, la concentrazione di emanazione, equindi anche il contenuto di RaC dell’aria, dovrebbe diminuire ra-pidamente con l’altezza. Un aumento della radiazione con l’altez-za potrebbe in linea di principio venire da un accumulo casualedi RaC di carattere puramente locale: è per esempio immaginabileche tali accumuli potrebbero verificarsi in strati stabili a seguito diuna inversione di temperatura, o in cumuli o in nebbia, in quantoè noto che gli atomi di RaC spesso agiscono come nuclei di con-densazione. Tuttavia, un aumento uniforme della radiazione pe-

5 Wien. Sitz.-Ber. 120, 1 205-1 212, 1911.6 Le Radium 9, 200-202, 1912.

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netrante con l’altitudine, come trovato nelle mie osservazioni, nonpuò essere spiegato in questo modo. Inoltre, nei voli 2 e 6, in cuiil pallone ha viaggiato vicino al suolo per un’ora in uno strato sta-bile in corrispondenza a una inversione, non ho osservato alcunaumento di radiazione, anche se il contenuto di RaC dell’aria de-ve essere maggiore vicino al terreno. A un’altezza di 5 000 metri ilcontenuto di RaC non è certamente sufficiente a causare un cosìgrande aumento nella radiazione come quello che ho trovato.

Anche le fluttuazioni nella radiazione spesso osservate da Paci-ni7 e Gockel8 sul mare e sulla terraferma, e da me nel volo in pallo-ne, sollevano grandi difficoltà nel contesto di una spiegazione del-la radiazione penetrante basata solo sulla teoria della radioattività.Ho più volte osservato tali variazioni nel bel mezzo della notte, incondizioni di atmosfera tranquilla. In assenza di qualsiasi cambia-mento meteorologico, non vi sono motivi per attribuirne la causaa cambiamenti nella distribuzione delle sostanze radioattive nellal’atmosfera.

I risultati delle presenti osservazioni sembrano essere spiegati piùlogicamente dall’assunzione che una radiazione di grandissimo po-tere penetrante entri nella nostra atmosfera dall’alto, e produca in se-guito negli strati più bassi una parte della ionizzazione osservata inrecipienti chiusi. L’intensità di questa radiazione sembra essere sog-getta a variazioni transitorie, osservabili su scale di tempo di un’ora.Poiché non ho trovato una riduzione della radiazione nei miei voliin pallone né di notte né durante un eclissi solare, difficilmente sipuò considerare il Sole come l’origine di questa radiazione ipote-tica, almeno finché si pensa solo a una radiazione gamma direttache si propaga in linea retta.

Non è così sorprendente che l’aumento della radiazione diven-ti davvero apprezzabile solo oltre 3 000 metri: la diminuzione dellaradiazione gamma da terra prevale nei primi 1 000 metri, e in se-guito si verifica una diminuzione della potenza di induzione, che sifa sentire fino a più di 3 000 metri. L’assorbimento della radiazioneproveniente dall’alto segue in ogni caso una curva esponenziale;l’aumento della radiazione verificato durante le ascensioni diventaquindi sempre più rapido man mano che si sale.

7 Op. Cit.8 Jahrb. d. Rad. u. Elektron. 9, 1-15, 1912.

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CarlD

.Anderson

Carl D. AndersonL’elettronepositivo∗

Questo è l’articolo in cui viene presentata la scoperta sperimentaledell’antimateria, scoperta per la quale Anderson verrà premiatocon il Nobel (condiviso con Hess) nel 1936.

Anderson propone di chiamare la prima particella di antima-teria, l’anti-elettrone, col nome di positrone. La denominazioneavrà molto successo, ed è ancora usata. Non ha invece successo lasua proposta di rinominare l’elettrone chiamandolo “negatrone”.

Si osservi che Anderson nelle sue fotografie aveva scoperto an-che la conversione di fotoni in coppie elettrone-antielettrone, manon se ne accorse.

∗ Physical Review vol. 43 (1933), pp. 491 e ss.

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L’enigmadeiraggicosm

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L’elettrone positivo

CARL D. ANDERSON, California Institute of Technology,Pasadena, California

(Ricevuto il 28 febbraio 1933)

In un campione di 1 300 fotografie di tracce di raggi cosmici in unacamera di Wilson verticale, 15 tracce venivano da particelle posi-tive che non potevano avere una massa grande come quella delprotone. Da un esame della perdita di energia e della ionizzazioneprodotta si è concluso che la carica è certamente meno del dop-pio di quella del protone, e probabilmente è esattamente ugualead essa. Se queste particelle hanno carica positiva unitaria i rag-gi di curvatura e le ionizzazioni osservate implicano che la mas-sa sia meno di venti volte la massa dell’elettrone. Queste particel-le saranno chiamate positroni. Poiché si presentano in gruppi as-sociati con altre tracce si è concluso che devono essere particellesecondarie espulse dai nuclei atomici.

L’editore

* * * * *

Il 2 agosto 1932, mentre fotografavo le tracce dei raggi cosmiciprodotte in una camera verticale di Wilson (in un campo magne-tico di 15 000 gauss) progettata nell’estate del 1930 dal professorR. A. Millikan e da me, ho ottenuto le tracce in fig. 1, che sembra-vano essere interpretabili solo sulla base dell’esistenza di una par-ticella di carica positiva, ma con una massa dello stesso ordine digrandezza di quella posseduta da un elettrone libero negativo. Inseguito lo studio della fotografia da parte di un intero gruppo dicolleghi del laboratorio Norman Bridge ha rafforzato questa inter-pretazione. La ragione per cui questa interpretazione sembravacosì inevitabile è che la traccia che appare nella metà superioredella figura non può assolutamente avere una massa grande co-me quella di un protone dato che non appena la massa è fissatal’energia è al tempo fissata dalla curvatura. L’energia di un proto-ne di quella curvatura risulta essere di 300 000 volt [Nota del cu-ratore: viene usato il volt per indicare l’elettronvolt], ma un pro-tone di quell’energia secondo determinazioni ben consolidate e

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universalmente accettate1 viene assorbito dopo circa 5 mm in ariamentre la traiettoria effettivamente visibile in questo caso supe-ra i 5 cm senza un notevole cambiamento nella curvatura. L’unicavia di uscita da questa conclusione sarebbe quella di supporre cheesattamente nello stesso istante (e la nitidezza delle le tracce de-termina che “istantaneamente” significa in questo caso entro cir-ca un cinquantesimo di secondo) due elettroni indipendenti pro-ducessero due tracce collocate in modo da dare l’impressione diun’unica particella attraverso la lastra di piombo. [Nota del curato-re: dopo pochi centesimi di secondo le tracce delle camere a bollediventano meno nitide, perché le goccioline di vapore s’ingrossa-no e precipitano.] Questa ipotesi è stato respinta sulla base del-la sua scarsa probabilità, dato che una traccia chiara con una cur-vatura di questo ordine di grandezza si è osservata nella camerauna sola volta in circa 500 esposizioni nelle condizioni sperimen-tali prevalenti, e dal momento che non c’era praticamente nessunapossibilità che entrambe le tracce si allineassero in questo modo.Abbiamo anche scartato come completamente insostenibile l’ipo-tesi di un elettrone di 20 milioni di volt che entrasse nel piombo daun lato e ne uscisse con una energia di 60 milioni di volt dall’altrolato. Una quarta possibilità è che un fotone, entrando nel piombodall’alto, eiettasse fuori dal nucleo di un atomo di piombo due par-ticelle, di cui una verso l’alto e l’altra verso il basso. Ma in questocaso quella che si muove verso l’alto sarebbe una particella posi-tiva di piccola massa in modo che anche questa interpretazioneporta all’esistenza dell’elettrone positivo.

Nel corso delle settimane successive sono state ottenute altrefotografie che possono essere interpretate logicamente solo sul-la base dell’esistenza dell’elettrone positivo, e una breve relazio-ne sull’interpretazione è stata pubblicata con la dovuta cautela inconsiderazione dell’importanza dell’annuncio2.

Grandezza della carica emassa

È possibile con questi dati sperimentali solo assegnare limiti piut-tosto ampi per la grandezza della carica e la massa della particella.

1 Rutherford, Chadwick e Ellis, Radiazioni da sostanze radioattive, p. 294. Assumen-do R ∝ v3 e usando i dati lì riportati il range di un protone di 300 000 volt in ariaa NTP è di circa 5 mm.2 C.D. Anderson, Science, 76, 238 (1932).

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La ionizzazione specifica non è stata misurata in questi casi, masembra molto probabile, dalla conoscenza delle condizioni speri-mentali e dal confronto con molte altre fotografie di elettroni adalta e bassa velocità nelle stesse condizioni, che la carica non possadifferire in grandezza da quella di un elettrone per un fattore due.Inoltre, se si assume che la fotografia rappresenti una particella po-sitiva che penetra una lastra di piombo di 6 mm, l’energia persa perunità di carica è di circa 38 milioni di elettron-volt, un valore pra-ticamente indipendente dalla massa della particella fintanto chenon è troppe volte superiore a quella di un elettrone libero nega-tivo. Si è ritenuto legittimo confrontare questo valore di perdita dienergia di 63 milioni di volt per cm per la particella positiva con lamedia misurata di circa 35 milioni di volt3 per elettroni negativi dienergia di 2-300 milioni di volt poiché il tasso di perdita di energiaper le particelle di piccole masse dovrebbe cambiare solo moltolentamente in un intervallo di energia che va da diversi milioni dia diverse centinaia di milioni di volt. Fatte salve possibili incertezzesperimentali, il tasso di perdita di energia per la particella positivapuò quindi essere considerato minore del quadruplo di quello diun elettrone, il che fissa, con la solita relazione fra il tasso di ioniz-zazione e carica, un limite superiore alla carica del doppio di quelladell’elettrone negativo. Si è concluso, pertanto, che la carica dell’e-lettrone positivo (che d’ora in poi chiameremo positrone) è moltoprobabilmente pari a quella di un elettrone libero negativo cheper considerazioni di simmetria potremmo naturalmente quindichiamare negatrone.

Si precisa che la profondità della camera lungo linea di vista,che coincide con la direzione delle linee di forza magnetiche, è di1 cm e il suo diametro perpendicolarmente a quella direzione è di14 cm, il che assicura che la particella attraversa la camera prati-camente in direzione normale alle linee di forza. Il cambiamentodi direzione a causa dello scattering nel piombo,3 in questo ca-so circa 8◦ misurato nel piano della camera, è un valore probabileper una particella di questa energia anche se inferiore al valore piùprobabile.

Nelle attuali condizioni sperimentali non si può dire nulla sullagrandezza della massa oltre a fissare un limite superiore di circa20 volte rispetto a quella dell’elettrone. Se la figura 1 rappresen-

3 C.D. Anderson, Phys. Rev. 43, 381A (1933).

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Fig. 1. Un positrone di circa 63 milioni di volt di energia (Hρ = 2.1×105 gauss-cm) penetra la lastra di piombo di 6 millimetri edemerge con energia di circa 23 milioni di volt (Hρ = 7.5 ×104 gauss-cm). La lunghezza di quest’ultima traiettoria è al-meno dieci volte più grande della possibile lunghezza dellatraiettoria di un protone con questa curvatura

ta una particella di carica unitaria che passa attraverso la lastra dipiombo, le curvature, sulla base delle informazioni sulla ionizza-zione, forniscono un valore troppo alto per la perdita di energiaa meno che la massa non sia meno di venti volte quella dell’elet-trone negativo. Grazie a ulteriori determinazioni di Hρper particel-le di energia relativamente bassa prima e dopo l’attraversamentodi una quantità nota di materia, insieme ad uno studio degli effettibalistici come le collisioni con elettroni con grandi trasferimenti dienergia, sarà possibile porre limiti più stretti alla massa.

A tutt’oggi, su 1 300 fotografie di raggi cosmici 15 mostranoparticelle positive inconsistenti con l’avere la massa del protoneche entrano nel piombo, il che dimostra l’esistenza di particelle dicarica unitaria positiva e di massa piccola rispetto a quella di unprotone. In molti altri casi non è possibile distinguere con certezzatra protoni e positroni a causa della brevità della traccia disponi-

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Fig. 2. Un positrone di 20 milioni di volt di energia (Hρ = 7.1 ×104 gauss-cm) e un elettrone di 30 milioni di volt (Hρ =10.2 × 104 gauss-cm) proiettati da una lastra di piombo. Ilrange della particella positiva preclude, data la curvatura, lapossibilità che questa sia un protone

bile per la misura o dell’alta energia della particella. Un confrontotra le sei o settecento tracce positive di raggi cosmici che abbiamoregistrato, tuttavia, è consistente con la considerazione che la par-ticella positiva prodotta dai raggi cosmici primari nella collisionesia nella maggior parte dei casi un protone.

[Nota del curatore: le considerazioni fenomenologiche fatte nelparagrafo che ora inizia rappresentano un tentativo di spiegarei fatti sperimentali. Tuttavia violano leggi fondamentali, come laconservazione del numero barionico, oggi ben conosciute.] Dalfatto che i positroni si presentano in gruppi associati con le altretracce, si conclude che essi devono essere particelle secondarieespulse da un nucleo atomico. Se accettiamo il punto di vista cheun nucleo sia composto da protoni e neutroni (e particelle α) e cheun neutrone rappresenti una stretta combinazione di un protonee di un elettrone, dalla teoria elettromagnetica, per l’origine dellamassa la più semplice ipotesi sembra essere che una collisione tra

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Fig. 3. Un gruppo di 6 particelle proiettate da una regione nella pa-rete della camera. La traccia a sinistra nel gruppo centrale di4 tracce è un elettrone di circa 18 milioni di volt di energia(Hρ = 6.2 × 104 gauss-cm) e quella a destra un positronedi circa 20 milioni di volt di energia (Hρ = 7.0 × 104 gauss-cm). Non è stato possibile identificare le due tracce al cen-tro. A sinistra si vede un elettrone di circa 15 milioni di volt.Questo gruppo rappresenta tracce “vecchie” che sono statedilatate dalla diffusione degli ioni. L’uniformità della dilata-zione indica che tutte le particelle sono entrate nella cameracontemporaneamente

il raggio cosmico primario in arrivo e un protone possa avvenire inmodo da ampliare il diametro del protone fino al valore possedutodal negatrone. Questo processo libererebbe un’energia di un mi-liardo di elettronvolt che apparirebbe come un fotone secondario.Come una seconda possibilità il raggio primario potrebbe disinte-grare un neutrone (o più di uno) nel nucleo con l’espulsione di unnegatrone o di un positrone, con la conseguenza che un protonepositivo o un protone negativo, a seconda dei casi, rimane nel nu-cleo al posto del neutrone, evento che si verifica in questo casosenza l’emissione di un fotone. Questa alternativa, però, postulal’esistenza nel nucleo di un protone di carica negativa, fatto del

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Fig. 4. Un positrone di circa 200 milioni di volt di energia (Hρ = 6.6×105 gauss-cm) penetra la lastra di piombo di 11 millimetri edemerge con energia di circa 125 milioni di volt di (Hρ = 4.2×105 gauss-cm). L’ipotesi che le tracce rappresentino un pro-tone che attraversa la lastra di piombo è incompatibile conle curvature osservate: le energie sarebbero, rispettivamen-te, circa 20 milioni e 8 milioni di volt sopra e sotto il piom-bo, troppo basse per permettere al protone di penetrare unalastra di piombo di 11 mm di spessore

quale non esiste alcuna indicazione. Tuttavia la grande simmetriatra le cariche positive e negative rivelata dalla scoperta del positro-ne dovrebbe rivelarsi uno stimolo per la ricerca di prove dell’esis-tenza di protoni negativi. Se si dimostrasse che il neutrone è unaparticella fondamentale di un nuovo genere, anziché una strettacombinazione di un protone e di un negatrone, le ipotesi di cui so-pra dovrebbero essere abbandonate in quanto il protone sarebbequindi con ogni probabilità una particella composita costituita daun neutrone e un positrone.

Mentre questo articolo era in preparazione un comunicatostampa ha annunciato che P.M.S. Blackett e G. Occhialini in unampio studio sui raggi cosmici hanno a loro volta dimostrato

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CarlD

.Anderson

l’esistenza di particelle leggere positive, il che conferma la nostraprecedente relazione.

Desidero esprimere il mio grande debito al Professor R.A. Milli-kan per avermi suggerito questa ricerca e per le molte utili discus-sioni durante il suo svolgimento [Nota del curatore: più tardi, dopoavere ricevuto il premio Nobel, Anderson disse in un’intervista chedurante gli anni del lavoro di tesi il suo relatore Millikan, dopo aver-gli assegnato il lavoro, non gli aveva mai parlato]. Ho apprezzatomolto anche il competente aiuto di Seth H. Neddermeyer.

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Ringraziamenti

Non sono un professionista della storia della fisica: la passione perquesta disciplina mi è nata nel 2007, quando i miei amici dell’Uni-versità di Bari, Paolo Spinelli e Nico Giglietto, mi hanno invitatoa Bari a tenere una relazione durante una celebrazione del lavo-ro di Pacini. Non potrò mai ringraziarli abbastanza, perché graziea loro ho scoperto un mondo molto interessante. La celebrazionedi Pacini a Bari era organizzata dall’Università, e in particolare (oltreche da Giglietto e Spinelli) dai colleghi Garuccio, Guerriero, Roma-no e Stramaglia, e proprio Sebino Stramaglia ha scoperto moltodel nuovo materiale su Pacini che ho presentato in questo libro.

Luisa Cifarelli ed Enzo De Sanctis mi hanno incoraggiato dal2007 nello studio biografico di Pacini; Cifarelli mi ha gentilmen-te autorizzato a riprodurre materiale del Nuovo Cimento e mi haaiutato, insieme all’ufficio editoriale della Società Italiana di Fisicaa Bologna, nella ricerca. Sandro Bettini mi ha dato preziosi sugge-rimenti.

I colleghi Guerra e Robotti hanno reso noti i documenti relati-vi alla “libera docenza” di Pacini e la lettera di Edoardo Amaldi algiornale “Il Tevere”; molti aspetti della carriera e del percorso in-tellettuale di Pacini mi sono chiari grazie a discussioni con Fran-cesco Guerra. Roberto Garra ha rinvenuto materiale interessanteal “Collegio Romano”. Ringrazio Ugo Amaldi e Giovanni Battimelliper l’autorizzazione a riprodurre la lettera di E. Amaldi.

Il comandante Bagnasco e Andrea Lombardi dell’AssociazioneCulturale Italia, Cristiano D’Adamo e Hugo von Zeschau dell’asso-ciazione Regia Marina Italiana, il Ten. Col. Michele Piemontese del-la Guardia di Finanza, e Luisa Rischitelli mi hanno aiutato a trova-re fotografie storiche e informazioni sulla flotta della Marina e suicontributi della Marina al lavoro di Pacini.

L’AMA – Servizi Cimiteriali di Roma e don Mario Del Turco diForme mi hanno gentilmente fornito informazioni sulla salma di

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Pacini; a partire da ciò ho ritrovato la famiglia Pacini, grazie allaquale è stato possibile reperire tante preziose informazioni e ma-teriale biografico e fotografico non pubblicato (grazie in particola-re a Lia Santoponte, a Giovanna Minardi Zincone, a Sergio Zincone,a Benedetto Valente, al collega Cesare Bacci). Ugo Onorati di Mari-no e padre Roberto Tosi hanno scoperto negli archivi comunali eparrocchiali interessanti informazioni biografiche su Pacini.

Ho interagito molto, con estremo piacere personale e arric-chimento scientifico e umano, con il collega e amico Per Carlson,già presidente della classe di Fisica della Reale Accademia delleScienze di Svezia. Per ha scoperto materiale interessantissimo le-gato all’assegnazione del Nobel a Hess; le discussioni con lui sonostate fondamentali soprattutto in relazione ai problemi del nazio-nalismo e dell’internazionalismo nella scienza, e ai meccanismi diassegnazione del premio Nobel. Il professor Grandin della Rea-le Accademia delle Scienze di Svezia ha fornito aiuto e sostegnonello studio degli archivi dell’Accademia stessa.

I colleghi Bitossi, Dazzi, De Lotto, Menichetti, Mezzetto, Paoletti,Persic mi hanno fornito a vario titolo sostegno, suggerimenti, com-menti e chiarimenti. Ho trovato illuminanti le discussioni con Hel-mut Rechenberg e Alan Watson. Ugo Amaldi, Luisa Bonolis, Mar-cello Cresti, Piero Galeotti, Paolo Lipari, Mário Pimenta e Paolo Spi-nelli mi hanno fatto l’onore di leggere il manoscritto, di comunicar-mi le loro opinioni e i loro commenti, e di suggerire correzioni; Mar-gherita Hack oltre a trovare il tempo di leggere il manoscritto an-cora in fase embrionale mi ha anche onorato di una sua prefazione.I consigli di Marina Forlizzi sono stati radicali e preziosissimi.

Trascrizioni e traduzioni dal tedesco sono state realizzate daBurkhart Steinke. Lorenzo Marafatto ha tradotto in gran parte laprima bozza di questa memoria (originariamente scritta in ingle-se); parte della cura dei lavori originali di Pacini è dovuta a MichelaDe Maria e a Marafatto. Giulia De Angelis ha collaborato per laparte grafica.

Infine, questo lavoro non sarebbe stato possibile senza la genti-lezza dei bibliotecari scientifici di Monaco, Padova e Udine, in par-ticolare di J. Pietsch, F. Tavazzi, G. Bertante, A. Barbierato, A. Comi-notto, B. Patui, R. D’Andrea.

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41. Laddove non diversamente specificato le brevi note biogra-fiche sono prese dall’Enciclopedia Treccani online, 2010, ecomplementate dove necessario con informazioni tratte daWikipedia, l’enciclopedia libera

42. http://www.sif.it43. D. Pacini, Nature LXX (1904) 10744. D. Pacini, Il blu del cielo e costante di Avogadro, Nuovo Cimen-

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57. La ricostruzione storica riportata in questa sezione e alcunetraduzioni dalla letteratura tedesca sono tratte da V.H. Meh-ra, H. Rechenberg, The Historical Development of QuantumTheory (Springer-Verlag, New York, 1987)

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i blu – pagine di scienza

Passione per Trilli

Alcune idee dallamatematica

R. Lucchetti

Tigri e Teoremi

Scrivere teatro e scienza

M.R. Menzio

Vitematematiche

Protagonisti del ’900 da Hilbert aWiles

C. Bartocci, R. Betti, A. Guerraggio, R. Lucchetti (a cura di)

Tutti i numeri sono uguali a cinque

S. Sandrelli, D. Gouthier, R. Ghattas (a cura di)

Il cielo sopra Roma

I luoghi dell’astronomia

R. Buonanno

Buchi neri nel mio bagno di schiuma

ovvero L’enigma di Einstein

C.V.Vishveshwara

Il senso e la narrazione

G.O. Longo

Il bizzarromondo dei quanti

S. Arroyo

Il solito Albert e la piccola Dolly

La scienza dei bambini e dei ragazzi

D. Gouthier, F. Manzoli

Storie di cose semplici

V. Marchis

novepernoveSudoku: segreti e strategie di gioco

D. Munari

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Il ronzio delle api

J.Tautz

Perché Nobel?

M. Abate (a cura di)

Alla ricerca della via più breve

P. Gritzmann, R. Brandenberg

Gli anni della Luna

19501972: l’epoca d’oro della corsa allo spazio

P. Magionami

Chiamalo X!

Ovvero: cosa fanno imatematici?

E. Cristiani

L’astro narrante

La luna nella scienza e nella letteratura italiana

P. Greco

Il fascino oscuro dell’inflazione

Alla scoperta della storia dell’Universo

P. Fré

Sai cosamangi?

La scienza del cibo

R.W. Hartel, A. Hartel

Water trips

Itinerari acquatici ai tempi della crisi idrica

L. Monaco

Pianeti tra le note

Appunti di un astronomo divulgatore

A. Adamo

I lettori di ossa

C.Tuniz, R. Gillespie, C. Jones

Il cancro e la ricerca del senso perduto

P.M. Biava

Il gesuita che disegnò la Cina

La vita e le opere di MartinoMartini

G. O. Longo

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La fine dei cieli di cristrallo

L’astronomia al bivio del ’600

R. Buonanno

La materia dei sogni

Sbirciatina su unmondo di cose soffici (lettore compreso)

R. Piazza

Et voilà i robot!

Etica ed estetica nell’era dellemacchine

N. Bonifati

Quale energia per il futuro?

Tutela ambientale e risorse

A. Bonasera

Per una storia della geofisica italiana

La nascita dell’Istituto Nazionale di Geofisica (1936)

e la figura di Antonino Lo Surdo

F. Foresta Martin, G. Calcara

Quei temerari sulle macchine volanti

Piccola storia del volo e dei suoi avventurosi interpreti

P. Magionami

Odissea nello zeptospazio

G.F. Giudice

L’universo a dondolo

La scienza nell’opera di Gianni Rodari

P. Greco

Unmondo di idee

Lamatematica ovunque

C. Ciliberto, R. Lucchetti (a cura di)

PsychoTech Il punto di non ritorno

La tecnologia che controlla lamente

A.Teti

La strana storia della luce e del colore

R. Guzzi

Attraverso il microscopio

Neuroscienze e basi del ragionamento clinico

D. Schiffer

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Teletrasporto

Dalla fantascienza alla realtà

L. Castellani, G.A. Fornaro

GAME START!

Strumenti per comprendere i videogiochi

F. Alinovi

Mercury 13

La vera storia di tredici donne e del sogno di volare nello spazio

M. Ackmann

Cassandra non era un’idiota

Il destino è prevedibile

R. Di Lorenzo

L’enigma dei raggi cosmici

Le più grandi energie dell’universo

A. De Angelis

Di prossima pubblicazione

Pensare l’impossibile

Dialogo infinito tra arte e scienza

L. Boi

Sanità eWeb

Come Internet ha cambiato il modo di esseremedico emalato

in Italia

W. Gatti