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I reggiani e la responsabilità sociale delle imprese
SINTESI DELL’INDAGINE DEMOSCOPICA SVOLTA DA ASTRARICERCHE PER CONTO DEL GRUPPO GIOVANI DELL’ASSOCIAZIONE INDUSTRIALI DELLA PROVINCIA DI REGGIO EMILIA
Presentazione dell’Osservatorio sulla società reggiana
EDIZIONE 2012
I reggiani e la responsabilità sociale delle imprese • Osservatorio sulla società reggiana EDIZIONE 2012
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QUESTA RICERCA
Nelle pagine che seguono vengono presentati i principali dati dell’indagine demoscopica che da sette
anni AstraRicerche realizza per conto del Gruppo Giovani di Confindustria Reggio Emilia tramite 500
interviste telefoniche, somministrate col metodo CATI (Computer Aided Telephone Interviewing) a un
campione rappresentativo dei cittadini italiani maggiorenni residenti a Reggio Emilia e nella
provincia, pari a 431.000 individui. La rilevazione è avvenuta tra il 10 e il 13 gennaio 2012, un po’ più
tardi rispetto al consueto (nelle precedenti rilevazioni le interviste venivano svolte a fine novembre di
ogni anno).
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LA CONDIZIONE SOCIO‐ECONOMICA DEI REGGIANI
Secondo la tradizione di questo Monitor, la prima domanda ha riguardato le valutazioni che i soggetti
hanno fatto della condizione socio‐economica propria e dei propri cari alla metà di gennaio 2012:
esse sono sintetizzate nella ‘torta’ che segue.
1 • L’attuale situazione personale
MOLTO MALE(10.000)
2.4%
MALE(35.000)
8.2%
COSÌ COSÌ(187.000)
43.4%
ABBASTANZABENE
(164.000)38.0%
BENE(30.000)
7.0%
MOLTO BENE(3.000)0.6%
NON SANNO(2.000)0.4%
Come si vede, sono assai pochi sia i davvero soddisfatti (meno dell’8%), sia coloro che descrivono
come cattiva o pessima la realtà che li connota (meno dell’11%). Com’è da sempre tipico di
quest’area, il grosso del campione si ripartisce tra moderatamente insoddisfatti (43%) e
moderatamente soddisfatti (38%). Nel merito, comunque, prevale l’insoddisfazione, dichiarata dal
54%.
L’analisi dei dati disaggregati mostra che tra coloro che si lamentano sono assai al di sopra della
media gli intervistati tardo‐adulti e anziani (63%), singles (66%), con redditi e consumi medio‐
bassi/bassi (addirittura 80%), con la licenza media (61%) o elementare (73%), non ‘attivi’ (59%) e in
particolare pensionati (65%), ma anche lavoratori autonomi (60%) e, ancor più,
imprenditori/dirigenti/professionisti (63%). All’opposto, la soddisfazione circa la condizione socio‐
economica propria e dei propri cari è maggiore della media tra i 18‐34enni (55%), i soggetti di classe
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media (51%) e ben di più medio‐alta/alta (64%), i diplomati (52%) e i laureati (56%), gli ‘attivi’ (51%:
specie impiegati/quadri/docenti 59%) ma pure gli studenti e i non occupati (58%), coloro che non
sono capifamiglia (54%) ma convivono con 0‐14enni (figli, fratelli, nipoti: 51%), i soggetti orientati al
rischio e all’imprenditività (53%), gli opinion leaders che influenzano gli altri (54%).
Viene da chiedersi: qual è la dinamica della satisfaction/dissatisfaction degli adulti residenti in questa
provincia? Lo si può vedere ‐ con riferimento alle ultime sei rilevazioni ‐ nel grafico qui sotto
riportato.
2 • L’attuale situazione personale
0% 50% 100%
2006
2007
2008
2009
2010
2012
27.5%
24.4%
50.9%
52.2%
38.8%
54.0%
71.8%
75.2%
49.1%
47.8%
61.0%
45.6%
MALE/COSI' COSI'
BENE NON INDICANO
Come si può notare, nel corso del 2011 la situazione è nuovamente peggiorata, dopo il lieve
miglioramento registrato l’anno precedente: anzi, nei sei anni considerati, mai si era raggiunto un
livello così alto di scontento: uno scontento esploso nell’autunno 2008 (con l’acuirsi della crisi dopo il
fallimento della Lehman Brothers) e che ha raggiunto ora il suo top, con i soddisfatti crollati dal 75%
del 2007 a meno del 46% nel gennaio 2012.
È interessante osservare, nel contempo, che le cose a Reggio e nella provincia vanno comunque
meglio che nella media italiana: la rilevazione nazionale di AstraRicerche dell’inizio di gennaio 2012
segnala infatti che la media nazionale degli scontenti è pari al 68% e dunque di quattordici punti
percentuali superiore a quella verificata negli stessi giorni nel Reggiano.
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IL SENTIMENT DEI REGGIANI
Ma come si prospetta il 2012? Lo mostra la ‘torta’ che segue.
3 • Le previsioni personali autoriferite a breve termine
PEGGIO(170.000)
39.4%
UGUALE/DIPENDE(152.000)
35.2%
MEGLIO(91.000)21.2%
NON SANNO(18.000)
4.2%
Ora, a parte quell’oltre 4% che non sa esprimersi, coloro che ipotizzano l’assenza di mutamenti
significativi nei dodici mesi successivi all’intervista ammontano al 35% del totale: un dato non
positivo sol che si tenga conto del mediocre livello di partenza. Il dato‐chiave è comunque un altro: i
pessimisti autoriferiti a breve termine (il 39%) superano alla grande gli ottimisti (poco oltre il 21%).
Secondo tradizione, AstraRicerche ha calcolato l’indice del sentiment, ossia delle previsioni a breve
termine: esse sono considerate positive se l’intervistato ipotizza un miglioramento (debole o forte)
oppure se antivede una sostanziale stabilità, ma solo se l’attuale sua situazione è reputata
abbastanza o molto positiva. Al contrario, il sentiment è definito negativo allorquando il soggetto
crede che nei prossimi dodici mesi le cose peggioreranno per lui e per i suoi cari oppure rimarranno
immutate ma a partire da una condizione socio‐economica attuale più o meno disagiata. Ebbene, la
‘torta’ di seguito riportata indica la situazione alla metà di gennaio del 2012.
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4 • Il sentiment
NEGATIVO(237.000)
55.0%
NEUTRO/INDETERMINABILE
(18.000)4.2%
POSITIVO(176.000)
40.8%
È evidente che i ‘negativi’ (54%) superano nettamente i ‘positivi’ (41%) col restante 4% che non fa
previsioni oppure risulta totalmente contraddittorio.
Le accentuazioni dell’orientamento depresso riguardano i soggetti con tenore di vita medio‐basso e
basso (70%), quelli con la sola licenza elementare o nessun titolo di studio (60%), le casalinghe (68%)
con i lavoratori autonomi (65%) e gli imprenditori/dirigenti/professionisti (63%), coloro che hanno
una debolissima personalità (60%) e non sono perciò in grado d’influenzare gli altri (66%). Invece,
l’ottimismo appare superiore alla media tra i 18‐34enni (52%), gli studenti e i non occupati (53%) così
come gli impiegati/quadri/docenti e i salariati (47%), in generale i lavoratori dipendenti (46%), gli
appartenenti alle classi media (46%) e ancor più medio‐alta/alta (51%), i non capifamiglia (45%) ma
membri di famiglie numerose (46%) specie se con bambini/ragazzi (50%), infine coloro che hanno
una cospicua forza della personalità (48%) e dunque appaiono in grado di fare tam tam attivando
fenomeni ‘virali’ (51%).
E il trend del sentiment? Lo si ricava dando un’occhiata agli istogrammi della tabella riportata di
seguito, la quale riferisce dei dati dal 2006 in poi.
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5 • Il sentiment
0% 50% 100%
2006
2007
2008
2009
2010
2012
29.4%
36.1%
66.6%
47.4%
38.4%
55.0%
23.3%
26.2%
13.4%
4.2%
45.1%
35.1%
18.2%
51.0%
59.2%
40.8%
PESSIMISTI STABILI/AMBIVALENTI
INCERTI OTTIMISTI
È evidente, anche qui, il peggioramento rispetto alle due rilevazioni precedenti: malgrado non si sia
tornati ai livelli catastrofici del trimestre 2008 (quello dell’accelerazione della crisi), quando il
sentiment negativo coinvolse il 67% dei Reggiani, ora il ‘clima’ della provincia s’è rovesciato, dopo
che a fine 2009 e a fine 2010 gli ottimisti autoriferiti avevano battuto i pessimisti.
Va però detto che la depressione in questa provincia è comunque inferiore a quella media del Paese,
il quale nel suo insieme a metà gennaio del 2012 si descriveva con un sentiment negativo nella
misura del 66%, ossia undici punti percentuali al di sopra del pur non positivo dato reggiano.
In definitiva, è possibile dire che i residenti italiani in quest’area stanno e prevedono di stare male (e
peggio che nel biennio precedente), pur se relativamente meglio che nel grosso del Bel Paese.
A conferma, nella descrizione delle caratteristiche della propria personalità (le quali raramente
cambiano anno dopo anno), gli intervistati segnalano un generale arretramento: diminuiscono in
tredici mesi coloro che si autodefiniscono ottimisti (dal 74% al 71%), gli allegri ed estroversi (dal 76%
al 68%), coloro che hanno tanti amici/amiche (dal 74% al 68%), i forti e sicuri di sé (dal 69% al 65%),
coloro che amano godersi la vita (dal 65% al 62%). Coerentemente, aumentano coloro che si
delineano come assai attenti a come spendono i soldi (dall’84% all’86%), i conservatori (dal 44% al
46%), gli ansiosi e incerti (dal 16% al 24%), i pessimisti (dal 16% al 22%), coloro che sostengono di non
essere mai presi in considerazione dagli altri (dal 4 per mille a quasi il 5%).
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Ulteriori indicazioni in tal senso vengono dall’analisi del cosiddetto indice di dinamismo pro‐attivo: se
nel 2010 il 32% dei Reggiani appariva molto favorevole all’innovazione, all’imprenditività, al rischio e
il 48% solo un po’ (col 20% di soggetti fautori dell’immobilità e della sicurezza), ora la situazione
appare peggiorata. I fautori dell’immobilismo sono rimasti stabili ma è diminuito di più di 6 punti il
peso percentuale dei Reggiani davvero orientati all’innovazione non garantita (dal 32% al 26%), a
favore degli ‘intermedi’ ambivalenti: basti dire che i residenti italiani in questa provincia convinti che
nella vita sia bene cercare di conservare quello che si ha sono passati in tredici mesi dal 54% al 71%.
Con un’aggiunta: gli intervistati più dinamici risultano essere nettamente superiori alla media del
citato 26% se hanno meno di 35 anni (33%), sono laureati (41%), sono studenti o non occupati
(addirittura 47%) oppure imprenditori/dirigenti/professionisti e impiegati/quadri/docenti (32%),
hanno reddito e consumi medio‐alti o alti (per un 49% senza pari), hanno un’elevata forza della
personalità (42%) e perciò influenzano gli altri e attivano fenomeni ‘virali’ (43%).
È però interessante notare che, in un momento di forti e crescenti difficoltà materiali, si rafforzano le
istanze immateriali: gli intervistati che dicono di avere forti valori e ideali ‘volano su’ dall’81% al 90%,
i molto attenti agli aspetti spirituali della vita dal 62% al 70%, gli informati e colti dal 60% al 69%. Ma
la differenza più forte tra le ultime due rilevazioni riguarda il dichiarare di avere tanti sogni, progetti,
ambizioni: qui in poco più di un anno si passa dal 59% al 47%, a dimostrazione del fatto che il
momento difficile riduce la propensione all’innovazione, finendo così per aggravare proprio la crisi da
cui si vuole uscire.
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I RAPPORTI TRA IMPRESE E SOCIETÀ
Al di là di questi dati generali, il tema specifico di questo sondaggio è stato la corporate social
responsibility, ossia la responsabilità sociale delle imprese: un tema declinato dai Reggiani nel proprio
specifico contesto socio‐culturale, a lungo studiato in passato da AstraRicerche e connotato dal recente
passaggio da un diffuso sospetto anti‐industriale a una più equilibrata cultura, in ogni caso assai attenta
agli aspetti sociali.
A riprova, non più del 43% del campione ritiene che le imprese debbano solo mirare a fare profitti con
l’unico vincolo del rispetto delle leggi (una convinzione maggiore tra gli imprenditori, i dirigenti, i liberi
professionisti, i commercianti, gli esercenti, gli artigiani). Non che le imprese possano prescindere
dall’efficienza: anzi, quasi il 98% del campione è certo che esse debbano operare appunto in modo
economicamente efficiente perché così creano lavoro e ricchezza per la comunità. Di più, compito delle
imprese è certo produrre profitti ma ‐ secondo la tipica cultura reggiana ‐ per distribuirlo alla comunità,
per dare vantaggi diretti e indiretti alla società locale nel suo insieme (lo pensa l’85%). In effetti, l’opinio
communis dei residenti italiani in questa provincia è che le imprese non devono solo avere l’obiettivo
dell’efficienza e del profitto ma devono anche svolgere azioni positive nei confronti dei lavoratori,
dell’ambiente, dei gruppi sociali più deboli.
Siamo di fronte, con ogni evidenza, ad un dominante favore per il ‘capitalismo sociale’, assai lontano
dal liberismo puro e dell’esaltazione del mercato senza troppi vincoli. La realtà è che la doppia
tradizione social‐comunista e cattolico‐popolare, per molto tempo ‐ seppur in modi diversi ‐
anticapitalistiche e comunque ostili al mondo delle imprese private, ha abbandonato nell’ultimo
ventennio la rigidità ideologica, per approdare a una formazione di compromesso tra la tradizione
leftist e il goodwill per il capitalismo: non una terza via ma un punto di approdo intermedio, che esalta il
ruolo dell’impresa ma solo in quanto essa sia fortemente oblativa e destini una quota significativa delle
sue attività e dei suoi profitti a favore della collettività e non solo dell’imprenditore o degli
imprenditori.
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LA RESPONSABILITÀ SOCIALE DELLE IMPRESE
L’orientamento appena delineato si traduce in un inconsueto favore maggioritario, senza alcuna
eccezione, nei confronti dei 18 esempi ‘testati’ di corporate social responsibility, indicati qui di
seguito.
6 • Gli aspetti di responsabilità sociale delle imprese a cui si attribuisce moltissima importanza
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I dati che abbiamo appena scorso sono impressionanti. Di fatto, su 18 exempla, ben 11 sono condivisi
da più dell’85% del campione; altri tre tra il 71% e il 77%; gli ultimi quattro tra il 63% e il 65%.
La verità è che i Reggiani investono le imprese (private, cooperative, pubbliche, miste, ecc.) di una
vera e propria valanga di aspettative, dando moltissima importanza alla tutela della salute e della
sicurezza dei lavoratori, dell’ambiente e dell’ecosostenibilità, del risparmio energetico e dell’utilizzo
di fonti alternative di energia, del più generale risparmio nell’utilizzo delle materie prime (specie se
non rinnovabili), dell’estensione e della valorizzazione del lavoro dei giovani e delle donne così come
degli anziani e dei disabili. Non basta: le imprese sono assai richieste di impegnarsi a favore della
ricerca scientifica e tecnologica così come di nuovi (e persino rivoluzionari) modi di produrre, dello
sviluppo della mobilità sostenibile, a pro della comunità locale (anche in collaborazione con altre
aziende, gli enti locali, l’università, ecc.), contro ogni discriminazione ‐ anzitutto nelle fabbriche e
negli uffici ‐ dei lavoratori di ogni origine ed etnia, religione e cultura. E vanno aggiunti anche sia la
tutela dei consumatori (pure in collaborazione con le organizzazioni consumeristiche), sia il
cosiddetto ‘volontariato d’impresa’, lo sviluppo del telelavoro, ecc..
Appaiono complessivamente modeste le differenze tra i diversi segmenti in cui si articolano il
campione e dunque la società reggiana. In ogni caso, i maschi risultano più orientati al risparmio
nell’uso delle materie prime e allo sviluppo di nuovi modi di produrre, mentre le donne non si
discostano mai significativamente dalla media. I più giovani sono maggiori fautori della valorizzazione
del lavoro femminile, mentre gli adulti nelle fasce centrali d’età risultano più sensibili alla ricerca
scientifica e tecnologica, al rigetto di ogni discriminazione, all’innovazione dei processi produttivi,
all’impegno delle imprese a risolvere alcuni dei problemi dell’area nella quale operano (anche in
collaborazione con altri soggetti), alla tutela dei consumatori, allo sviluppo del telelavoro. I lavoratori
dipendenti appaiono ancor più orientati della media a favore della valorizzazione delle donne, dello
sviluppo della mobilità sostenibile, del maggior ricorso al telelavoro, mentre gli
indipendenti/autonomi (inclusi gli imprenditori) risultano più attenti alla ricerca scientifica e
tecnologica, al risparmio nell’uso delle materie prime, all’innovazione nei modi di produrre,
all’attivismo communitarian e anche allo sviluppo del telelavoro. Ma ‐ ripetiamolo ‐ il dato‐chiave è
quello della scarsità di differenze rilevanti tra i diversi gruppi sociali di Reggio e delle provincia.
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LA VALUTAZIONE DELLA RESPONSABILITÀ SOCIALE DELLE IMPRESE PRIVATE LOCALI
Sin qui, gli auspici. Ma qual è la realtà delle imprese private reggiane per quel che attiene alla
corporate social responsibility? Lo si vede dando un’occhiata alla ‘torta’ riportata di seguito, la quale
sintetizza i dati relativi ai voti (da 1/minimo a 10/massimo) che ogni intervistato è stato richiesto di
esprimere valutando il concreto impegno delle aziende non pubbliche reggiane in relazione alle
numerose forme di responsabilità sociale sin qui considerate.
Cominciamo col dire che il voto medio è discreto, essendo pari a 6.7 nella suddetta scala ‘scolastica’
1‐10. Ed è interessante osservare che non si rilevano differenze significative né per genere, né per
condizione socio‐professionale (per es. tra lavoratori dipendenti, lavoratori autonomi, imprenditori,
non lavoratori). Solo l’età gioca un ruolo, seppur mimino: i men che 35enni risultano un po’ più critici
degli adulti e degli anziani. E anche la collocazione nelle tre aree nelle quali è stata ripartita la
provincia segnala che il giudizio in questione è lievemente migliore tra i residenti nel capoluogo, di
poco inferiore nella Bassa, minimo (ma sempre discreto) nella zona appenninica che si colloca a sud
della provincia.
7 • Il giudizio attribuito all’impegno delle imprese private di Reggio e della provincia per quel che
riguarda la responsabilità sociale
VOTI 1-5(59.000)13.6%
VOTI 6-7(242.000)
56.2%
VOTI 8-10(100.000)
23.2%
NON SANNO(30.000)
7.0%
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Nell’insieme, a parte un 7% che non sa esprimersi in merito, solo un settimo del campione valuta
negativamente la corporate social responsibility delle imprese reggiane (tra l’altro, nella gran parte
dei casi, dando loro il voto 5 e non quelli ‐ assai peggiori ‐ da 1 a 4). La maggioranza assoluta si colloca
tra i giudizi ‘sufficiente’ e ‘discreto’ (56%: con lieve prevalere della valutazione un po’ migliore).
Infine, il 24% si dimostra entusiasta, scegliendo uno dei tre voti tra 8 e 10. Con un’aggiunta non
banale: è vero che i lavoratori dipendenti sono un po’ più critici della media ma è vero anche che essi
risultano soprammedia (specie se salariati) anche tra gli entusiasti, mentre gli imprenditori si
distribuiscono esattamente pro quota.
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IL CONFRONTO TRA LA PROVINCIA E IL PAESE
E come sta Reggio Emilia con la sua provincia rispetto all’Italia nel suo complesso? Lo indica la ‘torta’
riportata di seguito.
8 • La situazione delle imprese private del Reggiano in termini di responsabilità sociale a confronto
con quella dell’Italia
PEGGIORE(28.000)
6.4%
UGUALE/DIPENDE(121.000)
28.0%
MIGLIORE(262.000)
60.8%
NON SANNO(21.000)
4.8%
Come si vede, a parte il 5% che si conferma totalmente disinformato e comunque non in grado di
esprimersi, le imprese private locali appaiono ‐ come sempre ‐ largamente vincenti: infatti, se il 28%
parla di sostanziale identità oppure risponde ‘dipende dai casi’, solo poco più del 6% critica quella
che percepisce come una particolare debolezza del Reggiano rispetto all’insieme della Penisola e
delle isole maggiori versus il quasi decuplo 61% che trasmette un’immagine se non di eccellenza
almeno di netta leadership. Pure qui con un’accentuazione curiosa: i soggetti con redditi medio‐alti e
alti (inclusi imprenditori, dirigenti e professionisti) appaiono più severi degli altri gruppi socio‐
professionali, mentre sono i lavoratori autonomi quelli a dirsi più entusiasti circa la propria provincia
messa a confronto col complesso del Bel Paese.
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IL FUTURO DELLE IMPRESE SOCIALMENTE RESPONSABILI
E domani? Guardando alle prospettive dell’economia e della società i residenti italiani adulti a Reggio
e nella provincia esprimono la convinzione che le imprese dotate di corporate social responsibility
non avranno un futuro ‘facile’, in discesa.
Da un lato, infatti, è convinzione diffusa che d’ora in poi le imprese socialmente responsabili saranno
favorite sia dal maggior consenso della gente (71%), sia nell’esportare in Paesi attenti a tali tematiche
(66%), con l’aggiunta ‐ condivisa dal 56% del campione ‐ che proprio la crisi economica, operando
un’aspra selezione ‘darwiniana’, farà sopravvivere unicamente le aziende migliori, tra cui quelle
socialmente responsabili. Epperò, il 69% è certo che la crisi, spingendo a contenere i costi,
penalizzerà tali tipi di imprese, anche perché queste ultime risulteranno svantaggiate nella
competizione con i produttori che non danno importanza alla social responsibility e quindi non se ne
accollano i costi: tale pessimismo è rafforzato dalla convinzione, propria del 56% degli intervistati,
che vuole la gente, i consumatori, i cittadini, resi meno sensibili a questi temi proprio dai morsi della
crisi economico‐sociale che li penalizza.
Il risultato di tutte queste opinioni è mostrato nell’indice che segue, il quale mostra che il 38% si
descrive come non positivo circa il futuro delle imprese socialmente responsabili; un identico 38%
risulta, all’opposto, positivo; il restante 24% appare ambivalente e contraddittorio.
9 • Indice di futuro vantaggio per le imprese socialmente responsabili
NEGATIVO(162.000)
37.6%
NULLO/AMBIVALENTE
(106.000)24.6%
POSITIVO(163.000)
37.8%
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Le accentuazioni rispetto alle media segnalano che la ‘positività’ succitata coinvolge maggiormente i
tardo‐adulti e gli anziani (42%), gli imprenditori/dirigenti/professionisti (addirittura 53%) con i
lavoratori autonomi (45%) e i pensionati (42%), i laureati (43%); laddove i ‘negativi’ si ritrovano
soprammedia tra i men che 35enni (44%), i residenti nella fascia appenninica (43%), i lavoratori
dipendenti (43%) con particolare riguardo agli impiegati/quadri/docenti (47%), i soggetti
appartenenti alle classi socio‐economiche medio‐bassa e bassa (50%).
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I REGGIANI E IL WELFARE AZIENDALE
Quest’anno è stato affrontato un altro tema inedito almeno per questo Monitor periodico: quello del
cosiddetto welfare aziendale, cioè di quei servizi e benefici che un’azienda può offrire ai suoi
dipendenti, al di là degli obblighi stabiliti dalle leggi e dai contratti di lavoro.
10 • L’offerta di servizi di welfare aziendale da parte delle imprese di Reggio e della provincia
giudicata essenziale
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Come si vede esaminando la tabella, su 19 servizi/benefits ‘testati’ ben 13 vengono ritenuti molto
validi dalla maggioranza degli intervistati, giudicanti assai utile che le imprese di Reggio e della
provincia li forniscano ai loro dipendenti e collaboratori. Due di essi sono reputati essenziali da circa il
92%: l’assistenza per anziani, bambini e disabili e la mensa aziendale. Tra il 90% e l’80% troviamo
l’asilo nido aziendale, l’orario di lavoro flessibile (a parità di ore lavorate), vari servizi alla persona
(tipo asili, consultori, ecc.), le navette per garantire i trasporti da e per i luoghi di lavoro, l’assistenza
medica, il car sharing o car pooling per favorire l’uso dell’auto in comune con colleghi. Attorno al
68% ecco il ticket restaurant, la distribuzione ai dipendenti di buoni spesa e il telelavoro. Un po’ al di
sopra del 50% incontriamo l’assistenza nello svolgere pratiche per i dipendenti (in posta, in banca,
dall’avvocato, dal commercialista, ecc.) e gli spazi dedicati allo stare insieme, agli svaghi, alla cultura
(per es. CRAL, palestra, circolo sportivo, biblioteca). Un soffio al di sotto della metà si posizionano i
servizi esterni di tipo culturale (teatri, cinema, musei, mostre) con organizzazione di visite,
prenotazione e acquisto di biglietti, ecc. così come il job sharing (ossia la possibilità di alternarsi con
un’altra persona nel fare un lavoro dividendosi il reddito). Vengono poi le vacanze per i figli e la sala
lettura e giochi per bambini, anziani, ecc.: entrambi al di sopra del 40%. Un po’ al di sotto di tale
soglia troviamo i corsi culturali e linguistici per i familiari e ‐ con meno di un terzo dei consensi ‐ i
servizi che possono aiutare nello svolgimento delle attività domestiche (tipo la spesa e il lavaggio
della biancheria con ritiro e consegna sul luogo di lavoro).
È interessante notare che i maschi prevalgono solo per quel che attiene ai servizi alla persona (tipo
asili, consultori, ecc.), al servizio navetta, al car sharing e al car pooling, agli spazi di aggregazione e al
job sharing mentre in tutti gli altri (e prevalenti) casi le donne contano di più.
Infine, l’analisi dei dati disaggregati mostra che l’orientamento dei soli lavoratori dipendenti è assai
simile a quello dell’intera popolazione: le uniche differenze superiori al 2% riguardano l’assistenza
per anziani, bambini e disabili (il sub‐campione dei dipendenti si colloca 3 punti al di sotto del
campione), l’asilo‐nido aziendale (‐5%), le vacanze per i figli (+4%), la sala lettura e giochi per
bambini/anziani (‐6%), l’aiuto nello svolgimento di attività domestiche (‐3%).
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