I microlaser -...

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La prima schiera di microlaser fu costruita dagli autori nel maggio 1989. È qui mostrata solo una piccola parte della struttura, che con- teneva oltre un milione di microlaser. 1 dispositivi più grandi han- no diametro di circa cinque micrometri, i più piccoli di un solo mi- crometro. Tutti i dispositivi, fatta eccezione per quelli più piccoli, generavano fasci laser, che emergevano dalle estremità circolari. G li scienziati hanno a lungo culla- to il sogno di costruire un cal- colatore ottico; i commutatori elettronici e i circuiti integrati sarebbe- ro in esso sostituiti da una rete di luce i cui singoli impulsi trasporterebbero ed elaborerebbero l'informazione. Questa idea non è soltanto affascinante sotto il profilo estetico, ma dà corpo anche alla promessa di una macchina che sarebbe persino più veloce e più versatile dei cal- colatori più potenti attualmente in uso. La realizzazione di questo sogno, tut- tavia, è stata impedita dalla mancanza di dispositivi sufficientemente piccoli per l'elaborazione di segnali ottici. Come il suo equivalente elettronico, il transisto- re, il componente basilare di un elabo- ratore o di un sistema di comunicazione ottico, deve operare a bassa potenza e ad alta velocità, e per questi scopi deve essere di dimensioni ridotte. Oggi nel- l'industria microelettronica si costrui- scono transistori di dimensioni inferiori a un micrometro e ne vengono integrate decine di milioni su un solo chip a semi- conduttore. Paragonata a quest'impresa stupefacente, la miniaturizzazione dei dispositivi ottici è andata considerevol- mente a rilento. La situazione attuale nel settore della tecnologia ottica disponibile in commer- cio è rappresentata da un dispositivo, il laser a diodo semiconduttore, impiegato un po' ovunque: dal lettore per compact disc ai sistemi di comunicazione in fibra ottica. Benché il laser a diodo abbia ri- voluzionato l'immagazzinamento e la comunicazione dell'informazione, le di- mensioni di questo dispositivo e il suo grado d'integrazione sono in prima ap- prossimazione paragonabili a quelli dei transistori, ognuno chiuso nel suo invo- lucro di plastica, di una radio della fine degli anni cinquanta. Un caratteristico laser a diodo misura pochi micrometri in larghezza per diverse centinaia di micro- metri in lunghezza, ed è quindi qualche centinaio di volte più grande del corri- spondente componente microelettroni- co. Nonostante il laser a diodo sia di molti ordini di grandezza più piccolo dei familiari laser a elio-neon di colore rosso utilizzati comunemente nei supermerca- ti come lettori di codici a barre, esso è semplicemente troppo grande per poter essere integrato in un calcolatore ottico. In tempi molto recenti, sono stati compiuti significativi progressi nella mi- niaturizzazione dei laser a diodo. Nel maggio 1989, nel corso di un progetto scaturito dal tentativo di realizzare strut- ture ordinate bidimensionali di commu- tatori ottici, abbiamo costruito più di un milione di microlaser, ossia laser delle dimensioni di un micrometro, su un sin- golo chip a semiconduttore largo circa sette millimetri e lungo otto. I microlaser furono proposti da uno di noi (Jewell) e da Sam McCall degli AT&T Bell Labo- ratories e realizzati al Bell Communica- tions Research (Bellcore) dagli altri due autori e da Leigh Florez. I dispositivi misurano da uno a cinque micrometri. Questa scala è già di due ordini di grandezza inferiore a quella dei laser a diodo convenzionali, ma con ulteriori ri- cerche la dimensione potrà probabil- mente essere ridotta di un altro ordine di grandezza. Forse ancora più stimolan- te è il fatto che, con l'avvicinarsi del mi- crolaser alle dimensioni minime consen- tite (probabilmente comprese tra un mezzo e un quarto di micrometro), cre- diamo che il processo quantomeccanico dell'emissione di radiazione possa essere radicalmente alterato in modo da mi- gliorare ulteriormente le prestazioni del dispositivo. I microlaser sono talmente nuovi che, per il momento, nessuno può prevedere se avranno un impatto significativo sul mercato. In più, lo sviluppo di un calco- latore ottico è ben lungi dall'essere un compito facile (si veda l'articolo Il calco- latore ottico di Eitan Abraham , Colin T. Seaton e S. Desmond Smith in «Le Scienze» n. 176, aprile 1983). Nondime- no i microlaser hanno suscitato enorme entusiasmo per le loro potenziali appli- cazioni sia alle comunicazioni ottiche sia all'elaborazione dell'informazione in generale. principi operativi su cui è basato un laser a diodo sono gli stessi di qual- siasi altro laser. Gli atomi di una parte del laser detta mezzo attivo - solitamente un solido, un liquido o un gas - vengono pompati, ovvero portati a un livello energetico più alto di quello fondamen- tale, o elettricamente o per mezzo di una sorgente di radiazione elettromagnetica. Quando un'onda luminosa di una deter- minata lunghezza d'onda, che si propaga attraverso il mezzo, incontra un atomo pompato, può indurlo a diseccitarsi libe- rando energia sotto forma di luce della stessa lunghezza d'onda. Il processo è coerente, cioè le creste e i ventri delle onde luminose sono in fase, e l'intensità della luce aumenta. Specchi posti alle due estremità del mezzo formano una cavità e forzano la luce ad attraversare ripetutamente il mezzo avanti e indietro, rendendo massimo l'incremento di in- tensità. La riflettività di uno o di entram- bi gli specchi è inferiore all'unità, in mo- do che una frazione della luce amplifica- ta possa uscire dalla cavità sotto forma di fascio laser. In un laser a diodo il mezzo attivo è un lungo diodo a forma di parallelepipe- do, un dispositivo che consente alla cor- rente elettrica di fluire liberamente in una direzione, mentre ne ostacola il flus- so nell'altra. Il diodo è costituito da un materiale semiconduttore come, per esempio, l'arseniuro di gallio. Il mezzo attivo di un laser a diodo convenzionale ha una lunghezza quasi pari a quella del laser stesso. Gli specchi sono formati a ciascuna estremità semplicemente ta- gliando il supporto (detto wafer); ciascu- na interfaccia tra semiconduttore e aria ha una riflettività del 30 per cento circa, il che è più che sufficiente per rendere operativo il laser. Quando una corrente elettrica viene fatta fluire parallelamen- te agli specchi, il diodo si riempie di elet- I microlaser La possibilità di integrare su un solo chip milioni di laser delle dimensioni di pochi micrometri schiude la prospettiva di importanti applicazioni nel campo delle comunicazioni ottiche e dell'elaborazione dell'informazione di Jack L. Jewell, James P. Harbison e Axel Scherer 72 LE SCIENZE n. 281, gennaio 1992 LE SCIENZE n. 281, gennaio 1992 73

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La prima schiera di microlaser fu costruita dagli autori nel maggio1989. È qui mostrata solo una piccola parte della struttura, che con-teneva oltre un milione di microlaser. 1 dispositivi più grandi han-

no diametro di circa cinque micrometri, i più piccoli di un solo mi-crometro. Tutti i dispositivi, fatta eccezione per quelli più piccoli,generavano fasci laser, che emergevano dalle estremità circolari.

G

li scienziati hanno a lungo culla-to il sogno di costruire un cal-colatore ottico; i commutatori

elettronici e i circuiti integrati sarebbe-ro in esso sostituiti da una rete di luce icui singoli impulsi trasporterebbero edelaborerebbero l'informazione. Questaidea non è soltanto affascinante sotto ilprofilo estetico, ma dà corpo anche allapromessa di una macchina che sarebbepersino più veloce e più versatile dei cal-colatori più potenti attualmente in uso.

La realizzazione di questo sogno, tut-tavia, è stata impedita dalla mancanza didispositivi sufficientemente piccoli perl'elaborazione di segnali ottici. Come ilsuo equivalente elettronico, il transisto-re, il componente basilare di un elabo-ratore o di un sistema di comunicazioneottico, deve operare a bassa potenza ead alta velocità, e per questi scopi deveessere di dimensioni ridotte. Oggi nel-l'industria microelettronica si costrui-scono transistori di dimensioni inferioria un micrometro e ne vengono integratedecine di milioni su un solo chip a semi-conduttore. Paragonata a quest'impresastupefacente, la miniaturizzazione deidispositivi ottici è andata considerevol-mente a rilento.

La situazione attuale nel settore dellatecnologia ottica disponibile in commer-cio è rappresentata da un dispositivo, illaser a diodo semiconduttore, impiegatoun po' ovunque: dal lettore per compactdisc ai sistemi di comunicazione in fibraottica. Benché il laser a diodo abbia ri-voluzionato l'immagazzinamento e lacomunicazione dell'informazione, le di-mensioni di questo dispositivo e il suogrado d'integrazione sono in prima ap-prossimazione paragonabili a quelli deitransistori, ognuno chiuso nel suo invo-lucro di plastica, di una radio della finedegli anni cinquanta. Un caratteristicolaser a diodo misura pochi micrometri inlarghezza per diverse centinaia di micro-metri in lunghezza, ed è quindi qualchecentinaio di volte più grande del corri-spondente componente microelettroni-

co. Nonostante il laser a diodo sia dimolti ordini di grandezza più piccolo deifamiliari laser a elio-neon di colore rossoutilizzati comunemente nei supermerca-ti come lettori di codici a barre, esso èsemplicemente troppo grande per poteressere integrato in un calcolatore ottico.

In tempi molto recenti, sono staticompiuti significativi progressi nella mi-niaturizzazione dei laser a diodo. Nelmaggio 1989, nel corso di un progettoscaturito dal tentativo di realizzare strut-ture ordinate bidimensionali di commu-tatori ottici, abbiamo costruito più di unmilione di microlaser, ossia laser delledimensioni di un micrometro, su un sin-golo chip a semiconduttore largo circasette millimetri e lungo otto. I microlaserfurono proposti da uno di noi (Jewell) eda Sam McCall degli AT&T Bell Labo-ratories e realizzati al Bell Communica-tions Research (Bellcore) dagli altri dueautori e da Leigh Florez. I dispositivimisurano da uno a cinque micrometri.

Questa scala è già di due ordini digrandezza inferiore a quella dei laser adiodo convenzionali, ma con ulteriori ri-cerche la dimensione potrà probabil-mente essere ridotta di un altro ordinedi grandezza. Forse ancora più stimolan-te è il fatto che, con l'avvicinarsi del mi-crolaser alle dimensioni minime consen-tite (probabilmente comprese tra unmezzo e un quarto di micrometro), cre-diamo che il processo quantomeccanicodell'emissione di radiazione possa essereradicalmente alterato in modo da mi-gliorare ulteriormente le prestazioni deldispositivo.

I microlaser sono talmente nuovi che,per il momento, nessuno può prevederese avranno un impatto significativo sulmercato. In più, lo sviluppo di un calco-latore ottico è ben lungi dall'essere uncompito facile (si veda l'articolo Il calco-latore ottico di Eitan Abraham , Colin T.Seaton e S. Desmond Smith in «LeScienze» n. 176, aprile 1983). Nondime-no i microlaser hanno suscitato enormeentusiasmo per le loro potenziali appli-

cazioni sia alle comunicazioni ottichesia all'elaborazione dell'informazione ingenerale.

principi operativi su cui è basato unlaser a diodo sono gli stessi di qual-

siasi altro laser. Gli atomi di una partedel laser detta mezzo attivo - solitamenteun solido, un liquido o un gas - vengonopompati, ovvero portati a un livelloenergetico più alto di quello fondamen-tale, o elettricamente o per mezzo di unasorgente di radiazione elettromagnetica.Quando un'onda luminosa di una deter-minata lunghezza d'onda, che si propagaattraverso il mezzo, incontra un atomopompato, può indurlo a diseccitarsi libe-rando energia sotto forma di luce dellastessa lunghezza d'onda. Il processo ècoerente, cioè le creste e i ventri delleonde luminose sono in fase, e l'intensitàdella luce aumenta. Specchi posti alledue estremità del mezzo formano unacavità e forzano la luce ad attraversareripetutamente il mezzo avanti e indietro,rendendo massimo l'incremento di in-tensità. La riflettività di uno o di entram-bi gli specchi è inferiore all'unità, in mo-do che una frazione della luce amplifica-ta possa uscire dalla cavità sotto formadi fascio laser.

In un laser a diodo il mezzo attivo èun lungo diodo a forma di parallelepipe-do, un dispositivo che consente alla cor-rente elettrica di fluire liberamente inuna direzione, mentre ne ostacola il flus-so nell'altra. Il diodo è costituito daun materiale semiconduttore come, peresempio, l'arseniuro di gallio. Il mezzoattivo di un laser a diodo convenzionaleha una lunghezza quasi pari a quella dellaser stesso. Gli specchi sono formati aciascuna estremità semplicemente ta-gliando il supporto (detto wafer); ciascu-na interfaccia tra semiconduttore e ariaha una riflettività del 30 per cento circa,il che è più che sufficiente per rendereoperativo il laser. Quando una correnteelettrica viene fatta fluire parallelamen-te agli specchi, il diodo si riempie di elet-

I microlaserLa possibilità di integrare su un solo chip milioni di laser delle dimensionidi pochi micrometri schiude la prospettiva di importanti applicazioni nelcampo delle comunicazioni ottiche e dell'elaborazione dell'informazione

di Jack L. Jewell, James P. Harbison e Axel Scherer

72 LE SCIENZE n. 281, gennaio 1992 LE SCIENZE n. 281, gennaio 1992 73

LASER A DIODO CONVENZIONALE

MICROLASER

11111 SPECCHIO

FASCIO LUMINOSO EMESSO

MEZZO ATTIVO

SUBSTRATO O WAFER

LASER A ELIO-NEON

1 principi di funzionamento sia di un comune laser a elio-neon, come quelli che assolvonola funzione di lettori di codici a barre nei supermercati (in alto), sia di un laser a diodosemiconduttore di tipo convenzionale (al centro) sia di uno dei microlaser di recentescoperta (in basso) sono identici. Gli atomi del mezzo attivo (in rosa) vengono pompati,ossia portati a un livello di energia più alto di quello fondamentale, per mezzo di radiazioneelettromagnetica o di corrente elettrica. Quando un'onda luminosa che si propaga attra-verso il mezzo incontra un atomo pompato, può indurlo a diseccitarsi liberando energiasotto forma di luce della stessa lunghezza d'onda. L'intensità della luce viene amplificatada riflessioni multiple sugli specchi (in blu) che sono collocati a ciascuna estremità delmezzo. La riflettività degli specchi è inferiore all'unità, il che fa sì che una parte della luceintensificata fuoriesca dal dispositivo generando un fascio laser (in rosso). I laser dell'illu-strazione non sono disegnati in scala: un laser a elio-neon è da 100 a 1000 volte più grandedi un laser a diodo il quale, a sua volta, è circa cento volte più lungo di un microlaser.

La costruzione e il collaudo del primo microlaserL'autore Jack Jewell racconta le emozioni di un lavoropionieristico.

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opo mesi di pianificazione e di progettazione - esoprattutto di ansiosa attesa - Axel Scherer rice-vette il substrato del laser da Leigh Florez che, in

collaborazione con Jim Harbison, aveva depositato lastruttura con la tecnica dell'epitassia a fascio molecolare.Il supporto aveva un diametro di circa sei centimetri, mauno spessore di soli due millimetri. Tornammo quasi inpunta di piedi al laboratorio di Axel. A dispetto delle nostreprecauzioni, tuttavia, dopo cinque minuti riuscimmo a fran-tumare il fragile disco in tanti pezzi disuguali. Axel e io ciguardammo e pensammo che non ci fosse altro da fareche ridere. Dopo tutto avevamo già deciso di suddividerecon cura il supporto; la nostra sfortuna ci aveva fatto ri-sparmiare del tempo.

Raccogliemmo i frammenti più grandi e cominciammoa lavorare. Per mezzanotte eravamo pronti a incidere suisupporti i singoli microlaser. A quel punto la cattiva sorteintervenne un'altra volta in nostrosoccorso. Axel mi disse che una

avrebbe costretti a mesi di riflessioni. Non poteva aiutarciil fatto che quasi tutti coloro che erano al corrente dellenostre ricerche ci ritenessero molto più che “un po' matti».Mia moglie (che non la pensava così) mi chiamò per infor-marsi se i laser funzionassero; borbottai che non avevamoancora avuto il tempo di provarli e che comunque nonavrebbero funzionato, e quindi non era il caso di seccarmi!

Per provare i laser dovevamo toccarne le estremità conuna sonda elettrica aghiforme. Cercare di applicare unacorrente elettrica ai dispositivi sul mio banco ottico eraun'esperienza nuova, perché avevo dedicato tutta la miacarriera all'ottica. Applicare una corrente elettrica a stru-menti spessi appena cinque micrometri e di diametro com-preso tra uno e cinque micrometri non era senz'altroun'impresa da principianti. Axel e io ci consolammo colfatto che stavamo compiendo un tal numero di nuoveesperienze che, qualunque cosa fosse successa, certa-mente avremmo imparato qualcosa. Toccando con il pun-tale della sonda uno dei dispositivi più grandi vedemmoche la corrente fluiva in una direzione, ma non in quella

opposta. Bene! Il dispositivo funzio- nava almeno come diodo. Deci-

parte importante del sistema di in-cisione, detta neutralizzatore, nonfunzionava e non poteva essere ag-giustata. Poiché «neutralizzatore»suona come qualche specie di stra-no congegno uscito da Star Trek,stabilimmo di far finta che non fossedi importanza decisiva e quindi difarne a meno. Per le due del mattinoAxel aveva già inciso diversi micro-

«Finivamo semplicementeper girare la manopoladel traslatore e guardare,ancora increduli, le luciintermittenti.»

demmo allora di piazzare una tele-camera per vedere se venisse e-messa la luce infrarossa che desi-deravamo: era proprio così! La luceera molto debole fino a una correntedi circa uno o due milliampere e poiaumentava sensibilmente, il cheera un buon segno. Vedemmo an-che figure di interferenza che sonocaratteristiche della luce laser.

laser, e cominciammo a fotografarli con il microscopioelettronico a scansione. In precedenza orribili dispositiviche avevano l'aspetto di microbidoni per la spazzaturaavevano funzionato abbastanza bene, mentre dispositividi aspetto assai gradevole non avevano funzionato affatto:perciò concordammo che quelli appena costruiti nonavrebbero avuto la benché minima possibilità. Il passoconclusivo della costruzione consisteva nell'applicazionedi microcontatti elettrici sulla sommità dei dispositivi. Perquesto lavoro avremmo dovuto attendere fino al giornosuccessivo, poiché conoscevamo una sola persona ingrado di portarlo a compimento, Ray Martin (un altro ricer-catore del Bellcore).

Dopo un breve sonno irregolare, chiedemmo a Martindi saldare i contatti e, a questo punto, l'ansia cominciòveramente ad attanagliarci. Stavamo rapidamente avvici-nandoci dalla fabbricazione speranzosa alla prova conclu-siva che avrebbe senz'altro significato un insuccesso e ci

Ci doveva essere qualcosa di terribilmente sbagliato: inostri congegni si comportavano esattamente come deilaser e ciò non era possibile. Provammo un altro disposi-tivo, quindi un altro e poi un altro ancora. Tutti, più o meno,si comportavano allo stesso modo, ma era troppo facile:le cose non vanno in questo modo. Eravamo già arrivatial nostro scopo.

Nelle settimane successive fu difficile per noi lavorareseriamente; scoprimmo che con l'aiuto di uno strumentochiamato traslatore potevamo far scorrere i microlasersotto la sonda alla velocità di una decina al secondo. Gi-rando una sola manopola, i laser si accendevano e sispegnevano alla stregua di una fila di lampade. Più e piùvolte riprovammo gli stessi dispositivi, ma essi non mo-stravano segni di logoramento. E ogni volta che decide-vamo di fare qualche misurazione quantitativa, finivamosemplicemente per girare la manopola del traslatore eguardare, ancora increduli, le luci intermittenti.

troni e di buche (ovvero quelle parti delsemiconduttore svuotate di elettroni).Pochi istanti dopo, gli elettroni e lebuche si ricombinano emettendo luce.Questa è amplificata da riflessioni mul-

tiple all'interno del semiconduttore euna frazione di essa emerge da uno deglispecchi sotto forma di un fascio laser pa-rallelo al supporto sottostante; il fascio,cioè, fuoriesce lateralmente dalla cavità.

Una caratteristica che rende un micro-laser molto diverso da un laser a

diodo convenzionale è costituita dall'e-missione del fascio in direzione perpen-dicolare rispetto al substrato, anzichéparallela. Inoltre i microlaser non hannola tipica forma a parallelepipedo dei la-ser a diodo convenzionali, ma sembranopiuttosto una sottile lattina di Coca-Co-la; il fascio laser emerge dall'alto, oppu-re dalla base attraverso il substrato tra-sparente su cui è stato fatto depositareil mezzo. La differente configurazionegeometrica fa sì che sia possibile impila-re diversi laser sulla stessa superficie disubstrato. Kenichi Iga e i suoi colleghidel Politecnico di Tokyo hanno dimo-strato per primi, verso la fine degli annisettanta, la possibilità di realizzare que-sti laser a emissione superficiale anzichélaterale.

Il nostro lavoro nel campo dei micro-laser risale approssimativamente all'e-poca della scoperta di Kenichi Iga. Pres-so i Behl Laboratories venivano costruitilaser a emissione superficiale impilandol'una sull'altra pellicole sottili di arseniu-ro di gallio, spesse da un ottavo di mi-crometro a pochi micrometri, alternatea specchi. A persone assennate, l'idea difar diventare tecnologia pratica un simileprocedimento sembrò insensata; la co-struzione rasentava la magia nera, e idispositivi erano di qualità scadente (na-turalmente anche i primi transistori elet-tronici godevano di queste «qualità»).

I continui miglioramenti invertironola tendenza. Un microlaser misura at-tualmente sei micrometri in lunghezzacompresi gli specchi, contro i 250 micro-metri di un laser a diodo convenzionale;ciò che però rende un microlaser vera-mente «micro» è la sua particolare geo-metria che funge da guida d'onda: una«conduttura» ottica che impedisce al fa-scio luminoso di diffondersi verso l'e-sterno durante la propagazione. (Una fi-bra ottica è un ben noto esempio di guidad'onda.) Il diametro caratteristico di unmicrolaser, come detto in precedenza, èdi pochi micrometri.

Anche se i microlaser stanno ancoravivendo la loro infanzia, le loro picco-le dimensioni ne rendono i requisitidi potenza confrontabili con quelli deipiù maturi laser a diodo convenzionali.Un'importante pietra di paragone usataper valutare le caratteristiche di potenzadi un laser a diodo è la corrente di soglia,cioè il flusso minimo di corrente elettricanecessario per attivare il laser. La sogliapiù bassa di un microlaser è di 0,7 mil-liampere mentre quella di un laser a dio-do convenzionale è di 0,5 milliampere.Con ulteriori ricerche, è auspicabile chela soglia di un microlaser, in virtù dellesue dimensioni eccezionalmente ridotte,possa essere abbassata fino a pochi mi-lionesimi di ampere. Oggi, inoltre, i mi-crolaser sono ancora inferiori rispetto ailaser a diodo per ciò che concerne la ve-locità di produzione di bit, ovvero il nu-mero di zero e di uno generati in un se-

condo. Con una velocità di produzionedi bit pari a cinque miliardi per secondo,i microlaser sono assai lontani dalla ra-pidità dei migliori laser a diodo, ma ci siaspetta di poter raggiungere in futuro ve-locità dell'ordine di 100 miliardi di bitper secondo.

Come vengono prodotti questi laserad alte prestazioni eccezionalmente

piccoli? Due tecniche principali ne per-mettono la fabbricazione. La prima, l'e-pitassia a fascio molecolare, consente dicostituire l'elemento fondamentale di

ogni laser a partire da strati di materialesemiconduttore aggiunti uno per volta.Si possono realizzare simultaneamentediverse migliaia o addirittura milioni disingoli laser per mezzo di incisioni verti-cali profonde in unione alle tecniche li-tografiche convenzionali.

Concettualmente, l'epitassia a fasciomolecolare è molto semplice. Un cristal-lo di materiale semiconduttore è postoin una camera a vuoto in cui sono pre-senti contenitori riempiti degli elementichimici - per esempio indio, gallio, allu-minio e arsenico - che saranno utilizzati

per depositare strati del semiconduttoredesiderato sulla superficie del substrato.Quando un singolo contenitore viene ri-scaldato alla temperatura adatta, l'ele-mento in esso contenuto comincia a su-blimare, defluendo nella camera a vuotoattraverso l'estremità aperta esattamen-te come il vapore esce dal beccuccio diuna teiera riscaldata. Ne risulta un am-pio fascio di molecole che diffonde indirezione del substrato; quando sia ne-cessario, il flusso può essere interrottoper mezzo di un otturatore meccanico.

La formazione di strati sovrapposti di

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Ingrandimenti successivi di un microlaser rivelano il gran nume-ro di strati di materiale semiconduttore - tipicamente più di 500 -dai quali è costituito. Nell'illustrazione più ingrandita (all'estremadestra), sono visibili i singoli atomi: arsenico (in grigio), alluminio

(in giallo) e gallio (in rosso). Gli strati formati da questi elementisono rappresentati nelle altre tre illustrazioni: arseniuro di allumi-nio (in giallo) e arseniuro di gallio (in rosso) oltre alle miscele dileghe di alluminio-gallio-arsenico (in arancione) e indio-gallio-ar-

differenti materiali semiconduttori vieneperciò eseguita determinando semplice-mente quali elementi chimici debbanoessere contenuti in uno specifico strato eaprendo gli otturatori corrispondenti.Per esempio strati di arseniuro di allumi-nio si ottengono aprendo contempora-neamente i contenitori dell'alluminio edell'arsenico e mantenendo chiusi gli al-tri; allo stesso modo, rimuovendo gli ot-turatori che bloccano arsenico e gallio siformano strati di arseniuro di gallio. Lospessore di ciascuno strato è determina-to dalla durata dell'intervallo temporalein cui i contenitori vengono lasciati aper-ti. L'epitassia a fascio molecolare è unatecnica così perfezionata che si potreb-bero depositare strati dello spessore diun singolo atomo.

Un tipico microlaser può consistere dipiù di 500 singoli strati. Per rendere mi-nima l'energia necessaria per attivare illaser occorre avere un mezzo attivo assaisottile, dell'ordine di un centesimo di mi-crometro; con uno spessore così piccolosono necessarie molte più riflessioni del-la luce all'interno della cavità, per avereun'adeguata amplificazione del segnale,di quante ne occorrano in un laser a dio-do tradizionale. Per questo motivo è in-dispensabile che la riflettività degli spec-chi sia molto superiore al 30 per centoche è sufficiente per i normali laser adiodo: di fatto, nei microlaser, la riflet-tività degli specchi deve essere del 99 percento o più.

Una riflettività così elevata si raggiun-ge depositando strati alternati di

due diversi semiconduttori, come arse-niuro di gallio e arseniuro di alluminio,che hanno differenti indici di rifrazione(il che significa che la luce si muove inessi con velocità diverse). La differenzatra gli indici di rifrazione provoca unariflessione parziale in corrispondenza diogni interfaccia, proprio come la diffe-renza tra gli indici di rifrazione dell'ariae del vetro provoca una riflessione par-ziale da parte di una finestra. Benché lariflessione a ciascuna interfaccia sia sol-tanto dello 0,6 per cento, si può arrivarea ottenere una riflettività totale superio-re al 99 per cento sovrapponendo moltistrati alternati di spessore opportuno.

Per ironia della sorte, allora, il grossodi un microlaser non è costituito dalmezzo attivo, che ha lo spessore di uncentesimo di micrometro, ma piuttostodagli specchi che nell'insieme misuranoquattro o cinque micrometri di spessore.La relativa grandezza degli specchi è co-munque ben giustificata, perché un'inte-ra schiera di microlaser completi può es-sere depositata sul supporto in una solaoperazione, non richiedendo un'accura-ta successione di passi come quella ne-cessaria per fabbricare un laser a diodo.

La precisione dell'epitassia a fasciomolecolare nella deposizione di strati diun determinato spessore è altrettantoimportante della capacità di questa tec-nica di costruire un intero microlaser in

una sola operazione. Un attento control-lo dello spessore, infatti, è particolar-mente importante nella realizzazionedegli specchi. La tecnica utilizzata perraggiungere il necessario grado di con-trollo si fonda sul progressivo aumentodi scabrosità che si verifica all'aumentodello spessore di uno strato atomico, fi-no alla deposizione della metà circa delmateriale. In seguito lo strato cominciaa diventare sempre più liscio fino a esse-re perfettamente levigato.

Si può misurare la levigatezza di unasuperficie facendo incidere su di essa unfascio di elettroni di alta energia: quantopiù la superficie è liscia, tanto più facil-mente gli elettroni vengono riflessi e ri-velati su uno schermo posto in posizioneopportuna. Perciò l'intensità del fascioriflesso oscilla nel tempo con la costru-zione di strati successivi. Misurazioni ac-curate della frequenza delle oscillazioniconsentono di determinare con precisio-ne il tempo necessario per depositare unsingolo strato di atomi. La conoscenzaesatta della velocità di deposizione puòallora essere utilizzata per mantenereuno stretto controllo sullo spessore deglistrati. La programmazione temporaledegli otturatori meccanici, eseguita me-diante calcolatore, consente una precisaregolazione.

Un altro vantaggio dell'epitassia a fa-scio molecolare consiste nel fatto che es-sa permette di modulare la conduttivitàelettrica e la riflettività degli specchi. La

senico (in rosa). Il mezzo attivo vero eproprio è notevolmente sottile (strato rosa);la parte più consistente del dispositivo ècostituita dagli specchi (strati rossi e gialli).

corrente elettrica per il pompaggio deldiodo deve passare attraverso gli specchima, purtroppo, in questo caso il passag-gio non avviene con facilità; le proprietàottiche e quelle elettriche non possonoessere ottimizzate simultaneamente, sic-ché i microlaser devono essere progettaticonciliando le opposte esigenze nellamaniera migliore possibile.

Una volta costruiti i supporti, per tra-sformarli in microlaser si utilizzano

le consuete tecniche di trasferimento:una maschera costituita da una schierabidimensionale di dischi di materialeresistente all'incisione viene depositatasulla superficie del supporto con metodidi deposizione sotto vuoto per vaporiz-zazione e fotolitografia, un processo co-stituito dalla riproduzione di matrici perstampa di immagini mediante il riportofotografico su uno strato di gelatina sen-sibile alla luce. Quindi, in un successivostadio del processo, un fascio collimatodi atomi di xeno, guidato dalla mascheradepositata, incide verticalmente ciascunmicrolaser. Le superfici laterali che si ot-tengono sono levigate ed è minimo ildanno per la superficie emittente delmicrolaser.

Il nostro gruppo di ricerca del Bellcoreha beneficiato di queste tecniche avan-zate per costruire schiere di microlasernei quali una piccola parte degli strati diuno degli specchi aveva, per nostra scel-ta, spessore variabile; in conseguenza di

ciò, la lunghezza d'onda di ciascun laserera differente da quella dei laser vicini diuna piccola quantità regolare. Questo ti-po di schiere potrebbe avere un impattodi rilievo nel settore delle comunicazionisu fibra ottica, dove è desiderabile invia-re segnali multipli, ciascuno di una par-ticolare lunghezza d'onda, lungo unasingola fibra.

Il gruppo del Bellcore ha costruito an-che schiere di microlaser che possono es-sere accesi o spenti per mezzo di impulsiluminosi. Tali strutture possono essereincorporate in sistemi per il trattamentodell'informazione a elaborazione paral-lela, nei quali gli elementi di un proble-ma vengono risolti contemporaneamen-te anziché sequenzialmente (si veda l'ar-ticolo Architetture per i supercalcolatoridi Geoffrey C. Fox e Paul C. Messina in«Le Scienze» n. 232, dicembre 1987).Ricerche in questo campo, svolte allaNippon Electric Corporation, all'Uni-versità della California a Santa Barbarae ai Sandia National Laboratories, tra glialtri, stanno andando a buon fine.

Le ricerche future sui microlaser po-tranno prendere due direzioni: in primoluogo l'attuale generazione di microla-ser emette luce di lunghezza d'onda ap-partenente alla regione infrarossa dellospettro (tipicamente un micrometro),mentre sarebbe auspicabile incrementa-re la lunghezza d'onda emessa fino allaregione compresa tra 1,3 e 1,5 microme-tri, poiché queste lunghezze d'onda sonotrasmesse da una fibra ottica con la mi-nima perdita; in tal modo si otterrebbe-ro laser potenzialmente utilizzabili nelcampo delle comunicazioni ottiche. Fi-nora i microlaser operanti a lunghezzed'onda così elevate non hanno avuto unfunzionamento ottimale, prima di tuttoper la mancanza di materiali semicon-duttori adeguati che possano essere a-dottati per formare gli strati di specchiadatti alle lunghezze d'onda richieste.Attualmente un microlaser efficienteche funzioni a una lunghezza d'onda di1,5 micrometri avrebbe un'altezza di unaventina di micrometri anziché di cinqueo sei, e quindi occorrerebbero più o me-no ventiquattr'ore per sovrapporre concura tutti gli strati necessari con la tecni-ca dell'epitassia a fascio molecolare.Una siffatta struttura non sarebbe digrande utilità pratica, ma potrebbero di-mostrarsi di notevole interesse schemialternativi non ancora progettati.

Un'ulteriore miniaturizzazione, su cuida poco si è puntato l'interesse degli stu-diosi, è la seconda linea di ricerca pro-spettabile. La strada appare ardua; in-fatti si è già vicini al limite minimo didimensione al di sotto del quale il lasernon può più funzionare. La ragione diquesto impedimento è dovuta al diame-tro del laser, che deve essere paragona-bile alla lunghezza d'onda della radiazio-ne emessa: se il diametro è inferiore allalunghezza d'onda il microlaser non puòdi fatto contenere la luce! Indubbiamen-te c'è un vantaggio aggiuntivo nel lavo-

rare con l'arseniuro di gallio; benché lalunghezza d'onda del laser sia di circa unmicrometro in aria, all'interno del mate-riale essa si accorcia a circa un terzo acausa dell'elevato indice di rifrazione delsemiconduttore. Nonostante ciò, laserdi dimensioni dell'ordine di 0,3 micro-metri non potrebbero funzionare.

perché preoccuparsi di ridurre la tagliadei microlaser da un relativamente

comodo micrometro a un ben più com-plicato terzo di micrometro? Un ulterio-re rimpicciolimento potrebbe consentirela comunicazione e l'elaborazione di unaquantità di informazioni superiore di unordine di grandezza pur con gli stessi re-quisiti di potenza. In più si potrebberoottenere anche altri vantaggi fondamen-tali, vantaggi non prevedibili per mezzodi semplici leggi di scala.

Virtualmente ogni laser è inefficiente;il primo lampo di luce emesso dagli ato-mi pompati nel mezzo attivo si propagaa caso in tutte le direzioni. La maggiorparte della luce non colpisce gli specchidel laser e perciò viene persa; soltantouna piccola frazione, circa una parte su10 000, si muove proprio nella direzionegiusta per contribuire al funzionamentodel laser. Ne consegue, dunque, chequando la cavità che contiene il mezzo ècorta e di piccolo diametro, le pareti del-la cavità stessa, a causa delle riflessioni,possono modificare la direzione origina-ria in cui viene emessa la luce. In unapiccola cavità la luce può essere emessasolo in certe direzioni preferenziali e acerte lunghezze d'onda; in una cavitàestremamente piccola, come quella diun microlaser, la luce viene emessa sol-tanto lungo la direzione del fascio laserdesiderato.

Sembrerebbe, allora, che un microla-ser con un diametro approssimativa-mente di un terzo di micrometro possacostituire il componente optoelettronicofondamentale per l'elaborazione di in-formazione: un laser piccolo, veloce, adalta efficienza e che richiede bassa po-tenza. Benché, come detto, la prima ra-gione per costruire un dispositivo di que-sto genere sia il suo potenziale impiegonell'elaborazione dell'informazione, sitroverebbero senza dubbio altre applica-zioni. Pannelli di microlaser con emissio-ne nel visibile potrebbero fornire una il-luminazione efficace, convertendo le ap-plicazioni dalla tecnologia un po' esoticadel calcolatore optoelettronico in unamolto più pratica lampada con cui si po-trebbe leggere questa stessa rivista.

Abbiamo tentato di vedere fino a chepunto i microlaser possano essere rim-piccioliti e continuare ugualmente a fun-zionare. Per i nostri esperimenti pom-piamo gli atomi del mezzo attivo con im-pulsi di luce focalizzati anziché mediantecorrente elettrica; è più facile, infatti,costruire dispositivi pompati otticamen-te piuttosto che elettricamente e, benchénon ci si attenda alcuna applicazionecommerciale per i componenti a pom-

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La struttura stratificata di un microlaser è evidenziata nella microfotografia elettronica ascansione. Gli strati di arseniuro di alluminio sono stati incisi preferenzialmente, con il ri-sultato che gli strati di arseniuro di gallio hanno diametro più grande e sporgono dal cor-po del dispositivo. L'incisione preferenziale non viene eseguita su laser di impiego pratico.

I più piccoli microlaser del mondo sono lunghi circa otto micrometri e misurano mezzomicrometro di diametro. Gli autori li hanno provati con successo utilizzando lampi di luce.

paggio ottico, le nostre prove su questidispositivi ci hanno aiutato a convincerenoi stessi e i nostri dirigenti che uno sfor-zo per costruire cavità di dimensioni cosìpiccole pompate elettricamente non ècompletamente privo di senso.

Finora abbiamo dimostrato che dispo-sitivi di diametro inferiore a mezzo mi-crometro possono effettivamente fun-zionare. Un dettaglio abbastanza inte-ressante è che i nostri esperimenti sonoattualmente più avanzati di qualsiasi si-mulazione numerica, per quanto accura-ta. Costruire modelli per descrivere lecomplesse interazioni che insorgono conun gran numero di strati semiconduttoriconsumerebbe infatti enormi quantità ditempo macchina e potrebbe addiritturarendere necessario il ricorso a un calco-latore ottico!

porse l'aspetto più eccitante della ri-I- cerca nel campo dei microlaser è ilmodo in cui essa abbraccia discipline co-me la fisica fondamentale, la fisica deglistrumenti, l'ottica classica, l'ottica deisemiconduttori, l'optoelettronica e l'in-tegrazione di sistemi. I microlaser sfida-no anche la creatività dei ricercatori asfruttare le possibilità offerte dalle enor-mi applicazioni che ancora aspettano diessere scoperte. Le comunicazioni e iltelerilevamento sono due settori in cui isistemi ottici sembrano poter fornirevantaggi fondamentali rispetto ai sistemielettronici. Con il progressivo aumentodi importanza della visione assistita damacchine, schiere di microlaser a prezziaccessibili consentirebbero di adattare latecnologia esistente in soccorso dei nonvedenti. Crediamo che la varietà di ap-plicazioni dei microlaser sarà eccezional-mente vasta, ma, allo stato attuale, sitratta soltanto di un'ipotesi fideistica.Attendiamo con impazienza di poter ri-leggere questo nostro articolo tra unadecina d'anni, per vedere in quali previ-sioni saremo andati a segno e in quali,viceversa, avremo completamente man-cato il bersaglio.

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