I CONSIGLI DI AMMINISTRAZIONE DELLE SOCIETÀ PER … · Alcune fattispecie patologiche dagli anni...

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Università degli Studi Dipartimento di di Brescia Economia Aziendale Dicembre 2011 Paper numero 122 Arnaldo CANZIANI I CONSIGLI DI AMMINISTRAZIONE DELLE SOCIETÀ PER AZIONI FRA MITOLOGIE ROMANTICHE E PATOLOGIE SEMPITERNE

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Università degli Studi Dipartimento didi Brescia Economia Aziendale

Dicembre 2011

Paper numero 122

Arnaldo CANZIANI

I CONSIGLI DI AMMINISTRAZIONEDELLE SOCIETÀ PER AZIONI

FRA MITOLOGIE ROMANTICHEE PATOLOGIE SEMPITERNE

Università degli Studi di BresciaDipartimento di Economia AziendaleContrada Santa Chiara, 50 - 25122 Bresciatel. 030.2988.551-552-553-554 - fax 030.295814e-mail: [email protected]

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I CONSIGLI DI AMMINISTRAZIONE

DELLE SOCIETÀ PER AZIONI

FRA MITOLOGIE ROMANTICHE

E PATOLOGIE SEMPITERNE

di Arnaldo CANZIANI

Università degli Studi di Brescia

Il saggio che segue costituisce la versione organica

della relazione al Convegno

Ruolo, composizione e funzionamento del Consiglio di Amministrazione,

XVI Seminario di Studio, Bressanone, 15-16 settembre 2011

L'autore ringrazia la Biblioteca "Umberto Balestrazzi" e l'Istituto Gramsci di Parma

per la riproduzione generosa di materiale d'archivio, nonché per il permesso di pubblicarne

alcune sezioni nel §. 3

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Indice

Prefazione ....................................................................................................... 1

1. Introduzione ............................................................................................... 5

2. I consigli di amministrazione tra utilità e futilità,

i.e. operanti o ratificativi ............................................................................ 7

2.1. La fisiologia silenziosamente operante ............................................... 7

2.2. La deprivazione decisionale, alias patologia ratificativa .................... 8

2.3. L'ampiezza delle deleghe e il formalismo ratificativo ..................... 10

3. Alcune fattispecie patologiche dagli anni Trenta del secolo XX

alla Prima Repubblica .............................................................................. 12

3.1. Premessa ............................................................................................ 12

3.2. Lo svolgimento dei consigli di amministrazione

in due Banche di Interesse Nazionale ................................................ 12

3.2.1. La banca A ............................................................................. 12 3.2.2. La banca B ............................................................................. 16

4. Altre fattispecie degli anni Novanta del secolo XX ................................. 17

4.1.Premessa ............................................................................................. 17

4.2. Il caso Parmalat ................................................................................. 17

4.3. Il caso Telecom-Serbia ...................................................................... 22

4.4. I prodotti finanziarî strutturati della banca A, 1992 .......................... 29

4.5. Le operazioni in titoli della Banca E, 1998-2000 ............................. 31

5. Vertici tiranni, consiglieri asserviti:

la gestione strategica e organizzativa nei gruppi di società

e i "conigli di amministrazione" delle controllate .................................... 33

6. Conclusioni .............................................................................................. 36

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<videbis, fili mi,

quā pauca sapientiā

regitur mundus>

(Gabriel THURESON

conte di OXENSTIRN)1

1 Gli OXENSTIERN(A) furono una fra le più illustri famiglie di Svezia, consiglieri

della Corona sino dal secolo XIV, poi Reggenti nel secolo XV, Cancellieri del Regno e

Ministri degli Esteri nel XVII, fino a Johan Gabriel conte di Corsholm e Wasa (1750-1818),

poeta di Corte sotto Gustavo III.

L'esergo è invece dovuto a un componente storicamente minore ma più rilevante nella

storia della letteratura (e della pietà cristiana): militare, diplomatico, Governatore sotto

Carlo II, finisce successivamente in miseria ma, da ex-libertino e festaiolo poi convertito al

cattolicesimo, raccoglie queste riflessioni morali pubblicate già lui vivente (cfr. in generale

Enciclopedia Biografica Universale, Roma, Treccani, vol. XIV, pp. 549-550, e sul Nostro

il Dizionario biografico universale, vol. IV, p. 336). L'edizione standard è la seconda

tedesca, pur poi discussa per le impefezioni e gli errori, Pensées sur divers sujets morales.

Nouvelle edition revue, corrigée & augmentée de maximes et reflections par le meme

auteur, Francfort, F. Varrrentrapp, 1736, 2 tomi in 12°, pp. (8)-342, (8)-282; l'edizione da

cui si cita è la francese, largamente rivista, Pensées de Monsieur le comte d'Oxenstirn sur

divers sujets, La Haye, Jean van Duren, 1759, 2 tomi in 12°, pp. (16)-298, 261-(3); esiste di

questa una traduzione italiana, Pensieri sopra diversi soggetti con le riflessioni morali del

medesimo autore. Recato dala francese nell'italiana favella da Dom. Carrari, Venezia,

Giammaria Bassaglia, 1770, 2 volumi in 8°, pp. 333, 258

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I Consigli di Amministrazione delle S.p.A. fra mitologie romantiche e patologie sempiterne

1

Prefazione

Il tema del contrasto e dell'equilibrio di interessi —e di poteri— nelle

Società per Azioni risale in vario modo alle Compagnie des Indes, per poi

rafforzarsi nel corso dell'Ottocento specialmente dopo il Code Napoléon e

lungo il corso delle prime e seconde Rivoluzioni Industriali (in particolare le

continentali, dalla Francia alla Germania all'Italia).

Il tema è noto —o dovrebbe— nei suoi svolgimenti giuridici sin dalla

metà dell'Ottocento come pure nelle trattazioni dell'economia marxista

(Rudolf Hilferding, Das Finanzkapital, 1911), e nondimeno nei suoi

svolgimenti aziendali a principiare da Fabio Besta (specialmente

nell'edizione postuma della Ragioneria, Milano, Vallardi, 1922, 3 volumi).

In particolare, ciò che oggi molti o tutti ripetono, ripetendo più o meno

dall'american English —cioè la differenza fra shareholders e

stakeholders— è già in Commons, poi nel countervailing power di J.K.

Galbraith, ed è infne assolutamente compiuta in Carlo Masini, da ultimo in

Lavoro e Risparmio (Torino, UTET, 2a edizione, 1980), in questo caso

incardinata nel tomismo, e in particolare nel sempre attuale p. Vittore

Cathrein.

D'altra parte inutile lamentarsi, oggi è così, e forse è così da sempre se

Daniele Varé, Ministro d'Italia in Cina 1927-1931, ricordava: "Noi oggi

percorriamo la Cina in treno, in auto, col vapore; ma ovunque giungiamo

scopriamo che Marco Polo c'era già stato, a piedi o a cavallo, centinaia di

anni prima di noi: è proprio vero che noi diciamo nuovo nel mondo solo ciò

che abbiamo dimenticato" (Il diplomatico sorridente, Milano, Hoepli,

1941). Anzi oggi il tema, dopo tante ripetizioni aziendali, e la di lui

opportuna ripresa giuridica (Montalenti), parrebbe divenuto secondo taluni

… un tema puramente economicista!

È questo un ulteriore problema dell'epoca —spiritualmente sconvolta,

speculativamente irrazionale—, e specialmente delle scienze sociali a causa

della loro latitudine di confini.

È inoltre un problema particolare di molte branche dell'Economia politica

le quali —incerte, spaesate, disperse— si ritrovano nel mondo economico

come o' ciuccio in mezzo ai suoni, e pretendono di uscire dal proprio

marasma applicando algoritmi. Anzi, credendosi rafforzate dal possesso

d'un "metodo esatto", invece di dedicarsi allo studio di problemi pensano a

inventarsi bandite di caccia, con un'estensione di campo pari soltanto alla

propria impotenza teoretica. Così esse hanno da ultimo rivendicato, quale

proprio terreno, il diritto nella sua interezza (the Economics of Law), e

dunque fra l'altro pure la corporate governance.

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Il problema —invece—, se è senz'altro giuridico, è non di meno

economico-aziendale. E poiché il punto risulta piuttosot ovvio, lo

riassumeremo icasticamente limitandoci a evocare categorie quali sostanza

e forma, processo e contenuto, infine —più propriamente— materia

economica in forma giuridica.

Se infatti l'ordinamento esprime categorie le quali definiscono —nel

bene e nel male— l'armatura del vivere civile (Stahl), ciò vale in via

speciale per la disciplina delle società. Tramite questa vengono infatti

regolate le modalità di organizzazione ed espressione della volontà sociale

nonché di delega della stessa. Ciò compiuto, la dinamica —ancorché svolta

in forme giuridiche (ma talora anche anti-giuridiche, o propriamente

illecite)— è una dinamica di scelte economico-aziendali che si esprimono

in decisioni strategiche, gestionali, operative, le quali a propria volta

definiscono combinazioni produttive e coordinazioni lucrative nello spazio e

nel tempo.

Al di là dunque della regolamentazione giuridica di rapporti, connessioni

e processi, sono ben quelle a generare poi sviluppi e declini, espansioni e

crisi, utili e perdite; e con essi gli equilibrî (e squilibrî) di potere fra portatori

di interessi istituzionali, pur variamente riconosciuti come tali

dall'ordinamento.

Momento cruciale —certo non l'unico— del tema in argomento risiede

allora nella struttura, composizione e funzionalità dei consigli di

amministrazione.

È ben in questi che si decidono infatti deleghe e protagonisti (key actors),

si varano scelte strategiche e operazioni straordinarie, si approvano il

bilancio e le di lui risultanze, si propongono all'assemblea dividendi e

riserve; e il punto non necessita di ulteriori sottolineature.

La composizione e il funzionamento di tale organo pare dunque rivestire

rilevanza fondamentale ex se. Ma se la composizione strutturale è definita

dall'ordinamento (struttura tradizionale o duale, presenza di consiglieri

"indipendenti" o attribuiti alle minoranze, et al.) e poi dallo Statuto sociale,

e se la composizione personale è frutto della volontà dell'azionariato (specie

nei casi ove una minoranza coesa domini —o prevarichi— una

maggioranza disgregata), il funzionamento interno è problema a sè stante.

Il funzionamento dei comitati è infatti trattabile dal punto di vista della

psicologia cognitiva e organizzativa, in particolare della psicologia degli

small groups specie se con compiti decisionali (dalle Camere di Consiglio

della Magistratura ai Consigli di Facoltà degli Atenei, fino … ai consigli

direttivi di partiti, associazioni, circoli e comitati): ne sono derivate

l'attenzione ai ruoli (e.g. leader, follower, antagonista, contro-dipendente, et

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al.), e poi soprattutto alle dinamiche organizzative, più o meno convergenti,

conflittuali, conciliative, e inoltre armoniche o disarmoniche.

Peraltro, il tema dei consigli di amministrazione delle società è reso

ulteriormente complesso dal novero di implicazioni economiche —dirette e

indirette— che dalle scelte degli stessi deriva. Inoltre, quanto maggiore è

l'impresa, dal novero di conseguenze anche sindacali, sociali, politiche che

possono sortirne (conseguenze in alcuni casi anche internazionali,

parlamentari, partitiche, diplomatiche).

E qui occorre allora intendersi, giacché troppo spesso quelle dinamiche

vengono in toto ignorate, e trattate soprattuto dalla letteratura —da Thomas

Mann a Dino Buzzati a Giuseppe Luraghi— o dalla cinematografia, da I

grattacieli uccidono (1942) a Una poltrona per due (1983).

Certo, le empirie fedeli e oggettivamente disponibili sono in fondo

minori, ma non mancano del tutto; e invece troppe volte il tema risulta

appunto trascurato, oppure trattato in due modi sostanzialmente filistei:

a. o meramente formale fino al formalismo, nella descrizione

elencatoria e letterale di compiti e doveri;

b. o idealizzato e deferente fino all'adulazione, nella descrizione

illusoria di ottimati il cui comportamento adduca naturalmente, ed

esclusivamente, ad optima economici e giuridici.

Come ovvio, le dinamiche vere sono dinamiche altre: se alcune Muse già

ce le hanno descritte, d'altra parte empirie al riguardo sono oggi

diffusamente disponibili, solo a volerle cercare, iniziando con gli importanti

—e oggi negletti— studî di Eugenio Greco dal 1935 al 1955. L'occasione

dunque del XVI Seminario di Studio, Bressanone, 15-16 settembre 2011,

questa volta in tema appunto di Ruolo, composizione e funzionamento del

Consiglio di Amministrazione si è rivelato momento inaspettato, opportuno,

gradito e davvero giovevole al fine di adattare parte di un lavoro da anni —

fra i tanti— in faticosa gestazione, e per presentarla al pubblico.

L'autore ringrazia con sensi di profonda gratitudine gli organizzatori, i

professori Saverio Bozzolan e Antonio Parbonetti per avere accettato la

proposta di paper, e per aver reso poi il medesimo introduttivo al Convegno.

Li ringrazia inoltre —e con loro l'Università degli Studi di Padova— per

l'ospitalità generosa. Ringrazia infine tutti i partecipanti per avere ascoltato

con disponibilità ancor più generosa le forse troppe osservazioni che, molto

interessato dai loro lavori, egli non ha resistito al desiderio di proporre pur

essendo, come partecipante, solo l'ultimo arrivato.

Brescia, Università degli Studî, dicembre 2011

l'autore

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5

1. Introduzione

Le problematiche riguardanti il ruolo, composizione e funzionamento del

consiglio di amministrazione affondano le proprie radici —in Europa

continentale— nella giuridicità dell’Ottocento, dunque sostanzialmente

nell’eredità del Code Napoléon.

Si trattava pertanto d’una costruzione normativa anteriore alle rivoluzioni

industriali, quasi perfino alla inglese, e comunque anteriore —salve le

eccezioni note dalla storia e dalla storiografia— al diffondersi della Società

per Azioni.

Dominavano infatti all’epoca le società di persone, viste nella percezione

omnium con la fiducia riservata a chi si dichiarava pronto a rispondere delle

obbligazioni sociali con tutti i propri averi; e in tale percezione esse

domineranno —ad esempio in Germania— fino al secolo XX, ove la

capogruppo rivestirà sovente per molti decenni —ben contenti creditori e

obbligati— la forma di Kommanditegesellschaft.

La Società per Azioni quale tipo sociale si diffonderà poi rapidamente in

Francia prima e dopo il Secondo Impero (si ricordino e.g. le agitate

dinamiche dei fratelli Pereire e del Crédit Mobilier), in Belgio con gli

sfruttamenti coloniali, in Germania e in Italia —secondo percorsi la cui

documentazione può forse ancora completarsi— con le rivoluzioni

industriali 1870-1910 circa, in particolare i) per le imprese di grandi

dimensioni, bancarie e assicurative, ii) nei settori altamente capitalizzati o

frutto di iniziative consortili, iii) nelle imprese dal rapido sviluppo

dimensionale specie durante e dopo le epoche bismarkiana e giolittiana.

Ma anche in questi casi, le statuizioni codicistiche —non parliamo della

giurisprudenza— tesero ad impostare la normazione, almeno quale

presupposto ideale (ideologico?), sulla base dell’ottimismo se non del

sentimentalismo giuridici.

Si immaginava cioè —si dica in forme icastiche— l’assemblea quale

adunanza festosa di tutti gli azionisti; il dibattito ispirato a sensi di

competenza lungimirante e oblativa; l’elezione del consiglio quale scelta di

ottimati; infine l’operare di questi quale dispiegamento di capacità

nell’interesse esclusivo della società e dei suoi proprietarî deleganti.

La realtà era, già allora, sovente diversa, ma —per ragioni che non

rilevano in questa sede—, non solo non riconosciuta da più stringente

normativa né sanzionata in sede di giudizio: essa normalmente neppure

giungeva nelle aule di giustizia, preferendo i padroni del vapore (avrebbe

detto Ernesto Rossi) risolvere all'interno del Consiglio o della società —o

all'esterno, ma in modo stragiudiziale— le controversie che tanto spesso li

contrapponevano.

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In particolare la realtà —fisiologica o patologica che fosse— si

incentrava allora come oggi (talora già prima del I conflitto mondiale) sulla

diffusione di maggioranze disgregate, assenti dalle adunanze assembleari,

nelle quali minoranze coese decidevano per sé e per gli assenti, non di rado

a proprio esclusivo vantaggio. Giacché il tema è noto in tutte le letterature,

nella tedesca è documentato dal tempo di Hilferding ( Das Finanzkapital,

1911), e nella italiana è trattato da ormai sessant’anni (anche se

specialmente da autori marxisti), ci si contenti qui di averlo meramente

richiamato.

Altrettanto avveniva e avviene nei gruppi di società ove —per il noto

fenomeno delle società a catena (Vivante), il quale porta nomi differenziati

fra cui pyramiding, ma che esprimono la stessa sostanza ovunque—, mentre

le percentuali di controllo potevano estendersi quasi senza fine, in parallelo

le percentuali di interessenza —cioè di coinvolgimento patrimoniale— si

riducevano progressivamente, fino a potersi rendere infinitesimali (per gli

studi aziendali già L. Azzini, I gruppi, 1964).

La composizione del consiglio di amministrazione è dunque di norma

determinata —almeno nelle società quotate— dal dominio in sede

assembleare da parte delle citate minoranze coese, poco importa se tali per

proprietà di titoli, diritto di esercizio del diritto di voto, patto di sindacato (di

controllo o di voto), o altro ancora. Così vengono parimenti delineati i poteri

dello stesso, derivanti dallo statuto, quindi dall’assemblea, dunque

determinati ancora una volta dalle medesime minoranze di prima.

Nei gruppi di società, infine, quella composizione è determinata dal

gruppo di controllo della capogruppo, non importa se con (ridotta)

percentuale di interessenza nel livello n-esimo, o se comunque essa vi

destini —in caso di possesso maggioritario, o anche totale (come usa negli

Stati Uniti d'America)— proprî managers quali consiglieri.

Ciò che conta è che —sempre in tesi generale, e soprattutto per le

quotate— il consiglio eletto a quel modo si troverà a esercitare poteri

grandi, talora quasi sovrani, e per di più delegabili, dei cui risultati renderà

conto —tranne casi eccezionali— normalmente dopo un triennio. E come

li eserciterà tali poteri?

Qui nuovamente si apre il confronto (il conflitto?) fra l’ottimismo delle

speranze (o delle idealità) e la ragionata, talora pessimistica freddezza del

realismo. Esistono infatti operatori capaci e altri meno, consiglieri

disinteressati e altri meno, infine homines naturaliter etici e altri meno

(talora assai meno); così pure esistono e sono sempre esistiti i consiglieri

delegati e i consiglieri … dileguati.

Pur con l’ottimismo della speranza, e della volontà, il presente paper

intende quindi presentare l’alternativa citata per diffondersi poi sulla

seconda fattispecie, tratta dalla storia degli ultimi ottant’anni di grandi

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società italiane private ma soprattutto pubbliche, epitome peraltro di

dinamiche le quali —dal Credit Lyonnais a Enron, da Lehman Brothers a

Royal Bank of Scotland— coinvolgono ormai tutto il mondo.

2. I consigli di amministrazione tra utilità e futilità, i.e. operanti o

ratificativi

2.1. La fisiologia silenziosamente operante

Vi sono in giro per il mondo —più spesso di quanto non si pensi—

consigli d'amministrazione i quali —specie se non pletorici, e se costituiti

di individui i) competenti, ii) disinteressati (o interessati soprattutto

all'Unternehmer an sich), iii) di carattere—, costituiscono i cosiddetti

"consigli di amministrazione che funzionano".

Nella conoscenza che il Lettore avveduto ha di tali situazioni, ne

sintetizzeremo brevemente alcuni profili organizzativi e comportamentali:

1. adunanze ripetute a intervalli adeguati i) alla complessità e alle

dimensioni dell'attività; ii) alla complessità dell'ambiente nazionale e

internazionale anche per dinamiche turbolente, irregolari, eventualmente

agitate (per l'apparire di impreviste forze-shock);

2. adunanze non eccessivamente intervallate, non fosse che apprezzamento

e indirizzamento continuo della gestione, pur delegata;

3. sedute straordinarie ove lo impongano appunto fatti straordinarî, e non

gli interessi o il capriccio dell'amministratore delegato o della proprietà;

4. sedute "di contenuti", i.e. adeguatamente predisposte: i) nella conferenza

e completezza dell'o.d.g.; ii) nei dossiers preparatorî, nella loro

disponibilità anticipata, nel loro fedele riassunto ove riservati, nel

giudizio onesto in tema di riservatezza, iii) last but not least nei termini

della convocazione, nei luoghi, negli orarî (sedute le quali dunque

vengano calendarizzate per periodi, e con un certo anticipo, né vengano

convocate ad horas; oppure vengano appunto convocate ad horas

quando richiesto dalla rilevanza o urgere dei problemi);

5. sedute armoniche anche in presenza di i) contrasti di interessi

(tipicamente fra soci), ii) contrasti di visuale, e di apprezzamento di

situazioni pur identiche, iii) contrasti in tema effettive linee d'azione da

adottarsi, con particolare riguardo a scelte alternative (tecniche,

economiche, giuridiche), ai profili organizzativi e personali delle stesse,

ai tempi di attuazione;

6. sedute "di rinvìo" non per elusione di problemi né sine die, quanto

piuttosto effettivamente tese all'approfondimento di problemi, alla

ricerca di vie saggiamente conciliative, se necessario —con azione di

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stimolo— al quaeta movere, ma nel contempo, ove necessario, al mota

quaetare;

7. eventuali votazioni a maggioranza —questi consiglî, proprio perché

funzionanti, rifuggono dall'unanimismo spacciato per concordia—, ma

con cooperazione comunque unanime, anche successiva, sempre nel

senso della Gemeinschaft;

8. rapporti concordi e strutturalmente adeguati (salva descrizione) fra

consiglio di amministrazione e comitato esecutivo ove esistente;

9. u.s.w.

2.2. La deprivazione decisionale, alias patologia ratificativa

Quella ricordata è, peraltro, solo una fra le fattispecie possibili, cui tutti

forse riandiamo non fosse che inconsciamente sia per un fondo di

incoercibile ottimismo idealistico, sia per il citato influsso del romanticismo

giuridico dall’Ottocento in poi.

Questo configura —si premetteva—:

a) l’assemblea quale momento topico di incontro degli azionisti,

dibattito fra gli stessi relativamente alla gestione da imprimersi alla

società, elezione parlamentaristica degli amministratori quali proprî

rappresentanti;

b) il collegio degli amministratori (vulgo consiglio di amministrazione)

quale insieme di competenti rappresentanti degli azionisti, fiduciarî i

quali —con eguale procedura parlamentare— dibattano e

deliberino in tema di amministrazione, e di gestione anche futura

della società, nell'esclusivo interesse della stessa.

Tale inquadramento può (forse) risultare plausibile nei casi di imprese

—non importa di quali dimensioni— costituite e governate da pochi,

ristretti gruppi di soci, eventualmente aggregati da nessi parentali. Ma anche

qui la conoscenza della realtà, e del resto l'affiorare dei problemi c.d. di

family business (nonché … del business del family business) lascia

immaginare situazioni non sempre così facilmente armoniche.

La fenomenica relativa è poi ovviamente ben diversa ove si parli di

imprese quotate in Borsa, come sempre quando si transiti dalle visioni

romantiche (anche se istituzionalizzate) alla realtà.

Questa è ben immaginabile, ove si rifletta al fatto che in quelle sedi si

amministrano complessi economici fra i principali di una provincia, regione

o nazione; che da quell'amministrazione derivano scelte di grande portata

produttive, commerciali, finanziarie, economico-sociali; che gli effetti di tali

scelte si riverberano sui contesti socio-territoriali talora perfino aggregati, o

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internazionali; che quegli effetti manifestano (o consentono di manifestare)

influssi politici.

Che —più in generale— da quell'insieme derivano per i protagonisti

effetti rilevanti in tema di ricchezza e potere, due dei grandi assi che da

sempre —auri sacra fames— determinano purtroppo il nostro agire terreno.

La realtà in parola, dunque meno armonica e idealistica di quanto

romanticamente immaginato (o da quanto statuito con voluto disinteresse

pseudo-romantico?) è peraltro così nota e dibattuta da tempo da aver dato

luogo, proprio fra i giuristi, a dibattiti variegati in tema di ruolo e

funzionalità vuoi dell’assemblea vuoi del consiglio degli amministratori: il

punto può venire tralasciato in questa sede se già nel 1972 —nell'articolo

Società per Azioni del Novissimo Digesto— parlava Gastone Cottino di

<azionisti quali parco-buoi>.

La realtà vede dunque <minoranze di controllo> le quali:

dominano (e se del caso opprimono) in sede d’assemblea le

maggioranze effettive in quanto disgregate;

eleggono sé stesse al governo della società nominando quali

amministratori propri esponenti o mandatarî;

eleggono da sé i controllori di sé stesse prescegliendo i membri del

collegio sindacale e nominando la società di revisione;

premono su questa per ottenere comunque —ove la situazione non

sia fluida— una certificazione c.d. clean, i.e. senza eccezioni e

riserve;

approvano i bilanci predisposti dai propri rappresentanti-mandatari, e

votano conseguentemente nei casi degli artt. 2393-2395 (azione di

responsabilità) e di altri rilevanti.

Ancora, la realtà vede consigli di amministrazione dominati dai principali

(talora dall’unico) esponente delle citate minoranze di controllo, con

dinamiche en consequence che il lettore avveduto conosce, e che il lettore

dogmaticamente illuso, o romantico, o formalisticamente giuridicizzato non

comprenderà mai — già, in fondo non vuole comprenderle, per

sentimentalismo o per convenienza.

Consigli di amministrazione i quali, anche nel "migliore" dei casi,

tendono dunque a deliberare secondo le forme "meno efficienti" della teoria

delle decisioni di comitato (Duncan Black), cioè agglutinandosi —senza

riserva, o con riserve meramente dialettiche e formali, non registrate in

verbale— alle scelte degli esponenti della maggioranza, questa espressione

delle <minoranze di controllo> ricordate.

Ma in casi peggiori, e tuttavia diffusi, consigli di amministrazione

meramente formali; ritualizzati; criptici sulle questioni nodali; tenuti non di

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rado all’oscuro di dinamiche rilevanti quando non svolte a latere, in sede

antecedente-concomitante-susseguente allo stesso, e all’insaputa del

medesimo; infine posti di fronte al fatto compiuto —giustificato

dall'urgenza di provvedere, o da scadenze ex ante imprevedibili— con il

compito di ratificarlo.

E tranne eccezioni la ratifica da parte dei consiglieri avviene —quasi

sempre tempestiva, giubilante, encomiastica e festosa, tanto poi a Milano si

pranzava al Savini o da Boeucc— per i seguenti motivi:

per mandato (se del caso implicito, ed estensivo) della minoranza di

controllo cui si deve la nomina;

per interesse privato;

per assuefazione, indifferenza, viltà, o per la deferenza implicita

nelle cariche assunte ad pompam.

Del resto, aggravante non meramente procedurale è costituita dalla prassi

senatoria secondo la quale il voto "contrario" equivale a una <dichiarazione

di guerra>, e il voto "astenuto" equivale notoriamente —in assenza di

motivazioni verbalizzate— all'approvazione, con la conseguente

condivisione di responsabilità.

E qui pure —per gli amministratori che frequentano i consiglî appunto

ad pompam o a fini di prebende, fauna questa altamente diffusa anche in

persone abbienti giacché il decoro e l'influsso sociale càspita vanno ben

mantenuti, e con quelli il treno di vita, e poi tanto la giustizia è lentissima e

se necessario i nostri avvocati molto bravi—, qui pure chi abbia conoscenza

del mondo sa bene come, prima dell'annuncio della votazione, o non appena

uditolo, nei casi più gravi sguardi si levino guardinghi, sfuggenti ed ansiosi,

al fine di verificare se, nell'eventualità, si rischierebbe di rimanere ahinoi

unici ad esprimere voto di astensione, non dicasi poi "contrario"!

Forse per questo si è anche abbastanza diffusa la <chiamata inversa>, che

chiede i "contrari" dardeggiando minacciosamente i convenuti; quindi gli

"astenuti", eventualmente sfidandoli a motivare ai fini di verbale; infine i

"favorevoli", ormai ovviamente tutti (almeno di solito), risultato giovevole

sia ai fini di sventolar perenni unanimismi bùlgari, sia ai fini della

collettivizzazione —talora peraltro rischiosa— delle responsabilità.

2.3. L'ampiezza delle deleghe e il formalismo ratificativo

Tema forse non frequentemente, non adeguatamente affrontato sono poi

le deleghe ad amministratori per il compimento di operazioni ordinarie e

straordinarie, nonché l’ampiezza delle medesime.

Per l’Italia ad esempio —in tema di deleghe interne al consiglio—

risulta infatti quanto segue dalle comunicazioni di corporate governance

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alla CONSOB, e riportate dai quotidiani e nei siti finanziarî (anno 2008,

estratto relativo a imprese quotate nei settori industriale e dei servizî).

Tabella 1. — Ampiezza delle deleghe dei poteri di firma in alcune grandi imprese

quotate

Società quotata Carica

Limite per operazione

(milioni di €)

Garanzie

Indebitamento

AEM (P) e (CD) 5

Alitalia (CD) 7,5

Bulgari (P) 30 30 30

(CD) 30 30 30

ENEL (CD) 25

ENI (CD) 50 50

Finmeccanica (P) e (CD) 150 50 25

(CD) e (CD) 150 50 25

Italcementi (P) e (CD) 50

(VP) 15

(C) 20

(DG) 20

Lottomatica (P) 10

(CD) 10

Mediaset (P) 12,9

(CD) 5,16

Mediolanum (CD) 1,5 5

Merloni (P) 5% del Cap. Ne. 5% del Cap. Ne.

(CD) 5 0,5 15

SEAT (CD) 10

Telecom (P) 250 100

1° (CD) 150 50

2° (CD) 75

TIM (P) 70

TIM (CD) 50

Anche se la situazione da allora è mutata, e se all'epoca poteva forse

venire giustificata in alcuni casi da "speciali esigenze", pare tuttavia chiaro

che, quando si parla di funzionamento del consiglio di amministrazione non

si possono sottacere le provvidenze statutarie:

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alcuni dei casi in Tab. 1. paiono auto-esplicativi, e qui non li si

commenta solo per brevità dialettica;

e altri consentirebbero poi di distinguere la veste formale delle

cariche rispetto al contenuto operativo dalle medesime consentite

(come la multinazionale liquoristica nella quale —verso la fine del

secolo XX— al Presidente era riservata la rappresentanza della

società nelle Associazioni liquoristiche nazionali nonché

internazionali, mentre al Vice-Presidente una delega così larga da

comprendere perfino "l'acquisizione e la cessione libere di rami

d'azienda, salva la successiva comunicazione al Consiglio e ratifica

da parte dello stesso")(…).

3. Alcune fattispecie patologiche dagli anni Trenta del secolo XX alla

Prima Repubblica

3.1. Premessa

Posto quanto ricordato al § 2., riprenderemo ora il tema dal punto di vista

fattuale e specifico, con una spigolatura di fattispecie patologiche le quali si

estendono dagli anni Trenta del secolo XX fino alla fine dello stesso, e che

potrebbero facilmente risalire all'Ottocento —persino nel teatro si ricordano

La Presidentessa di Feydeau e i Colpi di timone di Gilberto Govi—, come

pure potrebbero altrettanto facilmente procedere —è chiaro, vero?— fino

ai nostri giorni.

Tali fattispecie sono riportate: i) da fonti archivistiche ora accessibili ai

sensi di legge; ii) da pubblicazioni a stampa; iii) ovvero da quotidiani o

periodici dalla varia diffusione —quotidiani nazionali, ebdomadari,

notiziari provinciali o locali—; nella gran parte dei casi i nomi —certo

presenti negli originali— sono stati omessi in primo luogo per carità di

Patria, e poi perché in questa sede interessa non tanto ricordare

nominativamente i sempiterni e sempre diversi padroni del vapore (Ernesto

Rossi) dei quali ben si comprendono le origini del tenore di vita, ma soltanto

l'enucleazione di fattispecie purtroppo regolari e ripetute, appunto veri "fatti

scientifici", di interesse anche per la teorizzazione veritativa nelle scienze

sociali.

3.2. Lo svolgimento dei consigli di amministrazione in due Banche di

Interesse Nazionale

3.2.1. La banca A

Un competente conoscitore di problemi finanziari d'impresa e di sistema,

nonché professore nell'Università Bocconi di Milano, così scrive nel 1929 al

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Presidente della propria banca, la quale diverrà di lì a poco "di interesse

nazionale":

"Nel colloquio che ho avuto l'onore di avere sabato 16 corrente con

la S.V. mi sono permesso di richiamare la Sua attenzione sullo stato di

disagio che esiste nel nostro Istituto. Ella ne ha inteso la portata. C'è

un'eredità da gradualmente liquidare.

Oltre un miliardo e mezzo di titoli mobiliari (se le informazioni che

ho cercato di avere sono esatte, perché nessun Direttore Centrale ha

mai visto il dettaglio delle cifre di un bilancio complessivo

dell'Istituto), oltre un miliardo e mezzo di titoli figurano o si

nascondono sotto le voci più diverse non solo nel portafoglio titoli,

nelle partecipazioni, nei sindacati, ma fra i debitori, o all'infuori della

nostra contabilità. Ribassi del 20 o del 30% nel valore dei titoli -

ribassi che non sono poi degli avvenimenti eccezionali, specie quando

i prezzi di rinvegno non sono bassi - si ripercuoterebbero in una

diminuzione dell'attivo pari a una cifra di ben 300=450 milioni.

D'altra parte congetturalmente è da ritenere che il capitale della

Banca non sia totalmente versato, perché le azioni (quante?),

possedute direttamente o indirettamente nella Finanziaria ***,

detentrice della maggioranza delle azioni della Banca, ed i

finanziamenti alla stessa da noi accordati, annullano altrettanta parte

del nostro capitale. Il capitale effettivo della Banca sono duecento?

sono duecentocinquanta, sono centocinquanta milioni? Io non lo so.

Ora di fronte a un capitale così limitato il pericolo insito nell'eccessivo

possesso di titoli e nelle oscillazioni nel valore delle azioni è troppo

evidente.

Ricordo che il bilancio 1927 è tuttora in contestazione di fronte al

fisco, specie per l'operazione Eridania e Distillerie, cui si attribuiscono

riverberi di natura anche personale. Cito un altro fatto. Fu

recentemente costituita la XYZ, col programma della cessione ad essa

di 400 milioni di titoli di proprietà della Banca, e si seguì una

procedura che agli uffici apparve singolare per la volontà espressa dal

Consigliere Delegato di trasferirne immediatamente l'amministrazione

fuori dell'Istituto, pur dichiarandosi che tutte le sue azioni sarebbero

rimaste nelle mani della Banca.

La S.V. quindi comprenderà e giustificherà il disagio di cui Le ho

parlato. Una chiarificazione è indispensabile. Ci possono essere varie

soluzioni, le quali hanno evidentemente un presupposto comune:

riduzione progressiva della posizione titoli e chiarificazione del

bilancio.

I Direttori Centrali non mancarono di cogliere in passato qualsiasi

circostanza per manifestare il loro avviso concordemente contrario ad

ogni operazione implicante vasti immobilizzi industriali o cospicue

posizioni speculative, precisato che i finanziamenti e le interessenze

industriali avvennero di regola senza collaborazione preventiva della

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Arnaldo Canziani

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Direzione Centrale, che non suole essere chiamata a dare il suo

avviso nella fase preparatoria ed [è] messa dinanzi ai fatti compiuti

nel Comitato Centrale. Il Consigliere Delegato ribadiva il concetto

delle grandi operazioni industriali e in titoli per aumentare -secondo

lui- il rendimento dei denari amministrati e prospettava, come

soluzione opposta, un indirizzo di pura Cassa di risparmio.

L'ideale di gerenza bancaria [è] quello intermedio, un tipo di Banca

di depositi, ma agile e diffonditrice del credito frazionatamente fra le

categorie produttive e commerciali, con una moderata attività

finanziaria e mobiliare. Il lavoro ordinario dovrebbe costituire la base

e l'ossatura dell'Istituto.

Naturalmente occorre che chi detiene la prerogativa di attore unico

la eserciti con energia in tutti i momenti. Non bisogna che nei periodi

difficili chi è unicamente responsabile cerchi con pretesti di non

firmare le situazioni, rinviandole ai soli Direttori Centrali e al Capo-

contabile … Non bisogna che, quando ci sono contestazioni fiscali che

vertono su operazioni fatte e registrate secondo le precise istruzioni

del Consigliere Delegato, e contrariamente all'opinione del Capo-

contabile, il Consigliere Delegato dica di non ricordare, di non saperne

niente … Non bisogna, come quando si costituì or è poco la XYZ con

trasferimenti di 400 milioni, prima far tutto all'infuori dei direttori

Centrali e poi, a cose fatte, tentare di ottenerne la corresponsabilità

facendo circolare un foglietto e chiedendo il loro avviso circa

l'opportunità di costituire ……. una ulteriore holding! In queste

condizioni non è possibile esercitare il potere assoluto in una

azienda."2.

Al di là delle mascherature e degli intrallazzi, la situazione era

ovviamente ingestibile: l'Istituto venne "salvato" nel 1931 da <gruppi

amici>, la situazione continuò a peggiorare, nel 1933 dovette intervenire

come noto —e non così volentieri— il Governo Fascista.

E i consiglieri? i consiglieri cominciarono a dimettersi (o cercarono) nel

1932-1933. Ma nel frattempo?

Nel frattempo si infrattavano, i.e. si astenevano dall'intervenire alle

riunioni del Consiglio e del Comitato esecutivo (immaginiamoci la

delusione, e il dispiacere, del ricordato <attore unico> di prima! — ma

come l'avranno messa con il problema del numero legale?, sarà bastato

conteggiarvi gli "assenti giustificati" o si sarà provveduto intanto ampliando

le deleghe, e poi sperando?).

2 Archivio Antonio PESENTI, Busta n. 70, Archivio Guido Jung, fascicolo A, sezione

1. Sul punto cfr. anche M. DALL'ACQUA, Inventario dell'archivio Antonio M. Pesenti

della biblioteca «Umberto Balestrazzi» di Parma, Parma, Istituto Gramsci, 1984, Collana

«Studi e Ricerche», N. 3

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Si astenevano, certo; oppure —come un Vice-presidente tenacemente

avvinghiato alla poltrona, ma voglioso di "protezioni", una delle principali

personalità dell'economia italiana del Fascismo e della Repubblica—

scrivevano al Ministro delle Finanze; e il Lettore avveduto delle cose del

mondo è ben in grado di apprezzare —nella semantica, nella sintassi, nelle

argomentazioni sfumate e allusive— la di lui lettera che qui si riporta:

"Caro Amico,

io so bene che la situazione della Banca non è lieta, e

personalmente non avrei ragione alcuna - né morale né materiale - per

rimanere al mio posto di Vice-Presidente. Tale posto ho occupato,

nolente, in circostanze speciali che credo tu conosca.

Non ho mai avuto e non ho il tempo per occuparmi, se non

sporadicamente, della Banca (…) ma ho avuto la costante e precisa

sensazione che era mio dovere di non lasciare la carica. Sono dunque

finora rimasto, confortato in ciò:

- dalla piena fiducia nella capacità e rettitudine degli uomini che

sono preposti all'Istituto così da ritenere che la situazione maturatasi

negli ultimi anni sia dovuta a quelle stesse circostanze di carattere

generale che hanno avuto analoghe, e spesso peggiori, conseguenze

per altri Istituti anche fuori d'Italia,

- dal sapere che tanto il Governo che la Banca d'Italia sono stati e

sono tenuti pienamente al corrente intorno alla situazione patrimoniale

e all'andamento economico dell'Istituto, nonché all'appartenenza del

capitale azionario, ed hanno, in particolare, approvato l'ultimo

bilancio.

Ma l'appartarsi di alcuni Colleghi può apparire oggi, o potrebbe

essere interpretato domani, in modo profondamente ingiusto per me

… Io mi rivolgo pertanto al ministro delle Finanze ed al vecchio e

caro Amico, perché voglia considerare la situazione…"3.

Ah, ma queste cosacce accadevano al tempo del <deprecato ventennio> e

della Monarchia; poi, con la Repubblica …

Tale destituito pensiero può ancora albergare nell'intelletto di qualche

lettore troppo giovane per conoscere alcune dinamiche italiane —per restare

vicini a noi, e non farla troppo lunga— degli anni Novanta del secolo XX,

nonché seguenti. Provvediamo subito a disilluderlo, precisando comunque

che —da Enron a Crédit Lyonnais— nessuna nazione può dirsene immune,

e che l'esemplificazione nazionale è dunque dovuto solo all'illustrazione del

tema per il Lettore italiano.

3 Ibidem, Busta 70, Archivio Guido Jung, fascicolo A, sezione 2

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3.2.2. La banca B

Circa settanta anni più tardi un consigliere di "Banca di Interesse

Nazionale" (ovviamente un'altra) concedeva a un quotidiano a diffusione

nazionale la pubblica denuncia-intervista che segue:

«Vorrei attirare l’attenzione sul meccanismo di ratifica che vige nel

consiglio di amministrazione. Parlavano solo ***, Presidente, e ***,

Amministratore delegato. Chi chiedeva, voleva documentarsi,

domandare, leggere, sapere era considerato un fastidio. Nessuno

apriva bocca. È questo che intendo per < logica di ratifica >.

Formalmente 48 ore prima che si riunisca il consiglio si possono

consultare le carte in una stanzetta. Ma dopo un po’ ho smesso di

andarci: trovavo solo le pratiche di ordinaria amministrazione. I

documenti più importanti arrivavano sempre all’ultimo momento. Ci

sono delibere che abbiamo approvato e che io non co-no-sco.

La rottura è avvenuta sulla relazione di Bankitalia il 2 settembre.

La legge bancaria prevede che sia data lettura della relazione. Ma

trattandosi di questioni di estrema complessità pensavo che ai

consiglieri fosse consegnata una copia. Invece no. Il consiglio di

amministrazione che deve assumere decisioni di grande responsabilità

non ha la relazione di Bankitalia. Ne viene data una lettura frettolosa

da cui si capisce solo che è piena di osservazioni negative.

Nessuno ha avuto da obiettare, non c’è stato il tempo. Innanzitutto

sono questioni complesse. Tutti pensavano che ci sarebbe stata la

possibilità di un approfondimento nei due consigli dedicati alla

replica. Il primo è andato a vuoto perché il documento non era pronto,

[nel] secondo la risposta firmata dal Consiglio è pletorica, di 80

pagine, fumosa: il presidente legge per due ore e il consiglio, abbia

capito o no, non interferisce.

Usciti gli ispettori di Bankitalia, il Presidente *** ha concluso:

“Per ovvi motivi di riservatezza la relazione la tengo io in cassaforte.”.

E lì è rimasta. La relazione conteneva tutta una serie di osservazioni

negative, di valutazioni sulla differenza fra incagli e sofferenze, su

eccessi di affidamenti ad alcuni gruppi …

Il 13 novembre i rappresentanti degli azionisti aderenti al nuovo

patto di sindacato si sono dimessi facendo decadere il consiglio di

amministrazione. Ero l’unico a non essere al corrente di nulla e così

mi sono ritrovato, come dire, dimissionato d’ufficio.».

Anche questa banca finì come ci si può ben immaginare e fu poi

"salvata", seppure secondo altra modalità, comunque salvaguardando il

ruolo degli amministratori che la avevano rovinata, l'impunibilità delle loro

azioni societarie, gli importi delle laute prebende che avevano prelevato a

spese delle imprese che amministravano; salvaguardando dunque i

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patrimonî che avevano con quelle costituito, anzi salvaguardando le loro

carriere anche successive.

4. Altre fattispecie degli anni Novanta del secolo XX

4.1.Premessa

Dagli anni Novanta del secolo XX al decennio successivo —per verità—

ci sarebbe solo da scegliere: ricorderemo dunque —retrocedendo— i casi

i) Unipol-BNL (…), ii) scalata Antonveneta (che sarebbe stata organizzata

da un imprenditore già indagato per falso in bilancio e false fatturazioni, egli

ottenendo dalla filiale svizzera della banca Banca C, ai fini del

rastrellamento di azioni, una fidejussione garantita dalla medesima Banca C

"per un'operazione immobiliare fantasma"), iii) Cirio, vicenda con una stima

di circa 34.000 parti lese, e relativamente alla quale scrive il 12 dicembre

2005 un quotidiano a diffusione nazionale:

"Una truffa da 1.125 milioni di euro, che ha danneggiato 15.000

risparmiatori per il mancato pagamento di nove bond emessi dal 30

maggio 2000 al 31 maggio 2002. La Procura della Repubblica di

Roma ha firmato la richiesta di rinvio a giudizio per il crac Cirio

contro *** (omissis) , per venticinque fra consiglieri e sindaci della

Cirio, e per un gruppo di banchieri tra i quali +++, Presidente della

Banca B, ^^^, ex presidente del cda della Banca D, °°°, ex ad della

Banca C … I pubblici ministeri accusano in tutto quarantaquattro

persone, a seconda degli episodi, di falso in bilancio, bancarotta per

distrazione, documentale, preferenziale, patrimoniale, e di truffa.

(…)".

4.2. Il caso Parmalat

Nel corso dell'anno 1993, un'interrogazione parlamentare di quattro

senatori del Partito dei Democratici di Sinistra domandava al competente

Ministro di conoscere —premesso che i finanziamenti erogati a Parmalat, e

personalmente al di lei presidente, dalle due banche cittadine Banca del

Monte di Parma e Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza raggiungevano

livelli assai elevati—:

1. se la dimensione dei prestiti citati fosse o meno rispettosa dei vincoli

imposti dalla Vigilanza bancaria in materia di stabilità patrimoniale e

di concentrazione dei rischi,

2. se non esistesse una palese situazione di conflitto di interessi fra le

funzioni di Presidente delle banche e il ruolo —rivestito dai

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Arnaldo Canziani

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medesimi— o di dipendente o di consulente di Parmalat, oltretutto

cliente principale.

A seguito di quell'interrogazione veniva ordinato dal Tribunale di Parma

il procedimento penale n. 13/1994, il quale sostanzialmente precipitava nella

nota perizia (1996) di Mario Valla in cui —dopo l'analisi dei bilanci della

Parmalat 1993-1994-1995— si leggeva fra l'altro:

"L'incremento dei mezzi propri nella Società risulta di gran lunga

inferiore all'incremento del capitale investito nell'attività d'impresa e

quindi i nuovi investimenti risultano finanziati quasi essenzialmente

con capitale esterno.

Questo grado di dipendenza finanziaria evidenzia una situazione

problematica di sottocapitalizzazione che potrebbe avere anche riflessi

sulla solvibilità della Società stessa.

L'elevata tendenza al ricorso crescente a capitali di terzi rischia di

trascinare l'impresa a un collasso da indebitamento (…) evidenziando

una spirale che porterà l'impresa quasi sicuramente al fallimento.

La situazione finanziaria della società presenta quindi un elevato

grado di rischio, particolarità che deve essere attentamente valutata dai

finanziatori, sia con riferimento ai crediti concessi che in relazione a

nuovi ed eventuali ulteriori finanziamenti.

(…)

In particolare, con riferimento ai finanziamenti erogati in modo

tempestivo da Bancamonte, nelle delibere di concessione di fido del

Gruppo, mentre il Presidente della banca, XY —poiché in conflitto di

interesse— si assentava per 5 minuti, il Consiglio, composto da 12-14

persone, discute e vota la pratica di affidamento. E' evidente che, dato

il breve tempo, la decisione di affidamento era già stata di fatto

precedentemente concordata.".

Nell'intercorso 1996-1997 la banche finanziatrici provvedevano —oltre

al resto— a collocare presso clientela specialmente minuta i noti <bond

Parmalat>, anche revenienti dai proprî portafogli (chissà se accompagnando

tale azione con l'obbedire al suggerimento di una fra le principali consorelle,

di fare movimento sui titoli stessi per velocizzarne il classamento), mentre a

propria volta il P.M. incaricato provvedeva, in data 17 giugno 1997, a

chiedere l'archiviazione del procedimento.

Il Gruppo Parmalat crollava nel dicembre 2003, i protagonisti venivano

associati alle patrie galere in data 27 dicembre 2003 con le accuse di

associazione per delinquere finalizzata alla bancarotta, aggiotaggio, false

comunicazioni sociali.

Nel febbraio 2007 il quotidiano Il Sole-24 ORE si domandava:

"Qualcuno dovrebbe inoltre spiegare perché né il pm né il gip di

Parma si siano sentiti in dovere di informare Consob, Banca d'Italia e

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Guardia di Finanza dell'esistenza della relazione Valla: un gesto che

avrebbe potuto dare la sveglia alle autorità di controllo ed evitare che

migliaia di famiglie sottoscrivessero i bond Parmalat"

[ Il quotidiano forse ignorava —certo mera coincidenza— come il

magistrato inquirente, già affidato dalla Cassa di Risparmio di Parma e

Piacenza nel giugno 1993 per LM 35, fosse stato affidato nel maggio 1995

per ulteriori LM 300, gradualmente trasformati poi, nel gennaio 1998, in a)

un affidamento per LM 200, b) un mutuo chirografario quindicennale per

LM 200, il tutto senza documentazione a corredo ].

Giacché le fattispecie sono note, e hanno dato luogo a copiosa

bibliografia documentale né scandalistica, ci si limiterà in questa sede, dopo

sintetica cronistoria, ad alcuni spezzoni dalle dichiarazioni rese dagli

imputati in sede giudiziaria, sempre al fine di descrivere —o di

immaginare— la funzionalità i) dei consigli di amministrazione che tanto

deliberavano o avallavano, ii) dei partecipanti ai medesimi, cioè dei

protagonisti, sindaci inclusi:

metà dicembre 2003: le quotazioni di Borsa del titolo Parmalat

cadono del 40% in un giorno; il fondatore-patron (A ultra) si

dimette da tutte le cariche;

20 dicembre 2003: le Procure della Repubblica di Parma e Milano

aprono inchieste, la Guardia di Finanza perquisisce la sede della

Grant Thornton, società di revisione del Gruppo Parmalat;

il fondatore-patron è incarcerato ut supra;

31 dicembre 2003: sono incarcerati altre sette protagonisti, fra cui un

consulente legale, due revisori, il responsabile della contabilità

generale (C ultra), il direttore finanziario (D ultra);

gennaio 2004: le denunce dei risparmiatori ammontano a n. 25.000;

19 gennaio 2004: viene arrestato il Presidente della Banca del Monte

di Parma;

17 febbraio 2004: vengono arrestati ulteriori 8 protagonisti della

vicenda.

Tralasciando in questa sede altre risultanze delle inchieste, si riportano

direttamente le trascrizioni di alcuni fra gli interrogatorî, dai quali risulterà

poi quanto segue.

1. Dichiara D, direttore finanziario:

"Alla riunione speciale partecipavamo in quattro: A, patron del

gruppo; B, suo figlio; C, responsabile della contabilità generale, e io,

direttore finanziario.

Si discuteva su quali operazioni reali e fittizie utilizzare per sistemare

i bilanci in perdita.

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Arnaldo Canziani

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Le ipotesi di aggiustamento dei bilanci iniziavano sulla base dei report

che la contabilità di gestione riceveva mensilmente e che davano

un'idea dell'andamento progressivo dell'anno. Le proposte su Bonlat le

facevo quasi esclusivamente io. Ero io cioè a proporre la creazione di

utili fittizi. La società delle Cayman produceva sulla carta un reddito

che poi distribuiva come reale alle società del gruppo in sofferenza.

Succedeva poi che dessi disposizioni direttamente al contabile D per

falsificare gli estratti-conto, ma C ne era sempre a conoscenza.

Ricordo il contratto di vendita del latte in polvere a una società

cubana. E lì c'era anche stata una vendita, fatta però da Parmalat

Nicaragua. Con il falso contratto i valori furono gonfiati.

Se poi c'era di mezzo qualche altra società non italiana oltre a Bonlat,

allora C aveva un ruolo diverso: si inventava dei contratti idonei a

riequilibrare i bilanci delle società estere che ne avevano necessità. Il

tutto avveniva sempre sotto l'ordine di A.

Una volta stabilite le linee-guida dei ritocchi, concordavo con i

direttori finanziari delle varie consociate gli aggiustamenti specifici,

qualche volta recandomi sul posto, altre volte al telefono: Argentina,

Brasile, Cile, Uruguay, Paraguay, Ecuador. A volte andavo in Sud

America con l'A, suo figlio e il C, ma si trattava di viaggi

sostanzialmente inutili. Perché il rimedio era sempre lo stesso:

falsificare i bilanci delle società nella medesima maniera. Bilanci che,

peraltro, erano falsi già prima che intervenissi io: c'erano imprecisioni,

appostazioni e calcoli che li rendevano del tutto inattendibili. Quindi

posso dire che la mia attività, in definitiva, si è limitata a un

maquillage di bilanci già sostanzialmente finti.

A partire all'incirca dal 2001, diverse banche, fra cui *, **, e la

Popolare di Brescia, operavano pressioni sulla tesoreria della Parmalat

affinché il gruppo intervenisse per ripianare l'esposizione delle società

del turismo, che pure non erano nostre controllate. Si faceva presente

che gli affidamenti della Parmalat avrebbero potuto risentire effetti

negativi, qualora non si fosse intervenuto sull'esposizione del settore

turismo.

Nell'aprile 2003 A avviò trattative con l'amministratore delegato e con

il direttore-fidi della Banca Popolare di Lodi per l'erogazione di un

finanziamento a Parmalat dell'importo di 25 milioni di Euro.

Altro istituto perfettamente a conoscenza del dissesto della Parmalt

era la Banca del Monte di Parma, presidente XY, allora direttore

finanziario della Parmalat. Era XY che, pur sapendo della mancanza

di liquidità del gruppo, disponeva le erogazioni. E sempre XY gestiva

il sistema con cui le stesse fatture venivano scontate una seconda volta

negli istituti di credito italiani.

Citibank? Si tratta dell'istituto di credito che più di ogni altro ci

sosteneva finanziariamente. Mi pare assolutamente impossibile che

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non abbia potuto rendersi conto delle discrasie tra i bilanci delle

singole società e il consolidato.

JP Morgan, pur essendo impegnata a collocare i bond Parmalat, dalla

primavera dello scorso anno ha tentato ogni via per rientrare della sua

esposizione. Ricordo in particolare il diniego del rinnovo

dell'affidamento per 40 miliardi di lire a favore della Compagnia

Finanziaria Alimenti, affidamento che fino a quel momento era stato

rinnovato senza problemi. ".

2. Dichiara A, fondatore-patron:

"Certamente riconosco che il bilancio non era vero, come non erano

vere le altre comunicazioni sociali, e che il valore del titolo e delle

obbligazioni era superiore a quello reale. Ma D aveva pieni poteri nel

settore amministrativo-finanziario, in quanto mi fidavo totalmente di

lui. Lo conoscevo da molto tempo.

Bonlat? Non sapevo nemmeno dell'esistenza, l'ho scoperta solo a

settembre!

Delle forniture alla società cubana per 300.000 tonnellate l'ho appreso

ieri sera. Sapevo che si faceva trading di latte in polvere con il mondo,

ma non sapevo dei contratti tra Bonlat e la società cubana.

Ho concordato con D le distrazioni alle società di viaggi. Ma quanto a

Epicurum, ne sono venuto a conoscenza quando è uscita la notizia sul

giornale. E solo in quel momento ho deciso di vendere le società che

ero obbligato a cedere per l'Antitrust. Si tratta di Giglio, Matese e

Carnini. Non riuscendo a venderle, le abbiamo intestate a un

prestanome americano indicato dall'avvocato nostro consulente legale

e inventore del fondo.

Della liquidità se ne occupava D. Negli ultimi mesi mi sono reso

conto di un fatto: c'era una contraddizione fra la presenza di liquidità e

il ricorso continuo al credito. Non mi ero posto il problema in

precedenza. Anche l'emissione di bond è stata decisa da D, era il suo

sistema di reperimento dei finanziamenti.

Le banche sapevano. Anzi, a luglio 2003 la Morgan Stanley ci

contattò per dirci che c'era un investitore istituzionale disposto a

investire 300 milioni di euro in bond. Le condizioni di tasso, disse,

erano per noi sfavorevoli ma, aggiunse, vista la situazione a noi

serviva. In ottobre il mio dirigente venne da me e mi disse: <Vogliono

che riacquistiamo il bond, mi hanno puntato la pistola alla testa>, con

ciò volendo dire che la richiesta era accompagnata dalla minaccia di

rivelare al mercato la verità.".

3. Dichiara C, capo-contabile:

"D mi chiese di predisporre un elenco di crediti appoggiato su vecchie

fatture emesse nei confronti delle solite concessionarie, in quanto ci

dovevano finanziare per 200 miliardi. In Ifitalia sapevano che le

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Arnaldo Canziani

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fatture erano vecchie e servivano solo a giustificare il finanziamento.

Inoltre, si trattava di un'operazione in pool, di cui Ifitalia era capofila,

in cui le banche non sapevano che i documenti sottostanti erano fittizi.

Con il dottor α parlavamo chiaramente di fatture "di comodo", anche

perché l'elenco era sempre lo stesso e venne utilizzato nel corso di

quattro anni, dal dicembre 1999 a oggi, periodo nel quale vennero

erogati i fondi. Per evitare i controlli del sistema informatico, α mi

chiese di cambiare almeno una cifra del numero di ogni fattura

compresa nell'elenco.

Altrettanto per le ri.ba. (ricevute bancarie). Da circa vent'anni il

gruppo si autofinanziava monetizzando dal sistema bancario —sono

interessate almeno 40 banche— le riba emesse sui concessionari e

non supportate da alcun rapporto commerciale sottostante. Alla

scadenza il concessionario, comunque compiacente, riceveva un

bonifico dalla Parmalat e versava. Così ottenevamo anticipi per 7-

8.000 miliardi all'anno. ".

4.3. Il caso Telecom-Serbia

È più o meno dei medesimi anni altra nota fattispecie che si sottopone nel

seguito al Lettore, fattispecie anzi così rilevante da dare origine a: i)

un'istruttoria CONSOB (fra l'altro con richiesta di informazioni al Collegio

Sindacale in data 15 aprile nonché 12 maggio 2001); ii) un'inchiesta della

Procura della Repubblica di Torino per corruzione, falso in bilancio, false

fatturazioni (fascicolo 721/2001, 17 febbraio, e ss.), con relativo sequestro

di documenti aziendali; iii) molteplici interrogazioni parlamentari (fra cui

Atto di sindacato ispettivo Senato n. 4-06641, 25 giugno 1997, Sen. Milio, e

4-21935 id.) nonché interpellanze urgenti al presidente del Consiglio dei

Ministri; iv) Note ufficiali della presidenza del Consiglio dei Ministri e del

Ministero del Tesoro; v) una Commissione parlamentare d'inchiesta; vi)

inchieste giornalistiche, reportage televisivi, pubblicazioni specializzate: il

caso TELECOM-Serbia.

Esso, nell'abbondare di fonti sia librarie sia della stampa quotidiana, può

venire sinteticamente riassunto come segue.

In seguito a richiesta CONSOB (Nota del 5 marzo 2001), solo nel 2001 si

apprendeva quanto segue4.

Nel corso del 1994 la allora STET S.p.A., gruppo pubblico della

telefonia (successivamente privatizzata e denominata Telecom)

iniziava a studiare le prospettive del sistema telefonico jugoslavo; il

18 marzo 1996 il C. d'A. approvava la costituzione di una J-V con il

Governo serbo, e proseguiva poi i contatti anche tramite intermediari;

4 Cfr. Memoria del Collegio sindacale di Telecom Italia sull'acquisizione di Telecom

Serbia, in distribuzione all'Assemblea degli azionisti Telecom, Torino, 12 giugno 2001

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trattava infine, nel maggio 1997, con la società greca OTE

(Organismo Telefonico Ellenico) per la compartecipazione della

stessa -con il 20%- all'acquisto del 49% di Telekom Serbia;

provvedeva infine all'accordo per l'acquisto a trattativa privata da

parte di sub-controllata senza coinvolgerne i vertici.

In data 14 maggio 1997 TI affidava intermediazione a MAK

Environment di Skopjie (Macedonia); in data 5 giugno 1997 questa

accettava la letter of agreement di Telecom Italia, con la quale TI le

riconosceva un compenso di DM 30.000.000 (che le veniva poi

versato in data 2 luglio 1997 per DM 15.000.000, e 21 giugno 1998

per DM 15.000.000).

Il 5 giugno 1997 il C. d'A. di SIN (STET International Netherlands)

approvava l'acquisto —senza due diligence— del 29% di Telekom

Srbjia a un prezzo fino a DM 892.930.000 (cfr. ultra).

Il 6 giugno 1997 il C. d'A. della STET prendeva atto di informativa

dell'amministratore delegato: "è in via di finalizzazione l'acquisizione

del 29% del gestore di telecomunicazioni della Serbia, Telekom

Serbia, dal Ptt locale (impresa pubblica per il traffico delle Poste e

Telecomunicazioni serbe).

Il 9 giugno 1997:

il C. d'A. di STET International "deliberava:

a) "di approvare l'operazione di acquisto da parte della controllata

olandese STET International Netherlands (ut supra);

b) di ratificare la sottoscrizione da parte della STET International

Netherlands degli accordi contrattuali relativi alla predetta

operazione avvenuta in data 9 giugno c.a.";

il Governo serbo approvava la delibera assunta dal C. d'A. del Ptt il

giorno 8 giugno precedente;

SIN e OTE da una parte, Ptt Traffic Srbjia dall'altra approvavano

lo share sale and purchase agreement.".

I termini della transazione e il girofondi si declinarono poi come segue5:

9 giugno 1997: STET International Netherlands per conto di Telecom

Italia e l'ellenica OTE firmano a Belgrado il contratto per

l'acquisizione del 49% di Telekom Serbia (29% STET, 20% OTE) al

prezzo di 1.517.000.000 marchi tedeschi con pagamento —da parte di

SIN— per 701.770.000 marchi entro 48 ore, 117.000.000 a sei mesi,

74.000.000 nel marzo 1998 (le due ultime rate unificate —sembra—

con valuta 2 gennaio 1998).

5 G.ODDO, G. PONS, L'Affare Telecom, il caso politico-finanziario più clamoroso della

Seconda Repubblica, Milano, Sperling & Kupfer editori, 2002; G.MANFREDI, Telekom

Serbia, Viterbo, Nuovi Equilibri, 2003, pp. 220, 242, 251-255, 258-259

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Le istruzioni per il pagamento della 1a tranche sono dettate con

missiva da Atene, 10 giugno, accompagnatoria del documento

Instruction and Release:

per 16.090.540 DM accreditando il c/c 6501680000 c/o PARIBAS-

Frankfurt a favore di NatWest Securities Ltd.;

per 1.707.006 DM accreditando in sterline inglesi il c/c 60949191

c/o Barclays Bank PLC - Londra a favore di Weil, Gotshal &

Manges;

per 683.972.454 DM accreditando il c/c 002-124394-900 della

Beogradska Banka dd - Cyprus Offshore Banking Unit - Nicosia

presso European Popular Bank di Atene (quest'ultima confermava

l'accredito in pari data, 10 giugno 1997).

Sempre in data 10 giugno 1997 avveniva la girata dei titoli azionari ai

beneficiari SIN e OTE, nonché l'iscrizione di queste nel Libro Soci di

Telekom Srbjia.

Gli importi relativi agli oneri accessori all'operazione (Lire

36.600.000.000) furono sostenuti inizialmente da Telecom Italia, che

provvide poi a fatturarli in quota a SIN (lire 22.700.000) e a OTE (lire

13.900.000 in data 4 giugno 1997).

Dalle indagini del Tribunale Penale Internazionale risulterà poi quanto

segue relativamente alla destinazione dei fondi versati da STET e OTE6:

DM 200.000.000, investiti in c/deposito per un giorno al saggio del

2.88% risultano irrintracciabili;

DM 480.000.000 sono trasferiti a tre società off-shore, nella

disponibilità del Presidente serbo Slobodan Milosevic ma aventi

rapporti finanziari anche con l'Italia;

DM 350.000.000 vengono trasferiti a Crandor Investment

Management Ltd. - British Virgin Islands, nella disponibilità del

medesimo al di fuori della legislazione serba;

DM 150.000.000 rimangono depositati presso Beogradska Banka

Cyprus Offshore Banking Unit - Nicosia, dalla quale DM

2.000.000 verranno retrocessi a STET International Netherlands.

Come ben intuibile pur prescindendo dalla conoscenza delle cronache, il

tutto alimentò anche un bel giro di tangenti per molteplici istituzioni e

individui variopinti (fra i quali, denominazione della capogruppo, i

facilitatori), al cui riguardo siamo ora puntualmente informati da una serie

di servizî, interviste e dichiarazioni che ne rivelano l'importo (il 3%, pagato

dai Serbi per DM 32.000.000, più frattaglie):

"Natwest ad affare concluso percepì dalla Serbia 10 milioni di dollari

più il 3% del valore dell'intero affare … 30 milioni di marchi tedeschi

6 ib.; cfr. anche "Corriere della Sera", 19-9-1998

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… Una bella somma, no? si trattava della somma da cui attingere le

tangenti. Dalla stima degli assets di Telekom, dipendeva l'importo

della provvigione finale … Maggiore la valutazione, maggiori le

tangenti."7.

E i consigli di amministrazione della capogruppo? Anche a questo

riguardo siamo ora, e da tempo, informati da una cronaca parziale che ne

rivelerebbe lo svolgimento8:

"L'amministratore delegato *** dichiara di aver chiuso l'affare con

Belgrado. *** bofonchia in modo confuso qualche spiegazione che

vuole essere persuasiva o convincente. Vanta di aver strappato <un

buon prezzo rispetto a quello che hanno dovuto pagare i Greci della

OTE>. Non dice altro, tra lo sconcerto del Presidente. Il Presidente lo

ascolta in silenzio, fa qualche domanda, riceve mediocri risposte,

alquanto larghe ed evasive. Il Presidente non si meraviglia di quel che

accade: il capo-azienda è ***, lui è lì soltanto per privatizzare, e ***

non gli mostra una carta, che è una, della gestione.";

quindi, appositamente intervistato, *** dichiarò:

"Non ho nulla da dire. La trattativa fu molto complicata. Le modalità

di transazione furono definite dalle banche incaricate."9.

Ma allora, Amministratore delegato succube, svanito o reticente,

Presidente che si limita passivamente a "sconcertarsi"? Ma no, anche il

presidente era —ancorché tacitamente— della partita: agli atti della

commissione parlamentare d'inchiesta vi è una lettera dell'8 giugno 1997

con cui il presidente e l'amministratore delegato di Telecom firmano un

accordo per l'acquisizione di Telecom Serbia (pagina 185) per DM

890.000.000 abbondanti.

Il tutto ovviamente obbediva ai crismi di legge, almeno secondo il

comunicato congiunto di presidenza del Consiglio e Ministero del Tesoro10

:

"L'acquisto di TS fu effettuato da Stet International Netherlands,

società di diritto olandese controllata da Stet International Spa a sua

volta controllata da Stet Società Finanziaria Telefonica, all'epoca

7 La Repubblica, 16 e 17 febbraio 2001, articolo-inchiesta di C. Bonini e G. D'Avanzo,

Le tangenti di Milosevic — Telecom in Serbia: il protocollo segreto tra Roma e Berlgrado;

cfr. id., 2 marzo 2001; cfr. anche Il Giornale, febbraio-marzo 2001, passim; Adn-Kronos, 8

marzo 2001; telegramma 22 novembre 1996, Comunicazione 15 febbraio 1997 (Prospettive

e conomiche e politiche in Jugoslavia e investimenti italiani), telegrammi 7 e 25 febbraio di

S.E. il dott. Francesco Bascone, Ambasciatore d'Italia presso la Repubblica Serba, al MAE

- Ministero degli Affari Esteri 8 ib.

9 ib.

10 22 febbraio 2001

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controllata dal Tesoro … Di tale operazione il Consiglio di

amministrazione di Stet ebbe notizia nella seduta del 6 giugno 1997

… Non essendovi alcuna competenza diretta del Consiglio di

amministrazione della Stet in ordine all'acquisizione (né per vero della

Stet come tale, posto che agiva una controllata di secondo grado e che

l'acquisizione riguardava quota di minoranza di altra società), e non

essendovi conseguentemente necessità di una formale deliberazione,

la comunicazione fu data come semplice informativa, non a caso in

sede di trattazione di Varie ed eventuali, e il Consiglio prese atto.".

Tale comunicato —dovutamente, operosamente congiunto— è

formalistico e agnostico, e altrettanto curioso:

1. ben indipendenti le controllate "di secondo grado" di STET per

fare e disfare a proprio piacimento! con quale percentuale erano

controllate, visto che erano così libere?;

2. le stesse dovevano inoltre risultare adeguatamente locupletate

nonché avere un bel grado di autonomia, se potevano

spendere 818 milioni di marchi a botta senza neppure

informare la capogruppo! E il consiglio della holding le

lasciava tutte fare, per il gusto della libertà (altrui) nonché di

riempirsi di mere "partecipazioni di minoranza"? certo,

dovevano essere tutti in buona compagnia, se l'operazione fu

approvata all'unanimità, e se ad esempio —come il

rappresentante ivi del ministero del Tesoro, intervistato anche

lui—, dichiaravano: "Non ho mai informato nessuno. Non ho mai avuto alcun contatto

con il Ministero del Tesoro, né a proposito dell'operazione TS che

di altro. La nomina mi era stata comunicata da una segretaria di

Stet.

La decisione di comprare TS fu trattata nelle "varie ed eventuali"

della riunione del 6 giugno 1997, discussa in non più di 7 minuti,

illustrata dall'allora amministratore delegato *** senza spiegarne il

valore strategico.

Non ebbi l'impressione di qualcosa d'irregolare. Si può dire che il

prezzo pagato fu un po' più alto del solito."11

.

(e queste dichiarazioni sono dunque di interesse sommo in tema di

funzionalità dei consigli di amministrazione, vere o false esse siano).

Forse, peraltro, le cose funzionavano anche là un po' diversamente.

11

Cfr. n. (7); G. MANFREDI, op. cit., p. 158; verbale della seduta del 9 gennaio 2003

della Commissione parlamentare d'inchiesta

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La Procura della Repubblica di Torino acquisì, in sede d'indagine, copia

della delibera del consiglio di Amministrazione di Telecom Italia, seduta del

18 marzo 1996, dalla quale fra l'altro risultava quanto segue:

"Il CdA approva il progetto di acquisto di una società in Serbia,

destinata a gestire il servizio di telecomunicazioni, partecipata da TI, o

anche tramite strutture societarie del gruppo STET, per il 49% e per

un impegno massimo di spesa pari a lire 1.200 miliardi."12

.

Intervistato egli pure, il dott. Z, direttore degli Affari Societari di STET

International dichiara il 5 aprile 2001:

"Ricevetti l'ordine specifico dai miei superiori, il dottor X,

amministratore delegato, e l'ing. Y, direttore generale, di recarmi a

Belgrado per firmare, su delega del consiglio di amministrazione della

Stet Netherlands, il contratto. Sono stato precettato. Mi hanno detto di

trovarmi in un certo posto, a una certa ora, di andare a Belgrado e di

firmare il contratto. Io non ho fatto niente altro. Ho agito come una

penna stilografica, manovrata da chi sapeva.

Partimmo da Ciampino, con un aereo privato. C'ero solo io per la

Stet - gli altri erano funzionari della Telecom. Oltre a me viaggiarono

A, assistente del dott. ***, amministratore delegato della Telecom,

che rappresentava la Telecom; B; e l'avvocato C .

Trovammo il consiglio di amministrazione di TS, schierato ad

aspettarci, e io firmai il documento. Il contratto era scritto in inglese.

Ricordo la cifra, in marchi: 893 milioni di marchi. Chi pagò fu la

Telecom, e la Telecom movimentava le operazioni tramite l'Istituto

San Paolo di Torino.

Stet Netherlands non poteva fare niente che non fosse deciso da da

Stet International, e Stet International non poteva fare nulla che non

fosse deciso dalla Telecom. Se il consiglio di amministrazione della

Telecom non avesse approvato non si sarebbe potuto fare nulla. Stet

International ha partecipato a una ventina di acquisizioni di

partecipate all'estero. In queste gare a volte abbiamo vinto, a volte

abbiamo perso. Quando abbiamo vinto Stet International firmava con

l'autorizzazione della capogruppo, ovvero Telecom.

Appena firmato ripartimmo da Belgrado, e con l'aereo privato

tornammo a Roma-Ciampino."13

.

Chiamato in causa, anche l'Ing. Y —per un quinquennio Direttore

Generale di Stet International— effettuò alcune precisazioni sul tema (18

aprile 2001):

12

G. MANFREDI, p. 91 13

G. MANFREDI, op. cit.

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"I mei compiti erano, in accordo con l'amministratore delegato

dott. X, seguire tutte le attività necessarie per l'acquisizione di

partecipazioni in società estere. L'acquisizione di TS non era nei piani

di Stet International.

Stet Netherlands, braccio operativo di Stet International, il 5

giugno del 1997 delegò l'amministratore delegato di Telecom

all'acquisto. Il 9 giugno la Stet International ratificò decisioni prese

altrove. La mia società non ha mai dato una valutazione dell'affare.

Non ha mai espresso un parere giuridico. Niente di niente. La

capogruppo dell'epoca, la Telecom/Stet, poteva disporre, e dispose,

che i suoi rappresentanti in consiglio di amministrazione votassero le

decisioni che lei aveva assunto. E così fu. I pagamenti li effettuava

Stet Netherlands - occorre vedere cosa aveva deciso il consiglio di

amministrazione, i cui verbali si trovano in Olanda.

E' ovvio che il governo fosse informato. Quando la telefonia

dipendeva dall'Iri l'informativa partiva dall'Iri, quando in Telecom

sedettero i rappresentanti del Ministero del Tesoro la comunicazione

si fece più diretta ed esplicita."14

.

Vecchie polemiche, inimicizie, scarichi di responsabilità? Mah, adesso

sappiamo anche come s'era svolto il relativo consiglio di amministrazione di

Stet International, Roma, 9 giugno 1997:

"Il terzo punto dell'o.d.g. recita: «Iniziativa in Serbia».

L'amministratore delegato di Stet International dottor X annuncia che

« la controllata Stet International Netherlands, con apposita delibera

in data 5 giugno, su indicazione della capogruppo Stet a seguito delle

negoziazioni e delle valutazioni condotte dalla stessa Stet e

dall'azionista Telecom Italia, ha deliberato l'acquisizione di una quota

azionaria della società serba Telecom Serbia (…) per quanto

riguarda i mezzi necessari per consentire a SIN il pagamento del

prezzo pattuito con la controparte serba si ricorrerà a un

finanziamento che verrà concesso dalla capogruppo Stet - Telecom

Italia ». Il Consiglio ratifica la sottoscrizione da parte di Stet

International Netherlands degli accordi contrattuali relativi

all'operazione."15

.

(per altre tristi amenità sulla gestione dei "gruppi di società" quotati cfr. il §

5. infra).

Eppure, sai mai che questo autore sia malizioso, esagerato, malpensante?

Si trattò almeno di un investimento vantaggioso nei fatti, o in prospettiva?

Mah, giudichino i Lettori: i valori di allibramento della partecipazione in

Telekom Srbjia registrarono l'andamento di cui alla seguente Tab. 2.

14

ib. 15

ib., p. 85

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Tabella 2. — Valori di libro della partecipazione in Telekom Srbja nel bilancio STET

International (al costo, corretto per le perdite durevoli di valore)

Anno Valori di libro in milioni di Euro

1997 426,8

1998 468,4 (per acquisizione della licenza GSM in data 24 marzo)

1999 284,3

2000 195,0

4.4. I prodotti finanziarî strutturati della banca A, 1992

Nel corso del 1992 —non molto tempo prima del "cambio della moneta"

con la conversione all'Euro, ma già in tempi di SME - Serpente Monetario

Europeo—, il consiglio di amministrazione della banca A (quella sub 3.2.1.)

decideva di offrire alla clientela un set di prodotti finanziarî strutturati, fra

cui un derivato del tipo domestic currency swap, qui denominato Gamma.

Di questo —tralasciando l'analitica delle technicalities— si delineano i

seguenti profili principali:

1. si trattava di un prodotto 'fuori mercato', dal rendimento

contenutissimo, della durata di un anno ma con possibilità di

chiusura unilaterale anticipata da parte dell'emittente, connotato da

un ampio leverage connesso all'ipotesi di rivalutazione della Lira

italiana rispetto al Marco tedesco;

2. con plusvalenze per il cliente nel solo caso citato, e perdite

teoricamente illimitate in tutti gli altri;

3. le cui caratteristiche generali, e in particolare l'unidirezionalità, erano

virtualmente occultate nelle intricacies del regolamento di

emissione;

4. prodotto non classato sul mercato, dei cui acquisti la banca si ergeva

ogni volta a controparte —negoziava cioè in conto proprio—, al

fine di pareggiare la Tesoreria-Valute rispetto alle ingenti richieste di

marchi tedeschi da parte degli operatori, i quali ovviamente

prevedevano la svalutazione della Lira contro il Marco e

desideravano —prima ancora che speculare— coprirsi dal rischio

valutario;

5. la banca cioè trasformando in lucri differenziali tutte le perdite di cui

al n. 2.;

6. le quali si verificarono poi rapidamente e largamente in effettivo —

per la clientela— alla svalutazione della lira e all'uscita della stessa

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Arnaldo Canziani

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dalla banda di oscillazione dello SME, parallele ad altrettanti lucri

per la banca la quale, patrocinato il prodotto, aveva dato ordine alle

direzioni regionali di classarlo privatamente.

Sul punto, dato che la responsabilità amministrativa delle persone

giuridiche sarebbe stata introdotta solo successivamente (con il D. Lgs.

231/2001), per la vendita di questo sostanziale prodotto-scommessa furono

imputati i direttori di sede responsabili delle operazioni.

Questi, assolti in prima istanza16

, venivano invece condannati in Appello

per il reato di truffa aggravata17

(e così la fecero franca anche i vertici della

banca i quali —a seconda dei casi— tale prodotto avevano progettato o

approvato o consentito, e che probabilmente l'avevano, se non imposto,

tuttavia suggerito ai responsabili di sede con allusione ai bonus, alla

carriera, agli eventuali … trasferimenti, e che —certo ai sensi di legge—

ne uscirono impuniti).

Le conclusioni della Corte d'Appello venivano infine confermate dalla

Suprema Corte, la quale argomentava fra l'altro come segue:

"Se il prodotto finanziario fosse stato ben compreso nella sua

rischiosità, di certo non sarebbe mai stato acquistato dai clienti della

banca, stante l'improponibilità nei confronti di qualunque investitore

… di un'operazione che, a fronte di modestissimi guadagni,

comportava invece rischi di perdite molto elevate.

Inoltre, la svalutazione della lira e l'uscita dallo SME non erano,

all'epoca, fatti imprevedibili … (…) … essendo la lira sopravvalutata,

con una situazione di stabilità incongrua rispetto alla reale situazione

economica, col rischio concreto e immanente di una sua svalutazione,

tanto da rendere altamente rischioso ogni affidamento al riguardo, pur

tenendo conto dell'intervento delle Banche Centrali.

Va quindi condivisa la valutazione … che la banca fosse pienamente

consapevole del rapporto rischio-rendimento che la caratterizzava e

abbia operato nel proprio interesse, speculando al rialzo sul marco e

lasciando che il cliente corresse i rischi della svalutazione della lira e

delle sua fuoriuscita dalla banda di oscillazione dello SME.

… gli imputati appellati erano pienamente consapevoli delle insidie e

criticità che caratterizzavano l'operazione, dell'anomalo rapporto

rischio-rendimento che la contraddistingueva e delle ragioni per cui la

dovevano offrire alla clientela, pur trattandosi di un prodotto di per sé

invendibile, essendo a basso rendimento e ad elevato rischio, come

ben evidenziato dalla … definizione data dal PM appellante di truffa

auto-evidente, nel senso che se l'operazione, nonostante la sua

improponibilità, è stata conclusa, ciò non può che essere avvenuto in

16

Tribunale Milano, sentenza 9 marzo 2005, n. 2918 17

Appello Milano, sentenza 27 febbraio 2008, n. 879

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I Consigli di Amministrazione delle S.p.A. fra mitologie romantiche e patologie sempiterne

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seguito a una mendace e dunque proponente informazione idonea ad

indurre in errore il malcapitato contraente …

… gli imputati, consapevoli della alta rischiosità del prodotto, ma

indotti alla vendita dalle indicate strategie aziendali di profitto e

copertura …, hanno minimizzato i rischi proponendo l'operazione ai

fiduciosi clienti come prodotto a basso rischio-rendimento realizzando

la condotta idonea a configurare le truffe contestate …

… gli imputati hanno descritto l'operazione ai clienti della banca come

un investimento tranquillo, diretto solo alla migliore clientela e che, a

fronte di una modesta aspettativa di guadagno, presentava rischi

limitati, essendo stati erroneamente descritti come rischi remoti quelli

effettivamente prospettabili: falsa rappresentazione, totalmente

divaricata dalla realtà …

In relazione all'operazione economica posta in essere dalle parti, non

si verte peraltro in tema di reato permanente, né di reato istantaneo ad

effetti permanenti - ricostruzioni che postulano l'unitarietà della

condotta dell'agente - bensì … di reato a consumazione prolungata18

:

giacché il soggetto palesa la volontà, fin dall'inizio, di realizzare un

evento destinato a durare nel tempo, quantomeno per tutta la durata

annuale dei singoli contratti."19

.

4.5. Le operazioni in titoli della Banca E, 1998-2000

Al 30 settembre 2000 l’analisi dei rischi in essere per la banca C,

importante banca popolare quotata alla Borsa-Valori di Milano, evidenziava

—con riferimento alle risultanze dell'ispezione di Vigilanza— i seguenti

valori:

Valutazione aziendale

Valutazione ispettiva

Differenze

Posizioni in sofferenza

3.034 3.580 + 546

Partite incagliate 706 762 + 56

Posizioni ristrutturate

516

516

=

Previsioni di perdita

1.444 1.879 + 435

Dal punto di vista aziendale tali risultanze ragioneristiche esprimevano in

realtà —come sempre— coordinazioni lucrative altalenanti, a propria volta

espressione di combinazioni produttive orientate da scelte di gestione

18

Suprema Corte di Cassazione, Sezione II, sentenza 3 Marzo 2005, n. 11026 19

Suprema Corte di Cassazione, Sezione II Penale, sentenza 15 ottobre - 13 novembre

2009, n. 43347

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Arnaldo Canziani

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discutibili per molti motivi, non ultimo l'inadeguato sostegno di tipo

organizzativo e informatico:

a. agli amministratori delegati erano attribuiti ambiti di autonomia così

ampî che erano rimessi alle loro scelte sia il dimensionamento del

portafoglio sia la composizione qualitativa dello stesso;

b. le procedure conseguenti —fino a fine 2000— non consentivano la

valorizzazione quotidiana del portafoglio medesimo, e neppure

comprendevano modalità alcuna di misura del rischio;

c. i sistemi di reporting non consentivano l’adeguato apprezzamento e

dell’attività svolta e dei rischi connessi; i controlli della funzione

ispettiva risultavano sporadici e poco incisivi; il regolamento

interno, successivo al 1998, veniva applicato in modo incompleto

(questo per eufemismo — o vorremmo dire asimmetrico?).

In particolare, la struttura incaricata della negoziazione-titoli (Ufficio

Investimenti Finanziarî) nel corso degli anni Novanta —fino al dicembre

1999— provvedeva all’acquisto diretto di titoli, nell’attesa di ricollocarli

nei portafogli della clientela; provvedeva anche, ove invenduti, alla

valorizzazione degli stessi.

L’ufficio in parola provvedeva inoltre ad assumere posizioni speculative,

e infine poneva in essere operazioni altamente complesse e rischiose nel

segmento delle obbligazioni strutturate: a dicembre 2000 il portafoglio-titoli

assommava a lire 5.698 miliardi, le minusvalenze —dichiarate alla data—

a lire 251,6 miliardi.

In particolare, nell’ambito delle operazioni in obbligazioni strutturate

vennero effettuate le seguenti operazioni:

acquisto da Banca Profilo di lire 2 miliardi 700 milioni di titoli Sek

(Swedish export credit) indicizzati al default del debito russo in data

10 agosto 1998 (con valuta 4 agosto), giorno antecedente alla

dichiarazione del suddetto default; cessione dello stesso alla

medesima controparte in data 31 agosto 1998 per il controvalore di

lire 527 milioni, con perdita di lire 2,2 miliardi circa;

a prezzi non-di-mercato, acquisto da Banca Profilo di lire 54,2

miliardi di titoli Merrill Lynch 2014 strutturati non-quotati;

a prezzi non-di-mercato, vendita a Centrosim di lire 50 miliardi

nominali di titoli indicizzati Mediocredito Centrale 1998-2003.

Sempre nell’ambito delle operazioni in obbligazioni strutturate, venne

poi realizzata l’operazione seguente.

Nel corso dell’esercizio 1998: i) la banca acquista titoli non quotati il cui

corso —al 1999— ne imporrebbe la svalutazione per l’importo di 110

miliardi di lire; ii) la banca ne chiede a Lehman Brothers la

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smobilizzazione; iii) Lehman Brothers si dichiara indisponibile, ma

suggerisce tuttavia di rivolgersi a Lemanik S.A. di Lugano. A prezzi non di

mercato la Banca C in discorso definisce quindi con tale controparte

elvetica la vendita degli stessi titoli a un prezzo maggiore del prezzo di

carico (per complessivi lire 124,1 miliardi), impegnandosi tuttavia per

converso alla sottoscrizione —per l’importo di lire 309,8 miliardi—

dell’intera emissione del prestito obbligazionario Jackson con scadenza

2014.

In sede di bilancio 1999 tali obbligazioni venivano infine iscritte fra le

partite a breve (trading), e non fra le <immobilizzazioni finanziarie>.

(Quale obiter dictum si segnala infine che alcuni esponenti di Banca C

sono ancora attivi nel sistema, naturalmente con posizioni di maggior rilievo

rispetto a tali fatti — probabilmente li ignoravano, o li avrà gestiti in

segreto il ricordato Ufficio Investimenti Finanziari).

5. Vertici tiranni, consiglieri asserviti: la gestione strategica e

organizzativa nei gruppi di società e i "conigli di amministrazione"

delle controllate

E per restare alle patologie, di ulteriori e speciali se ne manifestano non

di rado nei gruppi di società ove, in spregio all'eventuale presenza di

azionisti terzi, e comunque in spregio agli obblighi di informativa corretta e

trasparente, non di rado la holding opprime in senso tecnico-giuridico le

controllate dei varî livelli, orientando le deliberazioni dei relativi consigli di

amministrazione al vantaggio della capogruppo e allo svantaggio della

controllata.

Da una deposizione alla Procura della Repubblica di Milano al termine

della Prima Repubblica (epoca Tangentopoli) —deposizione relativa a un

grande gruppo della quale le sub-holding e alcune controllate sono Società

per Azioni di diritto italiano quotate alla (allora) Borsa-Valori di Milano—

risulta ad esempio quanto segue:

«Vengo a parlare della effettiva gestione del gruppo. Essa è

singolarmente accentrata in pochissime persone. Mi riferisco a uno

staff che fa capo al dottor ******, amministratore delegato della

holding. Sotto di loro vi era il dottor *****, responsabile del settore

bilancio. Vale a dire al coordinamento delle politiche di bilancio, sia

consolidato del gruppo, sia delle singole società e settori. Da lui

partivano le direttive su come redigere i vari bilanci. A lui arrivavano

tutte le bozze di bilancio prima della loro pubblicazione.

Questo staff di persone era gerarchicamente slacciato dai rapporti del

gruppo e aveva autorità al di là delle singole cariche formali nelle

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Arnaldo Canziani

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varie società. Formalmente le decisioni appartenevano a questi ultimi,

nella sostanza esse erano assunte da quello staff. » .

Risulta poi da interrogatori giudiziali del 18 gennaio 1996 relativi a

scandali finanziari della Prima Repubblica (epoca <Tangentopoli>, i verbali

non-secretati sono relativi a holding industriale-finanziaria quotata alla

Borsa-Valori di Milano).

«La politica di vendere per il tramite di trading companies rispondeva

all’esigenza di far rimanere utili all’estero; era una pratica illegale dal

punto di vista valutario. Passavano attraverso le trading companies

tutte le transazioni relative a vendite verso i paesi del Terzo mondo.

La contabilità delle trading companies era tenuta all’estero, ma era

seguita in sede, in amministrazione. Una volta discutemmo della

necessità di rendere credibile ai fini valutari la interposizione delle

trading companies, perché all’estero c’era una persona sola, mentre in

sede tre persone redigevano fisicamente le fatture. I prezzi erano fatti

da *** e da ***: essi erano stabiliti tenendo conto della necessità di

rimanere nell’ambito della credibilità, ma anche di portare all’estero

parte dei profitti.

Non ci furono consigli di amministrazione su questi argomenti,

che erano riservati. » .

Ancora, risulta da interrogatori giudiziali del 1° aprile 1995 relativi alla

holding qui sopra:

«Per quanto riguarda i fondi prelevati periodicamente per spese prive

di giustificazione, i c.d. <prelievi mensili fantasma>, dichiaro di

essere a conoscenza di questa prassi. Ne faceva richiesta il dottor ***,

ma analoghe richieste provenivano anche da altre persone come il

dottor ***, il dottor ***, l’ingegner ***.

Posso tuttavia affermare di non aver mai gestito questi fondi. Non li

ho mai visti, nessuno me li affidò in consegna. Posso affermare che

molto vagamente seppi di una verifica ex post. Può essere che

compaia annotazione di ratifica in seno a verbali del Consiglio di

amministrazione.

Dico ciò presuntivamente poiché il testo di questi verbali era

redatto presso la holding, e ci si occupava soltanto che vi fosse

stata l’effettiva partecipazione di quanti erano stati dati come

presenti. Ma non si leggeva neanche il testo del verbale. Nessuno

mi impedì di leggere il testo, che io firmavo, ma dando per scontato

che fosse correttamente riportato quanto si era detto nel corso

dell’anno. Lo stesso dicasi per l’approvazione del bilancio. » .

Risulta infine da interrogatori giudiziali del 27 aprile 1993 relativi ad

altra holding industrial-finanziaria quotata:

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«Quando fui nominato amministratore delegato della società nel 1988,

il presidente *** mi chiamò, e in pratica mi “iniziò” spiegandomi che

vi era la necessità e l’abitudine di pagare tangenti a persone che

potevano influire sul buon andamento dei nostri contratti.

In una delle prime riunioni del comitato operativo, il dottor *** ci

relazionò sul fatto che la società gestiva fondi neri e che era lui la

persona che si occupava della questione. All’epoca tali fondi

ammontavano a 4 miliardi, concentrati presso la Società ***, con sede

a Channel Islands e uffici a Londra. Quando il dottor *** morì, il

presidente mi fornì una lista delle tangenti da pagare.

Fra 1990 e 1992 il totale dei fondi extra-bilancio ammontava a 22

milioni di dollari. I versamenti agli onorevoli *** e *** erano

effettuati estero su estero. Le disponibilità erano state create con

un complesso giro di fatture false o con la non-iscrizione a bilancio

delle vendite di immobili da parte della nostra controllata in

Ecuador. Quando esse infine giungevano alla Società *** di Vaduz

(Liechtenstein) impartivamo gli ordini di smistamento. » .

Risulta da interrogatori giudiziali del 4, 9, 13, 17 maggio 1993, 17

settembre 1993 relativi a quest'ultima holdding:

« Nel 1985 allorché divenni amministratore delegato della ***,

l’amministratore delegato della holding mi fece presente che il gruppo

aveva a disposizione a Lugano un <tesoretto> presso *** S.A., ovvero

somme di denaro extra-bilancio in quanto formalmente la *** S.A.

non risultava a bilancio di alcuna delle società del gruppo.

I fondi situati all’estero potevano essere utilizzati dal gruppo per

provvigioni a nominativi esteri. Questo denaro apparteneva

naturalmente al gruppo, e dell’esistenza di esso erano a conoscenza lui

e inoltre i legali rappresentanti pro tempore della holding

internazionale del gruppo.

Questo <tesoretto> era stato a suo tempo costituito con fondi

provenienti da società partecipate all’estero. In pratica da questo conto

tutti gli amministratori delegati delle sub-holding e lui stesso potevano

prelevare per le esigenze di qualsiasi società del gruppo. All’epoca

soltanto coloro i quali rivestivano la carica di amministratore delegato

potevano disporre di potestà decisionale sui conti esteri.

Nel dicembre 1991 venni contattato dal senatore ***, uno dei referenti

politici di rilievo nella capitale, cioè un personaggio che era meglio

non avere per nemico per evitare ostruzionismi (omissis): il 23 marzo

1992 trasferimmo $ 1.996.000 da *** S.A. alla fiduciaria ***

(Panama), che non risulta consolidata nel nostro bilancio, e il dottor

*** provvide secondo le istruzioni del senatore ***.”

“Procuratore della *** S.A. di Lugano era il Signor ***, il quale

ordinava i trasferimenti di cifre su disposizione dei suddetti, e che —

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nel marzo di ogni anno— riceveva l’ordine supplementare

<distruggere tutto>.

Della contabilità restavano solo tracce molto sommarie. Dal 1°

gennaio 1985 al 31 dicembre 1992 la Guardia di Finanza ha accertato

un totale di almeno 400 operazioni e un ammontare dei fondi neri

superiore ai 250 miliardi di lire (3 miliardi di lire italiane, 47 milioni

di dollari, 176 milioni di franchi svizzeri). Nella documentazione

pervenuta talvolta sono omessi l’indicazione della banca cui sono state

accreditate le somme, o il numero di conto anonimo, o le credenziali

del beneficiario; oppure sono illeggibili a causa della qualità delle

copie fotostatiche. » .

6. Conclusioni

Da parte di molti —anche cosiddetti cattolici— il campo dell'economia

è riguardato come legibus solutus per motivi molteplici, tutti patologici.

In tale visione si mescolano motivazioni anche inconscie (inconscie?) di

vario genere, note in letteratura sin dall'antichità classica, e analiticamente

interpretate dalla morale cattolica già prima di San Tommaso, poi con lui,

poi giù fino a Sant'Alfonso de' Liguori per concludere già nel 1700 con la

Prompta biblioteca del Ferrari.

Si mescolano quindi nei comportamenti illeciti, anche patologici,

l'interesse, l'avidità, l'egoismo, il disprezzo del prossimo, congiunti non di

rado all'intelligenza pratica superiore alla media giacché priva di principî e

orientata dalla calliditas e dall'auri sacra fames —dunque, giacché

malfondata, desiderosa di gabbare il mondo a vantaggio proprio, e di

dimostrarglisi superiore—.

Vi si mescolano —in aggiunta— il generale rinchiudersi delle

prospettive personali nei brevi orizzonti dei luoghi e del secolo, anzi talora

del momento e dell'ora, e infine l'amore per il rischio, il disprezzo delle

leggi e la coscienza dell'impunità, o infine la ricerca della stessa fidando

nella debolezza altrui, nell'inefficienza dei sistemi giudiziarî, nel proprio

potere corruttivo.

D'altra parte sempre così è avvenuto, sin dall'orazione In Verrem di

Cicerone; rectius, è sempre avvenuto soprattutto nelle epoche sregolate, nei

periodi agitati, nei popoli privi di morale, negli Stati corrotti a cominciare

dai Principi o, modernamente, dalla classe politica.

Per quanto riguarda l'Italia, per restare agli anni Novanta del secolo XX

—senza dunque riandare allo scandalo bancario di Torino di fine Ottocento,

allo scandalo della Banca Romana, alla "guerra per banche" e al crollo della

Banca Italiana di Sconto (1918-23), allo scandalo del Banco di Roma

(1926), alle malversazioni delle banche che poi costringeranno il Fascismo

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I Consigli di Amministrazione delle S.p.A. fra mitologie romantiche e patologie sempiterne

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ai grandi salvataggi che culmineranno nell'I.R.I. (1928-33)— basterà

rammentare le fattispecie seguenti:

a. le improvvise voragini per centinaia (o migliaia) di miliardi apertesi

nei bilanci true and fair —dunque regolarmente firmati, e

controllati, e revisionati, e depositati— di alcune fra le principali

società quotate alla Borsa di Milano negli anni '90 del secolo XX, da

Banco di Napoli S.p.A. a Gemina S.p.A. a Pirelli S.p.A., voragini

inaspettate per quasi tutti giacché occultate nelle valutazioni, non

previste nei fondi rischi, non esposte nei conti d'ordine,

adeguatamente taciute persino nelle Relazioni Semestrali;

b. le crisi di grandi banche —specialmente Casse di Risparmio, ma

non solo— aventi sede in Piemonte, in Veneto, in Toscana, in

Calabria, nelle Puglie, in Sicilia, sovente operanti su tutto il territorio

nazionale e in taluni casi quotate al mercato 'ristretto', alcune

costrette —dopo revisione— alla chiusura degli sportelli o

all'assorbimento magnanimo da parte di entità bancarie maggiori (e a

tal fine convinte o agevolate o forzate, o assorbitrici soltanto giacché

più protette);

c. i casi —fra gli altri— delle citate Parmalat, Telecom-Serbia, e oggi

di altre non citate nei settori dell'edilizia, della moda, delle

costruzioni navali, et al.;

d. la folla di procedure concorsuali, in specie fallimentari, ove i curatori

si erano visti costretti a trasmettere gli atti alla Procura della

Repubblica "per quanto di competenza", ciò adombrando le

fattispecie dei reati di falso in bilancio, false comunicazioni sociali

—trattandosi all'epoca di fattispecie (commissive od omissive)

aventi rilevanza penale—, quando non (in ordine alfabetico)

associazione per delinquere; bancarotta semplice, fraudolenta,

documentale o preferenziale; estorsione; truffa; usura;

e. infine, anche nel 'migliore' dei casi, le sottili e ripetute alchimie —

grazie a riconosciuti Maestri dell'elusione tributaria— per

minimizzare il carico impositivo e per 'ammorbidire' i soci più

riottosi, se ormai persino i software per la redazione di bilancio

comprendevano —ma nella frequente inconsapevolezza degli

Autori che ne scrivevano, giuristi e non— le fasi i) simulazioni, ii)

integrazioni con la dichiarazione dei redditi, iii) minimizzazione del

carico tributario, e altre che ci si vergogna di riferire in questa sede.

Ora, quanto precede forse non accadde per "imprevedibili vicende di

mercato", "shock economici esogeni", "congiuntura avversa", "fattori

internazionali di crisi", "concorrenza di nazioni con bassi salarî e valuta

inconvertibile", o altre varietà di comodo: l'azione delle personae fu non

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Arnaldo Canziani

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solo partecipe, ma anzi causale, determinante, non di rado programmatica e

volitiva.

Forse per questo, proprio a valle di quelle contingenze che pur aveva

fatto in tempo a vedere nella loro declinazione contemporanea, il compianto

Collega Raffaele D'Oriano si interrogava sulle possibilità di soluzione

sistematica a riguardo dei bilanci d'esercizio20

.

Sistematica, se con tutte le innovazioni in tema di <controllo pubblico>

continuava la commedia (ma anzi sovente la farsa, e purtroppo per molti

risparmiatori la tragedia) di bilanci falsi, amministratori incapaci o disonesti,

sindaci distratti, certificazioni en consequence, insomma dei controllori di

minoranza che sbancavano più o meno elegantemente le maggioranze

disgregate o dei managers che —prima di lasciarle— sbancavano

allegramente le società che amministravano, e talora completavano il

sacheggio tramite stock options e buonuscite variamente qualificate dal

punto di vista giuridico. (E, a ben vedere, "liquidazioni" variamente

qualificabili anche dal punto di vista penale ove si potesse e volesse, esse

comprendendo in realtà i) l'asportazione, o la distruzione variamente

concordata di documenti, ii) patti di quaeta non movere a causa di

ricattabilità reciproca, compreso il patto —con i Prominente reliquati e

adeguatamente convinti— a far fallire eventuali proposte che consiglieri

formulassero in tema di azione di responsabilità ex art. … C.C.; iii) super-

liquidazioni comprensive del "prezzo del silenzio", o anticipatamente

compensative degli eventuali disguidi giudiziarî successivi; et al. — beati i

tempi in cui ci si limitava al patto di non-concorrenza!).

Ma infine, giacché il tutto è avvenuto nell'ambito dei consigli di

amministrazione, anzi per il tramite degli stessi e dei loro componenti, si

può forse riflettere all'inseverimento della normativa, specie per quanto

riguarda le società quotate, nonché quelle ove risulti preminente l'interesse

pubblico (o del pubblico, e.g. le banche e le imprese di assicurazione).

Certo, non ci si può —né ci si vuole illudere— che ciò possa bastare.

Il tema, come si ricordava più sopra, se risale a Verre e ad altri esplode

poi con l'economia moderna, specie in presenza di guerre e rivoluzioni,

governanti ladri, ridotta coscienza sociale, disordinata circolazione delle

élites, troppo rapida crescita economica, eccesso di spesa pubblica. Del resto

già diceva predicando nel primo Settecento il p. Liborio Siniscalchi della

Compagnia di Gesù:

<Ho veduto un grande ingoiare di roba d’altri,

20

Cfr., dell'a., Per il ritorno a una concezione classica in tema di bilancio di esercizio, in

AA. VV., Scritti di Economia Aziendale in memoria di Raffaele D'Oriano, Padova,

CEDAM, 1997, vol. I, pp. 189-210

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ho veduto grandi ingiustizie nei Tribunali,

grandi usure nei contratti, gran frodi nei fondachi.

Ma non ho veduto altrettante restituzioni. Altrettante?

Ahi, non ho veduto neppur una restituzione!>21

.

E d'altra parte ricordava Emmanuel Kant poco dopo che "non esiste una

legge per fare obbedire alle leggi", e che tale obbedienza non può che

derivare dalla volontà morale —laica o religiosa che sia—, insomma dalla

innere Führung che sola può guidare al compimento di azioni appunto

morali anche se contrastanti (soprattutto ove contrastanti) con interessi

privati di tipo economico, personale e sociale.

E tuttavia, anche al fine di un migliore funzionamento dei Consigli di

Amministrazione, e proprio nel migliore interesse di amministratori e

amministrati, potrebbe ritenersi opportuno che —de lege ferenda—

soprattutto per le società quotate, bancarie e assicurative venissero ri-

penalizzate o inseverite alcune fattispecie (dalle false comunicazioni sociali

all'illegale ripartizione di utili, e in generale ai comportamenti commissivi e

omissivi), come pure venissero accresciuti i poteri non solo ispettivi di

alcune agenzie, massime dell'Authority sulla Concorrenza e della

Commissione nazionale per le Società e la Borsa e, con quelli, la scelta di

persone che intendano effettivamente e saggiamente esercitarli.

21

p. L. SINISCALCHI s.j., Quaresimale. Aggiuntivi cinque discorsi sulla Passione del

Redentore per li Venerdì di Quaresima, Venezia, Appresso Lorenzo Baseggio, 2a edizione,

1744, Predica XXXIII nel Venerdì dopo la domenica di Passione, Dell'interesse, pp. 290-

300, a p. 297

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DIPARTIMENTO DI ECONOMIA AZIENDALE PAPERS PUBBLICATI DAL 2008 AL 2011 :

74- Giuseppina GANDINI, Raffaella CASSANO, Sistemi giuridici a confronto: modelli di

corporate governance e comunicazione aziendale, maggio 2008.

75- Giuseppe BERTOLI, Bruno BUSACCA, Michela APOSTOLO, Dominanza della

marca e successo del co-branding: una verifica sperimentale, maggio 2008.

76- Alberto MARCHESE, Il ricambio generazionale nell‟impresa: il patto di famiglia,

maggio 2008.

77- Pierpaolo FERRARI, Leasing, factoring e credito al consumo: business maturi e in

declino o “cash cow”?, giugno 2008.

78- Giuseppe BERTOLI, Globalizzazione dei mercati e sviluppo dell‟economia cinese,

giugno 2008.

79- Arnaldo CANZIANI, Giovanni Demaria (1899-1998) nei ricordi di un allievo, ottobre

2008.

80- Guido ABATE, I fondi comuni e l‟approccio multimanager: modelli a confronto,

novembre 2008.

81- Paolo BOGARELLI, Unità e controllo economico nel governo dell‟impresa: il

contributo degli studiosi italiani nella prima metà del XX secolo, dicembre 2008.

82- Marco BERGAMASCHI, Marchi, imprese e sociologia dell‟abbigliamento d‟alta

moda, dicembre 2008.

83- Marta Maria PEDRINOLA, I gruppi societari e le loro politiche tributarie: il dividend

washing, dicembre 2008.

84- Federico MANFRIN, La natura economico-aziendale dell‟istituto societario,

dicembre 2008.

85- Sergio ALBERTINI, Caterina MUZZI, La diffusione delle ICT nei sistemi produttivi

locali: una riflessione teorica ed una proposta metodologica, dicembre 2008.

86- Giuseppina GANDINI, Francesca GENNARI, Funzione di compliance e

responsabilità di governance, dicembre 2008.

87- Sante MAIOLICA, Il mezzanine finance: evoluzione strutturale alla luce delle nuove

dinamiche di mercato, febbraio 2009.

88- Giuseppe BERTOLI, Bruno BUSACCA, Brand extension, counterextension,

cobranding, febbraio 2009.

89- Luisa BOSETTI, Corporate Governance and Internal Control: Evidence from Local

Public Utilities, febbraio 2009.

90- Roberto RUOZI, Pierpaolo FERRARI, Il rischio di liquidità nelle banche: aspetti

economici e profili regolamentari, febbraio 2009.

91- Richard BAKER, Yuri BIONDI, Qiusheng ZHANG, Should Merger Accounting be

Reconsidered?: A Discussion Based on the Chinese Approach to Accounting for

Business Combinations, maggio 2009.

92- Giuseppe PROVENZANO, Crisi finanziaria o crisi dell‟economia reale?, maggio

2009.

93- Arnaldo CANZIANI, Le rivoluzioni zappiane— reddito, economia aziendale — agli

inizî del secolo XXI, giugno 2009.

94- Annalisa BALDISSERA, Profili critici relativi al recesso nelle società a

responsabilità limitata dopo la riforma del 2003, luglio 2009.

95- Marco BERGAMASCHI, Analisi ambientale della Cina e strategie di localizzazione

delle imprese italiane, novembre 2009.

96- Alberto FALINI, Stefania PRIMAVERA, Processi di risanamento e finalità

Serie depositata a norma di legge. L’elenco completo dei paper è disponibile al

seguente indirizzo internet http://www.unibs.it/dipartimenti/economia-aziendale

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d‟impresa nelle procedure di amministrazione straordinaria, dicembre 2009.

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Page 47: I CONSIGLI DI AMMINISTRAZIONE DELLE SOCIETÀ PER … · Alcune fattispecie patologiche dagli anni Trenta del secolo XX ... tedesca, pur poi discussa per le impefezioni e gli errori,

Università degli Studi Dipartimento didi Brescia Economia Aziendale

Dicembre 2011

Paper numero 122

Arnaldo CANZIANI

I CONSIGLI DI AMMINISTRAZIONEDELLE SOCIETÀ PER AZIONI

FRA MITOLOGIE ROMANTICHEE PATOLOGIE SEMPITERNE

Università degli Studi di BresciaDipartimento di Economia AziendaleContrada Santa Chiara, 50 - 25122 Bresciatel. 030.2988.551-552-553-554 - fax 030.295814e-mail: [email protected]

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