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I reggiani e la responsabilità sociale delle imprese

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  SINTESI DELL’INDAGINE DEMOSCOPICA SVOLTA DA ASTRARICERCHE PER CONTO DEL GRUPPO GIOVANI DELL’ASSOCIAZIONE INDUSTRIALI DELLA PROVINCIA DI REGGIO EMILIA  

Presentazione dell’Osservatorio sulla società reggiana 

EDIZIONE 2012 

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QUESTA RICERCA 

Nelle pagine che seguono vengono presentati i principali dati dell’indagine demoscopica che da sette 

anni AstraRicerche realizza per conto del Gruppo Giovani di Confindustria Reggio Emilia tramite 500 

interviste telefoniche, somministrate col metodo CATI (Computer Aided Telephone Interviewing) a un 

campione  rappresentativo  dei  cittadini  italiani  maggiorenni  residenti  a  Reggio  Emilia  e  nella 

provincia, pari a 431.000 individui. La rilevazione è avvenuta tra il 10 e il 13 gennaio 2012, un po’ più 

tardi rispetto al consueto (nelle precedenti rilevazioni le interviste venivano svolte a fine novembre di 

ogni anno). 

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LA CONDIZIONE SOCIO‐ECONOMICA DEI REGGIANI 

Secondo la tradizione di questo Monitor, la prima domanda ha riguardato le valutazioni che i soggetti 

hanno  fatto della condizione  socio‐economica propria e dei propri cari alla metà di gennaio 2012: 

esse sono sintetizzate nella ‘torta’ che segue. 

1 • L’attuale situazione personale 

MOLTO MALE(10.000)

2.4%

MALE(35.000)

8.2%

COSÌ COSÌ(187.000)

43.4%

ABBASTANZABENE

(164.000)38.0%

BENE(30.000)

7.0%

MOLTO BENE(3.000)0.6%

NON SANNO(2.000)0.4%

 

Come  si vede,  sono assai pochi  sia  i davvero  soddisfatti  (meno dell’8%),  sia coloro che descrivono 

come  cattiva  o  pessima  la  realtà  che  li  connota  (meno  dell’11%).  Com’è  da  sempre  tipico  di 

quest’area,  il  grosso  del  campione  si  ripartisce  tra  moderatamente  insoddisfatti  (43%)  e 

moderatamente  soddisfatti  (38%). Nel merito,  comunque, prevale  l’insoddisfazione, dichiarata dal 

54%. 

L’analisi dei dati disaggregati mostra  che  tra  coloro  che  si  lamentano  sono  assai  al di  sopra della 

media  gli  intervistati  tardo‐adulti  e  anziani  (63%),  singles  (66%),  con  redditi  e  consumi  medio‐

bassi/bassi (addirittura 80%), con  la  licenza media (61%) o elementare (73%), non ‘attivi’ (59%) e  in 

particolare  pensionati  (65%),  ma  anche  lavoratori  autonomi  (60%)  e,  ancor  più, 

imprenditori/dirigenti/professionisti  (63%).  All’opposto,  la  soddisfazione  circa  la  condizione  socio‐

economica propria e dei propri cari è maggiore della media tra i 18‐34enni (55%), i soggetti di classe 

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media (51%) e ben di più medio‐alta/alta (64%), i diplomati (52%) e i laureati (56%), gli ‘attivi’ (51%: 

specie  impiegati/quadri/docenti 59%) ma pure gli  studenti e  i non occupati  (58%),  coloro che non 

sono capifamiglia (54%) ma convivono con 0‐14enni (figli, fratelli, nipoti: 51%), i soggetti orientati al 

rischio e all’imprenditività (53%), gli opinion leaders che influenzano gli altri (54%). 

Viene da chiedersi: qual è la dinamica della satisfaction/dissatisfaction degli adulti residenti in questa 

provincia?  Lo  si  può  vedere  ‐  con  riferimento  alle  ultime  sei  rilevazioni  ‐  nel  grafico  qui  sotto 

riportato. 

2 • L’attuale situazione personale 

0% 50% 100%

2006

2007

2008

2009

2010

2012

27.5%

24.4%

50.9%

52.2%

38.8%

54.0%

71.8%

75.2%

49.1%

47.8%

61.0%

45.6%

MALE/COSI' COSI'

BENE NON INDICANO

 

Come  si  può  notare,  nel  corso  del  2011  la  situazione  è  nuovamente  peggiorata,  dopo  il  lieve 

miglioramento  registrato  l’anno precedente: anzi, nei  sei anni  considerati, mai  si era  raggiunto un 

livello così alto di scontento: uno scontento esploso nell’autunno 2008 (con l’acuirsi della crisi dopo il 

fallimento della Lehman Brothers) e che ha raggiunto ora il suo top, con i soddisfatti crollati dal 75% 

del 2007 a meno del 46% nel gennaio 2012. 

È  interessante  osservare,  nel  contempo,  che  le  cose  a  Reggio  e  nella  provincia  vanno  comunque 

meglio che nella media  italiana:  la rilevazione nazionale di AstraRicerche dell’inizio di gennaio 2012 

segnala  infatti  che  la media nazionale degli  scontenti è pari al 68% e dunque di quattordici punti 

percentuali superiore a quella verificata negli stessi giorni nel Reggiano. 

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IL SENTIMENT DEI REGGIANI 

Ma come si prospetta il 2012? Lo mostra la ‘torta’ che segue. 

3 • Le previsioni personali autoriferite a breve termine 

PEGGIO(170.000)

39.4%

UGUALE/DIPENDE(152.000)

35.2%

MEGLIO(91.000)21.2%

NON SANNO(18.000)

4.2%

 

Ora,  a  parte  quell’oltre  4%  che  non  sa  esprimersi,  coloro  che  ipotizzano  l’assenza  di mutamenti 

significativi  nei  dodici  mesi  successivi  all’intervista  ammontano  al  35%  del  totale:  un  dato  non 

positivo sol che si tenga conto del mediocre livello di partenza. Il dato‐chiave è comunque un altro: i 

pessimisti autoriferiti a breve termine (il 39%) superano alla grande gli ottimisti (poco oltre il 21%). 

Secondo  tradizione, AstraRicerche ha calcolato  l’indice del sentiment, ossia delle previsioni a breve 

termine: esse sono considerate positive se  l’intervistato  ipotizza un miglioramento  (debole o  forte) 

oppure  se  antivede  una  sostanziale  stabilità,  ma  solo  se  l’attuale  sua  situazione  è  reputata 

abbastanza o molto positiva. Al  contrario,  il  sentiment è definito negativo  allorquando  il  soggetto 

crede che nei prossimi dodici mesi le cose peggioreranno per lui e per i suoi cari oppure rimarranno 

immutate ma a partire da una condizione socio‐economica attuale più o meno disagiata. Ebbene, la 

‘torta’ di seguito riportata indica la situazione alla metà di gennaio del 2012. 

 

 

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4 • Il sentiment 

NEGATIVO(237.000)

55.0%

NEUTRO/INDETERMINABILE

(18.000)4.2%

POSITIVO(176.000)

40.8%

 

È evidente che  i  ‘negativi’  (54%) superano nettamente  i  ‘positivi’  (41%) col restante 4% che non  fa 

previsioni oppure risulta totalmente contraddittorio. 

Le accentuazioni dell’orientamento depresso riguardano  i soggetti con tenore di vita medio‐basso e 

basso (70%), quelli con la sola licenza elementare o nessun titolo di studio (60%), le casalinghe (68%) 

con  i  lavoratori autonomi  (65%) e gli  imprenditori/dirigenti/professionisti  (63%),  coloro  che hanno 

una debolissima personalità  (60%) e non  sono perciò  in grado d’influenzare gli altri  (66%).  Invece, 

l’ottimismo appare superiore alla media tra i 18‐34enni (52%), gli studenti e i non occupati (53%) così 

come  gli  impiegati/quadri/docenti  e  i  salariati  (47%),  in  generale  i  lavoratori dipendenti  (46%),  gli 

appartenenti alle classi media (46%) e ancor più medio‐alta/alta (51%),  i non capifamiglia (45%) ma 

membri di  famiglie numerose  (46%)  specie  se  con bambini/ragazzi  (50%),  infine  coloro  che hanno 

una cospicua  forza della personalità  (48%) e dunque appaiono  in grado di  fare  tam  tam attivando 

fenomeni ‘virali’ (51%). 

E  il  trend  del  sentiment?  Lo  si  ricava  dando  un’occhiata  agli  istogrammi  della  tabella  riportata  di 

seguito, la quale riferisce dei dati dal 2006 in poi. 

 

 

 

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5 • Il sentiment 

0% 50% 100%

2006

2007

2008

2009

2010

2012

29.4%

36.1%

66.6%

47.4%

38.4%

55.0%

23.3%

26.2%

13.4%

4.2%

45.1%

35.1%

18.2%

51.0%

59.2%

40.8%

PESSIMISTI STABILI/AMBIVALENTI

INCERTI OTTIMISTI

 

È evidente, anche qui,  il peggioramento rispetto alle due rilevazioni precedenti: malgrado non si sia 

tornati  ai  livelli  catastrofici  del  trimestre  2008  (quello  dell’accelerazione  della  crisi),  quando  il 

sentiment negativo coinvolse  il 67% dei Reggiani, ora  il  ‘clima’ della provincia  s’è  rovesciato, dopo 

che a fine 2009 e a fine 2010 gli ottimisti autoriferiti avevano battuto i pessimisti. 

Va però detto che la depressione in questa provincia è comunque inferiore a quella media del Paese, 

il  quale  nel  suo  insieme  a metà  gennaio  del  2012  si  descriveva  con  un  sentiment  negativo  nella 

misura del 66%, ossia undici punti percentuali al di sopra del pur non positivo dato reggiano. 

In definitiva, è possibile dire che i residenti italiani in quest’area stanno e prevedono di stare male (e 

peggio che nel biennio precedente), pur se relativamente meglio che nel grosso del Bel Paese. 

A  conferma,  nella  descrizione  delle  caratteristiche  della  propria  personalità  (le  quali  raramente 

cambiano  anno  dopo  anno),  gli  intervistati  segnalano  un  generale  arretramento:  diminuiscono  in 

tredici mesi coloro che si autodefiniscono ottimisti (dal 74% al 71%), gli allegri ed estroversi (dal 76% 

al 68%), coloro che hanno tanti amici/amiche (dal 74% al 68%), i forti e sicuri di sé (dal 69% al 65%), 

coloro  che  amano  godersi  la  vita  (dal  65%  al  62%).  Coerentemente,  aumentano  coloro  che  si 

delineano come assai attenti a come spendono  i soldi  (dall’84% all’86%),  i conservatori  (dal 44% al 

46%), gli ansiosi e incerti (dal 16% al 24%), i pessimisti (dal 16% al 22%), coloro che sostengono di non 

essere mai presi in considerazione dagli altri (dal 4 per mille a quasi il 5%). 

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Ulteriori indicazioni in tal senso vengono dall’analisi del cosiddetto indice di dinamismo pro‐attivo: se 

nel 2010 il 32% dei Reggiani appariva molto favorevole all’innovazione, all’imprenditività, al rischio e 

il 48%  solo un po’  (col 20% di  soggetti  fautori dell’immobilità  e della  sicurezza), ora  la  situazione 

appare peggiorata.  I fautori dell’immobilismo sono rimasti stabili ma è diminuito di più di 6 punti  il 

peso percentuale dei Reggiani davvero orientati  all’innovazione non  garantita  (dal 32%  al 26%),  a 

favore degli ‘intermedi’ ambivalenti: basti dire che i residenti italiani in questa provincia convinti che 

nella vita sia bene cercare di conservare quello che si ha sono passati in tredici mesi dal 54% al 71%. 

Con  un’aggiunta:  gli  intervistati  più  dinamici  risultano  essere  nettamente  superiori  alla media  del 

citato  26%  se  hanno meno  di  35  anni  (33%),  sono  laureati  (41%),  sono  studenti  o  non  occupati 

(addirittura  47%)  oppure  imprenditori/dirigenti/professionisti  e  impiegati/quadri/docenti  (32%), 

hanno  reddito  e  consumi medio‐alti  o  alti  (per  un  49%  senza  pari),  hanno  un’elevata  forza  della 

personalità (42%) e perciò influenzano gli altri e attivano fenomeni ‘virali’ (43%). 

È però interessante notare che, in un momento di forti e crescenti difficoltà materiali, si rafforzano le 

istanze immateriali: gli intervistati che dicono di avere forti valori e ideali ‘volano su’ dall’81% al 90%, 

i molto attenti agli aspetti spirituali della vita dal 62% al 70%, gli informati e colti dal 60% al 69%. Ma 

la differenza più forte tra le ultime due rilevazioni riguarda il dichiarare di avere tanti sogni, progetti, 

ambizioni:  qui  in  poco  più  di  un  anno  si  passa  dal  59%  al  47%,  a  dimostrazione  del  fatto  che  il 

momento difficile riduce la propensione all’innovazione, finendo così per aggravare proprio la crisi da 

cui si vuole uscire. 

 

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I RAPPORTI TRA IMPRESE E SOCIETÀ 

Al  di  là  di  questi  dati  generali,  il  tema  specifico  di  questo  sondaggio  è  stato  la  corporate  social 

responsibility, ossia  la responsabilità sociale delle  imprese: un tema declinato dai Reggiani nel proprio 

specifico contesto socio‐culturale, a lungo studiato in passato da AstraRicerche e connotato dal recente 

passaggio da un diffuso sospetto anti‐industriale a una più equilibrata cultura, in ogni caso assai attenta 

agli aspetti sociali. 

A riprova, non più del 43% del campione ritiene che le imprese debbano solo mirare a fare profitti con 

l’unico vincolo del rispetto delle leggi (una convinzione maggiore tra gli imprenditori, i dirigenti, i liberi 

professionisti,  i  commercianti,  gli  esercenti,  gli  artigiani).  Non  che  le  imprese  possano  prescindere 

dall’efficienza: anzi, quasi  il 98% del  campione è  certo  che esse debbano operare appunto  in modo 

economicamente efficiente perché così creano lavoro e ricchezza per la comunità. Di più, compito delle 

imprese è certo produrre profitti ma ‐ secondo la tipica cultura reggiana ‐ per distribuirlo alla comunità, 

per dare vantaggi diretti e indiretti alla società locale nel suo insieme (lo pensa l’85%). In effetti, l’opinio 

communis dei residenti  italiani in questa provincia è che le imprese non devono solo avere l’obiettivo 

dell’efficienza  e  del  profitto ma  devono  anche  svolgere  azioni  positive  nei  confronti  dei  lavoratori, 

dell’ambiente, dei gruppi sociali più deboli. 

Siamo di fronte, con ogni evidenza, ad un dominante favore per  il  ‘capitalismo sociale’, assai  lontano 

dal  liberismo  puro  e  dell’esaltazione  del  mercato  senza  troppi  vincoli.  La  realtà  è  che  la  doppia 

tradizione  social‐comunista  e  cattolico‐popolare,  per  molto  tempo  ‐  seppur  in  modi  diversi  ‐ 

anticapitalistiche  e  comunque  ostili  al  mondo  delle  imprese  private,  ha  abbandonato  nell’ultimo 

ventennio  la  rigidità  ideologica,  per  approdare  a  una  formazione  di  compromesso  tra  la  tradizione 

leftist e il goodwill per il capitalismo: non una terza via ma un punto di approdo intermedio, che esalta il 

ruolo dell’impresa ma solo in quanto essa sia fortemente oblativa e destini una quota significativa delle 

sue  attività  e  dei  suoi  profitti  a  favore  della  collettività  e  non  solo  dell’imprenditore  o  degli 

imprenditori. 

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LA RESPONSABILITÀ SOCIALE DELLE IMPRESE 

L’orientamento  appena  delineato  si  traduce  in  un  inconsueto  favore maggioritario,  senza  alcuna 

eccezione,  nei  confronti  dei  18  esempi  ‘testati’  di  corporate  social  responsibility,  indicati  qui  di 

seguito. 

6 • Gli aspetti di responsabilità sociale delle imprese a cui si attribuisce moltissima importanza 

 

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I dati che abbiamo appena scorso sono impressionanti. Di fatto, su 18 exempla, ben 11 sono condivisi 

da più dell’85% del campione; altri tre tra il 71% e il 77%; gli ultimi quattro tra il 63% e il 65%. 

La verità è che  i Reggiani  investono  le  imprese  (private, cooperative, pubbliche, miste, ecc.) di una 

vera e propria valanga di aspettative, dando moltissima  importanza alla  tutela della  salute e della 

sicurezza dei  lavoratori, dell’ambiente e dell’ecosostenibilità, del risparmio energetico e dell’utilizzo 

di fonti alternative di energia, del più generale risparmio nell’utilizzo delle materie prime (specie se 

non rinnovabili), dell’estensione e della valorizzazione del lavoro dei giovani e delle donne così come 

degli anziani e dei disabili. Non basta:  le  imprese  sono assai  richieste di  impegnarsi a  favore della 

ricerca scientifica e tecnologica così come di nuovi  (e persino rivoluzionari) modi di produrre, dello 

sviluppo della mobilità  sostenibile,  a pro della  comunità  locale  (anche  in  collaborazione  con  altre 

aziende,  gli  enti  locali,  l’università,  ecc.),  contro ogni discriminazione  ‐  anzitutto nelle  fabbriche  e 

negli uffici ‐ dei  lavoratori di ogni origine ed etnia, religione e cultura. E vanno aggiunti anche sia  la 

tutela  dei  consumatori  (pure  in  collaborazione  con  le  organizzazioni  consumeristiche),  sia  il 

cosiddetto ‘volontariato d’impresa’, lo sviluppo del telelavoro, ecc.. 

Appaiono  complessivamente  modeste  le  differenze  tra  i  diversi  segmenti  in  cui  si  articolano  il 

campione  e dunque  la  società  reggiana.  In ogni  caso,  i maschi  risultano più orientati  al  risparmio 

nell’uso  delle materie  prime  e  allo  sviluppo  di  nuovi modi  di  produrre, mentre  le  donne  non  si 

discostano mai significativamente dalla media. I più giovani sono maggiori fautori della valorizzazione 

del  lavoro  femminile, mentre  gli  adulti nelle  fasce  centrali d’età  risultano più  sensibili  alla  ricerca 

scientifica  e  tecnologica,  al  rigetto  di  ogni discriminazione,  all’innovazione  dei processi  produttivi, 

all’impegno  delle  imprese  a  risolvere  alcuni  dei  problemi  dell’area  nella  quale  operano  (anche  in 

collaborazione con altri soggetti), alla tutela dei consumatori, allo sviluppo del telelavoro. I lavoratori 

dipendenti appaiono ancor più orientati della media a favore della valorizzazione delle donne, dello 

sviluppo  della  mobilità  sostenibile,  del  maggior  ricorso  al  telelavoro,  mentre  gli 

indipendenti/autonomi  (inclusi  gli  imprenditori)  risultano  più  attenti  alla  ricerca  scientifica  e 

tecnologica,  al  risparmio  nell’uso  delle  materie  prime,  all’innovazione  nei  modi  di  produrre, 

all’attivismo communitarian e anche allo sviluppo del telelavoro. Ma ‐ ripetiamolo ‐  il dato‐chiave è 

quello della scarsità di differenze rilevanti tra i diversi gruppi sociali di Reggio e delle provincia.  

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I reggiani e la responsabilità sociale delle imprese • Osservatorio sulla società reggiana EDIZIONE 2012

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LA VALUTAZIONE DELLA RESPONSABILITÀ SOCIALE DELLE IMPRESE PRIVATE LOCALI 

Sin  qui,  gli  auspici. Ma  qual  è  la  realtà  delle  imprese  private  reggiane  per  quel  che  attiene  alla 

corporate social responsibility? Lo si vede dando un’occhiata alla ‘torta’ riportata di seguito, la quale 

sintetizza  i dati relativi ai voti (da 1/minimo a 10/massimo) che ogni  intervistato è stato richiesto di 

esprimere  valutando  il  concreto  impegno  delle  aziende  non  pubbliche  reggiane  in  relazione  alle 

numerose forme di responsabilità sociale sin qui considerate. 

Cominciamo col dire che il voto medio è discreto, essendo pari a 6.7 nella suddetta scala ‘scolastica’ 

1‐10. Ed è  interessante osservare che non si rilevano differenze significative né per genere, né per 

condizione socio‐professionale (per es. tra  lavoratori dipendenti,  lavoratori autonomi,  imprenditori, 

non lavoratori). Solo l’età gioca un ruolo, seppur mimino: i men che 35enni risultano un po’ più critici 

degli  adulti  e  degli  anziani.  E  anche  la  collocazione  nelle  tre  aree  nelle  quali  è  stata  ripartita  la 

provincia segnala che  il giudizio  in questione è  lievemente migliore tra  i residenti nel capoluogo, di 

poco inferiore nella Bassa, minimo (ma sempre discreto) nella zona appenninica che si colloca a sud 

della provincia. 

7 • Il giudizio attribuito all’impegno delle imprese private di Reggio e della provincia per quel che 

riguarda la responsabilità sociale 

VOTI 1-5(59.000)13.6%

VOTI 6-7(242.000)

56.2%

VOTI 8-10(100.000)

23.2%

NON SANNO(30.000)

7.0%

 

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Nell’insieme, a parte un 7% che non  sa esprimersi  in merito,  solo un  settimo del campione valuta 

negativamente  la corporate social responsibility delle  imprese reggiane  (tra  l’altro, nella gran parte 

dei casi, dando loro il voto 5 e non quelli ‐ assai peggiori ‐ da 1 a 4). La maggioranza assoluta si colloca 

tra  i  giudizi  ‘sufficiente’  e  ‘discreto’  (56%:  con  lieve  prevalere  della  valutazione  un  po’ migliore). 

Infine,  il  24%  si dimostra  entusiasta,  scegliendo uno dei  tre  voti  tra  8  e  10. Con un’aggiunta non 

banale: è vero che i lavoratori dipendenti sono un po’ più critici della media ma è vero anche che essi 

risultano  soprammedia  (specie  se  salariati)  anche  tra  gli  entusiasti,  mentre  gli  imprenditori  si 

distribuiscono esattamente pro quota. 

 

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IL CONFRONTO TRA LA PROVINCIA E IL PAESE 

E come sta Reggio Emilia con la sua provincia rispetto all’Italia nel suo complesso? Lo indica la ‘torta’ 

riportata di seguito. 

8 • La situazione delle imprese private del Reggiano in termini di responsabilità sociale a confronto 

con quella dell’Italia 

PEGGIORE(28.000)

6.4%

UGUALE/DIPENDE(121.000)

28.0%

MIGLIORE(262.000)

60.8%

NON SANNO(21.000)

4.8%

 

Come si vede, a parte  il 5% che si conferma  totalmente disinformato e comunque non  in grado di 

esprimersi, le imprese private locali appaiono ‐ come sempre ‐ largamente vincenti: infatti, se il 28% 

parla di sostanziale  identità oppure  risponde  ‘dipende dai casi’, solo poco più del 6% critica quella 

che  percepisce  come  una  particolare  debolezza  del  Reggiano  rispetto  all’insieme  della  Penisola  e 

delle  isole maggiori  versus  il  quasi  decuplo  61%  che  trasmette  un’immagine  se  non  di  eccellenza 

almeno di netta leadership. Pure qui con un’accentuazione curiosa: i soggetti con redditi medio‐alti e 

alti  (inclusi  imprenditori,  dirigenti  e  professionisti)  appaiono  più  severi  degli  altri  gruppi  socio‐

professionali, mentre sono i lavoratori autonomi quelli a dirsi più entusiasti circa la propria provincia 

messa a confronto col complesso del Bel Paese. 

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IL FUTURO DELLE IMPRESE SOCIALMENTE RESPONSABILI 

E domani? Guardando alle prospettive dell’economia e della società i residenti italiani adulti a Reggio 

e nella provincia esprimono  la convinzione che  le  imprese dotate di corporate  social  responsibility 

non avranno un futuro ‘facile’, in discesa. 

Da un lato, infatti, è convinzione diffusa che d’ora in poi le imprese socialmente responsabili saranno 

favorite sia dal maggior consenso della gente (71%), sia nell’esportare in Paesi attenti a tali tematiche 

(66%), con  l’aggiunta  ‐ condivisa dal 56% del campione  ‐ che proprio  la crisi economica, operando 

un’aspra  selezione  ‘darwiniana’,  farà  sopravvivere  unicamente  le  aziende migliori,  tra  cui  quelle 

socialmente  responsabili.  Epperò,  il  69%  è  certo  che  la  crisi,  spingendo  a  contenere  i  costi, 

penalizzerà  tali  tipi  di  imprese,  anche  perché  queste  ultime  risulteranno  svantaggiate  nella 

competizione con i produttori che non danno importanza alla social responsibility e quindi non se ne 

accollano  i costi:  tale pessimismo è  rafforzato dalla convinzione, propria del 56% degli  intervistati, 

che vuole la gente, i consumatori, i cittadini, resi meno sensibili a questi temi proprio dai morsi della 

crisi economico‐sociale che li penalizza. 

Il  risultato di  tutte queste opinioni è mostrato nell’indice  che  segue,  il quale mostra  che  il 38%  si 

descrive come non positivo circa  il  futuro delle  imprese  socialmente  responsabili; un  identico 38% 

risulta, all’opposto, positivo; il restante 24% appare ambivalente e contraddittorio. 

9 • Indice di futuro vantaggio per le imprese socialmente responsabili 

NEGATIVO(162.000)

37.6%

NULLO/AMBIVALENTE

(106.000)24.6%

POSITIVO(163.000)

37.8%

 

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Le accentuazioni rispetto alle media segnalano che la ‘positività’ succitata coinvolge maggiormente i 

tardo‐adulti  e  gli  anziani  (42%),  gli  imprenditori/dirigenti/professionisti  (addirittura  53%)  con  i 

lavoratori  autonomi  (45%)  e  i  pensionati  (42%),  i  laureati  (43%);  laddove  i  ‘negativi’  si  ritrovano 

soprammedia  tra  i men  che  35enni  (44%),  i  residenti  nella  fascia  appenninica  (43%),  i  lavoratori 

dipendenti  (43%)  con  particolare  riguardo  agli  impiegati/quadri/docenti  (47%),  i  soggetti 

appartenenti alle classi socio‐economiche medio‐bassa e bassa (50%). 

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I REGGIANI E IL WELFARE AZIENDALE 

Quest’anno è stato affrontato un altro tema inedito almeno per questo Monitor periodico: quello del 

cosiddetto  welfare  aziendale,  cioè  di  quei  servizi  e  benefici  che  un’azienda  può  offrire  ai  suoi 

dipendenti, al di là degli obblighi stabiliti dalle leggi e dai contratti di lavoro. 

10 • L’offerta di servizi di welfare aziendale da parte delle imprese di Reggio e della provincia 

giudicata essenziale 

 

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I reggiani e la responsabilità sociale delle imprese • Osservatorio sulla società reggiana EDIZIONE 2012

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Come  si vede esaminando  la  tabella,  su 19  servizi/benefits  ‘testati’ ben 13 vengono  ritenuti molto 

validi  dalla maggioranza  degli  intervistati,  giudicanti  assai  utile  che  le  imprese  di  Reggio  e  della 

provincia li forniscano ai loro dipendenti e collaboratori. Due di essi sono reputati essenziali da circa il 

92%:  l’assistenza per anziani, bambini e disabili e  la mensa aziendale. Tra  il 90% e  l’80%  troviamo 

l’asilo nido aziendale,  l’orario di  lavoro  flessibile  (a parità di ore  lavorate), vari  servizi alla persona 

(tipo asili, consultori, ecc.), le navette per garantire i trasporti da e per i luoghi di lavoro, l’assistenza 

medica,  il car  sharing o car pooling per  favorire  l’uso dell’auto  in comune  con colleghi. Attorno al 

68% ecco il ticket restaurant, la distribuzione ai dipendenti di buoni spesa e il telelavoro. Un po’ al di 

sopra del 50%  incontriamo  l’assistenza nello svolgere pratiche per  i dipendenti  (in posta,  in banca, 

dall’avvocato, dal commercialista, ecc.) e gli spazi dedicati allo stare insieme, agli svaghi, alla cultura 

(per es. CRAL, palestra, circolo sportivo, biblioteca). Un soffio al di sotto della metà si posizionano  i 

servizi  esterni  di  tipo  culturale  (teatri,  cinema,  musei,  mostre)  con  organizzazione  di  visite, 

prenotazione e acquisto di biglietti, ecc. così come il job sharing (ossia la possibilità di alternarsi con 

un’altra persona nel fare un lavoro dividendosi il reddito). Vengono poi le vacanze per i figli e la sala 

lettura e giochi per bambini, anziani, ecc.: entrambi al di  sopra del 40%. Un po’ al di  sotto di  tale 

soglia  troviamo  i corsi culturali e  linguistici per  i  familiari e  ‐ con meno di un  terzo dei consensi  ‐  i 

servizi  che possono aiutare nello  svolgimento delle attività domestiche  (tipo  la  spesa e  il  lavaggio 

della biancheria con ritiro e consegna sul luogo di lavoro). 

È  interessante notare che  i maschi prevalgono solo per quel che attiene ai servizi alla persona (tipo 

asili, consultori, ecc.), al servizio navetta, al car sharing e al car pooling, agli spazi di aggregazione e al 

job sharing mentre in tutti gli altri (e prevalenti) casi le donne contano di più.  

Infine,  l’analisi dei dati disaggregati mostra che  l’orientamento dei soli  lavoratori dipendenti è assai 

simile a quello dell’intera popolazione:  le uniche differenze  superiori al 2%  riguardano  l’assistenza 

per  anziani,  bambini  e  disabili  (il  sub‐campione  dei  dipendenti  si  colloca  3  punti  al  di  sotto  del 

campione),  l’asilo‐nido  aziendale  (‐5%),  le  vacanze  per  i  figli  (+4%),  la  sala  lettura  e  giochi  per 

bambini/anziani (‐6%), l’aiuto nello svolgimento di attività domestiche (‐3%). 

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