I racconti della balaustra

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Una balaustra sul mare, punto di ritrovo di una compagnia di ragazzi, fa da sfondo a questi racconti. Le bizzarre vicende familiari, le gioie, le delusioni, gli impossibili rapporti con le donne, le amicizie che si incrinano sono descritte con umorismo (a tratti dissacrante) e un velo di malinconia.

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Marco Bernini

I racconti della balaustra

Editrice FiorentinaSocietà

© 2007 Società Editrice Fiorentinavia G. Benivieni 1 - 50132 Firenze

tel. 055 5532924fax 055 5532085

[email protected]

ISBN 978-88-6032-058-2

Proprietà letteraria riservataRiproduzione, in qualsiasi forma, intera o parziale, vietata

Prima edizione: dicembre 2007Prima ristampa: marzo 2008

Copertina a cura di Andrea TassoDisegno di copertina di Lorenzo Montagni (www.lm-arte.it)

Filo diretto con l’autore

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A tutti i miei amici, che spero non decadano da questa carica dopoessersi casualmente riconosciuti in alcuni dei ritratti tracciati.

A tutte le donne che mi hanno fatto soffrire, senza la cui crudeltànon avrei avuto la forza di scrivere di loro.

A Chiara, che mi ha sposato lo stesso anche se dopo tre giorni chestavamo insieme le ho fatto leggere i racconti sulle mie ex facendoleprendere un colpo, rimediato solo precipitandomi a Bologna a cento-quaranta all’ora.

prologo

È la fine di un’altra estate, e mi appoggio sulla balaustra inlegno dove io, Tony, Pitta, Yuri, Ventata, Omare, il Pastore egli altri ci sediamo per raccontarci le nostre storie. Si è un po’incurvata a forza di sopportare il nostro peso, e forse anch’io misono sentito stanco come lei, perché in ogni storia che sentivomi aspettavo di trovare una speranza, un motivo per continua-re a credere in qualcosa.

Dopo ogni alba fatta ad aspettare che la ragazza più carinadella festa si avvicinasse, dopo quel mezzo sorriso, dopo ogniattesa di quella telefonata che non arrivava mai al momentogiusto, dopo ogni vacanza finita ci ritrovavamo sempre qui, araccontarci le nostre storie, percependo che in fondo a tutti glianeddoti divertenti che le riempiono c’è una grande malinconia.

La malinconia di accorgersi della bellezza di un momentosolo quando è già passato, di capire che una persona era quellagiusta per te solo quando l’hai persa per un comportamentostupido, di ridere a gran voce quando vorresti piangere perchéin mezzo a tutto questo casino senti che non puoi parlare vera-mente con nessuno, senti che ogni donna che ti sta vicino e per-fino ogni amico può non essere quello che credi.

Pensavo di continuare a lungo a scrivere delle nostre incer-tezze di trentenni costretti a fare i sedicenni, pensavo che suquesta balaustra gli aneddoti si sommassero l’uno all’altrofacendoci ridere per distrarci, e che questa precarietà divenisseimmutabile.

Poi improvvisamente, quando tutto sembrava perduto hoincontrato la persona giusta, e forse i miei racconti sono cam-biati, mi sono messo a raccontare di emozioni più profonde, disensazioni nuove, e qui sulla balaustra non c’era più nessuno

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ad ascoltarmi, solo il mare che qui sotto si frange sempre conforza sugli scogli.

Gli amici hanno capito per primi, e poi sono tornati anchei vecchi compagni di avventura.

Ora la balaustra è sempre affollata, anche se con l’autunnoqualcuno la smonterà, per rimetterla al suo posto con unamano di coppale in più il prossimo anno, sempre incurvata nelsolito punto.

Io ho voluto metterla ancora più alla prova, affidandole tut-te queste storie rimaste a dormire in un angolo della mia men-te per anni, ma riaffiorate nitide nei loro particolari proprioqui, di fronte a questo mare che ogni giorno si tinge di un colo-re diverso ma che mi accoglie sempre.

Mi sono ricordato di com’ero prima fino ad arrivare ad oggi,e con il solito disincanto ho cercato di raccontare tutte le mieesperienze, come in un film che nella maggior parte dei casi erosolo io a girare nella mia mente.

Ma forse è proprio questo il bello, sedersi sulla balaustra elasciarsi cullare dai racconti, immaginando sempre un finalediverso, per poter magari cambiare quello che poi la vita tiriserva.

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avvertenza

Nei momenti che rivivono in queste pagine c’è sempre statauna canzone, una musica che suonava forte e ci faceva palpi-tare, al ritmo suo e delle emozioni che creava sempre più for-ti. Oggi sulla balaustra c’è l’Ipod che ci semplifica la vita, untempo erano necessarie tonnellate di cassette e un volumino-so stereo portatile con pile cilindriche enormi.

Le canzoni, almeno quelle, sono le solite; e io ho deciso diindicarle, accanto ad ogni titolo, pur rischiando di ricaderenell’effetto Nick Hornby.

Se avete voglia, mettetele in sottofondo, o pensatele; bel-le o brutte, trash o ricercate, aiuteranno Tony, Pitta, il Pasto-re, gli stenterelli e le ragazzotte a raccontarsi con un filo dinostalgia in più.

Il testo contiene alcuni termini in vernacolo livornese, lalingua dei protagonisti. Sono indicati in corsivo, e spero pos-sano risultare ugualmente comprensibili a chi non è ancorariuscito a fare una bella scorpacciata di cacciucco.

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I racconti della balaustra

oggi sono diventato vecchio

99 posse, Non c’è tempo

Oggi è il due maggio duemilatre.Una data da ricordare, sicuramente; oggi lascio il mondo

dei giovani, mi ritiro in pantofole e pigiama davanti alla tv,col telecomando in mano; uscirò dopo il tramonto solo senon piove e se qualche amico o parente ha bisogno di par-larmi per motivi di vita o di morte.

Basta vestiti alla moda, affannose ricerche di dimagri-mento, addominali e jogging forsennato; non servirà più.Voglio farmi crescere la pancia, andare a letto alle dieci earrivare finalmente fresco e riposato al lavoro.

L’unico campo nel quale ancora voglio provare ad osare èl’attività calcistica, ma confido in un infortunio a breve permettermi il cuore in pace definitivamente.

Perché tutto ciò? Una frase, uno sguardo, tutto lì. Ma èstato più forte di trentuno anni di discoteche e concerti rock.

Un mese fa comprai l’ultimo «Vernacoliere», fresco distampa, e cominciai a consumarlo nell’afrore della sala men-sa della stazione.

Così, con la leggerezza che contraddistingue l’approccioalle cose che senti distanti dal tuo modo di vivere, lessi l’in-cipit di una storiella in slang labronico che così recitava:

«quando la musica che danno alla radio ti fa caà, quandorincorri l’autobus e ti viene il fiatone, quando attacchi botto-ne con le fie e ti danno del lei, allora devi capire che è giun-ta l’ora di tirare i remi in barca!».

Feci una sonora risata, e tutto finì lì.Ed eccomi a ieri, primo maggio di festa. I miei amici in

gruppo mi hanno trascinato a Roma, al concerto per la pace.Avrei dovuto andarci dieci anni fa, ma dovevo studiare, c’e-

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rano sempre gli esami in questo periodo, gli studi di Ingegne-ria ci hanno scippato la gioventù senza farcelo capire in tempo.

Allora ho deciso di recuperare, di andare, di gettarmi nel-la mischia, nonostante la zavorra femminile che schierava laformazione “binario morto” al meglio delle sue possibilità:Tamara, Cavallo e Zampogna.

Questi erano i caustici soprannomi che avevamo impieto-samente affibbiato alle tre tardone che ultimamente faceva-no da cornice alle nostre iniziative mondane. L’unico chenon se ne voleva liberare era il Pastore, che sperava in qual-che concessione sessuale da parte di Tamara, che qualchesabato prima gliela aveva fatta virtualmente annusare lascian-dosi sbaciucchiare sul collo in preda a forti effluvi alcolici.

Il nome Tamara se lo era meritato in seguito ad unaimprobabile tintura rosso fuoco dei capelli ed ad alcune scel-te di abbigliamento non proprio sobrie; per il resto era forsela migliore delle tre; non parlava mai a sproposito ed era tut-to sommato abbastanza sorridente.

Rideva anche Cavallo, ma di un sorriso equino da cui veni-va il suo soprannome; invece della biada si mangiava con gliocchi Obelix ogni volta che lui tornava a Livorno. Lei nonvede l’ora che lui faccia il passo decisivo, e lui si vergogna trop-po dei commenti di noi amici spietati per farlo. Risultato: uncontinuo teatrino fatto di abbracci accennati e litigi abbozzati.

E sballottata in mezzo, Zampogna, così detta per unasagoma non proprio slanciata resa più greve da un imbaraz-zante abbigliamento tipo Rambo III: anfibi, pantaloni duetaglie sopra e canottiera mimetica.

Con queste allettanti prospettive, mi appresto a vivere ilmio primo concertone di piazza San Giovanni.

Tony, il Pastore e Obelix mi guardano allibiti, non capen-do il perché del mio continuo broncio.

Ero un po’ deluso, perché ieri sera il buon capitano Pitta,il marittimo del gruppo, era stato ingaggiato per condurreuna barca a vela sulla quale secondo una leggenda diffusasisul molo otto donne fiorentine cercavano emozioni forti perun addio al nubilato in mezzo al mare.

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Magnificando le mie scarse attitudini veliche, mi ero offer-to come mozzo; stavo già pensando alle mutande più ade-renti da lavare a tempo di record quando grazie ad un prov-videnziale sopralluogo serale scopro l’inghippo: erano cinquedonne e tre uomini, di cui uno con gli occhi dolci che misquadravano insistentemente, e non ce n’era una passabile.

Mi ha salvato l’altro skipper cominciando a dire che nonerano felicissimi di trovarsi nello stretto, che con la quota cisarebbero stati dei problemi, io non ho insistito, ho salutatoe ho accettato l’invito di Obelix a Roma.

Così eccomi qua, corpo estraneo in una moltitudine dicanottiere attillate, capezzoli eretti, odore di fumo che stor-disce, polvere, bandiere, brufoli, vino, birra, scamorze por-tate dai soliti meridionali in gruppo ente promozione turisti-ca, baci, piercing, sudore, poltiglia per terra, musica troppolontana, indiani che vendono sconsolati acqua e birra a cin-que euro la bottiglia, cessi chimici intasati, apparecchi per identi che brillano sotto il sole di primavera.

Ed io che galleggio, con un mal di testa come una morsache mi toglie il respiro.

Ieri sera non mi sono messo il giubbotto, c’era vento, nonho mai avuto il fisico per questi sbalzi di temperatura.

Sento la malattia che monta, mi sogno sul divano in pigia-ma con tre telecomandi e un dvd da consumare, guardandoil telefonino in attesa di un messaggio che non sarà mai quel-lo che aspetto.

Penso a tutti i concerti che ho visto, e a come ho semprepartecipato galleggiando ai margini, tenendomi a galla, nonho mai avuto l’età giusta, vedevo sempre gli altri che ce l’a-vevano più giusta di me.

Ed ecco l’idea geniale: passano due liceali con la teleca-mera: mi faccio intervistare!

L’anima del giullare è innata in me, nonostante i cinque epiù anni di Ingegneria a Pisa che avrebbero trasformato per-sino Benigni in un pallosissimo attore di tragedie greche.

Parto sommesso, rilascio due dichiarazioni di circostanzasulla pace, prendo confidenza e strappo la telecamera alla

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malcapitata; mi produco in una folle intervista doppia con leie il suo ragazzo, sono due diciassettenni di Avellino.

Dopo domande sull’uso di droghe, azzardo chiedere laposizione preferita in amore. Mi sento responsabile delleloro prossime litigate: lui confessa candidamente di preferirela “pecora”, ridendo in un trionfo di acciaio odontoiatrico.

Lei ride, ma immagino già i ripensamenti. Beati loro, io adiciassette anni ci speravo e basta… I tempi cambiano, ioosservo e registro.

Ed ecco il momento fatidico: galvanizzato dall’ispirazioneritrovata, mi metto a offrire biscotti alla popolazione femmi-nile in transito, passa una grassottella romana con due sueamiche:

«Volete biscotti, sono buoni».«No. La ringrazio».Il triste presagio del «Vernacoliere» riaffiora con tutta la

sua forza.«Come, mi date del lei?».Un trionfo di risate, comprese quelle equine di Cavallo,

mi stordisce ancora di più.«Beh sa, la vedevo così, un po’ anziano...».Di male in peggio, le stronzette si divertono a calcare la

mano.«Ma così mi avete rovinato la giornata».Le risate erano sempre più forti.«Non se la prenda, buona serata. Arrivederci».Mi ci vorranno mesi per riprendermi da questo shock.Fortuna che ancora non ho il fiatone, anche se ho sempre

più sonno di tutti quando stiamo per concludere le nostreserate.

La musica del concerto non era bellissima, ma i cantantimi piacevano.

Sono riuscito a parlare per cinque minuti di Carmen Con-soli con una splendida ragazza di Alicante in Erasmus aCatania, abbiamo brindato alla pace (e alla topa su propostadel solito Tony, ma lei ha fatto una faccia smarrita) con laLemonsoda e abbiamo criticato l’organizzazione. Lei aveva

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dei brillantini sugli occhi che avrei voluto baciare, ma poi èandata via col suo gruppo senza salutarmi. Mi hanno saluta-to solo le sue due amiche ciccione.

Meglio stare sul divano, cara Brillantino. Mi sento più alsicuro, e penso meno all’Erasmus che quando studiavo ionon c’era.

Penso meno a Ingegneria che era considerata come ilposto più triste di Pisa, dove l’unica donna era la bidella eora con questi diplomini da tre anni ci sono più donne cheuomini, penso che eravamo confinati lontano dal centro e datutti i suoi bar con i panini buoni e cari e tutte le ragazze diLingue e Legge, dal kefiah al tailleur, per tutti i gusti.

Penso che andavamo nelle aule di lettere a studiare fisicae ci guardavano come dei depravati.

Penso che mi gira tutto, che ondeggia la folla intorno ame e vorrei volare verso il mio divano.

Vorrei dire a Nick Cave che ha sbagliato canzoni, vorreifuggire dal Pastore intamarato e stretto in un languido abbrac-cio con la capigliatura fulva negli occhi, vorrei fuggire da Obe-lix che stringe Cavallo e dalla mia scortesia da Zampogna checerca disperatamente di avvicinarmi e alla fine si accontenta diTony che forse almeno un po’ di affetto lo prova.

Vorrei essere stato un adolescente romano, come NiccolòFabi che ora si muove meccanico sul palco. Un fighetto fin-to alternativo, con le domeniche di maggio al Circo Massi-mo e le feste all’ambasciata americana prima del terrorismo,col motorino in due e baci a Castelporziano, come questi dueche si abbracciano vicino a me, a Roma, al centro di tutto masenza frenesia, e non nel buco nero della mia provincia lon-tana dalle opportunità.

Domani ci tornerò, con dieci ore di sonno in meno e ven-ti anni in più. Basta, mi metto il pigiama, e vado in pensione.

Buonanotte, Brillantino, divertiti e vivi i tuoi anni, non lisprecare.

Io ti penserò, dal mio divano, come un generale checomanda le operazioni.

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indice

p. vii Prologoix Avvertenza

I racconti della balaustra

3 Oggi sono diventato vecchio9 Il nuovo Maso

17 Scuola35 Le imperatrici51 Brazil71 La rinascita di Pitta85 Stenterelli93 Viva Eli!

101 Yuri e il mare107 Antipaxos115 Aidi121 Il ciclone127 Parrucca party137 Lettera a V.143 Non vi voglio!147 Matrimoni (ce l’ho fatta...)