I fossili della Mongolia -...

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/ I deserto di Gobi nell'Asia centrale è uno dei luoghi più desolati della Terra. E una distesa di milioni di chilometri quadrati di dune di sabbia, rocce erose e montagne acuminate, al- ternativamente bruciata dal sole estivo delle alte latitudini e ghiacciata d'inver- no dai venti che soffiano dalla Siberia. Non è un luogo da esplorare imprepara- ti: percorrere le vaste zone disabitate che si estendono fra le rare oasi richiede un'attenta pianificazione, non dissimile da quella necessaria per scalare una vet- ta dell'Himalaya o attraversare il conti- nente antartico. Esistono poche carte geografiche, e le moderne tecniche di navigazione con l'ausilio dei satelliti sono di scarso aiuto per il viaggiatore che cerca di orientarsi fra le strade pie- ne di solchi che si incrociano impreve- dibilmente e cambiano posizione con la stessa frequenza degli insediamenti no- madi da esse collegati. Anche una spe- dizione moderna corre il rischio di tro- varsi a corto di acqua, cibo e combusti- bile; perdersi in queste condizioni non è una seccatura, ma un grave pericolo. Tuttavia il Gobi è un paradiso per il paleontologo. Qui l'erosione del suolo porta alla luce scheletri quasi completi di animali in precedenza conosciuti so- lo grazie a laboriose ricostruzioni ese- guite a partire da poche ossa. Le nostre spedizioni, organizzate congiuntamen- te dall'Accademia delle scienze della Mongolia e dall'American Museum of Natural History, hanno trovato resti di dinosauri, sauri e piccoli mammiferi in eccezionali condizioni di conservazio- ne. Gli scheletri appena venuti alla luce a volte sembrano resti recenti, non fos- sili vecchi di 80 milioni di anni. Schele- tri e crani da noi scoperti sono spesso pressoché completi, a differenza dei «pezzettini» - mandibole frammentarie, denti e ossa isolate - che tipicamente si rinvengono altrove. Non si sa perché i fossili del Gobi siano così ben conservati. In altre ricche aree fossilifere, come per esempio nelle Montagne Rocciose, i resti di animali vennero trasportati nei siti di rinveni- mento da corsi d'acqua che durante il percorso ne perturbarono la connessio- ne anatomica. L'ambiente del deserto di Gobi alla fine del Cretaceo, tuttavia, era probabilmente simile a quello attuale: vallate aperte con dune di sabbia e rupi, scarsamente bagnate da piccoli laghi o corsi d'acqua a regime torrentizio. In effetti, nelle sezioni di roccia si possono ancora osservare le tracce di antiche du- ne di sabbia. È anche evidente che gli animali vennero sepolti subito dopo la loro morte, prima che i divoratori di ca- rogne o gli elementi avessero il tempo di aggredirli. Strati di arenaria grossola- na che si osservano nelle formazioni rocciose del Cretaceo fanno pensare al tipo di depositi che possono formarsi in seguito a violente tempeste di sabbia; Tomasz Jerzykiewicz del Geological Survey of Canada a Calgary e colleghi hanno studiato alcuni depositi fossilife- ri della Mongolia Interna cinese e han- no scoperto che i fossili di vertebrati so- no spesso racchiusi in simili terreni. Una forte tempesta potrebbe aver ucci- so gli animali in questione, senza limi- tarsi a ricoprire le loro carcasse: sepolti nel giro di qualche ora al massimo, i lo- ro resti stanno ricomparendo quasi in- tatti dopo 80 milioni di anni. a ricchezza di reperti fossili della i Mongolia è stata riconosciuta solo in epoca relativamente recente. Alla fi- ne del XIX secolo e nei primi anni del XX, la regione delle Montagne Roccio- se, nel Nordamerica occidentale, era considerata la mecca per la paleontolo- gia dei vertebrati. Poi, nel 1922, Roy Chapman Andrews dell'American Mu- seum of Natural History guidò una spe- dizione, nel cuore del deserto di Gobi, che rivoluzionò la geografia del mondo dei fossili. Egli non realizzò mai il suo obiettivo principale - la ricerca di fossili dei primi esseri umani dell'Asia centra- le - ma l'interesse del gruppo di ricerca si concentrò ben presto su una serie di spettacolari scoperte relative a epoche più antiche. Il Gobi conteneva uno straordinario tesoro di resti di dinosauri, di mammiferi e di altri vertebrati, di ric- chezza ancor oggi insuperata. Andrews raccontò le sue cinque spe- dizioni in un libro notevole, intitolato The New Con quest of Central Asia. L'esotismo e i colpi di scena delle sue narrazioni fanno pensare alle gesta di un Indiana Jones: durante il cammino gli esploratori dovettero affrontare di- stese di dune senza traccia di piste, fu- riose tempeste di sabbia e attacchi da parte di banditi. La carovana, composta sia da cammelli sia da autovetture Dod- ge dalle ruote sottili, e quindi inadatte al terreno sabbioso, si rivelò un incubo lo- gistico mentre si estendeva in tutta la sua lunghezza, come l'Algoy horkhi horkhi (il leggendario drago delle sab- bie mongolo), attraverso il paesaggio lunare del Gobi. Quella che si rivelò una delle scoper- te più importanti nella storia delle esplorazioni scientifiche venne compiu- ta nel bel mezzo di queste difficoltà. Al termine della prima stagione sul campo, nel 1922, la spedizione si perse in una vasta pianura appena a nord dei Monti Gurvan Saikhan. Incapace di orientarsi, Andrews fece fermare il gruppo presso una gher (la tenda a forma di cupola dei nomadi dell'Asia centrale, chiamata an- che yurta). Mentre chiedeva informa- zioni alle guardie di frontiera che occu- pavano la gher, il fotografo della spedi- zione, J. B. Shackleford, si avventurò fino a una cresta rocciosa di aspetto piuttosto banale, posta al margine di un prato. Qui scoprì con stupore un pae- saggio fantastico di rupi e pinnacoli rossastri, ricco di fossili affioranti. Nel giro di 10 minuti rinvenne il pri- mo cranio conosciuto di Protoceratops, un dinosauro dotato di «becco da pap- pagallo» e capo corazzato, da allora di- venuto un fossile guida per il tardo Cre- taceo dell'Asia centrale. Fermatasi per tutto il resto del pomeriggio, la spedi- zione recuperò altre ossa e anche un piccolo uovo, che venne scambiato per quello di un uccello. Il ritorno sul sito l'estate successiva fruttò una messe straordinaria di scheletri di dinosauri, antichi mammiferi e altri vertebrati, ol- tre al primo gruppo mai scoperto di uo- va di dinosauro. Questi ritrovamenti, e soprattutto quello delle uova, vennero pubblicizzati sulla prima pagina dei quotidiani di tutto il mondo; Andrews battezzò il sito «rupi fiammeggianti» (Flaming Cliffs), a causa della magnifi- ca tinta rosso-arancione che le falesie di arenaria assumevano al tramonto. All'inizio degli anni trenta Andrews, scoraggiato dal clima politico della Mongolia, divenuto più ostile e mute- vole, abbandonò le ricerche. Il Gobi ri- mase inaccessibile all'Occidente per ol- tre 60 anni, e solo gli scienziati del blocco sovietico furono in grado di con- tinuare il lavoro iniziato da Andrews. Fra il 1946 e il 1949, alcune spedizioni congiunte russo-mongole entrarono nel bacino di Nemegt, una regione deserti- ca di grandiosa bellezza la cui difficoltà d'accesso aveva bloccato i tentativi di esplorazione di Andrews, e vi scopriro- no ricchi giacimenti di fossili del Creta- ceo e del Cenozoico. Zofia Kielan-Jaworowska, notissima specialista di fossili di mammiferi che oggi lavora al Museo paleontologico dell'Università di Oslo, guidò fra il 1963 e il 1971 una spedizione estrema- mente preparata e dinamica di studiosi polacchi e mongoli nel Nemegt e in altre zone. Il lavoro di questo gruppo fruttò una serie di importantissime monografie scientifiche e una magnifica esposizione di dinosauri e altri vertebrati fossili al Museo di storia naturale della capitale mongola Ulan-Bator (Ulaanbaatar). Da- gli anni sessanta i paleontologi mongoli conducono ampie ricerche sul campo, sia indipendentemente sia in collabora- zione con colleghi di altri paesi. Questa falesia di arenaria nella Mongo- lia meridionale divenne celebre all'ini- zio degli anni venti, quando vi furono scoperte ossa e uova di dinosauri. Set- tant'anni dopo le «rupi fiammeggian- ti», il nome con cui è nota la formazio- ne, continuano a fornire una ricca mes- se di fossili magnificamente conservati. Gli studiosi occidentali poterono tor- nare in Mongolia dopo i cambiamenti politici avvenuti nel 1990. Nell'estate di quell'anno, i nostri colleghi dell'Ac- cademia delle scienze della Mongolia ci invitarono a compiere una ricognizione che aprì la strada ad altre quattro spedi- zioni più ambiziose negli anni successi- vi. Nel frattempo diversi altri gruppi in- ternazionali hanno iniziato progetti di studio. Anche se la Mongolia potrebbe, fra non molto, essere sommersa da un'orda di cacciatori di ossa, per il mo- mento ci sentiamo fortunati per essere stati i primi occidentali a poter ripren- dere l'avventura iniziata da Andrews. S e possibile, il contrasto fra il Gobi e altre zone fossilifere più accessibili è oggi ancora maggiore che all'epoca di Andrews. Un secolo fa, nel periodo eroico della «caccia ai dinosauri» nel West americano, gli esploratori trova- vano valli e canyon in cui gli scheletri affioravano in piena vista, come quelli di caduti su un campo di battaglia; og- gi invece molti importanti giacimenti fossiliferi sembrano quasi esauriti. I pa- leontologi attuali guardano con giustifi- cata invidia ai loro predecessori che po- tevano esplorare quel territorio vergine. Nel loro complesso, le attività di ri- cerca svolte in Mongolia negli ultimi 70 anni non si avvicinano neppure lontana- mente a quelle effettuate nel continente americano. L'erosione porta tuttora alla luce una ricca messe di fossili anche in siti già scavati con cura da Andrews e da altri paleontologi. Inoltre la stessa natura aspra e inesplorata del Gobi la- scia aperta la possibilità che ci siano an- cora da scoprire molti ricchi giacimenti fossiliferi. I fossili della Mongolia Nel deserto di Gobi numerose spedizioni internazionali stanno portando alla luce alcuni tra i più ricchi e interessanti giacimenti di resti di dinosauri mai scoperti prima d'ora di Michael J. Novacek, Mark Norell, Malcolm C. McKenna e James Clark 40 LE SCIENZE n. 318, febbraio 1995 LE SCIENZE n. 318, febbraio 1995 41

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I deserto di Gobi nell'Asia centraleè uno dei luoghi più desolati dellaTerra. E una distesa di milioni di

chilometri quadrati di dune di sabbia,rocce erose e montagne acuminate, al-ternativamente bruciata dal sole estivodelle alte latitudini e ghiacciata d'inver-no dai venti che soffiano dalla Siberia.Non è un luogo da esplorare imprepara-ti: percorrere le vaste zone disabitateche si estendono fra le rare oasi richiedeun'attenta pianificazione, non dissimileda quella necessaria per scalare una vet-ta dell'Himalaya o attraversare il conti-nente antartico. Esistono poche cartegeografiche, e le moderne tecniche dinavigazione con l'ausilio dei satellitisono di scarso aiuto per il viaggiatoreche cerca di orientarsi fra le strade pie-ne di solchi che si incrociano impreve-dibilmente e cambiano posizione con lastessa frequenza degli insediamenti no-madi da esse collegati. Anche una spe-dizione moderna corre il rischio di tro-varsi a corto di acqua, cibo e combusti-bile; perdersi in queste condizioni non èuna seccatura, ma un grave pericolo.

Tuttavia il Gobi è un paradiso per ilpaleontologo. Qui l'erosione del suoloporta alla luce scheletri quasi completidi animali in precedenza conosciuti so-

lo grazie a laboriose ricostruzioni ese-guite a partire da poche ossa. Le nostrespedizioni, organizzate congiuntamen-te dall'Accademia delle scienze dellaMongolia e dall'American Museum ofNatural History, hanno trovato resti didinosauri, sauri e piccoli mammiferi ineccezionali condizioni di conservazio-ne. Gli scheletri appena venuti alla lucea volte sembrano resti recenti, non fos-sili vecchi di 80 milioni di anni. Schele-tri e crani da noi scoperti sono spessopressoché completi, a differenza dei«pezzettini» - mandibole frammentarie,denti e ossa isolate - che tipicamente sirinvengono altrove.

Non si sa perché i fossili del Gobisiano così ben conservati. In altre ricchearee fossilifere, come per esempio nelleMontagne Rocciose, i resti di animalivennero trasportati nei siti di rinveni-mento da corsi d'acqua che durante ilpercorso ne perturbarono la connessio-ne anatomica. L'ambiente del deserto diGobi alla fine del Cretaceo, tuttavia, eraprobabilmente simile a quello attuale:vallate aperte con dune di sabbia e rupi,scarsamente bagnate da piccoli laghi ocorsi d'acqua a regime torrentizio. Ineffetti, nelle sezioni di roccia si possonoancora osservare le tracce di antiche du-

ne di sabbia. È anche evidente che glianimali vennero sepolti subito dopo laloro morte, prima che i divoratori di ca-rogne o gli elementi avessero il tempodi aggredirli. Strati di arenaria grossola-na che si osservano nelle formazionirocciose del Cretaceo fanno pensare altipo di depositi che possono formarsi inseguito a violente tempeste di sabbia;Tomasz Jerzykiewicz del GeologicalSurvey of Canada a Calgary e colleghihanno studiato alcuni depositi fossilife-ri della Mongolia Interna cinese e han-no scoperto che i fossili di vertebrati so-no spesso racchiusi in simili terreni.Una forte tempesta potrebbe aver ucci-so gli animali in questione, senza limi-tarsi a ricoprire le loro carcasse: sepoltinel giro di qualche ora al massimo, i lo-ro resti stanno ricomparendo quasi in-tatti dopo 80 milioni di anni.

a ricchezza di reperti fossili dellai Mongolia è stata riconosciuta soloin epoca relativamente recente. Alla fi-ne del XIX secolo e nei primi anni delXX, la regione delle Montagne Roccio-se, nel Nordamerica occidentale, eraconsiderata la mecca per la paleontolo-gia dei vertebrati. Poi, nel 1922, RoyChapman Andrews dell'American Mu-

seum of Natural History guidò una spe-dizione, nel cuore del deserto di Gobi,che rivoluzionò la geografia del mondodei fossili. Egli non realizzò mai il suoobiettivo principale - la ricerca di fossilidei primi esseri umani dell'Asia centra-le - ma l'interesse del gruppo di ricercasi concentrò ben presto su una serie dispettacolari scoperte relative a epochepiù antiche. Il Gobi conteneva unostraordinario tesoro di resti di dinosauri,di mammiferi e di altri vertebrati, di ric-chezza ancor oggi insuperata.

Andrews raccontò le sue cinque spe-dizioni in un libro notevole, intitolatoThe New Con quest of Central Asia.L'esotismo e i colpi di scena delle suenarrazioni fanno pensare alle gesta diun Indiana Jones: durante il camminogli esploratori dovettero affrontare di-stese di dune senza traccia di piste, fu-riose tempeste di sabbia e attacchi daparte di banditi. La carovana, compostasia da cammelli sia da autovetture Dod-ge dalle ruote sottili, e quindi inadatte alterreno sabbioso, si rivelò un incubo lo-gistico mentre si estendeva in tutta lasua lunghezza, come l'Algoy horkhihorkhi (il leggendario drago delle sab-bie mongolo), attraverso il paesaggiolunare del Gobi.

Quella che si rivelò una delle scoper-te più importanti nella storia delleesplorazioni scientifiche venne compiu-ta nel bel mezzo di queste difficoltà. Altermine della prima stagione sul campo,nel 1922, la spedizione si perse in unavasta pianura appena a nord dei MontiGurvan Saikhan. Incapace di orientarsi,Andrews fece fermare il gruppo pressouna gher (la tenda a forma di cupola deinomadi dell'Asia centrale, chiamata an-che yurta). Mentre chiedeva informa-zioni alle guardie di frontiera che occu-pavano la gher, il fotografo della spedi-zione, J. B. Shackleford, si avventuròfino a una cresta rocciosa di aspettopiuttosto banale, posta al margine di unprato. Qui scoprì con stupore un pae-saggio fantastico di rupi e pinnacolirossastri, ricco di fossili affioranti.

Nel giro di 10 minuti rinvenne il pri-mo cranio conosciuto di Protoceratops,

un dinosauro dotato di «becco da pap-pagallo» e capo corazzato, da allora di-venuto un fossile guida per il tardo Cre-taceo dell'Asia centrale. Fermatasi pertutto il resto del pomeriggio, la spedi-zione recuperò altre ossa e anche unpiccolo uovo, che venne scambiato perquello di un uccello. Il ritorno sul sitol'estate successiva fruttò una messestraordinaria di scheletri di dinosauri,antichi mammiferi e altri vertebrati, ol-tre al primo gruppo mai scoperto di uo-va di dinosauro. Questi ritrovamenti, esoprattutto quello delle uova, venneropubblicizzati sulla prima pagina deiquotidiani di tutto il mondo; Andrewsbattezzò il sito «rupi fiammeggianti»(Flaming Cliffs), a causa della magnifi-ca tinta rosso-arancione che le falesie diarenaria assumevano al tramonto.

All'inizio degli anni trenta Andrews,scoraggiato dal clima politico dellaMongolia, divenuto più ostile e mute-vole, abbandonò le ricerche. Il Gobi ri-mase inaccessibile all'Occidente per ol-tre 60 anni, e solo gli scienziati delblocco sovietico furono in grado di con-tinuare il lavoro iniziato da Andrews.Fra il 1946 e il 1949, alcune spedizionicongiunte russo-mongole entrarono nelbacino di Nemegt, una regione deserti-ca di grandiosa bellezza la cui difficoltàd'accesso aveva bloccato i tentativi diesplorazione di Andrews, e vi scopriro-no ricchi giacimenti di fossili del Creta-ceo e del Cenozoico.

Zofia Kielan-Jaworowska, notissimaspecialista di fossili di mammiferi cheoggi lavora al Museo paleontologicodell'Università di Oslo, guidò fra il1963 e il 1971 una spedizione estrema-mente preparata e dinamica di studiosipolacchi e mongoli nel Nemegt e in altrezone. Il lavoro di questo gruppo fruttòuna serie di importantissime monografiescientifiche e una magnifica esposizionedi dinosauri e altri vertebrati fossili alMuseo di storia naturale della capitalemongola Ulan-Bator (Ulaanbaatar). Da-gli anni sessanta i paleontologi mongoliconducono ampie ricerche sul campo,sia indipendentemente sia in collabora-zione con colleghi di altri paesi.

Questa falesia di arenaria nella Mongo-lia meridionale divenne celebre all'ini-zio degli anni venti, quando vi furonoscoperte ossa e uova di dinosauri. Set-tant'anni dopo le «rupi fiammeggian-ti», il nome con cui è nota la formazio-ne, continuano a fornire una ricca mes-se di fossili magnificamente conservati.

Gli studiosi occidentali poterono tor-nare in Mongolia dopo i cambiamentipolitici avvenuti nel 1990. Nell'estatedi quell'anno, i nostri colleghi dell'Ac-cademia delle scienze della Mongolia ciinvitarono a compiere una ricognizioneche aprì la strada ad altre quattro spedi-zioni più ambiziose negli anni successi-vi. Nel frattempo diversi altri gruppi in-ternazionali hanno iniziato progetti distudio. Anche se la Mongolia potrebbe,fra non molto, essere sommersa daun'orda di cacciatori di ossa, per il mo-mento ci sentiamo fortunati per esserestati i primi occidentali a poter ripren-dere l'avventura iniziata da Andrews.

Se possibile, il contrasto fra il Gobi e altre zone fossilifere più accessibili

è oggi ancora maggiore che all'epoca diAndrews. Un secolo fa, nel periodoeroico della «caccia ai dinosauri» nelWest americano, gli esploratori trova-vano valli e canyon in cui gli scheletriaffioravano in piena vista, come quellidi caduti su un campo di battaglia; og-gi invece molti importanti giacimentifossiliferi sembrano quasi esauriti. I pa-leontologi attuali guardano con giustifi-cata invidia ai loro predecessori che po-tevano esplorare quel territorio vergine.

Nel loro complesso, le attività di ri-cerca svolte in Mongolia negli ultimi 70anni non si avvicinano neppure lontana-mente a quelle effettuate nel continenteamericano. L'erosione porta tuttora allaluce una ricca messe di fossili anche insiti già scavati con cura da Andrews eda altri paleontologi. Inoltre la stessanatura aspra e inesplorata del Gobi la-scia aperta la possibilità che ci siano an-cora da scoprire molti ricchi giacimentifossiliferi.

I fossili della MongoliaNel deserto di Gobi numerose spedizioni internazionali stanno

portando alla luce alcuni tra i più ricchi e interessanti giacimentidi resti di dinosauri mai scoperti prima d'ora

di Michael J. Novacek, Mark Norell, Malcolm C. McKenna e James Clark

40 LE SCIENZE n. 318, febbraio 1995 LE SCIENZE n. 318, febbraio 1995 41

Questo cranio di oviraptoride adulto è stato rinvenuto a Ukhaa Tolgod nel Gobioccidentale. Gli oviraptoridi dovevano rassomigliare agli attuali struzzi; alcuni esem-plari (forse solo i maschi adulti) possedevano una cresta ossea alla sommità del capo.

Un uovo di oviraptoride (a sinistra) contiene un embrione molto ben conservato.Nello stesso nido è stato ritrovato questo cranio di giovane dromeosauride della fa-miglia dei Veloeiraptor (a destra); non è chiaro come l'intruso sia giunto nel nido.

Un oviraptoride, grosso dinosauro predatore, appare accantoal suo nido, presso il quale giacciono due giovani dromeosau-

ridi (la famiglia di agili carnivori a cui appartiene Velocirap-tor). Gli autori hanno trovato un nido di oviraptoride che

conteneva due crani di dromeosauridi immaturi; può darsiche gli intrusi stessero razziando il nido o che i'ON iraptoride

serv isse da cibo per la prole; è anche possibile che le uova didromeosauride fossero state deposte di nascosto nel nido.

All'inizio della stagione 1993, assie-me al collega Demberelyin Dashzevegdell'Accademia delle scienze della Mon-golia, decidemmo di dirigerci verso ungruppo non particolarmente notevole dirilievi di arenaria rosso-brunastra sul la-to settentrionale della valle di Nemegt,presso la base di una impervia catenamontuosa chiamata Gilbent Uul. Dash-zeveg ci informò che le precedenti spedi-zioni avevano ignorato questa regionenella fretta di raggiungere i rilievi piùspettacolari della parte occidentale dellavalle. Giunti alla nostra meta, avanzam-mo faticosamente per alcuni chilometri

lungo il letto eroso di un torrente e ci ac-campammo infine nel punto in cui il no-stro autocarro si era impiantato nellasabbia.

Il mattino successivo iniziammo aperlustrare le colline e le gole più vicineall'accampamento. Già dopo poche oreera chiaro che ci eravamo imbattuti inuna delle più ricche concentrazioni difossili dell'epoca dei dinosauri che fos-sero mai state scoperte. In un bacino dimeno di due chilometri di diametro tro-vammo decine di scheletri di dinosaurie di nidi completi di uova esposti su lie-vi pendii. Mescolati alle ossa dei dino-

sauri vi erano abbondanti fossili di ver-tebrati più piccoli - sauri e mammiferi -che appartenevano al medesimo ecosi-stema del Cretaceo.

Il nome locale di questo paese dibengodi dei paleontologi è Ukhaa Tol-god («Colline brune»). L'anfiteatro na-turale conteneva un centinaio di schele-tri di dinosauri ben visibili, molti deiquali erano in condizioni quasi perfet-te. Nel corso delle due ultime campa-gne di scavo abbiamo potuto permet-terci di scegliere gli esemplari che ciinteressavano di più; fra di essi vi sonoben 25 scheletri di dinosauri teropodi.Questo sottordine di agili bipedi carni-vori comprendeva forme che vanno da-gli enormi Tyrannosaurus e Allosaurusai rapidissimi dromeosauridi come Ve-lociraptor (il «cattivissimo» di Juras-sic Park, in realtà posteriore di 60 mi-lioni di anni a quanto indica il titolo delfilm) fino ad animali più piccoli similiagli uccelli, come gli oviraptoridi. Ab-biamo raccolto anche una ricchissimacollezione di piccoli vertebrati: oltre200 crani di mammiferi - molti dei qua-li completi di scheletro - e un numeroancora più elevato di crani e scheletridi sauri.

rlome appare evidente dalla varietàdei nostri fossili, il fiorire della vita

terrestre in Asia centrale durante il Cre-tacco non si limitava ai dinosauri. Ot-tanta milioni di anni fa il deserto di Go-bi ospitava una grande varietà di sauri,coccodrilli e mammiferi. Abbiamo tro-vato reperti che rappresentano oltre 30

specie di sauri; alcuni sono estrema-mente ben conservati, e le loro caratte-ristiche anatomiche offrono elementiutili per comprendere i rapporti fra leprincipali famiglie di sauri.

Probabilmente il più spettacolare tra inostri reperti è Estesia. Un mattino,all'inizio della nostra campagna del1990, ci imbattemmo in un perfetto cra-nio lungo una ventina di centimetri edai denti affilatissimi, che sporgeva permetà, come un bassorilievo, da una la-stra verticale di arenaria. All'epocapensammo che appartenesse a un picco-lo dinosauro carnivoro, ma un esamesuccessivo stabilì che si trattava del cra-nio di un grande sauro predatore fino aquel momento sconosciuto, molto simi-le all'attuale varano di Komodo. Neldare un nome a questa nuova specie ab-biamo voluto rendere omaggio al de-funto Richard Estes della San DiegoState University, la massima autoritàmondiale sui sauri fossili.

Estesia è un animale molto primitivoed è quindi importante per la conoscen-za dell'albero genealogico dei varanidi(la famiglia a cui appartiene il varano diKomodo). Il cranio presenta una insoli-ta serie di canalicoli alla base dei denti.i quali fanno pensare che Estesia iniet-tasse veleno nella preda. Quest'arma le-tale non è comune nei varanidi attuali.ma è presente nell'eloderma sospetto,che vive negli Stati Uniti sudoccidentalie nel Messico settentrionale.

Da allora abbiamo scoperto ossa fram-mentarie di Estesia anche in altri siti, do-ve abbondano sauri più piccoli, minusco-

li mammiferi e gusci di uova di dinosau-ro. I varanidi attuali sono notevoli per lavoracità e l'alimentazione molto varia; èprobabile che Estesia mangiasse piccolivertebrati (compresi alcuni dinosauri) eforse anche uova di dinosauro.

Sebbene nel Cretaceo gran parte delGobi fosse nel complesso asciutta, l'ac-qua doveva essere abbondante almenoin alcuni luoghi e in alcune epoche, co-me dimostrano i fossili di tartarughe,animali associati di solito ad ambientiacquatici. (Gusci, scheletri e frammentiossei di tartarughe sono abbondanti nel-le formazioni del Cretaceo dell'Ameri-

ca Settentrionale, dove la documenta-zione geologica indica un antico am-biente di delta fluviale con stagni e di-stese fangose.) In una zona di variopinticalanchi a ovest della valle di Nemegt,una piccola depressione più o menodelle dimensioni di uno stagno contene-va gusci e parti dello scheletro di oltre50 individui, che rappresentavano duegeneri di tartarughe.

Acuni dei tesori più preziosi del Go-bi possono sfuggire allo sguardo

quando si osservano i pendii e le gole:si tratta dei minuscoli crani e scheletri

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LE SCIENZE n. 318, febbraio 1995 43

MONGOLIA ULAN-BATOR

ERLIAN

\_

KHERMEEN •\ RUPI

FIAMMEGGIANTTSAV

TUGRUGEENSHIREH

DESERTO DI GOB1

SPEDIZIONIMONGOLO-AMERICANAROY CHAPMAN ANDREWS

cm MONGOLO-POLACCAITALO-FRANCO-MONGOLA

CINA

ARBAYHEERE

Roy Chapman Andrews (a sinistra) guidò nel 1922 la primaspedizione alla ricerca di fossili nel deserto di Gobi. La caro-

vana, che comprendeva cammelli e autoveicoli, si perse in pa-recchie occasioni; fu proprio a uno di questi episodi che si de-

ve la scoperta casuale delle «rupi fiammeggianti». Le spedi-zioni moderne (al centro) possono avvalersi dell'aiuto di sa-

telliti. Sebbene siano stati già scoperti molti ricchi giacimentifossiliferi, gran parte del deserto di Gobi resta inesplorata.

di mammiferi. Questi fossili rappresen-tano importanti precursori della grandediffusione dei mammiferi che fece se-guito all'estinzione dei dinosauri alla fi-ne del Mesozoico.

Buona parte delle conoscenze scien-tifiche su questi primi mammiferi pro-viene dai fossili nordamericani, che silimitano per lo più a mandibole fram-mentarie e denti. In realtà non possedia-mo quasi alcun cranio completo dimammifero del Cretaceo rinvenuto inAmerica Settentrionale. Di conseguen-za i reperti del Gobi, portati alla luce siada noi sia da altre spedizioni, rappre-sentano certamente la documentazionedi riferimento a livello mondiale per imammiferi del tardo Cretaceo.

In un piccolo blocco di roccia rinve-nuto nel 1994 a Ukhaa Tolgod eranocontenuti sei mammiferi placentati si-mili a toporagni, ciascuno dei quali èlungo una decina di centimetri. La cosasorprendente è che i fossili sono costi-tuiti da crani completi associati ai rela-tivi scheletri; ossa così minuscole sonodi solito molto vulnerabili alla disarti-colazione e alla rottura. Gli animalettivennero con ogni probabilità sepolti, equindi conservati, quasi subito dopo laloro morte.

I mammiferi che abbiamo trovato sidistinguono fondamentalmente in duegruppi. Il primo è quello dei multituber-colati, uno strano gruppo di animali conlunghi incisivi e molari dotati di unacomplessa serie di cuspidi (tubercoli)sulla corona. I reperti del Cretaceo ri-trovati in Mongolia costituiscono digran lunga la miglior collezione di ma-teriale scheletrico oggi disponibile, una

collezione che consente di esaminare irapporti di questo gruppo con altre lineeevolutive di mammiferi.

I multitubercolati possono essereconsiderati come i roditori della loroepoca, anche se in realtà la loro affinitàcon i mammiferi attuali non può dirsimolto stretta. Gli adattamenti simili aquelli dei roditori indicano una evolu-zione convergente con quella dei ratti,dei topi e degli scoiattoli che ci sono fa-miliari. I multitubercolati prosperarononei primi milioni di anni del Terziario,dopo l'estinzione dei dinosauri; in se-guito si ridussero di numero fino ascomparire, rimpiazzati da gruppi evo-lutisi più recentemente e dal comporta-mento analogo.

Il secondo gruppo è quello dei teri,antenati sia dei marsupiali sia dei pla-centati attuali. I teri primitivi da noi ri-trovati comprendono cinque o sei formesimili a toporagni i cui caratteri offronoindicazioni preziose riguardo all'origi-ne dei membri più tardi del gruppo. Ifossili del genere Deltatheridium, peresempio, sembrano intermedi fra mar-supiali e placentati.

Altre specie gettano luce sulle primeforme di mammiferi placentati. Le spe-cie attuali hanno al più quattro premola-ri per lato, ma certi esemplari di placen-tati provenienti dalla Mongolia, comealcuni individui immaturi del genereKennalestes, ne presentano almeno cin-que. Un altro gruppo, Zalambdalestes, èinteressante perché possiede incisivi si-mili a quelli dei lagomorfi o dei rodito-ri, e uno scheletro adattato alla corsa eal salto, pure a somiglianza degli attualilagomorfi. I paleontologi discutono se

Zalambdalestes possa essere considera-to un antenato primitivo dei lagomorfi osemplicemente un esempio di evoluzio-ne convergente.

Uno dei nostri ritrovamenti più spet-tacolari è il cranio di Zalambdalestesmeglio conservato che sia mai statoscoperto. In collaborazione con Timo-thy Rowe dell'Università del Texas, loabbiamo esaminato tramite scansionetomografica computerizzata ad altissi-ma risoluzione. Le immagini tridimen-sionali a raggi X ci hanno permesso diricostruire l'andamento delle arterie,delle vene e persino dei nervi. E statacosì confermata un'ipotesi emessa inprecedenza dalla Kielan-Jaworowska:le arterie carotidi, i principali vasi chetrasportano il sangue al cervello eall'occhio, entravano nel cranio lungola linea mediana anziché ai lati, comeavviene nella maggior parte dei mam-miferi attuali.

Mammiferi, sauri e altri vertebrati so-no fondamentali per ricostruire l'anticoambiente del Gobi e per individuare le li-nee principali dell'evoluzione; ma per ilpubblico non specializzato i dinosaurisono sempre gli attori principali. Il de-serto di Gobi è senza dubbio uno deimaggiori giacimenti di ossa di dinosauriin tutto il mondo. I fossili vanno da sche-letri completi di Tarbosaurus, un carni-voro predatore strettamente imparentatocon il nordamericano Tyrannosaurus, asauropodi giganti, dinosauri a beccod'anatra, anchilosauri corazzati, protoce-ratopidi dall'ampio «collare» come Pro-toceratops e una magnifica serie di car-nivori più piccoli. Gli oviraptoridi similia uccelli e i dromeosauridi come Veloci-

raptor sono meglio rappresentati nellerocce stratificate del Gobi che in qualsia-si altro luogo al mondo.

Questi reperti hanno dato origine acontroversie, ma hanno anche permessodi raggiungere conclusioni definitive.Capita spesso di vedere illustrazioni diVelociraptor che cacciano in branchi,per esempio, ma non vi è alcuna provacerta che questo dinosauro fosse capacedi un simile comportamento cooperati-vo. Il fatto che Protoceratops fosse lasua preda preferita, tuttavia, è più cheuna speculazione. Alla fine degli annisessanta un gruppo di scienziati polac-chi e mongoli scavò a Tugrugeen - unascarpata di arenaria bianca che si trovaun'ottantina di chilometri a ovest delle«rupi fiammeggianti» - una delle cop-pie più notevoli della storia della pa-leontologia. Due scheletri quasi com-pleti - un Protoceratops e un Velocirap-tor - appaiono avvinti in un combatti-mento mortale. Velociraptor stringe di-speratamente con gli arti anteriori la te-sta china di Protoceratops e solleva iterribili artigli a uncino degli arti poste-riori verso i fianchi della preda. I «dino-sauri combattenti», che trovarono forsela morte insieme in una tempesta disabbia, sono uno dei gioielli del Museodi storia naturale di Ulan-Bator.

Gli scheletri di Velociraptor affasci-nano non solo perché evocano l'imma-gine di predatori intelligenti, rapidi eterrificanti, ma anche perché possonoilluminare le connessioni evolutive frauccelli e dinosauri. Velociraptor e i suoiaffini hanno parecchie caratteristicheanaloghe a quelle degli uccelli, fra cuila struttura della scatola cranica e quella

delle dita e degli arti molto allungati.Uno scheletro quasi integro di Veloci-raptor portato in luce nel 1991 a Tugru-geen ha la scatola cranica più completafra tutti gli esemplari scoperti finora; idettagli dell'architettura cranica sonosorprendentemente simili a quelli degliuccelli attuali.

Un'inattesa scoperta compiuta nel1992 a Tugrugeen permise di approfon-dire la connessione fra dinosauri e uc-celli. In questo sito trovammo un esilescheletro che, a parte le dimensioni piùpiccole, era identico a un esemplarescoperto qualche anno prima da scien-ziati mongoli. Questo animale, più omeno della taglia di un tacchino, ha unastruttura notevolmente gracile e lunghiarti; inoltre la carena dello sterno è mol-to ben sviluppata. Negli uccelli attuali iforti muscoli pettorali che permettono ilvolo battuto si inseriscono appunto nel-la carena. Tuttavia il nostro fossile nonpossiede lunghe ossa alari, ma arti ante-riori tozzi e massicci che fanno pensa-re a quelli di una talpa. L'estremitàdell'arto è munita di un singolo artigliomolto grande; il nome scientifico datoall'animale è dunque Mononykus, cheletteralmente significa «un solo arti-glio». (Originariamente era stato propo-sto il più corretto Mononychus, ma ven-ne fatto notare che era già stato attribui-to a un coleottero.)

Mononykus è un animale alquantobizzarro. Sebbene non possieda ali, al-cune sue caratteristiche sembrano avvi-cinarlo agli uccelli attuali persino piùche non il famoso Archaeoptetyx. Oltreallo sterno dotato di carena, queste ca-ratteristiche includono un antitrocantere

(piccola protrusione pelvica in corri-spondenza dell'articolazione dell'ancache serve come punto di inserzione mu-scolare), una cresta femorale continuaper l'inserzione dei muscoli dell'arto eun perone notevolmente accorciato.Un'analisi dettagliata di Mononykuspermette di supporre che esso fosse unparente, incapace di volare, degli uccel-li attuali.

Questa argomentazione ha attratto al-cune critiche. Secondo certi specialistiMononykus sarebbe semplicemente unpiccolo dinosauro le cui caratteristicheda uccello rappresenterebbero un casodi evoluzione convergente. La docu-mentazione disponibile, tuttavia, nonfavorisce l'ipotesi della convergenza.Nella storia degli uccelli sono già notediverse specie (come struzzi, emù ekiwi) che hanno perduto la capacità divolare. I nostri fossili di Mononykusnon mostrano traccia di penne, ma è so-lo grazie a circostanze quasi miracoloseche il finissimo calcare litografico cheracchiude i fossili di Archaeopteryx haconservato le impronte delle penne.Mononykus, come la grande maggio-ranza dei fossili, non ha beneficiato dicondizioni così particolari.

Abbiamo rinvenuto resti di questoanimale in diverse località. Fra i nume-rosi scheletri recentemente recuperati aUkhaa Tolgod vi è un esemplare quasiintegro che include per la prima voltaanche un cranio ben conservato. Ben-ché le fasi di liberazione dalla roccia in-cassante e di preparazione in laborato-rio non siano ancora terminate, sembrache il fossile presenti una testa allunga-ta. Ciò che si vede è molto diverso dalle

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I dinosauri e i mammiferi fossili del Gobi sono notevolmente ben conservati. Que-sto troodontide recentemente scoperto (fotografia del cranio, a grandezza naturale,e disegno a sinistra) era un piccolo carnivoro strettamente correlato agli uccelli.Non ha ancora ricevuto una denominazione ufficiale. Lo scheletro di multituberco-

lato nelle fotografie al centro e, ruotato, a destra è quasi intatto, anche se alcunedelle ossa hanno uno spessore di appena mezzo millimetro; il cranio è lungo circa2,5 centimetri. I multitubercolati (disegno a destra), riconoscibili dai numerosi tu-bercoli sulle corone dentarie, erano piccoli mammiferi simili ai roditori attuali.

ricostruzioni precedenti, che erano stateeseguite a partire da limitati frammentidella scatola cranica. Le nuove infor-mazioni fornite da questo cranio rivesti-ranno senza dubbio un'importanza cru-ciale nel dibattito su Mononykus e sullaconnessione fra dinosauri e uccelli.

T e uova di dinosauri e di uccelli, ritro-vate in molte zone del deserto di

Gobi, aggiungono un'altra dimensionealla documentazione fossile. Alcune diesse contengono minuscoli embrioni del-l'uccello Gobiptelyx, mentre in altre so-no conservati i resti scheletrici di em-brioni di dinosauro. In certi luoghi, pa-recchi nidi si concentrano sul fianco diuna collina; ne abbiamo dedotto che essiindividuavano siti di congregazione per idinosauri, proprio come accade oggi perle colonie di uccelli marini.

A Tugrugeen Shireh abbiamo trovato12 scheletri disarticolati di Protocera-tops su un ripiano delle dimensioni diun'aiuola. Anche il gruppo sino-cana-dese ha riferito di aver scoperto similiaccumuli di ossa di Protoceratops nellerocce riferibili al Cretaceo della Cinasettentrionale.

I resti di Protoceratops comprendo-no esemplari in diversi stadi della cre-scita e ci forniscono così elementi pre-ziosi su questo aspetto in gran partesconosciuto della biologia dei dinosau-ri. Gli adulti, misuravano tipicamentedue metri di lunghezza; nel 1994 il no-stro gruppo ha però rinvenuto alcuniesemplari di Protoceratops che non ar-rivavano a nove centimetri. Evidente-mente questi scheletri appartenevano aindividui molto giovani, forse neonati.

Via via che si compiono simili sco-

perte, tuttavia, il quadro che emergesulla vita dei dinosauri diventa piùcomplesso. Dato che Protoceratops è ilpiù comune "fossile di dinosauro dellaregione, i paleontologi hanno general-mente supposto che i molti gruppi diuova e frammenti di gusci ritrovatipresso le «rupi fiammeggianti» e altro-ve appartengano a esso. Tuttavia questasupposizione non è stata dimostrata inmaniera soddisfacente. Nessuno dellecentinaia delle uova di dinosauro rac-colte finora contiene embrioni di Proto-ceratops chiaramente identificabili. An-che i minuscoli crani che abbiamo re-centemente scoperto non possono esse-re correlati con certezza a un uovo di ti-po particolare.

Un nuovo ritrovamento compiuto aUkhaa Tolgod fa pensare che l'ipotesitradizionale potrebbe essere errata.L'esame di un gruppo di uova conte-nenti embrioni di dinosauro che abbia-mo rinvenuto nel nostro primo giornodi scavo ha rivelato che un uovo oblun-go e un po' grinzoso generalmente attri-buito a Protoceratops aveva al propriointerno uno scheletro di oviraptoridequasi intatto. Sembra probabile chemolte delle uova portate alla luce aUlchaa Tolgod (e forse anche altrove)appartengano a questi piccoli carnivorianziché agli erbivori Protoceratops, do-tati di becco da pappagallo.

Il «nido» di Ukhaa Tolgod contenevaanche altri fossili di grande interesse.Due minuscoli crani di un dromeosauri-de (forse Velociraptor) sono stati rinve-nuti in mezzo al gruppo di uova; alleossa erano associati frammenti di gu-scio d'uovo di oviraptoride. La stranaconcomitanza delle uova, di un embrio-ne di oviraptoride e di due dromeosau-ridi molto giovani o neonati può avereparecchie spiegazioni tutte altrettantoplausibili.

Forse i giovani dromeosauridi stava-no imparando l'arte della caccia raz-ziando i nidi di altri dinosauri; in alter-nativa, l'oviraptoride genitore potrebbeaverli portati come cibo alla sua prole.Può anche darsi che i dromeosaurididepositassero le uova nei nidi di ovi-raptoride allo stesso modo in cui oggi ilcuculo usa deporre le proprie uova neinidi di altri uccelli. Sebbene non siapossibile risolvere il mistero, questifossili testimoniano, per i dinosauri te-ropodi, modi di vita e comportamentilegati alla nidificazione che finora nonavevano alcun riscontro nei precedentirinvenimenti paleontologici.

Questa scoperta getta anche una luceironica su un episodio della storia dellaclassificazione scientifica. I membridella spedizione guidata da Andrewsdiedero il nome Oviraptor a uno schele-tro che era stato da loro ritrovato sopraun gruppo di uova, supponendo chequeste appartenessero al comune Proto-ceratops e che Oviraptor (che significaletteralmente «predatore di uova») stes-se razziando il nido. La nostra scopertadimostra che forse Oviraptor stava co-vando le uova, e non divorandole. Il no-me Oviraptor sarà in ogni caso mante-nuto in ossequio alle regole della tasso-nomia ma, date queste conclusioni, nonpotrà dirsi di certo appropriato.

T siti di nidificazione e gli scheletri diI uccelli, dinosauri, mammiferi e altrivertebrati compongono nell'insieme unquadro assai dettagliato della vita nelGobi durante il tardo Cretaceo. La do-cumentazione ottenuta grazie alle spe-dizioni dell'Accademia delle scienzedella Mongolia e dell'American Mu-seum of Natural History è stata raccoltapercorrendo migliaia di chilometri at-traverso un'ampia fascia del deserto an-ziché concentrandosi per un periodo

prolungato su un numero ridotto di siti.Oltre ad aumentare la possibilità di tro-vare nuovi siti fossiliferi, questo meto-do permette di farsi un'idea più accura-ta della successione stratigrafica tramiteil confronto degli strati fossiliferi inun'ampia area. In questo modo possia-mo tentare di determinare se le associa-zioni di fossili e sedimenti che rappre-sentano un particolare ambiente e inter-vallo di tempo siano diffuse oppureconfinate a zone isolate.

Per esempio, si è finora generalmen-te ritenuto che la comunità di fossilidella Formazione di Djadokhta (un af-fioramento di arenarie dal colore rossobrillante situato nel Gobi centrale) sialeggermente più antica di quella dellaFormazione di Barun Goyot (che pren-de il nome da un antico insediamentonella valle di Nemegt), nel Nemegt oc-cidentale. Sia i nuovi ritrovamenti aUkhaa Tolgod sia la nostra ricognizio-ne più ampia, tuttavia, indicano che ledue formazioni racchiudono una faunacoeva e pressoché identica. Abbiamomesso in luce un'estensione di questacomunità nei magnifici banchi rossi evermigli di Kherrneen Tsav, un gruppoisolato di calanchi nell'arido deserto aovest della regione di Nemegt che ram-menta da vicino le zone ricche dicanyon dello Utah meridionale.

Abbiamo anche rinvenuto fossili del-la comunità di Djadokhta, fra cui l'or-mai familiare Protoceratops, in un'areachiamata Khugene Tsavkhlant, pressola linea ferroviaria orientale. Questascoperta è particolarmente significativaperché le arenarie del sito sembrano es-sere state depositate dall'azione di uncorso d'acqua, una situazione più tipicadei siti nordamericani che non del Gobi.A poco a poco, sta diventando semprepiù chiaro che la comunità animale cheun tempo si pensava fosse localizzata

intorno alle «rupi fiammeggianti» occu-pava invece una gamma piuttosto am-pia di ambienti.

La grande separazione geografica,tuttavia, ostacola il confronto fra loca-lità fossilifere; un altro inconveniente èche le sequenze stratigrafiche del Gobisono interamente sedimentarie, senzaalcuna traccia di rocce vulcaniche. Èquindi impossibile determinare l'età diquesti strati analizzando i rapporti degliisotopi radioattivi. Le stime dell'etàdelle varie formazioni devono basarsisulla somiglianza dei vertebrati in essecontenuti con le faune di riferimento dialtri continenti e sulle correlazioni con ifossili di invertebrati presenti nelle roc-ce marine del Cretaceo dell'Asia cen-trale e orientale.

Abbiamo raccolto campioni di se-quenze di rocce rappresentative nellasperanza di ottenere significativi datipaleomagnetici, ma non disponiamo an-cora dei risultati di laboratorio. Se siriesce a determinare l'orientazione delcampo magnetico terrestre «congelata»nelle rocce e nei minerali al momentodella loro deposizione, la si può poiconfrontare con la cronologia nota delleinversioni del campo magnetico. I datipaleomagnetici costituirebbero quindiuna fonte del tutto indipendente per ot-tenere una stima per l'età delle roccedel Gobi.

Un'altra circostanza dal sapore quasiironico è che nella documentazione deldeserto di Gobi sembrano mancare pro-prio quegli strati che attualmente attrag-gono di più l'attenzione del pubblico:nessuna sequenza stratigrafica finora ri-trovata comprende il limite Cretaceo-Terziario, l'epoca dell'estinzione deidinosauri. Sebbene il Gobi possieda ric-che faune di mammiferi dell'inizio delTerziario, vi è una separazione di alme-no alcuni milioni di anni fra queste e le

faune di dinosauri del Cretaceo. Qualeche sia stato il cataclisma che spazzòvia i dinosauri (e molte altre specie al-lora viventi), sembra non ne sia rimastaalcuna traccia nell'Asia centrale. Se inqualche luogo, nella vastità del deserto,si riuscisse a trovare una sequenza stra-tigrafica continua, il contributo alle no-stre conoscenze sull'estinzione dei di-nosauri e sulla successiva affermazionedei mammiferi sarebbe senza dubbio digrande importanza.

L'idea di poter individuare il limiteCretaceo-Terziario nel Gobi è qualcosadi più di un pio desiderio. L'impiegodei satelliti ha già enormemente facili-tato il nostro lavoro, consentendoci dirilevare la posizione esatta dei siti fossi-liferi e delle strade che vi conducono.Abbiamo anche utilizzato immagini ot-tenute dai satelliti LANDSAT e SPOTcome strumenti di prospezione. Dopo ilnostro ritorno da Ukhaa Tolgod nel1993, Evan Smith dello Yale UniversityCenter for Earth Observation ha elabo-rato al calcolatore le immagini da satel-lite evidenziando le regioni spettrali checorrispondono ai colori delle rocce pre-senti nei siti fossiliferi. Il risultato è unacarta che mostra con grande precisionel'estensione e l'andamento degli stratiricchi di fossili.

Durante la stagione di ricerca 1994abbiamo utilizzato queste immagini co-me guida, puntando semplicemente ver-so le coordinate di un raggruppamentodi pixel rossi che sembrava prometten-te. Alcuni dei siti così individuati si so-no rivelati interessanti. I satelliti el'informatica ci hanno dunque fornitoun utile atlante paleontologico per unaregione pressoché priva di carte topo-

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era (Cretaceo superiore) di Bajan Dzag e il cui giacimento è altrettanto cele-bre perché ha restituito i più interessanti scheletri di dinosauri e, soprattutto, ilgruppo fossile del famoso combattimento fra Velociraptor e protoceratopo.

Qui la sabbia è bianca, accecante sotto il riverbero del sole e il plateau èsegnato da una immensa falesia sul cui fianco si scoprirono numerosi fossilifra cui un cranio di protoceratopo, splendidamente fossilizzato. Era dispostoverticalmente su un costone di sabbia appena consolidata e di conseguenzafu molto facile liberarne il cranio e l'impalcatura delle corna.

Il muso perfettamente conservato, con il becco di pappagallo, l'orbita sor-montata da un piccolo osso fragile, chiamato «palpebrale», i denti quasi in-tatti, la mandibola ancora in articolazione stanno a testimoniare che l'anima-le doveva essere sprofondato lentamente nelle sabbie mobili che, consoli-dandosi, l'hanno ricoperto fino a oggi. Questo rettile, quasi completo, sem-brava guardarci ancora, muto testimone di un dramma consumatosi più di

70 milioni di anni fa. Dopo questescoperte il viaggio proseguì per ol-tre 1500 chilometri verso sud-ovest,

Queste fotografie si riferiscono alla spe- attraverso catene di montagne, suc-dizione italo-franco-mongola del 1991. A cessioni di dune, sfilate di rocce, ar-lato: il ritrovamento di un tarbosauro rivando infine alla celebre valle dinel bacino del Nemegt. Qui sotto: un un- Nemegt dove gli scienziati russi, pri-ghia dello stesso animale. In basso a sini- ma, e quelli polacchi e mongoli, poi,stra: scienziati mongoli scoprono sulle avevano raccolto una grande quan-colline di Teigrit, nel Gobi, il cranio di tità di fossili.Protoceratops andrewsL In basso a de- L'erosione ne porta alla luce in-stra: il ritrovamento di un cranio perfet- cessantemente di nuovi ed è faciletamente conservato dello stesso animale. trovare resti di ornitomimidi e di tar-

bosauri. Ai piedi della collina, dentroun canyon desolato e selvaggio,comparvero i resti di scheletri di tar-bosauri; uno comprendeva, in per-fetta articolazione, tutte le vertebredella coda, le ossa del bacino e del-le zampe posteriori e gli artigli; perfi-no l'impronta della pelle di questoimpressionante rettile emerse daisedimenti fossili.

La missione si inoltrò poi verso ilpiù remoto ovest visitando i giaci-menti di Beigyin Tsav. Automezzi euomini attraversarono questa im-mensa conca, un deserto lunarebruciato da un sole torrido dovel'erosione provocata dal vento disabbia ha portato alla luce scheletricompleti di tarbosauri. Ci apparveun vero cimitero di dinosauri carni-vori i cui resti, disarticolati sulla sab-bia nella convulsione finale, compo-nevano scenari irreali.

Tra le molte sorprese che ci han-no riservato gli strati geologici diquesto remoto paese abbiamo so-prattutto apprezzato i rarissimi cra-ni, piccoli come noci e muniti di den-ti che sembrano punte di spillo, ap-partenenti a quei mammiferi primiti-vi che, durante il regno dei dinosau-ri, non si erano evoluti in attesa ditempi migliori.

Il momento per questi mammiferiarrivò proprio alla fine del Cretaceo,con l'estinzione in massa dei dino-sauri provocata da un misteriosocollasso ecologico. Prese così il viala diversificazione di questi minu-scoli mammiferi che occuparonotutte le nicchie del nostro pianetaevolvendosi in milioni di anni, fino adare origine a un bipede chiamatouomo. (Giancarlo Ligabue)

La spedizione italo-franco-mongola del 1991

Aseguito di una missione esplorativa effettuata nel 1990,che aveva permesso di predisporre il viaggio e indivi-

duare i siti fossiliferi, nel luglio del 1991 partì da Ulan-Batoruna missione composta da studiosi del Centro Studi Ricer-che Ligabue di Venezia, del Museum National d'HistoireNaturelle di Parigi e del Museo di storia naturale locale;obiettivo: studiare i principali giacimenti paleontologici delCretaceo della Mongolia.

Predisposti quattro camion e acquistati i viveri, l'équipe,composta da diciassette persone tra cui Philippe Taquet,direttore del laboratorio di paleontologia del museo parigi-no, Donald Russell, paleomammalologo, Rinchen Bars-bold del Servizio geologico dellaMongolia, Khishigjav Tsogtbaatar,paleontologo del Museo nazionaledi Ulan-Bator, e da chi scrive, iniziòla sua marcia verso il sud per unviaggio di oltre 3000 chilometri. Imezzi contenevano materiali tecnici,viveri e acqua previsti per un viag-gio di oltre un mese in un desertoimpossibile e in condizioni climati-che e ambientali estreme. Il giaci-mento del Cretaceo inferiore di Khu-ren Duk, prima tappa di questo lun-go percorso, restituì le ossa di orni-tomimidi primitivi, di pesci, di unaspecie di tartaruga, di due specie dicamposauri (rettili acquatici), di unanchilosauro e di un iguanodontide.

La spedizione portò anche alla lu-ce, nel corso di uno scavo, resti mol-to ben conservati di lguanodonorientalis; ne venne liberato un brac-cio quasi completo i cui differentielementi erano ancora in articolazio-ne e furono raccolti una mano com-pleta e i metacarpali con falangi eartigli.

Il campo fu installato più a sud,non lontano dai giacimenti del Cre-taceo inferiore di Algui Ulan Tsavche presentavano la particolarità diracchiudere numerosi nidi e deposi-zioni di uova di dinosauri sauropodi.

In un paesaggio di colline profon-damente segnate dall'erosione edalla calura torrida (oltre 43 gradiCelsius), vennero ritrovati, racchiusinella couche rossastra, parecchi ni-di, in uno dei quali vi erano sei uovadi sauropode molto ben conservate,i cui gusci pietrificati erano scivolatilungo il pendio come bocce; altre 17uova raggruppate vennero scopertedagli scienziati mongoli.

Dopo la prospezione e lo studio diqueste due località, l'équipe si dires-se ancora più a sud, fino al capoluo-go di Dalandzadgad. Poi, spostan-dosi verso occidente, giunse ai piedidella famosa falesia di Bajan Dzag,la formazione battezzata «rupi fiam-meggianti» dalla prima spedizioneamericana del 1922.

Una denominazione molto appro-priata; infatti alla luce del tramonto,mentre la falesia si infiammava, inuno scenario da western, gli studiosi

si misero alla ricerca di esemplari fossili di piccoli mammi-feri primitivi, coevi dei dinosauri.

Il successo giunse dopo alcune ore; i paleontologi, infat-ti, raccolsero due minuscoli crani completi di mammiferimultitubercolati, uno appartenente al genere Klyptobaatare l'altro al genere Sloanbaatar.

Vennero scoperti anche numerosi crani e scheletri diprotoceratopi ancora inglobati nell'arenaria, oltre a resti diuna nuova specie di ornitomimidi primitivi.

Lasciata questa località ricca di fossili e di suggestione,la spedizione riprese il cammino dirigendosi verso occiden-te, fino all'altopiano di Togrog che appartiene alla stessa

grafiche e geologiche dettagliate. Pos-sediamo inoltre uno strumento che - pa-radossalmente - avrebbe potuto impedi-re ad Andrews di fare la sua scopertapiù importante: una discreta carta stra-dale del Gobi.

Nonostante l'avvento delle nuove tec-nologie e i decenni di scoperte dei pa-leontologi sull'evoluzione dei vertebrati,l'esplorazione del deserto di Gobi hamantenuto ancora oggi lo stesso caratte-re avventuroso che Andrews e i suoi col-leghi sperimentarono quasi 70 anni fa.Le «rupi fiammeggianti» che ci trovam-mo di fronte nel 1990 erano proprio co-me Andrews le aveva descritte: impo-nenti, di colore rosso brillante ed estre-mamente ricche di fossili. Nei pressi vierano gher simili a quelli dove l'esplora-tore chiese informazioni nel giorno dellasua grande scoperta. E le tempeste disabbia che quasi avevano sommerso lespedizioni degli anni venti hanno portatoscompiglio anche nei nostri più moderni,ma pur sempre precari accampamenti.

Quando l'aria è limpida, dalla som-mità delle rupi si vede la linea violacea etormentata dei Monti Gurvan Saikhan; aldi là di essi si estendono centinaia di chi-lometri quadrati di calanchi ricchi di fos-sili, la cui esistenza Andrews poteva soloimmaginare. Il Gobi è - e sarà ancora permolto tempo - una immensa zona sel-vaggia; e senza dubbio continuerà a cu-stodire gelosamente molti segreti sul-l'ascesa e sulla caduta dei dinosauri e dialtri imperi succedutisi nel corso dellastoria della vita.

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Foto e testo di K5ji Nakamura

Fin dai tempi più remoti l'uomo

ha apprezzato le conchiglie deimolluschi marini usandole come or-namento, come moneta di scambio,come strumento musicale, come og-getto da collezione e persino per ri-cavarne coloranti come la famosaporpora ottenuta da Murex.

Ai nostri giorni si è aggiunta lapossibilità di compiere immersionisubacquee che consentono di osser-vare e di fissare in immagini i mol-luschi marini nel loro ambiente divita dove i colori e i motivi orna-mentali delle conchiglie appaionoancora più smaglianti.

Ma alla bellezza esteriore si ac-compagna spesso un'ingordigia chefa di questi animali dei temibili di-struttori di edifici corallini.

Nelle fotografie di questa paginasi vede, per esempio, un gasteropodedel genere Volva, diffuso negli ocea-ni Indiano e Pacifico, che sta «bru-cando» i teneri tentacoli dei minu-scoli polipi chiaramente visibili neirami di gorgonia, un corallo corneomolto diffuso nelle acque calde deimari tropicali. Come si vede osser-vando la fotografia in basso, l'uni-ca, e a dire il vero poco efficace,strategia di difesa adottata dai poli-pi è quella di ritirarsi all'interno del-le cavità distribuite lungo l'asse del-la colonia.

Nella fotografia della pagina afronte si possono invece osservaredue esemplari di una specie apparte-nente allo stesso genere, ma caratte-ristica delle Filippine. Le due Volvastanno deponendo le uova sulla strut-tura scheletrica di una gorgonia do-po averne asportato il rivestimento e-sterno nonché, naturalmente, i polipiche l'hanno edificata.

A destrafocale: 55 mmdiaframma: 8

esposizione: 1/80 di secondopellicola: ISO = 25

Un ingordo di bell'aspetto

PRIMO PIANO

Qui soprafocale: 55 mmdiaframma: 8esposizione: 1/80 di secondopellicola: ISO — 25

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