I testimoni del tempo
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I QUADERULA (I QUADERNI DI ADERULA)
----------------- 9 ---------------- COLLANA DI STUDI STORICI
SUI LUOGHI ATELLANI
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Questo volume è stato curato da
A.D.E.R.U.L.A. ASSOCIAZIONE DI ESPRESSIONI RICERCHE USANZE LUOGHI ATELLANI
e patrocinato, con un contributo economico, da:
ASSOCIAZIONE A.R.C.A. – S.ARPINO;
Edil Cavi s.r.l. – S.Antimo
Sig. Chiariello Corrado – Capogruppo Consiliare A.N. –
Comune di S.ANTIMO
Marlen Italy – S.Arpino
Pezzella Immobiliare s.r.l.
NOTE SUGLI AUTORI
Antonio DELL’AVERSANA
Nasce in S.Arpino nel 1951. Diplomato al Liceo Classico “Francesco DURANTE di
Frattamaggiore, intraprende, nel 1971, la carriera militare nell’Esercito Italiano fino al
grado di Tenente Colonnello. Conduce, dal 1991, ricerche di Storia locale. Ha dato alle
stampe, in collaborazione con altri autori, 9 lavori sulla storia di Atella e di S. Arpino.
E’ membro dell’Asssociazione A.D.E.R.U.L.A.
Elpidio SPUMA
Nasce in S. Arpino nel 1965. Diplomato all’ITIS “Alessandro VOLTA” DI Aversa, si
arruola, nel 1986, nella Guardia di Finanza di cui è Appuntato. Appassionato fotografo e
cultore di Storia patria, ha alle spalle alcune mostre fotografiche di successo.
E’ membro dell’Asssociazione A.R.C.A.
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Antonio Elpidio
DELL’AVERSANA SPUMA
I TESTIMONI
DEL TEMPO
EDICOLE, LAPIDI E STEMMI
DI S. ARPINO
Presentazione
del
Dott. Giuseppe BENINCASO
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INDICE
PRESENTAZIONE pag.13
PREFAZIONE pag.19
CAPITOLO I
LE EDICOLE “SANTE CROCI “ pag.23
1. LA ”SANTA CROCE” DELLA “MADDALENA” pag.24
2. LA ”SANTA CROCE” DEL “TRIVICO” pag.26
3. LA ”SANTA CROCE” DELLA “FERRUMMA” pag.28
4. LA ”SANTA CROCE” DI
VIA S.MARIA DELLE GRAZIE pag.30
5. LA ”SANTA CROCE” DI PIAZZA UMBERTO I pag.32
CAPITOLO I I
LE LAPIDI pag.37
1. LA LAPIDE DELLA CAPPELLA DELLA
MADDALENA pag.38
2. LE LAPIDI CHE RICORDANO L’ANTICA
CHIESA DI S. ELPIDIO VESCOVO pag.40
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3. LA LAPIDE DEI FRATI MINIMI pag.44
4. LE LAPIDI DEI SANTI PROSPERO E
COSTANZO pag.46
5. LA LAPIDE DI ALONZO VIII
SANCHEZ DE LUNA pag.53
6. LA LAPIDE DELL’ABATE
VINCENZO DE MURO pag.55
7. LE LAPIDI DELLA NUOVA CHIESA DI
S. ELPIDIO VESCOVO pag.60
8. LA LAPIDE DEL MEDICO
ALFONSO GUARINO pag.64
9. LE LAPIDI DEGLI ZARRILLO pag.67
10. LA LAPIDE DI MARIA MAGLIOLA pag.69
11. LE LAPIDI DI GIUSEPPE MACRI’ pag.70
12. LA LAPIDE DI GIOVANNI ARDIZZONE pag.80
13. LE LAPIDI DELL’AMMINISTRAZIONE
LEGNANTE NEL CIMITERO pag.83
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14. LA LAPIDE DELLA CAPPELLA
DEL PURGATORIO pag.88
15. LE LAPIDI DI PADRE PASQUALE ZIELLO pag.89
16. LE LAPIDI DELLA CAPPELLA
DI S. MARIA DELLE GRAZIE
NEL CIMITERO pag.99
17. LA LAPIDE DEL PARROCO
FRANCESCO PEZZELLA pag.101
18. LE LAPIDI DI AMEDEO CINQUEGRANA pag.104
19. LE LAPIDI DEI CADUTI IN GUERRA pag.108
20. LAPIDI ED INSEGNE VARIE pag.113
CAPITOLO I I I
GLI STEMMI pag.117
1. GLI STEMMI DEI SANCHEZ DE LUNA pag.119
1.a LO STEMMA DI ALONZO III
SANCHEZ DE LUNA pag.121
1.b LO STEMMA DI ALONZO VII
SANCHEZ DE LUNA pag. 125
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1.c LO STEMMA DI ALONZO VIII
SANCHEZ DE LUNA pag.129
1.d LO STEMMA “IGNOTO” DELLA
FAMIGLIA SANCHEZ DE LUNA pag.133
2. GLI STEMMI DEL VESCOVO
MARCO DE SIMONE E DEL FRATELLO
MEDICO ANTONIO DE SIMONE pag.137
3. LO STEMMA DEL VESCOVO
ORAZIO MAGLIOLA pag.143
4. LO STEMMA DEL PALAZZO ZARRILLO pag.148
5. LO STEMMA DELLA FAMIGLIA LETTERA pag.149
6. LO STEMMA DEL PALAZZO DE MURO pag.152
7. LO STEMMA “VECCHIO” DI S.ARPINO pag.153
8. LO STEMMA DELLA FAMIGLIA
REGNANTE SAVOIA pag.156
9. LO STEMMA DEI FRATI MINIMI DI
S. FRANCESCO DI PAOLA pag.157
10. LO STEMMA DEL PAPA
GIOVANNI PAOLO II pag.158
11
11. LO STEMMA DEL SACRO CUORE DI GESU’ pag.59
12. LO STEMMA NUOVO ED IL GONFALONE
DEL COMUNE DI S.ARPINO pag.160
APPENDICE DOCUMENTARIA pag.165
BIBLIOGRAFIA E FONTI ARCHIVISTICHE pag.235
RINGRAZIAMENTI pag.237
12
PRESENTAZIONE
“ . . . e fu sera e fu mattina: un altro giorno.”
La presentazione di un libro intitolato “I testimoni del tempo”
inevitabilmente obbliga ad alcune considerazioni sul concetto
“Tempo” e, senza scomodare le alte vette del pensiero speculativo e
filosofico, l’espressione biblica citata all’inizio mi pare contenga tutti
gli elementi per individuare in maniera sintetica, ma esaustiva, tale
dimensione.
Di ritorno a casa, dopo una giornata di duro lavoro, mi piace
sfogliare quegli opuscoli illustrati sui programmi della televisione e,
saltando da una proposta televisiva ad un’altra, cerco di organizzarmi
la serata.
Spesso, però, rimango deluso dalla programmazione e, per
riprendermi dalla delusione, mi precipito a vedere le proposte
dell’indomani sera e le confronto con ciò che ho visto la sera
precedente e, mentre pregusto la partita di pallone che vedrò domani,
davanti agli occhi si ricompongono le scene del film visto ieri.
Ma, a ben pensarci, faccio la stessa cosa per molte altre cose: per le
vacanze, per il lavoro, per gli acquisti, ecc. ed alla fine mi perdo e mi
sento avvolto e trascinato da un turbinio di eventi che non riesco a
governare, fatto di progetti che si trasformano in ricordi e di ricordi
sulla base dei quali faccio i progetti.
Vivo una condizione di futuro che diventa passato l’attimo stesso in
cui accade.
E tutto questo a causa del “tempo”, questo nostro padrone e signore,
che c’inchioda a ritmi cosmici di eventi ciclici, che ci manipola, ci
condiziona, ci aliena, ci snerva, ci rende brute comparse di uno
spettacolo di cui egli è il sommo regista, ci consuma ed, alla fine, ci
distrugge.
Il “tempo”, quest’orrido vecchio canuto e bianco, che rivela
impietosamente il suo vero volto solo nella vecchiaia, dopo averci
teso la mano nella fanciullezza ed illuso in gioventù.
La mitologia classica gli attribuiva il nome di “KRONOS”.
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Figlio di Urano e Gea, Kronos era il più giovane dei Titani. Istigato
dalla madre, volle punire il padre dell’empia colpa di gettare i figli
sulla terra, appena partoriti da Gea, e con un falcetto di silice ben
affilato lo evirò privandolo degli attributi maschili.
Kronos stesso, comunque, non era immune da perversità ed empietà
nei confronti della prole. Una profezia gli aveva predetto che un suo
figlio lo avrebbe detronizzato e, per non essere spodestato, divorava i
figli appena nati.
Il lettore, tuttavia, non deve farsi impressionare dalla brutalità della
narrazione mitologica, soffermandosi al solo senso letterale, giacché
dietro la storiella, più o meno fantasiosa, si celano delle profonde
verità e degli insegnamenti utili per la corretta formazione della
psiche umana.
Infatti, emerge dal mito, la mostruosità propria di chi vuole scuotere e
sconvolgere, raccontando vicende assurde e grottesche, che risultano
proponibili solo perché concepite in ambito sovrannaturale, al di fuori
dei contesti morali e fisici che reggono una normale esistenza umana.
Divorare i figli vuol essere, dunque, l’immagine cruda del “tempo”
che stritola e divora, quanti si lasciano trascinare dal meccanismo
della cieca ciclicità, ingoiati dal vortice implacabile della casualità
routinaria.
Ma … continuiamo nella narrazione mitologica.
La moglie di Kronos, Rea, stanca del macabro pasto, sostituì l’ultimo
nato, Zeus, con un sasso, che fece ingoiare al marito al posto del
pargolo. Divenuto adulto, Zeus detronizzò il padre e lo obbligò a
rigurgitare i figli ingoiati. Così rividero la luce Demetra, Estia, Era,
Poseidone ed Ade, fratelli e sorelle di Zeus.
Dopo aver inutilmente tentato, con l’aiuto degli altri Titani, di
riprendersi il trono, Kronos riparò nel Lazio dove fu ospitato dal re
Giano. Qui fondò una città che, dal nome nuovo che aveva assunto, e
cioè Saturno, chiamò Saturnia. Il suo regnò fu improntato alla
saggezza ed all’equità, insegnò ai suoi sudditi a coltivare i campi e
prosperità ed abbondanza caratterizzarono il suo governo, tanto da
essere ricordato come la mitica età dell’oro.
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In suo onore nell’antica Roma, tra il 17 ed il 23 dicembre, si
celebravano i “Saturnali”, per invocare il ritorno del dio e con lui la
prosperità e l’abbondanza.
Il significato di tutto questo è presto detto.
L’”obiettivo”, se così si può dire, del Tempo è di perpetuare
all’infinito i ritmi ed i cicli in modo che niente possa perturbare il loro
prodursi all’infinito; tutto questo, però, a discapito dell’affermazione
della singola personalità, che rimane, pertanto, schiacciata dalla mole
immane di questo cosmico ingranaggio.
Il problema, quindi, è bloccare il susseguirsi incessante del continuo
divenire, mediante l’acquisizione della consapevolezza di ESSERE,
tale da affermare la propria ESISTENZA, facendola sublimare da
una condizione di una amorfa ed insignificante apparizione (i figli
divorati da Kronos), in una presenza consapevole, attiva e propulsiva
(Zeus che scaccia Kronos).
Soltanto in questo modo il “Tempo” si rivelerà essere un nostro
“padre” premuroso ed affettuoso, solerte nel guidarci, prodigo di
consigli, pronto a lenire i nostri affanni ed ad infonderci fiducia per
l’avvenire (Kronos che, col nome di Saturno, elargisce abbondanza e
felicità).
Non a caso si dice che il tempo allevia tutti i dolori, anche quelli più
gravi, che più passa il tempo e più si diventa maturi e che il domani
sarà sempre più radioso dell’oggi.
Vivere il proprio PRESENTE, pertanto, costituisce la regola
fondamentale.
Ma la condizione temporale del “PRESENTE” non la possiamo
vivere pienamente, la possiamo solo avvertire, perché siamo
continuamente proiettati verso l’avvenire (sintropia), con uno sguardo
rivolto al passato. Cosa faremo, cosa diremo, dove andremo ecc.,
sono i nostri interrogativi quotidiani, dimenticando che l’attimo stesso
in cui faremo, in cui diremo ed in cui andremo, già l’avremmo fatto,
l’avremmo detto o ci saremmo arrivati.
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Questa impossibilità di vivere pienamente il “PRESENTE”
probabilmente deriva dal fatto che esso appartiene all’eternità e,
quindi, al divino.
Nella Bibbia è scritto che JAHVÈ si rivelò a MOSE’ nel roveto
ardente con il seguente appellativo: “ IO SONO COLUI CHE
SONO”. E quando Mosè insistendo chiedeva maggiori delucidazioni
sulla sua missione, Jahvè rispondeva: “ … dirai che “ COLUI
CHE E’ ti ha mandato … “
Per cui cosa ci rimane da fare per bloccare il “Tempo”?
L’unica cosa che ci rimane da fare per evitare la dissoluzione e
l’oblio è quello di lasciare dei segni, delle impronte, delle tracce del
nostro passaggio, della nostra esistenza, sia in noi stessi sia
nell’ambiente esterno.
In noi stessi, attraverso le esperienze vissute in maniera consapevole,
le quali incidono la nostra coscienza ed una volta registrate e
memorizzate diventano “conoscenza”.
Esternamente, nell’ambiente in cui viviamo, che modelliamo e
plasmiamo secondo il nostro modo di vedere, di sentire, di percepire,
di capire, di manifestarci: un ambiente ben tenuto e curato ci rivela
per essere delle persone intelligenti, un ambiente sozzo, inquinato e
devastato ci rivela per essere degli emeriti imbecilli !!!
In aiuto a noi, uomini del terzo millennio, è intervenuta la tecnologia,
che attraverso vari strumenti, dalla fotografia, al cinema, alle
registrazioni ed ai computers, ci permette di cogliere quest’attimo
fuggente chiamato “PRESENTE”.
I nostri avi non avevano tali possibilità ed affidavano
all’incorruttibilità della pietra l’arduo compito di fissare il
“PRESENTE”.
Emergono, allora, a volte facendosi spazio tra irriverenti ed
opprimenti edifici moderni, reperti, lapidi, monumenti, icone, edicole,
ruderi e quant’altro, quali mute testimonianze di un passato più o
meno lontano.
Un passato, tuttavia, fatto presente dall’assordante silenzio di
ammonimenti ai posteri incisi su lastre di marmo o dal fragore festoso
16
ma impercepibile di solenni celebrazioni istoriate su pietra o di una
ricorrenza immortalata su granito a futura memoria ed affinchè i
posteri sappiano.
Queste incisioni che destano stupore e meraviglia in quanto rivelano
l’abilità del maniscalco nell’incidere il foglio calcareo, unita ad una
sapiente maestria nell’esprimere con poche parole avvenimenti, fatti e
ricorrenze.
E le vediamo queste lapidi in bella evidenza, collocate con gran
valenza all’interno di muri o affissi sui basamenti dei monumenti, a
volte grandi e maestose, a volte piccole ed aggraziate.
Esse c’inducono rispetto e ci trasmettono un certo timore
reverenziale, per essere pensiero umano antico, e cioè verbo di
uomini che non ci sono più, ma che vengono evocati non appena ci si
sofferma a leggere la loro volontà.
Volontà che diviene storia, che diviene tradizione e che, quindi, entra
a far parte del patrimonio culturale della collettività, che nella ricerca
di una propria identità e nell’affannosa affermazione della propria
esistenza, costituisce l’unico valido ancoraggio per evitare l’oblio.
Come pure le icone e l’edicole collocate qua e là, quasi oggetti di
arredamento del territorio, con immagini e scene provenienti da una
religiosità fatta di credenze e superstizione, destinate a “consacrare”
l’ambiente ed a renderlo più propizio ai suoi abitanti.
La riscoperta e la valorizzazione di questi reperti, che sono senz’altro
privi di interesse artistico o architettonico, assumono, invece, una
importanza fondamentale in un quadro ricostruttivo di una identità
storica, la sola in grado di trasformare una accozzaglia di individui in
un popolo.
Da qui l’enorme valore di questo libro, frutto di una lunga ed
appassionata ricerca sul territorio da parte degli instancabili autori
Antonio Dell’Aversana ed Elpidio Spuma, continuamente impegnati
nella ricostruzione e nella preservazione di questa identità storica che
appartiene di diritto al popolo di Sant’Arpino, che diviene tale
soltanto riconoscendosi in essa.
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Allora, la citazione biblica iniziale “ … e fu sera, e fu mattina un altro
giorno”, alla luce di quanto detto sopra, acquista un significato
diverso e più pregnante rispetto ad una ciclicità imperturbabile ed
opprimente, e cioè di opportunità sempre nuove che si rinnovano con
l’alternarsi del giorno e della notte, in un continuo arricchimento
elargito da un TEMPO portatore di felicità ed abbondanza per
ognuno, quale persona singola, e per la comunità, quale insieme di
persone, che vivono un presente consapevole e responsabile, da
tramandare ai posteri assicurando loro un futuro radioso, sicuri che
questi sapranno riconoscere, in ciò che erediteranno, un glorioso
passato, … che altro non è che il nostro PRESENTE.
Dott. Giuseppe Benincaso
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PREFAZIONE
Anche questo libretto, inserito nel solco della collana che
l’A.D.E.R.U.L.A cura ormai da tredici anni, nasce dalla
consapevolezza che la Storia di S. Arpino deve essere ancora scritta.
Come quasi tutti i paesi della Regione Campania, ma soprattutto quelli
degli Agri napoletano ed aversano, infatti, il nostro Comune risulta
tuttora sprovvisto di quella carta d’identità precisa che il proprio
passato avrebbe dovuto fornirgli.
E, in mancanza di fonti scritte, esclusi alcuni frammenti sparsi qua e là
in vari Archivi di Stato, risulta oggi particolarmente difficile
avventurarsi nella ricostruzione di una Storia vera, con la
individuazione dei problemi che hanno interessato la struttura sociale
dell’agglomerato urbano sin dal medioevo, considerato periodo di
nascita dell’ insediamento autonomo primitivo della Terra di
S.Elpidio dopo il distacco ombelicale dalla madre patria Atella.
Pur avendo avuto un ruolo, non sappiamo quanto marginale, negli
avvenimenti “più grandi” del Regno di Napoli riportati dai testi che si
studiano, S.Arpino non ha mai conservato alcun documento del suo
passato, neppure di quello più prossimo. E tutto induce a pensare che
ciò sia stato anche voluto, al fine di far scomparire tracce
“compromettenti” per le Famiglie dominanti nelle varie epoche
storiche.
L’assoluta carenza di notizie ha, così, finora impedito di individuare i
rapporti economico-sociali sviluppatisi nel tempo nel nostro antico
Casale.
Non vuole essere certamente questa, però, la velleità di questo scritto.
Il suo scopo primario è quello di togliere dalla dimenticanza di oggi
fatti e personaggi di rilievo spesso ignorati. E ciò attraverso le
microstorie che i reperti in esso riportati raccontano.
Reperti che, nel loro insieme, formano anche un inventario del
patrimonio artistico e demoetnoantropologico di cui S.Arpino dispone.
19
Tale inventario potrà essere di grande utilità agli Organi proposti alla
tutela del patrimonio collettivo, la Soprintendenza e
l’Amministrazione locale, per salvaguardare dall’incuria degli uomini
quelli che noi abbiamo definiti “ i testimoni del tempo”.
Testimoni apparentemente muti ma che, in realtà, ci ammoniscono
costantemente a riordinare la nostra Memoria per un futuro migliore
della Comunità santarpinese.
GLI AUTORI
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CAPITOLO I
LE EDICOLE
“SANTE CROCI”
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LE EDICOLE “SANTE CROCI”
Le Edicole cosiddette “sante croci” esistenti in S.Arpino sono 5,
disseminate lungo tutto il perimetro del Centro Storico.
Se volessimo, infatti, delimitare l’abitato del paese così come si
presentava fino alla metà degli anni sessanta del 1900, basterebbe
identificarlo semplicemente con il riferimento a queste Edicole.
Esse venivano erette a ricordo delle Missioni, dette anch’esse “sante”
effettuate periodicamente da Ordini Religiosi come i PII OPERAI, i
REDENTORISTI, gli OBLATI DI MARIA, i PASSIONISTI. Le
Missioni erano più frequenti tra i secoli XVIII e XIX sia per motivi
legati al Carisma delle predette Congregazioni Religiose che si
rivolgevano maggiormente alle popolazioni rurali, com’era quella
santarpinese dell’epoca, sia al fatto che in quel periodo si assisteva ad
una vera e propria crisi dei valori cristiani delle masse.
Le Edicole presentano, e da ciò il loro nome, una o più Croci, in legno
od in metallo. Di norma la Croce è posta su di un cippo in fabbrica, a
mò di altarino rivestito di marmo liscio o con modanature. Il
complesso è racchiuso da una gabbia formata da tre lati di cancellata
in ferro ancorata al muro al quale è addossato il tutto.
La loro installazione all’inizio delle strade di accesso al paese ha una
probabile motivazione nell’altra funzione che esse dovevano assolvere
oltre al ricordo della Missione: la protezione divina sul paese dal
quale esse stesse avrebbero dovuto tenere lontani gli spiriti maligni.
La festa delle “sante croci” viene celebrata il 3 maggio. In questo
giorno esse vengono addobbate con fiori e tendaggi. A devozione
vengono accese lumini da tutto il vicinato.
22
1. LA “SANTA CROCE” DELLA “MADDALENA”
E’ la più grande delle 5 (fig.1) ed è posta all’incrocio tra le attuali vie
Alessandro Volta (di moderna costruzione, detta “a via nova” ) e Ten.
Leone D’Anna (l’antica stra S. Maria di Atella che portava alla
omonima Chiesa e quindi a Frattamaggiore).
E’ addossata alla facciata laterale della cinquecentesca Cappella della
Maddalena che ha dato il nome a tutta la contrada che, dipartendosi da
essa, termina alla strada provinciale S.Arpino-Frattamaggiore.
Il territorio della Maddalena (vds. Appendice Documentaria), detta
anche Starza Terracciana, di cento moggia, era proprietà delle Dame
Monache del Monastero Napoletano della Maddalena. Nel 1808 fu
acquistato dal 6° Duca di S.Arpino Alonzo VIII Sanchez De Luna.
L’Edicola si presenta con una struttura muraria simulante 5 alture del
Golgota (da cui anche il nome di Calvario con cui sono conosciute
queste Edicole) su ognuna delle quali è posta una croce in legno. Al di
sotto della croce centrale è murato un medaglione in marmo, risalente
presumibilmente agli anni 50 del 1900, con l’immagine della
Madonna Addolorata opera dello scultore santarpinese Francesco
LETTERA. Lo sfondo delle croci è maiolicato di colore azzurrino.
La cancellata è formata da elementi in ferro lineari terminanti a punta
di lancia e presenta una porticina d’ingresso ad 1 anta con serramenta.
La copertura di tutto il complesso è in tegole rosse sostenute da
supporto metallico arcuato dal quale pende una catena metallica
sostenente un lume elettrico.
Non si conosce l’esatta data di costruzione dell’Edicola anche se, a
ricordo di Missione successiva, è stata apposta lapide in marmo con
scritta: “RICORDO S. MISSIONE DEI PP. PASSIONISTI –
S.ARPINO 1 MARZO 1981”. I Padri che parteciparono a questa
Missione, durata dal 15 febbraio al 1° marzo 1981, furono i
Passionisti della Provincia dell’Addolorata Leonardo FIORE,
Antonino BRILLANTE, Carmine FLAMINIO e Lorenzo
VETRELLA.
23
Considerata la tipologia della costruzione, però, (simulazione del
CALVARIO a 5 croci), si può ipotizzare l’operato o l’influenza della
Congregazione Religiosa napoletana dei PII OPERAI che adottò per
prima questo modo di innalzare le Edicole (vds. Appendice
Documentaria) e di cui la Congregazione dei Passionisti è una
emanazione .
fig. 1 : LA “SANTA CROCE” DELLA MADDALENA
24
2. LA “SANTA CROCE” DEL “TRIVICO”
L’Edicola (fig.2) è posta nel TRIVICO (mmiezz’ ‘o tririce), ora
piazzetta GIORDANO, incrocio di tre antiche strade che adducevano
a S.Antimo (ora Corso Atellano), a Napoli (ora Via G. Marconi) e
mmiezz’ ‘a via (ora Piazza Umberto I).
Presenta 1 croce in ferro infissa su cippo in fabbrica rivestito di marmi
con cornici e scritta “A RICORDO DELLA S. MISSIONE DEI PP.
PASSIONISTI – 29 NOVEMBRE 1908”. La Missione fu svolta dai
Passionisti della Provincia dell’Addolorata P. Luca, P. Michele, P.
Emidio, P. Pasquale e Frà Raffaele, dal 22 al 27 novembre 1908.
I tre puntali dei bracci della croce sono in metallo traforato. Sulla
croce sono apposti:
scritta “INRI” (IESUS NAZARENUS REX IUDEORUM” su
lista metallica, sulla parte alta del braccio verticale;
uno scudo rotondo in metallo con sopra, dipinto in nero, il
Cuore di Gesù con il motto dei Passionisti “IESU XPI
PASSIO”, all’incrocio dei bracci;
una alabarda (che indica la lancia con cui fu trafitto il costato di
Gesù) ed un’asta (con riprodotta la spugna che, imbevuta di
aceto, servì per dissetare il Figlio di Dio crocifisso), incrociate;
un quadretto con la stampa dell’immagine della Madonna
Addolorata, sulla parte bassa del braccio verticale;
un portalumini con vetri, sotto il quadretto.
L’inferriata che circonda l’Edicola presenta elementi decorati e
porticina di ingresso a 2 ante con serramenta.
La copertura è assicurata dal balcone sovrastante dell’edificio a cui
l’Edicola è addossata.
Nell’anno 2002 l’Edicola è stata inopportunamente ridipinta da privati
sollevando le proteste dell’Associazione ADERULA. Nonostante
25
l’intimazione della Soprintendenza a ripristinare lo stato dei luoghi,
l’Amministrazione Comunale di S.Arpino non ha, tuttora, ancora
proceduto (vds. Appendice Documentaria).
fig. 2 : LA “SANTA CROCE” DEL “TRIVICO”
26
3. LA “SANTA CROCE” DELLA “FERRUMMA”
L’Edicola (fig.3) si trova al termine e nella parte più alta della odierna
Via Luigi Compagnone (già FERRUMMA, la strada più vecchia del
paese, detta così perché lastricata da un tipo di basolato di colore
bianco chiamato dagli antichi romani, che lo usavano, FERRUMINA).
Essa è formata da una croce in legno, lungo la cui silhouette sono stati
recentemente apposti dei neon) infissa su di un cippo in fabbrica
rivestito di marmo liscio e con una lapide sovrapposta con la scritta:
“RICORDA LA CROCE LA SANTA MISSIONE DEI PADRI
OBLATI MAGGIO 1938”.
L’inferriata che la circonda presenta elementi lineari, terminanti a
punta di lancia, ed una porticina di ingresso a 2 ante con serramenta.
La copertura è in metallo di forma triangolare con cornice anteriore
decorata.
Lungo il braccio verticale della croce sono apposti:
in alto, la scritta “INRI” su lista metallica;
in basso, un quadretto con stampa della immagine della
Madonna Addolorata ed un crocifisso metallico.
Il palazzo al quale è addossata l’Edicola ha ospitato, fino alla fine
degli anni 50 del 1900, la Scuola Elementare di S. Arpino.
27
fig. 3 : LA “SANTA CROCE” DELLA “FERRUMMA”
28
4. LA “SANTA CROCE” DI VIA S. MARIA DELLE GRAZIE.
L’Edicola (fig.4) è situata lungo la Via S. Maria delle Grazie laddove
questa abbandonava l’abitato all’inizio del secolo scorso.
La croce è in legno. Sovrapposte ad essa troviamo la scritta “INRI”, la
lancia e la scala anch’esse in legno.
Il cippo sottostante è in fabbrica rivestito, nella parte superiore, di
lastra di marmo. Sullo stesso è apposta una piccola lapide in marmo
sagomato riportante la scritta “MISSIONE DEI PP. SERVI DI
MARIA – MARZO 1945” ed, inciso, lo stemma della stessa
Congregazione Religiosa.
L’inferriata è composta da semplici elementi lineari terminanti a punta
di lancia. Il cancelletto d’ingresso è a 2 ante e sulla sommità ritiene un
Cuore di metallo sormontato da una croce e con. All’interno, la scritta
in metallo “Salve”.
La copertura di tutto il complesso è assicurata da elementi di eternit
sostenuti da supporto metallico di forma triangolare.
29
fig. 4 : LA “SANTA CROCE” DI VIA S. MARIA DELLE GRAZIE
30
5. LA “SANTA CROCE” DI PIAZZA UMBERTO I
E’ sicuramente la più artistica delle “sante croci” santarpinesi ed è
situata in Piazza UMBERTO I (una volta mmiezz’ ‘a via)
all’ incrocio con Via S. Giacomo (figg. 5 e 6 ).
Non conosciamo la Congregazione Religiosa che la eresse a ricordo di
una propria Missione. Possiamo, però, ipotizzare l’anno di costruzione
(1841) da una scritta posta dietro la croce.
Questa, in legno, sostiene una sagoma, anch’essa lignea, solla quale
sono riprodotte le fattezze umane di Gesù Cristo. La pittura si
presenta, nonostante i restauri effettuati nel tempo, in pessimo stato.
La croce è ancorata al muro e racchiusa in una teca in legno e vetri di
recente rifatta per devozione popolare. Rifatto anche il cippo in
fabbrica, rivestito di marmo bianco, sottostante. Nel 2002 è stato
sostituito da altarino in fabbrica ricoperto di marmo grigio con cornici
in grigio scuro. Su di esso è stata apposta effigie marmorea della
Madonna Addolorata. Una lapide marmorea ricorda così il restauro
“RESTAURATA A DEVOZIONE DEL POPOLO PRO
MANIBUS FEDERCASALINGHE “maggio 2002””.
A testimoniare l’autore della pittura ed i vari restauri rimangono,
dietro la croce, le seguenti scritte:
“FATTA DA GENNARO MARTORANO 1841”;
“RESTAURATA DA ANTONIO MARTORANO 3 MAGGIO
1890”;
“SANT’ARPINO ANNO 1977. NEL GIORNO 30 APRILE
ALLE ORE O3 DEL MATTINO DOVEVO PORRE FINE AL
RESTAURO DI QUESTA TAVOLA. INIZIAI CON AMORE
E LA TERMINAI NELLA STANCHEZZA PIU’ ASSOLUTA-
UMBERTO DEL MONACO”.
31
fig. 5 : LA “SANTA CROCE” DI PIAZZA UMBERTO I
COME SI PRESENTAVA FINO AL 2002
32
fig. 6 : LA “SANTA CROCE” DI PIAZZA UMBERTO I
COME SI PRESENTA AL MOMENTO
33
CAPITOLO II
LE LAPIDI
34
LE LAPIDI
Applicate su facciate di edifici o su fosse sepolcrali, a partire dal
1559, le lapidi marmoree santarpinesi sono 40 (oltre quelle installate
sulle edicole Sante Croci) e commemorano personaggi ed eventi che
hanno interessato il nostro paese e che sono stati ritenuti degni di
essere tramandati ai posteri.
Le iscrizioni risentono degli stili letterari di coloro che le dettarono e
del periodo di riferimento.
Si presentano quasi tutte ancora in buono stato anche se alcune di esse
andrebbero sottoposte ad opera di restauro.
Pur se ignorate in una epoca in cui i dati informativi risultano
assicurati da supporti multimediali di altissima tecnologia, restano
comunque una testimonianza di alto valore storico in una Comunità
che ha smarrito, o volutamente distrutto, le documentazioni cartacee
interessanti il proprio passato.
Anche se solo frammenti di una storia locale molto più ampia, esse
restano le sole a documentare, e continueranno a farlo, i ricordi dei
nostri antenati sottraendoli all’oblio di oggi.
35
1. LA LAPIDE DELLA CAPPELLA DELLA MADDALENA
E’ la lapide (fig.7) più antica esistente in S.Arpino. Installata nella
Cappella della Maddalena, lungo l’attuale Via Ten. Leone
D’ANNA, risale al 1559. Ne ignoriamo il significato, nonostante la
traduzione che omettiamo di riportare, perché non conosciamo
storicamente i personaggi nella stessa elencati.
La precedente Cappella della Maddalena sembra fosse situata
nell’attuale Piazza Umberto I e demolita da Alonzo III SANCHEZ
DE LUNA che provvide a creare lo slargo per costruire il Palazzo
sua residenza (1590). Ricostruita nell’attuale posizione, esercitava
il diritto di proprietà sul territorio circostante detto, appunto, della
MADDALENA o Starza Terracciana, della estensione di circa 100
moggia (vds. piantina nell’Appendice Documentaria).
Di proprietà, ab antiquo, delle Dame Monache di S. Maria
Maddalena in Napoli, la Starza venne acquistata, nel 1808, da
Alonzo VIII SANCHEZ DE LUNA, ultimo Duca di S.Arpino, e la
Chiesetta divenne Cappella Gentilizia di questa Famiglia. Al
momento il territorio della Maddalena è interamente edificato.
36
fig. 7 : LA LAPIDE DELLA CAPPELLA DELLA MADDALENA
Trascrizione
“SACELLUM VESTALIUM DIVAE MARIAE
MAGDALENAE IN ALIENUM MANCIPIUM
PRAETER IUS REDACTUM AB HELIONORA
MONTANARIA VESTALI PRAEFECTURA
ORNATA IN IUS PRISTINUM FRANCISCO
COGNOMENTO NIGRO PROCURANTE
VINDICATUM EST RELIQUUM IN SANTORI
CAVALERII STIPULATIONE CERNI DATUM
III NONAS IANUARIUS
MDLIX”
37
2. LE LAPIDI CHE RICORDANO L’ANTICA CHIESA DI
S. ELPIDIO VESCOVO
Per far posto al costruendo Palazzo Baronale, Alonzo III SANCHEZ
DE LUNA, neo Signore del Casale di S. Arpino, fa abbattere, a partire
dal 1574, diverse abitazioni e l’antica Chiesa dedicata a S. Elpidio
Vescovo che insiste sul luogo dell’attuale cortile del Palazzo Ducale.
A ricordo, però, ed in segno di doveroso rispetto, lascia 3 lapidi a
testimonianza della esistenza della Chiesa. Le lapidi sono tuttora nei
luoghi originari anche se una di esse si presenta mutila quasi della
metà. Pur non essendo datate, le lapidi dovrebbero risalire al periodo
1574-1590.
38
La prima, posta sulla facciata del Palazzo che dà sull’attuale Via Piave
(l’antica VIELLA DEL VINO), manca della metà della scritta
originaria e riporta questa iscrizione:
QUESTA CROCE E POSTA NEL MEZO DELLA
FACCIATA ET DELLA LARGHEZZA DELLA
ECCLESIA VECCHIA LA QUALE ERA LARGHA
PALMI QUARANT OTTO ET LONGA PALMI
SETTANT OTTO E MEZO COMPRESI LE MURA
ET TANTO INTRAVA DENTRO DI QUELLA
FACCIATA
fig. 8: LA LAPIDE POSTA IN VIA PIAVE A RIDOSSO DEL
PALAZZO DUCALE
39
La seconda, murata sotto un arco del loggiato del Palazzo, così ricorda
l’esistenza della Cappella della Concezione (fig.9):
QUESTA CROCE E’ POSTA NEL MEZO
DOVE ERA LA CAPPELLA DELA CON-
CEPTIONE LA QUALE ERA LARGHA PALMI
VINTICINQUI COMPRESI LE MURA ET IN-
TRAVA DA LA FACCIATA DI QUESTO MURO
DENTRO DI QUESTA LOGIA PALMI DECEDOTO
fig. 9: LA LAPIDE POSTA SOTTO IL LOGGIATO DEL
PALAZZO DUCALE
40
La terza, installata su di una facciata interna del Palazzo, ricorda
l’estensione della Chiesa all’interno dell’attuale cortile (fig.10) :
QUESTA CROCE E POSTA NEL MEZO DELA
LARGHEZA DELLECCLESIA VECCHIA LA
QUALE ERA PALMI QUARANT OTTO
LARGHA COMPRESI LE MURA ET LA
LUNGHEZA SI EXTENDEVA PALMI TRENT-
OTTO DALLA FACCIATA DI QUESTO MURO
DENTRO IL CORTILE DI QUESTA CASA
fig. 10: LA LAPIDE POSTA SULLA FACCIATA INTERNA DESTRA
DEL PALAZZO DUCALE
41
3. LA LAPIDE DEI FRATI MINIMI DI S. FRANCESCO
DI PAOLA
Si trova (fig.11) nella Chiesa di S. Francesco di Paola (o di S. Maria
della Stella o di S. Maria di Atella) a copertura della fossa sepolcrale
dei Frati Minimi che l’avevano in uso con l’annesso Convento. Risale
al 1724 e riporta la seguente scritta:
HIC SOLIS ACCASUS MINIMIS
HINC FRATRIBUS ORTUS
P.
AN.D.NI MDCCXXIV
e, cioè:
QUI’ IL TRAMONTO – DA QUI’ LA NASCITA DEL SOLE
PER I FRATI MINIMI – POSTA NELL’ANNO DEL SIGNORE
1724
Nella fossa potrebbero essere stati sepolti, tra il 1593 ed il 1810, questi
17 Frati di cui conosciamo i nomi:
- P. FILIPPO DA CAPUA;
- P. BERNARDINO DA NAPOLI;
- FRA’ D’ELIA BERNARDO;
- P. EUGENIO DA SANTA MARIA;
- FRA’ MOCCIA ANTONIO;
- P. MASCECCO GIOVANNI BATTISTA;
- SUDDIACONO VALENTI MARIANO;
- FRA’ VALENTI CARLO;
- P. GERONIMO DA SORA;
- P. LOMINCELLI BALDASSARRE;
- FRA’ POLVERINO ARCANGELO;
- P. ASTOLFI FRANCESCO;
- P. AJALA TOMMASO;
42
- P. GRILLO ANDREA;
- FRA’ SCIATTARELLI VINCENZO;
- FRA’ FERRAJOLO GIUSEPPE;
- P. DE MURO RAFFAELE.
43
fig. 11: LA LAPIDE DEI FRATI MINIMI
44
4. LE LAPIDI DEI SANTI PROSPERO E COSTANZO
Installate nel 1780, dai fratelli Gennaro e Alonzo SANCHEZ DE
LUNA, nella Chiesa di S. Elpidio Vescovo.
Gennaro SANCHEZ DE LUNA nasce in S. Arpino il 17 luglio del
1725, tredicesimo ed ultimo figlio del Duca Giovanni Nicola e della
Duchessa Laura Maria PISANO.
Viene battezzato, cinque giorni dopo, in S. Elpidio ed il Parroco
Salvatore FERRIGNO gli impone la lunga sequela di nomi che, oltre a
GENNARO, comprende Carmine, Alessio, Nicola, Pasquale, Donato,
Elpidio. Fa da madrina l’ostetrica napoletana Giovanna CALIFANO.
Anche a lui “tocca”, come d’uso per i cadetti delle Famiglie nobili,
allontanarsi dal mondo divenendo religioso. Appena quattordicenne,
infatti, lo ritroviamo nella Compagnia di Gesù, che lo “ammette”, in
Napoli, il 9 gennaio 1739.
La scelta della Congregazione fondata da S. Ignazio di Loyola nel
1540 è sicuramente dettata dal fatto che essa, in virtù del proprio
sistema pedagogico sviluppato sin dalle origini, è specializzata nella
formazione dei ceti nobili e della classe dirigente. I risultati per
Gennaro, infatti, non mancano.
Cresciuto in un ambiente, il Collegio Napoletano della Compagnia,
nel quale si respira un’atmosfera di cultura “alta “ ed esigente, il
santarpinese si assoggetta ad un severo tirocinio intellettuale e
spirituale che lo porterà ad esprimersi, soprattutto, e per quanto ne
sappiamo, nel campo dell’insegnamento e della produzione letteraria.
Non sappiamo se egli abbia agito anche nel campo della predicazione
missionaria, altro preminente settore di apostolato della Compagnia.
La grave carenza di documenti, conseguente alla soppressione della
Compagnia nel Regno di Napoli nel 1767, non ci consente di
45
conoscere, infatti, né l’esatto curriculum degli studi ecclesiastici di
Gennaro né il suo agire spicciolo e quotidiano.
Lo ritroviamo, invece, già sacerdote, ad insegnare a Napoli Retorica,
Lingua Greca e Filosofia.
Tra il 1751 ed il 1766, P.Gennaro produce e dà alle stampe opere tra le
quali ricordiamo:
- “GRAECAE LINGUAE INSTITUTIONES APTIORE METHODO
ET AUCTIORE CONCINNATAE A JANUARIO SANCES DE
LUNA E SOCIETATE JESU IN SUORUM AUDITORUM USUM” –
NEAPOLI 1751;
- “DISSERTAZIONI SOPRA ERCOLANO E POMPEI, -
SULL’ISCRIZIONE POSTA DAGLI ERCOLANESI NELLA BASE
DELLA MORMOREA STATUA EQUESTRE DI M. NONIO
BALBO; - INTORNO UNA MEDAGLIA DI RUGGIERO I RE DI
SICILIA;- SPIEGAZIONE D’UNA MEDAGLIA DI S. GENNARO”
in “ACCADEMIA DELLE SCIENZE2 1753;
- “CATULLUS, TIBULLUS ET PROPERTIUS REPURGATI, ET
ILLUSTRATI” – NEAPOLI 1757;
- “ORAZION PANEGIRICA IN LODE DI S. GAETANO THIENE,
FONDATORE DEI CHIERICI REGOLARI TEATINI, RECITATA
NEL DI’ SOLENNE DEL SANTO NEL TEMPIO DI S. PAOLO IN
QUEST’ANNO 1764 DA GENNARO SANCHEZ DE LUNA
SACERDOTE DELLA COMPAGNIA DI GESU’”. IN NAPOLI 1764;
- “ORAZIONE PANEGIRICA DELLE LODI DI S.CATELLO
DETTA IN CASTELLO A MARE DI STABIA L’ANNO
MDCC.LXIV” IN NAPOLI 1764;
- “ASSERTIONES LOGICAE, AC METAPHYSICAE CUM
UBERIORIBUS EXPLICATIONIBUS” PARS PRIMA – NEAPOLI
1765;
- “PIANO DI FISICA SPERIMENTALE COSI’ GENERALE, COME
PARTICOLARE DEL P. GENNARO SANCHEZ DE LUNA AD USO
DI QUE’, CHE VORANNO APPRENDERLA NEL COLLEGIO
46
NAPOLITANO DEGLI STUDJ DE’ PP. GESUITI NEL PROSSIMO
ANNO SCOLASTICO 1765. RIVEDUTO E MIGLIORATO
DALL’AUTORE” IN NAPOLI 1765;
- “PIANO DI NATURAL TEOLOGIA DEL P.GENNARO SANCHEZ
DE LUNA AD USO…SCOLASTICO 1766. LE MATERIE SARAN
DIVISE TRA MATTINA E GIORNO. SI COMINCERA’ LA
MATTINA 5 NOV. AD ORE 16 E MEZZO A TRATTAR D’IDDIO
ESISTENTE, E CREATORE DI TUTTE LE COSE DOVE A
DISTESO SI CONFUTERANNO GLI ERRORI DEGLI ATEI, DE’
SENSISTI, DE’ MATERIALISTI, DEGLI SPINOSISTI, DE’
RAZIONALISTI, DE’ LIBERI PENSATORI, DEGLI SPIRITI
FORTI, ECC. AL DOPO PRANZO ALLE ORE 22 SI DETTERA’ DI
DIO, COME CREATORE DELL’HUOMO, A CUI COMMANDA,
OSIA DI DIO LEGISLATORE: DOVE ENTRO TUTTO CIO’ CHE
S’APPARTIENE AL DIRITTO DI NATURA, O SIA LEGGE
NATURALE, A TUTTI GLI UOMINI COMUNE” – NELLA
STAMPERIA DEL PACI 1766;
- “ORAZIONI DELLE LODI DI S.GREGORIO VESCOVO E
MARTIRE DI ARMENIA COMPOSTA SULLA SUA LEGENDA E
RECITATA DA GENNARO SANCHEZ DE LUNA, DELLA
COMPAGNIA DI GESU’ A DI’ 1 OTTOBRE DI QUEST’ANNO
1766 GIORNO SOLENNE DEL SANTO, NEL MAGNIFICO
TEMPIO A SUO ONOR CONSACRATO” – IN NAPOLI 1766;
- “RISPOSTA ALLA CENSURA FATTA ALLE CANZONETTE
MARINARESCHE PER LE FESTIVITA’ DI MARIA SANTISSIMA.
COSMOPOLI (NAPOLI) – senza data.
Con le sue opere, Gennaro si inserisce, a giusto titolo, nel filone
letterario che caratterizza alcuni Sanchez De Luna santarpinesi del
secolo XVIII. Anche il fratello Alonzo VII, 4° Duca di S.Arpino dal
1763 al 1781, nello stesso periodo di tempo in cui scrive Gennaro, dà
alle stampe apprezzatissime, per l’epoca, opere di carattere militare.
Egli, infatti, Tenente Colonnello di Cavalleria al servizio di vari
regnanti napoletani, risulta particolarmente versato nelle materie
militari.
47
Ma egli, come Gennaro, rimarrà nella memoria collettiva del nostro
paese soprattutto per un altro fatto: la costruzione di un altare
gentilizio nella Chiesa di S. Elpidio Vescovo.
Del Gesuita Gennaro si perdono le tracce “napoletane” nel 1767
quando anche il Regno di Napoli, seguendo l’esempio di altri Stati
Europei, espelle i Gesuiti da tempo al centro, in tutta Europa, di
crescenti sospetti derivanti dalla forza organizzativa e l’influenza della
Societas Jesu che viene accusata, da più parti, di essere al servizio di
un oscuro disegno internazionale. Obtorto collo, il Papa Clemente
XIV la scioglie nel 1773 (Bolla REDEMPTOR NOSTER). Alcune
Comunità, però, sopravvivono in forma clandestina e tollerata.
P. Gennaro, divenuto sacerdote secolare, probabilmente si allontana
dal Regno recandosi a Roma dove potrebbe avere vissuto, ma le
notizie sono vaghe, molti anni morendo nella città eterna nel 1794.
Di lui ritroviamo tracce “romane” nel 1788 quando egli partecipa
attivamente alla stesura di una collana letteraria, per i tipi della Rev.
Camera Apostolica, per la causa di beatificazione del Servo di Dio il
Vescovo Giovanni di PALAFOX E MENDOZA.
Nel 1780, comunque, egli cura la traslazione, nella Chiesa di S.
Elpidio Vescovo del paese natio, dei corpi dei Santi Prospero e
Costanzo. Non sappiamo da dove egli faccia trasferire le sacre reliquie
né il nome del Vescovo che ne autorizza la traslazione. E’ sicuro,
però, che l’operazione serve a ricordare il suo battesimo avvenuto
nello stesso Tempio il 22 luglio 1725. Così recita, infatti, la lapide (fig.
12) lasciata a ricordo dell’evento all’interno della Cappella di
Famiglia ove il fratello Alonzo fa costruire appositamente un altare di
marmo per accogliere le sacre ossa:
- H.S.S. CORPORA PROSPERI ET CONSTANTII MARTT.
SANCTISS. QUAE IANUARIUS SANCHEZ DE LUNA AB
ARAGONIA E DUCIBUS S.ELPIDII INFERENDA CURAVIT
ANNO CHRISTIANO MDCCLXX QUOD HEIC BAPTISMO
LUSTRATUS SIT XII CAL.AUG.MDCCXXV.
48
Sul paliotto d’altare vengono riprodotte, in duplice esemplare, le
Insegne Gentilizie del IV Duca santarpinese. Anche Alonzo fa
affiggere una lapide (fig.13) ad imperitura memoria:
- PROSPERO ET CONSTANTIO BEATISS.MARTT. ALONSUS VII.
SANCHEZ DE LUNA AB ARAGONIA IV. DUX S. ELPIDII
DECURIALIS A CUBICULO IOSEPH II. AUGUSTI GERMANAM
PIETATEM AEMULATUS ARAM FECIT ANNO MDCCLXXX.
Auspichiamo che, in una prossima ricognizione delle reliquie, si possa
entrare in possesso di ulteriori notizie storiche leggendo la Bolla di
traslazione sicuramente lasciata insieme alle ossa. E ciò anche al fine
di far riprendere il culto di due Santi che, stranamente, in paese non
hanno mai “tirato”.
P. Gennaro Sanchez De Luna muore in Roma il 23 giugno 1794. Si
ignora il luogo della sepoltura.
Di Alonzo VII Sanchez De Luna si veda il profilo riportato in questo
libro nel capitolo degli stemmi.
49
fig. 12: LA LAPIDE DI GENNARO SANCHEZ DE LUNA
Traduzione
“QUI STANNO I CORPI DEI SANTISSIMI MARTIRI
PROSPERO E COSTANZO CHE GENNARO SANCHEZ DE
LUNA D’ARAGONA DEI DUCHI DI S. ELPIDIO CURO’ DI
FAR TRASLARE NELL’ANNO CRISTIANO 1780 AFFINCHE’
SIA RICORDATO IL SUO BATTESIMO AVVENUTO IL 22
LUGLIO 1725”
50
fig. 13: LA LAPIDE DI ALONZO VII SANCHEZ DE LUNA
Traduzione
“ALONZO VII SANCHEZ DE LUNA D’ARAGONA IV DUCA
DI S. ELPIDIO CIAMBERLANO IMPERIALE
DELL’AUGUSTO GIUSEPPE II EMULO DELLA
DEVOZIONE FRATERNA COSTRUI’ L’ALTARE AI
BEATISSIMI MARTIRI PROSPERO E COSTANZO
NELL’ANNO 1780”
51
5. LA LAPIDE DI ALONZO VIII SANCHEZ DE LUNA
Alonzo VIII SANCHEZ DE LUNA , 6° ed ultimo utile Duca di
S.Arpino, in occasione delle nozze con Maria Giovanna D’AVALOS,
figlia del Marchese di Pescara e Vasto, fa ristrutturare, nell’anno
1798, il Palazzo Ducale e, a ricordo, affigge la lapide che segue (fig.
14). Dapprima installata sull’arco centrale del loggiato, la lapide si trova
ora, sicuramente traslatavi dal Ten. Giuseppe MACRI’ durante
successiva ristrutturazione, nell’androne d’ingresso del Palazzo, sulla
sinistra di chi entra.
fig. 14: LA LAPIDE DI ALONZO VIII SANCHEZ DE LUNA
52
Trascrizione
ALFONSUS. IOH. F.ALF.N. NICOL. PRON. SANCHESIUS. DE LUNA. ARAGONIUS.
COMES.MORATAE. ET ILLUECAE IN HISP.CIT. COMES. CALATIAE. AD VOLTURNUM
DUX ATELLAE. ET CARFITII. DUX CASALIS.PRINCIPIS.
MARCHIO. PASCAROLAE. ET MACCHIAGODENAE. MARCHIO. S.NICOLAI. ET
CASABONAE
BARO.TURRIS.CARBONARIAE
D.N. FERDINANDI. IV INTIMUS CUBICULARIUS
AEDES INIURIA. SUPERIORUM TEMPORUM CORRUPTAS
A SOLO. REFICIENDAS. OMNIQUE. CULTU EXORNANDAS. CUR.
OB. SOLEMNE NUPTIARUM
CUM MARIA.IOH. DE AVALOS TH. PISCARIAE. ET HISTONII. MARCHIONIS. F.
CELEBRANDUM
ANNO MDCCXCVIII
Traduzione
“ALFONSO GIOVANNI FRANCESCO NICOLA SANCHEZ DE
LUNA D’ARAGONA, CONTE DI MORATTA ED ILLUCA
NELLA SPAGNA CITERIORE, CONTE DI CAIAZZO AL
VOLTURNO, DUCA DI ATELLA E CARFIZIO, DUCA DI
CASAL DI PRINCIPE, MARCHESE DI PASCAROLA E
MACCHIAGODENA, MARCHESE DI S. NICOLA E
CASABONA, BARONE DI TORRE CARBONARIA,
MAGGIORDOMO DI CAMERA DI SUA MAESTA’
FERDINANDO IV, RISTRUTTURO’ DA SOLO QUESTA
CASA CORROTTA DALLA INGIURIA DEL PASSATO,
RIORDINANDONE LO STILE PER LA SOLENNITA’ DELLE
NOZZE DA CELEBRARE CON MARIA GIOVANNA
D’AVALOS, FIGLIA DEL MARCHESE DI PESCARA E
VASTO – NELL’ANNO 1798”
53
6. LA LAPIDE DELL’ABATE VINCENZO DE MURO
La lapide marmorea (fig.15), installata sulla facciata del Palazzo avito
sito nella strada che ne eterna il nome, tende, dal 1884, a ricordare ai
posteri che “in questa casa il dì 27 aprile 1757 nacque l’Abate
Vincenzo DE MURO storiografo di Atella Archeologo Letterato
Oratore Linguista”.
Ma, ancora una volta, il Municipio che, con delibera del 1° ottobre
1884, intende così rendere onore “all’illustre concittadino”, agisce
con estrema superficialità. Al ritardo di ben 73 anni dalla morte con
cui esso si ricorda di quello che è stato uno degli uomini più insigni
partoriti dal paese si aggiunge anche un errore dell’epigrafista che,
benché banale, stigmatizza, però, la scarsa considerazione in cui DE
MURO è stato fino ad ora tenuto. La data del 27 aprile risulta, infatti,
errata.
Colui che sarà, in seguito, considerato uno dei vanti paesani nasce il
17 aprile dal notaio Don Giuseppe e dalla Magnifica Donna Lucrezia
DELLA ROSSA.
Il parroco pro tempore della Chiesa di S.Elpidio, Pasquale DE LUCA,
lo battezza il 19 dello stesso mese con i nomi di Vincentius,
Paschalis, Elpidius, Dominicus, Fortunatus alla presenza del padrino
Sebastiano Palmieri e dell’ostetrica provata Lucia Califano.
A soli 9 anni, non sappiamo se per effettiva chiamata divina oppure
per meri calcoli familiari intesi ad avviarlo ad una brillante carriera
ecclesiastica, entra nel Seminario Vescovile di AVERSA.
Qui si fa ben presto conoscere grazie al suo ingegno perspicace.
Riesce talmente bene negli studi da spingere i superiori ad adibirlo
all’insegnamento addirittura all’età di 16 anni. Sembra, a dire degli
storici che si sono interessati di lui, che sia espertissimo in varie
lingue quali la italiana, la francese, la latina e l’ebraica.
A 20 anni risulta essere professore di lettere sempre nello stesso
Seminario. A 24 anni dà alle stampe una “Relazione de’ funerali, e
54
delle iscrizioni che furono lette in Sant’Arpino” in occasione della
morte di Alonzo VII SANCHEZ DE LUNA 4° Duca di S.Arpino.
Nonostante l’appellativo di ABATE rimastogli cucito addosso,
Vincenzo DE MURO non è stato mai a capo di una ABBAZIA od
altra struttura religiosa. L’aggettivo, nel secolo dei Lumi, serve
esclusivamente ad identificare quei giovani preti che vestono “alla
moda”, con clergyman ante litteram.
Di idee illuministe, deve lasciare l’insegnamento nel Seminario
trasferendosi a Napoli. Qui, dopo un inizio incerto, lo ritroviamo, nel
1785, ad insegnare Grammatica agli allievi del Convitto Militare della
Nunziatella a Pizzofalcone.
Quando al Convitto viene data nuova forma e nuova denominazione
perché le esigenze del Regno impongono di “rinnovare radicalmente
l’impostazione dell’educazione militare”, a Don Vincenzo DE MURO
viene rinnovato l’incarico, nella nuova Real Accademia Militare, di
insegnare nuove materie.
Nello “Stato de’ Professori della Real Accademia Militare incaricati di
disimpegnare quanto è ordinato per l’Istituto Scientifico pratico nella
ripartizione delle seguenti classi, colla distinzione dei rispettivi loro
averi”, stilato il 14 gennaio 1787, il Sacerdote santarpinese viene
riportato come professore della IV Classe per la quale sono previste
“Arte di ben scrivere in Italiano ed esercizi di lingua latina e francese,
Aritmetica ragionata, Geometria piana, Disegno di delineazione”. Al
DE MURO compete l’insegnamento dell’italiano, del latino e del
francese.
L’Accademia offre una qualificata preparazione scolastica e le
disposizioni prevedono, pertanto, che i libri d’istruzione per le varie
classi e discipline debbano essere compilati ad uso esclusivo
dell’Istituto.
Al DE MURO viene, perciò, affidato l’incarico di redigere testi che
diverranno, poi, fondamentali per molti anni a venire nella istruzione
dei Cadetti.
55
Egli scrive, così:
- Primi rudimenti della Lingua Italiana per uso dei fanciulli;
- Grammatica ragionata della Lingua Italiana;
- L’Arte di scrivere ad uso de’ giovanetti della Regia
Accademia Militare;
- Grammatica ragionata della Lingua francese per uso de’
giovanetti della Reale Accademia Militare;
- Grammatica Latina;
- Storia dell’Accademia Militare.
L’invasione francese del Regno (1798) crea larghe defezioni e
significativi atti di lealismo nell’ambito accademico della Nunziatella.
Molti Ufficiali (tra cui il Comandante pro tempore Magg. Tommaso
SUSANNA divenuto Ministro della Guerra della Repubblica
Partenopea) e professori aderiscono alla Repubblica Partenopea.
L’Accademia viene soppressa il 23 luglio 1799 pur lasciando 60
allievi ad alloggiare nell’Istituto.
Vincenzo DE MURO aderisce sin dalla prima ora alla Repubblica
spintovi, forse, più che dalle sue idee illuministe, da un ardente
desiderio di “protagonismo” da sempre malcelato.
La rivoluzione gli deve sembrare, infatti, una occasione più unica che
rara per poter realizzare quanto da sempre cova nel suo animo,
soprattutto in materia di “beni ecclesiastici”.
E’ suo, infatti, un “Piano di amministrazione e distribuzione di beni
ecclesiastici diretto al Governo provvisorio” inviato ai Governanti
della neonata Repubblica. In esso il DE MURO chiede che venga
portata a compimento una “democratizzazione del Clero” che, così,
nella sua interezza, possa finalmente disporre di quei beni ecclesiastici
che sono stati, finora, appannaggio soltanto dei vertici della Chiesa e
dei Sovrani.
Ma le turbinose vicende politiche non gli permettono di vedere
realizzato questo suo sogno. La repentina caduta della Repubblica,
infatti, lo vede fuggitivo e ricercato dalle forze borboniche ritornate in
56
auge. Gli indulti di Ferdinando IV, però, lo sottraggono alle pene
inflitte agli altri “rei di Stato” tra cui altri santarpinesi.
Ritiratosi nel paese natio, vi scrive alcune sue opere rimaste, quasi
tutte, allo stadio di manoscritti.
L’arrivo dei Napoleonici a Napoli (1806), gli permette di ritornare
nella Capitale ed egli è richiamato ad insegnare alla Nunziatella nella
quale, nel frattempo, sono state istituite Scuole Politecnico-Militari.
Dallo “Stato Militare e Scientifico delle Scuole Militari nella fine
dell’anno scolastico 1810” si rileva che nell’organico dell’Istituto
esiste una Divisione Scientifica nell’ambito della quale “direttore per
le lingue e la filosofia” risulta essere l’Abate Vincenzo DE MURO.
Durante gli anni trascorsi a Napoli collabora, come giornalista, al
periodico “La Gazzetta Napoletana” e rifonda, insieme all’amico
Vincenzo CUOCO, l’Accademia Pontaniana istituita per ricerche
storiche, filosofiche e filologiche e di cui viene eletto Segretario
Generale perpetuo. In alcune “adunanze” dell’Accademia vengono da
lui lette molte delle storie sugli antichi abitatori delle nostre zone poi
raccolte e pubblicate, postume nel 1840, dal fratello avvocato
Domenico, nel suo libro più noto “Ricerche storiche e critiche sulla
origine, le vicende e la rovina di Atella antica città della
Campania”.
Muore, a soli 54 anni non ancora compiuti, il 9 gennaio 1811 a
Napoli.
57
fig. 15: LA LAPIDE DELL’ABATE VINCENZO DE MURO
58
7. LE LAPIDI DELLA NUOVA CHIESA DI S. ELPIDIO
VESCOVO
Nel 1884 la Chiesa di S.Elpidio Vescovo, costruita ex novo nel 1590
da Alonzo III SANCHEZ DE LUNA e poi ristrutturata nel 1754,
viene completamente rifatta ed ingrandita di un terzo con l’aggiunta
della cupola. Dell’antica facciata rimane solo il portale cinquecentesco
in piperino nel cui timpano viene installata, a ricordo dei lavori, una
lapide marmorea (fig.16) dettata dalla penna del letterato e latinista
Prof. Nicola PERRONE.
fig. 16: LA LAPIDE CHE RICORDA LA RICOSTRUZIONE DELLA
CHIESA DI S. ELPIDIO VESCOVO NEL 1884
59
Trascrizione
HOC DIVI ELPIDII FANUM
QUOD ANNO MDXC
ALPHONSUS SANCHESIUS DE LUNA ARAGONIUS
AEDIFICANDUM CURAVERAT
NUNC MUNICIPIUM
PUBLICO AERE
AMPLIATUM ET OMNINO REFECTUM
ANTIQUO CULTUI ET DECORI RESTITUIT
ANNO MDCCCLXXXIV
Traduzione
ORA IL MUNICIPIO HA RESTITUITO, AMPLIATO ED
INTERAMENTE RIFATTO CON PUBBLICO DENARO,
ALL’ANTICO CULTO E DECORO QUESTO TEMPIO DI S.
ELPIDIO CHE, NELL’ANNO 1590, ALONZO SANCHEZ DE
LUNA D’ARAGONA AVEVA CURATO DI COSTRUIRE –
ANNO 1884.
60
All’interno della navata, sulla destra di chi entra, viene posta un’altra
lapide (fig.17) che ricorda la riconsacrazione della Chiesa da parte del
Vescovo di Acerra Mons. Giacinto MAGLIULO nel 1886.
L’epigrafista è sconosciuto.
fig. 17: LA LAPIDE CHE RICORDA LA RICONSACRAZIONE
DELLA CHIESA DI S. ELPIDIO VESCOVO NEL 1886
61
Trascrizione
TEMPLUM HOC
D.ELPIDIO ATELLARUM EPISCOPO
HIC OLIM AB AFRICA EXULI
MOX OPPIDI COGNOMINIS
PRINCIPI FUNDATORI AC PATRONO
MARCUS DE SIMONE CIVIS ANTISTES TROIANUS
III ID OCT A.R.S. MDCCLIIII
DEDICAVIT
NUPER A MUNICIPII CURATORIBUS
AERE PUBLICO IN AMPLIOREM FORMAM REDACTUM
ET MAGNIFICENTIUS EXORNATUM
HYACINTHUS MAGLIULO ACERRARUM EPISCOPUS
EXPENSIS DOMINICI COMPAGNONE
MUNICIPALI REI CURANDAE PRAEFECTI
INSTAURATIS ENCAENIIS
VOTA ITERUM NUNCUPAVIT
VI ID IUN A.R.S. MDCCCLXXXVI
Traduzione
IL CONCITTADINO MARCO DE SIMONE, PONTEFICE
TROIANO, IL 18 OTTOBRE 1754, DEDICO’ QUESTO
TEMPIO A S .ELPIDIO VESCOVO DI ATELLA, UN TEMPO
QUI ESULE DALL’AFRICA ED IN SEGUITO PRINCIPALE
FONDATORE E PATRONO DEL PAESE CUI DIEDE IL
NOME. DA POCO TEMPO RIFATTO, CON PUBBLICO
DENARO, IN FORMA PIU’ AMPIA E SPLENDIDAMENTE
ABBELLITO DAI CURATORI DEL MUNICIPIO, GIACINTO
MAGLIULO, VESCOVO DI ACERRA, A SPESA DEL
SINDACO DOMENICO COMPAGNONE, HA RINNOVATO I
VOTI PER LE STRUTTURE RIFATTE – 19 GIUGNO 1886
62
8. LA LAPIDE DEL MEDICO ALFONSO GUARINO
IL 16 ottobre 1903, ad un anno dalla morte, l’Amministrazione
Municipale di S.Arpino fa installare una lapide ricordo (fig.18) in
onore del medico Alfonso GUARINO (fig.19) sulla facciata della sua
casa natale in Via SS. TRINITA’ (ora Via Ten. Pasquale ZIELLO).
Questo illustre concittadino nasce in S.Arpino il 13 ottobre 1840 da
Giuseppe, negoziante, e da Giovanna PELLINO. Gli vengono imposti
i nomi di Alfonso Stanislao. Dedicatosi alla professione medica,
diventa in breve un illustre clinico arrivando, come recita l’epigrafe,
“alle vette della scienza medica” e conosciuto “universalmente”.
Risulta, inoltre, aver mostrato molta prodigalità verso i santarpinesi,
soprattutto i più poveri. Questa sua peculiarità di carattere è stata
riportata, ad imperitura memoria, anche sulla lapide funeraria nel
cimitero di S.Arpino ove è sepolto nella bella Cappella di Famiglia:
“FINCHE’ NELLE ISTITUZIONI OSPEDALIERE
CONVERRANNO MORBI E MISERIE DI POVERI E MORTE
DEBELLERANNO SCIENZA E FILANTROPIA SACRA A GLI
STUDIOSI A GLI INFERMI SARA’ LA TUA MEMORIA, O
ALFONSO GUARINO, CHE GENIALE SCIENZIATO CLINICO
OSSERVATORE L’INTELLETTO ED IL SAPERE A
L’UMANITA’ CONSACRANDO NEL COTIDIANO
APOSTOLATO TRA LE NUOVE SVENTURE AFFINASTI LA
MITEZZA E LA BONTA’ DELL’ANIMO TUO”
Alfonso GUARINO muore in Napoli il 13 ottobre 1902.
63
fig. 18: LA LAPIDE AFFISSA SULLA FACCIATA DELLA CASA
NATALE DI ALFONSO GUARINO
64
fig. 19: IL MEDICO ALFONSO GUARINO
65
9. LE LAPIDI DEGLI ZARRILLO
Poste dalla Congregazione di Carita’, ricordano:
- l’una, installata nel 1913 sulla facciata del Palazzo DE
SIMONE-ZARRILLO, i 4 fratelli ZARRILLO. Lorenzo,
Giuseppe, Teresa e Cristina benefattori dei poveri di S.Arpino
ai quali lasciano le “sostanze avite”, cioè il Palazzo ed i beni (fig. 20);
- l’altra, installata nel 1917 sulla facciata della Chiesa di
S.Francesco di Paola, Cristina ZARRILLO di cui nasconde le
ceneri (fig. 21).
Non abbiamo notizie dettagliate sui beni lasciati dai fratelli
ZARRILLO ritenuti “generosi benefattori”.
fig. 20: LA LAPIDE DEI FRATELLI ZARRILLO
66
fig. 21: LA LAPIDE DI CRISTINA ZARRILLO
67
10. LA LAPIDE DI MARIA MAGLIOLA
E’ apposta (fig.22), dal 1927, sotto la base del bellissimo trono
marmoreo donato da Maria MAGLIOLA alla Chiesa di S.Elpidio
Vescovo a coronamento dell’abside ed in onore del Sacro Cuore di
Gesù cui la Chiesa è dedicata.
Maria MAGLIOLA è sepolta nella Cappella di Famiglia nel cimitero
di S.Arpino. Sulla lapide funeraria è riportato:
“Il Cuore di Gesù cui Marietta Magliola artistico trono di gloria eresse
nella Chiesa Parrocchiale offrendogli vita beni dolori custodisca
queste ossa e ne accolga l’anima presto nel suo regno d’amore – Morì
il 21 aprile 1933”.
fig. 22: LA LAPIDE DI MARIA MAGLIOLA
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11. LE LAPIDI DI GIUSEPPE MACRI’
Quella di Giuseppe MACRI’ rimane ancora, e soprattutto per le nuove
generazioni di santarpinesi successive al 1932, una figura “misteriosa”
anche se continuamente “presente” nel paese.
Seppure noto come benefattore per aver lasciato in dono, allo scopo di
favorire soprattutto i poveri, il Palazzo Ducale, divenuto sua proprietà
sin dal 1903, ed altre sostanze, rimane per tutti un misconosciuto
personaggio su cui varrebbe finalmente la pena di indagare una volta e
per sempre anche al fine di rendergli quell’onore che merita e che non
gli è stato mai dato se è vero, come è vero, che nessuna lapide lo
ricorda ufficialmente né riconoscimento alcuno risulta essergli mai
stato tributato da alcuna Amministrazione Comunale se non
l’intestazione di un misero violetto, cieco peraltro! Eppure in S.Arpino
sono stati riconosciuti più “meritevoli”, soprattutto a seguito di mode
politiche, personaggi del tutto sconosciuti e che nulla hanno dato alla
Comunità, in ogni senso!
Giuseppe MAGRI’ (in seguito corrotto, non sappiamo ancora perché,
in MACRI’) nasce in Messina l’8 luglio 1843 da Don Silvestro,
impiegato di 52 anni, e Donna Filippa SANTANGELO di anni 36.
Tre giorni dopo è battezzato, nella Parrocchia di S.Leonardo in
S.Matteo, dal Parroco Pasquale RIZZO alla presenza del padrino
Giacomo MAGRI’, probabile zio, e dell’ostetrica Maria CARDILLO.
Il titolo onorifico attribuito ai genitori nell’Atto di Battesimo (che
ritroviamo nell’Appendice Documentaria) indica chiaramente che la
sua è una famiglia benestante. Di essa, però, non siamo riusciti a
riconoscere i componenti nella considerazione che in Messina, dopo il
terribile terremoto del 1908 che rade al suolo la città, scompaiono
moltissimi documenti anagrafici. Neppure i nomi dei Magrì incisi su
alcuni busti da lui voluti nel Palazzo Ducale ci aiutano molto perché
non sappiamo quale relazione di parentela lo leghi a quei personaggi.
69
Ritroviamo le sue tracce nel 1860 quando, appena diciassettenne, il 16
giugno si arruola nelle file dell’Esercito dell’Italia Meridionale
costituito da Giuseppe GARIBALDI durante la Campagna di Sicilia.
Entra a far parte, come tanti dei “picciotti” aggregatisi ai MILLE ed ai
successivi volontari garibaldini, della “Divisione MEDICI”, una delle
tre costituenti l’Esercito dell’ ”eroe dei due mondi”. Dieci giorni dopo
è nominato Sergente ed assegnato al 3° Reggimento “Onofrio”.
A concorrere alla sua immediata promozione deve, sicuramente,
contribuire il suo ardore di combattente unito alle sue qualità fisiche
che lo individuano come molto aitante, come si evince dalla foto
(fig.23) in divisa ancora rimasta nel nostro paese.
Egli partecipa, così, alla Campagna di Sicilia e, presumibilmente, ma
non lo sappiamo di certo, anche ai successivi combattimenti svoltisi
sul continente che porteranno alla successiva annessione del Regno
delle Due Sicilie al Piemonte.
In questo modo egli potrebbe avere conosciuto S. Arpino visto che
dalla Storia apprendiamo che la Divisione MEDICI si accampa “nei
pressi di Aversa” prima della battaglia del Volturno. Una strana
coincidenza del destino lo potrebbe anche avere opposto al Generale
Borbonico Gaetano SANCHEZ DE LUNA, parente dei Duchi di
S.Arpino, particolarmente distintosi nell’estrema difesa del Regno
Napoletano.
Giuseppe MACRI’ viene congedato il 29 gennaio 1861 a seguito dello
scioglimento dell’Esercito Meridionale in Piazza Plebiscito in Napoli.
Egli viene anche insignito della Medaglia commemorativa della
Campagna di Sicilia del 1860.
Lo ritroviamo, il 21 aprile 1862, a ricoprire l’incarico di Luogotenente
nel 6° Reggimento della Guardia Nazionale di Messina, Corpo
istituito dala Dittatore GARIBALDI. Il 1° dicembre di detto anno,
però, lascia la carica per arruolarsi come “soldato volontario
d’ordinanza” nel 12° Reggimento fanteria (12 gennaio1863). Qui è
promosso Caporale il 1° novembre e poi Caporalefuriere il 1° ottobre
1864. In seguito si fa ammettere, come volontario, nel Corpo
Cacciatori Franchi (14 marzo 1866).
70
Il 23 luglio dello stesso anno è Allievo della Scuola di Fanteria e
Cavalleria dove diventa Sottotenente il 19 agosto 1866. Assegnato al
4° Reggimento Granatieri, presta il giuramento da Ufficiale il 23
settembre successivo in VALVASSONE.
L’anno dopo (25 agosto 1867) viene posto in aspettativa per riduzione
Quadri. Rientra in servizio, nel medesimo Reggimento, nel 1871. Non
conosciamo l’epoca del congedo che ottiene, comunque, con il grado
di Tenente.
Ricompare, già sessantenne, nel 1903 quando acquista in S.Arpino il
Palazzo Ducale appartenuto alla Famiglia SANCHEZ DE LUNA.
Non conosciamo molto della sua vita nella nostra cittadina. A tenergli
compagnia è la “domestica di civile condizione” Filomena PASSERO,
nata ad Ottajano (Na) da Raffaele e donna ignota.
Anche Filomena, a causa dei suoi “strani” comportamenti, rimane
nell’immaginario collettivo santarpinese come figura misteriosa. In
vita è da tutti appellata “Donna Filumena d’ ‘o Tenent” o “Filumena
‘a mort” per i suoi atteggiamenti. Sembra, tra l’altro, che non esca mai
dal Palazzo e vesta permanentemente di nero. Ella premuore al
MACRÌ, dopo averlo fedelmente servito durante lunghi anni, il 17
marzo 1925 a 78 anni, e le è riservato, dal MACRÌ stesso , un
“trattamento di favore” che induce a pensare sul legame realmente
esistente tra i due. Viene, infatti, tumulata nella Cappella/Mausoleo,
fatta erigere da MACRI’ nel cimitero, con lo stesso rito di stampo
massonico che il messinese riserverà a sé stesso: in piedi e con una
piccolissima borchia di ottone a ricordarne le generalità apposta sulla
lapide di copertura della tomba che non riporta altre iscrizioni.
Giuseppe MACRI’, dal 1912, si autodefinisce “negoziante
agricoltore” ma in realtà non conosciamo, nei dettagli, l’attività da lui
svolta e con chi abbia rapporti di lavoro. Certi, però, rimangono i suoi
viaggi in treno a Napoli dove possiede alcuni appartamenti. Si
racconta che spesso i ragazzini lo attendano all’arrivo alla stazione di
S.Antimo perché lui è solito distribuire loro degli spiccioli.
71
A Napoli il MACRI’ è sicuramente socio di qualche “Circolo
Spiritista”. La sua decisa adesione all’esoterismo è ampiamente
documentata dalla lettura del testamento olografo lasciato. Sembra che
anche nel Palazzo Ducale avvengano spesso sedute spiritiche.
Non conosciamo neanche le sue amicizie in paese ma ipotizziamo che
privilegi i contatti con uomini di un elevato livello morale.
Nel 1925, sentendo forse prossima la morte, a seguito anche della
dipartita della “cara” Filomena, ed ansioso di essere ricordato
perennemente in un paese che lui “ha prediletto”, redige il testamento
che riportiamo nell’Appendice Documentaria in versione originale ed
in trascrizione per una migliore comprensione.
Egli predispone nei minimi particolari il lascito che effettuerà di lì a
qualche anno integrando, negli anni successivi e fino al 1932, il
testamento con dei codicilli.
Il lettore noterà, però, e certamente con raccapriccio, che tutte le
disposizioni testamentarie sono state completamente disattese. Lo
stesso Palazzo Ducale ancora degradato ed il territorio circostante
devastato dalla speculazione edilizia permessa dalle Amministrazioni
Comunali lo dimostrano chiaramente.
Anche lo scopo principale della donazione del MACRI’, perno della
estrinsecazione del suo concetto di CARITA’, fallisce miseramente.
L’Ente di Beneficenza al quale egli vuole legare il suo nome in eterno,
infatti, nato col ritardo impressionante di 22 anni a causa delle
inefficienze burocratiche dei personaggi preposti, ha una breve vita
durante la quale si limita quasi semplicemente a distribuire pasta ed
olio ai “bisognosi”.
A nostro parere ricorrerebbero tutti gli estremi per impugnare il
testamento ed affidare il Palazzo Ducale all’amministrazione
comunale di altro paese, così come ammonito dal MACRI’!
In contemporanea al testamento Giuseppe MACRI’ fa installare
diverse lapidi che dovranno ricordare la sua figura, il suo senso di
“patriottismo italiano” ed il suo concetto di carità. Quattro si trovano
nel Palazzo Ducale e due nella Cappella Gentilizia. Alcune di esse
72
(figg.24-25) sembrano sfatare il mito del MACRI’ massone, ateo e
mangiapreti trasmessoci oralmente. Esse, infatti, unite ai busti di
“IMMACOLATA” (probabilmente raffigurante la Madonna) e
“S.ARPINO” da lui fatti scolpire nel 1907 (almeno il secondo firmato
da Leonardo DI CANDIA), dimostrano chiaramente che egli crede in
Dio e che non sono state fatte perché l’eta avanzata gli “impone” di
salvarsi l’anima in tempo utile.
Le lapidi “patriottiche” (figg.26-27) riprendono “coerentemente” il suo
concetto di nazionalismo già estrinsecatosi con la sua partecipazione
all’avventura garibaldina per l’unificazione dell’Italia nel 1860.
Le lapidi che lo ricordano personalmente e che tramandano il suo
“testamento morale” sono quelle delle figure 28 e 29.
Giuseppe MACRI’ muore, a 89 anni quasi compiuti, il 15 aprile 1932
“munito dell’estrema Unzione”
fig. 23: GIUSEPPE MACRI’ IN DIVISA
73
fig. 24: LA LAPIDE A CONTENUTO RELIGIOSO INSTALLATA NEL
PALAZZO DUCALE
74
fig. 25: LA LAPIDE A CONTENUTO RELIGIOSO INSTALLATA NELLA
CAPPELLA DEL CIMITERO
75
fig. 26: LA LAPIDE A CONTENUTO PARIOTTICO, RIPORTANTE
IL “BOLLETTINO DELLA VITTORIA” NELLA 1^ GUERRA
MONDIALE, INSTALLATA NEL PALAZZO DUCALE
fig. 27: L’ALTRA LAPIDE A CONTENUTO PATRIOTTICO
INSTALLATA NEL PALAZZO DUCALE
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fig. 28: LA LAPIDE CHE RIASSUME L’OPERATO
DI GIUSEPPE MACRI’ INSTALLATA NEL PALAZZO DUCALE
77
fig. 29: LA LAPIDE SOTTO IL BUSTO DI GIUSEPPE MACRI’
INSTALLATO NELLA SUA CAPPELLA GENTILIZIA NEL CIMITERO
78
12. LA LAPIDE DI GIOVANNI ARDIZZONE
Fatta installare (fig. 30), il 10.2.1963, dalla locale Sezione del Partito
Comunista che aveva sede nella Via DE MURO, resta ancora a
testimoniare un tragico fatto di cronaca politica che ha interessato
l’Italia.
Giovanni ARDIZZONE nasce nel 1941 a Castano Primo in provincia
di Milano, figlio unico di una famiglia titolare di una farmacia. Nel
1962 è iscritto al secondo anno della Facoltà di Medicina e Chirurgia
dell’Università di Milano, nel collegio universitario Fulvio Testi, alle
porte di Sesto S.Giovanni. Nell’ambiente studentesco e proletario
conosce e condivide gli ideali del movimento operaio arrivando ad
essere un attivo militante comunista.
Il sabato 27 ottobre 1962, in piena crisi dei missili, la Camera del
Lavoro di Milano organizza una manifestazione di protesta contro
quella che è considerata una aggressione imperialista degli Stati Uniti
a Cuba ed in favore della pace. Dopo il discorso del Segretario della
Camera del Lavoro, si forma un corteo che sfila nelle vie del centro
urbano. I manifestanti alzano cartelli e striscioni e scandiscono parole
d’ordine come “Indipendenza per Cuba”, “Cuba sì, yankee no”, “Pace,
pace”, “Disarmo”, “Fuori le basi nordamericane”.
Dopo l’arrivo del corteo in Piazza del Duomo, il Comando della
Polizia dà l’ordine di disperdere i manifestanti. Il Terzo Battaglione
Celere di Padova, corpo speciale di intervento nelle manifestazioni,
inizia i caroselli con le jeeps incuneandosi contro la testa del corteo ed
investendo il giovane ARDIZZONE ed altri due manifestanti: Nicola
Giardino di 38 anni, muratore, e Luigi Scalmana, di 57 anni, operaio.
Giovanni ARDIZZONE muore nel medesimo pomeriggio in ospedale.
Degli altri due feriti ospedalizzati Luigi Scalmana è in pericolo di vita.
I manifestanti reagiscono all’episodio con lanci di pietre e bastoni,
obbligando varie volte le jeeps a ritirarsi. Durante gli scontri ci sono
altri feriti ed arrestati.
79
Nella notte gruppi di manifestanti giungono alla spicciolata nel luogo
dove è caduto ARDIZZONE e nelle 48 ore successive una moltitudine
sempre più impressionante si concentra bloccando la strada e
depositando fiori e cartelli che denunciano gli autori di quello che
viene considerato un assassinio.
Il lunedì seguente, 29 ottobre, gli operai delle principali fabbriche
entrano in sciopero e vengono sospese le lezioni nelle Università e
nelle scuole superiori per partecipare alla protesta. Nella notte una
immensa manifestazione colloca il ritratto del giovane caduto e molte
corone di fiori nel vicino Sacrario dedicato ai Caduti della Resistenza,
dove continua il pellegrinaggio.
Una grande partecipazione si ha pure al funerale di Giovanni nel suo
paese natale, dove giungono, per l’estremo saluto, oltre 5 mila
persone.
In molte città italiane vengono realizzate manifestazioni a favore di
Cuba e contro la guerra, con scioperi nei posti di lavoro e la chiusura
delle scuole.
80
fig. 30: LA LAPIDE DI GIOVANNI ARDIZZONE INSTALLATA
IN VIA DE MURO
81
13. LE LAPIDI DELL’AMMINISTRAZIONE LEGNANTE
NEL CIMITERO
Nel 1972 l’Amministrazione Comunale di S.Arpino, in base alle
accresciute esigenze demografiche della popolazione, amplia l’area
cimiteriale. A ricordo dell’evento, il Sindaco Avvocato Vincenzo
LEGNANTE fa apporre alcune lapidi che, citando vari versi del
Carme “I SEPOLCRI” del poeta Ugo FOSCOLO (figg.31-35) ed alcuni
di un canto composto dal concittadino Medico e Storico Francesco
Paolo MAISTO (fig.36) tendono ad indurre il visitatore “a pensoso
raccoglimento”.
L’opera “I SEPOLCRI” è, in sintesi, una rievocazione commossa
delle vicende mortali: il fascino sottile e fugace della giovinezza,
l’inesorabile trascorrere del tempo, l’intima dolcezza dell’amore, la
desolata tristezza della guerra, la dolorosa precarietà della vita, la
serenità della morte.
Niccolo (Ugo) FOSCOLO nasce, da Andrea e Diamantina SPATHIS,
il 6 febbraio 1778 a ZANTE, una delle isole Eolie. Quattordicenne si
trasferisce a Venezia dove continua gli studi iniziati a Spalato e Zante.
Le sue intense esperienze culturali e di vita lo portano a produrre
numerosissime composizioni poetiche ed a partecipare attivamente al
corso delle vicende politiche italiane. Nel 1806 scrive il Carme “I
SEPOLCRI”, dedicandolo all’amico Ippolito PINDEMONTE, sulla
scia delle polemiche sorte intorno alla estensione (5 settembre 1806)
alle Province Italiane del Decreto di Saint Cloud del 12 giugno 1804
con cui Napoleone BONAPARTE aveva vietato le sepolture nelle
chiese e nell’abitato ed aveva regolamentato democraticamente i
cimiteri imponendo l’assenza di lapidi e di epigrafi sulle tombe in
modo da non far distinguere gli uomini illustri da quelli sconosciuti.
82
Per il Foscolo il sepolcro diventa la sorgente della grande illusione
umana che vince le certezze razionali della morte e del nulla e crea la
religione della patria e della storia. La tomba vista come il nucleo
vitale dell’uomo di sentimento che ad essa àncora la sua invincibile
speranza di prolungare l’esperienza esistenziale nell’omaggio degli
amici superstiti, nel pianto della sua donna sul proprio tumulo; è la
forza morale dell’uomo civile che in essa ritrova le testimonianze di
una convivenza pacifica e serena, protetta dalle istituzioni e dal culto;
è il nutrimento dell’amor patrio che in essa scopre le vestigia della
grandezza della propria terra e da essa trae, in epoche di decadenza,
l’auspicio del rinnovamento; è la fonte della poesia che, ispirandosi
alle tombe dei grandi, eternizza le vicende umane e vince il silenzio
dei secoli.
Nella immagine del sepolcro si incentra il dramma dell’uomo, scisso
tra la coscienza dolorosa dell’inesorabile legge della materia e la
confortante visione della propria tomba lacrimata e consolata.
Il poeta muore il 10 settembre 1827 nel villaggio di TURNHAM
GREEN presso LONDRA.
I tre versi del Medico Francesco Paolo MAISTO, autore dell’opera
“MEMORIE STORICO-CRITICHE SULLA VITA DI S.ELPIDIO
VESCOVO AFRICANO E PATRONO DI S.ARPINO-1884”, sono
tratti dal canto “PER L’INAUGURAZIONE DELLA NUOVA
CHIESA PARROCCHIALE DI SANT’ARPINO” annesso all’opera
stessa.
Vincenzo LEGNANTE nasce in S.Arpino il 28 dicembre 1897 da
Gioacchino e Concetta D’ANNA. Sposa Chiara MAGLIOLA.
Laureato in Giurisprudenza, è stato Sindaco, nelle file del Partito
Comunista , dal 1964 al 1975. Muore in S.Arpino il 5 dicembre 1979.
Durante l’arco della sua vita associa all’impegno politico e sociale
l’amore per ATELLA e S.ARPINO, per i quali scrive note storiche, e
per la poesia. I suoi lavori sono raccolti nel libro “VINCENZO
LEGNANTE CITTADINO DI ATELLA-1989”.
83
fig. 31: LA LAPIDE DELL’AMMINISTRAZIONE COMUNALE
fig. 32: LA LAPIDE CHE SINTETIZZA IL SENSO DEI SEPOLCRI
84
fig. 33: LA LAPIDE CON I VERSI 41/42 E 46/50 DE “I SEPOLCRI”
fig. 34: LA LAPIDE CON I VERSI 97/98 E 99/100 DE “I SEPOLCRI”
85
fig. 35: LA LAPIDE CON I VERSI 119/123 DE “I SEPOLCRI”
fig. 36: LA LAPIDE CON I VERSI 29/31 DEL CANTO DEL MAISTO
86
14. LA LAPIDE DELLA CAPPELLA DEL PURGATORIO
NEL CIMITERO
Posta (fig.37) nel gennaio 1973 dagli amministratori della Congrega del
Purgatorio in essa menzionati.
La Cappella, costruita per accogliere i resti mortali dei confratelli
della Congrega, è stata benedetta dal Vescovo di Aversa Mons.
Antonio TEUTONICO nel 1958.
fig. 37: LA LAPIDE DELLA CAPPELLA DEL PURGATORIO
87
15. LE LAPIDI DI PADRE PASQUALE ZIELLO
Pasquale ZIELLO nasce a S.Arpino il 2 settembre 1901, ultimo di 8
figli, da Salvatore e Maria Consiglia CINQUEGRANA, al Corso
Atellano n.33 (ora Vico Zarrillo 4). Il padre, noto in paese come “il
carabiniere”, svolge dapprima mansioni di “agente daziario” e poi di
“custode del cimitero”.
A Pasquale viene imposto questo nome in onore dell’omonimo zio,
sacerdote a S.Arpino da circa 30 anni. Si racconta che il piccolo, al
momento del battesimo, venga offerto a Dio dai genitori che
desiderano vederlo sacerdote da adulto.
Il fervore religioso che anima il ceppo familiare degli ZIELLO si è già
manifestato in altre occasioni nelle quali esso ha consacrato al Signore
i seguenti componenti:
- Pasquale ZIELLO (prozio del futuro missionario) divenuto
Frate Minore con il nome di Frà CARMELO;
- Pasquale ZIELLO (zio 1845-1923) sacerdote diocesano;
- Filomena ZIELLO (zia 1884-1971) suora ;
- Pasquale ZIELLO (sottotenente di fanteria di complemento
caduto nella guerra 1915-18) studente di teologia nel Seminario
di Aversa.
Pasquale manifesta sin da piccolo la sua predisposizione alla vita
religiosa. A nove anni, mentre frequenta ancora la scuola elementare,
chiede ai genitori di entrare nel Seminario di Aversa. Ma le cattive
condizioni economiche della famiglia frenano i genitori che non
possono pagare la retta del convitto religioso pur desiderando di
accondiscendere alla richiesta del figlio.
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L’intervento dello zio sacerdote don Pasquale ottiene, però, una
riduzione sul pagamento ed il piccolo può accedere (1911) al
“seminario piccolo” di Aversa aperto agli aspiranti poveri, al contrario
del “primo seminario” che accoglie i benestanti.
Il “seminario piccolo” è retto dal Canonico Antonio MIGLIACCIO i
cui metodi di insegnamento si ispirano a quelli di S.Giovanni BOSCO.
Pasquale vi compie gli studi ginnasiali (5 anni) passando, poi, al
“primo seminario” per il liceo.
Nel 1919 è iscritto al Seminario Interregionale Campano, gestito dai
Gesuiti a Posillipo, per studiare teologia.
Tra studi e disciplina molto severi, egli comincia ad entusiasmarsi per
i problemi missionari del tempo, assieme ad altri chierici provenienti,
come lui, dal Seminario di Aversa.
L’incontro con Padre Paolo MANNA (di recente beatificato)
Superiore del PIME Ducenta, nel 1922 a Frattamaggiore, fa sbocciare
in lui la vocazione missionaria che darà i suoi frutti successivamente.
Questa cresce giorno dopo giorno attraverso adorazioni eucaristiche,
piccole mortificazioni e rinunce. Convintosi definitivamente che il
disegno di Dio è quello di volerlo missionario, Pasquale parlerà, poi,
di “tocco mistico” del Signore nei suoi riguardi. In seguito tutta la sua
vita religiosa in terra birmana sarà orientata verso la perfezione
derivante da questo fenomeno spirituale che Dio ha provocato in lui.
Il 22 dicembre 1923 Pasquale viene ordinato sacerdote dal Vescovo di
Aversa Settimio CARACCIOLO seppure non ancora in età canonica.
Nello stesso anno viene adibito all’insegnamento nel ginnasio del
Seminario di Aversa dove diventa anche prefetto di disciplina. Tra il
1925 ed il 1926, insegnando materie letterarie in IV ginnasio, si
distingue per cultura e saggezza. Fine oratore, viene ricercato come
precettore nelle famiglie bene per la sua pietà e dolcezza di spirito.
89
Nel 1926, nonostante le proteste ed i tentativi di dissuasione dei
familiari che sognano per lui una comoda vita sacerdotale, che possa
produrre frutti anche per loro, nel paese natio, Pasquale decide di
partire missionario.
Si iscrive al PIME di Ducenta ed il suo esempio viene seguito da altri
chierici del Seminario di Posillipo tra i quali ricordiamo il frattese
Padre Mario VERGARA che sarà martire in Birmania nel 1950.
Dopo un mese a Ducenta, ove conosce vecchi missionari reduci dalla
Cina e dalla Birmania, parte per Milano dove, secondo le regole
dell’Istituto, benché sacerdote già da 3 anni, svolge un anno di
noviziato. Il 16 agosto 1927 giura fedeltà eterna al PIME e riceve il
mandato della evangelizzazione della missione di TOUNGOO in
Birmania.
Durante la cerimonia di addio, che si tiene nella Chiesa di S.Maria al
Naviglio il 18 agosto, è proprio lui a tenere il discorso di commiato
dopo che i neo missionari hanno ricevuto il CROCIFISSO, simbolo
dei missionari stessi, dalle mani del Cardinale di Milano Mons. TOSI.
Con le sue parole don Pasquale commuove tutti gli astanti.
Il 19 agosto, da Genova, P. Ziello si imbarca sul piroscafo
“GENOVA” alla volta dell’Oriente in compagnia di altri 20 confratelli
di fede. Dopo una breve sosta nel porto di Napoli dove abbraccia i
parenti, guidati da don Luigi DELL’AVERSANA ORABONA di
Lusciano (futuro Vescovo di Melfi e Rampolla), Pasquale riparte per
il continente asiatico.
L’8 settembre egli ed i suoi compagni sbarcano in INDIA e quelli di
loro destinati alla Birmania vengono trattenuti per 5 mesi nella
missione di HYDERABAD per perfezionarsi nella lingua inglese.
Questo periodo, benché molto duro, serve a P. Pasquale per
acclimatarsi con il nuovo continente. Egli incontra anche P. Paolo
Manna, suo Superiore, in giro per le sue missioni orientali. Assieme a
90
lui ed altri 2 nuovi missionari si imbarca, il 14 febbraio 1928, alla
volta della Birmania raggiungendo la città di RANGOON.
Il 12 marzo è a TOUNGOO, la sua “terra promessa. Base di un
territorio missionario curato dal PIME sin dal 1867, questa cittadina
serve anche come luogo di rifornimento e di rifugio all’emergenza.
Ma il missionario di S.Arpino viene destinato al villaggio di
LEITHO’, dimora della tribù dei CARIANI BIANCHI, distante 45
Km. e situato ad 800 m. di altezza.
Nel misero agglomerato di capanne di bambù, abitate da una dozzina
di famiglie, P.Ziello viene presentato così: “Ecco il vostro prete! E’ un
giovane, era professore, ha lasciato i genitori vecchi e due sorelle per
venire in mezzo a voi…Vogliategli bene!”. A Leithò, dove impara la
lingua locale ghebà, rimane un anno. Questo sarà l’unico periodo di
“missionario attivo” perché in seguito avrà altri compiti ai quali
attendere.
Tra il 1930 ed il 1934, infatti, è rettore del Seminario di Toungoo da
cui usciranno molti sacerdoti birmani, due dei quali diventeranno
anche Vescovi (nel 1961 e nel 1984).
Durante il suo rettorato si dà molta cura agli allievi e si risolvono
problemi legati alla costruzione di nuovi fabbricati. Inoltre, egli
approfondisce i suoi studi di teologia, liturgia e diritto ecclesiastico al
punto che, divenuto un grande esperto, viene consultato, per questioni
di Fede, da molti sacerdoti e Vescovi di altre missioni. Diventa
celebre il detto: “L’ha detto P. Ziello? Quindi la questione è chiusa!”
per indicare che i suoi verdetti sono giusti ed inappellabili.
In questo contesto egli emette il voto di perfezione per indicare la sua
risposta al “tocco mistico” dal quale è stato colpito, ad opera di DIO, e
per santificare la sua vita. Molti confratelli ed alcuni Vescovi
ricorrono a lui per la confessione, a testimonianza della stima di cui
gode.
Diventano numerosi anche gli inviti a predicare Ritiri ed Esercizi
Spirituali. In uno famoso del 1939 nella Missione di KENGTUNG un
sacerdote esprime così la soddisfazione per quanto appreso da P.
91
Pasquale: “Dopo tali esercizi, possiamo ben stare due anni senza farne
altri!”
Nel 1934 a Toungoo viene inviato anche P. Mario Vergara da
Frattamaggiore, che è stato ex alunno di P. Ziello nel Seminario di
Aversa. Questo sacerdote, che poi svolgerà il suo mandato missionario
nel Distretto di SHADOW, sarà martirizzato dai soldati battisti cariani
nel 1950.
Nel 1934 P. Ziello è nominato anche Procuratore della missione di
Toungoo ed in tale veste attende alla gestione economica della
missione, ai bisogni di tutti i missionari e missionarie sparsi nel
territorio, alla corrispondenza ed alle richieste di aiuto all’estero.
Viene riconfermato in questo incarico anche negli anni a venire per la
sua competenza ed il senso di responsabilità che dimostra.
Nel 1937 P. Pasquale perde entrambi i genitori che muoiono tra i mesi
di gennaio (il padre) e giugno (la madre).
Il 2° Conflitto Mondiale (1940-1945) arreca ingentissimi danni alla
missione di Toungoo. Quasi tutti gli edifici vengono distrutti ed i
missionari vengono in gran parte dispersi. Molti sono trasferiti in
campi di concentramento in India, altri trovano rifugio sui monti per
sfuggire alle uccisioni. Padre Ziello è tra questi ed alla fine della
guerra, grazie agli aiuti giunti dall’India, dall’Italia e dal
Governatorato Inglese della Birmania, può rimettere in sesto la
missione della quale è Vicario Generale e Procuratore.
Nel 1948 la Birmania ottiene l’indipendenza dagli inglesi ma con essa
inizia un periodo di lotte fratricide tra i diversi gruppi etnici che la
compongono. Di ciò fanno le spese i missionari il cui sangue macchia
la terra del loro apostolato.
Nello stesso anno P. Ziello festeggia il 25° anniversario di Sacerdozio.
Pubblicamente viene fatto oggetto di grande attenzione dalle Autorità
e dal popolo che cura ormai da 20 anni. Il Vescovo di Toungoo,
Alfredo LANFRANCONI, lo ringrazia per: “…il lavoro che lei è
92
venuto compiendo ormai da 15 anni con zelo e singolare diligenza a
beneficio di noi tutti e nel quale i notevoli doni di mente e di cuore
che il Signore le ha elargito, per gli Uffici voglio dire che ha occupato,
di procuratore e Vicario della missione”.
Tra il 1950 ed il 1953, 4 missionari italiani perdono la vita assieme ad
un catechista per l’odio tribale e di religione fomentato soprattutto dai
ribelli di fede protestante battista che hanno sempre avversato l’opera
dei sacerdoti cattolici.
P. Ziello, pur scosso nell’animo dagli avvenimenti, continua il suo
Ministero provvedendo alla ricostruzione graduale delle opere della
missione di Toungoo. Anzi, ottiene una conversione inaspettata e
molto singolare: quella del Colonnello buddista birmano U MAUNG
MAUNG.
Questo Ufficiale dell’Esercito Birmano, caduto prigioniero dei ribelli
cariani, riesce a fuggire. Una sera, presentatosi da P. Ziello, gli
manifesta l’intenzione di essere battezzato. E’ sicuro, dice, che la sua
fuga è da attribuire ad un intervento divino non potendosi altrimenti
spiegare come i cariani, mortali nemici dei birmani, non l’abbiano
ucciso. Rivela al sacerdote che i libri di carattere religioso da P.
Pasquale inviatigli durante il periodo di prigionia gli sono stati di
grande aiuto morale nelle sofferenze patite.
Riconosce, soprattutto, alla luce di quanto letto, che la Religione
Cristiana è l’unica vera.
Il battesimo del colonnello, divenuto in seguito eminente figura
dell’Esercito, ha una risonanza nazionale ed apporta a P. Ziello
notorietà e, in diverse occasioni, l’operato dei missionari viene
favorito dal Governo Birmano.
Nel 1957 P. Ziello rientra in Italia che non vede da 30 anni.
L’occasione è data dalla V Assemblea Generale del PIME durante la
quale deve essere eletto il nuovo Superiore Generale. P. Pasquale
viene scelto come delegato anche per consentirgli di riposarsi in Patria
dopo tanti anni di assenza.
93
Dei familiari, a S.Arpino, ritrova solo le tre sorelle. Il paese, con a
capo il Parroco D. Eugenio BENCIVENGA, lo accoglie in festa.
Durante la Celebrazione Eucaristica nella Chiesa di S.Elpidio,
racconta ai presenti le sue esperienze missionarie incantando tutti.
La sua permanenza in Italia dura 8 mesi al termine dei quali, il 21
dicembre 1957, con la motonave “NEPTUNIA”, riparte per la
Birmania.
Agli inizi del 1958, sfruttando le offerte raccolte in Italia, P. Ziello
pone mano alla costruzione di un ospizio per incurabili a Toungoo al
quale viene dato il nome di “piccolo Cottolengo”. Qui, ad imitazione
dell’analogo Istituto esistente a Torino, egli intende accogliere quegli
infermi rifiutati da altri ospizi.
Nel 1959, alla morte di Mons. Lanfranconi, Vescovo di Toungoo, P.
Pasquale è chiamato a sostituirlo come Vicario Capitolare. Governa,
con questa carica, la Diocesi per 17 mesi con competenza e rara
diligenza. Alla nomina del nuovo Vescovo, la Diocesi viene suddivisa
in due: Toungoo e Taungyi. P.Ziello potrebbe sicuramente essere uno
dei due nuovi Vescovi ma, presumibilmente, non vuole. Viene,
invece, nominato Procuratore e Cancelliere della nuova Curia di
Taungyi, dopo 30 anni di ininterrotto Ministero a Taungoo.
Tra il 1962 ed il 1964 inizia un periodo molto duro per la Chiesa
Cattolica in Birmania. Il Governo socialista, nato da un colpo di stato,
nazionalizza tutte le scuole, cattoliche e delle altre religioni
intendendo dare alla gioventù birmana una educazione materialistica
ed atea. Poi requisisce gli ospedali e gli orfanotrofi al fine di fare
tabula rasa dell’operato dei missionari e per convincerli a lasciare il
paese.
Nel 1965 moltissimi missionari, i più giovani, vengono espulsi dalla
Birmania ed ai più anziani vengono imposte limitazioni negli
spostamenti interni. Nonostante tutto P. Ziello continua a svolgere il
suo apostolato con grande spirito di sacrificio.
94
I missionari, in Birmania, si servono della stampa come mezzo di
apostolato. P. Ziello, dotato in campo letterario e teologico, sfrutta la
sua abilità per dare alle stampe numerosi lavori editi dall’attrezzata
tipografia del PIME di Toungoo ma anche in India ed in Italia.
Tra il 1952 ed il 1972 egli pubblica 15 libri e numerosi fascicoli ed
articoli, molti dei quali in lingua birmana. Tra i più famosi:
- DIRETTORIO AD USO DEI SACERDOTI DEL VICARIATO
APOSTOLICO DI TOUNGOO” 1952;
- “DA BUDDA A CRISTO” (storia della Birmania e della
conversione del Col. U MAUNG MAUNG) 1965;
- “UN’ESIGENZA DELL’AMORE” (studio sul significato del
voto di perfezione) 1972.
Il primo, molto elogiato, è un vademecum del missionario, un mezzo
per “poter divenire, o meglio mantenersi sempre missionario
modello”.
Nel 1973 (26 novembre) P. Ziello, per motivi di salute, viene
rimpatriato, nonostante egli abbia manifestata l’intenzione di morire in
terra birmana.
Nello stesso anno cade il suo 50° di sacerdozio ed egli lo festeggia, il
16 dicembre, nella Chiesa di S.Elpidio davanti ad una folla
strabocchevole. L’incontro con i fedeli, organizzato dal Parroco
PEZZELLA, è caldeggiato da P. Antimo Boerio, l’altro compaesano
missionario e Segretario Generale del PIME.
Nel 1974 si ritira nella casa di riposo del PIME a Rancio di Lecco
(Como), dove muore santamente, così come è vissuto, il 21 maggio
1976. E’ sepolto in Calco (Como) nel Cimitero PIME di Villa
Grugnana. L’annuncio della sua morte viene diffuso in Birmania dal
quotidiano GUARDIAN. La reazione unanime è: “ è morto un
Santo!”
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In onore di P. Pasquale Ziello, in S.Arpino viene intestata una strada e
vengono installate due lapidi.
La prima (fig.38) è apposta sulla facciata della casa natale in Vico Zarrillo
n.4.
La seconda (fig.39) si trova nella Chiesa di S. Canione.
fig. 38: LA LAPIDE IN VICO ZARRILLO SULLA FACCIATA DELLA
CASA NATALE DI P. PASQUALE ZIELLO
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fig. 39: LA LAPIDE AFFISSA NELLA CHIESA DI S. CANIONE
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16. LE LAPIDI DELLA CAPPELLA DI S. MARIA DELLE
GRAZIE NEL CIMITERO
Sono due, opere di privati cittadini, e si trovano nella Cappella di S.
Maria delle Grazie (fig.40), attigua alla Chiesa di S.Maria di Atella, nel
cimitero di S.Arpino. Ricordano:
- l’una il restauro, nel 1978, della antica icona della Madonna
(1300 circa) da parte dell’Avv. Antonio SPANO’ in onore della
sorella Titina morta prematuramente (09.12.1930-02.6.1977)
(fig.41);
- l’altra la devozione alla Madonna e la “cura” della Cappella da
parte di Giuseppe DELL’AVERSANA (fig.42).
fig. 40: L’ICONA DELLA MADONNA DELLE GRAZIE
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fig. 41: LA LAPIDE DELL’AVVOCATO ANTONIO SPANO’
fig. 42: LA LAPIDE DI GIUSEPPE DELL’AVERSANA
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17. LA LAPIDE DEL PARROCO PEZZELLA
Il 28 dicembre 1997 il Parroco Francesco PEZZELLA, in occasione
del 50° anniversario di Sacerdozio, fa installare una statua in marmo
della Madonna Immacolata (fig.43) nel Parco giochi di Via della
Libertà. Sotto la statua una lapide marmorea ricorda l’evento (fig.44) .
A fine 1998, per raggiunti limiti di età imposti dal Diritto Canonico, a
75 anni quello che per tutti i santarpinesi è ormai divenuto,
familiarmente, solo “Don Ciccio” lascia la carica attiva di Parroco
della Chiesa di S. Elpidio Vescovo pur conservandone il titolo
onorifico di Parroco Emerito.
Sono passati 6 lustri da quando, nel giugno del 1968, una Bolla del
Vescovo di Aversa Mons. Antonio CECE lo destina alla cura dei
parrocchiani del paese natio e ben 63 anni dal momento in cui decide
di dedicarsi alla vita religiosa.
Nato il 13 marzo 1923 in S. Arpino da Biagio, operaio, ed Annunziata
D’ALIA, casalinga, Francesco PEZZELLA, compiuti gli studi
elementari nel suo paese, entra nel Seminario Diocesano di Aversa
(1935).
Fino al 1940 vi compie il Ginnasio passando, poi, al Seminario
Pontificio Regionale in Salerno dove continua gli studi liceali
arrivando al IV anno di Teologia nel 1947.
Nel giugno dello stesso anno riceve l’Ordinazione Sacerdotale, in
Aversa, dalle mani di S.E. Mons. Antonio TEUTONICO. Celebra la
sua prima Messa in S. Arpino il 29 giugno 1947.
Per un biennio, fino al 1949, ricopre l’incarico di Animatore nel
Seminario Vescovile di Aversa, Conseguito, da privatista, nello stesso
anno l’Abilitazione Magistrale in Napoli all’Istituto Pimentel Fonseca,
si dedica all’insegnamento, dal 1950 al 1953, nel Circolo Didattico
della vicina Succivo.
100
Viene, nel frattempo, nominato (1950) collaboratore (Vice Parroco) di
Don Eugenio BENCIVENGA che sarà suo predecessore, come
Parroco, fino al 1968.
Nel 1954 lo ritroviamo nella Scuola di Avviamento Professionale in
S.Arpino quale Professore di Religione. Protrae l’incarico fino al 1988
quando riceve la pensione statale. Nel 1997 festeggia il 50° DI
Sacerdozio.
E’ stato uno dei Parroci più “longevi” della lunga lista che, partendo
dal 1599, lo annovera al 17° posto tra i Sacerdoti che si sono
avvicendati nell’Amministrazione dell’antica Parrocchia di S.Elpidio
Vescovo costruita ex novo da Alonzo III Sanchez De Luna, utile
Signore di S.Arpino, nel 1590.
fig. 43: LA STATUA DELLA MADONNA
NEL PARCO GIOCHI
101
fig. 44: LA LAPIDE DEL PARROCO PEZZELLA
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18. LE LAPIDI DI AMEDEO CINQUEGRANA
Due lapidi, una del 1983 (fig.45) e l’altra del 1998 (fig.46), entrambe
dettate dalla penna del Prof. Salvatore BRANCACCIO, tendono a
ricordare ai posteri che nell’elenco dei benefattori del popolo di
S.Arpino va inserito il nome di Amedeo CINQUEGRANA (fig.47).
Questi nasce in S.Arpino il 16.10.1895, da Raffaele ed Anna VERDE.
Arruolatosi nel Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza, vi rimane
effettivo per un quarantennio arrivando a ricoprire, all’atto della
pensione, il titolo onorifico di Tenente. Viene pure insignito dei titoli
di Cavaliere di Vittorio Veneto e Cavaliere della Repubblica. Sposato
con Giuseppina ROSSI, ha due figli: Giovanni ed Augusta.
Nel 1975, ormai ottantenne, nostalgico della terra natia e desideroso di
esservi ricordato, predispone una donazione in denaro (2 milioni poi
elevati a 3,5) a favore dell’Amministrazione Comunale di S. Arpino
che, con i proventi maturati, dovrà istituire annualmente una borsa di
studio per gli alunni della III elementare. Nel contempo dona diversi
volumi di vario genere alla Biblioteca Comunale.
Le donazioni vengono accettate ed annualmente si rinnova il rito della
premiazione della borsa di studio istituita a suo nome.
Egli muore, in Genova, il 14.7.1983. E’ sepolto in S.Arpino.
L’Amministrazione Comunale di S.Arpino, dal canto suo, esterna la
sua gratitudine per questo “illustre benefattore” dapprima con una
lapide affissa sulla facciata della Chiesa di S.Francesco di Paola e poi
intitolandogli il plesso scolastico elementare sito nella località
Paradiso.
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fig. 45: LA LAPIDE AFFISSA SULLA FACCIATA
DELLA CHIESA DI S. FRANCESCO DI PAOLA
104
fig. 46: LA LAPIDE AFFISSA NELLA SCUOLA ELEMENTARE
DELLA LOCALITA’ PARADISO
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fig. 47: IL CAVALIERE AMEDEO CINQUEGRANA
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19. LE LAPIDI DEI CADUTI IN GUERRA
Sono 4 ed installate:
- quella dedicata al Sergente Maggiore Francesco
PENNACCHIO sulla casa natale in Via S. Giacomo (fig.48);
- quelle dei Caduti della 1^ e 2^ Guerra Mondiale sulla
facciata principale del Palazzo Ducale (figg.49-50);
- quella del nuovo monumento ai Caduti in Piazza Salvo
D’ACQUISTO (fig.51).
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fig. 48: LA LAPIDE DI FRANCESCO PENNACCHIO
Francesco PENNACCHIO nasce in S.Arpino il 28.9.1889, da Alfonso
e Caterina GRIFASI, alla Via S.Giacomo 6. Arruolatosi volontario nel
Regio Esercito, diventa effettivo alla 5^ Compagnia del 71°
Reggimento Fanteria con cui partecipa alla Guerra Italo-Turca (1911-
1912). Muore nell’Ospedaletto di BENGASI (Cirenaica), il 3
dicembre 1911, per “ferite da arma da fuoco all’addome”. Decorato
di medaglia d’argento al Valor Militare.
La lapide è stata apposta nel 1923.
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fig. 49: LA LAPIDE DEI CADUTI DELLA 1^ GUERRA MONDIALE
La lapide ricorda i 40 santarpinesi morti, sui vari fronti di guerra,
durante il 1° conflitto mondiale (1915-1918). E’ stata costruita nel
1927, come si evince dalla data (Anno VI dell’Era Fascista) scolpita
sulla lampada votiva che l’adorna. E’ in marmo con i nomi dei Caduti
incisi e ritiene una bella Vittoria alata, di autore ignoto, una lampada
votiva, lo Stemma di S.Arpino e lo Stemma della Casa Regnante
Savoia tutti in bronzo.
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fig. 50: LA LAPIDE DEI CADUTI DELLA 2^ GUERRA MONDIALE
E’ stata installata nel 1982 a ricordo dei Caduti della 2^ Guerra
Mondiale (1940-1945). E’ in marmo con borchie e decori in bronzo e
riporta solo 27 dei 30 morti in guerra e per causa di essa.
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fig. 51: LA LAPIDE DEL MONUMENTO AI CADUTI
Nell’anno 2002 l’Amministrazione Comunale indice un concorso
pubblico per la realizzazione di un Monumento ai Caduti di tutte le
Guerre. Vince il bozzetto presentato dall’artista A. GIANNINO. Sotto
il manufatto, realizzato in bronzo ed installato nella Piazza Salvo
D’Acquisto, viene posta la lapide marmorea surriportata.
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20. LAPIDI ED INSEGNE VARIE
Sono due. La prima (fig.52) è una insegna metallica del TOURING
CLUB ITALIANO, installata in Via Martiri Atellani all’altezza del
civico 114 ed indicante il Comune di ATELLA DI NAPOLI nato, nel
1928, dalla fusione di S.Arpino, Succivo, Orta di Atella e parte di
Frattaminore e disciolto nel 1946 (si vedano i relativi Decreti
nell’Appendice Documentaria). La seconda (fig.53) è una targa
marmorea installata sulla Cabina Elettrica sita in Via Piave. Ricorda la
Società costruttrice esistente prima dell’ENEL.
fig. 52: L’INSEGNA INDICANTE ATELLA DI NAPOLI
fig. 53: LA LAPIDE INSTALLATA SULLA CABINA ELETTRICA
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CAPITOLO III
GLI STEMMI
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GLI STEMMI
In S. Arpino, apposti od affrescati su Palazzi Gentilizi, esistono ancora
diversi stemmi, quasi tutti relativi ad Insegne nobiliari di varie
Famiglie, che testimoniano un passato lontano, fatto di “caste” e strati
sociali diversi.
L’uso di “alzare” uno stemma risale al medioevo ed era peculiare di
una casta particolare, i “nobili”, destinataria di privilegi sociali sul
resto della popolazione e quasi sempre, per concessione della Corona
regnante, “utili Signori” di un territorio denominato “feudo”.
Nel tempo una consolidata legislazione, detta “araldica”, ha
provveduto alla “concessione, al riconoscimento ed alla registrazione”
di stemmi per Città, Comuni, Enti e persone.
Dal 1806 tutti i privilegi feudali, che spesso provocavano
“prevaricazioni” nei confronti del popolo, sono stati aboliti ma l’uso
di concedere stemmi è rimasta prerogativa sovrana dei Regnanti
d’Italia fino alla fine della Monarchia ed all’avvento della Repubblica.
Ancora oggi, tuttavia, seppure con uno spirito diverso, gli stemmi
vengono concessi dal Presidente della Repubblica a Città, Comuni ed
Enti quale “documento di identità” della storia passata.
“Per stemma od arma, secondo l’accezione araldica, s’intende il complesso di
determinate figure effigiate secondo certi principi e regole, che costituiscono i
contrassegni stabili di persone od Enti e vengono portate ed usate per una speciale
autorizzazione. Una figura entra a far parte di un’arma solo se inserita nella forma
di uno scudo con determinati colori in una figurazione fissa ed ereditaria. Lo
stemma, per le persone, si compone di 2 parti: lo scudo e l’elmo con l’aggiunta di
ornamenti come la corona e gli svolazzi. Lo scudo è il fondo sul quale sono
disegnate le figure araldiche. Il fondo si chiama campo e figure tutti i disegni che
sono sopra lo scudo. Per intendere il linguaggio araldico relativo alle parti dello
scudo ed alle posizioni delle figure è necessario figurarsi un cavaliere dentro la
propria armatura ed imbracciante lo scudo. Si capirà, allora, perché in araldica si
chiama destra la parte che resta a sinistra di chi guarda e viceversa. Anche le
figure dello scudo sono in genere rivolte verso destra (sinistra di chi guarda), cioè
nella direzione del guerriero che si copre con lo scudo, verso l’avversario.
114
Nelle varie epoche furono in voga moltissime forme di scudi. La forma di scudo
ammessa ora in Italia è quella sannitica.
Per facilitare il blasonamento dello scudo, si è pensato di dividere lo stesso in
tante parti alle quali sono stati dati nomi specifici comparando lo scudo col corpo
umano.
Le suddivisioni dello scudo secondo le varie direzioni sono le seguenti:
PARTITO = diviso verticalmente in due parti uguali;
TRONCATO = diviso orizzontalmente in due parti uguali;
TRINCIATO = diviso in diagonale dall’alto a destra al basso a
sinistra;
TAGLIATO = diviso in diagonale dall’alto a sinistra al basso a destra.
Lo scudo può avere il campo di uno o più smalti. Gli smalti sono 7: 5 colori e 2
metalli. I colori sono: il rosso, l’azzurro, il verde, il nero ed il porpora. I
metalli: l’argento e l’oro. Nelle rappresentazioni grafiche e nelle realizzazioni in
bronzo, pietro, marmo ecc. vengono effigiati con linee e puntini. L’argento è
rappresentato lasciando indenne la superficie da linee e punti.
La corona, posta al di sopra dello stemma, indica il grado nobiliare ed assume
forma diversa a secondo del rango di chi la usa.
Tra gli ornamenti accessori dello scudo c’è il motto, breve espressione scritta per
lo più in lettere maiuscole romane sopra liste bifide svolazzanti, dello stesso
colore del campo, poste sotto lo scudo (1)”.
(1) A. DELL’AVERSANA – E. SPUMA “ORDO POPULUSQUE
ATELLANUS” – S.ARPINO A.R.C.A. 2000
115
1. GLI STEMMI DEI SANCHEZ DE LUNA
Nel 1574, con l’acquisto definitivo del feudo di S.Arpino, avviato nel
1969 da Caterina DE LUNA, moglie del Marchese di Grottole
ALONZO III SANCHEZ DE LUNA, inizia sul nostro paese la
dominazione di questa Famiglia originaria dell’Aragona.
Essa arriva in Italia nel 1282, quando gli spagnoli conquistano la
Sicilia a seguito dei Vespri Siciliani.
Nel tempo riesce ad acquisire tanto potere, per i vari servigi resi ai
Regnanti di Sicilia e di Napoli, da possedere 38 feudi in tutta la
penisola ed in gran parte delle regioni del sud.
In S.Arpino essa produce una serie di feudatari che termina nel 1806,
con l’eversione della feudalità voluta dai francesi.
Alonzo III costruisce in paese, tra il 1574 ed il 1590:
il Palazzo ove risiede che sarà, successivamente, detto Ducale;
la Chiesa di S.Elpidio in sostituzione dell’analoga abbattuta per
far posto al Palazzo;
la Chiesa ed il Convento di S.Maria della Stella, ora Cappella
del Cimitero.
La linea di successione dei Sanchez De Luna in S.Arpino sarà la
seguente:
ALONZO III 1° Signore dal 1574 al 1607;
GIOVANNI III 2° Signore dal 1607 al 1612;
LUIGI 3° Signore dal 1612 al 1639;
ALONZO V 4° Signore dal 1639 al 1664;
GIOVANNI IV 1° Duca dal 1664 al 1672;
ALONZO VI 2° Duca dal 1672 al 1694;
GIOVANNI NICOLA 3° Duca dal 1694 al 1763;
ALONZO VII 4° Duca dal 1763 al 1781;
GIOVANNI FRANCESCO 5° Duca dal 1781 al 1789;
116
ALONZO VIII 6° Duca dal 1789 al 1806.
Alcuni di questi Feudatari lasceranno la loro Insegna sui manufatti
costruiti in S.Arpino.
Gli stemmi sono ancora installati nei luoghi ove furono posti ab
origine.
Un discorso a parte merita lo stemma “scoperto” sotto la volta
dell’androne d’ingresso del Palazzo Ducale. Quello al momento
visibile è un falso storico clamoroso. Un restauro inappropriato,
infatti, ci ha restituito una Insegna fasulla privandoci di gran parte
della nostra memoria storica.
117
1.a LO STEMMA DI ALONZO III SANCHEZ DE LUNA
(1° SIGNORE DI S. ARPINO 1574-1607)
Alonzo III Sanchez De Luna succede al padre Alonzo I, nel 1564, nel
feudo di Grottole (ora in provincia di Matera) di cui diventa Marchese
per l’investitura di Re Filippo II.
Intanto è già da tempo Regio Tesoriere Generale del Regno, carica
trasmessagli per privilegio regio dal padre.
Con altro privilegio del 19 dicembre 1566 il Re lo promuove alla
dignità di Collateral Consigliere di Stato del Regno di Napoli. Egli
esercita l’ufficio con tanta soddisfazione che, il 31 marzo 1570, viene
ammesso dai Nobili del Seggio di Montagna a godere gli onori della
sua nobiltà.
Sposa, nella Chiesa di S.Giovanni in Firenze, D.Caterina De Luna,
figlia di D. Giovanni Martinez De Luna, Signore di Porroi, Cavaliere
di S.Giacomo, Commendatore di Monte Albano, Cavallerizzo
Maggiore, Castellano di Milano e Generale dell’Armata di Pisa e
Siena.
Per parte della moglie Alonzo III acquista le ragioni di successione
della Baronia di Illucca, trasformata poi nel Contado di Moratta, in
Aragona, e comprendente i castelli di Moratta, Gotor, Valtorres,
Borrei, Cindes, Tralles, Illucca e Leossa.
Tra il 1569 ed il 1574 D. Caterina De Luna attende alla compera del
Casale di S.Arpino, allora feudo della Famiglia CARAFA, con la
giurisdizione delle prime cause civili, criminali e miste. In seguito
vengono acquistati, dalla Regia Corte, l’Ufficio di Mastrodattia e le
seconde cause a “zone di ducati 5 a fuoco per n.63 fuochi, in feudis e
con il servizio dell’Adoha”.
Alonzo III viene molto favorito dal Re Filippo II con l’appoggio del
quale, e contro l’opposizione del Viceré di Napoli Duca d’Ossuna,
compra la Dogana (DEL FERRO) delle Terziarie, detta di Puglia.
Avendo accumulato enormi ricchezze, tenta di comprare per 100 mila
ducati le città di Lettere e Gragnano senza, però, riuscirvi.
118
Rivende, invece, a Giovanni Battista Caracciolo, l’Ufficio di Regio
Tesoriere del Regno per 33 mila ducati.
In S.Arpino, tra il 1574 ed il 1590, Alonzo III costruisce, dopo aver
abbattuto diverse abitazioni nel centro del paese:
il Palazzo ove risiede che sarà, successivamente, detto Ducale;
la Chiesa di S.Elpidio in sostituzione dell’analoga abbattuta per
far posto al Palazzo;
la Chiesa ed il Convento di S.Maria della Stella, ora Cappella del
Cimitero.
Dal matrimonio con D. Caterina De Luna ad Alonzo nascono questi
figli:
Alonzo;
Alonzo: futuro Marchese di Grottole;
Giovanni: futuro Signore di S.Arpino;
Gabriele: futuro Cappellano Maggiore del Regno di Napoli;
Antonio: valoroso militare in diverse campagne;
Girolamo: Cavaliere di Malta e Commendatore di Mareggio;
Brianda: sposa d.Antonio Brancaccio Duca di Lustri;
Isabella: sposa D.Antonio Ruffo dei Principi di Sicilia.
In punto di morte (avvenuta nel 1607) Alonzo III lascia, nel
testamento, “erede in feudalibus” il primogenito Alonzo (IV) ed erede
universale il secondogenito Giovanni. A questi andrà, dopo una lite
ereditaria tra fratelli, il feudo di S.Arpino mentre Alonzo IV riterrà
esclusivamente il titolo di Marchese di Grottole.
Lo stemma di Alonzo III, in marmo ed in duplice esemplare (fig. 54) ,
risulta ancora installato sul portale di piperno della Chiesa di S.Elpidio
Vescovo.
119
fig. 54: LO STEMMA DI ALONZO III SANCHEZ DE LUNA
INSTALLATO SUL PORTALE DELLA CHIESA
DI S. ELPIDIO VESCOVO
120
DESCRIZIONE ARALDICA DELLO STEMMA
“SCUDO SAGOMATO PARTITO-SEMITRONCATO. NEL 1°
DI ARGENTO A TRE BANDE DI ROSSO COL LEONE DI
AZZURRO ATTRAVERSANTE SUL TUTTO (per Famiglia
SANCHEZ). NEL 2°: NEL 1° DI ROSSO AD UN CRESCENTE
RIVERSATO DI ARGENTO E NEL 2° DI ARGENTO PIENO
(per Famiglia DE LUNA)”.
LA CORONA, SICURAMENTE DI MARCHESE, RISULTA
ROTTA IN ENTRAMBI GLI ESEMPLARI.
121
1.b LO STEMMA DI ALONZO VII SANCHEZ DE LUNA
(4° DUCA DI S.ARPINO 1763-1781)
Alonzo Ciro Giuseppe Donato Baldassarre Sanchez De Luna è il
primogenito maschio, dopo Caterina, di Giovanni Nicola (3° Duca di
S.Arpino) e Laura Maria Pisano Marchesa di Pascarola.
Nasce in S.Arpino il 16 marzo 1704 e viene battezzato nello stesso
giorno nella Chiesa di S.Elpidio. Padrino è lo zio Gabriele Sanchez De
Luna.
Nel 1729 eredita, per la morte della madre, il titolo di Marchese di
Pascarola. Rivende questo feudo, tra il 1739 ed il 1742, a D.
Domenico Palomba.
Sposa D. Laura Caracciolo ed il 13 aprile 1763 rileva il Ducato di
S.Arpino per morte del padre.
Alonzo VII è militare di professione e partecipa a diverse campagne
sotto vari Regnanti nei Reggimenti di Cavalleria. Ottimo cavallerizzo,
è tenuto talmente in considerazione dal Re austriaco Carlo V (poi VI
come Imperatore) che questo lo eleva dapprima al grado di Tenente
Colonnello e poi gli conferisce, in occasione delle nozze della figlia
Maria Teresa, il rango di Ciamberlano Imperiale. Anche l’Imperatore
Giuseppe II gli conserva questo onore inviandogli la Chiave d’oro,
simbolo della carica, direttamente a S.Arpino da un proprio Ministro e
forse alla presenza dell’Arciduca Massimiliano.
Alonzo diventa anche autore di queste 3 opere a carattere militare che
egli spedisce a diversi Regnanti d’Europa, tra i quali Federico II di
Prussia, l’Imperatrice Maria Teresa d’Austria, Filippo I Duca di
Parma, Papa Pio VI, il Re di Sardegna, e che gli procurano una certa
notorietà:
LO SPIRITO DELLA GUERRA – 1760;
TEORICA PRATICA MILITARE (2 TOMI) – 1762/1769;
DELLE MILIZIE GRECA E ROMANA – 1763.
122
Il 4° Duca di S. Arpino è anche ricordato per la sua prodigalità verso il
popolo santarpinese durante la triste carestia degli anni 1763-1764.
Nell’occasione, infatti, tenta, attraverso l’acquisto di vettovaglie, di
alleviare le difficoltà enormi in cui versano i suoi vassalli.
Nel 1780, a seguito della traslazione dei corpi dei Santi Prospero e
Costanzo, curata dal fratello gesuita Gennaro nella Chiesa di S.Elpidio
Vescovo, Alonzo VII costruisce nella Chiesa l’altare dove ancora
riposano quei resti mortali.
A ricordo viene lasciata una lapide e nel paliotto dell’altare viene
istoriato, in duplice esemplare, il suo stemma (fig.55).
Il 17 dicembre 1781, dopo una settimana di “febbre convulsiva
biliosa”, Alonzo VII (fig.56) muore e viene seppellito, dopo pompose
esequie previste per il suo rango, nella Chiesa di S.Gregorio Armeno,
nella tomba di Famiglia dei Pisano cui appartiene la moglie.
Anche in S.Arpino gli vengono resi onori funebri imponenti e,
nell’occasione, è l’Abate Vincenzo De Muro a tessere l’elogio funebre
dell’estinto.
DESCRIZIONE ARALDICA DELLO STEMMA
“SCUDO ACCARTOCCIATO. INQUARTATO: NEL 1° E 4° DI
ARGENTO A TRE BANDE DI ROSSO COL LEONE DI
AZZURRO ATTRAVERSANTE SUL TUTTO (per Famiglia
SANCHEZ). NEL 2° E 3°: NEL 1° DI ROSSO AD UN
CRESCENTE RIVERSATO DI ARGENTO E NEL 2° DI
ARGENTO PIENO (per Famiglia DE LUNA). IN CUORE LO
SCUDETTO CON LA STESSA ARMA DEI DE LUNA”
123
fig. 55: LO STEMMA DI ALONZO VII SANCHEZ DE LUNA
SUL PALIOTTO D’ALTARE DELLA CAPPELLA DELLA
MADONNA DEL BUON CONSIGLIO
124
fig. 56: ALONZO VII SANCHEZ DE LUNA (incisione tratta da “FUNERALI PER D.ALONZO SANCHEZ DE LUNA D’ARAGONA-1781”
BIBLIOTECA NAZIONALE- NAPOLI)
125
1.c LO STEMMA DI ALONZO VIII SANCHEZ DE LUNA
(6° DUCA DI S. ARPINO 1789-1806)
Alonzo VII è figlio di Giovanni Francesco, 5° Duca di S.Arpino, e
Maria Teresa De’ Rossi Duchessa di Casal di Principe e Contessa di
Caiazzo.
Il 17 marzo 1783, alla morte della madre, diventa suo erede nei feudali
ed il 16 novembre 1789, morto il padre, diventa 6° ed ultimo utile
Duca di S.Arpino.
Egli cumula, così, i seguenti titoli per le varie successioni dei suoi avi:
CONTE DI MORATTA (in Spagna);
CONTE DI CAIAZZO SUL VOLTURNO;
DUCA DI ATELLA;
DUCA DI CARFIZIO;
DUCA DI CASAL DI PRINCIPE;
MARCHESE DI PASCAROLA;
MARCHESE DI MACCHIAGODENA;
MARCHESE DI S. NICOLA E CASABONA;
BARONE DI TORRE CARBONARA,
come si evince dalla lapide da lui stesso fatta affiggere nel Palazzo
Ducale, nel 1798, in occasione delle nozze con Maria Giovanna
D’Avalos Marchesa di Pescara e di Vasto.
Nello stesso anno egli abbellisce il palazzo rinnovando la facciata
principale ed aggiungendo un quarto lato con loggiato.
Deputato della Città di Napoli, nel 1799 aderisce alla Repubblica
Partenopea e, al ritorno dei Borboni, è arrestato e condannato a 5 anni
di prigione. Non sappiamo, però, se sconta il carcere.
Lo ritroviamo, dopo l’abolizione della feudalità, nel 1808 quando
acquista la Starza Terracciana (il territorio della Maddalena in S.
126
Arpino). Nel 1810 sostiene, per possedimenti terrieri, una lite con
l’Università di Casal di Principe.
Dismesse le prerogative feudali, il Ducato di S.Arpino passa,
attraverso Teresa sua unica figlia, sposata con Carlo Caracciolo Duca
di S.Teodoro, al nipote di Alonzo VIII Alonzo Caracciolo Sanchez De
Luna che morirà a 23 anni nel 1853.
Lo stemma di Alonzo VIII si ritrova:
in marmo, installato sulla facciata principale del Palazzo Ducale
(fig.57);
affrescato, su di una volta al 1° piano dello stesso Palazzo (fig.58).
DESCRIZIONE ARALDICA DELLO STEMMA
“SCUDO OVALE PARTITO. NEL 1° PARTITO
SEMITRONCATO: NEL 1° INQUARTATO IN CROCE DI
S.ANDREA: NEL 1° PALATO DI ROSSO E GIALLO; NEL 2°
ALL’AQUILA ARALDICA CORONATA. NEL 2°
INQUARTATO : NEL 1° E 4° DI ARGENTO A TRE BANDE
ROSSE COL LEONE D’AZZURRO ATTRAVERSANTE SUL
TUTTO; NEL 2° E 3° : NEL 1° DI ROSSO AD UN CRESCENTE
RIVERSATO DI ARGENTO E NEL 2° DI ARGENTO PIENO.
IN CUORE LO SCUDETTO CON L’ARMA DEI DE LUNA (il
tutto per Famiglia SANCHEZ DE LUNA).
NEL 2° INQUARTATO: NEL 1° E 4° DI AZZURRO AL LEONE
RAMPANTE DI ARGENTO; NEL 2° E 3° ONDATO DI
ARGENTO ED AZZURRO (per Famiglia DE’ ROSSI).
AD ORNAMENTO DELLO SCUDO IL MANTO DI
ERMELLINO SOVRASTATO DA CORONA DUCALE.”
127
fig. 57: LO STEMMA MARMOREO DI ALONZO VIII SANCHEZ DE
LUNA INSTALLATO SULLA FACCIATA PRINCIPALE
DEL PALAZZO DUCALE
128
fig. 58: LO STEMMA DI ALONZO VIII SANCHEZ DE LUNA
AFFRESCATO AL 1° PIANO DEL PALAZZO DUCALE
129
1.d LO STEMMA “IGNOTO” DELLA FAMIGLIA SANCHEZ
DE LUNA
Come d’uso durante il feudalesimo, anche in S. Arpino esisteva,
affrescato sotto la volta dell’androne d’ingresso del Palazzo Ducale,
uno stemma di grosse dimensioni recanti le Insegne Gentilizie della
Famiglia Sanchez De Luna. Nel corso dei secoli in cui questa
Famiglia ebbe i privilegi del feudo, si assistette a diverse ridipinture di
detto stemma perché ciascun feudatario imperante faceva sovrapporre
la propria Arma a quella del predecessore.
L’ultima versione è rimasta occultata da mani di tintura bianca,
prodotta in epoca imprecisata, sino all’anno 2001 quando
l’Amministrazione Comunale pro tempore promuove una operazione
di “rinvenimento-restauro” tesa a recuperare una testimonianza storica
ancora ignota.
Detta operazione, però, iniziata nel mese di maggio e terminata in
poco più di un mese, fallisce completamente restituendo alla
Comunità santarpinese un fumettistico bozzetto lontanissimo parente
di un’Arma gentilizia, inventato di sana pianta, per nulla rispondente
alle rigide leggi dell’araldica e, pertanto, difficilmente blasonabile
(fig.59).
Una restauratrice impreparata storicamente e giovani maestranze
inesperte cancellano in fretta e furia le tracce di tre secoli di storia di
una Famiglia molto importante e privano S.Arpino di gran parte della
sua memoria.
L’assoluta mancanza di indagini diagnostiche e la fretta di portare a
termine l’operazione arrecano danni tali da indurre gli operatori ad
“inventarsi” uno stemma pur di presentare un risultato alla
popolazione.
130
Le vibrate proteste dell’associazionismo locale, che produce un
dossier inviato alle più alte Autorità dello Stato, induce la
Sovrintendenza competente ad autorizzare il parziale discialbo
immediato di quanto inopportunamente ridipinto.
Ciò che rimane al momento visibile (fig.60) non è altro che uno
stemma composto da figure araldiche appartenute in origine a diversi
stemmi sovrapposti. Esso non ha, pertanto, alcun valore storico né è
attribuibile ad alcun feudatario.
Auspichiamo che la Sovrintendenza, come promesso, rimetta mano al
progetto di restauro dopo le previste “approfondite ricerche storiche”
(vds. Appendice Documentaria).
131
fig. 59: COME SI PRESENTAVA LO STEMMA RIDIPINTO EX NOVO
132
fig. 60: COME SI PRESENTA LO STEMMA AL MOMENTO DOPO LA
DESCIALBATURA AUTORIZZATA DALLA SOVRINTENDENZA
133
2. GLI STEMMI DEL VESCOVO MARCO DE SIMONE
E DEL FRATELLO MEDICO ANTONIO
Rampollo di una Famiglia benestante radicata in paese sin dal secolo
XVI, Marco DE SIMONE nasce in S.Arpino, presumibilmente
nell’attuale Palazzo Zarrillo sito nella Strada per S.Maria d’Atella, il
17 giugno 1704 da Gregorio ed Andreana BIANCO.
E’ battezzato, due giorni dopo, dal Parroco Gioacchino PEZZELLA
con i nomi di Antonio Marco Agnello. Fa da madrina la levatrice
Maddalena PEZONE.
Giovanissimo, viene avviato alla vita religiosa nel Seminario di
Aversa dove si distingue, sin dai primi studi, per la sua prodigiosa
memoria e l’ingegno precocissimo. Risulta essere molto versato nelle
opere poetiche e nella prosa.
Successivamente inframezza i suoi studi in Filosofia, Matematica,
Teologia, Diritto Canonico, Greco, Ebraico e Francese con
esperimenti nel sociale aprendo una “Scuola per giovani” nel paese
natio.
Nel 1731, già Sacerdote dotto e zelante, si trasferisce in Napoli, ospite
del fratello medico Antonio che ha aperto uno studio in questa città sin
dal 1726, e qui diventa precettore di Francesco CARAFA, dei Duchi
di Traetto, futuro Cardinale. Nel 1740, attiratovi sicuramente da
orizzonti più ampi, lo ritroviamo a Roma.
Nella Città Santa molti lo ammirano per il suo ingegno grazie al quale
diventa membro dell’Accademia dell’Arcadia. Tra il 1740 ed il 1750
la sua Cultura e la sua Dottrina lo pongono all’attenzione della Curia
romana. Molti sono, infatti, gli incarichi che ricopre.
Designato, dal Cardinale Carafa, Uditore nella Legazione di Ferrara,
svolge talmente bene il compito da venire nominato Vicario Generale
del Cardinale CRESCENTI Arcivescovo di quella città.
Il Papa BENEDETTO XIV (Prospero LAMBERTINI), al quale ,
probabilmente, lo lega qualche relazione di parentela in virtù della
134
moglie di suo fratello Antonio Marianna LAMBERTINI, lo designa a
Vescovo di Salerno nel 1750 ma Marco rifiuta. Accetta, invece, due
anni dopo, la Mitra della Diocesi di Troia di cui diventa 58° Vescovo
succedendo a Mons. Pietro FACCOLLI.
Nella Bolla di partecipazione, del 17 luglio 1752, al Comune ed alla
Diocesi di Troia della nomina di Mons. DE SIMONE, il Papa così si
esprime “…abbiamo provveduto nominando la persona del diletto
figlio Marco De Simone eletto di Troja, accetta a Noi ed ai venerabili
fratelli nostri Cardinali di Santa Romana Chiesa per la rilevanza dei
suoi meriti…sì che possiate rallegrarvi di aver trovato…in lui…un
padre benevolo”.
E Marco DE SIMONE, nell’arco dei successivi 25 anni, sarà talmente
un Buon Pastore da essere ricordato perfino oggi come uno dei più
grandi Prelati che abbiano diretto la Diocesi Troiana.
Il suo zelo ed il suo spirito di carità compiono, infatti, meraviglie nella
città dauna. Lascerà il ricordo di sé nel campo dell’edilizia religiosa ed
in quello dell’amore verso le pecorelle del gregge a Lui affidato.
Con le rendite che gli derivano dal suo stato di Vescovo Feudatario (è
Barone di S.Lorenzo in Carmignano, località vicino Troia, ed “utile
Signore” dei feudi di Monte Calvello e S.Nicola) egli abbellisce Troia
sotto l’aspetto architettonico di interesse religioso.
Nell’intero arco della sua attività pastorale costruirà opere splendide,
tra le quali:
- il Palazzo Vescovile (su probabile progetto del Vanvitelli);
- i saloni, le camerate ed il refettorio del Seminario
(ampliamento);
- la balaustra, l’altare ed i frontespizi marmorei della Cappella
del Seminario;
- la Cappella dell’Assunta nella Cattedrale;
- la balaustra con scalinata all’ingresso della Cattedrale;
- il Campanile della Cattedrale;
- la Chiesa di S.Giovanni al Mercato (inizio costruzione).
135
Dota, inoltre, la Cattedrale di due magnifici Organi che saranno, in
seguito, trasportati altrove.
Per questa sua frenetica ed intensa attività edilizia, Mons. DE
SIMONE viene definito, dai suoi contemporanei, come il Vescovo
affetto dal “mal della pietra”.
Ma Egli è ricordato, soprattutto, per i suoi morigerati costumi, il suo
magnanimo cuore e la vita vissuta santamente.
Le cronache, infatti, raccontano come Egli aborrisca il fasto, la
sontuosità e lo splendore prediligendo, invece, la semplicità e l’umiltà.
Il suo pasto abituale risulta essere molto frugale, a base di legumi o di
pesce di modesta qualità. Le sue ricchezze vengono spese per il
decoro degli edifici religiosi e per il sostegno dei poveri.
La sua sollecitudine pastorale lascia un segno che molti scrittori
definiscono un vero “miracolo”.
Nel 1764, a causa di una grande carestia, Mons. DE SIMONE
distribuisce ai bisognosi ed ai poveri tutto il grano che ha fatto
raccogliere nella sua masseria dello Staffio. Ma questo non basta ed il
Vescovo fa una processione di penitenza al termine della quale riapre i
magazzini. Come per incanto questi vengono ritrovati pieni! La
Divina Provvidenza, infatti, moltiplica il pochissimo grano che era
rimasto fino ad arrivare a cinquemila tommoli che vengono
equamente divisi tra tutti i contadini privi di semenza.
Mons. DE SIMONE rivela di essere anche un buon agronomo per la
sua Diocesi. Insegna, infatti, ai coloni a saper sfruttare il concime di
origine organica, dagli stessi fino ad allora ritenuto inutile, per rendere
più fertile il terreno. Ed i risultati non tardano ad arrivare. Il raccolto
viene quasi triplicato!
Pur assente per lunghissimi anni dal paese natio, Mons. DE SIMONE
non dimentica S.Arpino dove continua a vivere parte del suo nucleo
familiare che annovera, oltre ai genitori, la sorella Carmina e lo zio
sacerdote Elpidio DE SIMONE. I fratelli Antonio, medico, e
Giuseppe, studente di medicina, vivono più a Napoli che a S.Arpino.
136
Nel 1754 egli dona alla Chiesa di S.Elpidio Vescovo, in fase di
ristrutturazione, il magnifico altare maggiore in marmo ed in stile
barocco sui lati del quale fa scolpire anche la sua Insegna Vescovile (fig.61).
Nel contempo egli consacra pure la Chiesa. A ricordo dell’episodio
viene murata una lapide che sarà rimossa nel 1884 durante la
definitiva ristrutturazione dell’edificio religioso. Il fratello Antonio,
nel 1758, regala, a sua volta, la balaustra in marmo che chiude
l’abside. Anch’egli fa scolpire l’Insegna gentilizia familiare nel
marmo della balaustra (in duplice esemplare) (fig.62) a perenne ricordo
della sua devozione.
Mons. Marco DE SIMONE, già affetto da molti anni da malanni vari e
portatore di una protesi oculare, muore all’improvviso in Troia,
colpito da colpo apoplettico, nella notte tra il 19 ed il 20 febbraio
1777, all’età di 73 anni e dopo 25 di governo pastorale in terra
pugliese.
I solenni funerali vengono officiati dall’Arcivescovo di Matera Mons.
Francesco ZUNICA e Mons. DE SIMONE viene seppellito nella
Cappella dell’Assunta.
DESCRIZIONE ARALDICA DELLO STEMMA
“SCUDO ACCARTOCCIATO. NEL 1° DI NERO ALLA
STELLA D’ORO BOTTONATA DI ROSSO; NEL 2°
D’ARGENTO AL GIGLIO D’ORO FASCIATO DI ROSSO; SUL
TUTTO UNA FASCIA DI ROSSO CARICATA DA TRE GIGLI
D’ORO FASCIATI DI ROSSO”
Lo Stemma del Vescovo è ornato dal Cappello Prelatizio e due
cordoni a sei fiocchi mentre quello del fratello Antonio è ornato di
corona apparentemente di Marchese.
137
fig. 61: LO STEMMA DI MONS. MARCO DE SIMONE
SULL’ALTARE MAGGIORE DELLA CHIESA DI S. ELPIDIO VESCOVO
138
fig. 62: LO STEMMA DI ANTONIO DE SIMONE
SULLA BALAUSTRA DELL’ABSIDE DELLA CHIESA
DI S. ELPIDIO VESCOVO
139
3. LO STEMMA DEL VESCOVO ORAZIO MAGLIOLA
Orazio MAGLIOLA nasce in S.Arpino, il 04 settembre 1745, dal
Dottor Fisico Giacinto e dalla Magnifica Donna Angela DE LUCA. E’
battezzato nello stesso giorno dal Parroco Pasquale DE LUCA anche
con i nomi di Antonio, Luigi e Vincenzo. A portarlo al fonte è
l’ostetrica Lucia CALIFANO.
Appartenente ad una delle Famiglie più benestanti dell’epoca e che ha
già dato diversi componenti alla Chiesa, Orazio viene avviato
giovanissimo alla vita religiosa. Studia nel Seminario diocesano di
Aversa ma non risultano, tuttora, noti i dati relativi alla sua
ordinazione. Conosciamo, invece, che nutre un profondo amore per lo
studio, soprattutto delle cose sacre, tanto da essere considerato ben
presto come profondo conoscitore della Giurisprudenza oltre che dotto
Canonista.
Per queste sue doti, accoppiate all’onestà, è chiamato da ben due
Vescovi a ricoprire l’incarico di Vicario Generale delle rispettive
Diocesi. La prima volta è a MURO, con Mons. DE LUCA; la seconda
a Capua, sotto L’Arcivescovo Mons. GERVASIO, influente figura di
Prelato, Cappellano Maggiore del Regno e Confessore del Re
Ferdinando IV.
Sarà lo stesso Mons. GERVASIO a “favorire” sia la nomina regia di
Orazio MAGLIOLA a Vescovo di ACERRA che il suo ingresso,
quale Membro, nella Giunta dei Vescovi presieduta dallo stesso
Arcivescovo. All’interno di essa al Prelato di S.Arpino verrà chiesto di
risolvere importantissimi affari di Governo.
Orazio MAGLIOLA viene nominato Vescovo della Diocesi Acerrana
dopo una vacanza di governo succeduta alla morte di Frà Leonardo
DE FUSCO. La Bolla papale di nomina di Pio VI porta la data del 19
dicembre 1797. Il regio exequatur, con cui all’epoca veniva permesso
dal Re di prendere possesso della sede vescovile, viene concesso da
Ferdinando IV il 22 dello stesso mese.
140
Con la carica di Vescovo, il Magliola cumula anche, come prassi
solita per i vescovi acerrani, il titolo di Consigliere a latere del Re.
In Acerra Mons. MAGLIOLA inizia subito a lavorare. Riprende, a sue
spese, la ricostruzione della Cattedrale iniziata dal suo predecessore
che aveva contratto, per la fabbrica, ventiquattromila ducati di debito.
Fino al 1828 il Vescovo santarpinese spenderà trentaduemila ducati
provenienti dagli introiti delle Masserie di Castelluccio e Pastiniello i
cui benefici sono appannaggio della Mensa Vescovile acerrana.
Egli apporta restauri anche al Seminario ed al Palazzo Vescovile sul
cui portale di accesso fa apporre la propria Insegna prelatizia.
Il Governo Pastorale di Orazio MAGLIOLA, benché sviluppatosi in
un periodo di turbolenze politiche (Rivoluzione napoletana del 1799,
regime dei Napoleonidi, ripristino del potere borbonico), viene
descritto dagli storici come “molto prudente”. Egli, infatti, non si
schiera apertamente, come qualche suo confratello, con alcun regime.
Pur rispettando gli ordini emessi dai vari Ministeri del Culto, che a
quei tempi hanno enorme ingerenza in materia ecclesiastica, agisce
sempre con spirito caritatevole mitigando al massimo qualsiasi
drastica decisione da prendere.
Pensando esclusivamente al suo ministero, riordina la disciplina,
piuttosto evanescente all’epoca, del clero diocesano correggendone i
costumi e dà slancio agli affari diocesani.
Con il Concordato del 1818 vengono riordinate le circoscrizioni delle
Diocesi ed il 25 ottobre Mons. MAGLIOLA prende possesso anche
della Sede Vescovile di S.Agata dei Goti unita a quella di Acerra.
Durante i dieci anni nei quali egli governa in quest’altra Cattedra, vi
apporta notevoli migliorie.
Riatta, infatti, l’Episcopio, ritrovato in pessime condizioni,
arredandolo a proprie spese. Si adopera, inoltre, affinché ai Canonici
santagatesi vengano concessi, dalla Santa Sede, privilegi ecclesiastici.
141
Nei trentadue anni complessivi nei quali Mons. Orazio MAGLIOLA
governa le due Diocesi, il suo operato viene apprezzato da tutti, clero
e laici.
Egli, già affetto da diversi anni da podagra, muore in S.Arpino il 03
gennaio 1829. Il suo corpo, trasportato in Acerra, viene sepolto nella
Cattedrale.
In S.Arpino, notevole per fattura, rimane il suo Palazzo in cui si
vedono ancora, scolpiti ed affrescati, due esemplari dello Stemma
Vescovile da lui alzato (figg. 63-64).
DESCRIZIONE ARALDICA DELLO STEMMA
“SCUDO ACCARTOCCIATO. CON CROCE TRIFOGLIATA
POSTA DIETRO, ORNATO DA CAPPELLO VESCOVILE E 12
FIOCCHI DI COLORE VERDE. INQUARTATO. NEL 1° E 4°
DI ROSSO ALLA TORRE MERLATA AL NATURALE E
SORMONTATA DA GIGLIO DI FRANCIA D’ORO; NEL 2° DI
AZZURRO A DUE LEONI AL NATURALE AFFRONTATI AD
UN PINO TERRAZZATO ANCH’ESSO AL NATURALE; NEL
3° DI AZZURRO AL PONTE A DUE ARCATE AL NATURALE
SORMONTATO DA COLOMBA ANCH’ESSA AL
NATURALE.”
142
fig. 63: LO STEMMA MARMOREO DI MONS. ORAZIO MAGLIOLA
INSTALLATO SUL PORTALE DEL SUO PALAZZO IN S. ARPINO
143
fig. 64: LO STEMMA DI MONS. ORAZIO MAGLIOLA AFFRESCATO
NELL’ANDRONE D’INGRESSO DEL SUO PALAZZO IN S. ARPINO
144
4. LO STEMMA DEL PALAZZO ZARRILLO
E’ scolpito (fig. 65) sulla chiave di volta del portale in peperino del
Palazzo ZARRILLO sito lungo la Via Ten. D’ANNA Leone. Non
sappiamo a quale tra le Famiglie DE SIMONE e ZARRILLO, che
hanno avuto il possesso del Palazzo, essa appartenga. Difficile anche
da blasonare in considerazione della scarsa leggibilità delle figure che
esso riporta. Lo scudo è accartocciato e sovrastato da un elmo posto
frontalmente.
fig. 65: LO STEMMA DEL PALAZZO ZARRILLO
145
5. LO STEMMA DELLA FAMIGLIA LETTERA
Lo ritroviamo, in duplice esemplare:
- affrescato sotto la volta dell’androne d’ingresso del Palazzo
LETTERA sito in Via S. Maria delle Grazie (fig. 66);
- in stucco sulla facciata della Cappella Gentilizia della stessa
Famiglia nel Cimitero di S. Arpino (fig. 67).
Non abbiamo, al momento, notizie storiche sulla Famiglia LETTERA.
DESCRIZIONE ARALDICA DELLO STEMMA
“SCUDO SAGOMATO. DI ROSSO ALLA FASCIA
D’ARGENTO CARICATA DELLA SCRITTA IN LETTERE
D’ORO S.P.Q.R.. NEL CAMPO FIAMMA D’ORO A CINQUE
PUNTE USCENTE DAL CAPO E TRE LETTERE L D’ORO
POSTE DUE AL DI SOPRA ED UNA AL DI SOTTO DELLA
FASCIA. AD ORNAMENTO ELMO NERO POSTO DI
PROFILO SULLO SCUDO E CIRCONDATO DA
LAMBRECCHINI DI COLORE NERO.”
146
fig. 66: LO STEMMA DELLA FAMIGLIA LETTERA
NEL PALAZZO OMONIMO
147
fig. 67: LO STEMMA DELLA FAMIGLIA LETTERA
SULLA CAPPELLA GENTILIZIA
148
6. LO STEMMA DEL PALAZZO DE MURO
In stucco (fig. 68), è installato sul portale d’ingresso del Palazzo ove è
nato l’Abate Vincenzo DE MURO, nella Via omonima. Non
conosciamo a quale Famiglia appartenga nella considerazione che il
Palazzo è stato in possesso anche della Famiglia BUONINCONTRI.
E’ stato ridipinto e risulta, pertanto, difficile riconoscere gli smalti
originali.
Presenta scudo sannitico con, nel campo, due leoni affrontati a
quella che sembra l’elemento centrale di una fontana la cui acqua
potrebbe essere quella rappresentata in punta. A ornamento una
corona ducale e fogliame circondante lo scudo sotto il quale è
posta una testa umana.
fig. 68: LO STEMMA DEL PALAZZO DE MURO
149
7. LO STEMMA “VECCHIO” DI S.ARPINO
E’ una versione, sicuramente rimaneggiata nel tempo, di quello che fu
il sigillo originario della UNIVERSITA’ di S. ARPINO e che
ricordava il patrocinio di S. Elpidio fondatore del paese. Esso è stato
usato, per consuetudine, negli atti pubblici sino all’anno 2000.
Lo ritroviamo in triplice esemplare:
- uno in stucco su di un arco della navata centrale della Chiesa di
S.Elpidio Vescovo risalente al 1884 (fig. 69);
- uno dipinto, di recente, sulla vetrata d’ingresso della Chiesa stessa
(fig. 70);
- uno in bronzo installato sulla lapide dedicata ai Caduti della 1^
Guerra Mondiale sulla facciata del Palazzo Ducale e risalente al
1928 (fig. 71).
DESCRIZIONE ARALDICA DELLO STEMMA
“ DI AZZURRO ALLA MITRIA D’ORO CON FIBULE
SVOLAZZANTI ANCH’ESSE D’ORO, L’INFULA POSTA A
SINISTRA ATTRAVERSATA DAL PASTORALE D’ORO”
150
fig. 69: LO STEMMA IN STUCCO DENTRO LA CHIESA
DI S. ELPIDIO VESCOVO
fig. 70: LO STEMMA DIPINTO SULLA VETRATA
D’INGRESSO DELLA CHIESA DI S. ELPIDIO VESCOVO
151
fig. 71: LO STEMMA IN BRONZO INSTALLATO SULLA LAPIDE DEI
CADUTI DELLA 1^ GUERRA MONDIALE
152
8. LO STEMMA DELLA FAMIGLIA REGNANTE SAVOIA
E’ in bronzo (fig. 72) ed è stato installato sulla lapide dei Caduti della
1^ Guerra Mondiale nel 1928 (Anno VI Era Fascista, come si evince
dalla data scolpita sulla lapide) a ricordo dell’allora Famiglia
Regnante.
La dinasta dei SAVOIA si è succeduta, nel Regno d’Italia, dal 1861
(17 marzo titolo di Re d’Italia a Vittorio Emanuele II) al 1946 quando,
per gli esiti del Referendum Monarchia-Repubblica, l’ultimo Re
Umberto II abbandona l’Italia per l’esilio.
DESCRIZIONE ARALDICA DELLO STEMMA
“ SCUDO SAGOMATO. DI ROSSO ALLA CROCE D’ARGENTO”
fig. 72: LO STEMMA IN BRONZO DEI SAVOIA INSTALLATO SULLA
LAPIDE DEI CADUTI DELLA 1^ GUERRA MONDIALE
153
9. LO STEMMA DEI MINIMI DI S. FRANCESCO DI PAOLA
E’ installato (fig. 73) sul portale d’ingresso del Convento di S. Maria
della Stella (noto come S.Maria di Atella o di S.Francesco di Paola)
attualmente inglobato nel recinto cimiteriale di S.Arpino.
Nel 1593 Alonzo III SANCHEZ DE LUNA, 1° Signore di S.Arpino,
chiama ad insediarsi nel complesso conventuale (convento e Chiesa)
da lui stesso fatto costruire, i frati dell’Ordine dei Minimi di
S.Francesco di Paola che vi permangono fino al 1810, anno della
soppressione del convento. Lo stemma è il simbolo dell’Ordine ed
inneggia alla CARITA’, costante caratteristica dei Minimi.
E’ in marmo e presenta un sole radiato (32 raggi) con all’interno la
scritta in latino CHARITAS.
fig. 73: LO STEMMA DEI MINIMI
154
10. LO STEMMA DEL PAPA GIOVANNI PAOLO II
E’ stato, di recente, dipinto sulla vetrata d’ingresso della Chiesa di
S.Elpidio Vescovo a ricordo del regno di Sua Santità il Papa
GIOVANNI PAOLO II (Karol WOITYLA) (fig. 74).
DESCRIZIONE ARALDICA DELLO STEMMA
“ SCUDO SANNITICO CIMATO DAL TRIREGNO E DALLE CHIAVI,
UNA D’ORO ED UNA D’ARGENTO, POSTE IN DECUSSE CON I
CONGEGNI IN ALTO E LE IMPUGNATURE IN BASSO. DI AZZURRO
ALLA CROCE D’ORO. SOTTO IL BRACCIO SINISTRO DELLA CROCE
LA LETTERA M D’ORO”
fig. 74: LO STEMMA DEL PAPA GIOVANNI PAOLO II
155
11. LO STEMMA DEL SACRO CUORE DI GESU’
Installato (fig. 75) sulla cuspide dell’Organo a canne della Chiesa di
S.Elpidio Vescovo. Ricorda la consacrazione della Chiesa al Sacro
Cuore di Gesù avvenuta nel 1884. E’ in legno. Scudo accartocciato.
Di azzurro al Sacro Cuore di Gesù di rosso circondato, in fascia,
da corona di spine. A ornamento corona ducale.
fig. 75: LO STEMMA DEL SACRO CUORE DI GESU’
156
12. LO STEMMA NUOVO ED IL GONFALONE
DEL COMUNE DI S. ARPINO
Il 24 aprile 2000, con il Decreto che riportiamo nell’Appendice
Documentaria, il Presidente della Repubblica Carlo Azelio CIAMPI
“concede” al Comune di S.Arpino lo Stemma ed il Gonfalone. E’
l’epilogo di una operazione iniziata diversi mesi prima dagli autori di
questo libro. Essi, infatti, alla ricerca di notizie sulla origine dello
Stemma fino ad allora in uso nella Comunità santarpinese, scoprono
che esso non risulta mai “concesso” ufficialmente da alcuna Autorità
dello Stato, né Re né Presidenti, e che non corrisponde araldicamente
al “sigillo” anticamente usato dalla Università di S.Arpino che
rinvengono negli Archivi di Stato.
L’Amministrazione Comunale pro tempore, messa a conoscenza dei
fatti, decide di iniziare la pratica per la concessione.
I bozzetti, approntati da Antonio DELL’AVERSANA, prevedono per
lo Stemma gli smalti antichi già usati con l’aggiunta del motto, che
ricorda l’origine atellana di S.Arpino, “Ordo populusque atellanus”.
Per il Gonfalone vengono indicati i colori rosso e giallo a ricordo
dell’Aragona, patria di origine della Famiglia Sanchez De Luna che
tanta parte ha avuto, per secoli, nelle vicende del nostro paese.
L’Ufficio Araldico presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri
“risistema” araldicamente il tutto e prepara il Decreto di concessione
poi firmato. S.Arpino, si trova, così, ad essere uno dei pochi paesi
della Campania ad avere lo Stemma (fig. 76) ed il Gonfalone (fig. 77)
“ufficiali”.
La storia della concessione è riportata nel libro degli scriventi dal
titolo “ORDO POPULUSQUE ATELLANUS”.
157
fig. 76: IL NUOVO STEMMA DEL COMUNE DI S. ARPINO
DESCRIZIONE ARALDICA
“ DI AZZURRO. ALLA CORONA DI SPINE DI DICIOTTO INTRECCI,
DI ROSSO, ATTRAVERSANTE IL PASTORALE D’ORO, POSTO IN
SBARRA. ESSA CORONA SORMONTATA DALLA MITRA D’ORO,
ORNATA DA QUATTRO RUBINI DI ROSSO, POSTI IN PALO, CON LE
INFULE DI ORO SVOLAZZANTI. L’INFULA POSTA A SINISTRA
ATTRAVERSATA DAL MANICO RICURVO DEL PASTORALE. SOTTO
LO SCUDO, SU LISTA BIFIDA E SVOLAZZANTE DI AZZURRO, IL
MOTTO IN LETTERE MAIUSCOLE DI NERO ORDO POPULUSQUE
ATELLANUS. ORNAMENTI ESTERIORI DEL COMUNE”
158
fig. 77: IL GONFALONE DEL COMUNE DI S.ARPINO
DESCRIZIONE ARALDICA
“ DRAPPO PARTITO DI ROSSO E DI GIALLO, RICCAMENTE
ORNATO DI RICAMI DI ARGENTO E CARICATO DELLO STEMMA
CON LA DESCRIZIONE CENTRATA IN ARGENTO, RECANTE LA
DENOMINAZIONE DEL COMUNE. LE PARTI DI METALLO ED I
CORDONI SONO ARGENTATI. L’ASTA VERTICALE E’ RICOPERTA
DI VELLUTO DEI COLORI DEL DRAPPO, ALTERNATI, CON
BULLETTE ARGENTATE POSTE A SPIRALE. NELLA FRECCIA E’
RAPPRESENTATO LO STEMMA DEL COMUNE E SUL GAMBO
INCISO IL NOME. CRAVATTA CON NASTRI TRICOLORATI DAI
COLORI NAZIONALI FRANGIATI D’ARGENTO”
159
APPENDICE
DOCUMENTARIA
160
PIANTA DEL TERRITORIO DELLA “MADDALENA” IN S. ARPINO
(ARCHIVIO DI STATO NAPOLI-TRIBUNALE DI NAPOLI)
161
FRONTESPIZIO DEL MANOSCRITTO DEL PADRE PIO OPERAIO
D. PASQUALE COLELLA “ISTRUZZIONI E REGOLE PER LE
MISSIONI DEI PADRI PIJ OPERARII – 1778”
(ARCHIVIO PII OPERAI – CHIESA S. NICOLA ALLA CARITA’ - NAPOLI)
162
ESTRATTO DAL MANOSCRITTO
DEL PADRE PIO OPERAIO D. PASQUALE COLELLA
“ISTRUZZIONI E REGOLE PER LE MISSIONI DEI PADRI
PIJ OPERARII – 1778”
….omissis….
Regole per la funzione del Calvario
Quei medesimi P.P. di s.m. che inventarono l’esercizio della vita devota per profitto e
vantaggio spirituale delle anime, incominciarono ancora la pratica di piantare ne’ luoghi
ove dalla nostra Congregazione si fanno le Missioni, cinque croci per lasciare con esse
uno svegliarono visibile a i popoli di ricordarsi spesso de’ cinque principali misteri della
passione di Gesù Cristo come mezzo efficacissimo a farli perseverare nel bene incominciato
nel tempo della missione ed infervorarli nell’amore verso Dio ed esercizio delle sante virtù.
Gli cento e mille prodigi succeduti in varie parti ove da noi si son piantate queste croci, a’
quali da noi s’è dato il titolo del Santo Calvario, devono essere a noi d’un efficacissimo
motivo di piantarle in tutti i luoghi ne’ quali da noi si fanno le sante Missioni, a riserva
di quei luoghi, a mio parere, ove da qualche Padre Francescano si trova posta nella
chiesa madre la Via Crucis, poiché in questo caso basterebbe infervorare detta visita, e detto
esercizio, e questo appartiene a chi farà la Vita Devota, e non facendosi questa,
apparterebbe a chi farà la predica grande della sera d’infervorarla nella predica della
benedizione, quando propone il mezzo di riflettere spesso alla passione di Gesù Cristo.
Del resto, quando in quella terra o città vi è luogo opportuno da piantarle, e gli sindici ed
eletti delle rispettive università si contentano di fare la spesa, io son di parere che questa
pratica incominciata da’ nostri Servi di Dio non si trascuri, e non vada in oblivione.
Nella diocesi di Rossano in Calabria molti anni sono fu piantato da nostri Padri il
Santo Calvario in una certa terra e fuvvi un attestato giurato di moltissimi di quei
cittadini, che molto tempo prima di venire i nostri Padri a farvi la missione, fu veduto
uno splendore pur troppo eccessivo che mirabilmente illuminava tutta quella contrada, e
163
detto splendore era propriamente in quel luogo ove i Padri, senza sapere ciò, per loro
elezione piantarono il Santo Calvario.
Volle Dio con ciò darci a conoscere essere di sua volontà che si piantasse il Santo
Calvario in memoria della passione del suo divin figliuolo.
Sempre che mi son trovato presente a questa funzione, non ho potuto far di meno
d’intenerirmi e consolarmi della comune compunzione del popolo, e non una, ma più e più
volte mi è accaduto di aver avuto a’ piedi miei anime compunte e convertite da questa
funzione, che con tante prediche della Santa Missione, ed esempio degli altri non si erano
accese dal profondo letargo de’ loro vizii.
Sicchè dunque per questo, e cento e mille altri motivi non dee farsi raffreddare e trascurare
questa pratica, ma avere l’attenzione e la diligenza sin dal primo giorno che si arriva in un
luogo, in vedere che non vi sia la Via Crucis nella chiesa madre, e vi sta luogo
proporzionato ed opportuno per piantare le sante croci, ed essendovi queste condizioni,
chiamarsi subito il capo dell’università acciò abbia il tempo di procurar il legname e farlo
lavorare di maniera che le croci si trovino lavorate pe’l giorno della benedizione, in cui si
metteranno avanti o dentro la porta della chiesa ove si fa la Missione, acciò vedendosi da
tutto il popolo, che ordinario tutto per intiero suole venir in chiesa in detto giorno, questi
concepisca volontà e desiderio di venire ad assistere nell’atto che dovranno condursi dalla
chiesa e piantarsi nel luogo scelto e destinato da’ Padri.
Condizioni del luogo:
Il luogo ove devono piantarsi dette croci dev’essere atto e proporzionato a mantenerle in
devozione; deve avere le seguenti condizioni, cioè:
1. deve essere vicinissimo all’abitato, acciò non vi sia difficoltà per essere spesso
visitato;
2. dev’essere a vista di case abitate che abbiano finestre affacciatore verso di esso, acciò
ognuno stia sull’idea di poter essere veduto; ma dette case non siano attaccate a detto
luogo, di maniera che gli abitanti affacciati dalle loro finestre possano essere di
164
soverchia soggezione, anzi che d’impedimento alla gente di portarsi alla visita di
dette croci e farvi orazione;
3. dev’essere un luogo ove non sia solito fermarsi la gente del paese a far conversazione o
combriccole; ma sia, se sarà possibile, un luogo per dove ordinariamente deve
passare e ripassare la maggior parte di quelli che escono dal paese per andare nelle
campagne, acciò questi abbiano l’occasione di spesso visitare le sante croci e farvi
qualche piccola orazione;
4. dev’essere un luogo che non sia una specie di pascolo di animali, andandovi ivi al
solito essi a pascolare, non essendo di onore e culto delle sante croci che attorno vi
siano animali a pascolare e che imbrattino quel luogo ove deve inginocchiarsi la
gente quando andarà a farvi orazione per venerare quelle croci;
5. deve trovarsi un luogo per quanto sia possibile pulito, che non vi sia fango, che abbia
un poco di pennino che non ci si fermi l’acqua quando piove;
6. se la chiesa madre have l’atrio, o spiazzo avanti, ove senza soggezione si potessero
venerare le sante croci, e fermarsi la gente a farci orazione, in questo caso senza
andar trovando luogo fuor dell’abitato si potrebbe ivi situare il S. Calvario;
7. trovato che sarà il luogo atto ed opportuno, prima di portarvici le sante croci, sin
dalla mattina si ci faranno le fossette per mettercele, le quali devono essere a linea, e
lontana l’una dall’altra 12 o 16 palmi e non più, e per ogni fossetta si faranno
trovare preparate le pietre in numero tale che si stimeranno bastanti a fermarvisi
ed inzepparci la santa croce; e il giorno quando dovrà farsi detta funzione che vi
sia uno colla zappa e palo di ferro per tirare il terreno dentro le fossette ed
inzepparci le pietre.
Processione
Preparata dunque che sarà ogni cosa sin dalla mattina, il giorno si convocare il Capitolo
e tutti gli ecclesiastici secolari, e all’ore ventuna se il cammino sarà lungo, o in circa alle 22
se sarà breve, usciranno tutti li signori chierici, suddiaconi, diaconi, sacerdoti semplici e
canonici in processione dalla chiesa cantando solennemente il Vexilla Regis prodeunt, che
finito si replicare sino che si arrivarà al luogo destinato pel Santo Calvario, e dopo di
detti signori ecclesiastici li nostri Padri, l’un dopo l’altro, porteranno ognuno una croce
sulle loro spalle, e perché le croci per ordinario sono di 16 o 12 palmi in circa lunghe, e di
165
legno duro e pesante, perciò è inevitabile l’aiuto d’uno o due che sostengano da dietro l’asta
della croce, a quale effetto si fanno vestire una dozzina di confrati che aiutino i Padri a
portare le croci.
Dopo i Padri verrà tutto il popolo cantando a vicenda il Santo Rosario, prima gli
uomini, e poi le donne. Deve avvertirsi che le croci dovran portarsi l’una dopo l’altra, e
anderà la prima quella che dovrà essere la prima a piantarsi, e così s’intende dell’altre, e
l’ultima sarà quella che rappresenta la croce ove fu crocifisso Gesù Cristo, che sarà
l’ultima a piantarsi, ed in essa vi saranno martello, tenaglie, scala, spongia, e lancia di
legno, e le discipline pendenti dalle due braccia della croce.
Arrivata che sarà la processione nel luogo destinato pel Santo Calvario, tutto il clero si
fermerà attorno alla prima fossetta ove dovrà piantarsi la prima croce, e la farà sostenere
in piedi fuor di essa dalli due confrati, il secondo lascerà la sua vicino la seconda fossetta,
facendola tenere come la prima, e così da mano in mano sino all’ultima.
Benedizione delle croci
Posate così tutte le croci, quel Padre che dovrà benedirle si metterà la cotta e stola con
piviale di color rosso, le quali cose si faranno ivi portare dal sagrestano assieme
coll’incenziere e secchietto con acqua santa, ed aspersorio e rituale romano ove sta
Benedictio novae crucis.
E prima d’incominciare la benedizione si situarà il popolo di maniera che gli uomini stiano
in un’ala della prima fossetta verso l’altre fossette che vengono appresso, e le donne stiano
nell’altr’ala all’incontro, di maniera che il clero con tutti li Padri stiano nel mezzo fra gli
uni e le altre.
Situati già li Padri, clero e popolo incominciarà la benedizione, con cantare ad alta
voce le parole del rituale romano, e dato che sarà l’incenso alla croce, sì come si farà in tutte
l’altre, quel Padre che l’ha benedetta ed incensata, la prenderà colle sue mani, ma con
l’ajuto de’ confrati la metterà dentro la sua fossetta, ove si fermarà con terra e pietre tanto
quanto possa mantenersi , perché poi appresso chi governa quella università vi ci farà subito
dal giorno susseguente in avanti li piedi di fabbrica con un gradino attorno per comodo di
chi si ci vuole inginocchiare.
166
Fissata dunque la santa croce già benedetta, uno dei padri farà il suo sentimento, il quale
conta di quattro parti, cioè introduzione, narrazione, dolore e proponimento. Parlerò qui
di tutte le dette quattro parti.
….omissis….
Terminato l’atto di dolore e proponimento si cantarà da un padre la seguente canzoncina,
facendo rispondere e replicare dal popolo ogni versetto di essa:
Io ti adoro, o Santa croce,
duro letto del mio Signore,
ti saluto con la voce,
ti adoro con il cuore,
io ti adoro o Santa Croce.
Terminata la canzoncina il Padre vestito col piviale e poi l’altri Padri baciano la croce,
e immediatamente passano alla benedizione dell’altra, e così di mano in mano eodem modo
ut sopra. ….omissis….
Quel Padre che farà l’ultimo sermoncino seu sentimento nell’ultima croce dopo l’atto di
dolore e prima della canzoncina dovrà dire diverse cose:
1. darà il nome a quel luogo, che tutti per l’avvenire devono chiamarlo il Santo
Calvario, il luogo santo;
2. esortare tutti alla riverenza, modestia, silenzio e devozione dovuta a quel luogo, in
cui non ci si deve andare e fermarsi se non per farvi orazione, e che perciò ognuno
sia vestito a non farci fermare gli animali, acciò si mantenga sempre in
venerazione e pulizia;
3. che ognuno quando va a visitare il Santo Calvario ci portasse una buona pietra
per la fabbrica che ci si deve fare delli piedistalli alle croci, e le cappelle ancora, sì
come han fatti tanti popoli in tanti luoghi, e si dirà che chi ha ben trattato ed
onorato questo santo luogo del Calvario ne han ricevuto dalle Sante Croci
miracoli senza fine;
4. spiegherà l’indulgenze che vi sono, cioè chi dice un solo Pater e Ave per ogni
croce considerando e compatendo i dolori e patimenti del Figlio e della madre,
167
guadagnerà diecimil’anni d’indulgenze, e se ne dirà cinque per ogni croce ne
guadagnerà cinquantamil’anni, che si possono applicare per l’anime del
purgatorio.
168
DOCUMENTAZIONE RELATIVA ALLA SALVAGUARDIA
DELLA “SANTA CROCE” DEL TRIVICO
(ARCHIVIO A.D.E.R.U.L.A.)
169
DOCUMENTAZIONE RELATIVA ALLA SALVAGUARDIA
DELLA “SANTA CROCE” DEL TRIVICO
(ARCHIVIO A.D.E.R.U.L.A.)
170
DOCUMENTAZIONE RELATIVA ALLA SALVAGUARDIA
DELLA “SANTA CROCE” DEL TRIVICO
(ARCHIVIO A.D.E.R.U.L.A.)
171
DOCUMENTAZIONE RELATIVA ALLA SALVAGUARDIA
DELLA “SANTA CROCE” DEL TRIVICO
(ARCHIVIO A.D.E.R.U.L.A.)
172
DOCUMENTAZIONE RELATIVA ALLA SALVAGUARDIA
DELLA “SANTA CROCE” DEL TRIVICO
(ARCHIVIO A.D.E.R.U.L.A.)
173
CIRCOLARE DEL MINISTERO DELLA PUBBLICA ISTRUZIONE
CHE DICHIARA IL PALAZZO DUCALE DI S. ARPINO MONUMENTO
NAZIONALE
(BIBLIOTECA MILITARE DI PRESIDIO-NAPOLI)
174
CIRCOLARE DEL MINISTERO DELLA PUBBLICA ISTRUZIONE
CHE DICHIARA IL PALAZZO DUCALE DI S. ARPINO MONUMENTO
NAZIONALE
(BIBLIOTECA MILITARE DI PRESIDIO-NAPOLI)
175
CIRCOLARE DEL MINISTERO DELLA PUBBLICA ISTRUZIONE
CHE DICHIARA IL PALAZZO DUCALE DI S. ARPINO MONUMENTO
NAZIONALE
(BIBLIOTECA MILITARE DI PRESIDIO-NAPOLI)
176
CIRCOLARE DEL MINISTERO DELLA PUBBLICA ISTRUZIONE
CHE DICHIARA IL PALAZZO DUCALE DI S. ARPINO MONUMENTO
NAZIONALE
(BIBLIOTECA MILITARE DI PRESIDIO-NAPOLI)
177
CIRCOLARE DEL MINISTERO DELLA PUBBLICA ISTRUZIONE
CHE DICHIARA IL PALAZZO DUCALE DI S. ARPINO MONUMENTO
NAZIONALE
(BIBLIOTECA MILITARE DI PRESIDIO-NAPOLI)
178
CIRCOLARE DEL MINISTERO DELLA PUBBLICA ISTRUZIONE
CHE DICHIARA IL PALAZZO DUCALE DI S. ARPINO MONUMENTO
NAZIONALE
(BIBLIOTECA MILITARE DI PRESIDIO-NAPOLI)
179
ATTO DI NASCITA DI GIUSEPPE MAGRI’
(ARCHIVIO DI STATO-MESSINA)
180
ATTO DI NASCITA DI GIUSEPPE MAGRI’
(ARCHIVIO DI STATO-MESSINA)
181
ATTO DI NASCITA DI GIUSEPPE MAGRI’
(ARCHIVIO DI STATO-MESSINA)
182
CERTIFICATO DI BATTESIMO DI GIUSEPPE MAGRI’
(ARCHIVIO PARROCCHIA S. MATTEO SALESIANI-MESSINA)
183
ATTO DI BATTESIMO DI GIUSEPPE MAGRI’
(ARCHIVIO PARROCCHIA S. MATTEO SALESIANI-MESSINA)
184
FOGLIO MATRICOLARE DI GIUSEPPE MAGRI’
(ARCHIVIO DI STATO – TORINO)
185
TESTAMENTO OLOGRAFO DI GIUSEPPE MAGRI’
(ARCHIVIO A.D.E.R.U.L.A.)
186
TESTAMENTO OLOGRAFO DI GIUSEPPE MAGRI’
(ARCHIVIO A.D.E.R.U.L.A.)
187
TESTAMENTO OLOGRAFO DI GIUSEPPE MAGRI’
(ARCHIVIO A.D.E.R.U.L.A.)
188
TESTAMENTO OLOGRAFO DI GIUSEPPE MAGRI’
(ARCHIVIO A.D.E.R.U.L.A.)
189
TESTAMENTO OLOGRAFO DI GIUSEPPE MAGRI’
(ARCHIVIO A.D.E.R.U.L.A.)
190
TESTAMENTO OLOGRAFO DI GIUSEPPE MAGRI’
(ARCHIVIO A.D.E.R.U.L.A.)
191
TESTAMENTO OLOGRAFO DI GIUSEPPE MAGRI’
(ARCHIVIO A.D.E.R.U.L.A.)
192
TESTAMENTO OLOGRAFO DI GIUSEPPE MAGRI’
(ARCHIVIO A.D.E.R.U.L.A.)
193
TESTAMENTO OLOGRAFO DI GIUSEPPE MAGRI’
(ARCHIVIO A.D.E.R.U.L.A.)
194
TESTAMENTO OLOGRAFO DI GIUSEPPE MAGRI’
(ARCHIVIO A.D.E.R.U.L.A.)
195
TESTAMENTO OLOGRAFO DI GIUSEPPE MAGRI’
(ARCHIVIO A.D.E.R.U.L.A.)
196
TESTAMENTO OLOGRAFO DI GIUSEPPE MAGRI’
(ARCHIVIO A.D.E.R.U.L.A.)
197
TESTAMENTO OLOGRAFO DI GIUSEPPE MAGRI’
(ARCHIVIO A.D.E.R.U.L.A.)
198
TESTAMENTO OLOGRAFO DI GIUSEPPE MAGRI’
(ARCHIVIO A.D.E.R.U.L.A.)
199
TESTAMENTO OLOGRAFO DI GIUSEPPE MAGRI’
(ARCHIVIO A.D.E.R.U.L.A.)
200
TESTAMENTO OLOGRAFO DI GIUSEPPE MAGRI’
(ARCHIVIO A.D.E.R.U.L.A.)
201
TESTAMENTO OLOGRAFO DI GIUSEPPE MAGRI’
(ARCHIVIO A.D.E.R.U.L.A.)
202
TESTAMENTO OLOGRAFO DI GIUSEPPE MAGRI’
(ARCHIVIO A.D.E.R.U.L.A.)
203
TESTAMENTO OLOGRAFO DI GIUSEPPE MAGRI’
(ARCHIVIO A.D.E.R.U.L.A.)
204
TESTAMENTO OLOGRAFO DI GIUSEPPE MAGRI’
(ARCHIVIO A.D.E.R.U.L.A.)
205
TESTAMENTO OLOGRAFO DI GIUSEPPE MAGRI’
(ARCHIVIO A.D.E.R.U.L.A.)
206
TRASCRIZIONE
DEL
TESTAMENTO OLOGRAFO DI:
MAGRI’ GIUSEPPE FU SILVESTRO
NATO IN MESSINA LI’ 8 LUGLIO 1843
(come da relativa fede di nascita qui annessa)
Trovandomi nel pieno e sano esercizio delle mie facoltà mentali e non avendo né
ascendenti né discendenti, né coniuge o altri parenti aventi diritto a quota di riserva sulla
mia eredità, ed essendo perciò io libero di disporre dei miei beni senza limitazione alcuna,
faccio le seguenti disposizioni testamentarie: Istituisco e nomino mio erede universale della
mia nuda proprietà da consolidarsi un giorno con l’usufrutto di tutti i miei beni immobili
siti in Sant’Arpino, il Comune di Sant’Arpino, e qualora esso non volesse accettare,
nomino in sua vece il Comune di Succivo, e tanto l’uno o l’altro gravati di adempire ai
seguenti pesi, vincoli e legati.
Lego l’usufrutto delle tre (dico tre) camere dove io abito in Sant’Arpino, e dei miei due
giardinetti colà, ad Aniello Caporale di Acerra, vita sua naturale durante: camere
esistenti al secondo piano del mio palazzo, con tutti gli accessori che le riguardano, scale di
accesso, porte, cancelli, soppenne, per poterle comodamente usufruire come io le usufruisco, e
lego al medesimo i frutti pendenti e già maturati all’epoca della mia morte e non ancora da
me raccolti nei due giardinetti, e tutto dispensandolo di fare inventario e di prestare
cauzione: Modifico questo legato: si veda a pagina n.16 di questo testamento; seguito al 3°
Codicillo (Postilla in data 1 giugno 1929).
Pure allo stesso Aniello Caporale di Francesco, lego, ripeto sempre in proprietà i
mobili e in usufrutto i tre bassi, in usufrutto tutti i miei beni mobili, cioè tutto ciò che posseggo
all’epoca della mia morte nella mia abitazione in Sant’Arpino, e nei giardini, e camere
o bassi, terreni e luoghi di deposito che sono tre con suppenna che stanno nel giardino del
palazzo, e cioè debbono essere compresi tutti gli animali e oggetti mobili, giusto l’Articolo
424 del vigente Codice Civile e anche il denaro e tutti i suoi rappresentativi, e tutto che è
indicato nell’Articolo 422 dello stesso Codice, ad eccezione s’intende, di quello che
207
eventualmente potrebbe da me essere stato lasciato ad altre persone, in questo mio testamento
= Tali legati a Caporale avranno luogo a cominciare dal giorno della mia morte = =
= =
Lego l’usufrutto di una casa a piano terra del mio palazzo in Sant’Arpino a Raffaele
Crispino di Acerra, sua vita naturale durante: Detta casa (basso) è proprio la prima a
sinistra come si entra dal portone grande del palazzo =
Tale legato avrà luogo a cominciare dal giorno seguente della mia morte = =
In qualunque luogo e tempo avvenga la mia morte in Italia o fuori, la pratica e la spesa
pel trasporto della salma mia, da sotterrarsi nella mia cappella nel Cimitero di
Sant’Arpino, dovrà essere fatta in tempo, e supportata dal Municipio mio erede, sotto
pena di decadere, in contrario, dalla mia eredità: Potrà si intende, detto Municipio
prelevare le relative spese dalla rendita della mia eredità, con diritto di precedenza sopra
qualsiasi diritto = = = =
A cominciare dal giorno seguente la mia morte, e prima e dopo che sarà consolidato
l’usufrutto con la proprietà, voglio che il Municipio erede destini annualmente la rendita
totale (netta) di tutta la mia eredità, a scopo di Beneficenza rubricando tale
amministrazione (patrimonio ereditato) sotto il nome
BENEFICENZA MACRI’ GIUSEPPE
Voglio che il mio erede, cioè il Municipio di Sant’Arpino, o in sua vece quello di
Succivo (il primo mese per Sant’Arpino, il secondo mese, eventualmente, per Succivo)
proceda con apposita deliberazione per dichiarare se vuole accettare tale eredità, facendosi
in tale caso autorizzare, come per Legge, al più presto possibile dall’Autorità Tutoria
Superiore, per destinare le rendite in beneficio dei poveri (in grandissima parte) come qui
appresso tutto dettagliatamente sarà da me indicato = = = = = = = e non
diversamente.
Dispongo che la tassa di successione sullo intiero patrimonio lasciato, sia a titolo di usufrutto
e legati a Caporale Aniello, e a Crispino Raffaele e a Franco Francesca e di
proprietà al Municipio, sia tutta pagata dal Municipio erede, e a tale scopo lascio al
medesimo la somma di lire italiane tremila dico 3000, somma esistente nell’unito qui
libretto della Cassa Risparmio Banco di Napoli (sede Donnaregina) che porta il
N.° 72718 ed è titolo al latore = (Di ciò si fa cenno in altre copie di questo mio
testamento, ad ogni buon fine coiè per dispersione ecc.).
208
Qualora la detta somma non fosse sufficiente per pagare la tassa di successione, la
differenza sarà pagata dal Municipio erede ritenendosela poi dalla rendita dei miei beni,
rendita che comincerà a percepire dal giorno susseguente alla mia morte: Qualora, invece,
pagate tutte le tasse di successione, vi fosse eccedenza, sarà tutta in una volta tale eccedenza
delle lire tremila distribuita ai poveri del Comune erede, nella occasione della prima festa
del Santo Protettore del paese, e secondo le modalità e gli ordini del Sindaco del
Comune erede.
Nomino esecutore testamentario del presente mio testamento, il Sig. Giuseppe Limone
ed in mancanza nomino Aniello Caporale. La tassa fondiaria, e il censo enfiteutico per
la chiesa parrocchiale di Sant’Arpino, saranno, s’intende prelevate dalla rendita,
tenendo presente, sieno le case (come era solito il testatore) affittate ad anno, con pigione
pagabile dagli inquilini a quadrimestre anticipato: Tanto per non derogare all’ordine,
alla disciplina, all’abitudine attuale.
Voglio che l’Amministrazione del Comune erede nomini un Consiglio di
Amministrazione che amministri i miei beni, senza mai avere facoltà di potere alienarli
in nessuna maniera, né vendere, né cedere ad altri, per nessuna ragione.
Devono necessariamente far parte di detto consiglio il Sindaco, il Parroco, ed il
Medico condotto del Comune: Se più Parroci o medici condotti vi fossero, saranno
nominati i più anziani = =
I membri di tale Consiglio di Amministrazione, saranno eventualmente, retribuiti con
un gettone di presenza pei giorni di seduta o di lavoro, come meglio ed equo crederà il
Comune erede = = Quando inteso intervengano tutti e delibereranno qualche cosa e
una loro deliberazione. Il Comune erede e propriamente il Sindaco, il Parroco ed il
Medico condotto devono amministrare i miei beni tutti, esistenti in Sant’Arpino e
adempiere a tutti gli oneri espressi in questo mio testamento, rimanendo (senza meno)
sempre esclusa ogni minima ingerenza della Congregazione di Carità per qualsiasi
ragione = = =
Impongo al Municipio erede i seguenti oneri:
dovranno spendersi per rate annuali di sussidi lire cinquemila e cento =
Tali sussidi, che sieno dati tutti nel giorno 2 novembre di ogni anno (senza meno) cioè nel
giorno della Commemorazione dei Defunti, e nell’ordine seguente:
1° = Vecchi e vecchie povere, di ogni ceto e inabili al lavoro.
209
2°= Orfani di padre e madre poveri, a qualunque ceto e sesso appartengano, e in
mancanza orfani di solo padre poveri, fino alla età di 12 anni compiuti;
3° = Inabili permanentemente o temporaneamente al lavoro, poveri, meritevoli di
soccorso, e che non possono procacciarsi permanentemente o temporaneamente
la sussistenza, a qualunque età, sesso, o ceto appartengano: Siano pure soccorsi,
raccomando (cercandoli) i poveri che si trovano ammalati a domicilio = = =
Lascio l’annuo legato di lire millecento, in denaro, ad Aniello Caporale di Francesco,
vita sua durante, legato che gli si dovrà corrispondere nel giorno 31 dicembre di ogni anno,
cioè il giorno di San Silvestro.
Eventualmente, si calcolerà il suo avere a tre lire al giorno, sempre pagamento al 31
Dicembre, in ogni anno, dopo la mia morte = =
Lascio l’annuo legato di lire trecento sessantacinque in denaro, a Raffaele Crispino di
Acerra, che gli si dovrà corrispondere tutto in una volta, sua vita durante, nel giorno 2
novembre di ogni anno (Commemorazione dei Defunti) = Eventualmente si calcolerà il
suo avere a una lira al giorno sua vita durante, sempre pagamento al 2 novembre dopo la
mia morte = = =
Lego al Municipio erede, tutti i busti di marmo esistenti nella mia palazzina, e la camera
in legno, smontabile, colà esistente, con tutti i pochi mobili e libri che colà si troveranno
all’epoca della mia morte = mobili e libri di cui si troverà in fine di questo mio testamento,
relativo elenco dettagliato. Tutti tali pochi mobili e libri, si troveranno esistenti all’epoca
della mia morte nell’ambulatorio della detta mia palazzina, dove sono i busti di marmo,
palazzina sita nella parte posteriore del mio palazzo, sulla loggia cioè del medesimo = =
Tutti oggetti e cose, libri, mobili, arredi, ecc. che faccio obbligo assoluto a qualunque erede
di non alienare o cedere in alcun modo e per qualsiasi ragione, dovendo anzi avere di tutto,
cura continua, speciale, per la più lunga possibile, integra conservazione dei medesimi (vedi
pag. N.16 bis in questo testamento).
Lascio anche perciò lire mille annue, al Municipio erede, da prelevarsi dalle rendite, per
spese di manutenzione suddetta, e abbellimenti generali al palazzo, cioè la metà di tale
somma in lire cinquecento dovrà spendersi o accantonare per erigere e mantenere busti in
marmo da collocarsi anche nel Cimitero di Sant’Arpino, dopo però che non esiste più
luogo disponibile, per collocarli nell’ambulatorio della mia palazzina di cui sopra è parola.
210
Tali busti di marmo devono essere eseguiti ogni volta che sarà possibile, da valenti giovani
artisti e devono rappresentare solamente, persone che in vita o in morte, abbiano avuto
pensiero, sollecitudine pei poveri, o li abbiano beneficati = = =
Qualunque somma di bilancio annuale, o imprevisto, che non potrà per forza maggiore o
imprescindibile necessità, avere applicazione cui vien destinata precedentemente, o in seguito
in questo mio testamento (meno quella di erigere nuovi busti, che potrà essere accumulata,
eventualmente, al massimo per un decennio) dovrà essere spesa nel corso dell’anno
seguente, destinandola sia anche in accomodi straordinari o abbellimenti dell’intiero edificio
(che è anche per la facciata del palazzo, Monumento Nazionale) e di tutte le case ed
annessi che lo circondano, nel circuito e fuori del palazzo, cioè case, giardini, palazzina e
annessi, che devono, compreso il palazzo, che devono, ripeto, conservare tutto e tutti sempre
immutata e immutabile la forma data ai medesimi, e anche in parte trovata così dal
testatore, e ciò per isolare sempre perennemente in avvenire, il detto palazzo, e averlo così
maestoso, solo e lontano da qualunque altra piccola e grande costruzione = =
Faccio obbligo espresso al Comune erede, di intonacare a stucco, almeno ogni decennio
dopo la mia morte, il basamento del palazzo che esso ha ereditato in Sant’Arpino, e di
avere cura annuale, speciale, della mia cappella mortuaria nel giorno della
Commemorazione dei Defunti (2 novembre di ogni anno) per preservarla per quanto
possibile, dalle ingiurie del tempo………e dei male intenzionati tenendola eventualmente
chiusa, o ben guardata.
Le spese occorrenti per tali due ultime mie disposizioni, saranno impostate e prelevate dal
Comune, dal bilancio generale Rendita Beneficenza Macrì Giuseppe ovvero
Beneficenza Magrì Giuseppe, che bisogna ritenere essere lo stesso Magrì o Macrì.
Desidero che solo dopo un anno o circa dalla mia morte, il Municipio mio erede, nel
giorno 2 novembre (Commemorazione dei Defunti) scopra al pubblico la epigrafe
dedicatoria (in marmo) che è ora invisibile, e che è, e resterà dopo visibile e murata, dove
ora trovasi, cioè presso il vestibolo della scala principale del palazzo, infissa, ma poco
incastrata, nel secondo androne, entrando dal portone principale del palazzo, e proprio
appunto, nel pilastro a sinistra di chi si accinge a salire il primo gradino di detta scala
principale.
La detta epigrafe è murata e collocata alla altezza poco al di sopra di testa d’uomo, e a suo
tempo staccando leggermente l’intonaco e le tavole (anche le tavole staccarle leggermente e
211
con molto garbo) che tutta la rivestono e ricoprono, essa apparirà completamente = Sarà
bene per farla addossare al muro e renderla a esso aderente assicurarla prima con una
staffa di rame , per evitare così ogni pericolo (eventualmente possibile) nell’eseguire
l’operazione di scoprimento, e dopo.
Lascio mille lire della rendita annuale (in ogni anno) della mia eredità, a quello studente
nato e domiciliato in Sant’Arpino (o meglio dico, nato e domiciliato nel comune mio
erede) che abbia dato prova di conoscere bene il Francese, e che sia risultato primo, cioè il
migliore fra gli aspiranti in concorso.
Fallendo la prova qualche anno, potrà essere ripetuta solamente il secondo anno dagli
stessi concorrenti suddetti = = Andando deserti i concorsi a tale premio, o non potendo
la detta somma essere anno per anno aggiudicata per tale uso, sarà in facoltà del Comune
erede, destinarla, quella del biennio, ad opere di beneficenza del Comune stesso, e
cominciare da capo in seguito come prima.
Lascio mille lire all’anno della mia eredità, per l’istituzione e cura del Municipio erede,
di un Circolo Spiritico. Circoli riconosciuti ora di pubblica utilità dai popoli più inciviliti
del mondo.
Qualora dopo cinquanta anni, per ignavia o ignoranza di tale materia, dei cittadini del
Municipio mio erede, il circolo non siasi potuto costituire, per l’avanzamento morale e
conseguente bene del popolo, allora il Municipio avrà facoltà di destinare la somma
accumulata, per opera di beneficenza, e ricominciare subito dopo, un nuovo identico
accantonamento di denaro, per lo stesso scopo, e nelle stesse modalità e proporzioni sempre .
Qualora il Municipio che abbia accettata la mia eredità non ne adempisse in qualunque
modo e tempo gli oneri tutti, potrà benanche esservi astretto dal Municipio che gli è
sostituito, e che potrà, al caso essere dall’autorità competente, dietro sua domanda essere
immesso nel possesso della eredità stessa con gli oneri tutti che vi sono annessi;
Provvedimento questo s’intende, che l’autorità tutoria potrà decidere ed adottare in casi
gravi, gravissimi…..
Il presente mio testamento olografo è stato da me scritto, datato e sottoscritto.
Sant’Arpino, 15 agosto 1925
Giuseppe Magrì fu Silvestro.
212
Confermo tutto.
Sant’Arpino 1° ottobre 1928
Giuseppe Magrì
1° CODICILLO : Desiderando io dare maggiore sviluppo e chiarimento a
qualche mia disposizione testaria precedente, e aggiungerne altra, scrivo il presente codicillo:
Le quote di sussidio o di soccorso devono essere annue, per essere considerevoli e non
miserabili, per la povera gente:
La prova di conoscere il Francese, potrà essere ripetuta per tre anni invece di due. La
conoscenza della lingua francese va intesa, per quanto basti “eventualmente”, a spiegare
benissimo in Italiano, a colpo d’occhio, i libri stampati in Francese ed in Italiano dello
stesso autore, libri che si trovano fra quelli che io lascio al Municipio mio erede (vedi
Leon DENIS Dans l’invisible) in Francese, legato in tela nera e lo stesso tradotto
in Italiano, legato in tela rossa , libri che a turno, libri tutti dico che con le debite cautele
potranno essere dati a turno in prestito temporaneo, ai concorrenti, aspiranti al premio, e
poi anche in prestito ai premiati: La prova di concorso è prestissimo fatta, e quasi senza
spesa alcuna:
Ecco come: La Commissione composta dal Parroco, dal Sindaco e dal Medico
condotto, il giorno e al momento dell’esame di concorso, terranno sotto occhio un libro della
mia biblioteca stampato in Italiano (VEDI Leon Denis Nell’invisibile) legato in
rosso = e i concorrenti avranno sottocchio lo stesso libro stampato in francese (vedi Leon
Denis Dans L’invisible) legato in nero e stando di fronte agli esaminatori dovranno
tradurre oralmente in italiano benissimo, il periodo del libro a essi a volta a volta indicato
dalla Commissione esaminatrice suddetta = Chi avrà tradotto bene e meglio
estemporaneamente e senza dizionario , avrà vinto la prova e le mille lire, dietro relativo e
solo parere (s’intende) della Commissione detta, unanime , senza appello.
Faccio obbligo al Municipio erede, rinnovare sempre annualmente lo abbonamento
annuo alla Rivista mensile Luce e Ombra che si pubblica in Roma Via Varese n. 4.
Rivista questa, esistente fra i libri di scienza spiritica che lascio al Municipio mio erede
(Vedi elenco libri ecc. alla fine di questo mio testamento e codicilli, a pagina Numero 13 e
altra seguente).
213
Voglio che l’Amministrazione dei miei beni, sia, ripeto, affidata per tutto ad una
Commissione composta dal Sindaco che ne sarà il Presidente, dal Parroco e dal
Medico condotto, più anziani di età. Le loro deliberazioni non sono soggette ad alcuna
approvazione, ma invece immediatamente esecutive ===
Rimane espressamente esclusa e vietata ogni ingerenza della Congregazione di Carità.
La Giunta ed il Consiglio del Comune, o chi ad essi succederà, avranno soltanto il
diritto di vegliare alla esatta esecuzione di quanto ho disposto in tutto questo mio testamento,
ed essi saranno sostituiti secondo la rispettiva competenza alla predetta commissione, ove
questa non voglia, o per disposizione di legge non possa funzionare per l’amministrazione
suddetta =
La prova per le spese fatta per la beneficenza sopraindicata, sarà data con quietanza delle
parti prendenti, su di analoghi mandati di pagamento da emettersi nelle forme prescritte
dalla legge comunale e provinciale, dietro la comunicazione che farà la Commissione delle
sue deliberazioni. Le spese per gli stampati delle quietanze, e gli eventuali diritti al
Tesoriere Comunale, per le riscossioni delle rendite e pel servizio di cassa, ove questo non
sia gratuito, saranno prelevate dalle entrate, ed all’uopo si faranno analoghi stanziamenti,
in tempo opportuno antecedentemente, per non far poi aspettare la povera gente, che deve
conseguire senza meno il soccorso e il sussidio pel giorno 2 novembre di ogni anno in
Sant’Arpino, dal Municipio erede.
Se mai per disposizione di legge o di altra autorità qualsiasi, qualunque delle predette mie
disposizioni non possa avere effetto, voglio espressamente che la somma annua all’uopo da
me destinata, sia erogata in altre opere di beneficenza a favore degli abitanti del Comune
erede ammessa dalla legge, a giudizio della Commissione suddetta, dal Consiglio
Comunale, non volendo io alcuna ingerenza governativa né sottrazione qualsiasi (anche
per altri scopi di pubblica utilità o beneficenza) alle disposizioni da me fatte a favore dei
nati e abitanti del Comune erede (dico dei nati e abitanti in S.Arpino). Lego lire mille
al Signor Giuseppe Limone che gli saranno corrisposte nette di tutto, alla fine dell’anno
di sua gestione, essendo stato il medesimo da me nominato esecutore testamentario di questo
mio testamento.
Qualora il Sig. Giuseppe Limone non volesse o non potesse accettare tale nomina,
nomino in sua vece, per esecutore testamentario, il Sigr. Aniello Caporale di
214
Francesco di Acerra pel quale militeranno tutte le clausole stabilite per il Sigr.
Limone.
Revoco ed annullo qualsiasi altro testamento da me fatto, e voglio che solo il presente abbia
la sua piena efficacia ed esecuzione.
Sant’Arpino 1° settembre 1925
Magrì Giuseppe fu Silvestro
Confermo tutto
Sant’Arpino 1° ottobre 1928
Magrì Giuseppe
2° CODICILLO: Qualora (come credo) il Municipio mio erede sia quello di
Sant’Arpino voglio che al concorso pel premio di Mille lire annue pel Francese e al
circolo spiritico cioè eventualmente anche al concorso per l’insegnamento (al caso) di tale
novella scienza possono aspirare ed essere ammessi perfettamente a parità di quelli di
Sant’Arpino, anche gli studenti, giovani nati e domiciliati in Succivo, dietro semplice
loro domanda, che ne comprovi anche la integrità morale dell’aspirante, con relativi
documenti; La domanda dovrà essere indirizzata, s’intende, al Comune erede, che dovrà
senza meno perciò, bandire i relativi concorsi a suo tempo, comunicandoli al Comune di
Succivo, che ne è interessato.
Il presente mio testamento olografo e codicilli olografi, sono stati da me scritti, datati e
sottoscritti. Essi sono tutti scritti sopra pagine dodici (dico 12) di questo formato e carta,
pagine che sono state tutte da me firmate.
Sant’Arpino 1° settembre 1925
Magrì Giuseppe fu Silvestro
Confermo tutto
Sant’Arpino 1° ottobre 1928
Magrì Giuseppe fu Silvestro
215
Aggiunta al mio testamento del 1925
e conferma del medesimo
Col presente mio testamento olografo da me scritto datato e sottoscritto, intendo confermare
le mie disposizioni di ultima volontà racchiuse nel testamento olografo 15 agosto 1925 e nel
codicillo, nonché nell’altro codicillo arrecandovi qualche aggiunzione = Per
conseguenza, mio erede universale istituisco il Comune di Sant’Arpino e nel caso il detto
comune non voglia accettare l’eredità nomino erede il Comune di Succivo. Nello stesso
tempo lego l’usufrutto delle tre camere dove io abito in Sant’Arpino, dei miei due
giardinetti, ivi siti, ecc. come descritto in tale legato, ad Aniello Caporale di Francesco,
vita naturale durante.
Lego l’usufrutto di una casa a pianterreno del mio palazzo in Sant’Arpino a Raffaele
Crispino di Acerra sua vita naturale durante consistente nel basso a sinistra come si
entra dal portone grande del palazzo;
Lascio pure al detto Crispino l’annuo legato di lire trecentosessantacinque che gli si dovrà
corrispondere vita naturale durante in denaro, dal mio erede, nel giorno 2 novembre di
ogni anno.
Lascio l’annuo legato di lire millecento in denaro ad Aniello Caporale di Francesco,
legato che gli si dovrà corrispondere sua vita durante, nel giorno 31 di dicembre di ogni
anno, dal mio erede.
Lascio il legato mensile di lire duecento in denaro, a Francesca Franco, figlia di
Giuseppe Vincenzo Franco, legato che gli si dovrà corrispondere dal mio erede alla
Franco sua vita natural durante, l’ultimo giorno di ogni mese, a cominciare dal mese
successivo a quello in cui sarà avvenuta la mia morte: La presentazione della legataria che
firma mensilmente la relativa ricevuta, o la presentazione della di lei fotografia, con
attestato di notaio che sia viva, devono essere sufficienti per pagarle il mensile anche per
mezzo di un suo legale procuratore, se essa si trovasse ammalata o impossibilitata di recarsi
personalmente per riscuotere il legato. Lascio a Francesca Franco figlia di Giuseppe
Vincenzo Franco gli oggetti tutti esistenti, niente escluso, ed eventualmente il denaro
216
contante anche, nella mia casa in Napoli, dove io abito e pernotto, della quale casa sono
fittuario = = =
Restando senza meno intangibili tutti i legati da me lasciati a tutte le persone nominate e
designate nel mio testamento. Voglio poi e dispongo, che ove il Comune di Sant’Arpino
e in mancanza di questo , il Comune di Succivo, a giudizio inappellabile delle Autorità
tutorie non possa adempiere tutte le condizioni da me prescritte, sia nel testamento 15
agosto 1925 sia nel codicillo del 1° settembre 1925 o nell’altro di pari data, lo adempimento
delle dette condizioni e modalità non dovrà rendere invalide ed inefficaci le dette mie
disposizioni testamentarie, pure avendo piena e completa fiducia che il detto Comune erede,
interpretando la mia volontà, quale è stata manifestata, la adempirà scrupolosamente e
puntualmente. Amen.
Napoli 30 agosto 1928
Magrì Giuseppe fu Silvestro
Confermo tutto
S.Arpino 1° ottobre 1928
Magrì Giuseppe fu Silvestro
3° CODICILLO: Se il bilancio annuale del presente mio testamento, le spese
generali cioè, se superassero gli introiti, si devono in tale caso ridurre prima a preferenza, i
due accantonamenti per Fondo Spiritismo e Fondo Concorso del Francese, di lire
cinquecento ognuno, e ciò eventualmente per pareggiare sempre il bilancio annuale, se sarà
però necessario, indispensabile, assoluto.
Il presente mio testamento olografo, e codicilli sono stati da me scritti datati e sottoscritti:
essi sono tutti scritti sopra pagine sedici (dico 16) di questo formato e carta pagine che sono
state tutte da me firmate.
S.Arpino 11 novembre 1928
Magrì Giuseppe fu Silvestro
217
Dichiaro ai sensi (dell’Art.825 Codice Civile) volere che la mia liberalità espressa nel
legato a Francesca Franco abbia effetto a preferenza di tutte le altre, avendomi essa
assistita fraternamente in tutte le mie malattie.
Sant’Arpino 14 gennaio 1929
Magrì Giuseppe fu Silvestro
Postilla:
Alla pagina N.1 cioè alla prima pagina di questo mio testamento, ho legato fra l’altro
ad Aniello Caporale di Acerra l’usufrutto di due miei giardinetti a sua vita naturale
durante; ora invece voglio lasciarglieli e glieli lascio, uno in usufrutto sua vita natural
durante, e l’altro che è quello confinante con le mie case di via San Giacomo, e colle mie
case in vico Cerri in S.Arpino, glielo lascio dico, in usufrutto fino al 31 dicembre 1970.
Disponendo di dar cauzione o dare o fare qualunque inventario: Gli lascio anche l’uso e
l’usufrutto dei materiali e di tutto ciò che si possa trovare il giorno della mia morte sul
terreno e nel recinto di tale giardinetto; piante, case, pietre ecc. ecc. Lasciandolo padrone di
edificare su quel terreno altre case dello stesso tipo ed altezza di quelle là esistenti e di
goderne uso e usufrutto sopra di esse, come se fosse assoluto padrone di quel terreno di quel
mio giardinetto colla condizione che tutto quello che si trovarà costruito o anderà
costruendo, cederà e resterà di proprietà del mio erede il 1° gennaio 1971 senza che
l’usufruttuario abbia in fine dell’usufrutto, alcuna indennità per nessuna ragione.
Napoli 1° giugno 1929
Magrì Giuseppe fu Silvestro
(N.16 bis) vedi legato a pagina n.5 di questo testamento
Elenco di oggetti e libri ecc.ecc. destinati all’ambulatorio.
1° Una libreria piccola, di legno noce; ricordo del Prof. Mastrocinque.
218
2° Un tavolo di pioppo o abete grezzo per eventuali sedute medianiche.
3° Un tavolo artistico in ottimo stato e bello ancora per conservare i
libri per il concorso del Francese e in generale chiusi a chiave nei
suoi tiretti quei libri contrassegnati nel frontespizio, o 1^ pagina
dalla parola Importante.
4° Sei sedie di finocchietto, semplici (dette sedie di Vienna) Buono stato.
5° Una poltroncina di finocchietto (detta di Vienna) in buono stato
sulla quale si trovano i Libri di Spiritismo ora (Febbraio 1930) libri
che passeranno in seguito questi soli che trattano cioè di spiritismo
in proprietà dell’erede e che ora si trovano nel mio alloggio in
Sant’Arpino.
6° Una sedia poltrona (Dormeause) leggiera altalena.
7° Il libro massimo, stupendo, Enciclopedia Popolare Italiana completa
in ottimo stato (Tutti libri questi e quelli che seguono da destinarsi al
Circolo Spiritualista esclusivamente istituendo per lettura,
regolarmente autorizzata in sede, dai soli soci o premiati spiritisti,
sempre con autorizzazione e responsabilità della Commissione
Amministrativa = addetta alla casa o al Circolo Spiritualista in
Sant’Arpino).
8° Se non avrò il tempo di elencarli qui, tutti i libri opuscoli e carte che
si troveranno nella mia casa e che trattano di argomenti di
spiritismo, n qualunque lingua si troveranno stampati o manoscritti.
Fra i libri se ne trovano due che serviranno pel concorso annuo del
Francese istituendo: Essi due sono legati uno in rosso e uno in nero.
Sono attaccati insieme tutti e due con un legaccio: Sono: Leon Denì:
Nell’Invisibile in Italiano e Leon Denì Nell’Invisibile in Francese.
9° La Bibia.
10° Dante la Divina Commedia Inferno Purgatorio e Paradiso, legati in
un bel libro.
219
pel seguito vedi pagine seguenti.
4° Codicillo: Voglio che nessuno dei legatari miei sia soggetto a pagare tasse per le cose
legategli, sia essa tassa canone, rendita fondiaria, ecc.ecc., e che tutte le tasse debbano essere
pagate dall’erede in qualunque circostanza, e a carico della eredità, senza nessun regresso
ad alcuno.
Sant’Arpino 14 gennaio 1932
Magrì Giuseppe fu Silvestro
Caporale Aniello
Carlo Allegrezza
Belardo Giuseppe
--firma illeggibile--
Notaio Antonio Maisto
5° Codicillo= Ferme restando tutte le mie disposizioni precedenti in tutto e per tutto,
aggiungo solo che lascio ad Aniello Caporale ancora in usufrutto sua vita natural
durante, un’ altra camera, che è quella adiacente al quartino da me abitato alla mia morte,
camera che ha un solo balcone, che affaccia nel cortile, giardino ora, del Palazzo mio.
Desidero, che durante l’anno di Amministrazione dell’esecutore testamentario e anche
poi, esattore, e dispositore delle pigioni case, sia sempre il Signor Giovanni D’Elia
(intendo dire dispositore nel senzo di stabilire con gli inquilini tutti, del modo e del tempo
(mese) o quadrimestre (terza), come pagare il pigione casa ai medesimi fittata mettendosi
d’accordo con essi. Desidero giardiniere resti Michele e Giuseppa Di Serio, di lui
moglie, vita durante e custode dei busti e dei libri sia vita durante Luigi Bagno , che
abita una mia casa contigua a quella dove essi busti e libri si trovano, cioè all’ambulatorio,
sulla terrazza del Palazzo. Il compenso a essi, da stabilire .
Sant’Arpino 28 agosto 1931
Magrì Giuseppe fu Silvestro
220
Seguono altri Codicilli e postille (vedi)
Caporale Aniello
Carlo Allegrezza
Belardo Giuseppe
--firma illeggibile--
Notaio Antonio Misto
4^ Postilla : Ferme ed immutate le mie disposizioni tutte, per evitare a seguito della
fusione del Comune di S.Arpino in quello di Atella di Napoli, eventuali cavillose ed
erronee interpretazioni della mia volontà, chiarisco e confermo che i poveri che dovranno
beneficiare delle mie sostanze ereditarie sono e saranno quelli del Comune di S.Arpino,
facendosi in ogni caso ricorso alla circoscrizione parrocchiale, ciò sempre restando erede,
come per legge il comune che ha assorbito S.Arpino.
Atella di Napoli 14 febbraio 1932
Macrì Giuseppe fu Silvestro
o Magrì Giuseppe fu Silvestro
Caporale Aniello
Carlo Allegrezza
Belardo Giuseppe
--firma illeggibile--
Notaio Antonio Maisto
221
DECRETO DI COSTITUZIONE DEL COMUNE DI ATELLA DI NAPOLI
(ARCHIVIO A.R.C.A.)
222
DECRETO DI SCIOGLIMENTO DEL COMUNE DI ATELLA DI
NAPOLI
(ARCHIVIO A.R.C.A.)
223
DECRETO DI SCIOGLIMENTO DEL COMUNE DI ATELLA DI
NAPOLI
(ARCHIVIO A.R.C.A.)
224
TELEGRAMMA RELATIVO AL RESTAURO STEMMA
SANCHEZ DE LUNA ANDRONE PALAZZO DUCALE (ARCHIVIO A.D.E.R.U.L.A.)
225
RISPOSTA SOPRINTENDENZA CASERTA BENEVENTO
SU RESTAURO STEMMA SANCHEZ DE LUNA
(ARCHIVIO A.D.E.R.U.L.A)
226
DECRETO DI CONCESSIONE DEL GONFALONE AL COMUNE DI
S.ARPINO
(ARCHIVIO A.R.C.A.)
227
BIBLIOGRAFIA
- “FUNERALI PER D. ALONSO SANCHEZ DE LUNA D’ARAGONA” Napoli Stamperia Raimondiana 1781;
- P. D. Pasquale COLELLA dei PIJ OPERAII
“ISTRUZZIONI E REGOLE PER LE MISSIONI DE’
PADRI PIJ OPERARII” (Manoscritto 1778);
- A. DELL’AVERSANA - F. BRANCACCIO
“PROFILI RELIGIOSI – Note per una storia del Clero
Santarpinese “ A.D.E.R.U.L.A.2003
Dall’opera sono stati integralmente tratti i profili dei
personaggi riportati alle pagine 48-52 / 57-60 / 91-100 /
139-142 / 145-147;
- Francesco Paolo MAISTO
“ MEMORIE STORICO-CRITICHE SULLA VITA DI
S.ELPIDIO VESCOVO AFRICANO E PATRONO
DI S.ARPINO” Napoli 1884;
- RIZZOLI-LAROUSSE EDIZIONI
“ANTOLOGIA DELLA LETTERATURA ITALIANA”
1968 ;
- A. DELL’AVERSANA - F. BRANCACCIO
“ I SANCHEZ DE LUNA D’ARAGONA FEUDATARI DI
S.ARPINO” A.D.E.R.U.L.A. 1997;
- A. DELL’AVERSANA – E. SPUMA
“ORDO POPULUSQUE ATELLANUS” A.R.C.A. 2000
228
- MINISTERO DELLA PUBBLICA ISTRUZIONE
“ELENCO DEGLI EDIFIZI MONUMENTALI IN
ITALIA” ROMA 1903
FONTI ARCHIVISTICHE
- ARCHIVIO DI STATO DI TORINO
- ARCHIVIO DI STATO DI NAPOLI
- ARCHIVIO DI STATO DI MESSINA
- ARCHIVIO CONGREGAZIONE PII OPERAI
CATECHISTI RURALI (MISSIONARI ARDORINI)
PARROCCHIA S.NICOLA ALLA CARITA’ NAPOLI
- ARCHIVIO DEI PADRI PASSIONISTI PROVINCIA
DELL’ADDOLORATA CHIESA S. MARIA AI MONTI
NAPOLI
- ARCHIVIO PARROCCHIALE S.MATTEO-SALESIANI
MESSINA
- ARCHIVIO ASSOCIAZIONE A.D.E.R.U.L.A.
- ARCHIVIO ASSOCIAZIONE A.R.C.A.
- BIBLIOTECA DEL PRESIDIO MILITARE DI NAPOLI
229
RINGRAZIAMENTI
Il nostro doveroso ringraziamento vada ai seguenti Signori
per il contributo datoci nella ricerca di documenti riportati
nel libro :
- P. Domenico VIZZARI
CONGREGAZIONE PII OPERAI CATECHISTI RURALI
(MISSIONARI ARDORINI) PARROCCHIA S. NICOLA
ALLA CARITA’ NAPOLI;
- Dott.ssa I. MESSABO’ RICCI DIRETTORE ARCHIVIO DI STATO DI TORINO;
- P. Roberto FELLA CONGREGAZIONE DEI PADRI PASSIONISTI PROVINCIA
DELL’ADDOLORATA CHIESA S. MARIA AI MONTI
NAPOLI;
- Mar. Mario ARENA
COMANDO REGIONE MILITARE SUD NAPOLI;
- Signorina Eleonora ARENA MESSINA.
Un grazie particolare, inoltre, vada ai seguenti Signori per l’aiuto
concessoci nella organizzazione e nella distribuzione del volume:
- Salvatore CINQUEGRANA, Alfredo DI SERIO, Salvatore DI
SERIO, Giorgio MARROCCELLA, Stanislao
MARROCCELLA, Mario MERENDA, Antonio
MIGLIACCIO, Domenico POSSENTE, Luigi ZIELLO.
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Finito di stampare nel mese di 2005
Presso la Tipolitografia “DEL PRETE”
Frattaminore (Napoli)
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