I segni del vino dall’Italia al mondo
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Sapienza Università di Roma
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Roma 23/04/2015
COMUNICATO STAMPA
I segni del vino dall’Italia al mondo Uno studio traccia la diffusione dei vitigni italiani attraverso le migrazioni
dall’800 ai giorni nostri martedì 28 aprile 2015 – ore 17.00
Museo dell’Emigrazione italiana
Complesso Monumentale del Vittoriano
piazza dell'Ara Coeli 1, Roma
Italiani con la valigia di cartone, ma tralci e talee di vite ben saldi sotto il braccio: questa
l’immagine che ci restituisce la ricerca coordinata da Sapienza Università di Roma,
Fondazione Migrantes e Società Geografica Italiana, che si propone di tracciare la strada e
l’influenza sul paesaggio dei vitigni nostrani portati dagli emigranti in giro per il mondo. Una
ricerca che si sposta in 19 paesi, dall’America all’Africa, dall’Australia alla più vicina Europa,
raccogliendo storie, testimonianze e immagini di un percorso eno-culturale ampio e variegato.
Lo studio è ora diventato un libro (“Nel solco degli emigranti. I vitigni italiani alla conquista
del mondo, a cura di Flavia Cristaldi e Delfina Licata; ed. Bruno Mondadori, 2015) in uscita in
questi giorni e presentato presso il Museo della Emigrazione italiana al Vittoriano di Roma
domani, 28 aprile, un appuntamento per il quale è previsto un allestimento temporaneo di
fotografie d’epoca.
Le storie e gli aneddoti che si intrecciano sono tra i più vari: dalle donne che mimetizzavano i
tralci nelle gabbie delle galline per superare i controlli in Tunisia – dove forte era la resistenza
francese ad avere concorrenza in materia enologica; alle pergole fatte dai nostri connazionali
coi tubi del gas dismessi nella città di Toronto e al ruolo inedito dei missionari come
divulgatori del sapere vinicolo, indotti dalla necessità di celebrare Messa e confezionare vino
in ogni dove. Portare un tralcio di vite dall’Italia ha significato portare con sé la propria
cultura e la propria tradizione, un segno tangibile della identità in un luogo altro.
La ricerca nasce da un’idea di Flavia Cristaldi, docente di Geografia delle Migrazioni e
Consigliere della Società Geografica Italiana, e si avvale della competenza di geografi,
sociologi, agronomi, winemakers, demografi, architetti e giornalisti. “Il nostro obiettivo è
quello di rintracciare i vitigni italiani sul territorio e considerare gli effetti che la sapienza
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vitivinicola, partita dalle diverse regioni italiane prima con i sacchi di iuta e le valige di
cartone poi, ha depositato sul territorio, sia a livello paesaggistico che architettonico e
toponomastico, trasformandolo anche profondamente - spiega Flavia Cristaldi - Ad esempio
nel mio soggiorno in Brasile mi sono imbattuta in una cittadina dove la toponomastica
stradale ‘racconta’ la colonizzazione italiana attraverso i nomi dei vitigni arrivati con i
migranti già sul finire dell’Ottocento, Rue Uva Italia o Rue Moscato, o ancora Rue Barbera e
dove un’improbabile statua del leone di San Marco troneggia nella piazza principale”.
"Rileggere l'emigrazione italiana è ciò di cui si ha maggiormente bisogno, ma bisogna farlo
attraverso lenti nuove e prospettive diverse”, spiega Delfina Licata: “Attraverso la riflessione
su specifici contesti e sulle attività legate al settore vinicolo abbiamo scelto di raccontare
l'emigrazione di ieri e di oggi, i successi e gli insuccessi, le difficoltà superate e i fallimenti dei
migranti italiani. E lo abbiamo fatto creando un gruppo di lavoro multidisciplinare che ha
messo insieme le proprie specificità lavorando armoniosamente alla pubblicazione di un
volume che sia il racconto di un impegno, della tenacia di donne e di uomini, della storia e
delle storie personali e delle famiglie italiane , che mossi dalle motivazioni più varie sono
partiti alla volta dell'estero portando con loro ciò che di più prezioso avevano, la loro identità
e la loro cultura, rappresentata da un tralcio di vite o da conoscenze secolari di come si
costruisce un territorio e di come si produce un ottimo vino".
Ma ancora oggi c’è molto da scoprire e da esportare, come ci mostrano le storie e le foto dei
nuovi migranti del vino, come i nostri enologi ricercatissimi in India e in Cina, che stanno
contribuendo a diffondere un tratto così identitario della nostra cultura. Affinare il palato di
consumatori impensati è la scommessa del futuro, che come evidenziato nella ricerca,
giocheranno un ruolo non banale nell’apertura di nuovi mercati.
L’appuntamento sarà aperto dai saluti di Mons. Gian Carlo Perego, Direttore generale della
Fondazione Migrantes, di Sergio Conti, Presidente della Società geografica italiana e di Paolo
Di Giovine, Direttore del dipartimento di Scienze documentarie linguistico, filologiche e
geografiche dell’Università “La Sapienza” di Roma.
A commentare il volume saranno Roberto Cipresso, winemaker di fama mondiale, Luigi
Sbarra della Fondazione Fai-Cisl e l’On. Fabio Porta, Presidente del Comitato permanente
Italiani nel mondo e Promozione del sistema paese della Camera dei Deputati. Coordina Paolo
Valentini, editorialista del Corriere della Sera. Interverranno le curatrici Flavia Cristaldi e
Delfina Licata.
Le conclusioni saranno affidate all’Ambasciatrice Cristina Ravaglia della Direzione generale
per gli italiani all’estero e le politiche migratorie del Ministero degli Affari Esteri e della
Cooperazione Internazionale.
Info Flavia Cristaldi - docente di Geografia delle migrazioni
Valigia di cartone e tralcio di vite, storia di emigranti in viaggio con i vitigni
Articolo pubblicato il: 29/04/2015
Italiani con la valigia di cartone, ma tralci e talee di vite ben saldi sotto il braccio: questa l’immagine che ci restituisce la ricerca coordinata da 'Sapienza' Università di Roma, Fondazione Migrantes e Società geografica italiana, che si propone di tracciare la strada e l’influenza sul paesaggio dei vitigni nostrani portati dagli emigranti in giro per il mondo. Una ricerca che si sposta in 19 paesi, dall’America all’Africa, dall’Australia alla più vicina Europa, raccogliendo storie, testimonianze e immagini di un percorso eno-culturale ampio e variegato. Lo studio è ora diventato un libro, 'Nel solco degli emigranti. I vitigni italiani alla conquista del mondo', a cura di Flavia Cristaldi e Delfina Licata (ed. Bruno Mondadori), in uscita in questi giorni e presentato presso il Museo dell'Emigrazione italiana al Vittoriano di Roma. E in occasione dell'appuntamento è stato organizzato anche un allestimento temporaneo di fotografie d’epoca. Le storie e gli aneddoti che si intrecciano sono tra i più vari: dalle donne che mimetizzavano i tralci nelle gabbie delle galline per superare i controlli in Tunisia - dove forte era la resistenza francese ad avere concorrenza in materia enologica - alle pergole fatte dai nostri connazionali coi tubi del gas dismessi nella città di Toronto e al ruolo inedito dei missionari come divulgatori del sapere vinicolo, indotti dalla necessità di celebrare Messa e confezionare vino in ogni dove. Portare un tralcio di vite dall’Italia ha significato portare con sé la propria cultura e la propria tradizione, un segno tangibile della identità in un luogo altro. La ricerca nasce da un’idea di Flavia Cristaldi, docente di Geografia delle Migrazioni, e si avvale della competenza di geografi, sociologi, agronomi, winemakers, demografi, architetti e giornalisti. “Il nostro obiettivo - spiega Flavia Cristaldi - è quello di rintracciare i vitigni italiani sul territorio e considerare gli effetti che la sapienza vitivinicola, partita dalle diverse regioni italiane prima con i sacchi di iuta e le valige di cartone poi, ha depositato sul territorio, sia a livello paesaggistico che architettonico e toponomastico, trasformandolo anche profondamente". "Ad esempio nel mio soggiorno in Brasile - continua - mi sono imbattuta in una cittadina dove la toponomastica stradale ‘racconta’ la colonizzazione italiana attraverso i nomi dei vitigni arrivati con i migranti già sul finire dell’Ottocento, Rue Uva Italia o Rue Moscato, o ancora Rue Barbera e dove un’improbabile statua del leone di San Marco troneggia nella piazza principale”. "Rileggere l'emigrazione italiana - spiega Delfina Licata - è ciò di cui si ha maggiormente bisogno, ma bisogna farlo attraverso lenti nuove e prospettive diverse: attraverso la riflessione su specifici contesti e sulle attività legate al settore vinicolo abbiamo scelto di raccontare l'emigrazione di ieri e di oggi, i successi e gli insuccessi, le difficoltà superate e i fallimenti dei migranti italiani". "E lo abbiamo fatto - sottolinea - creando un gruppo di lavoro multidisciplinare che ha messo insieme le proprie specificità lavorando armoniosamente alla pubblicazione di un volume che sia il racconto di un impegno, della tenacia di donne e di uomini, della storia e delle storie personali e delle famiglie italiane, che, mossi dalle motivazioni più varie, sono approdati all’estero portando con sé ciò che di più prezioso possedevano, la loro identità e la loro cultura, rappresentata da un tralcio di vite o da conoscenze secolari di come si costruisce un territorio e di come si produce un ottimo vino". Ma ancora oggi c’è molto da scoprire e da esportare, come ci mostrano le storie e le foto dei nuovi migranti del vino, come i nostri enologi ricercatissimi in India e in Cina, che stanno contribuendo a diffondere un tratto così identitario della nostra cultura. Affinare il palato di consumatori impensati è la scommessa del futuro, che, come evidenziato nella ricerca, giocheranno un ruolo non marginale verso i nuovi mercati.
(AGI) - Roma, 22 apr. - Italiani con la valigia di cartone, ma tralci e talee di vite ben saldi sotto il braccio:
questa l'immagine che ci restituisce la ricerca coordinata dalla Sapienza, che si propone di tracciare la
strada e l'influenza sul paesaggio dei vitigni nostrani portati dagli emigranti in giro per il mondo. Una ricerca
che si sposta in 19 paesi, dall'America all'Africa, dall'Australia alla piu' vicina Europa, raccogliendo storie,
testimonianze e immagini di un percorso eno-culturale ampio e variegato. Lo studio e' ora diventato un
libro che verra' presentato presso il Museo della Emigrazione italiana al Vittoriano di Roma il 28 aprile. Le
storie e gli aneddoti che si intrecciano sono tra i piu' vari: dalle donne che mimetizzavano i tralci nelle
gabbie delle galline per superare i controlli in Tunisia, dove forte era la resistenza francese ad avere
concorrenza in materia enologica; alle pergole fatte dai nostri connazionali coi tubi del gas dismessi nella
citta' di Toronto e al ruolo inedito dei missionari come divulgatori del sapere vinicolo, indotti dalla
necessita' di celebrare Messa e confezionare vino in ogni dove.
La ricerca, condotta in sinergia con la Fondazione Migrantes e con la Societa' Geografica Italiana, nasce da
un'idea di Flavia Cristaldi, docente di Geografia delle Migrazioni e si avvale della competenza di geografi,
sociologi, agronomi, winemakers, demografi, architetti e giornalisti. "Il nostro obiettivo e' quello di rin-
tracciare i vitigni italiani sul territorio e considerare gli effetti che la sapienza vitivinicola, partita dalle
diverse regioni italiane prima con i sacchi di iuta e le valige di cartone poi, ha depositato sul territorio, sia a
livello paesaggistico che architettonico e toponomastico, trasformandolo anche profondamente", ha
spiegato Cristaldi.
(AGI) Red/Pgi
EMIGRAZIONE, DOMANI PRESENTAZIONE STUDIO SU VITIGNI ITALIANI NEL MONDO (1)
(9Colonne) Roma, 27 apr - Italiani con la valigia di cartone, ma tralci e talee di vite ben saldi sotto il braccio:
questa l'immagine che ci restituisce la ricerca coordinata da Sapienza Università di Roma, Fondazione
Migrantes e Società Geografica Italiana, che si propone di tracciare la strada e l'influenza sul paesaggio dei
vitigni nostrani portati dagli emigranti in giro per il mondo. Una ricerca che si sposta in 19 paesi,
dall'America all'Africa, dall'Australia alla più vicina Europa, raccogliendo storie, testimonianze e immagini di
un percorso eno-culturale ampio e variegato. Lo studio è ora diventato un libro ("Nel solco degli emigranti. I
vitigni italiani alla conquista del mondo, a cura di Flavia Cristaldi e Delfina Licata; ed. Bruno Mondadori,
2015) in uscita in questi giorni e presentato presso il Museo della Emigrazione italiana al Vittoriano di Roma
domani, 28 aprile, un appuntamento per il quale è previsto un allestimento temporaneo di fotografie
d'epoca. Le storie e gli aneddoti che si intrecciano sono tra i più vari: dalle donne che mimetizzavano i tralci
nelle gabbie delle galline per superare i controlli in Tunisia - dove forte era la resistenza francese ad avere
concorrenza in materia enologica - alle pergole fatte dai connazionali coi tubi del gas dismessi nella città di
Toronto e al ruolo inedito dei missionari come divulgatori del sapere vinicolo, indotti dalla necessità di
celebrare Messa e confezionare vino in ogni dove. Portare un tralcio di vite dall'Italia ha significato portare
con sé la propria cultura e la propria tradizione, un segno tangibile della identità in un luogo altro. (SEGUE)
271635 APR 15
(9Colonne) Roma, 27 apr - La ricerca nasce da un'idea di Flavia Cristaldi, docente di Geografia delle
Migrazioni e si avvale della competenza di geografi, sociologi, agronomi, winemakers, demografi, architetti
e giornalisti. "Il nostro obiettivo è quello di rintracciare i vitigni italiani sul territorio e considerare gli effetti
che la sapienza vitivinicola, partita dalle diverse regioni italiane prima con i sacchi di iuta e le valige di
cartone poi, ha depositato sul territorio, sia a livello paesaggistico che architettonico e toponomastico,
trasformandolo anche profondamente - spiega Flavia Cristaldi - Ad esempio nel mio soggiorno in Brasile mi
sono imbattuta in una cittadina dove la toponomastica stradale 'racconta' la colonizzazione italiana
attraverso i nomi dei vitigni arrivati con i migranti già sul finire dell'Ottocento, Rue Uva Italia o Rue
Moscato, o ancora Rue Barbera e dove un'improbabile statua del leone di San Marco troneggia nella piazza
principale". "Rileggere l'emigrazione italiana è ciò di cui si ha maggiormente bisogno, ma bisogna farlo
attraverso lenti nuove e prospettive diverse - spiega Delfina Licata - Attraverso la riflessione su specifici
contesti e sulle attività legate al settore vinicolo abbiamo scelto di raccontare l'emigrazione di ieri e di oggi,
i successi e gli insuccessi, le difficoltà superate e i fallimenti dei migranti italiani. E lo abbiamo fatto creando
un gruppo di lavoro multidisciplinare che ha messo insieme le proprie specificità lavorando
armoniosamente alla pubblicazione di un volume che sia il racconto di un impegno, della tenacia di donne e
di uomini, della storia e delle storie personali e delle famiglie italiane , che mossi dalle motivazioni più varie
sono partiti alla volta dell'estero portando con loro ciò che di più prezioso avevano, la loro identità e la loro
cultura, rappresentata da un tralcio di vite o da conoscenze secolari di come si costruisce un territorio e di
come si produce un ottimo vino". (PO / SEGUE) 271638 APR 15
LZ) MIGRANTI. VITIGNI ITALIANI, GIOVEDÌ A MUSEO EMIGRAZIONE
(DIRE) Roma, 26 apr. - "Nel solco degli emigranti. I vitigni italiani alla conquista del
mondo". Questo il titolo del volume - curato da Flavia Cristaldi e Delfina Licata ed edito da
Bruno Mondadori - che sara' presentato martedi' 28 aprile 2015 alle ore 17.00 presso il
Museo dell'Emigrazione. Il volume, promosso dalla Fondazione Migrantes, dalla Societa'
geografica italiana e dalla sezione di Geografia del dipartimento di Scienze documentarie
linguistico, filologiche e geografiche dell'Universita' La Sapienza, racconta il legame tra gli
italiani all'estero e il vino. Un legame che ha radici profonde. Le conclusioni saranno
affidate all'Ambasciatrice Cristina Ravaglia della Direzione generale per gli italiani
all'estero e le politiche migratorie del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione
Internazionale. Per l'occasione sara' allestita la mostra fotografica "L'emigrazione italiana
in un bicchier di vino. Tra viti, vini e culture", che sara' illustrata ai presenti dalla curatrice
della Sapienza, Sandra Leonardi. (Com/Lum/ Dire) 11:25 26-04-15 NNNN
1
Data
Pagina
Foglio
03-05-201534
Codic
e a
bbonam
ento
:
Sapienza - carta stampata
059844
Settimanale
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1
Data
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Foglio
29-04-20154
Codic
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bbonam
ento
:
Sapienza - carta stampata
059844
Quotidiano
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For generations of migrants, vines have been both mementos of the past and passports for a better future
by Chiara Beghelli
1. Italian settlers in Linha Leopoldina, Brasil, 1941. Among them, the Brothers Valduga, from Rovereto (Verona province). Today Valduga is one of the biggest Brasilian wine companies. Photo from the Pedro Carraro Archives 1/2
2. Italian near the «Quicechianti» store, San Francisco, US 2/2
In the Holy Land, in a dangerous zone between Jerusalem and Bethlehem, Salesian missionaries
from Italy have been living since the late 1800s in a monastery that dates back to the seventh
century.
And since 1896, they have been producing a very good wine, the “Cremisan.”
Meanwhile on the other side of the world, in Argentina, many of the most ancient wineries of
Mendoza area were founded by Italian emigrant farmers since late 1800s. In 1974 Giorgio Dalla Cia
landed in South Africa from Liguria and created one of the most famous wine in the country, the
“Rubicon.”
These are only a sample of the many stories of Italian migrants that carried with them “their”
grapes, to plant in their new countries, described in the book “In the Furrow of Emigrants. Italian
grapes in the world” (Bruno Mondadori) edited by Flavia Cristaldi, a Geography of Migrations
professor at Rome University and Delfina Licata of Fondazione Migrantes, an organization focused
on migration issues created by the Italian Episcopal Conference.
From South America to the US, from Australia to emerging markets like China and India, the
human stories are merging with local economies and cultures, and the result is both impressive and
unexpected: one of the reasons why the Italian migrants left their country was the invasion by
phylloxera, an insect that ate the roots of many vine trees across whole Europe and destroyed
entire economies.
To carry a little piece of a vine, also hidden in their luggage, was a sort a symbolic link with the
motherland, and to drink wine was a way of remembering daily life in Italy.
These little histories, often of small families, helped foster the economy in some of the most
important regions for wine productions today: for example, in Argentina, Cesare Cipolletti, who
arrived there from Rome in 1888, built several dams to irrigate the area of Mendoza; in Brazil
Abramo Eberle from Vicenza and Antonio Pieruccini from Lucca opened new commercial routes
for wines in Sao Paulo state, while Antonio Tomba’s winery gave electricity to the local community
of former Belgrano city.
In US, in 1881, in Sonoma valley Andrea Sbarboro from Genoa founded the “Italian-Swiss Colony”
to give work to many Italian migrants wine farmers, especially fromPiedmont.
Twenty years later, Secondo Guasti, from Asti, founded in Cucamonga, south of Los Angeles, the
Italian Vineyard Company.
The renowned E. & J. Gallo winery was founded by Ernest and Giulio, sons of Italian migrants, in
1933: today it has $1.5 billion in revenues, 4,600 workers and 1,600 hectares of vineyards.
In New Zealand, one of the most cutting-edge agricultural research centers was founded by Romeo
Bragato, that was appointed the Government Viticulturist in 1889.
Today, the total area planted with grapevine is about 7.5 million hectares worldwide, and the top
countries by area are Spain, France, Italy, China, Turkey and the US. The most common Italian
grapes in the world are the Sangiovese, Trebbiano toscano (imported in France by Maria de Medici
in the sixteenth century), Catarratto and Montepulciano.
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Vitigni italiani e migrazioni dall’800 a oggi: incontro alla Sapienza
Università degli Studi di Roma “La Sapienza” – I segni del vino dall’Italia al mondo. Uno studio traccia la diffusione dei vitigni italiani attraverso le migrazioni dall’800 ai giorni nostri Italiani con la valigia di cartone, ma tralci e talee di vite ben saldi sotto il braccio: questa l’immagine che ci restituisce la ricerca coordinata da Sapienza Università di Roma, Fondazione Migrantes e Società Geografica Italiana, che si propone di tracciare la strada e l’influenza sul paesaggio dei vitigni nostrani portati dagli emigranti in giro per il mondo. Una ricerca sui vitigni italiani che si sposta in 19 paesi, dall’America all’Africa, dall’Australia alla più vicina Europa, raccogliendo storie, testimonianze e immagini di un percorso eno-culturale ampio e variegato. Lo studio sui vitigni italiani è ora diventato un libro (“Nel solco degli emigranti. I vitigni italiani alla conquista del mondo, a cura di Flavia Cristaldi e Delfina Licata; ed. Bruno Mondadori, 2015) in uscita in questi giorni e presentato presso il Museo della Emigrazione italiana al Vittoriano di Roma domani, 28 aprile, un appuntamento per il quale è previsto un allestimento temporaneo di fotografie d’epoca. Le storie e gli aneddoti che si intrecciano sono tra i più vari: dalle donne che mimetizzavano i tralci nelle gabbie delle galline per superare i controlli in Tunisia – dove forte era la resistenza francese ad avere concorrenza in materia enologica; alle pergole fatte dai nostri connazionali coi tubi del gas dismessi nella città di Toronto e al ruolo inedito dei missionari come divulgatori del sapere vinicolo, indotti dalla necessità di celebrare Messa e confezionare vino in ogni dove. Portare un tralcio di vite dall’Italia ha significato portare con sé la propria cultura e la propria tradizione, un segno tangibile della identità in un luogo altro. La ricerca sui vitigni italiani nasce da un’idea di Flavia Cristaldi, docente di Geografia delle Migrazioni e si avvale della competenza di geografi, sociologi, agronomi, winemakers, demografi, architetti e giornalisti. “Il nostro obiettivo è quello di rintracciare i vitigni italiani sul territorio e considerare gli effetti che la sapienza vitivinicola, partita dalle diverse regioni italiane prima con i sacchi di iuta e le valige di cartone poi, ha depositato sul territorio, sia a livello paesaggistico che architettonico e toponomastico, trasformandolo anche profondamente – spiega Flavia Cristaldi – Ad esempio nel mio soggiorno in Brasile mi sono imbattuta in una cittadina dove la toponomastica stradale ‘racconta’ la colonizzazione italiana attraverso i nomi dei vitigni arrivati con i migranti già sul finire dell’Ottocento, Rue Uva Italia o Rue Moscato, o ancora Rue Barbera e dove un’improbabile statua del leone di San Marco troneggia nella piazza principale”. “Rileggere l’emigrazione italiana è ciò di cui si ha maggiormente bisogno, ma bisogna farlo attraverso lenti nuove e prospettive diverse”, spiega Delfina Licata: “Attraverso la riflessione su specifici contesti e sulle attività legate al settore vinicolo abbiamo scelto di raccontare l’emigrazione di ieri e di oggi, i successi e gli insuccessi, le difficoltà superate e i fallimenti dei migranti italiani. E lo abbiamo fatto creando un gruppo di lavoro multidisciplinare che ha messo insieme le proprie specificità lavorando armoniosamente alla pubblicazione di un volume che sia il racconto di un impegno, della tenacia di donne e di uomini, della storia e delle storie personali e delle famiglie italiane , che mossi dalle motivazioni più varie sono partiti alla volta dell’estero portando con loro ciò che di più prezioso avevano, la loro identità e la loro cultura, rappresentata da un tralcio di vite o da conoscenze secolari di come si costruisce un territorio e di come si produce un ottimo vino”. Ma ancora oggi c’è molto da scoprire e da esportare, come ci mostrano le storie e le foto dei nuovi migranti del vino, come i nostri enologi ricercatissimi in India e in Cina, che stanno contribuendo a diffondere un tratto così identitario della nostra cultura. Affinare il palato di consumatori impensati è la scommessa del futuro, che come evidenziato nella ricerca, giocheranno un ruolo non banale nell’apertura di nuovi mercati. L’appuntamento sulla storia dei vitigni italiani sarà aperto dai saluti di Mons. Gian Carlo Perego, Direttore generale della Fondazione Migrantes, di Sergio Conti, Presidente della Società geografica italiana e di Paolo Di Giovine, Direttore del dipartimento di Scienze documentarie linguistico, filologiche e geografiche dell’Università “La Sapienza” di Roma. A commentare il volume saranno Roberto Cipresso, winemaker di fama mondiale, Luigi Sbarra della Fondazione Fai-Cisl e l’On. Fabio Porta, Presidente del Comitato permanente Italiani nel mondo e Promozione del sistema paese della Camera dei Deputati. Coordina Paolo Valentini, editorialista del Corriere della Sera. Interverranno le curatrici Flavia Cristaldi e Delfina Licata. Le conclusioni saranno affidate all’Ambasciatrice Cristina Ravaglia della Direzione generale per gli italiani all’estero e le politiche migratorie del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.
Quando i migranti esportavano le viti italiane nel mondo
di redazione | Published on 23 Aprile 2015
Quando i nostri nonni emigravano in tutto il mondo, insieme all’iconica valigia di cartone, o forse proprio al
suo interno, portavano con se anche tralci e talee della loro pianta preferita: la vite. È questa l’immagine
che ci restituisce la ricerca coordinata dalla Sapienza, che si propone di tracciare la strada e l’influenza sul
paesaggio dei vitigni nostrani portati dagli emigranti in giro per il mondo. Una ricerca che si sposta in 19
paesi, dall’America all’Africa, dall’Australia alla più vicina Europa, raccogliendo storie, testimonianze e
immagini di un percorso eno-culturale ampio e variegato. Lo studio è ora diventato un libro, intitolato “Nel
solco degli emigranti. I vitigni italiani alla conquista del mondo” (a cura di Flavia Cristaldi e Delfina Licata;
ed. Bruno Mondadori, 2015) in uscita in questi giorni, che sarà presentato presso il Museo della
Emigrazione italiana al Vittoriano di Roma il 28 aprile, un appuntamento per il quale è previsto un
allestimento temporaneo di fotografie d’epoca. Il volume che raccoglie i risultati della ricerca ha
conquistato inoltre un passaggio all’Expo 2015, previsto a giugno.
Le storie e gli aneddoti che si intrecciano sono tra i più vari: dalle donne che mimetizzavano i tralci nelle
gabbie delle galline per superare i controlli in Tunisia – dove forte era la resistenza francese ad avere
concorrenza in materia enologica; alle pergole fatte dai nostri connazionali coi tubi del gas dismessi nella
città di Toronto e al ruolo inedito dei missionari come divulgatori del sapere vinicolo, indotti dalla necessità
di celebrare Messa e confezionare vino in ogni dove. Portare un tralcio di vite dall’Italia ha significato
portare con sé la propria cultura e la propria tradizione, un segno tangibile della identità in un luogo altro.
La ricerca, condotta in sinergia con la Fondazione Migrantes e con la Società Geografica Italiana, nasce da
un’idea di Flavia Cristaldi, docente di Geografia delle Migrazioni e si avvale della competenza di geografi,
sociologi, agronomi, winemakers, demografi, architetti e giornalisti. “Il nostro obiettivo è quello di rin-
tracciare i vitigni italiani sul territorio e considerare gli effetti che la sapienza vitivinicola, partita dalle
diverse regioni italiane prima con i sacchi di iuta e le valige di cartone poi, ha depositato sul territorio, sia a
livello paesaggistico che architettonico e toponomastico, trasformandolo anche profondamente”, spiega
Cristaldi. “Ad esempio nel mio soggiorno in Brasile mi sono imbattuta in una cittadina dove la
toponomastica stradale “racconta” la colonizzazione italiana attraverso i nomi dei vitigni arrivati con i
migranti già sul finire dell’Ottocento, Rue Uva Italia o Rue Moscato, o ancora Rue Barbera e dove
un’improbabile statua del leone di San Marco troneggia nella piazza principale.”
Ma ancora oggi c’è molto da scoprire e da esportare, come ci mostrano le storie e le foto dei nuovi migranti
del vino, come i nostri enologi ricercatissimi in India e in Cina, che stanno contribuendo a diffondere un
tratto così identitario della nostra cultura. Affinare il palato di consumatori impensati è la scommessa del
futuro, che come evidenziato nella ricerca, giocheranno un ruolo non banale nell’apertura di nuovi mercati.
Nel solco degli emigranti. I vitigni italiani alla conquista del mondo ROMA. – “Nel solco degli emigranti. I vitigni italiani alla conquista del mondo”. Questo il titolo del volume,
curato da Flavia Cristaldi e Delfina Licata ed edito da Bruno Mondadori, che sarà presentato martedì 28
aprile alle 17 presso il Museo dell’Emigrazione.
Il volume, promosso dalla Fondazione Migrantes, dalla Società geografica italiana e dalla sezione di
Geografia del dipartimento di Scienze documentarie linguistico, filologiche e geografiche dell’Università “La
Sapienza”, racconta il legame tra gli italiani all’estero e il vino. Un legame che ha radici profonde.
Molte volte le storie dei nostri connazionali si intrecciano con quelle di terre lontane, spesso poco
conosciute, dove piantare una vite significa seminare una parte del luogo natio e ricostruire il senso di casa,
protezione, appartenenza.
Negli anni gli italiani hanno raggiunto ogni angolo del pianeta riempiendo le valigie di barbatelle e talee con
cui iniziare una nuova vita e, combattendo contro l’aridità del suoli e la durezza del clima, hanno
addomesticato paesaggi e prodotto vini di eccellente qualità, oggi famosi in tutto il mondo.
“Nel solco degli emigranti: I vitigni italiani alla conquista del mondo” evidenzia le vicende di uomini e donne
che hanno contribuito non solo allo sviluppo dei Paesi di arrivo, dando vita a paesaggi nuovi, coltivabili e
produttivi, ma anche al mantenimento dei sapori e delle tradizioni del paese e della regione d’origine.
Ventisei autori di diverse discipline, inseguendo i migranti italiani e i loro discendenti in 19 Paesi, hanno
raccolto storie e testimonianze di famiglie e territori segnati dal vino, per restituire loro il ruolo di
eccellenza che meritano nella storia di un Paese che troppo spesso li relega alle pagine sbiadite della
memoria.
L’appuntamento sarà aperto dai saluti di Mons. Gian Carlo Perego, Direttore generale della Fondazione
Migrantes, di Sergio Conti, Presidente della Società geografica italiana e di Paolo Di Giovine, Direttore del
dipartimento di Scienze documentarie linguistico, filologiche e geografiche dell’Università “La Sapienza” di
Roma.
A commentare il volume saranno Roberto Cipresso, winemaker di fama mondiale, Luigi Sbarra della
Fondazione Fai-Cisl e l’On. Fabio Porta, Presidente del Comitato permanente Italiani nel mondo e
Promozione del sistema paese della Camera dei Deputati. Coordina Paolo Valentini, editorialista del
Corriere della Sera. Interverranno le curatrici Flavia Cristaldi e Delfina Licata.
Le conclusioni saranno affidate all’Ambasciatrice Cristina Ravaglia della Direzione generale per gli italiani
all’estero e le politiche migratorie del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.
Per l’occasione sarà allestita la mostra fotografica “L’emigrazione italiana in un bicchier di vino. Tra viti, vini
e culture”, che sarà illustrata ai presenti dalla curatrice della Sapienza, Sandra Leonardi.
(aise)
I SEGNI DEL VINO DALL’ITALIA AL MONDO
Italiani con la valigia di cartone, ma tralci e talee di vite ben saldi sotto il braccio: questa l’immagine che ci
restituisce la ricerca coordinata da Sapienza Università di Roma, Fondazione Migrantes e Società
Geografica Italiana, che si propone di tracciare la strada e l’influenza sul paesaggio dei vitigni nostrani
portati dagli emigranti in giro per il mondo. Una ricerca che si sposta in 19 paesi, dall’America all’Africa,
dall’Australia alla più vicina Europa, raccogliendo storie, testimonianze e immagini di un percorso eno-
culturale ampio e variegato. Lo studio è ora diventato un libro “Nel solco degli emigranti. I vitigni italiani
alla conquista del mondo”, a cura di Flavia Cristaldi e Delfina Licata, ed. Bruno Mondadori, 2015, in uscita in
questi giorni e presentato presso il Museo della Emigrazione italiana al Vittoriano di Roma il 28 aprile, un
appuntamento per il quale è previsto un allestimento temporaneo di fotografie d’epoca.
Le storie e gli aneddoti che si intrecciano sono tra i più vari: dalle donne che mimetizzavano i tralci nelle
gabbie delle galline per superare i controlli in Tunisia – dove forte era la resistenza francese ad avere
concorrenza in materia enologica – alle pergole fatte dai nostri connazionali coi tubi del gas dismessi nella
città di Toronto e al ruolo inedito dei missionari come divulgatori del sapere vinicolo, indotti dalla necessità
di celebrare Messa e confezionare vino in ogni dove. Portare un tralcio di vite dall’Italia ha significato
portare con sé la propria cultura e la propria tradizione, un segno tangibile della identità in un luogo altro.
La ricerca nasce da un’idea di Flavia Cristaldi, docente di Geografia delle Migrazioni e si avvale della
competenza di geografi, sociologi, agronomi, winemakers, demografi, architetti e giornalisti. “Il nostro
obiettivo – spiega Flavia Cristaldi – è quello di rintracciare i vitigni italiani sul territorio e considerare gli
effetti che la sapienza vitivinicola, partita dalle diverse regioni italiane prima con i sacchi di iuta e le valige di
cartone poi, ha depositato sul territorio, sia a livello paesaggistico che architettonico e toponomastico,
trasformandolo anche profondamente. Ad esempio nel mio soggiorno in Brasile mi sono imbattuta in una
cittadina dove la toponomastica stradale racconta la colonizzazione italiana attraverso i nomi dei vitigni
arrivati con i migranti già sul finire dell’Ottocento, Rue Uva Italia o Rue Moscato, o ancora Rue Barbera e
dove un’improbabile statua del leone di San Marco troneggia nella piazza principale”.
“Rileggere l’emigrazione italiana – spiega Delfina Licata – è ciò di cui si ha maggiormente bisogno, ma
bisogna farlo attraverso lenti nuove e prospettive diverse: attraverso la riflessione su specifici contesti e
sulle attività legate al settore vinicolo abbiamo scelto di raccontare l’emigrazione di ieri e di oggi, i successi
e gli insuccessi, le difficoltà superate e i fallimenti dei migranti italiani. E lo abbiamo fatto creando un
gruppo di lavoro multidisciplinare che ha messo insieme le proprie specificità lavorando armoniosamente
alla pubblicazione di un volume che sia il racconto di un impegno, della tenacia di donne e di uomini, della
storia e delle storie personali e delle famiglie italiane, che mossi dalle motivazioni più varie sono approdati
all’estero portando con sé ciò che di più prezioso possedevano, la loro identità e la loro cultura,
rappresentata da un tralcio di vite o da conoscenze secolari di come si costruisce un territorio e di come si
produce un ottimo vino”.
Ma ancora oggi c’è molto da scoprire e da esportare, come ci mostrano le storie e le foto dei nuovi migranti
del vino, come i nostri enologi ricercatissimi in India e in Cina, che stanno contribuendo a diffondere un
tratto così identitario della nostra cultura. Affinare il palato di consumatori impensati è la scommessa del
futuro, che come evidenziato nella ricerca, giocheranno un ruolo non marginale verso i nuovi mercati.