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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PADOVA FACOLTA’ DI LETTERE E FILOSOFIA TESI DI LAUREA IN DIALETTOLOGIA ITALIANA L’OMBRA DEL DIALETTO NEI ROMANZI DI ANDREA CAMILLERI Relatrice: Proff.ssa Gianna Marcato Laureanda: Manuela Bisconcin Numero di matricola: 450 938/Lt

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PADOVAFACOLTA’ DI LETTERE E FILOSOFIA

TESI DI LAUREA IN DIALETTOLOGIA ITALIANA

L’OMBRA DEL DIALETTO NEI ROMANZI DI

ANDREA CAMILLERI

Relatrice: Proff.ssa Gianna Marcato

Laureanda: Manuela Bisconcin Numero di matricola: 450 938/Lt

ANNO ACCADEMICO 2004-2005

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INTRODUZIONE

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Correva l’anno 1996 quando mio padre mi regalò un libro dal titolo Il cane di terracotta.- Hai presente Sciascia? - mi chiese. - Eccome no! - risposi. - Be’, siamo là, solo più simpatico - disse sorridendo.Il pensiero di poter leggere un giallo, con tutto ciò che il genere si porta dietro, unendoci qualche sana risata, non poteva che tentarmi. All’epoca avevo sedici anni.Da quel momento non avrei più smesso di leggere i libri di questo scrittore di nome Andrea Camilleri.

Otto anni più tardi mi si parava davanti un dilemma diffuso tra gli studenti universitari di lettere: l’argomento di tesi.Ancora una volta arrivò mio padre che con aria serafica disse: - Ma perché vai a spulciare tra quelli morti e sepolti! Scegli un autore vivo, no? -. - Tipo? - chiesi io, che neanche ci avevo pensato a quelli in carne e ossa.- Ma falla su Camilleri! Stai sempre a leggerlo, lo citi, fai le battute sicule! Metti tutto nero su bianco e la tesi è fatta! -.La faceva facile, lui. Comunque mi sembrò una grande idea, tutto quello che mi restava da fare era realizzarla.Oggi ho venticinque anni, a dirla tutta quasi ventisei, e questa idea, buttata là quasi per scherzo, l’ho realizzata sul serio.Non so fino a che punto questo sia un lavoro preciso e meticoloso, purtroppo la mia natura non contempla queste virtù, perciò un occhio esperto potrebbe vederci dell’approssimazione. Tuttavia so che mi sono impegnata che ho amato ogni pagina, che ho bestemmiato contro quel colosso che è la linguistica, che ho letto e riletto le storie di Camilleri perché entrasse nella mia mente tutto ciò che da esse trasuda, che ho cercato di disciplinarmi sempre. Se di questa tesi non si dirà che rappresenta un alto picco di indagine sulla produzione letteraria di Andrea Camilleri, almeno sarà stata un alto picco di indagine sulle mie capacità, sul mio modo di metterle alla prova, sulla mia promessa di mettere in pratica tutto ciò che ho imparato, e alla prossima occasione, fare meglio.In fondo una tesi deve insegnare questo, prima di tutto.

Manuela B.

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INDICE

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CAMILLERI: LA CRITICA E LE TRADUZIONI

1. Esordi dell’autore

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2. Camilleri all’estero: il problema delle traduzioni2.1 Il “caso Camilleri” in Portogallo2.2 Il “caso Camilleri” in Francia2.3 Il “caso Camilleri” in Norvegia2.4 Il “caso Camilleri” in Finlandia2.5 Il “caso Camilleri” in Danimarca2.6 Il “caso Camilleri” in Inghilterra2.7 Il “caso Camilleri” in Germania2.8 Il “caso Camilleri” in Ungheria2.9 Il “caso Camilleri” in Olanda2.10 Il “caso Camilleri” in Turchia2.11 Il “caso Camilleri” in Giappone2.12 Il “caso Camilleri” in America

3. Come si procede alla traduzione: esempio del brasiliano4. Sostenitori e detrattori di Camilleri

4.1 I sei indicatori 4.2 Un settimo indicatore possibile: le fiction e il teatro

LA LINGUA DI CAMILLERI

1. L’ombra del dialetto nei romanzi di Andrea Camilleri2. Le osservazioni critiche di Nunzio La Fauci: Camilleri

“tragediatore”3. Varietà linguistiche e loro funzioni nel testo

3.1 Dialetto siciliano locale3.2 Il dialetto di Catarella3.3 Altri dialetti3.4 Varietà mista3.5 L’uso del dialetto e l’uso dell’italiano3.6 Altre lingue

4. Fonologia, morfologia e sintassi nel lessico di Camilleri: saggio esplicativo

4.1 Alcuni fenomeni

IL LESSICO NEI ROMANZI DI ANDREA CAMILLERI

1. Commenti critici2. Analisi lessicale ne Il re di Girgenti

2.1 Lessico: il gioco a due mani tra siciliano e italiano 2.2 Lista dei verbi e frequenza delle forme2.3 Osservazioni sul rapporto tra forma dei verbi e modello

linguistico siciliano2.4 Lista degli aggettivi in ordine decrescente di frequenza

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2.5 Lista degli avverbi e delle locuzioni avverbiali in ordine decrescente di frequenza2.6 Lista dei pronomi in ordine decrescente di frequenza

3. Lo spagnolo ne Il re di Girgenti 4. La lingua e le strategie narrative ne Il re di Girgenti

CAMILLERI, LE TRADUZIONI E LA CRITICA

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1. Esordi dell’autore

Più che un caso, il mio è un fungo: “il fungo Camilleri” […], giacchè

sono venuto fuori negli ultimi tre anni all’improvviso.1

L’affermazione è tratta dall’intervento conclusivo di Camilleri al

convegno di Palermo dell’8 e 9 marzo 2002, intitolato Letteratura e

storia. Il caso Camilleri.

Mi sembra un buon punto di partenza da cui muovere per cercare di

delineare la figura di questo scrittore nel panorama letterario italiano

ed internazionale.

Ciò che l’autore dichiara di sé è vero, ma solo parzialmente, infatti già

nel 1980 esce Un filo di fumo, pubblicato da Garzanti, che lo vuole

corredato ad un glossario, compilato dallo stesso autore, per venire

incontro al pubblico che avrebbe potuto rimanere sconcertato da

quell’insolito e nuovissimo impasto di italiano e siciliano, vera e

principale caratteristica della scrittura di Camilleri.

Se questo romanzo, insieme a La strage dimenticata, del 1984,

costituisce il punto di partenza di un’attività letteraria che dal 1992

non conoscerà soste, tuttavia non bisogna dimenticare che è dal 1948

1 intervista a cura di Serena Filipponi, Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Milano, Volume LV-Fascicolo II- Maggio-Agosto 2002.

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che questo autore stampa e pubblica: in quell’anno Giuseppe Ungaretti

sceglie tre sue poesie e le pubblica in un’antologia della

prestigiosissima collana Lo Specchio di Mondatori; L’Ora di Palermo

senza conoscerlo pubblica i racconti che Camilleri invia in redazione,

così come vengono pubblicati in terza pagina da l’Italia socialista di

Aldo Garosci.

Prima, nel ’47, c’era stato il premio “Libera Stampa” di Lugano, la cui

giuria costituita da Gianfranco Contini, Carlo Bo, Giansiro Ferrata, si

trovò a dover selezionare dodici racconti di giovani autori da

tutt’Italia, fra i trecentosettanta pervenuti.

Tra i nomi dei prescelti troviamo quelli di Pier Paolo Pasolini, Andrea

Zanzotto, Davide Maria Turoldo e Andrea Camilleri.

Sarà il teatro ad interrompere questa produzione letteraria, infatti per

anni Camilleri sarà impegnato come sceneggiatore e regista, nonché

come insegnante all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “Silvio

D’Amico”; avrà il merito di portare per primo in Italia il teatro

esistenziale di Samuel Beckett, come per primo (e unico al mondo) ha

avuto dal Nobel irlandese l’autorizzazione scritta per la riduzione

televisiva dei suoi drammi maggiori: Aspettando Godot e Finale di

Partita.

I trascorsi televisivi di Camilleri hanno fatto sì che la sua prima opera

letteraria Il corso delle cose (1978), venisse adattata per uno

sceneggiato TV dal titolo La mano sugli occhi.

Nonostante queste soddisfazioni, l’ ispirazione letteraria tornò a farsi

impellente, e ricomincia così un percorso solo temporaneamente

interrotto.

Il frutto di questa rinnovata passione credo sia riassumibile in una

frase pronunciata da Andrea Camilleri durante un’intervista rilasciata

il 5 febbraio 2002 nella sua abitazione romana all’autrice di una tesi di

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laurea, Serena Filipponi, dal titolo: Lingua e metalingua nei romanzi

di Andrea Camilleri, redatta sotto la guida del professor Andrea

Masini2:

In questo momento mi arriva un fax dalla casa editrice tedesca

Lubble che dice: “Caro Camilleri, siamo lieti di comunicarle che i

suoi romanzi hanno raggiunto un milione di copie vendute. Allora,

me lo dice come si spiega un simile successo in una traduzione che

non è che sia per altro esemplare?”.

In realtà sarà lo stesso autore a precisare che quando i tedeschi

scrivono “un milione di copie vendute”, si riferiscono ai sette libri di

Montalbano tradotti, dunque è necessario dividere per sette questa

cifra; così come quando in Italia si parla di sei milioni di copie

vendute, le copie vanno divise per sedici (cioè il numero dei romanzi

dell’autore).

Fatta questa operazione di ridimensionamento, rimangono comunque

due elementi evidenti: da un lato, il numero di lettori è comunque

elevato, dato e considerato che l’approccio allo stile di Camilleri non

risulta immediato e semplice, dall’altro c’è un sensibile interesse da

parte dei mercati letterari stranieri per l’ importazione di questo

‘prodotto siciliano’, anche a costo di percorrere le impervie vie della

resa dialettale in lingua altra rispetto all’italiano.

2. Camilleri all’estero: il problema delle traduzioni

2 Ivi, p. 9.

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Camilleri attualmente viene tradotto in moltissimi paesi, anche i più

impensati: dalla Francia, Germania, Inghilterra, Portogallo, Finlandia,

Ungheria, Olanda, Norvegia, Svezia, Croazia, Polonia ecc. fino in

Turchia, Israele, Corea, Giappone e addirittura Stati Uniti.

Le difficoltà cui è necessario far fronte nel momento in cui si traduce

sono molte, di natura diversa, perciò sono necessari dei distinguo.

2.1 Il “caso Camilleri” in Portogallo

Dove i dialetti non esistono affatto i traduttori non hanno potuto

ricorrevi, anche qualora lo avessero voluto. Simonetta Neto, 3di

madrelingua italiana, ha tradotto in portoghese per la Difel Difusao

tutti i romanzi della serie Montalbano, esclusi gli ultimi tre. Dice la

traduttrice:

La conoscenza della lingua di partenza è molto più importante,

soprattutto in questo caso. Ho cercato di utilizzare forme che

corrispondessero il più possibile a una lingua colto-popolare come

è quella di Camilleri, aiutata da siciliani di origine.

Il risultato è un linguaggio colloquiale, non letterario, divertente quasi

quanto l’originale. Anche in questo caso le frasi in dialetto stretto si

sono mantenute, spiegate con note a piè pagina. La Neto ha tradotto

anche altri scrittori siciliani come Sciascia, Bufalino, ma solo per

Camilleri ha creato un vocabolario per inserirvi i termini di meno

immediata comprensione; il riscontro del pubblico è stato alto, tanto

che lo scrittore siciliano è il più conosciuto in Portogallo dopo

Umberto Eco e Antonio Tabucchi.

3 Per le dichiarazioni della Neto: Selezione dal Reader’s Digest, Luglio 2003, Laura Lombari.

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2.2 Il “caso Camilleri” in Francia

“Montalbano sono!”, la più celebre esclamazione del commissario a

tutti noto, suona quasi come una dichiarazione d’intenti, tanto da non

poter essere resa in francese con il corrispondente “Je suis

Montalbano”, perciò, seppur con una forzatura sintattica, viene

proposta un’alternativa ad effetto: “Montalbano je suis”.

A pensarla è stato lo scrittore e traduttore parigino Serge Quadruppani, 4adottato (per amore) dalla Sicilia, grazie ai metodi e alle soluzioni

linguistiche adottate per trasporre senza troppi scossoni il dialetto di

Camilleri nella sua lingua madre. Egli dichiara:

Dovevo far sentire la diversità delle tre lingue usate da Camilleri, e

quindi ho usato il francese normale per tradurre l’italiano normale,

mentre per l’italiano-siciliano di Camilleri ho preso in prestito

parole ed espressioni dialettali al sud della Francia. Per fare un

esempio, picciliddro, ‘bambino’, dalle parti di Marsiglia si dice

minou .

Purtroppo, però, i dialetti francesi non hanno un vocabolario così

vasto come il siciliano, e quindi alcuni termini sono andati persi:

non c’è un corrispettivo del siciliano taliàre ‘guardare’, o di spiare

‘domandare’. Questo naturalmente dipende dal fatto che la Francia

è stata unificata molto prima rispetto all’Italia, dove le lingue

regionali sono ancora molto vivaci.

Le frasi in siciliano stretto sono invece state riportate così come

sono, con traduzione tra parentesi.

Con questo metodo Quadruppani ha conquistato la fiducia della casa

editrice Fleuve Noir, che gli ha commissionato la traduzione di tutta la

4 Per le dichiarazioni di Quadruppani: Lombari L., op.cit., p.12.

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serie di Montalbano; il risultato è stato dei migliori, infatti ciascun

giallo ha venduto sulle 30-40 mila copie.

Tuttavia Quadruppani non è solo in questo lavoro; assieme a lui c’e

una traduttrice francese, Dominique Vittoz, 5che durante il convegno

di Palermo dell’8 e 9 marzo 2002 intitolato “Letteratura e storia. Il

caso Camilleri”, si è lanciata in una dura e puntuale requisitoria contro

il rigido centralismo che in fatto di lingua vige in Francia, in forza del

quale il patrimonio linguistico regionale è stato quasi spazzato via,

perché corrotto e subalterno. Ha dichiarato:

Per tradurre bene Camilleri, occorre recuperare la parlata

francoprovenzale di Lione, che conserva ancora risorse intatte, utile

per creare un francese meticcio in grado di rendere le sfumature del

camillerese.

2.3 Il “caso Camilleri” in Norvegia

Il traduttore norvegese di Camilleri, Jon Rognlien6, in un’intervista

pubblicata di recente, risponde a dieci domande sul suo lavoro di

traduzione su testi in lingua italiana. In particolare,

alla richiesta di come si ingegna nel restituire la “lingua” di Camilleri

nella cultura norvegese, sostiene:

La lingua di Camilleri non viene “restituita” nella mia traduzione.

La mia strategia comporta un tradimento radicale dell’idea di

equivalenza. […] Il problema più acuto nella traduzione di

Camilleri, è che l’autore si basa molto sull’uso del dialetto in senso

5

? S. Ferlita, Troppo eros, Camilleri e il tedesco va kaputt, “La Repubblica”, 10.03.2002- 2.3.6 Dorì Agrosì, 10 domande a Jon Rognlien, traduttore di Camilleri in norvegese, in “N.d.T. La Nota del Traduttore”, febbraio 2005.

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narrativo. Cioè, impiegando la lingua siciliana, riesce in modo

molto efficace a dire una grande varietà di cose al lettore italiano.

[…] L’autore conosce questa competenza del suo lettore, e conta

sulla capacità del singolo lettore di “riempire i buchi” nella

narrazione. […] per riscuotere dal lettore della mia traduzione di

Camilleri un giusto ripieno da mettere nei buchi del testo, ho

cambiato il gioco “dialettale” con un gioco “nazionale”, ragionando

così: la distanza tra Firenze e Palermo si può in un certo senso

paragonare alla distanza tra Norvegia e Italia. Ho scelto di lasciare

parecchi richiami alla lingua italiana nel mio testo, usando parole

che sono facilmente decifrabili con titoli come “commissario”,

“avvocato”, “cavaliere”, “signora”, nomi di piatti tipici, “omertà”,

“capo”, certe locuzioni lasciate in corsivo e poi subito spiegate. In

quel modo il testo cerca di fare un richiamo costante all’italianità

del testo (che comprende la sicilianità, per noi). Il gioco è un altro,

ma è analogo. Mi spiegai? (come dicono spesso i siciliani di

Camilleri).

2.4 Il “caso Camilleri” in Finlandia

Helina Kangas 7lavora per la più importante casa editrice finlandese, la

Wsoy. Le sue traduzioni della serie di Montalbano costituiscono

un’operazione più che sicura. La Kangas spiega:

Le nostre culture sono troppo diverse: così ho preferito usare un

linguaggio normale ma molto vivace, colorito, colloquiale, a volte

un po’ arcaico. Le frasi in dialetto stretto, invece, le ho lasciate tali

e quali, traducendole poi in finlandese. Il fatto di lasciare inalterati

7 Per le dichiarazioni della Kangas: Lombari L., op.cit., p.12.

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termini come ‘Ciao’, ‘Amore’, ‘Signora’, oltre all’ambientazione in

Sicilia, offre comunque un colore particolare alle storie.

2.5 Il “caso Camilleri” in Danimarca

La traduttrice Cecilia Jakobsen 8ha tradotto La forma dell’acqua, Il

cane di terracotta e Il ladro di merendine per la casa editrice Fremad.

Nel suo lavoro di traduzione ha rispettato le stratificazioni di voci e di

stili adottati da Camilleri, piegando la lingua danese a tutte le

necessità, anche se ci sono stati ostacoli insuperati: espressioni come

madunnuzza beddra, ‘madonnina bella’ o calìa e simenza ‘semi di ceci

e di grano abbrustoliti’ sono rimaste tali e quali, non esistendo termini

corrispondenti.

2.6 Il “caso Camilleri” in Inghilterra

Il traduttore di Camilleri in Inghilterra è Stephen Sartarelli9, che

durante il convegno a Palermo è intervenuto rilasciando una lunga

dichiarazione sul suo modo di affrontare la traduzione di testi stranieri;

le sue parole sono raccolte in un articolo: L’alterità linguistica di

Camilleri in inglese, in cui sostiene:

Quando si tratta allora di tradurre in inglese uno scrittore come

Andrea Camilleri, la cui originalità dipende anche da scarti rispetto

a norme linguistiche, alcuni problemi si pongono. Quello del

dialetto innanzitutto, cioè del se e del come tradurre il dialetto; ma

anche quello della stranezza del contenuto stesso, […]. Rimane

comunque il fatto che un dialetto sia un fenomeno strettamente

locale, e che nella lingua inglese i dialetti praticamente non

8 Per le dichiarazioni di Jakobsen: Lombari L., op.cit., p.12.9 Sartarelli S., L’alterità linguistica di Camilleri in inglese, Convegno di Palermo 8-9 marzo 2002, articolo modificato 06.12.2002.

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esistono più, […] non si può imporre ai poliziotti vigatesi il parlato

di un preciso luogo geografico americano, britannico, australiano,

ecc. […] si cerca quasi sempre di impedire il miscuglio linguistico,

di fare un prodotto che valga per tutti i possibili lettori [..]. Come

procedere allora? […] la strada più giusta mi sembra quella appunto

di non allontanarmi troppo da questa naturalezza camilleriana […].

Così, per esempio, quando si usano parolacce, oscenità, “santioni”,

e parole "vastase" nei dialoghi - che succede anche spesso - mi

conviene sempre attenermi, nella traduzione, a quell'area slang e

popolare che mi è più familiare, cioè quella americana (più

precisamente della regione nordorientale del paese), che poi sta

diventando quasi universalmente comprensibile nel mondo

anglofono per via soprattutto dei film e della televisione, ma che

non è certo quell'inglese corretto che s'impara a scuola. D'altro

canto, per non compromettere nemmeno la specificità anche

tematica quale si manifesta nel linguaggio di Camilleri, mi sono

permesso in diversi casi di tradurre letteralmente alcune espressioni

idiomatiche, sia siciliane che italiane, che non esistono in inglese.

Questa forzatura, se la vogliamo chiamare così, me la giustifico con

l'importanza direi musicale di alcune espressioni che appaiono e

riappaiono in Camilleri […]. Per farne alcuni esempi, l'autore

spesso non dice semplicemente "pazienza", ma quasi sempre "santa

pacienza". Ora in certi momenti della narrazione la santità di questa

pazienza contiene una carica spiccatamente ironica, come ne Il

Cane di Terracotta, quando Montalbano e i suoi uomini fanno un

gran casino nella montatura che è l'arresto del mafioso Tano u

grecu, e l'omicida Tano, che recita la sua parte, se ne sta buono

buono, le braccia alzate, appunto con santa pacienza; e in casi come

questo mi è sembrato giusto dire "with the patience of a saint"

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oppure "with saintly patience" proprio per conservare l'umorismo

del contrasto ironico, anche se queste formulazioni, peraltro

perfettamente accettabili in inglese, non sono correnti come lo sono

nel siciliano dell'autore. Un altro esempio di questo approccio

riguarda l'espressione italiana della "vita, morte e miracoli" di

qualcuno, espressione cui traducendo in inglese si potrebbe

sostituire un'altro idioma che occupa lo stesso spazio semantico,

quello che dice appunto della vita di uno from the cradle to the

grave, dalla culla alla tomba. Ma nel caso specifico del fu ingegner

Silvio Luparello nella Forma dell'Acqua, il quale appartiene

all'establishment cattolico politico e viene appunto santificato dalla

stampa e dalla televisione, è chiaramente meglio tradurla alla lettera

e conservare questo preciso elemento religioso dell'idioma. E così

faccio a volte anche con i pleonasmi dialettali - per esempio di

pirsona personalmente - proprio perché sono come dei motivi

ripetuti in modo musicale o teatrale a fine di ottenere precisi effetti

spesso comici.

2.7 Il “caso Camilleri” in Germania

Il traduttore dei gialli di Camilleri in Germania risponde al nome di

Moshe Khan.10 La sua scelta in campo linguistico diverge

completamente da quella del suo collega francese; nel tradurre per la

Wagenbah i romanzi storici da La mossa del cavallo a Il re di

Girgenti, e altri libri come Biografia del figlio cambiato e Le inchieste

del commissario Collura, egli non ritiene infatti concepibile l’uso dei

dialetti, come il bavarese usato nel sud della Germania, perché non

avrebbe reso “la mediterraneità del linguaggio” . Dichiara:

10 Per le dichiarazioni di Kahn: Lombari L., op.cit., p.12.

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Non c’è bisogno di alterare il linguaggio, perché le storie e

l’ambientazione sono chiare di per sé, così come la funzione del

dialetto: ne La mossa del cavallo per esempio, il dialetto genovese

è trattato da Camilleri come una lingua forestiera anche per i lettori

italiani. Per La concessione del telefono e Il re di Girgenti,

ambientati rispettivamente nel 1800 e nel 1700, ho invece giocato

con il tedesco antico e con quello stile indefinibile e aulico, che noi

chiamiamo ‘della cancelleria’, e che è usato nelle lettere delle

autorità.

Questa scelta, così diversa da quella francese, sembra però aver pagato

in termini di analogo successo: ogni titolo vende, nell’arco di due anni,

almeno 80 mila copie. Un interessante intervento di Kahn, avvenuto

nel corso del convegno di Palermo, intitolato Letteratura e storia. Il

caso Camilleri, riguarda le difficoltà incontrate per riprodurre in

tedesco il linguaggio erotico dell’autore: 11

Il tedesco non è affatto una lingua erotica. Per me è stata

un’operazione disgustosa, perché la mia lingua ambienta sempre le

cose più esplicite nella zona anale, per cui ho dovuto fare un

trapianto dei riferimenti in altre zone.

L’argomento pare esemplificativo delle difficoltà di traduzione che

uno scrittore incontra nel suo percorso.

2.8 Il “caso Camilleri” in Ungheria

11 Ferlita S., op. cit., p. 14.

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La traduttrice Lukacsi Margit 12lavora per una filiale ungherese,

purtroppo poco conosciuta, di una casa editrice tedesca;

per il suo lavoro di traduzione si è fatta aiutare da un professore

italiano di origine lucana, residente in Ungheria da parecchio tempo.

Dichiara:

In Ungheria non esistono dialetti forti come quelli italiani, e così ho

dovuto creare una lingua immaginaria e artificiale, e vi ho inserito

parole arcaiche.

L’intento della traduttrice era quello, in primo luogo, di creare nel

lettore un effetto di “straordinarietà”: il linguaggio che ne esce è molto

diverso dalla lingua dominante, anche se perfettamente comprensibile.

2.9 Il “caso Camilleri” in Olanda

La casa editrice olandese Serena ha fatto tradurre da Patti Krone e

Yond Boeke tutta la serie di Montalbano (fino a Il giro di boa).

Anche in questo caso il metodo di traduzione è stato vagliato e

concordato con l’editore. Annaserena Ferruzzi13, italiana residente ad

Amsterdam da circa trent’anni, fondatrice della Serena Libri, l’unica

casa editrice olandese che, da quando è nata, 1997, pubblica solo

romanzi tradotti dall’italiano, dice:

Abbiamo cercato di darci regole particolari per rendere il

linguaggio e il dialetto strano di alcuni personaggi, perché sarebbe

stato assurdo sfruttare un dialetto dei nostri, tipo il frisone, per far

parlare Montalbano, o Catarella. Inoltre, la lingua olandese è anche

un po’ più “seria” di quella italiana, con cui possiamo usare molto

più disinvoltamente termini volgari.

12 Per le dichiarazioni di Lukacsi: Lombari L., op.cit., p.12.13 Per le dichiarazioni della Ferruzzi: Lombari L., op.cit., 12.

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Il successo delle vendite è stato discreto, circa 1500 copie per i primi

libri, specialmente se paragonato agli altri autori italiani: solo Il giorno

della civetta di Sciascia è stato venduto come i gialli di Camilleri.

2.10 Il “caso Camilleri” in Turchia

Camilleri è arrivato in Turchia superando tutte le difficoltà relative ad

una traduzione in una lingua tanto diversa. Erdal Turan 14ha tradotto

La mossa del cavallo e La gita a Tindari. Per il primo dice di non aver

avuto problemi, perché è lo stesso Camilleri a spiegare le parti in

dialetto genovese. Per quanto riguarda Montalbano, ha fatto ricorso ad

un vocabolario italiano-siciliano e a quello “camilleriano” che si trova

su www.vigata.org. Il risultato sembra positivo, anche se per il suo

successo del pubblico bisognerà attendere.

2.11 Il “caso Camilleri” Giappone

Lo scrittore Chiusa Ken15, autore di testi come Dante e i suoi discepoli

e Come pensano gl’italiani (ha cioè dedicato un’intera carriera alla

nostra letteratura) ha tradotto per Kadowaka, La voce del violino e Il

ladro di merendine. Dice:

Per capire il dialetto di Montalbano, ho usato il dizionario siciliano-

italiano di Arnaldo Forni.

Ma anch’egli ha dovuto creare una lingua giapponese artificiale, per

riprodurre il gusto del dialetto; fortunatamente l’esistenza di molti

dialetti ha permesso di attingere a molti di questi creandone uno

estremamente duttile e flessibile.

Nonostante tutto, non tutte le 10 mila copie stampate sono state

vendute.14 Per le dichiarazioni di Turan: op.cit., p.12.15 Per le dichiarazioni di Ken: Lombari L., op.cit., p.12.

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2.12 Il “caso Camilleri” in America

Il traduttore americano dei romanzi di Camilleri è Stephen Sartarelli16,

lo stesso che traduce i romanzi anche per l’Inghilterra. Anche lui

ospite del già citato convegno di Palermo, è intervenuto precisando

che, al tempo, l’arrivo dei romanzi del commissario Montalbano in

America era recente, perciò fare delle stime era pressoché impossibile.

Tuttavia, qualora si fosse rivelato un successo, sarebbe stata tradotta

tutta la serie. Sulla lingua precisa:

In America non vi sono veri dialetti, ammesso che sia lecito usarli.

C’è la possibilità di scegliere un gergo tipico degli italoamericani e

che come tale ha una sua popolarità, ma sarebbe stato un

tradimento troppo forte, una volgarizzazione dell’originale.

Sartarelli, che inoltre sta lavorando da vent’anni alla versione inglese

di Horcynus Orca di D’Arrico, ha cercato di riprodurre la lingua di

Camilleri, magari mantenendo alla lettera qualche espressione

idiomatica.

I paesi citati, e le stesse traduzioni sono solo alcuni esempi che ho

sfruttato per dare una panoramica di quello che accade fuori dall’Italia

nel momento in cui ci si avvicina alla produzione camilleriana.

3. Come si procede alla traduzione: l’esempio del brasiliano

Un articolo tra i numerosissimi in merito alle traduzioni di Camilleri

ha destato il mio interesse, forse per il suo carattere specifico ed

16 Ferlita S., Un o stile canagliesco per tradurre Camilleri in America, in “la Repubblica”, 11.03.2002.

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esemplificativo; si tratta di una disamina di Maria Melena Kuner e

Giuseppe D’Angelo17, pubblicata su Mosaico Italiano, n.8 dal titolo:

“La sfida del traduttore: tradurre senza tradire”, che affronta la

questione della resa brasiliana di alcune espressioni siciliane, in

relazione all’uscita del romanzo Un filo di fumo(1980), che l’editore

Sellerio aveva voluto corredato di un glossario di ben dodici pagine

per supportare il lettore nella comprensione del testo.

Questo aveva creato una sfida in più, perché i traduttori oltre a dover

includere note a piè di pagina che spiegassero la complessità di certe

espressioni, e chiarissero i riferimenti ad avvenimenti storici

particolari, si erano visti costretti, quando fosse possibile, a cercare il

corrispondente dei proverbi popolari regionali italiani, con detti ed

espressioni brasiliane.

Esempi:

-‘prendere due piccioni con una fava’ o ‘due quaglie con un botto’

equivalgono al motto brasiliano matar dois coelhos de uma cajadada;

-‘salta il trunzo e va in culo all’ortolano’, che indica chi è destinato a

restare disgraziato a causa della posizione sociale che occupa, (ossia,

se a causa di un forte colpo della zappa, salta un pezzo di legno, esso

andrà fatalmente nel culo dell’ortolano), ha il suo equivalente nel a

corda arrebenta do lado mais fraco;

-supra a pasta, minnulicchi,‘sulla pasta, mandorlette’ è l’espressione

comune, il cui equivalente in Brasile può essere chove no molhado,

ossia aggiungere disgrazia a disgrazia;

-qualcosa di simile si verifica con cu venni appressu aggruppa i fili, in

cui il ‘legare i fili’, che tocca a chi sta dietro, letteralmente non ha

17 Maria Melena Kuner e Giuseppe D’ Angelo, La sfida del traduttore: tradurre senza tradire, “Mosaico Italiano” n.8.

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senso, costringendo il traduttore a cercare il proverbio corrispondente,

quem està por baixo è que leva a pior.

A volte sono espressioni o termini peculiari della cultura locale, che

richiedono anch’essi conoscenza e spiegazione:

-..con gli occhi di fuori come se fosse passato un angelo, si riferisce

alla leggenda popolare secondo la quale i bambini che fanno una

brutta faccia o smorfie, rimarrebbero così per sempre se per caso in

quel momento passasse un angelo;

-qualcuno che offre ‘chiacchiere e tabaccherie di legno’, miudezas e

caixinhas de madeira, sta alludendo al proverbio napoletano

‘chicchiere e tabacchiere di legno, il Banco di Napoli non s’impegna’

spiegazione del fatto che in quel banco esiste una sezione di pegni

creato per i poveri, dove si accetta come pegno qualsiasi oggetto,

meno le scatole per il tabacco da fiuto di legno, che non meritano

prestito;

mettiri u carricu di unnici, in italiano vuol dire ‘attizzare una lite’, e ha

il corrispettivo brasiliano nell’espressione botar lenha na fogueira.

E’ ovvio che , tentando una traduzione di tali espressioni, si correrebbe

il rischio di incorrere in fraintendimenti, non riuscendo così a passare

il giusto significato delle espressioni.

Per quanto riguarda i lemmi locali contenuti nel glossario, alcuni dei

quali persino non registrati nei dizionari dialettali siciliani, tra essi

appaiono delle vere e proprie perle:

daresi udienza significa ‘badare a se stesso’, cuidar de si medesmo;

appinnicunato in italiano ‘semi-addormentato’, che deriva da

pinnicchiuni, la romana ‘pennichella’= siesta;

babbaluci, ‘lumaca’= lesma;

cajorda, nella traduzione italiana, ‘sporca, sordida’, che significa

anche ‘prostituta di basso rango’= piranha;

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ecc.

Altri e numerosi sarebbero gli esempi, ad ogni modo credo sia chiaro

l’ obiettivo dei traduttori; il tentativo cioè di rendere al lettore un testo

il più possibile fedele all’originale, obiettivo che a volte però costringe

a prendersi delle libertà, causa le esistenti ed inevitabili barriere

linguistiche.

Il concetto mi sembra perfettamente riassunto nella frase conclusiva

dell’articolo, che riporto:18

da quanto anzidetto circa le difficoltà incontrate nella traduzione di

Camilleri, si può capire come noi traduttori saremmo stati

facilmente tentati, ogni tanto, di mettergli le corna.

4. Sostenitori e detrattori di Camilleri

La questione delle traduzioni è un utile metro di misura per capire

quanto il “fenomeno Camilleri” sia diffuso.

Altra via, rispetto alle traduzioni per capire a fondo il “fenomeno

Camilleri”, è l’osservazione del modo in cui pubblico e critica

accolgono i suoi lavori.

Dalle mail dei semplici lettori che esprimono i loro giudizi sui romanzi

di Camilleri, inviandole al suo sito e rendendole materiale di pubblico

dibattito on line, ai saggi ed articoli dei critici di competenza, tutto

contribuisce a farci meglio comprendere il senso dell’operazione.

La critica dà voce a tutti: ai sostenitori, come anche alla fetta,

comunque sostanziosa, di “anticamilleriani”, ossia di tutti coloro i

quali, non vedono in questo scrittore siciliano uno dei depositari della

lunga tradizione letteraria italiana.

18 M. Kuner - D’ Angelo G., op. cit. p. 23.

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Jana Vizmuller-Zocco in un suo articolo19, intitolato “I test della

(im)popolarità: il fenomeno Camilleri”, affronta da ben sei punti di

vista, che lei chiama “test”, il così repentino e vasto successo

dell’autore.

Ciò che di positivo si trova in questa disamina ritengo sia

l’imparzialità con cui assegna meriti e demeriti, con cui cita sostenitori

e non, con quella che sembra un’unica finalità: capire, spiegarsi e

spiegare.

4.1 I sei indicatori

A. Le vendite;

per i lodatori, le vendite rispecchiano la popolarità dello scrittore e

danno appoggio alla sua opera; per la controparte “comprare non

significa leggere”.

Ciò che riesce a fare la differenza in questa divergenza d’opinioni,

sembra essere il ritrovamento a Palermo e Napoli di copie contraffatte

del romanzo La gita a Tindari; questo rende evidente ed innegabile la

popolarità dell’autore, tanto da giustificarne la contraffazione a scopi

di mercato.

B. I giudizi dei critici letterari;

premesso che questo argomento verrà affrontato in modo più completo

successivamente, è utile precisare che non tutti si sono schierati dalla

parte di Camilleri.Tra coloro che hanno scelto di appoggiarlo,

ricordiamo alcuni nomi illustri, tra cui Carlo Bo, Angelo Guglielmini

(Malatesta 199920), e Giuliano Manacorda, 21che cita l’autore nella

Storia della letteratura contemporanea, ma per il resto stenta ad 19 Vizmuller-Zocco J., I test della (im)popolarità: il fenomeno Camilleri in “QUADERNI d’italianistica, Official journal of the Canadian Society for italian studies”, Volume XXII, No.1, 2001.

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apparire nei libri che consacrano alla posterità la grandezza degli

scrittori.

Onofri, 22autore di due manuali del Novecento letterario italiano usciti

di recente, ritiene che Camilleri abbia realizzato semplicemente

“un’abilissima azione di mercato”.

alla domanda “Camilleri è bravo abbastanza per poter entrare tra i

grandi narratori del ventesimo secolo?”, Giulio Ferroni risponde

secco: “Per nulla” (Serri 2001:82).

Che Camilleri venga snobbato dall’egemonia imperante dei critici

letterari di grido non è una sorpresa, visto l’elitarismo culturale

italiano.

La visione di questa ristretta casta porta a considerare chiunque venda

molte copie dei propri lavori come un autore solo popolare, di poca

profondità contenutistica e di poca innovatività dell’espressione, un

rappresentante della letteratura “bassa”, insomma (Giovanardi 1998).23

C. Camilleri in rete;

Camilleri on line è dappertutto; dai siti di case editrici, in cui si

trovano informazioni sui romanzi, costi, recensioni, ecc., ai siti creati e

gestiti da dilettanti, che passano tutte le novità, le analisi linguistiche e

contenutistiche di alcuni romanzi, alcune fotografie, ecc. fino a veri e

propri fans club, cui ci si può iscrivere partecipando con interventi

personali, interagendo con gli altri iscritti, collaborando con le

20 Malatesta S., Camilleri tra i cannibali, “la Repubblica”, venerdì 17 settembre 1999.21 Manacorda G., Storia della letteratura contemporanea, 1996, Roma: Riuniti.22 Onofri Massimo, Tutti a cena da Don Mariano, Milano: Bompiani, 1995.23 Giovanardi S., 1998, Camilleri? Se vi piace il genere… in “Panorama”, N.48- anno XLIV- 3 Dicembre, 131-132.

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iniziative che vengono proposte: un esempio interessante di

quest’ultima attività in rete è la stesura di un vocabolario ad uso e

consumo dei lettori, cui in molti hanno dato il contributo.

Saranno più di due centinaia i siti.

Ne cito uno, che nel mio lavoro di ricerca è un costante punto di

riferimento: www.vigata.org .

D. Gli interventi degli intellettuali;

tre sono gli argomenti principali di cui si discute, approfondendo i

motivi per cui lodatori e detrattori dicono di amare oppure odiare

Camilleri:

- la visione della Sicilia che offre nei romanzi,

- schemi narrativi e personaggi,

- la forma linguistica.

Per quanto riguarda il primo punto, credo basti per tutti la stroncatura

senza prove d’appello che Francesco Merlo 24ha scritto su Il Corriere

della Sera nell’articolo nominato: “Camilleri che noia”:

Camilleri inventa una Sicilia arcaica, un’insularità quasi biologica,

come se la sicilianità fosse una questione di liquido seminale, un Dna,

una separatezza che non esiste ovviamente se non come stereotipo [..]

Il tutto descritto con la vena sentimentale di certe orrende cose di noi

stessi che ci piacciono tanto, quasi fossero anacronistiche verità da

paradiso perduto.

24 Merlo F., Camilleri, che noia. La falsa Sicilia di uno scrittore mito, “Corriere della Sera”, 11.12.2000, cfr. anche un precedente articolo dello stesso autore: La sicilianità (o sicilitudine) non sia solo paccottiglia sentimentale, “Sette- Corriere della Sera”, 22.06.2000.

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Anche Roberto Cotroneo 25(1998) fa delle osservazioni poco

lusinghiere:

[..] i motivi del successo di Camilleri non vanno cercati nel suo valore

letterario-[…]- ma nel suo “non essere” letterato, nel suo modo di

rassicurare il pubblico: con libri brevi, che della letteratura prendono il

meno possibile e della vita il più possibile.

Basta infine un altro giudizio per illustrare la presunzione dei membri

dell’elite culturale.

Ferroni (Serri 2001) suggerisce che:

i siciliani [di Camilleri] vivono in un mondo tutto fatto di reciproca

ostilità, mancanza di sincerità, tradimenti, amore per il sotterfugio.

Corrisponde esattamente al cliché del “siculo”. Sono così veramente i

siciliani? [..] Al pubblico viene dato quello che si aspetta.

La Vizmuller-Zocco mette in evidenza come l’argomentazione del

discorso culturale sui demeriti del lavoro camilleriano, si risolva in un

ragionamento circolare: “il pubblico si aspetta dei cliché, al pubblico

Camilleri piace, dunque Camilleri offre dei clichè”; fino a quando il

circolo vizioso non si spezzerà, non ci saranno conciliazioni tra le

parti.

Anzi, le parti trovano ulteriori motivi di schieramento quando nascono

casi come Domenico Cacopardo, uno scrittore siciliano

contemporaneo che è stato definito “l’anticamilleri”; in un articolo di

Panorama, viene specificata la sua forte implicazione nel campo

politico e le sue reazioni di denuncia ai misfatti mafiosi occorsi negli

ultimi anni.

25 Cotroneo R., Caro Camilleri, stia attento al suo pubblico, “L’Espresso”, 9 luglio 1998.

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Nel suo ultimo romanzo racconta un delitto di mafia, dichiarando

quanto segue nella “Nota dell’autore”:26

[..]tuttavia, uno dei personaggi descritti è grandemente ispirato alla

realtà: a qualcuno che, per quanto ho capito, è capace di tutto.. se mai

leggerà questo libro sarà tentato dall’idea di ammazzarmi o farmi

ammazzare[..] Ho lasciato il suo nome nelle mani di un notaio.

Cosicché questo omicidio, se mai verrà commesso, costituirà il suo

errore fatale.

Una personalità decisamente forte, uno scrittore che non ha timore di

esporsi, un tema di difficile denuncia; tutto porta a pensare a

Cacopardo e Camilleri come scrittori affini, e invece il primo viene

sfruttato dalla critica per mettere in ombra il secondo; difficile

conciliazione delle parti, si diceva.

E. Il genere letterario;

Viene semplicemente messo in evidenza come il genere segua regole

precise e come uno scrittore di antica generazione, quale Camilleri,

non trovi difficoltà nel rispettarle;

diversamente, un più recente autore come Lucarelli27, che, pur

scegliendo il noir, sente il bisogno di reinventare il genere, di metterne

in discussione le fondamenta:

Camilleri è un’altra scuola ma è anche di un’altra generazione, per cui

si rifà al giallo classico. [..] credo che abbiamo sfumature diverse che

attengono alle nostre diverse generazioni.

F. La lingua;

Che tipo di lingua è quella di Camilleri?

26 L’anticamilleri- Domenico Cacopardo racconta i misteri italiani- Maledetto, mi ammazzerai, in “Panorama”, 09.02.2001.27 Vizmuller Zocco J., op.cit., p.26.

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La definizione che è stata data alla particolare espressione linguistica

usata da Camilleri abbraccia termini tipo: “ibrido”, “miscuglio”,

“pastiche”, “italiano sporco” (Mauri 1998: 35),28 nonché “una lingua

mescidata e sprofondata talvolta nel ventre del dialetto” (Onofri 1995:

239).29

Indiscutibile è la base linguistica di tutti i romanzi di Camilleri:

l’italiano neostandard; l’innesto del ramoscello siciliano su questo

tronco italiano avviene come risultato di un’operazione dall’alto, è un

processo colto che coinvolge nella stragrande maggioranza dei casi la

rielaborazione del lessico.

Quest’ultimo “test” apre una questione decisamente interessante e

discussa in ambito letterario, tanto da giustificare la mia ricerca oltre i

confini dell’articolo della Vizmuller-Zocco.

4.2 Un settimo indicatore possibile: le fiction e il teatro

Un aspetto che la Vizmuller-Zocco non ha toccato riguarda quello che

potremmo chiamare il mondo delle fiction e del teatro.

Le storie di Montalbano, infatti, il protagonista dei romanzi di

Camilleri, sono diventate oggetto di fiction televisive, in onda in prima

serata sulla Rai.

Partendo da un’affermazione dell’autore, che eleva il commissario a

portavoce ufficiale del suo punto di vista in merito a questioni di

natura sociale, morale, ma soprattutto politica, si arriva alla evidente

conclusione che tutto ciò in cui crede, parta dalla testa, e dalla mano di

Camilleri, che non sembra dimostrare paura di esporsi, di dire come la

pensa, di farlo a mezzo della televisione, in prima serata.

28 Mauri P., Montalbano un commissario con la lingua molto sporca, in “la Repubblica”, martedì 14 luglio 1998, p.35.29 Manacorda G., op.cit. p. 27.

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Il problema, a mio avviso, nasce nel momento in cui la tanto

declamata par condicio televisiva viene messa a repentaglio da sentite

prese di posizione, e quando una fiction sinistroide batte il più che

neutrale Harry Potter.

A supporto di questa affermazione riporto un articolo uscito nel

Corriere della Sera, scritto da Paolo Conti30, intitolato: “Landolfi: le

fiction trasudano comunismo”.

Il ministro delle Comunicazioni attacca la Rai:

C’è una fiction, e mi riferisco a Montalbano, e perfino al Grande

Torino, che trasudano comunismo. E’un fatto sotto gli occhi di tutti [..]

Montalbano diventa sensibile alle proteste dei no-global e il più fiero

accusatore della polizia [..] “si sta rafforzando una vulgata storica che

il Pci ha proposto all’Italia e che la Rai ha fatto sua” [..]. Dalla Rai,

con un comunicato congiunto, il presidente Claudio Petruccioli e il

direttore generale Alfredo Meocci elogiano il prodotto televisivo che

ha battuto Harry Potter su Mediaset (“grande soddisfazione per la

qualità”).

Lo stesso giornalista rincara la dose: “Dalle fobie alla “Meglio

gioventù”. I poli si sfidano sulle storie più che sui tg” è il titolo di un

articolo allegato al precedente in cui, tralasciando le accese polemiche

tra le reti a confronto, vengono dati un po’ di numeri; quelli degli

ascolti:

[..] 7 milioni e 200 mila spettatori per Cefalonia, 8 milioni e 300 mila

per Edda, biografia della figlia di Mussolini, i 9 milioni dell’ultimo

Montalbano o i 6 milioni e mezzo di una fiction difficile come De

Gasperi[..].

30 Conti P., Landolfi: le fiction trasudano comunismo in “Corriere della Sera”, Martedì 27 Settembre 2005.

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Per quanto riguarda il teatro, un importante avvenimento imminente

cattura l’attenzione: la messa in scena di uno spettacolo prodotto dallo

Stabile di Catania, che debutterà l’8 novembre 2005. Si tratta di una

riduzione ad opera dello stesso Camilleri e di Giuseppe Dipasquale

(che ha curato anche la regia) di un romanzo del 1998: La concessione

del telefono. Un articolo dal titolo “In scena la città di Montalbano”31,

uscito su Repubblica riporta un’intervista all’autore che spiega le

complessità di portare in scena un testo, ma non solo, anche i rischi a

cui si va incontro nel momento in cui ci si esprime attraverso il teatro.

Sostiene:

[..] adesso è diverso , il teatro rischia di essere annullato, perché è

pericoloso, mentre la televisione è addomesticabile.

Quello che l’autore tenta di spiegare è come, nel processo di

trasposizione dalla pagina alla scena, le parole possano diventare uno

strumento pericoloso di espressione, soprattutto se gli argomenti

trattati aderiscono perfettamente alla realtà contemporanea.

E’ lo stesso autore a spiegare di cosa tratta il romanzo:

[..] Il potere della burocrazia , fatto anche di labirinti e imprecisioni

non cambierà mai [..] e figuriamoci se ha perso di senso un romanzo

come La concessione del telefono scritto da me nel 1998, una storia di

imbrogli e malintesi sulle procedure per l’ottenimento d’una linea

telefonica nella Sicilia dell’ immaginaria Vigàta [..]

Date queste premesse, è normale immaginare come questi scontri

siano utili a capire anche in ambiti che vanno oltre la lingua, oltre il

genere letterario, oltre le vendite, la figura di Camilleri calata nel

contesto reale, nel contesto italiano. Per quanto riguarda i risultati del

test, non credo si discostino da quelli dei precedenti.31 Di Giammarco R., In scena la città di Montalbano. Camilleri? Il teatro è pericoloso, non lo controlli come la tv, “la Repubblica”, 3.11.2005 pp.50.

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LA LINGUA DI CAMILLERI

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1. L’ombra del dialetto nei romanzi di Andrea Camilleri

La scelta di Camilleri di inserire il dialetto tra le righe dei suoi

romanzi, ha portato da un lato, al tentativo di classificarlo nel

panorama letterario italiano a mezzo di confronti e parallelismi con

altri autori, che del dialetto hanno fatto uso, dall’altro ad un’ analisi a

più livelli dei suoi testi, al fine di comprendere se il dialetto sia

un’ombra dell’italiano, o invece costituisca quanto quest’ultimo il

midollo espressivo dei suoi scritti.

Se tale ultima ipotesi può dirsi vera, è lecito chiedersi se l’intento,

come molti sostengono, rientri o meno nell’ambito di un progetto

colto.

Cito un interessante articolo di Mario Di Caro32, che si intitola proprio

Ma il suo siciliano è una scelta colta e riprendendo le parole del

linguista Franco lo Piparo, spiega come Camilleri lavori sulla lingua,

partendo dal più classico dei confronti: Verga;

Verga, a differenza di altri scrittori marcatamente siciliani, non si

limita a infilare qualche parola dialettale ogni tanto ma inventa una

sintassi. Camilleri, invece, compie un’operazione di tipo lessicale, non

di sintassi. Nei suoi romanzi ci sono dei termini dialettali ma

32 Di Caro M., Ma il suo siciliano è una scelta colta, in“La Repubblica”, 22.11.1997.

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l’impianto resta italiano. Diciamo che Camilleri parte dall’italiano per

arrivare al siciliano. [..] Non c’è dubbio che i meriti letterari di

Camilleri restano alti, anche perché il siciliano ormai è diventata una

scelta colta: sono le persone colte che oggi parlano il siciliano, gli

incolti, invece, parlano un brutto italiano.

Siamo di fronte ad una scelta di sperimentalismo linguistico che

chiama ad alta voce antenati letterari che, come Camilleri, sentivano la

lingua italiana come insufficiente; per citarne alcuni, oltre a Verga,

Azteni, Bufalino, Consolo, Sciascia, Pizzuto, Meneghello, ed ultimo,

ma non certo per importanza, Gadda.

Ognuno di tali autori ha trovato la sua strada per dare lo spessore

necessario alla lingua al fine di rendere con precisione tutte le

sensazioni, le emozioni, le voci e i colori del mondo che si proponeva

di descrivere, e quindi di interpretare.

Di qui, il rapporto profondo con il lettore, che una volta superato lo

scoglio iniziale, si riconosce nella nuova lingua che legge, lingua che

riceve continuo e notevole supporto dal dialetto, o per dirla con

Gadda, lingua che riceve “sostanza vitaminica, di fronte

all’avitaminosi dell’accademia”.

Quindi il dialetto mescidato alla lingua è sparso ovunque nei romanzi,

non esistono confini o ruoli. Per alcuni critici tale scelta, è giusta e

funzionale allo sviluppo del racconto;

Stefano Salis33, in un famoso articolo, sottolinea come l’uso del

dialetto confinato alle parole ed ai pensieri, potrebbe essere frainteso

dai lettori semplicemente come intento mimetico o realistico; il suo

sconfinamento e il dilagare nel referto dell’historicus ha invece la

33 Salis S., In attesa della mosca: la scrittura di Andrea Camilleri, in “La grotta della vipera”, Anno XXII- Num. 79-80, Autunno-Inverno 1997.

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valenza di fornire una precisa visione del mondo senza mediazioni

ulteriori, di dare una descrizione e un’immagine il più possibile

oggettiva dei fatti narrati, proprio perché colti da una prospettiva (e

quindi da una lingua) che quel mondo compartecipa. Una lingua,

dunque, non solo funzionale al racconto, ma capace di fornire uno

schema interpretativo.

Un’ opinione diversa viene tuttavia citata, ed è quella di Ermanno

Paccagnini, 34che ha scritto in una recensione:

Meno mi convince al contrario l’impiego come scelta stilistica

totalizzante dell’opzione mistilingue tra italiano e dialetto. Salvo

eccessi, funziona abbastanza bene nella trilogia ottocentesca. Nei

polizieschi, invece, ottima in bocca, mente e pensieri dei

personaggi, e di Montalbano in particolare, finisce per suonarmi

disturbante, e anzi penalizzante, in quanto filo del racconto vero e

proprio.

2. Le osservazioni critiche di Nunzio La fauci: Camilleri “tragediatore”

Questi che abbiamo visto, come numerosi altri, sono interventi che

denotano una tendenza a prendere di mira un aspetto specifico dello

scrittore, ossia il suo mezzo di comunicazione linguistica.

Un lavoro di critica che, a mio avviso, potrebbe dirsi più completo e

decisamente interessante, è il “Prolegomeni ad una fenomenologia del

tragediatore: saggio su Andrea Camilleri”, di Nunzio La Fauci35.

34 Ermanno Paccagnini, La scrittura di Camilleri si intreccia con tre fili, “Il Sole-24 Ore”, 3 agosto 1997.

35 La Fauci N., Prolegomeni ad una fenomenologia del tragediatore: saggio su Andrea Camilleri, in “Lucia, Marcovaldo e altri soggetti pericolosi”, Editore Maltemi, Roma, 2001, pp.150-163.

39

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Si articola in quattro blocchi di analisi: “Il fenomeno Camilleri”,

“Camilleri tematico”, “Camilleri funzionale”, “Camilleri formale”.

Ognuno dei punti viene affrontato con attenta disamina delle questioni

ed abbondanza di esempi, senza escludere una vena spesso sarcastica e

tagliente.

Nella fattispecie, sono interessanti le argomentazioni del blocco

“Camilleri formale”, in cui si tratta la questione della lingua.

La Fauci parla di Camilleri come di un “tragediatore”, termine che

designa colui il quale è costantemente presente nel racconto, filtro

onnipresente di personaggi, eventi, pensieri narrati, colui che tutto sa e

tutto gestisce, dalla prima all’ultima pagina.

Una figura del genere è sempre contemplata nel momento in cui si

racconta una storia, ma ci sono modi diversi di farla trasparire;

precisa La Fauci in merito alla scelta di Camilleri:

Niente di più lontano però da Sciascia e da Pirandello: riferimenti

obbligati per i critici letterari [..] Le attitudini di questi grandi autori

siciliani nei confronti della funzione tragediatore, attitudini tra loro per

altro abbastanza diverse, tendono ambedue irresistibilmente verso il

sopire e il celare. Esattamente il contrario di quel che fa Camilleri.

Una funzione manifesta, come quella descritta, appare sempre in una

forma. La funzione del tragediatore si esplica nella forma di una

lingua, e viene citato Camilleri36 in apertura:

[..]Mi feci presto persuaso, dopo qualche tentativo di scrittura, che le

parole che adoperavo non mi appartenevano interamente. Me ne

servivo, questo sì, ma erano le stesse che trovavo pronte per redigere

una domanda in carta bollata o un biglietto d’auguri. Quando cercavo

36 Mani avanti in “Il corso delle cose”, Sellerio, Palermo, 1998, pp. 141-142.

40

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una frase o una parola che più si avvicinava a quello che avevo in

mente di scrivere, immediatamente invece la trovavo nel mio dialetto,

o meglio, nel “parlato” quotidiano di casa mia. Che fare? [..] Ero a

questo punto, quando tornai ad imbattermi nel gaddiano

Pasticciaccio[..].

Di qui nascono delle osservazioni.

Secondo La Fauci, l’autore finge un passaggio di “specchiata lealtà”

con il lettore, mentre in realtà trattasi anche in questo caso di

letteratura, di finzione. La funzione di tragediatore è pienamente

all’opera, insomma. Ossia si mette in scena questa dichiarazione

d’intenti che sembra esterna al racconto, pare quasi una confessione

confidenziale, mentre non è così.

Per quanto riguarda la “funzione Gadda” e la sua forma, e la forma

linguistica della funzione di tragediatore di Camilleri La Fauci ritiene

che siano agli antipodi, dunque il saggista dichiara il paragone tra i

due piuttosto grossolano: infatti secondo lui non c’è ombra di lessico

familiare nel Pasticciaccio, inoltre nei due scrittori c’è una ricerca di

complicità con il lettore che muove da necessità diverse, è il lettore

stesso ad essere diverso: individui lontani, per Gadda, un gruppo di

famiglia per Camilleri.

In terzo luogo, se è vero che l’italiano standard risulta inadeguato

come forma della funzione di tragediatore di cui Camilleri è a caccia,

non è altrettanto vero che tutte le forme dialettali che questi prende a

prestito, siano sempre meno obsolete delle forme italiane

corrispondenti.

In un passo del tipo “mentre da levante carriche nuvole d’acqua

arrancavano verso il paese appena visibile ai piedi della collina”,37

37 Ivi, p.39.

41

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della forma dell’aggettivo ‘carriche’ si potrebbe dire tutto, ma non che

l’aggettivo standard non possa sostituirlo perché obsoleto.

Oppure in “il terzo uomo, un contadino, non aveva isato gli occhi”,38

del verbo scelto sarebbe arduo sostenere che ‘alzare gli occhi’ è un

corrispondente di una forma abbandonata nell’italiano comune.

In sostanza, La Fauci vuole far capire come in realtà la lingua di

Camilleri sia un costrutto letterario, un artificio formale.

Essa prende ispirazione lessicale e sintattica dall’italiano regionale

della borghesia siciliana di zona agrigentina, e fissa questo italiano

regionale in una forma dello scritto e lo miscelandolo con stilemi tipici

di una lingua alta e letteraria.

Alcuni esempi di queste operazioni sono evidenti nella prima pagina

de Il birraio di Preston 39: “al subito immancabile vagnaticcio”, “per

evitare la matutina punizione paterna”, “infilata la mano inquisitoria”,

ecc.

Altro esempio eloquente è l’anteposizione al predicato dell’avverbio

temporale “mai”, con ellissi della negazione: “da quell’orecchio mai

aveva voluto sentirci”40.

Importante è poi l’assenza di determinanti, che produce un senso di

indefinitezza, tipico del carattere lirico: “fu nottata stramma”.41

L’aspetto d’insieme che si ricava dalla serie di esempi trattati, è che gli

elementi lessicali siciliani sono trattati nel rigoroso rispetto della

morfologia italiana.

L’effetto comico e di straniamento, tipico di quella comunicazione

intrafamiliare che Camilleri ricerca, risiede proprio, come dice La

Fauci “in questo contrasto tra espressioni lessicalmente siciliane e

38 Ivi, p.39.39 Il birraio di Preston, Sellerio, Palermo, 1995.40La Fauci N., op. cit., p. 39.41 La Fauci N., op. cit., p. 39.

42

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morfologicamente italiane (almeno per forma, se non proprio per

funzione)”.

Questo effetto è possibile solo presupponendo una competenza italiana

di base, soprattutto morfologica, che porti ad un abbassamento comico

di elementi solitamente riconosciuti come elevati, ma che si prestano

alla tacita intesa tra scrittore e lettore.

L’uso del passato remoto combina molto bene da un lato i tratti di una

prosa alta e di una patina siciliana; come si vede ad esempio, nei

seguenti sintagmi: “[…] fu nottata stramma. Quando sentì suo padre

uscire, si susì dal letto, andò a serrare la porta di casa, addrumò i lumi

uno dopo l’altro […] Poi s’assistimò in piedi […] si levò la camicia e

[…] pigliò a taliàrsi. Poi andò nello studio paterno, agguantò […]”.42

Un altro elemento da non sottovalutare è il trattamento di parlate

diverse dal siciliano; capita in non pochi romanzi, che compaiano dei

personaggi non siciliani, stranieri, o italiani di altre regioni. Per questi

si ricorre a forme di scrittura che riproducono la loro varietà.

La Fauci sostiene, che, nonostante questa scelta possa sembrare votata

al realismo, in realtà si tratta di un’ulteriore modo del tragediatore di

intervenire, di filtrare in questo caso lo fa riflettendo il diverso

atteggiarsi linguistico dei personaggi.

Un esempio “Sissignore, vater, fa alba di mattino presto a Vigàta”.

“Fai subito in camera tua! Ordinò l’ingegnere […]”.43

A questo proposito il saggista parla di “un altro autentico luogo

comune, anche grafico […] perfettamente appropriato, trovandosi

sotto la penna del tragediatore”.

Il lettore da queste scelte del tragediatore, ricava il piacere di una

lettura in una lingua che crea “diversità nell’identità”.

42 La Fauci N., op. cit., p. 39.43 La Fauci N., op. cit., p.39

43

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Forse è proprio questo fatto che La Fauci non tollera, tanto da

concludere il suo intervento in modo tagliente e sarcastico affermando

cioè che è un mezzo fittizio, artificiale, quale il tragediatore, a creare

le condizioni per far sentire un lettore rassicurato, consolato, ma

soprattutto soddisfatto da quelle che il saggista definisce “consolanti

fandonie”.

Il giudizio espresso fa riflettere; penso infatti ad un recentissimo

articolo di Sebastiano Messina, 44 dal titolo L’incontro- Memorie

siciliane, di cui sono protagonisti i ricordi.

Camilleri infatti racconta della sua infanzia, delle persone con cui l’ha

trascorsa, dei ricordi che a distanza di anni sono ancora vivi, e si

riversano ora nei suoi romanzi.

Il linguaggio utilizzato è il solito, anche nella narrazione di fatti

autobiografici: un italiano scorrevole e fluido, potremmo dire

“corretto”, interrotto da termini dialettali ormai più che noti al lettore,

con dialoghi brevi, sparsi, che in base al parlante variano.

Alcuni esempi credo possano servire.

Camilleri parte dalla descrizione delle abitudini della nonna, e scrive:

“A mia nonna piaceva fare il pane. Cominciava a famiare il forno, per

portarlo a temperatura, e intanto lavorava l’impasto con lo scanaturi

[…]”. Spostando l’ attenzione sul linguaggio usato dai protagonisti, si

nota come avvenga un continuo passaggio dal siciliano “affettivo”

misto a italiano, dello zio Massimo: “Boniceddu” mi sussurrò [..],

perché lei deve sempre superare se stessa”; fino ad arrivare al siciliano

stretto di nonna Elvira: “Comu vinniru stavota?”, o del soldato

44 Messina S., L’incontro- Memorie siciliane, in “la Repubblica”, Domenica 10 Luglio 2005, pp.50.

44

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“Baciamo la mani paisà. C’avissi pi’ casu un pocu d’acitu, di chiddu

nostru?”.

Insomma ogni personaggio ha il suo mezzo di caratterizzazione

attraverso la lingua, e lo stesso Camilleri sfrutta il supporto del dialetto

per potersi spiegare, per raccontare.

E’ ciò che l’autore in fondo sa fare meglio, e non si può fare a meno di

credere che ogni suo racconto sia sempre filtrato da una costante

patina di letterarietà, ne costituisce eloquente esempio la parte

conclusiva dell’articolo, che cito:

Mia nonna sorrideva di queste cose. Era un personaggio unico, che

riusciva sempre a catturare l’attenzione. Quando la portammo in

udienza da Papa Giovanni, ad un certo punto lui disse: “O trovate

una sedia per questa signora o le do la mia”. […]Mia moglie la

portò a Tivoli, nella villa di Adriano. Dopo averla vista, lei si

appoggiò ad una ringhiera, mormorando: ”Tutto questo è

bellissimo”. E morì.

3. Varietà linguistiche e loro funzione nel testo

Sono le profonde differenze tra lingua e dialetto, il loro coesistere ed

alternarsi, a creare i presupposti per sostenere l’ipotesi che questi due

elementi assumano funzioni diverse nei testi; ovunque ci sono

manipolazioni linguistiche, che piegano la struttura dei testi a necessità

immediate, a volte in modo indipendente, altre in funzione reciproca.

Esemplificativo è l’uso delle varietà linguistiche, almeno cinque, nel

caso di Camilleri, ognuna con una funzione precisa:45

45 Vizmuller-Zocco J., Il dialetto nei romanzi di Andrea Camilleri, saggio presente nel sito www. Vigata.org\dialetto-camilleri\dialetto camilleri.shtml.

45

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3.1 Dialetto siciliano locale

Il dialetto siciliano locale che ricalca quello di Porto Empedocle, viene

usato:

A. Nel discorso diretto di vari personaggi, per esempio le donne del

popolo (ne Il cane..: Adelina, Mariannina, la sorella di Gegè), i

mafiosi (ne Il cane..: Gegè 173, Tano ‘u grecu, o altri malviventi:

Giugiù), o i coniugi siciliani:- Perché non ti sei fatta viva in questi

giorni? Ca pirchì a la signurina non ci piaci di vidirimi casa casa

quannu ce’iddra. (Il cane di terracotta, p.234).

- Madunnuzza beddra! Pazzo niscì! Losso du coddru si ruppe! (Il cane,

p.235).

- Vedi se sono astutati tutti e due, accussì ce ne andiamo ( Il cane,

p.174).

- Peju de li delinquenti! Peju de li assassini ci hanno trattato quei figli

di lorda buttana! E chi si credono dessiri? Strunzi!…Cosi da pazzi! (Il

cane, p.49).

- v. Ciccino, ma cu è a chistura? (Il cane, p.112).

B. Nelle formule magiche, proverbi:

- Rapriti pipiti e chiuditi popiti. (Il cane, p.92)

- Futtiri addritta e caminari na rina\ portanu l’omu a la ruvina (Il cane,

p.143).

C. Negli lenchi sinonimici (che a proposito ricordano quelle del

maestro di questa trovata stilistica, il napoletano Giambattista Basile):

- Vignarole, attuppateddri, vavavaluci, scatadrizzi, crastuna (Il cane, p.

129).

- Nirbusi, sconoscenti, sciarreri (Il cane, p.138).

46

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- Arrinanzato, parvenu, semianalfabeta, mezza calzetta ( Il cane,

p.152).

- Aggrugnato, trubbolo (Il cane, p. 158).

- Una sisiata, una tirata pi fissa, un tiatro (Il cane, p.173).

E’ stato detto che il dialetto è un’alternativa all’italiano per chi si

accinge alla produzione letteraria ( Corti in Beccaria 1975: 117).46

Può darsi che questa affermazione appartenga a chi scrive solo in

dialetto. Non è affatto vera invece, per chi usa il dialetto come una

delle tante varietà. E’ emblematico l’esempio di Gadda, il cui

Pasticciaccio non avrebbe certo quell’ impatto stilistico e

contenutistico che ha, senza l’apporto dialettale. Il dialetto, come lo

usano e intendono i romanzieri moderni e contemporanei, non è

un’alternativa all’italiano, se non altro per le circostanze

sociolinguistiche reali di un’ Italia sempre meno diglottica.

3.2 Il dialetto di Catarella

C’è anche un personaggio che si esprime in una lingua che si può

definire come maccheronica, un miscuglio di italiano burocratico e

informale, italiano popolare e dialetto. Questo tipo di lingua crea

incomprensioni e situazioni altamente comiche. Il personaggio è

Catarella, assunto nel Commissariato perché parente di un ex-

onnipotente onorevole. Saranno utili alcuni esempi di passi che vale la

pena citare per intero:

“ Un giorno a Montalbano Catarella si era presentato con la faccia di

circostanzia.

46 Beccarla Gian Luigi, Letteratura e dialetto, Bologna, Zanichelli, 1975.

47

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Dottori, lei putacaso mi saprebbe fare la nominata di un medico di

quelli che sono specialisti?.

Specialista di cosa, Catarè?.

Di malattia venerea.

Montalbano aveva spalancato la bocca per lo stupore.

Tu?! Una malattia venerea? E quando te la pigiasti?.

Io m’arricordo che questa malattia mi venne quando ero ancora nico,

non avevo manco sei o sette anni.

Ma che minchia mi vai contando, Catarè? Sei sicuro che si tratta di

una malattia venerea?

Sicurissimo, dottori. Va e viene, va e viene. Venerea” (Il cane di

terracotta, p.25-26, Cfr. anche p. 57, 94, 131, 140-141, 178).

3.3 Altri dialetti

L’uso di dialetti diversi dal siciliano ( Il cane- milanese 107, La mossa

del cavallo- il genovese) è stato spiegato dallo scrittore stesso,

specialmente per quanto riguarda il genovese del romanzo La mossa

del cavallo: il dialetto cosi’ diverso dal siciliano fa capire la difficoltà

del personaggio ( nato in Sicilia, ma vissuto a Genova) di capire il

mondo siciliano.

3.4 Varietà mista

Il dialetto siciliano che è intimamente integrato nel discorso in

italiano:

A. quando l’autore esprime gli stati d’animo del commissario

Montalbano, per es.:

- (Montalbano) Dei morti se ne fotteva altamente, poteva dormirci

‘nzemmula, fingere di spartirci il pane o di giocarci a tressette e

48

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briscola, non gli facevano nessuna impressione, ma quelli che stavano

per morire invece gli provocavano la sudarella, le mani principiavano

a tremargli, si sentiva agghiacciare tutto, un pirtuso gli si scavava

dinta lo stomaco. ( Il cane di terracotta, p.75).

- Se ne stava lì, come affatato, a talia’re la scena, scantato che un

minimo gesto potesse svegliare dal sogno che stava vivendo (Il cane,

p.121).

- Riattaccò e esplose in un nitrito, altissimo, di gioia. Subito, nella

cucina, si sentì un rumore di vetri infranti: per lo spavento, ad Adelina

doveva essere caduto qualcosa di mano. Pigliò la

rincorsa, satò dalla veranda sulla rena, fece un primo cazzicatummolo,

poi una ruota, un secondo capitombolo, una seconda ruota. Il terzo

cazzicatummolo non gli arriniscì e crollò

senza sciato sulla sabbia. (Il cane p. 237).

- Adelina si precipitò verso di lui dalla veranda facendo voci ( Il cane

di terracotta, p.235; v. anche 224, 240).

Il modo di integrazione non è certamente quello che si sente oggi in

Sicilia, in altre parole, Camilleri non fa usare ai suoi personaggi

l’italiano regionale di Sicilia (Leone 1995). L’italianizzazione avviene

chiaramente usando morfemi italiani attaccati alle basi siciliane, ma

queste basi sono quelle che l’autore sceglie, non quelle che un lettore

si aspetterebbe in un discorso mistilingue.

Spesso il termine dialettale non è adatto all’italiano se si tratta di

sostantivi femminili:

- sabbia vagnata, ‘sabbia bagnata’ 174

- rumorata, ‘rumore’ 174

- ca’mmara, ‘camera’ 9

49

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-rena sabbia, ‘riva sabbiosa’ 122

Nei sostantivi maschili, la –u finale del siciliano diventa –o:

-il paro e il disparo, ‘il pari e il dispari’ 15

-cinco, ‘cinque’ 15

A meno che si tratti di nomignoli:

-Tano u grecu, ‘Tano il greco’ 19

I termini dialettali si riferiscono alle pietanze regionali siciliane, per

es.:

-mostazzolo di vino cotto 18

-pasta fredda con pomodoro, vasilico’ e passaluna, olive nere 41

-pasta ncasciata 120

-tinnirume 150

-petrafè rnula 155

Modi di dire o espressioni:

-(sospetto di) sconcica, di presa in giro, ‘dileggio’ 19

-magari io, ‘anch’io’ 20

-gli saltava il firticchio, ‘gli veniva voglia’ 25 ( Vocabolario siciliano

“acchianarici u furticchiu: andare in bestia)

-capace che.., ‘poteva succedere che’ 28

-cinquantino, ‘di cinquant’anni’

-portargli adenzia, ‘portargli aiuto’ 30

-dargli adenzia, ‘prestargli attenzione’ 41

-attaccare trilla, ‘cominciare una rissa’ 45, 86

-pigliato dai turchi, ‘in una situazione difficile’ 69

-rompere i cabasisi ‘rompere le scatole’ 99

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-notte funnuta, ‘notte fonda’ 101

-avere gana di, ‘avere voglia’ 137

-alla sanfasò, ‘come viene viene’ 137

-si tirò il paro e lo sparo, ‘fare due conti’ 46

-si fece papale papale, ‘diventare espliciti’ 251

-non era cosa, ‘non era il caso’ 17

-schina, ‘schiena’ 35

-magari, ‘anche’ 41

-vasannò, ‘altrimenti’ 62

-che fu, ‘cosa è stato’ 112

sintassi:

- io una tomba sono, ‘mantengo i segreti’ 47

- una poco di interrogativi, ‘un po’ di domande’ 125

B. nel discorso diretto di vari personaggi (mafiosi, rappresentanti delle

forze dell’ordine):

- Eh no, duttureddru, non è la stessa cosa, mi meraviglio di lei che sapi

leggiri e scriviri, le parole non sono uguali. Io mi faccio arrestare, non

mi costituisco. Si pigliassi la giacchetta che ne parliamo dintra, io

intanto rapro la porta.( Il cane di terracotta, p.20).

- (Lei non ci crede che sono malato?.) Ci credo. Ma la minchiata che

lei vuole farmi ammuccare e che per essere curato lei ha necessità di

farsi arrestare…( Il cane, p.22).

L’innesto del siciliano sul tronco italiano è stato chiamato pastiche da

Mondadori47 (che è uno dei suoi editori) sul sito libri on line: “Il

47 dichiarazione di A. Mondadori, sul sito libri on line www. Camilleri’s fans club.

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pastiche linguistico di Camilleri è ineccepibile dal punto di vista

ritmico e sonoro e si è dimostrato amabile anche presso il vasto

pubblico”.

3.5 L’uso del dialetto e l’uso dell’italiano

L’uso del dialetto non potrebbe essere spiegato se non viene messo in

paragone con i brani pochi, e brevi, in italiano. Questi brani trattano

generalmente:

A. Temi di attualità e commenti socialmente rilevanti dell’autore

- Festa ormai persa, cancellata dalla banalità dei doni sotto l’albero di

Natale, così come facilmente adesso si cancellava la memoria dei

morti. Gli unici, a non scordarseli, i morti, anzi a tenacemente tenerne

acceso il ricordo, restavano i mafiosi, ma i doni che inviavano in loro

memoria non erano certo trenini di latta o frutti di martorana ( Il cane,

p.41).

B. Descrizione dei programmi delle trasmissioni televisive

- In televisione c’erano un dibattito sulla mafia, uno sulla politica

estera italiana, un terzo sulla situazione economica, una tavola rotonda

sulle condizioni del manicomio di Montelusa,… ( Il cane, p.154).

C.Presentazione di alcuni personaggi la cui funzione fondamentale

nello svolgimento delleazioni non vuole essere apertamente svelata

dall’inizio, ad es.:

- Il preside Burgio era andato in pensione da una decina d’anni, ma

tutti in paese continuavano a chiamarlo così perché per oltre un

trentennio era stato preside della scuola d’avviamento commerciale di

Vigata. ( Il cane, p.105).

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3.6 Altre lingue

Ci sono pochi anglicismi ( freezer, Il cane,p.108), il che fa pensare che

l’italiano di Camilleri sia quello che i linguisti chiamano: neostandard

e dell’uso medio ( Berruto 198748) che si avvicina al parlato (che,

secondo le recenti statistiche, contiene pochissimi anglicismi; De

Mauro 491993: 151). Oltre agli anglicismi vengono sfruttate altre

lingue, lo spagnolo, ad esempio, ne Il re di Girgenti (pp.38).

In questo caso, come nel precedente, l’utilizzo è sporadico, legato a

dei precisi personaggi, ed inoltre, non c’è una resa corretta della lingua

straniera; l’autore piuttosto porta sulla pagina uno spagnolo

maccheronico, il cui riconoscimento è affidato alla grafia e ad alcuni

suoni facilmente identificabili: “Disse che a lei gustava mucho praticar

col esposo nel casamento, era sacramental e quindi magari ogni noche

[..] “.

La stessa operazione avviene ne Il birraio di Preston, con il tedesco

(pp.11): “Fai supito in camera tua![..]”.

Non mancano i latinismi, sempre ne Il re di Girgenti (pp.15):

“Ammazzarlo in loco forse sarebbe stato un errore [..]”.

4. Fonologia, morfologia e sintassi del siciliano: saggio esplicativo

La caratterizzazione fonologica, morfologica e sintattica tipica del

siciliano, nei romanzi di Camilleri appare evidente quanto le diverse

funzioni che la lingua ed il dialetto assumono.

48 Berruto G., Sociolinguistica dell’italiano contemporaneo, Firenze, La Nuova Italia Scientifica, 1987.49 De Mauro T., Dialettismi ed esotismi in Lessico di frequenza dell’italiano parlato, T. De Mauro, F.Mancini, M. Vedovelli, M. Voghera. Roma, Etaslibri, 1993.

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Si tratta di verificare fino a che punto, e quanto sistematicamente, lo

scrittore sfrutti i tratti siciliani nelle sue scelte linguistiche.

A questo proposito, mi è sembrato utile prendere un campione di

pagine di tutti i suoi romanzi, dal 2001 ad oggi, enucleando tutti quei

fenomeni che, da un punto di vista fonetico, morfologico e sintattico,

in qualche modo rientrano nei tratti linguistici siciliani.

Si sono analizzati alcuni capitoli dei seguenti volumi, elencando quelle

voci che per aspetto fonologico e morfologico, non corrispondevano

all’italiano standard ma presentavano, in gradi diversi, dei fenomeni

che denunciavano un modellamento siciliano:

Il re di Girgenti 2001, edizioni Sellerio, (abb. R.d.G.)

L’odore della notte 2001, edizioni Sellerio, (abb. O.d.N.)

La paura di Montalbano 2002, edizioni Mondatori, (abb. P.d.M.)

Il giro di boa 2003, edizioni Sellerio, (abb. G.d.B.)

La pazienza del ragno 2004, edizioni Sellerio, (abb. P.d.R.)

La prima indagine di Montalbano 2004, edizioni Mondatori, (abb.

P.I.d.M.)

Privo di titolo 2005, edizioni Sellerio, (abb. P.d.T)

Il medaglione 2005, edizioni Mondatori, (abb. M.)

La luna di carta 2005, edizioni Sellerio, (abb. L.d.C.)

Per ogni fenomeno individuato, ho riportato alcuni esempi: alcuni

fenomeni linguistici hanno numerosi supporti esemplificativi, tratti da

più testi, altri, vengono messi in luce con un minore numero di esempi,

perché presenti in un minor numero di testi.

Questa scelta segue un criterio che vuole evidenziare non solo i più

tipici tratti siciliani presenti nei romanzi, ma soprattutto i più frequenti,

quelli che Camilleri predilige rispetto ad altri. E’ purtroppo riduttivo

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occuparsi solo parzialmente dei testi, tuttavia è comunque possibile

ricavare dei dati su cui lavorare.

Inoltre, ma questo è un argomento che approfondirò oltre, il fulcro

dell’analisi sarà uno studio di tipo lessicale.

Questo aspetto infatti rappresenta il vero oggetto del mio interesse nei

confronti dei romanzi di Camilleri.

L’analisi a seguire prevede una breve spiegazione dei fenomeni

individuati, ed una serie di esempi tratti dai romanzi suddetti, citati

con riga e numero di pagina in cui ogni forma si trova).

4.1 Alcuni fenomeni

1. Ben rappresentato è il passaggio di è ad i , così come la tendenza ad

i in posizione protonica della sillaba iniziale, o in posizione atona

finale (ROHLFS, I: 82, 162, 183): frisco, ‘fresco (p.13) - sira, ‘sera’

(p.43) in (P.d.M.); sissantina, ‘sessantina’ (p.14) in (O.d.N.); priparò,

’preparò’ (p.22) in (G.d.B.); mentri, ‘mentre’ (p.32) in (P.I.d.M.);

sapiva, ‘sapeva’ (p.19) - botti, ‘botte’ (p.20) - liggero, ‘leggero’ (p.21)

in (P.d.T.); stritte, ‘strette’(p.10)- tirreno, ‘terreno’(p.11) in (L.d.C.).

2. Altrettanto esemplificato è il passaggio di o ad u nell’estremo

Mezzogiorno (ROHLFS, I: 96): staiu, ‘sto’ (p.15) - propiu, ‘proprio’

(p.17) - cuteddro, ‘coltello’ (p.27) in (R.d.G); allura, ‘allora’ (p.15) -

malatu, ‘malato’ (p.14) in (P.d.M); daveru, ‘davvero’ (p.21) - tuttu,

‘tutto’ (p.21) - russa,’rossa’ (p.22) in (O.d.N.); camurriusu,

’camorrista’ (p.21) - supra, ‘sopra’ (p.45) - addumannava,

‘domandava’ (p.46) in (G.d.B.); ascutava, ‘ascoltava’(p.11)- sintuto,

‘sentito’(p.44) in (P.d.R.); nisciuto, ‘uscito’(p.37)- arristastivu,

‘arrestaste’ (p.40) in (P.I.d.M.); balcuna, ‘balcone’ (p.38)- cunnanna,

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‘condanna’ (p.40) in (P.d.T.); sprofunnato, ‘sprofondato’(p.31)- funno,

‘fondo’(p.43) in (L.d.C.).

3. Altrettanto presente è lo sviluppo di ll in suoni cacuminali

(ROHLFS, I: 328): stiddrato, ‘stellato’ (p.13) - cuteddro, ‘coltello’

(p.27) in (R.d.G); nicareddra, ‘piccolina’ (p.29) - camareddra,

‘cameretta’ (p.38) in (P.d.M); funtaneddra, ‘fontanella’, (p.36) -

capiddri, ‘capelli’ (p.37) - iddru, ‘illu, lui’ (p.39) - vudeddra, ‘budella’

(p.163) in (P.I.d.M.); purpitteddru, ‘polipetto’(p.240) in (P.d.R.);

vinticeddro, ‘venticello’ (p.21) - viddrani, ‘villani’ (p.29) - cappeddro,

‘cappello’ (p.37) in (P.d.T.); ciriveddro, ‘cervello’(p.10) in (L.d.C.).

4. Frequenti sono fenomeni come il rotacismo di ll, la conservazione,

velarizzazione, rotacismo o caduta di l preconsonantica, la

dissimilazione di n ed m (ROHLFS, I: 333\ 341\ 352\ 355): arma,

‘anima’ (p.14) - cortellata, ‘coltellata’ (p.25) - putruna, ‘poltrona’

(p.26) in (R.d.G.); ‘nfruenza, ‘influenza’ (p.17) - armalisco,

‘animalesco’ (p.27) in (P.d.M.); semprici, ‘semplice’ (p.29) in

(O.d.N.); purmuna, ‘polmoni’ (p.20) - satò, ‘saltò’ (p.38) - duci,

‘dolce’(p.15)- ecc in (P.I.d.M.); sùrfaro,‘solforo’ (p.38) - furminò,

‘fulminò’ (p.227) - antra, ‘altra’ (p.21) in (P.d.T.); giarna, ‘gialla’

(p.31) in (L.d.C.); votati, rivotati, ‘voltati, rivoltati’ (p.9) in (G.d.B.);

ascutarlo, ‘ascoltarlo’ (p.15) in (P.d.R.).

5. Frequente appare la metatesi di r (ROHLFS, I: 454): pre sempio,

‘per esempio’ (p.13) in (R.d.G); vrigognano, ‘vergognano’ (p.56) in

(P.d.M.); stranuti, ‘starnuti’ (p.10) in (O.d.N.); addrumisciuta,

‘addormentata’(p.25) in (P.I.d.M.); distrubbo, ’disturbo’(p.48) in

(G.d.B.).

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6. Molto spesso i nessi -nd- \ -mb- (-nv-) in posizione mediana, danno

esito –nn- (ROHLFS, I: 356 \ 359): quanno,’quando’ (p.18) - granni,

‘grande’ (p.22) in (G.d.B.); funno, ‘fondo’ (p.43) - mutanne,

‘mutande’ (p.56) in (P.d.M.); ummira, ‘ombra’ (p15) - granni,

‘grande’ (p.27) in (O.d.N.); arrenno, ‘arrendo’ (p.35) - munno,

‘mondo’ (p.9) in (P.I.d.M.); unnici, ‚’undici’(p.21) in (G.d.B.);

stinnendo, ‘stendendo’ (p.28)- priparanno, ‘preparando’ (p.29)-

secunno, ‘secondo’ (p.21) in (P.d.R.); addumannanno, ‘domandando’

(p.38) - quindicina, ‘quindicina’ (p.23) in (P.d.T.); biunna,

‘bionda’(p.44)- stammata, ‘strambata’(p.204) in (L.d.C.).

7. Nello stesso modo, troviamo l’esito –zz- in corrispondenza di nessi

cj e ccj (ROHLFS, I 387): faticazza, ‘faticaccia’ (p.16) - buttanazza,

‘prostituta’ (p.21) in (R.d.G.); povirazzo,‘poveraccio’ (p.12) -

minazzandola, ‘minacciandola’ (p.17) in (O.d.N.); ricominzare,

‘ricominciare’ (p30) - casuzza, ‘casuccia’ (p.22) in (P.I.d.M.);

ghiazzata, ’ghiacciata’ (p.22) in (G.d.B.); sudatizzo, ‘sudaticcio’ (p.9)

- abbrazzarono, ‘abbracciarono’ (p.67) in (P.d.R.); stratuzza,

‘straduccia’ (p.32) in (P.d.T.); vistitazzo, ‘vestitaccio’ (p.16) in

(L.d.C.).

8. Molte forme attestano la presenza del fenomeno fonetico secondo

cui, la r iniziale viene pronunciata con un forte appoggio della voce,

come –rr-: la r rinforzata viene spesso pronunciata con una vocale di

appoggio anteposta (di solito a) (ROHLFS, I: 193, 223): arracamato,

‘ricamato’ (p.20) - arrifrescare, ‘rinfrescare’ (p.29) in (R.d.G.);

arrinescio, ‘riesco’(p.57) - arrispunnì, ‘rispose’ (p.12) in (P.d.M);

arrubbò, ‘rubò’ (p.13) - arridotto, ‘ridotto’ (p.13) in (O.d.N.);

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arrisaltava, ‘risaltava’ (p.101) in (P.I.d.M.); arrisbigliati, ‘risvegliati’

(p.9) in (O.d.N.); arricampò, ‘tornò a casa’ (p.31) in (P.d.R.);

arriprometteva, ‘riprometteva’(p.26)- arricevuta, ‘ricevuta’(p.20) in

(P.d.T.); arriniscendo, ‘riuscendo’(p.41) in (L.d.C.).

9. Si riproduce anche l’abitudine secondo cui nei dialetti meridionali

d- viene pronunciata con un forte appoggio di voce (dd-), e a questa

dd- non di rado viene anteposta una a (ROHLFS, I: 203):

addiventando, ‘diventando’ (p.15) in (R.d.G.); addritta, ‘davanti’

(p.36) in (P.d.M.); addeciso, ‘deciso’ (p.9) in (O.d.N.);

addimandandogli, ‘domandandogli’ (p.37) in (P.I.d.M).

10. Stessa cosa vale per c- iniziale (ROHLFS, I: 197): acconsolarsi,

‘consolarsi’ (p.18)- accapito, ‘capito’ (p.25) in (R.d.G.); accussì,

‘così’ (p.15) in (G.d.B.); accanosciuto, ‘conosciuto’ (p.15) in (P.d.R.);

accomenzavano, ‘cominciavano’ (p.39)- accupuse, ‘cupe’ (p.23) in

(L.d.C.).

11. La stessa osservazione si può fare per g- (ROHLFS, I: 209):

Aggelarono, ‘gelarono’ (p.20) in (R.d.G.).

12. Per b- (ROHLFS, I: 195): abbisognava, ‘bisognava’(p.15) in

(R.d.G.); abbuttai, ’buttai’ (p.12) in (G.d.B.); abbadare, ‘badare’

(p.20) in (P.d.T.).

13. Per s- (ROHLFS, I: 224): assuperchia, ‘basta, è sufficiente’ (p.27)

in (R.d.G.); assittandosi, ‘sedendosi’ (p.55) in (P.d.M.); assittatine,

’sedutine’ (p.17) - assistimò, ’sistemò’ (p.19) in (G.d.B.).

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14. Per p- (ROHLFS, I: 220): appresentava, ‘presentava’ (p.21) in

(R.d.G.); appinniccato, ‘addormentato, da pennica’ (p.15) in (P.d.M.);

appreoccupò, ’preoccupò’ (p.18) in (G.d.B.); apprecipitò,

‘precipitò’(p.37) in (L.d.C.).

15. Per l- (caratteristica data come particolare per il dialetto di

Montalbano, prov. Di Messina) (ROHLFS, I: 216): allordò, ‘sporcò’

(p.21) - allisciato, ‘lisciato’ (p.24) in (R.d.G.).

16. Per z- (ROHLFS, I: 232): azzappari, ‘zappare’ (p.243) in (P.d.T.).

17. E’ presente anche il fenomeno di conservazione di o\e (aperta)

nell’Italia meridionale (ROHLFS, I: 152\124): omo, ‘uomo’ (p.16) in

(R.d.G.); sonò, ‘suonò’ (p.13) - bona, ‘buona’ (p.13) in (O.d.N.);

longo, ‘lungo’(p.9) in (P.I.d.M.); pedi, ‘piede’ (p.14) - nenti, ‘niente’

(p.15)- deci, ‘dieci’ (p.23) in (R.d.G.).

18. Interessanti sono anche i suoni prostetici come s- (ROHLFS, I:

475): squasi, ‘quasi’ (p.19) in (R.d.G.); svidiri, ‘vedere’ (p.10) in

(O.d.N.); sdirrupo, ‘dirupo’ (p.36) - sdilinquenti, ‘delinquenti’ (p.101)

in (P.I.d.M.); scangiate, ’cambiate’(p.21) in (G.d.B.); scascione,

‘cagione’(p.25) in (P.d.R.); squietarsi, ‘inquietarsi ‘ (p.44) - sdisolata,

desolata’ (p.26) in (L.d.C).

19. Interessante è il passaggio di b- iniziale a v- (ROHLFS, I: 194):

vestia, ‘bestia’ (p.20) - vucca, ‘bocca’ (p.21) in (R.d.G.); vagnatizza,

‘bagnaticcia’ (p.12) - vascia, ‘bassa’ (p.36) in (O.d.N.); vivuto,

‘bevuto’ (p.35) - vuccata, ‘boccata’ (p.35) in (P.I.d.M.); vastasate,

’bastardate’ (p.13) - vippi, ’bevve’ (p.22) in (G.d.B.).

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20. Al pari significativo è il trattamento di –v- intervocalica

(ROHLFS, I: 291): nirbuso, ‘nervoso’ (p.23) - innirbusire,

‘innervosire’ (p.51) in (P.d.M.); revorbaro, ‘revolver’ (p.13) -

riserbata, ‘riservata’ (p.36) in (O.d.N.); nerbi, ‘nervi’ (p.52) in

(P.d.R.).

21. Si nota anche la desonorizzazione di –g- (ROHLFS, I: 299):

asciuca, ‘asciuga’ (p.12) - macari, ‘magari’ (p.17) in (P.d.R.); nàvica,

‘naviga’(p.179) in (P.d.T); fìcato, ‘fegato’(p.26) in (L.d.C.).

22. Altro fenomeno rilevante è il trattamento delle occlusive nei

gruppi consonantici con r (ROHLFS, I: 369): squatrato, ‘squadrato’

(p.20)- patrone, ‘padrone’ (p.23) in (R.d.G.); quatrava, ‘quadrava’

(p.26) in (P.d.M.); latri, ‘ladri’ (p.16) - quatrittata, ‘quadrettata’ (p.26)

in (P.I.d.M.).

Anche l’uso degli avverbi rispecchia le regolarità messe in luce da

Rohlfs per il dialetto meridionale (ROHLFS, III: 241): comu, ‘come’-

avanti, ‘prima’- macari, ‘anche’- a sicondo, ‘a seconda’- dintra,

‘dentro’- per come, ‘a seconda di come’ (p.13) in (R.d.G.); assà,

‘assai’ (p.26) - manco, ‘nemmeno’- fora, ‘fuori’ (p.27) in (P.d.M.);

addritta, ‘davanti’ (p.19) - vasannò, ‘sennò’ (p.19) in (O.d.N.);

appresso, ‘vicino’(p.84) - quatelosamente, ‘piano’ (p.87) - chiuttosto,

‘piuttosto’ (p.143) in (P.I.d.M.); narrè, ’indietro’(p.35) - alla dannata,

‘in modo disperato’(p.34) - di cca, ‘da qua’ (p.111) in (G.d.B.);

chiossà, ‘in più’(p.68) - accussì, ‘così’ (p.52)- tanticchia, ‘un po’

(p.11) in (P.d.R.); cchiù, ‘più’ (p.50) - sutta, ‘sotto’ (p.63) - opuro,

‘oppure’ (p.187) in (P.d.T.); picca e nenti, ‘poco e niente’ (p.29) -

indovi, ‘dove’(p.37) in (L.d.C.).

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La grafia delle preposizioni si collega anch’essa in Camilleri al

costume linguistico siciliano (ROHLFS, III: cap. 630- 642): di frisco,

‘da poco’- di la (lampa), ‘della lampada’- a la (cerca), ‘alla ricerca’-

pre sempio, ‘per esempio’- a sireno- di stati, ‘d’estate’- di ‘nvernu,

‘d’inverno’(p.13) in (R.d.G.); allo spitale, ‘all’ospedale’(p.14)- ca ci

l’attrovu, ‘che (ce)lo trovi’ (p.12) - cosa di militare, ‘da militare’(p.11)

in (P.d.M.); pi, ‘per’(p13)- ‘n terra, ‘a terra’(p.21) in (O.d.N.);

ammazzerà a qualcuno, ‘ucciderà qualcuno’ (p.34) - mi viene di

scantarmi, ‘mi viene da allarmarmi’ (p.45) in (P.I.d.M.); alla

scordatina, ‘senza pensare’ (p.10) - tanto di permettergli, ’tanto da..’

(p.23) in (G.d.B.); dell’americani, ‘degli americani’ (p.16) - di darrè,

‘da dietro’ (p.28) in (P.d.R.); a la mè casa, ‘alla mia casa’ (p.79) in

(P.d.T.); cu mia, ‘con me’(p.22) - essiri di presenza, ‘essere presente’

(p.13) - di subito, ‘da subito’ (p.24) in (L.d.C.); cammara di mangiare\

di dormire, ‘stanza da pranzo\ da letto’(p.36) in (i.M.)

Sono da segnalarsi gli influssi fonologici dialettali, ed alcune

particolarità dialettali tipo: le aferesi e le elisioni delle preposizioni,

presenti spesso nei discorsi diretti per rendere il tono colloquiale; la

particella ‘ce’precedente i pronomi, pleonastica e tipicamente

dialettale; inoltre ‘di’ ed ‘a’ sostituiscono ‘da’, che in dialetto non

esiste; le preposizioni articolate si sciolgono in semplici (es.:di

la>della, a la>alla), separandosi dall’articolo, si nota una confusione

tra i confini della preposizione e del nome seguente, fenomeno che va

oltre l’italiano di Sicilia, (A.LEONE, “L’italiano regionale di Sicilia,

il Mulino, 1982 pag. 117).

Si notano le seguenti particolarità nell’uso degli articoli (ROHLFS,

II:.106 e seg): l’uso dell’ articolo, solitamente non precedente i

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prenomi, i nomi femminili, né i cognomi che non siano usati con

riferimento a donne o al plurale, ed infatti la regola è rispettata: I

Zosimo, ‘gli Zosimo’(p.13) in (R.d.G.); la presenza della ‘U’, forma

contratta dell’articolo determinativo il- lo>lu>u, che ha perso la sua

parte consonantica (ROHLFS, cap.418): u Signuri Diu, ‘il Signore

Dio’ (p.16) - u zù Casio, ‘lo zio Casio’ (p.22) in (R.d.G.); ‘na poco,

‘un poco’ (p.55) in (R.d.G.) è la realizzazione meridionale

dell’articolo indeterminativo (ROHLFS, Sint., pag.113); in di la

facci, ‘dalla faccia’ (p.268) in (P.d.T) ed in la bitudine, ‘l’abitudine’

(p.9) in (L.d.C), è da notare il fenomeno di confusione tra i confini

dell’articolo e il nome seguente, già rilevato anche per le preposizioni.

L’utilizzo degli articoli lo\ lu dipende dal sostantivo che segue: se si

tratta di un neutro seleziona ‘lo’, se è un maschile, ‘lu’.

Anche nei pronomi emergono alcune particolarità del siciliano

(ROHLFS, II:120 e seg.); da segnalarsi: il pronome oggettivo atono,

utilizzato per un costrutto dialettale\ colloquiale, quale la dislocazione

a sx: lo trovavano, il travaglio, ‘trovavano il lavoro’(p.13) in (R.d.G.);

il pronome ca, ‘che’ (p.14) in (R.d.G.), forma siciliana per esprimere il

pronome relativo ‘che’, ma che è anche elemento introduttivo di frasi

imperative o esortative; questo suo utilizzo resta tuttavia relegato al

dialetto, senza infiltrarsi nella lingua, (es.: ca quali porta? (p.22) in

(R.d.G.)); la forma abbreviata, nonché dialettale del pronome

dimostrativo maschile ‘questo’ (R., Morf., p.207):‘stu, ‘questo’(p.24);

gli esempi di forme meridionali dei pronomi possessivi so’, ‘sua’

(p.31)- me’, ‘mio\a’ (p.33) - to’, ‘tuo\a’ (p.68); i casi obliqui di forme

toniche dei pronomi personali (R. II:136), che rispecchiano le tipiche

forme meridionali a tia, ‘a te’ (p.42)- (secondo) tia, ‘secondo te’

(p.60)- a mia, ‘a me’ (p.64) in (P.d.M.); i pronomi indefiniti con

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vocalismo e consonantismo siciliano: nisciuna, ‘nessuna’(p.10)- nenti,

‘niente’(p.75) in (O.d.N.); la forma soggettiva tonica del pronome

personale di terza persona singolare (R., Morf., cap.437) iddru, ‘lui’

(p.39) in (P.d.M.); il pronome interrogativo la cui forma è diffusa in

molte parlate dialettali che deriva da ‘cui’, che abbreviandosi dà ‘cu’

(R., Morf., cap. 199): cu, ‘chi’ (p.26) in (G.d.B.); la combinazione di

ne con un pronome oggettivo atono, soggetta a vocalismo siciliano e a

raddoppiamento fonosintattico, che dà come risultato una forma

dialettale tipica del parlato (R., Morf., cap.473), ossia minni, ‘me ne’

(p.64); il pronome dimostrativo tipicamente siciliano chiddru, ‘quello’

(p.181) in (P.d.R.), che dimostra come, a differenza della lingua

nazionale che si orienta ormai per il sistema bipartito, il siciliano

conservi il tripartito, e chiddru ne è un esempio (A.LEONE,

“Profilo..”, p.29); a vossia, ‘a vostra signoria’(p.12) in (P.d.T.) è una

forma di cortesia alla terza persona del pronome personale; “in Sicilia

‘vossia’ (<vossignurìa), per influssi spagnoli è divenuto saluto

generico (come lo spagn. Usted< vuestra merced) anche tra i popolani

e nei rapporti con inferiori e servitori (voi in Sicilia è piuttosto termine

di disprezzo), cfr. si vossia è cuntentu. Accanto a vossia si hanno in

Sicilia le forme ridotte vossa e ssa, per esempio il saluto ssa benedica”

(R., Morf., cap. 478).

Frequenti sono gli esempi di replicazioni nominali (A.LEONE,

‘Profilo di sintassi siciliana’, pag.32): campagne campagne, ‘lungo la

campagna’ (p.13) - sicco sicco, ‘magro’ (p.18) in (R.d.G.); (gli occhi

gli facevano) pupi pupi, ‘occhi che fanno fatica a stare aperti’ (p.10) -

cerca cerca, ‘ricerca lunga’(p.11) in (P.d.M); novo novo, ‘nuovo di

zecca’ (p.11)- paro paro, ‘esattamente’ (p.11) in (O.d.N.); allatu

allatu, ‘vicino’(p.36) in (P.I.d.M.); stritto stritto, ’molto stretto’ (p.25)

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in (G.d.B.); torno torno, ‘tutt’intorno’ (p.158) in (P.d.R.); quasi quasi,

‘per poco’(p.279) in (P.d.T.); scure scure, ‘scure’(p.27)- leggia leggia,

‘leggera’(p.99) in (L.d.C.).

Il fenomeno dell’iterazione in Sicilia è largamente attestato “al punto

da farmi pensare ad una sua origine siciliana” (A.LEONE,

“Profilo..”, pag.31); questo fenomeno si lega solitamente ad una

sfumatura semantica di continuità sia nel tempo (cfr. es.pag.21) che

nello spazio (cfr. es.pag.13, 17).

Anche i numeri presentano vocalismo e consonantismo siciliani

(ROHLFS, III: 309): sidici, ‘sedici’ (p.16) - cinco, ‘cinque’ (p.16) -

ventina\ vintina, ‘ventina’ (p.17) - dù, ‘due’(p.20)- tri, ‘tre’ (p.20) in

(R.d.G.); deci, ‘dieci’ (p.48) - (P.d.M.); quattru, ‘quattro’ (p.19) - novi,

‘nove’ (p.21) - unnici, ‘undici’ (p.31) in (P.d.R.).

Da segnalarsi le seguenti forme: il primo esempio presenta vocalismo

siciliano, il secondo ha la forma meridionale per il termine ‘cinco’;

vintina è un numerale collettivo che presenta il vocalismo siciliano; in

Sicilia inoltre, è molto diffusa la numerazione per ventine,

probabilmente di origine normanna e poi trapiantata nell’isola (R.,

cap.975).

dù è una forma abbreviata tipicamente meridionale, la cui riduzione è

spesso dovuta a posizione proclitica, infatti nel testo: ‘dù dita’;

‘tri’ è forma metafonica diffusa, soprattutto nel settentrione

(cfr.ROHLFS, cap. 971); ‘deci’ è forma meridionale assieme a dèce

(R., cap.972).

Concordanze e plurali (A.LEONE, “L’italiano regionale in Sicilia”,

pag. 118\ ROHLFS, II): le mano libere, ‘le mani libere’ (p.16) -

cazùna, ‘calzoni’ (p.21) - i dulura, ‘i dolori’ (p.27) in (R.d.G.);

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pitruna, ‘grosse pietre’(p.48) in (O.d.N.); i purmuna, ‘I

polmoni’(p.20)- il dintra e il fora, ‘il dentro e il fuori’(p.129) in

(P.I.d.M.); arrivato tardo, ’arrivato tardi’(p.11) in (G.d.B.); i scaluna,

‘gli scalini’(p.165) in (P.d.R.); canala rotte, ‘canali, tubi rotti’(p.38) in

(P.d.T.); i pugna, ‘i pugni’(p.11) in (L.d.C.).

Sono utili alcune osservazioni su questi tipi di accordi: forme tipo

‘cazùna’, ‘dulura’, ‘purmuna’, sono plurali la cui desinenza è in –a

perché il corrispettivo singolare con vocalismo siciliano (e>i) si

confonde con il plurale dei nomi maschili di seconda declinazione (-i),

dunque un’uscita alternativa permette di ridistinguere nel plurale le

parole maschili; è un fenomeno tipico della Sicilia (cfr. ROHLFS,

pag.369); la forma “le mano” è un tipo di plurale che ha origine dalla

quarta declinazione, è una forma arcaica che si è evoluta distinguendo

il numero solo in seguito, visto che inizialmente assolveva ad

entrambe le funzioni, (cfr. ROHLFS, pag. 24\34); ‘cinco’ è forma

meridionale, tendenzialmente indeclinabile, anche se è possibile

trovare forme di accordo al plurale (cfr. ROHLFS, pag.311); spesso

accade che l’avverbio concordi in genere e numero con il sostantivo

cui è riferito; questo perché risulta sostanzialmente sconosciuto in

meridione; le sue veci infatti sono assolte dall’aggettivo, regolarmente

declinato (R., cap.887); non sono rari i casi in cui concordino due

avverbi, due aggettivi o due sostantivi; il motivo potrebbe essere un

semplice livellamento stilistico.

Interessanti sono anche gli ipercorrettismi, fenomeno messo del resto

in luce da A.LEONE, “L’italiano regionale in Sicilia”, (cap. 4, pag.

57).

Tra gli altri va segnalato lo scempiamento delle consonanti: matina,

‘mattina’ (p.13) - davero, ‘davvero’(p.24) in (R.d.G.); caminare,

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‘camminare’ (p.17) - (P.I.d.M.); farabutti, ’farabutti’ (p.14) - asasini,

’assassini’ (p.14) in (G.d.B.); cafè, ‘caffè’ (p.28) - machinetta,

‘macchinetta’ (p.28) in (P.d.R.); improvise, ‘improvvise’ (p.22) in

(L.d.C.)

Al contrario, l’uso a sproposito della geminata, che in questo caso

riproduce la parlata locale: cammare, ‘camere’ (p.21)- commodo,

‘comodo’ (p.28) in (R.d.G.); incarricata, ‘incaricata’ (p.33) - scarrico,

‘scarico’ (p.79) in (P.d.M.); arrubbò, ‘rubò’(p.13)- malaccrianza,

‘malacreanza’(p.27) in (O.d.N.); sdirrupo, ‘dirupo’ (p.36) -

carricatore, ‘caricatore’ (p.29) - vennirdì, ‘venerdì’ (p.24) in

(P.I.d.M.);

fastiddio, ’fastidio’ (p.69) - studdio, ‘studio’ (p.73) in (G.d.B.);

cammisi, ‘camice’ (p.17) - malappena, ’malapena’ (p.17) in (P.d.R.)

rimeddio, ‘rimedio’(p.23)- stuffata, ‘stufata’(p.21) in (P.d.T.); carricò,

‘caricò’(p.29) in (L.d.C.).

Alcune forme delle coniugazioni verbali (ROHLFS, II: 329 e seg., III

463- 471, A.LEONE, “Profilo di sintassi siciliana”, pag. 33-48).

L’analisi delle forme dei verbi consente di vedere come Camilleri

spesso tenda a modificare i morfemi lessicali, altre quelli derivazionali

e grammaticali, altre ancora ognuno di essi.

In questo modo ottiene due risultati: supera il limite della lingua

standard percorrendo la scappatoia di quella vernacola, ampliando così

la gamma delle scelte possibili, e riesce a dare una patina di sicilianità

diffusa, che rafforza o attenua a proprio piacimento nel testo.

Ho preso in esame alcuni capitoli per ogni romanzo scegliendo dei

verbi che poi ho suddiviso per modo e tempo, in modo da poter

formulare alcune osservazioni sulle forme più soggette ad influssi

dialettali.

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Indicativo

Presente

havi, ‘ha’- veni, ‘viene’ (p.17)- staiu, ‘sto’(p.18) - scinno, ‘scendo’

(p.22) - fazzo, ‘faccio’ (p.22)- haiu, ‘ho’ (p.26) in (R.d.G.);

avi, ‘ha’ (p.57)- sugnu, ‘sono’(p.57)- sapi, ‘sa’(p.81) in (O.d.N.);

sacciu, ‘so’ (p.154)- (mi) susu, ‘(mi) alzo’ (p.163) in (P.I.d.M.);

babbii, ’scherzi’(p.15)- (mi) voli, ’(mi) vuole’ (p.21) in (G.d.B.);

(ci) dugnu, ‘(ci) do’ (p.110)- sunnu, ‘sono (essi)’(p.111)- mori,

‘muore’ (p.171) in (P.d.R.);

trasi, ‘entra’ (p.177)- fazzu, ‘faccio’(p.178)- arrinesci, ‘riesce’(p.178)-

(ci lu) sacciu, ‘lo so’(p.183)- havvi, ‘ha’(p.189) in (P.d.T.).

Imperfetto

ivano, ‘andavano’(p.18)- taliava, ‘guardava’(p.18)- passiava,

‘passeggiava’(p.21)- bastoniavano, ‘bastonavano’(p.21)-

cummigliava, ‘copriva’- trasiva, ‘entrava’(p.22)- susiva, ‘si

alzava’(p.28) in (R.d.G.);

erasi, ‘era’(81) in (O.d.N.);

cataminava, ’muoveva’(p.22)- sgriddrava, ’sgranava’(p.18) in

(G.d.B.);

s’avia (a tiniri), ‘si doveva (tenere)’(p.186) in (P.d.T.);

sbattachiavano, ‘sbattevano’(p.35) in (i.M.).

Passato remoto

sciogliette, ‘sciolse’(p.14)- susì, ‘alzò’(p.18)- desi, ‘diede’(p.19)- cadì,

‘cadde’(p.21)- vitti, ‘vide’(p.21)- isò, ‘alzò’(p.21) in (R.d.G.);

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cuocì, ‘cosse’ (p.49)- godè, ‘godette’ (p.49)- cangiò, ‘cambiò’(p.50)-

desi, ‘dette’(p.60)- vintiò, ‘arieggiò’(p.66) in (P.I.d.M.);

assufficò, ‘soffocò’(p.51)- arrimiscoliò, ‘rimescolò’(p.68) in (O.d.N.);

arricivitte, ‘ricevette’(p.126)- pruì, ‘offrì’(p.126)- liggì, ‘lesse’

(p.132)- ittai, ‘gettai’(p.154) in (P.I.d.M.);

arrussicò, ‘arrossì’(p.14)- inchì, ‘riempì’(p.22) in (G.d.B.);

morse, ‘morì’(p.234)- vippi, ‘bevve’(p.239) in (P.d.R.);

morsi, ‘morii’(p.178)- isò, ‘alzò’(p.188)- capero, ‘capirono’(p.192) in

(P.d.T.);

ficiro, ‘fecero’(p.235) in (L.d.C.) sciglì, ‘scelse’(p.9) in (i.M.).

Trapassato prossimo

avevano intiso, ‘avevano sentito’ (p.13) in (R.d.G.);

aveva addeciso, ‘aveva deciso’ (p.48) in (O.d.N.);

aviva fatto, ‘aveva fatto’ (p.281) in (P.I.d.M.);

era curruta, ‘era corsa’ (p.142) in (P.d.M.).

Infinito

agliuttiri, ‘inghiottire’ (p.13)- aviri, ‘avere’ (p.13)- cataminarsi,

‘muoversi’ (pag. 22)- vivirisilla, ‘bersela’ (p.29) in (R.d.G.);

innirbusire, ‘innervosire’ (p.51) in (P.d.M);

diricci, ‘dire a lui’(p.81) in (O.d.N.);

(senza) addunarisinni, ‘accorgersene’ (p.114)- (meglio) cucirisi,

‘cucirsi’(p.117)- isarisi, ‘alzarsi’ (p.147) in (P.I.d.M.);

mittirisi, ’mettersi’ (p.14)- trasire, ’entrare’ (p.13)- sciarriar(mi),

‘litigare’ (p.16) in (G.d.B.);

pigliarisilla, ‘prendersela’(p.223)- pinnuliari, ‘penzolare’(p.230) in

(L.d.C.).

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Imperativo

taliate, ‘guardate’ (p.17) - tenete, ‘tenete’(p.17)- non fate niente, ‘non

fate niente’(p.17)- talè, ‘guardate’ (p.21) in (R.d.G.);

tàliami, ‘guardami’ (p.162) in (P.I.d.M.);

lassa, ’lascia’ (p.19)- (un) votati, ‘voltati’(p.9)- addrumisciti,

‘addormentati’(p.9) in (G.d.B.);

amuninni, ‘andiamo’ (p.30) in (P.d.T.).

Participio

Passato

arravogliato, ‘avvinghiato’ (p.16)- mortu (di stanchizza), ‘morto (di

stanchezza)’ (p.17)- tirato (a sarbamento), ‘tratto in salvo’ (p.17) in

(R.d.G.);

nisciuto, ‘uscito’(p.60)- liggiuto, ‘letto’ (p.64) in (P.d.M.);

addrumisciuto, ‘addormentato’ (p.133) in (P.I.d.M.);

(trovari ad Angelo) sparato, ‘morto per un colpo di pistola’ (p.226) in

(L.d.C.).

Gerundio

Presente

santianno,‘bestemmiando’(p.17)- facennu, ‘facendo’ (p.18) in

(R.d.G.);

santianno, ‘santiando’(p.140); lamentiannosi,‘lamentandosi’(p.140) -

gastimiando,‘bestemmiando’(p.140) in (P.I.d.M.);

cadenno, ‘cadendo’ (p.177) in (P.d.T.); vivennosi, ‘bevendosi’ (p.225)

in (L.d.C.).

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Congiuntivo

Presente

putisse, ‘potesse’(p.17)- niscisse, ‘uscisse’(p.24)- piacissi,

‘piacesse’(p.28) in (R.d.G.);

dicisse, ‘dicesse’(p.72) in (P.d.M.);

taliasse, ‘guardasse’(p.80) in (O.d.N.); ragiunassi, ‘ragionasse’(p.163)

in (P.I.d.M.);

vinissi, ‘venisse’(p.178)- s’assittasse, ‘si sieda’(p.181) in (P.d.T.);

taliasse, ‘guardi (lei)’(p.41)- (mi) aiutasse, ‘mi aiuti’(p.45) in (I.M.).

Alcune osservazioni

Le forme staju, come haju sono oggi le forme più diffuse in Sicilia e

Calabria (cfr. ROHLFS, Morf. Pag. 272\276); Sacciu è una forma

meridionale che presenta la palatalizzazione della consonante finale

del tema: sacciu<sapio; lo stesso vale per sugnu, per analogia da aju,

‘io ho’ e per dugnu (ROHLFS, Morf. Cap.534);

la forma ‘ivano’, deriva dal presente del verbo ‘ire’; è una fase del

presente di ‘andare’, che nei paesi neolatini è passata attraverso tre, in

parte anche quattro fasi (ROHLFS, Morf. Pag. 280); ‘Susiva’>

‘susire’, composto di ‘su’ ed ‘ire’, letteralmente ‘andare in alto’,

‘alzarsi’, è forma diffusa in meridione (ROHLFS, Morf. Pag. 361);

erasi è una forma meridionale del verbo essere (ROHLFS, Morf.,

cap.553); avia, forma siciliana soggetta a vocalismo (ROHLFS, Morf.,

cap.550); ‘avere’ è l’unico ausiliare in siciliano, nell’esempio riportato

rientra in un costrutto tipicamente siciliano usato per esprimere azioni

di necessità (A.LEONE, “Profilo..”, pag.36);

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‘Arrisolse’e ‘desi’(<’diede’, terza ps. singolare) presentano una

desinenza tipica del dialetto, che rientra nelle forme forti in –si

(ROHLFS, Morf. Pag. 324); ‘Sciogliette’ ha la desinenza del passato

remoto in –etti, forma nata per analogia con ‘stetti (<stetti), poi

mantenutasi per la prima e terza persona del singolare e la terza

plurale; è diffusa in tutte le zone meridionali (ROHLFS, Morf. Pag.

321);

il trapassato prossimo è generalmente inutilizzato in siciliano, dato

che, a scapito di sfumature temporali, il passato remoto tende a

supplire a tutte le funzioni dei tempi che esprimono azioni conclusesi

nel passato; l’utilizzo che ne fa Camilleri sembra letterario dunque,

anche se sfrutta i participi dando loro patinatura siciliana. Sia ausiliari

che participi sono soggetti al tipico vocalismo: e>i; ad-deciso presenta

il comportamento delle consonanti in posizione iniziale; curruta

presenta la forma al femminile del participio debole in –uto, dialettale

rispetto alla forma forte, consolidata nella lingua comune: -ato, -ito

(ROHLFS, Morf. Pag.369);

Nelle forme dialettali con pronomi o particelle riflessive, questi sono

sempre posposti al verbo (A.LEONE, “Profilo..”, sezione verbi) la

forma pinnuliari presenta il suffisso nominale –olare, tipico dei verbi

meridionali, che corrisponde ad –olo e come questo esprime in genere

un minor grado (ROHLFS, Sint., cap.1169);

se l’imperativo non è negativo, il clitico può solo seguirlo (A.LEONE,

“Profilo..”, pag.59);

talè è una forma abbreviata di imperativo; è più una formula fissa che

un verbo vero e proprio, traspare qui la funzione ellittica (ROHLFS,

Morf., cap.606);

amuninni è una forma siciliana del verbo ‘andare’, tipicamente usata

nel parlato;

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L’uso del participio è tipicamente meridionale, infatti accorda con

l’accusativo preposizionale cui si riferisce, sebbene abbia funzione

passiva: trovari Angelo sparato<a trovare Angelo cui avevano sparato

(ROHLFS, Sint., cap.724);

Tutte le forme del participio presentano vocalismi o consonantismi

siciliani, sia nei morfemi lessicali, che in quelli derivazionali;

Il congiuntivo presente non è contemplato tra i tempi verbali del

dialetto siciliano; il congiuntivo imperfetto, qui utilizzato dall’autore,

assolve a varie funzioni: putisse è il verbo di una subordinata finale:

‘perché il nobiluomo putisse..’, la scelta del congiuntivo finale non è

rara nel Meridione, a differenza di altre funzioni che vengono assolte

dall’indicativo (ROHLFS, Sintassi, pag. 68); niscisse è parte di una

proposizione temporale: ‘prima che..niscisse’, e risulta una scelta

normale in contesti che esprimono un momento anteriore all’evento

supposto (ROHLFS, Sint. Pag. 76); oltretutto viene rispettata la

normale consecutio temporum: principale> passato remoto,

subordinata> imperfetto congiuntivo (ROHLFS, Sint., pag. 60); una

precisazione: il dialetto preferisce l’indicativo, lo spiega A.LEONE in

‘Profilo di sintassi siciliana’ : l’ indicativo è il modo dei fatti

obiettivamente esistenti; il congiuntivo..della soggettività; l’uso quindi

dell’indicativo con valore di congiuntivo è possibile solo se il contesto

riesce ad esprimere l’aspetto soggettivo dei fatti, a comunicare che essi

non hanno, o non hanno ancora un’oggettiva realtà’: ‘prima che

‘nisciva’’;

piacissi, infine, è un congiuntivo imperfetto che sostituisce il

condizionale: ‘macari a mia piacissi (piacerebbe) digiunari accussì’;

l’uso è desiderativo, la sostituzione è dovuta al fatto che il

condizionale in dialetto è scomparso (A.LEONE, ‘Profilo..’, pag.40)

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Gli altri sono congiuntivi esortativi, sfruttati in contesti in cui il

pensiero non esprime certezza (A.LEONE, “Profilo..”, pag. 39).

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IL LESSICO NEI ROMANZI DI ANDREA

CAMILLERI

1. Commenti critici

Come già dimostrato, e come numerosi critici hanno sostenuto Il re di

Girgenti è un romanzo in cui siciliano ed italiano stanno sullo stesso

piano. Generalmente ne La serie di Montalbano il dialetto rimane

confinato alle parti dialogate, e caratterizza solo alcuni personaggi, di

rado sconfina nelle zone narrative.

Nei romanzi storici, e in quello da me analizzato in particolare, gli

equilibri mutano. Tutto è invaso dalla lingua vernacola: i dialoghi, i

pensieri dei personaggi riportati dalla voce narrante, tutte le parti

narrative e descrittive

L’esercizio lessicale da parte di Andrea Camilleri è sempre attivo in

ogni romanzo, si può affermare che sia l’aspetto in cui l’autore mette

più alla prova se stesso.

Molti critici si sono espressi in merito, formando assieme alle stesse

dichiarazioni dell’autore sull’argomento, una ricca e interessante

analisi, il cui pregio maggiore, credo sia l’estrema varietà di opinioni,

considerazioni, posizioni che costituiscono un piano rialzato dal quale

guardare al fenomeno da innumerevoli punti di vista.

Con certezza si possono fare due affermazioni:

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la prima è il desiderio di coinvolgere il lettore in un gioco linguistico

che in primio luogo è lessicale, fornendogli tutti gli strumenti

necessari;

la seconda è la certezza che Camilleri1 stesso, prima dei suoi lettori,

abbia lavorato molto sul linguaggio; lo dichiara lui stesso:

C’è una componente alla quale io sono stato allevato. E la

componente è quella dell’invenzione della parola. […] Mia nonna

mi diceva: “Vammi a prendere il currupizzu”, parola questa che

non esiste in nessuna parte del dialetto. Quindi veniva in mente che

un oggetto potesse essere chiamato currupizzu. La sintonia perfetta

era che io in quel momento capivo che cos’era il currupizzu e glielo

andavo a prendere. Allora, sono stato educato a una certa creazione

delle parole come per gioco.

L’allenamento di cui parla l’autore aveva la finalità di abituare la

mente a sfruttare la lingua, piegandola a qualsiasi esigenza.

Questo esercizio trova la sua massima applicazione nei romanzi

storici, in cui la struttura del racconto non è vincolata da strutture di

genere, perciò l’autore è libero di dedicarsi alla lingua2:

[…] in un giallo è un po’ crudele, sadico e anche masochistico

pigliare il lettore e metterlo di fronte al problema della lingua, oltre

al problema del giallo in sé. Infatti chi legge attentamente i due tipi

di libri miei, vede che nei romanzi storici io mi sento assai più

libero di sperimentare il mio linguaggio che non nella serie di

Montalbano.

1Intervista a cura di Serena Filipponi, Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Milano, Volume LV-Fascicolo II- Maggio-Agosto 2002.2Ibid.

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Alla Filipponi Camilleri confessa, in merito a Il re di Girgenti che

c’era stato il rifiuto totale o l’accettazione piena dell’opera, e per

esemplificare cita delle recensioni. Una di queste, estremamente

sfavorevole, di cui purtroppo non è indicato l’autore dice:

è la stessa virtù espressiva, pregio del romanzo di Camilleri, a

risultare anche nel contempo il punto debole.Ogni volta si

trasforma in virtuosismo, fastidioso nel suo compiacimento

camuffato da spigliatezza; così come l’espandersi, ciò che accade

ne Il re di Girgenti, del dialetto; […] il dialetto appare in Camilleri

vernicetta, colore, gioco, tacito ammicco.

Ma cita anche chi ha usato toni più pacati, come Nunzio La Fauci3:

La lingua di Camilleri […] è una finissima costruzione letteraria. Il

lessico è siciliano, ma la morfologia è quasi interamente italiana. Si

tratta di un siciliano italianizzato. E’ una lingua apparentemente

esclusiva, l’autore sembra dire ‘e chi è siciliano mi capisce’. In

realtà poi fa in modo che l’osticità diventi trasparenza, fornisce al

lettore gli strumenti perché egli possa appropriarsi del codice,

entrare in un mondo. […] .

Della lingua de Il re di Girgenti ha trattato anche un professore di

storia all’università di Genova, Vittorio Coletti4, autore di un articolo

molto approfondito che si intitola “Arrigalannu un sognu”, ed

esordisce così:

Solo in Italia è concepibile e leggibile un romanzo come Il re di

Girgenti. Un romanzo scritto in una lingua locale e personale, in un

3 Saggio Prolegomeni ad una fenomenologia del tragediatore: saggio ad Andrea Camilleri, in “Lucia, Marcovaldo e altri soggetti pericolosi”, Editore Meltemi, Roma, 2001, pp.150-163.4 Vittorio Coletti, Arrigalannu un sognu “L’indice”, 12.2001.

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dialetto ben noto e illustre, un idioletto fantasioso e preciso, nel

siciliano di Andrea Camilleri. […] il dialetto reale e reinventato

dall’esuberante estrosità verbale dell’autore non si limita a rivestire

punti precisi e limitati del testo […] a svolgere un ruolo

narratologico importante ma non esclusivo […]. Nel Re di Girgenti

questo dialetto è la lingua di tutto il romanzo, del narratore e dei

personaggi, occupa ogni spazio e si adatta ad ogni situazione,

lasciando all’italiano solo pochissime finestre […]. Per tutto il resto

del lungo romanzo l’idialetto (viene da coniare questo neologismo)

di Camilleri la fa da protagonista, frutto di una ricerca linguistica

divertita e sapiente che riesce a raccontare i fatti come se si trattasse

della solita lingua media e strumentale necessaria ai romanzi, e al

contempo riesce ad imporsi in primo piano come se fosse l’oggetto

rappresentato, il personaggio principale, la vera storia. […] viene

da chiedersi, si può scrivere un romanzo in una lingua fortemente

differenziata, particolare, mezza vera e mezza finta? Sì […] se la

scelta è monolinguistica […] come il dialetto siciliano manipolato

da Andrea Camilleri […] irrompe sulla pagina con strepito e colore,

eccede con garbo, diverte con misura, non infastidisce mai e lascia

tutti ammirati.

Entusiasta quanto Coletti, si rivela Francesco Mannoni5, che sul

Messaggero Veneto scrive un articolo in cui sostiene la grandezza de

Il re di Girgenti, paragonandolo a capisaldi della “letteratura

regionalistica e universale”, come I Malavoglia del Verga, o le Terre

del Sacramento di Iovine, o ancora il Fontamara di Silone.

Su questi presupposti sostiene:

5 Francesco Mannoni, Il contadino che divenne re, Messaggero Veneto, 11.12.2001

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[…] l’innesto del dialetto e la parlata spagnola che intersecano

l’opera come fiammate linguistiche, squagliano e amalgamano

sapientemente l’insieme di una vicenda che a tratti è dramma

struggente e commedia ironica da far invidia a un Balzac.

Di tutt’altro parere sembrano altri critici, tra cui Giorgio De Rienzo6,

che nel Corriere della Sera condanna Il re di Girgenti senza possibilità

di appello:

[…] Camilleri qui punta al romanzo “totale”. […] Nel racconto, per

metafora vorrebbe trasferire tutto il mondo. Assembla invece una

quantità di materiali che non hanno una struttura che li aggreghi, né

una lingua che li esprima. Va dunque per accumulazioni e

divagazioni verso il fallimento.

Assieme a questa, arriva un’altra condanna di Marco Belpoliti 7che

critica tutto l’impianto narrativo del romanzo, nonché la lingua:

[…] Anche di dizionari ce ne devono essere stati sullo scrittoio, ma

la lingua dello scrittore siciliano, salvo in alcuni punti, non fa

grandi balzi in avanti. [..] Si fa un grande parlare della lingua di

Camilleri. E certo la principale trovata dello scrittore è questa. Ma

che linguaggio usa? Siciliano, certo, ma inventato, un siciliano

infarcito a volte di termini napoletani e persino romaneschi.

Tuttavia non si tratta di plurilinguismo, perché la lingua di

Camilleri è siciliana solo a livello lessicale e non sintattico. Non

segue il dialetto nel dar forma alla frase, se non in alcuni punti. Per

questo la può leggere anche chi siciliano non è.

6 Giorgio De Rienzo, La pagella di Andrea Camilleri. Il re di Girgenti, Corriere della Sera, 30.12 2001.7 Marco Belpoliti, Il contadino che volle farsi re, L’Espresso, 19.12.2001.

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Di fronte a così vari punti di vista è difficile orientare la propria

opinione; tuttavia credo che il mio interesse per la questione lessicale

sia scaturito proprio e soprattutto dalla lettura di quelle recensioni che

tendono a stroncare Camilleri e la sua lingua.

Come spesso accade, le critiche generano curiosità, e spesso incitano

all’approfondimento per verificare, ed eventualmente smentire, ciò che

di inattendibile sta alla loro base.

2. Analisi lessicale de Il re di Girgenti

2.1 Lessico: il gioco a due mani tra siciliano e italiano

Date le premesse, ho deciso di stringere il campo della mia indagine al

lessico, con lo scopo di capire i principi su cui l’autore si basa nel

momento in cui compie le sue creazioni lessicali.

Per effettuare questa analisi ho organizzato il mio lavoro secondo i

seguenti criteri:

- ho inventariato tutte le voci non corrispondenti all’italiano standard

dei primi tre capitoli, raggruppandole per categorie grammaticali,

perciò l’analisi si estende dalle congiunzioni, nessi, preposizioni,

pronomi, numeri, fino ai verbi, aggettivi, avverbi, locuzioni e

sostantivi;

servendomi di fonti estremamente utili, tra cui: “Innovazione e

conservazione nelle lingue” 8, vocabolari e manuali etimologici9, ho 8 Giovanni Troppa, Su alcuni aspetti dell’italianizzazione lessicale in Sicilia, pp. 171-198, da “Innovazione e conservazione nelle lingue”, Atti del Convegno della Società Italiana di Glottologia, Testi raccolti a cura di Vincenzo Orioles, Messina 9-11 novembre 1989, Giardini Editori e Stampatori in Pisa, 1991.9 Remigio Roccella, Vocabolario della lingua parlata in piazza Armerina (Sicilia), Caltagirone, Bartolomeo Mantelli Editore, 1875.

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condotto una ricerca che mi permettesse di stabilire a livello lessicale,

quali fossero le voci appartenenti al dialetto siciliano, quali invece

potessero dirsi frutto dell’inventiva dell’autore;

- ho riportato tutte le voci nel modo in cui si presentavano nel testo,

mantenendo il genere e il numero, i tempi e i modi;

- accanto ad ogni voce ho segnato il numero delle occorrenze. Questa

operazione è stata necessaria per mettere in relazione ogni termine con

la sua frequenza nel testo secondo i criteri del type talking;

solitamente, più questa è elevata, meno possibilità ci sono che

ricorrano varianti linguistiche di quel termine, a discapito della varietà

espressiva. Al contrario se la frequenza è scarsa, è possibile ipotizzare

una maggiore ricchezza di vocaboli, di forme, con un conseguente

netto guadagno per l’indagine lessicale.

Qui di seguito riporto tutto l’inventario dei verbi.

2.2 Lista dei verbi e frequenza delle forme

Giuseppe Gioeni, Saggio di etimologie siciliane, Palermo, Tipografia dello “Statuto”, 1885.Edoardo Nicotra D’Urso, Nuovissimo Dizionario Siciliano-Italiano, contenente le voci e le frasi siciliane dissimili dalle italiane, con prefazione di Luigi Capuana, Catania, Cav. Niccolò Giannotta, Editore, 1922.Vincenzo Nicotra, Dizionario Siciliano-Italiano, Catania, Stabilimento tipografico Bellini, 1883.Antonino Traina, Vocabolarietto delle voci siciliane dissimili dalle italiane, con saggio di altre differenze ortoepiche e grammaticali, Palermo, Libreria Internazionale, 1888.Carmelo Scavuzzo, Dizionario del parlar siciliano, Palermo, 1982, Edikronos.

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(22) v. AVIRI

avemu, ‘abbiamo’(2)

avia, ‘aveva’

aviri, ‘avere’(9)

aviva, ‘aveva’(2)

avivano, ‘avevano’(2)

haiu, ‘ho’(2)

hannu, ‘hanno’

havi, ‘ha’(3)

(19) v. TALIARE

taliandola\o, ‘guardandola\o’(2)

talè, ‘guardate’(2)

taliando, ‘guardando’

taliàre, ‘guardare’(3)

taliate, ‘guardate’

taliato, ‘guardato’(2)

taliava, ‘guardava’(4)

taliò, ‘guardò’(4)

(19) v. VULIRI

vogliu, ‘voglio’

voleri, ‘volere’(2)

voli, ‘vuole’(7)

volissi, ‘vorrei’

voliva, ‘voleva’(2)

volivano, ‘volevano’

vonno, ‘vogliono’

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vosi, ‘vuole’

vulite, ‘volete’(2)

vurria, ‘vorrei’

(17) v. FARI

facendo, ‘facendo’

facennu, ‘facendo’

facillo, ‘fallo’

facissi, ‘facessi’

facisti, ‘facesti’

faciva, ‘faceva’(2)

facivano, ‘facevano’(2)

fari, ‘fare’(3)

fazzo, ‘faccio’(4)

fici, ‘fece’

(16) v. SPIARI

spiare, ‘chiedere’

spiargli, ‘chiedergli’

spiò, ‘chiese’(12)

susiva, ‘si alzava’

susuta, ‘alzata’

(15) v. PIGGHIARI

pigliare, ‘prendere’(2)

pigliari, ‘prendere’(3)

pigliatilla, ‘prenditela’

pigliato, ‘preso’(2)

pigliava, ‘prendeva’(2)

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pigliò, ‘pigliò’(5)

(14) v. PINSARI

pinsando, ‘pensando’

pinsari, ‘pensare’(3)

pinsaricci, ‘pensarci’

pinsateci, ‘pensateci’

pinsati, ‘pensate’

pinsava, ‘pensava’(2)

pinsò, ‘pensò’(5)

(11) v. DIRI

dici, ‘dice’(4)

dìcino, ‘dicono’

dicitimi, ‘ditemi’

diri, ‘dire’

ditto, ‘detto’(4)

(11) v. NESCIRI

nesciri, ‘uscire’

niscero, ‘uscirono’

niscì, ‘uscì’(4)

niscisse, ‘uscisse’

nisciuto, ‘uscito’(3)

nisciva, ‘usciva’

(11) v. POTIRI

potissi, ‘potrei’

potiti, ‘potete’(2)

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potiva, ‘poteva’

pozzo, ‘posso’(3)

putemu, ‘possiamo’

putisse, ‘potesse’

putissi, ‘potrei’(2)

(11) v. TRASIRI

trasì, ‘entrò’(4)

trasire, ‘entrare’(2)

trasite, ‘entrate’

trasiva, ‘entava’(2)

trasùte, ‘entrate’

trasuto, ‘entrato’

(11) v. VENIRI

veni, ‘viene’(3)

veniri, ‘venire’(3)

viniri, ‘venire’

vinni, ‘venne’(2)

vinuto, ‘venuto’(2)

(11) v. VIDIRI

videvano, ‘vedevano’

vidiri, ‘vedere’(7)

vidiva, ‘vedeva’

vittero, ‘videro’

vitti, ‘vide’

(9) v. ESSIRI

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eramu, ‘eravamo’

essiri, ‘essere’(2)

sugnu, ‘sono’(3)

sunnu, ‘sono’(2)

semu, ‘siamo’

(8) v. ARRINESCIRI

arrinesce, ‘riesce’

arriniscero, ‘riuscirono’

arriniscì, ‘riuscì’(3)

arriniscirono, ‘riuscirono’

arrinisciuto, ‘riuscito’(5)

(8) v. SUSIRISI

susendosi, ‘alzandosi’

susì, ‘alzò’(6)

susirisi, ‘alzarsi’

(8) v. TRAVAGGHIARI

travaglianti, ‘lavoratori’

travagliare, ‘lavorare’

travagliari, ‘lavorare’(3)

travagliava, ‘lavorava’(3)

(6) v. ACCHIANARI

acchiana, ‘entra’

acchianare, ‘salire’(2)

acchianari, ‘salire’ (2)

acchiano, ‘entro’

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(7) v. ADDUNARISI

addunò, ‘accorse’(2)

addunarono, ‘accorsero’

addunato, ‘accorto’

addunò, ‘accorse’(3)

(6) v. ARRISBIGGHIARI

arrisbigliano, ‘svegliano’(2)

arrisbigliato, ‘svegliato’

arrisbigliò, ‘svegliò’(3)

(7) v. ASSITTARSI

assettarsi, ‘sedersi’

assettato, ‘seduto’(6)

(6) v. IRI

iuto, ‘andato’

ivano, ‘andavano’(2)

jamu, ‘andiamo’

iri, ‘andare’(2)

(6) v. ISARISI

isarisi, ‘alzarsi’

isata, ‘alzata’

isò, ‘alzò’(4)

(6) v. MANCIARI

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mangiari, ‘mangiare’(6)

(6) v. SAPIRI

sape, ‘sa’

sapiri, ‘sapere’

sapiva, ‘sapeva’(4)

(6) v. SCINNIRI

scinnì, ‘scese’(3)

scinniva, ‘scendeva’(2)

scinno, ‘scendo’

(5) v. ADDIVINTARI

addiveniate, ‘diventate’

addiventato, ‘diventato’(3)

addiventò, ‘diventò’

(5) v. CATAMINARISI

cataminarsi, ‘muoversi’(3)

cataminata, ‘mossa’

cataminò, ‘mosse’

(5) v. CIRCARI

circari, ‘cercare’(3)

circariti, ‘cercarti’

circò, ‘cercò’

(5) v. CUMMIGGHIARI

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cummigliata, ‘avvolta’(3)

cummigliava, ‘copriva’

cummigliò, ‘coprì’

(5) v. DARI

dari, ‘dare’

desi, ‘diede’(4)

(5) v. RAPPRESENTARI

rappresentare, ‘presentare’(2)

rappresentato, ‘presentato’

rappresentava, ‘presentava’

rappresentò, ‘presentò’

(5) v. SENTIRI

sintì, ‘sentì’

sintiri, ‘sentire’(4)

(5) v. TUPPIARI

tuppiarono, ‘bussarono’(2)

tuppiò, ‘bussò’(3)

(4) v. ABBISUGNARI

abbisogna, ‘è necessario’

abbisognava, ‘bisognava’

abbisogneranno, ‘avranno bisogno’

abbisognò, ‘servì, fu necessario’

(4) v. ACCATTARI

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accattare, ‘prendere’(2)

accattò, ‘prese’

(3) v. ARRISORBIRI

arrisolse, ‘risolse’

arrisolsero, ‘risolsero’

arrisolvì, ‘risolse’

(4) v. CADIRI

cadì, ‘cadde’(4)

(4) v. CAMPARI

campare, ‘vivere’(2)

campari, ‘vivere’(2)

(4) v. CUNTARI

contami, ‘raccontami’(2)

contò, ‘raccontò’(2)

(4) v. CURRIRI

currenno, ‘correndo’

curriri, ‘correre’(3)

(4) v. DORMIRI

dormino, ‘dormono’

dormiri, ‘dormire’(2)

durmiva, ‘dormiva’

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(4) v. MORIRI

moriri, ‘morire’(2)

mortu, ‘morto’

muriri, ‘morire’

(4) v. PARLARI

parlari, ‘parlare’(4)

(4) v. PASSIARI

passiare, ‘passeggiare’(2)

passiava, ‘passeggiava’(2)

(4) v. PRIPARARI

priparato, ‘preparato’

priparava, ‘preparava’

priparò, ‘preparò’(2)

(4) v. SARBARI

sarba, ‘salva’(2)

sarbassi, ‘salvassi’

sarbato, ‘salvato’

(4) v. SPARTIRI

spartemo, ‘spartiamo’(2)

sparto, ‘spartisco’

spartuta, ‘spartita’

(4) v. VIVIRI

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vivemu, ‘beviamo’

vivendosi, ‘bevendosi’

viviri, ‘bere’

vivirisilla, ‘bersela’

(3) v. ACCUNZULARI

acconsolarsi, ‘consolarsi’(2)

acconsolò, ‘consolò’

(3) v. AMMUCCIARI

ammucciata, ‘nascosta’

ammucciava, ‘nascondeva’

ammucciato, ‘nascosto’

(3) v. APPRISINTARISI

appresentarsi, ‘presentarsi’

apprisentò, ‘presentò’

apprisintato, ‘presentato’

(3) v. ARRAGGHIARI

arraggiato, ‘arrabbiato’

arraggiò, ‘arrabbiò’(2)

(3) v. ARRISTARI

arrestavano, ‘restavano’

arrestò, ‘rimase’(2)

(3) v. ASPITTARI

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aspettava, ‘aspettava’

aspettò, ‘aspettò’

aspittava, ‘aspettava’

(3) v. PERDIRI

perdiri, ‘perdere’(2)

perdirlo, ‘perderlo’

(3) v. PRIARI

priare, ‘pregare’

prigavano, ‘pregavano’

priò, ‘pregò’

(3) v. SCANTARISI

scantare, ‘impaurire’

scantato, ‘spaventato’

scantò, ‘spaventò’

(2) v. ACCANUSCIRI

accanosceva, ‘conosceva’

accanosciuto, ‘conosciuto’

(2) v. ACCUMINZARI

accominciare, ‘cominciare’

accominciato, ‘cominciato’

(2) v. ADDIVENIRI

addivintando, ‘stava diventando’

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addivintarono, ‘diventarono’

(2) v. ADDIVERTIRI

addivertito, ‘divertito’

addivertuta, ‘divertita’

(2) v. AFFIRRIARI

affirrandolo, ‘afferrandolo’

affirrata, ‘afferrata’

(2) v. ALLURDARI

allordati, ‘sporcati’

allordò, sporcò’

(2) v. ANDARI

vaiu, ‘vado’

vannu, ‘vanno’

(2) v. APPINNIRI

appiso, ‘appeso’(2)

(2) v. APPUIARSI

appuiarsi, ‘appoggiarsi’

appuiò, ‘appoggiò’

(2) v. ARRAVUGGHIARI

arravogliato, ‘avvolto’(2)

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(2) v. ARRISPUNNIRI

arrisponniri, ‘rispondere’

arrispose, ‘rispose’

(2) v. ARRISTARI

arristari, ‘arrestare’(2)

(2) v. ARRIVIDIRI

arrivide, ‘rivide’

arrivisto, ‘rivisto’

(2) v. ASCIUCARI

asciucò, ‘asciugò’(2)

(2) v. ASSICUTARI

assicutato, seguito’

assicutare, ‘seguire’

(2) v. ASSUFFICARI

assufficare, ‘soffocare’

assufficavano, ‘soffocavano’

(2) v. ATTACCHIAMO

attaccarono, ‘cominciarono’

attacchiamo, ‘cominciamo’

(2) v. CATAFUTTIRISI

catafottersi, ‘sfracellarsi’

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catafotto, ‘sfracello’

(2) v. CHIAMARI

chiamari, ‘chiamare’(2)

(2) v. CHIANCIRI

chiangiri, ‘piangere’

chiangiva, ‘piangeva’

(2) v. CRIDIRI> CRIRIRI

cridi, ‘credi’

cridivano, ‘credevano’

(2) v. CURCARI

curcato, ‘coricato’(2)

(2) v. DDOVIRI

doviti, ‘dovete’

dovittiro, ‘dovettero’

(2) v. FIRRIARI

firriò, ‘girò intorno’(2)

(2) v. FRISCARI

friscò, ‘fischiò’(2)

(2) v. LASSARI

lassasse, ‘lasciasse’

lassò, ‘lasciò’

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(2) v. METTIRI

mettiri, ‘mettere’

mettiricci, ‘metterci’

(2) v. MURMURIARI

murmuriando, ‘mormorando’

murmuriava, ‘mormorava’

(2) v. PARARI

parò, ‘coprì’

parono, ‘sembrano’

(2) v. PIRSUADIRI

pirsuasi, ‘persuasi’(2)

(2) v. PRINCIPIARI

principiari, ‘cominciare’

principiò, ‘cominciò’

(2) v. PRUIRI

pruì, ‘porse’(2)

(2) v. QUATRARI

quatrava, ‘coincideva’(2)

(2) v. RAPRIRI

raprì, ‘aprì’(2)

(2) v. RICIVIRI

riciviri, ‘ricevere’

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ricivitte, ‘ricevette’

(2) v. RIPIGGHIARI

ripigliari, ‘riprendere’

ripigliata, ‘ripresa’

(2) v. RRICANUSCIRI

arraconoscì, ‘riconobbe’

arriconoscere, ‘riconoscere’

(2) v. SANTIARI

santianno, ‘bestemmiando’(2)

(2) v. STINNICCHIARI

stinnirisi, ‘stendersi’

stiso, ‘steso’

(2) v. STRAZZARI

strazzava, ‘stracciava’

strazzato, ‘stracciato’

(1) ADDICIRIRI

addigerisco, ‘digerisco’

(1) v. ‘NZIGNARI

inzigna, ‘insegna’

(1) v. ‘SASSINARI

sasinato, ‘assassinato’

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(1) v. ABBRAZZARI

abbrazzato, ‘abbracciato’

(1) v. ABBRUSCARI

abbrusciato, ‘bruciato’

(1) v. ACCANUSCIRI

conosceri, ‘conosceri’

(1) v. ACCAPIRI

accapito, ‘capito’

(1) v. ACCHIANARI

acchiana, ‘entra’

(1) v. ACCRIDIRI

accredendo, ‘credendo’

(1) v. ADDANNARISI

addannata, ‘dannata’

(1) v. ADDIMANNARI

addimanna, ‘domanda’

(1) v. ADDINUCCHIARI

inginucchiati, ‘inginocchiati’

(1) v. APPICCARI

impiccatu, ‘impiccato’

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(1) v. ADDRUMARI

addrumari, ‘accendere’

(1) v. AGGHIUTTIRI

agliuttiri, ‘inghiottire’

(1) v. ALLISCIARI

allisciato, ‘reso liscio’

(1) v. AMMAZZARI

ammazzari, ‘ammazzare’(2)

(1) v. AMMUCCARI

ammuccare, ‘abboccare’

(1) v. AMMUTTARI

ammuttò, ‘spinse’

(1) v. APPARTINIRI

apparteni, ‘appartiene’

(1) v. ARRAGGIUNARI

arragionò, ‘ragionò’

(1) v. ARRICAMPARISI

arricamparsi, ‘rincasare’

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(1) v. ARRICUPIRARI

arrecuperava, ‘recuperava’

(1) v. ARRIDIRI>ARRIDIRI >ARRIRIRI>RRIDIRI

arridendo, ‘ridendo’

(1) v. ARRIDUCIRI

arridotto, ‘ridotto’

(1) v. ARRIFRIDDARI

arrifriddarono, ‘raffreddarono’

(1) v. ARRIFRISCARI

arrifriscare, ‘rinfrescare’

(1) v. ARRIGALARI

arrigalata, ‘regalata’

(1) v. ARRIPARARI

arriparavano, ‘riparavano’

(1) v. ARRIPIGGHIARI

arripiglio, ‘riprendo’

(1) v. ARRISPITTARI

arrispittati, ‘rispettati’

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(1) v. ARRISPUNNIRI

arrisposi, ‘risposi’

(1) v. ARRIVARI

arrivari, ‘arrivare’

(1) v. ARRIVIRSARI

arrovesciata, ‘rovesciata’

(1) v. ASCUTARI

ascutato, ‘ascoltato’

(1) v. ARRIVUGGHIARI

arrivogliò, ‘avvolse’

(1) v. ARRIVUTARI

arrivotava, ‘rivoltava’

(1) v. ASSECUTARI

secutò, ‘seguitò’

(1) v. ASSISTIMARI

assistimato, ‘sistemato’

(1) v. ASSUGLIARI

assugliò, ‘svegliò’

102

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(1) v. ASSUNNARI

assunnato, ‘assonnato’

(1) v. ASSUPIRCHIARI

assuperchia, ‘è troppo’

(1) v. ASTUTARI

astutare, ‘spegnere’

(1) v. AVVERTIRI

avvirtiri, ‘avvertire’

(1) v. AZZIRTARI> NZIRTARI

inzertato, ‘indovinato’

(1) v. BBASTUNIARI

bastoniavano, ‘bastonavano’

(1) v. CACARI

cacato, ‘cagato’

(1) v. CAMINARI

caminava, ‘camminava’

(1) v. CANTARI

cantari, ‘cantare’

(1) v. CUMMINTIRI

commettiri, ‘commettere’

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(1) v. CANUSCIRI

canosciuto, ‘conosciuto’

(1) v. CHIOVIRI

chioviri, ‘piovere’

(1) v. CRIARI

criato, ‘creato’

(1) v. CUNZARI

conzàre, ‘apparecchiare’

(1) v. DDICIDIRI

addicidì, ‘decise’

(1) v. DIIUNARI

digiunari, ‘digiunare’

(1) v. DUNARI

dunano, ‘donano’

(1) v. FICCARI

ficcari, ‘ficcare, avere un rapporto sessuale’

(1) v. GARRUSIARI

garrusiare, ‘scherzare, perdere tempo’

(1) v. GUADAGNARI

guadagnari, ‘guadagnare’

104

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(1) v. IMPICCICARI

impiccicato, ‘appiccicato’

(1) v. INCHIUVARI

inchiovato, ‘inchiodato’

(1) v. INFURNARI

‘nfurnate, ‘infornate’

(1) v. ITTARI

ittò, ‘gettò’

(1) v. LACRIMIARI

lacrimiare, ‘lacrimare’

(1) v. LAUDARI

lodatu, ‘lodato’

(1) v. LICINZIARI

licinziari, ‘licenziare’

(1) v. LIVARI

livaricci, ‘levarci’

(1) v. MARTELLARI

martelliò, ‘martellò’

(1) v. NASCIRI

nasciuto, ‘nato’

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(1) v. PIACIRI

piacissi, ‘piacesse’

(1) v. NCAGNARI

s’incaniò, ‘si accanì’

(1) v. NIGARI

nigato, ‘negato’

(1) v. NTENNIRI

intiso, ‘capito’

(1) v. NZUCCARARI

‘nzucchirata, ‘inzuccherata’

(1) v. PARIRI

pari, ‘sembri’

(1) v. PINNULIARI

pinnuliava, ‘pendolava’

(1) v. PIRDIRI

pirdiva, ‘perdeva’

(1) v. PISCIARI

pisciava, ‘pensava’

(1) v. PREOCCUPARISI

prioccupato, ‘preoccupato’

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(1) v. PRISINTARI

prisintò, ‘presentò’

(1) v. PULIZIARI

puliziò, ‘pulì’

(1) PUSSIDIRI

possidiva, ‘possedeva’

(1) v. QUADIARI

quadiavano, ‘scaldavano’

(1) v. RICURRITI

ricurriti, ‘ricorrete’

(1) v. RIPISTIARI

ripistiava, ‘ripensava’

(1) v. RRICAMARI

arracamato, ‘ricamato’

(1) v. RRICIVIRI

arriciviri, ‘ricevere’

(1) v. RRIMPROVERARI

arrimproverava, ‘rimproverava’

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(1) v. RRIPETIRI

ripitì, ‘ripetè’

(1) v. RRISURTARI

arrisultato, ‘risultato’

(1) v. RRIVUTARI

rivotò, ‘rivoltò’

(1) v. SATARI

satargli, ‘saltargli’

(1) v. SBINCIARISI, lett. ‘vendicarsi’

sbinchiargli (a unghiate), ‘graffiare’

(1) v. SCANCIARI

scangiamo, ‘scambiamo’

(1) v. SCARRICARI

scarricare, ‘scaricare’

(1) v. SCASSARI

scassari, ‘scassare’

(1) v. SCATASCIARI

scatasciò, ‘mollò’

(1) v. SCIAURARI>çIAURARI> çIARARI

sciaurare, ‘assaporare’

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(1) v. SCIOGGHIRI

sciogliette, ‘sciolse’

(1) v. SCURARI

scurava, ‘imbruniva’

(1) v. SENTIRI

sentiri, ‘sentire’

(1) v. SFRAGILLARI

sfragillato, ‘sfracellato’

(1) v. SIGNARI

signò, ‘segnò’

(1) v. SMOVIRI

smove, ‘muove’

(1) v. SMURCARI

smorcato, ‘mosso’

(1) v. SPASIMIARI

spasimiàre, ‘spasimare’

(1) v. SPAVINTARI

spavintato, ‘spaventato’

(1) SCUSARI

scusassi, ‘scusasse’

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(1) sost. SBOTA, qui reso verbo

sbotari, ‘rivoltare lo stomaco’

(1) SPIRIRI

spirì, ‘sparì’

(1) v. SQUATRARI

squatrato, ‘guardato bene’

(1) v. STARI

staiu, ‘sto’

(1) v. STORCIRI

torcì, ‘torse’

(1) v. STRASCINARI> STRICARI

strascinarono, ‘trascinarono’

(1) v. SUFFRIRI

soffriri, ‘soffrire’

(1) v. SUNARI

sonò, ‘suonò’

(1) v. TENIRI

teniri, ‘tenere’

(1) v. TRINCARI

trincari, ‘bere

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(1) v. TRUVARI

trovari, ‘trovare’

(1) v. TURNARI

tornari, ‘tornare’

(1) v. VASARI

vasato, ‘baciato’

(1) v. VASTUNIARI

vastoniava, ‘bastonava’

(1) v. VIDIRI

svidiri, ‘vedere’

(1) v. VUTARI

votava, ‘voltava’

(1) v. ZUPPICHIARI>ZUPPIARI

zuppichiava, ‘zoppicava’

(2) v. VIGGHIARI

vigliante, ‘vegliante’(2)

2.3 Alcune osservazioni sul rapporto tra la forma dei verbi e il

modello linguistico siciliano

L’inventario dei verbi ha permesso, tramite il confronto tra i diversi

modi e tempi in cui una stessa voce è coniugata, e tramite il confronto

di questi con le voci all’infinito dei dizionari, segnate in maiuscolo,

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precedute dall’abbreviazione ‘v.’, di capire come l’autore intervenga

su ognuna singolarmente, applicando i fenomeni siciliani secondo

scelte diverse, che ritengo siano dettate fortemente dal contesto in cui

sono inserite, con particolare attenzione a come l’autore, di volta in

volta per ognuna compia scelte diverse.

Ritengo importante precisare come, fatta eccezione per poche voci,

tutti i verbi siano rintracciabili nei dizionari; non ci sono voci

lessicalmente inventate; ciò su cui l’autore effettivamente lavora sono

i diversi tratti che costituiscono le singole voci.

Lo mostrano molto bene verbi come tuppiari e spiari, ad esempio, che

presentano la base lessicale siciliana, e il morfema grammaticale in

italiano.

I verbi potìri e pèrdiri, invece, presentano il morfema lessicale in

italiano, e sono poi coniugati in siciliano, fatta eccezione per le forme

putisse e putissi, (in cui è rispettata per entrambi i morfemi la forma

dialettale), e per perdirlo, presenta il pronome atono italiano –lo,

mentre il siciliano richiederebbe –lu.

Un’analisi di questo tipo è applicabile a tutte le voci elencate, e

permette, al di là delle precisazioni di ordine morfologico, di vedere

come Camilleri reinventi il materiale lessicale a sua disposizione

vivisezionandone i costituenti.

Per quanto riguarda l’ordine che ho dato alle voci, è funzionale a

mettere in rilievo tutti i verbi, dai più utilizzati a quelli che compaiono

una sola volta.

I verbi più frequenti sono gli ausiliari, aviri ed essiri, la frequenza dei

quali è altissima, e la cui varietà è affidata alle coniugazioni, giocate

nell’alternanza tra siciliano ed italiano: avemu, aviva, haiu, ecc.,

eramu, essiri, sugnu, ecc.

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Seguono le voci di uso comune, come vogliu (v. vuliri), pozzu (v.

potiri), vinni (v. vèniri), fazzo (v. fari), dicitimi (v. diri); anche la loro

frequenza nel testo è piuttosto alta; molto sfruttati sono anche i verbi i

cui lessemi sono evidentemente siciliani; alcuni tra i più frequenti

sono: trasiva (v. trasìri), taliò (v. taliare), spiò (v. spiari), campari (v.

campàri), nisciuto (v. nèsciri), pigliò (v. pigghiàri), susì (v. susìrisi),

travagliava (v. travagghiàri); la loro comprensione in italiano può non

essere immediata, tuttavia l’autore li inserisce sempre in contesti dai

quali dedurne il significato diventa semplice; ad es.:

[…] una trovatura che avrebbe assistimato per tutti gli anni che gli

restavano da campare la famiglia sò e i figli che ancora c’erano da

fare! […]1

[…] Salite la scalonata, trasite nel salone, di fronte c’è una porta,

sempre dritto c’è una sala e doppo ci sta […]2

[…] La taliò meglio: era bianca comu la morti, forsi il principe l’aveva

fatta imbalsamare. Voltò la testa e vitti un’altra femmina comu la

prima […]3

[…] Lo volevano fare nesciri pazzo in quella casa? […]4

[…] ma Filònia addicidì di pigliari l’iniziativa, di quel passo facevano

notte. […]5

[…] e, più che assettarsi, parse crollare a terra. […] Tutt’inzemmla, il

principe si susì e si mise a curriri. […]6

1 Il re di Girgenti, Sellerio, 2001.2 Ibid.3 Ibid.4 Ibid .5 Ibid.6 Ibid.

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[…] “Che stai facendo?” […] “Che fazzo? Mi sto rimettendo a

travagliari”. “Eh, no. Oggi non travagli, t’arriposi. A chi vuoi pigliare

pi fissa? Vuoi doppio guadagno? […]”7

[…] “Ma pozzo almeno sapiri pirchì l’avete fatto arristari?” spiò don

Stellario. […]8

In tutti gli esempi riportati è evidente come per il lessico la

contestualizzazione sia fondamentale;

Campare, ‘vivere’ si deduce dall’argomento in cui è inserito, ossia

trovare ricchezze per mantenersi dignitosamente;

Trasire, ‘entrare’ rientra in un discorso in cui vengono date delle

indicazioni su un percorso da seguire; parlando di una stanza da

attraversare, viene spontaneo pensare che l’invito sia di entrarci;

Taliò, ‘guardare’ è reso chiaro dall’utilizzo del verbo con medesimo

significato, ma di forma diversa, che nella frase seguente occupa la

stessa posizione e ha la stessa funzione: “La taliò .. voltò la testa e

vitti..”; nel caso di nesciri pazzo, ‘usirne pazzo’ o, o pigliari

l’iniziativa, ‘prendere l’iniziativa’, si tratta di locuzioni facilmente

riconducibili all’italiano; nel caso di susirisi, ‘alzarsi’, il significato si

deduce dalle azioni descritte immediatamente prima e dopo: assettarsi,

‘sedersi’- curriri, ‘correre’; tra esse intercorre susì, travagliari,

‘lavorare’ trova trasparenza dal contrasto con il verbo arriposi,

‘riposarsi’, spiò, ‘chiese’ è il verbo che immediatamente segue una

domanda diretta; il suo significato porta a pensare al comune ‘chiese’;

rimane una sostanziosa lista di verbi la cui frequenza è limitata; tutte le

voci presenti nell’inventario sono rintracciabili nei dizionari in

dialetto, e dunque non è possibile parlare di termini di pura

7 Ibid.8 Ibid.

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invenzione; è tuttavia possibile creare alcune categorie d’analisi

basandosi sul modo in cui Camilleri interviene sulle forme dei verbi.

Alcune voci nel testo conservano l’originario consonantismo siciliano,

ad esempio chiangiri (v. chiànciri), chiòviri (v. chiòviri), vasato (v.

vasari), vastoniava (v. vastuniari), vivirisilla (v. viviri), ma altre lo

perdono, come arravogliato (v. arrivugghiari), arripiglio (v.

arripigghiari), arrisbigliano (v. arrisbigghiari).

Così per il vocalismo, alcune conservano l’originaria forma del

siciliano, come arriciviri (v. rriciviri), circari (v. circari), livaricci (v.

livari).

La perdono invece possidiva (v. pussidiri), rivotò (v. rrivutari), soffriri

(v. suffriri), ecc.

In alcune voci il lessema è in siciliano e il morfema grammaticale in

italiano, ad esempio addunarono (v. addunarisi), ammuccare (v.

ammuccari), ammucciato (v. ammucciari).

In altre il lessema è in italiano e il morfema grammaticale in siciliano

commettiri (v. cummìntiri), conosceri (v. accanùsciri), tornari (v.

turnari).

La lista potrebbe continuare con numerosi altri esempi, ma ritengo che

i dati riportati siano sufficienti a dimostrare quello che ritengo una

costante: il trattamento del materiale lessicale da parte dell’autore sulla

base di due componenti linguistiche: il siciliano e l’italiano.

Il motivo per cui nessuna delle due prevarica l’altra credo sia la

necessità di equilibrio, un equilibrio i cui estremi sono, da un lato la

volontà e la forza di una lingua vernacola che sola può far vivere

personaggi, luoghi, eventi che ad essa e alle sue origini sono legati;

dall’altro la necessità di scegliere un modo di espressione che siano in

molti a poter capire.

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Camilleri convoglia queste forze centrifughe in una direzione unitaria

che è linguisticamente e narrativamente sperimentale.

Il lettore, mentre impara a leggere una lingua nuova, apprende anche

la storia che questa porta con sé; la storia, nel caso de Il re di Girgenti,

ha come protagonista un contadino che, sia pure per poco, divenne re

nell’anno 1718.

L’eccezionalità del fatto porta l’autore a soddisfare due desideri:

raccontare la vicenda, e darsi l’opportunità di sfruttare una storia la cui

natura insolita potesse dare respiro ad un modo di scrivere del tutto

nuovo.

Quello che il lettore riceve è uno scheletro storico di fondo

estremamente esile, quanto esili del resto sono le informazioni

biografiche in merito ai fatti, attorno a cui è costruito un intero corpo

sia linguistico che narrativo.

I personaggi, il modo in cui ragionano, le case in cui vivono, le

persone di cui si circondano, le situazioni che creano, tutto è frutto di

una fervida inventiva che prende vita a mezzo della lingua.

È l’autore stesso a confessarlo nella nota9 a termine del libro:

[…]Tutte queste omissioni, distrazioni, tergiversazioni non fecero

che confermarmi nel proposito di scrivere una biografia di Zosimo

senza fare altre ricerche, tutta inventata.

2.4 Lista degli aggettivi in ordine decrescente di frequenza

nìvuru

nìvura\o, ‘nera\o’(4)

pòviru, disp.

povirazza, ‘poveraccia’(3)

9 Camilleri A., Il re di…, cit., p.112.

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pòviru

poviro, ‘povero’

pricisu

pricisa\o, ‘precisa’(3)

prizziusu

priziusa\e, ‘preziosa\e’(3)

bbeni

beni, ‘bene’(2)

bbinidittu

biniditta, ‘benedetta’(2)

bbonu

bon\ bona (2)\ bono\ boni, ‘buono’

friddu

friddo\a, ‘freddo\a’ (2)

granni (inv.)

granni, ‘grande’(2)

longu

longa\ longo(2)\ longhe, ‘lunga’

nicu

nica\o, ‘piccola\o’(2)

novu

novo, ‘nuovo’(2)

rriccu

riccu, ‘ricco’(2)

siccu

sicco, ‘secco’(2)

strammu

stramma, ‘strana’(2)

strittu

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stritta\o, ‘stretta\o’(2)

ntìfficu

‘ntifica, ‘identica’

beddru

beddro, ‘bello’

bbianchinusu

bianchigni, ‘bianchi’

bbonarma

bonarma, ‘buon’anima’

bbravu

bravu, ‘bravo’

càrricu

carrica, ‘carica’

càvudu

càvudo, ‘caldo’

chinu

chini, ‘pieni’

cuntenti

cuntentu, ‘contento’

curtu

curta, ‘corta’

dispiratu

dispirata, ‘disperata’

duçi

duci, ‘dolci’

eleganti (raro)

eleganti, ‘elegante’

fimmininu

femminine, ‘femminili’

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filici

filici, ‘felice’

fissa (inv.)

fissa, ‘fesso’

friscu

frisco, ‘fresco’

ggiàrnu

giarno, ‘giallo’

granni, sup. it.

grannissimo, ‘grandissimo’

gravi

gravi, ‘grave’

mpurtanti

importanti, ‘importante’

lamintiusu

lamentiosa, ‘lamentosa’

leggiu

leggio, ‘leggero’

lungariùsu, lungarutu

longarioso, ‘di troppe parole’

lùcitu

lucito, ‘lucido’

luntanu

luntana, ‘lontana’

malu

mali, ‘malvagi’

marvasu

marvagio, ‘malvagio’

nicissàriu

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necessevole, ‘necessario’

pilusu

pilusa, ‘pelosa’

chiummigno

piombigno, ‘di piombo’

pirsunali

pirsonale, ‘personale’

purcariùsu

porcazza, ‘porcaccia’

puntutu

puntuti, ‘appuntiti’

santu

santi, ‘sante’\ santu, ‘santu’

sarbàggiu

sarbaggia, ‘selvaggia’

sbinturatu

sbintorato, ‘sventurato’

scantatu

scantata, ‘spaventata’

sicuru

sicuru, ‘sicuro’

sirenu

sireno, ‘sereno’

spertu

sperto, ‘esperto’

stacciutu

stacciuto, ‘ben piazzato’

staçiuni

stascionale\i, ‘stagionale\i’

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stazzo

stazzato, ‘corpulento’

stiddratu

stiddrato, ‘stellato’

sulu\a

sulu\ a, ‘sola’

tortu

torti, ‘storte’

tristu

tristo, ‘cattivo

trubbuliatu

trubbuliata, ‘tormentata’

uguali

uguali, ‘uguale’

ummirosu

ummirosa, ‘ombrosa’

vacanti

vacante\ i, ‘penzolanti’

vagnatu

vagnata\o, ‘bagnata\o’

2.5 Lista degli avverbi e delle locuzioni avverbiali in ordine di

frequenza

comu

comu, ‘come’(17)

macari

macari, ‘anche’(17)

accussì

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accussì, ‘così’(11)

mancu

manco, ‘neanche’(10)

cchiù

cchiù, ‘più’(8)

assai

assà (5)\ assai (2), ‘molto’

dintra

dintra (7)\ dintr’, ‘dentro’

supra

supra, ‘sopra’(7)

darrè

darrè, ‘dietro’(6)

fora

fora, ‘fuori’(6)

addritta

addritta, ‘davanti’(4)

allatu

allato, ‘in parte’(5)

allura

allura, ‘allora’(4)

forsi

forsi, ‘forse’(4)

pirchì

pirchì, ‘perché’(5)

quasi

squasi, ‘quasi’(4)

appressu

appresso, ‘dopo, vicino, seguente’(3)

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ccà

ccà, ‘qua’(3)

doppu

doppo, ‘dopo’(3)

tanticchia

tanticchia, ‘un po’’(3)

addinocchiuni

agginucchiuna, ‘in ginocchio’(2)

mentri

mentri, ‘mentre’(2)

sulamenti

solamenti, ‘solamente’(2)

a cavaddrotti

a cavaseddro, ‘a cavalcioni’

adàciu

adascio, ‘adagio’

all’urbisca

all’urbigna, ‘alla cieca’

armenu

armeno, ‘almeno’

darrè

narrè, ‘dietro’

luntanu

luntani, ‘lontani’

mègghiu

megliu, ‘meglio’

ncapu

‘ncapo, ‘davanti’

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nnzèmmula

tutt’ inzemmula, ‘tutto d’un tratto’

nterra

‘nterra, ‘a terra’

ntornu

‘ntorno, ‘intorno’

nzèmmula

‘nzemmula, ‘insieme’

picca

picca, ‘poco’

prestu

prestu, ‘presto’

pròpiu

propiu, ‘proprio’

sdignusu

sdignosamente, ‘sdegnosamente’

sinu

insino, ‘fino’

spissu

spisso, ‘spesso’

stavolta

stavota, ‘stavolta’

straforu

di straforo, ‘oltre il limite’

sulu

sulo, ‘solamente’

sutta

sutta, ‘sotto’

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tantu

tantu, ‘tanto’

unni

unn’(-)è\ unni, ‘dov’è’

Si era accennato anche a categorie cosiddette chiuse, ossia pronomi,

congiunzioni, preposizioni, che di fatto possiedono un numero ridotto

e soprattutto fisso di elementi, su cui l’autore ha avuto la possibilità di

intervenire, ma in grado sicuramente inferiore rispetto a quanto fatto

nelle categorie precedentemente prese in considerazione.

Riporto come di consueto le liste, e di seguito le osservazioni

necessarie.

2.6 Lista dei pronomi in ordine di frequenza

sò, ‘loro’

sò, ‘sue’(2)

sò, ‘suo’(3)

sò, ‘sua’(16)

(i)stissu

istesso (10)\ stessu (2), ‘stesso’

nenti

nenti , ‘niente’(10)

niçiunu

nisciuno, ‘nessuno’(8)

a mmia

mia (a-), ‘a me’ (7)

ca

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‘ca, ‘che (la quale)’(5)

ca, ‘che (le quali)

ca, ‘che, il quale’(5)

cu mmia

cu mia, ‘(con) me’ (3)

chista

chista, ‘questa’(2)

iu

iu, ‘io’(2)

mè, ‘mia (2)\ mio’

nni

nni, ‘ci’(2)

nui

nui, ‘noi’(2)

‘sta

sta, ‘questa’(2)

‘stu

stu, ‘questo’(2)

tò, ‘tua (2)\ tuo’

vui

vui, ‘voi’(2)

‘n

‘n, ‘in’

chi (che)

chi, ‘che cosa’

chiddru

chiddru, ‘quello’

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chistu

chisto, ‘questo’

iddru

iddru, ‘quello’

issu

isso, ‘esso’

(i)stissa

istessa (5)\ stissa, ‘stessa’

quali

quali, ‘quale’

qualichi

qualiche, ‘qualche’

‘sti

sti, ‘questi’

ti, ‘a te’

tia

tia (da-), ‘da te’

2.7 Lista delle preposizioni in ordine decrescente di frequenza

pi’

pi’, ‘per’(8)

‘n

‘n, ‘in’(4)

cu

cu, ‘con’(3)

ni lu

ni lo, ‘nello’

pri

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pre (- sempio), ‘per (esempio)’

2.8 Lista delle congiunzioni in ordine decrescente di frequenza

quannu

quanno, ‘quando’(31)

ca

ca, ‘che (dichiarativo)’(4)

ca, ‘perché (causale)’(4)

ppi

pi, ‘per’(4)

pirchì

pirchì, ‘perché’(4)

Osservazioni

Le categorie presentano tutte un elemento comune: l’elevato numero

di occorrenze; come già accennato il motivo di tale fenomeno è da

ricondurre al fatto che ogni categoria chiusa contempla un numero

fisso di componenti; ognuno di essi svolge una funzione e

difficilmente è possibile introdurre voci sostitutive; di qui, tre

osservazioni:

- il type talking non presenta ampia varietà linguistica,

- la possibilità per Camilleri di intervenire su ogni singola parola è

limitata, c’è poco spazio per il gioco lessicale tra italiano e siciliano.

In questo caso tuttavia, ciò che per l’autore è un limite, per il lettore è

un vantaggio, perché, anche quando si trova di fronte a forme

interamente dialettali, la loro ripetitività nel corso del testo è garante

della loro comprensione.

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2.9 Uso dei sostantivi in dialetto e ambiti semantici

La lista dei sostantivi, ad una prima lettura, presenta il solito utilizzo

del dialetto che lascia trasparire il gioco linguistico dell’autore; questo

è messo in evidenza con più forza se si paragonano le voci in corsivo

tratte dal dizionario con quelle del testo.

La domanda che viene da porsi è: Perché Camilleri utilizza il dialetto

con diverse sfumature e diversa intensità, a seconda della parola che

sta utilizzando?

La mia ipotesi, già in precedenza sostenuta, è che spesso sia il contesto

a dettare le scelta.

Sulla base di questa supposizione, ho ritenuto interessante creare delle

categorie in cui far rientrare, secondo un criterio esclusivamente

semantico, la maggior parte dei sostantivi riportati, per poi verificare

come questi si fossero spartiti, e soprattutto, quali categorie fossero le

più ricche di termini.

Un’analisi di questo tipo non porta a soluzioni assolute, ma apre una

finestra ulteriore da cui guardare alla lingua dell’autore, e soprattutto

da cui godere di una prospettiva nuova e diversa in merito all’uso del

dialetto.

Ho individuato le seguenti categorie:

- sentimenti, atteggiamenti, stati d’animo,

- corpo, cinque sensi,

- natura,

- indumenti,

- ambito domestico,

- cibo,

- ambito giuridico,

- ambito religioso,

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- mestieri e figure sociali,

- ambito temporale,

accnto alle voci ho riportato anche la frequenza con cui ricorrono.

sentimenti, atteggiamenti, stati d’animo

piaceri, piaciri, ‘piacere’- piniòni, piniòne\i, ‘opinione’ - pinzeri

(invar.), pinsero, ‘pensiero’- scantu, scanto, ‘spavento’(3)

cuscenza, cuscenzia, cuscenzia, ‘coscienza’ - prudènzia, prudenzia,

‘prudenza’ - rraggia, raggia, ‘rabbia’(2)

‘tinzioni, ‘ntinzioni, ‘intenzione’ - adenzia, adenzia, ‘cura’ -

cuntintizza, cuntintizza, ‘contentezza’ - dulìa, duluri, ‘rammarico’ -

amprissioni, impressioni, ‘impressione’ - fatìa, faticazza, ‘faticaccia’

(dispreg.) - ntinzioni, intenzioni, ‘intenzione’ - onuri, onori, ‘onore’ -

pinzata, pinsàta, ‘pensata’ - equilìbbriu, quilibrio, ‘equilibrio’-

schifiu, schifiu, ‘schifo, sdegno’ - stanchizza, stanchizza, ‘stanchezza’

(1)

corpo

vuci, voci, ‘voce’ – vucca, vucca, ‘bocca’ (8)

spaddra, spalli, ‘spalle’ (7)

vrazzu, vrazza, ‘braccia’ – schina, schina, ‘schiena’ – çiatu, sciato,

‘fiato’ (4)

gamma, gambi, ‘gambe’- panza, panza, ‘pancia’ (2)

cugghiuni, cugliuna, ‘coglioni’ – coddru, coddro, ‘collo’- cori, cori,

‘cuore’ - lagrima, lagrimi, ‘lacrime’ - mìnchia, minchia, ‘organo

maschile riproduttivo, volg. cazzo’ - minchiàta, minchiata, ‘cosa

stupida’ - minna, minne\i, ‘seno’- mòccuru, moccaro, ‘muco’ - nasca,

nasche, ‘narici’ -çiàuru, sciauro, ‘sapore’ – spàcchiu, spacchio,

‘liquido seminale’ - vrazzu, vrazzo, ‘braccio’- asciddra, asceddra,

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‘ascella’ - chianti, chianti, ‘pianti’ - duluri, dulura, ‘dolori fisici’ -

facci, facciazza, ‘faccia’ (dispreg.) - fami, fami, ‘fame’ - frunti, fronti,

‘fronte’ - fùncia, funcia, ‘faccia imbronciata’ - gargia, garge, ‘guance’

- arìcchia, grecchie, ‘orecchie’ - liccata, liccatura, liccata, ‘leccata’ -

parmu, parmo, ‘palmo’ - pidata, pidate, ‘pedate’ - pila, pila, ‘peli’ -

pidata, pidate, ‘pedate’ - pisciazza, pisciazza, ‘piscio’ - rrisu, risu,

‘riso’ - bbrazzu, vrazzu, vrazza, ‘braccia’- da sciusciàri, sciusciata,

‘soffiata’- simènza, simenza, ‘semenza’ - sputazza, sputazza, ‘saliva’ -

vuci, vuci, ‘voce’(1)

natura

cavaddri, cavaddro \ i, ‘cavalli’(32)

àrbo, àrbulu

àrboli, ‘alberi’ (12)

auliva, aulive, ‘olive’ - morti, morti, ‘morte’- vestia, vestia, ‘bestia’ (4)

lignu, ligno, ‘legno’ - sbalancu, sbalanco, ‘dirupo’ (3)

catàfaru, catafero, ‘cadavere’ - creatura, criature, ‘creature’ -

màrmaru, màrmaru, ‘marmo’- petra, petri, ‘pietre’ - sceccu, scecco,

‘asino’ (2)

agniddru, agniddruzzo, ‘agnellino’- aulivu, aulivo, ‘olive’ - carni,

carni, ‘carne’ - carruba, carrube, ‘frutti a forma di bacelli, legnosi e

dolciastri’- celu, celu, ‘cielo’ - chiuvùta, chiuvùta, ‘piovuta’ - filìnia,

filinie, ‘ragnatele’- focu, foco, ‘fuoco’ - furmìcula, formicole,

‘formiche’ - gaddrina, gaddrina, ‘gallina’ - ggersuminu, girsumino,

‘gelsomino’- milinciàna, milanciani, ‘melanzane’ - porcu, porcu,

‘porco’ - piru, piro, ‘pero’ - salamòria, salamoria, ‘salamoia’ - çiumi,

sciume, ‘fiume’ - timpa, timpe, ‘luogo un po’ elevato’ - sirènu, sireno,

‘rugiada’ - valli (sing.), vallunate, ‘vallate’ (1)

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ambito temporale

iurnata, jornata\ e, ‘giornata’ - notti, notti, ‘notte’(6)

sira, sira, ‘sera’ (3)

duminica, duminica, ‘domenica’ - iòrnu, jorna\o, ‘giorni\o’ - ora,

orata\ ori, ‘ora’ (2)

nvernu, ‘nvernu, ‘inverno’ - aieri, aieri, ‘ieri’- arba, arba, ‘alba’ -

dumani, dumani, ‘domani’ - matinu, matina, ‘mattina’- matinata,

matinata, ‘mattinata’- matinu, matino, ‘mattino’ - misi, misi, ‘mesi’ -

natali, natali, ‘natale’ - nuttata, nuttata, ‘nottata’ - simana, simanata,

‘settimana’ (1)

indumenti

cammisa, cammisa, ‘camicia’ (8)

camicetta, camicetta, cammisetta, ‘camicetta’ - causùna, cauzuna,

cazùna, ‘calzoni’- ggileccu, gilecco, ‘panciotto’ - scarpi, scarpi,

‘scarpe’ - villutu, villuto, ‘velluto’- visazza, visazze, ‘grandi tasche’

(1)

ambito giudiziario

avvucatu, abbocato, ‘avvocato’- carta, carti (d’abbocato), ‘carte

giuridiche’ - ddoviri, doveri, ‘dovere’- iùdici, judice, ‘giudice’ -

ggiudìzziu, juicio, ‘giudizio’ - liggi, liggi, ‘legge’ (1)

ambito religioso

Signori, Signuruzzu, ‘Signore’ (dimin.) (5)

Ddiu, Diu, ‘Dio’ (3)

Arma, arma, ‘anima’ - Priera, priera\e, ‘preghiera\e’- Signori, Signori,

‘Signore’ (2)

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anima, animi, ‘anime’ - armuzza, animuzza, armuzza, ‘piccola anima’-

avimmaria, avimmaria, ‘Ave Maria’- fantàsima, fantasima, ‘fantasma’

- nfernu, infernu, ‘inferno’- madunnuzza, Madunnuzza, ‘madonnina’ -

paradisu, paradisu, ‘paradiso’ - piccatu, piccato, ‘peccato’ - priatòriu,

Priatoriu, ‘Purgatorio’ - prucissioni, processioni, ‘processione’ (1)

mestieri

cammareri, cammarera\i, ‘cameriera\e’ - capu, cammareri,

capocammareri, ‘capocamerieri’(4)

buttana, buttana\ -azza, ‘prostituta’ - carcarazzu, carcarazzo,

‘carceriere’ - iurnataru, iurnateri, jornatante, ‘lavoratrice giornaliera’ -

marinaru, marinaro, ‘marinaio’ - scarparu, scarparo, ‘calzolaio’-

sutta- cammareri, sottocammareri, ‘sottocameriere’ (1)

ambito domestico

càmmara, càmmara, ‘camera’ (8)

bbagliu, baglio, ‘cortile’- putruna, putruna, ‘poltrona’- steri, steri,

‘costruzione, stabile’ (3)

armuaru, armuar, ‘armadio’- bbutti, botti, ‘botte’ - buccali, bucale,

‘boccale’ - pagliàru, pagliaro, ‘pagliaio’- salùni, saloni, ‘salone’ (2)

cannata, cannata, ‘vaso che contiene l’acqua’- cantaru, cantaro,

‘barile, catino’- capezzali, capizzale, ‘capezzale’- casciuni, cascione,

‘cassone, baule’- cicalata, cicarata, ‘tazza’ - cumpanaggiu,

companaticu, ‘companatico’- cuteddro, cuteddro, ‘coltello’ - lettu,

lettu, ‘letto’- linzòlu, linzòlo\ -letto, ‘lenzuoletto’ - littica, littìca,

‘lettiga’ - porta, porti, ‘porte’ - seggia, seggia, ‘sedia’- torcia, torci,

‘torce’ - varrili, varilotto, ‘barilotto’ (1)

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cibo

pani, pani, ‘pane’(2)

calatina, calatina, ‘boccone di cibo’ - sarduzza, sarduzza, ‘sardina’ -

sasizza, sasizza, ‘salsiccia’ (1)

categorie sociali

òmu

omo, ‘uomo’ (30)

fimmina

fimmina, ‘femmina’ (9)

mugghièri, mogliere\i, ‘moglie’ - zianu, zù, ‘zio’ (7)

pirsune, pirsone, ‘persone’(6)

òminu, òmini, ‘uomini’- patroni, patrone, ‘padrone’ (5)

picciriddru, picciliddro\i, ‘piccolo\i’- principi, principi, ‘principe’ (4)

nicareddu, nicareddro, ‘bambino piccolo’- picciotteddru,

picciotteddro, ‘piccolo, giovane’ - pòviru, poviro, ‘povero’-

principessa, principissa, ‘principessa’- signora, signura, ‘signora’ (2)

compari, cumpari, ‘compare’- fimmininu, femminina, ‘femminile’-

màsculu, màscoli, ‘maschi’- niputi, niputi, ‘nipoti’- pòviru, povirazzo,

‘poveraccio’ (dispreg.) - soru, soro, ‘sorella’ (1)

altri

travagghiu, travaglio, ‘lavoro’ (7)

fanci, falci\ fanci, ‘falce’ - tarì, tarì, ‘soldo pari a 0,425 L’(6)

ggenti, genti, ‘gente’ (5)

locu, loco, ‘luogo’ - mancinu, mancino, ‘sinistro’ - onza, onza\e,

‘soldo\i’- signu, signo, ‘segno’ (4)

nnomu, nomu, ‘nome’ - òpira, opira, ‘opera’ - dritta, dritta, ‘destra’

(3)

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canzona, canzuna, ‘canzone’ - catina, catina, ‘catena’- càuci, cavucio,

‘calcio’- curruta, curruta, ‘corsa’- filu, filu, ‘filo’- antìficu, ntificu,

intifica, ‘identica’- lìcutu, liquito, ‘liquido’- offesa, offisa, ‘offesa’-

strata, strata, ‘strada’- tranellu, trainello, ‘tranello’- vota, vota,

‘volta’(2)

nzinga, ‘nziga, ‘segno’ - acchianata, acchianata, ‘salita’ - addimanna,

addimanda, ‘domanda’ - bburdellu, burdello, ‘bordello’- caminu,

camino, ‘cammino’- cunviniènzia, convenienzia, ‘convenienza’- còriu,

còrio, ‘cuoio’- cutiddrata, cortellata, ‘coltellata’ - curpa, culpa, ‘colpa’

- cursa, cursa, ‘corsa’- dimanna, dimanna, ‘domanda’ - dispiratu,

dispirato, ‘disperato’ - fetu, fietu, feto, ‘fetore’- fèu, Feudu, ‘feudo’-

fracchiata, fracchiata, ‘grande quantità’- grannizza, grannizza,

‘grandezza’ - spiccicata, impiccicate, ‘attaccate’ - iòcu, joco, ‘gioco’-

lazzu, lazzi, ‘lacci’- lunghezza, longhizza, ‘lunghezza’- magarìa,

magarìa, ‘presa in giro’ - mali, mali, ‘male’- mmalidittu, mallitto,

‘maledetto’ - maravìgghia, maraviglia, ‘meraviglia’ - micìdiu, micidio,

‘omicidio’ - nìvuru, nìvuro, ‘nero’- paci, paci, ‘pace’- paìsi, paisi,

‘paese’ - para, para, ‘serie’- paragoni, paragoni, ‘paragone’- paru,

paro, ‘pari’ - parola, paroli, ‘parole’- parti, parti, ‘parte’- passiata,

passiate, ‘passeggiate’- pirtusu, pirtuso, ‘pertugio’- popolazioni,

popolazioni, ‘popolazione’ - posizioni, posizioni, ‘posizione’ -

possibili, possibili,’possibile’- presenza, presenzia, ‘presenza’ - puntu,

puntu, ‘punto’ - pupu, pupo, ‘burattino’- rretina, retini, ‘redini’-

rricchizza, ricchizza, ‘ricchezza’- rricchizzi, ricchizzi, ‘ricchezze’ -

rriccu, riccu, ‘ricco’- rringàzziu, ringrazio, ‘ringraziamento’- rrobba,

robba, ‘roba’ - rrumurata, rumorata, ‘rumore’ - rruvina, ruvina,

‘rovina’- sacchiteddu, sacchitello, ‘sacchetto’- sarbamentu,

sarbamento, ‘salvataggio’ - sarbataggio, ‘salvataggio’- sbintura,

sbintura, ‘sventura’- scaggiuni, scascione, ‘cagione’- scinnuta,

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scinnuta, ‘discesa’- da çiaurari, sciurerie, ‘sapori’ - çiauru, sciuri,

sapori’- scòncica, scòncica, ‘presa in giro’ - scutuluni, scutuluna,

‘scossoni’ - esèmpiu, sempio, ‘esempio’ - scherzu, sgherzo, ‘scherzo’-

sentenzia, sintenzia, ‘sentenza’ - sonu, sono, ‘suono’ - sustanza,

sostanzia, ‘sostanza’ - stizza, stizzi, ‘schizzi’ - strunzu, strunzu,

’stronzo’- tesòru, tesauro, ‘tesoro’- trasuta, trasuta, ‘entrata’ -

tuppiari, tuppiata, ‘bussata’ - ummira, ùmmira, ‘ombra’ - vastunata,

vastuniate, ‘bastonate’ - veru, veru, ‘vero’ - vicenda, vicenna,

‘vicenda’ (1).

L’ultima categoria, denominata “altri”, contiene tutte le voci che non

rientravano semanticamente in quelle precedenti; in realtà in essa sono

contenuti termini che potrebbero insieme costituire altri gruppi

semantici, come ad esempio, (tarì) tarì, ‘soldo pari a 0,425 L’ (6),

(tesòru) tesauro, ‘tesoro’ e (onza) onza\e, ‘soldo\i’(4), fanno tutte

riferimento al denaro. Tuttavia, il mio intento nel creare questi gruppi

era mettere in evidenza come in alcuni ambiti l’uso del dialetto da

parte dell’autore sia più consistente che in altri.

Categorie semantiche come “natura” e “corpo” presentano una lista

ricca e molto varia, non solo, anche il type talking risulta

estremamente differenziato, basti notare come siano diffusi i sinonimi.

Ad esempio facci\ funcia, per indicare il viso, simenza\ spacchio, con

riferimento al liquido seminale, ed altri; questo a dimostrazione che

l’uso del dialetto, non solo è diffuso, ma anche studiato accuratamente.

Tutti gli ambiti semantici citati, inoltre, a mio avviso sono collegati tra

loro perché appartengono ad una sfera, che è quella della vita

dell’individuo; una sfera quotidiana, di un individuo medio, qualsiasi.

Il dialetto insomma, non fa altro che rendere dei termini che già sono

conosciuti, più familiari, cosicché il lettore possa liberamente

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prenderne possesso e sentirsi descritto, assieme al protagonista, dalle

parole dell’autore.

2.10 Osservazioni su sostantivi, aggettivi, avverbi, tra conservazione

ed innovazione

Analizzando le liste delle tre categorie, è possibile una prima

osservazione di ordine generale: il modo di trattare ogni voce è lo

stesso che abbiamo visto già utilizzato per i verbi, ossia, ci sono

termini in siciliano, ma la maggior parte di questi sono termini in cui è

evidente l’interazione tra lingua e dialetto; anche in questo caso è

semplice verificare il fenomeno grazie al confronto con le voci

dialettali tratte dai dizionari.

Interessante spunto d’indagine ritengo sia un testo, intitolato

Innovazione e conservazione nelle lingue10, da cui ho attinto i dati per

creare la tabella a seguire, in cui viene affrontata la questione

dell’italianizzazione lessicale dei dialetti siciliani.

L’autore del saggio 11, Giovanni Tropea, raccoglie un inventario di

termini in siciliano, mettendone a confronto la forma arcaica, quella

innovativa e quella italiana; di qui emerge come il dialetto vada

sempre più uniformandosi alla lingua standard, con una conseguente

perdita della tradizione lessicale.

non si dimentichi che il siciliano è frutto di numerosi influssi

linguistici stratificatisi nel tempo, si pensi al susseguirsi di

10 Innovazione e conservazione nelle lingue, Atti del Convegno della Società Italiana di Glottologia, a cura di Vincenzo Orioles, Messina 9-11 Novembre 1989, Giardini Editori e Stampatori in Pisa, 1991.11 Giovanni Tropea, Su alcuni aspetti dell’italianizzazione in Sicilia, contenuto negli Atti del convegno della Società Italiana di Glottologia, cfr. nota prec.

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dominazioni straniere: arabe, normanne, spagnole, ecc. che hanno

certamente dato il loro contributo.

Tra le voci analizzate dall’autore del saggio, alcune facevano parte

anche dell’inventario dei verbi, sostantivi, aggettivi ed avverbi de Il re

di Girgenti; ho ritenuto utile aprire una piccola parentesi per capire se

le scelte lessicali di Camilleri attingano dalle forme tradizionali

siciliane, da quelle innovative, o da entrambe.

FORMA ITALIANA

FORMA DI CAMILLERI

FORMA TRADIZIONALE

FORMAINNOVATIVA

Accorgersene s’addunò\ s’addunarono

mintirisinn’addùnu

accurgirisìnni

Armadio della stanzada letto:

armuàr muàrra armàdiu

Bestemmiare: santianno Santiàri bbistimiàri

Bruciare: abbrusciato mèntir’ô luci abbruçiàri

Chiedere per sapere:

spiò spiàri addumannari

Cominciare, avere inizio

principiari principiàri ncuminciàri

Girare: firriò furriàri ggirari

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Lamentarsi: lamentiosa (agg.)

lastimiàrsi lamintàrisi

Rispondere a chi chiama a voce:

arrispose dari cuntu arrispùnniri

Eccessivamente magro:

siccu fracco siccu

Gilè: gilecco ggileccu ggilè

La buonanima:

bonaria A santarma a bbonànima

Un poco: canticchia antìcchja\ tanticchja

m-pocu

L’estate stati A staçiuni A stati

Marmo: marmaru mmàrmuru mmarmu

Pantaloni: cazùna càuzi\ càusi pantaloni

Puzzo: feto fetu puzza

Zii: zù zziànu zziu

Adagio: adascio allèggiu piànu\ adàggiu

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Almeno: armeno tìntu tìntu armenu\ ammenu

Dopo: doppo ntoppu ddoppu

Spesso: sempri paru sempri

Gli esempi riportati mostrano come Camilleri si muova all’interno

delle possibilità lessicali offerte dal dialetto passando continuamente

dalla forma tradizionale a quella innovativa continuamente.

In questo interessante gioco di alternanze non credo le scelte siano

state fatte ragionando sulla natura dei termini, e spesso nemmeno sulla

loro trasparenza e comprensibilità immediata; bastino, tra i tanti, gli

esempi di: càuzi\ pantaloni\ cazùna, o di principiàri\ ncuminciàri\

principiàri, in cui l’autore dimostra di preferire la forma tradizionale.

Nemmeno le difficoltà della resa grafica del dialetto, in certi casi lo

fanno optare per una più semplice soluzione, anche se rimangono gli

influssi dell’italiano, soprattutto nei morfemi grammaticali.

Il timore dell’autore del saggio sull’incombente italianizzazione delle

forme dialettali, con Camilleri per certi aspetti cade; questo perché

sicuramente siamo di fronte ad uno scrittore la cui conoscenza e

coscienza del proprio dialetto è ben salda, e di conseguenza possiede

sia il linguaggio della tradizione, che quello dell’innovazione, e ciò

che più conta, li sfrutta entrambi.

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3. Lo spagnolo ne Il re di Girgenti

Di fronte ad un testo linguisticamente sfaccettato è lecito agevolare la

comprensione tramite la semantica; il supporto dato dal significato

delle parole, il racconto insomma, spesso e volentieri è il mezzo

attraverso cui il lettore può aiutarsi ad affrontare la lingua di Camilleri.

A maggior ragione questo è necessario nel momento in cui, assieme al

siciliano ed all’italiano sono presenti altre lingue; nella fattispecie, Il

re di Girgenti presenta nella parte iniziale la presenza della lingua

spagnola.

Ritengo interessante aprire una piccola parentesi su questa scelta.

Ne Il re di Girgenti l’autore compie una scelta lessicale che già in

un’altra occasione aveva intrapreso, quella cioè di far parlare dei

personaggi di origine diversa da quella italiana con la loro lingua.

Basti ricordare il protagonista de Il birraio di Preston, il cui tedesco

emergeva dalla pagina risultando estremamente chiaro al lettore; anche

ne Il re di Girgenti viene dato un brevissimo esempio di questo modo

di sfruttare la lingua, nel passo in cui una monaca dice: “Kosa tofere

noi fare?”1. Rispetto allo spagnolo tuttavia, qui sono la grafia e la

disposizione degli elementi nella frase a risentire di manipolazioni da

parte dell’autore, non il lessico, come accade per lo spagnolo.

Sicuramente il tedesco risulterebbe meno trasparente e comprensibile,

se venissero sfruttati termini in lingua.

Si può dire che il modo di utilizzo sia diverso, ma lo scopo sia il

medesimo, nell’usare la via della caratterizzazione linguistica dei

personaggi.

1 Camilleri A., Il re…, cit. p.112.

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Tralasciando il tedesco, in merito allo spagnolo sono necessarie due

precisazioni.

La prima consiste nell’osservare che il suo utilizzo è confinato

esclusivamente ai luoghi del racconto in cui sono presenti dei

personaggi spagnoli, e questo sia che si tratti di dialoghi, sia che si

tratti di azioni o pensieri ad essi riferiti; di qui si intuisce che la lingua,

come spesso accade in Camilleri, è lo strumento principale attraverso

cui delineare un personaggio, la sua realtà, la sua visione del mondo.

La seconda precisazione consiste nel mettere in evidenza come,

nonostante l’autore sfrutti abbondantemente un mezzo d’espressione

diverso dall’italiano, comunque quest’ultimo rimanga sempre lo

strumento principe nella struttura del racconto; con questa

affermazione intendo dire che, come accade anche nel rapporto tra

italiano e siciliano, la sintassi rimane sempre ancorata ai modelli della

lingua nazionale standard, e che solo dal punto di vista lessicale la

partita viene giocata a due mani.

Nel corso della lettura, infatti, non incontreremo dialoghi o parti

narrative scritte totalmente in lingua spagnola, ma parti di testo in cui

l’autore sfrutta lo spagnolo intrecciandolo all’italiano cosicché il

lettore possa ricevere da un lato, il piacere di una lettura varia,

stimolante, dato che incontra termini a lui nuovi, dall’altro, la

sensazione rassicurante della lingua madre sempre presente, anche se

in modo discreto e probabilmente studiato ad arte.

Mi è sembrato utile raccogliere una serie di esempi che riuscissero a

supportare le precisazioni sopra riportate.

Il primo esempio riguarda un dialogo tra un personaggio che

solitamente si esprime in siciliano, don Stellario e il duca Sebastiano

Vanisco Pes y Pes:

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Voi, Capitano, siete un hombre che ha cerebro. Avete capito muy bien.

Sono stati Hortensio e Honoris a efectuar la detenciòn di Gisuè.

Effettuare l’arresto? Ma arristari la genti era cosa sò, non del duca.

Don Stellario s’arraggiò tanto che usò paroli spagnoli.

Tra detenciòn y sequestro c’è una bella diferencia, signor duca.

[…]

No aquì. Yo estoy informado. Per una ley del milletrecentodue, i

principi Pensabene di Baucina hanno diritto di alta e bassa justicia

nelle loro proprietades. Pues, essendo yo heredero del principe, ho la

misma podestad. Claro?.

Ma sono più di quattrocento anni che i Pensabene non hanno esercitato

questo diritto!.

Non fa importancia. La podestad non è stata brogada, cancellata. Se

voi, signor Capitano, avete qualche duda, dubbio, potete presentare la

cuestiòn al viceré.2

Il secondo esempio riguarda una parte interamente narrativa volta a

riportare i ragionamenti del duca Sebastiano Vanisco Pes y Pes:

[…] se el condenado avesse detto di sì alla propuesta, cuando avrebbe

dovuto anunciar a donna Isabella che doveva yacer con un hombre che

non era su esposo? Sul fatto che la duchessa, por fuerza o por razòn, si

sarebbe chinata alla sua voluntad, non aveva duda alguna, ma donna

Isabella avrebbe por certo llorado, rogado, gritado, insomma fatto

ruido, strepito, e questo era da evitar. Poi sorrise e si diede

dell’estùpido: anche se Isabella avesse fatto derrumbar i muros della

quinta con i suoi gritos, nadie l’avrebbe sentita. […].3

2 A.Camilleri, Il re di Girgenti, Sellerio Editore, Palermo, 2001, pp.66-67.3 Ibid, pp.96- 114.

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Per quanto riguarda la sintassi è chiaro come venga mantenuta la

struttura tipica della lingua standard; lo si nota in entrambi gli esempi:

nel primo si guardi la disposizione degli elementi nelle frasi, e la

consequenzialità tra frasi principali e subordinate: sono rispettate

completamente le regole dell’italiano; nel secondo si noti il costrutto

ipotetico, in cui sono mantenuti i verbi ai modi e tempi dell’italiano, e

sono rispettate le regole della consecutio temporum.

A livello lessicale, le osservazioni sono più d’una:

- a mezzo di dizionari4 in lingua ho constatato che i vocaboli presenti,

sono effettivamente forme spagnole, tuttavia non è difficile la loro

comprensione, grazie soprattutto al giusto rapporto tra termini in

italiano e termini in spagnolo;

- ci sono dei termini a cui è posta di seguito la traduzione: ruido,

‘strepito’, borrada, ‘abrogata’, duda, ‘dubbio’; forse l’autore non

riteneva avessero la trasparenza di tutti gli altri; tuttavia risolve

l’inconveniente dell’impossibilità di comprensione immediata in modo

molto sottile, ossia la traduzione segue immediatamente il termine, lo

spiega subito, pur perdendosi nel flusso del discorso, rendendosi

impercettibile;

- i diversi modi espressivi si alternano in modo molto fluido, entrando

uno nell’altro creando così un’unica coltre espressiva molto ricca e

colorita; anche quando i protagonisti spagnoli escono di scena, l’autore

non interrompe bruscamente l’uso della loro lingua, ma la fa sfumare

nel flusso del racconto.

Riporto il passo in cui è raccontata la loro uscita di scena:

4 Marìa Moliner, Diccionario de uso del español, Editorial GREDOS, Madrid, 1977\ S. Carbonell, Dizionario fraseologico completo italiano- spagnolo, spagnolo- italiano, Editore Ulrico Hoepli, Milano, 1977.

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[..] L’ordine che il duca gli aveva in primìsi dato era stato quello di

chiuderla e mandare a casa il personale, la servidumbre, come diceva

lui. [..] Don Sebastiano aderì alla proposta, nelle parole di Don Aneto

colse la possibilità di potersi sbarazzare, ogni tanto, di quella scassa

cojones che era diventata la su mujer. E accussì don Aneto salvò il

pane della servidumbre.

Nel passo riportato l’italiano e il siciliano ricominciano la loro partita

a due mentre lo spagnolo sfuma, essendo terminate le necessità, in

primo luogo letterarie, che lo avevano chiamato in causa;

personalmente ritengo che la forte complicità che le tre lingue riescono

ad assumere nel racconto sia dovuta anche dal fatto che la lingua

spagnola era venuta in contatto con la cultura dell’isola durante il

periodo delle dominazioni, influenzandone molto il lessico.5

Parole come:

Abbuccari> abocar, ‘abboccare, cadere in un tranello’, Nzirtari>

encertar, ‘indovinare’, Zita> cita, ‘fidanzata’, e molti altri sono

comunemente usati nel dialetto siciliano, pur avendo diversa origine.

È probabile che anche questo precedente concorra a favorire la

commistione tra siciliano e spagnolo, data l’evidente complicità

linguistica che emerge dalla pagina. Inoltre non è da sottovalutare il

lavoro studiato e pensato dell’autore che sicuramente ha piegato

entrambi i suoi strumenti linguistici alle sue esigenze letterarie.

5 A questo proposito cito un testo molto interessante, nonché caratteristico, tratto da un sito internet www.linguasiciliana.org. Scritto completamente in siciliano, ripercorre la storia delle varie dominazioni succedutesi nella storia della Sicilia, e per ognuna riporta una lista di termini che il siciliano ha fatto propri arricchendo il proprio lessico.

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Qui segue una lista delle voci spagnole: la loro analisi porta ancora

una volta ad escludere la possibilità che nelle pagine di Camilleri ci

siano termini di pura invenzione; anche in questo caso però, l’autore

non inventa nulla, usa gli strumenti che possiede.

Alguna, ‘alcuna’

Anunciar, ‘annunciare’

Aquì, ‘qui’

Bien, ‘bene’

Brogada, ‘abrogata’

Cerebro, ‘cervello’

Claro, ‘chiaro’

Condenado, ‘condannato’

Cuando, ‘quando’

Cuestiòn, ‘questione’

Derrumbar, ‘tremare’

Detenciòn, ‘detenzione’

Diferencia, ‘differenza’

Duda, ‘dubbio’

Efectuar, ‘effettuare’

Esposo, ‘sposo’

Estoy, ‘sto’

Estùpido, ‘stupido’

Evitar, ‘evitare’

Fuerza, ‘forza’

Gritado, ‘gridato’

Gritos, ‘grida’

Heredero, ‘erede’

Informado, ‘informato’

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Justicia, ‘giustizia’

Ley, ‘legge’

Llorado, ‘pianto’

Misma, ‘minima’

Muros, muri’

Muy, ‘molto’

Nadie, ‘nessuno’

Hombre, ‘uomo’

Podestad, ‘potestà’

Por, ‘per’

Proprietades, ‘proprietà’

Propuesta, ‘proposta’

Pues, ‘posso’

Quinta, ‘casa’

Razòn, ‘ragione’

Rogado, ‘pregato’

Ruido, ‘strepito’

Voluntad, ‘volontà’

Y, ‘e’

Yacer, ‘dividere il letto’

Yo, ‘io’

4. LA LINGUA E LE STRATEGIE NARRATIVE NE

IL RE DI GIRGENTI

Come già spesso ribadito, Il re di Girgenti è un romanzo in cui

siciliano ed italiano stanno sullo stesso piano.

Ci sono, come si è visto, i presupposti per condurre un’analisi a livello

fonologico, morfologico, lessicale del testo perché il materiale su cui

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lavorare è copioso, ma esistono anche i presupposti per un’ analisi su

quella che definirei l’organizzazione del testo.

Non si tratta di una ricerca sulla sintassi, ma su alcuni “modi di

impostare” frasi, periodi, interi capitoli.

Nel romanzo infatti, sembra questi abbiano un fondo di sistematicità,

possano dirsi pensati e creati per rispettare una certa armonia

all’interno del testo. Quando Camilleri dichiara i motivi per cui sceglie

una determinata lingua, parla di immediatezza, e familiarità;

sicuramente ciò che arriva al lettore racchiude questi presupposti, ma

probabilmente, la strada per raggiungere tale obiettivo da parte

dell’autore è molto lunga, dettata da precisi criteri. Il risultato di

questa scelta è una forte letterarietà.

Qui potrebbe essere utile ricordare ciò che sosteneva Nunzio La Fauci,

quando parlava della funzione di tragediatore.

Tutto quello che viene raccontato, è scritto in quel modo proprio

perché quel modo l’autore ritiene adatto ad esprimere ciò che vuole

raccontare.

Avvalersi di esempi, a questo punto, è necessario.

La categoria spazio- temporale segue un’impostazione ricorrente

molto simile ad una formula:

es.:

[…] verso il primo doppopranzo del 20 giugno del 1670 6

[…] Allo venti di dicembiro di quell’anno asciutto 7

[…] Allo venti di dicembiro don Aneto8

6 Il re di Girgenti, pp.132.7 Ibid. pp.169.8 Ibid. pp.173.

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[…] la matinata della prima jornata dell’anno novo 9

[…] il giorno sei di ghinnaro10

[…] il diciannove di majo del terzo anno di siccità11

[…] La matina del deci di ottobiro del milli e settecento e tridici12

Questi sono alcuni incipit di paragrafi nel corpus del testo; l’autore

specifica sempre la data dei giorni che rappresentano un punto di

svolta nella storia che racconta.

Questa cura per il particolare temporale assume anche forme molto più

impegnative, ad es.:13

A ghinnaro, frivaro e marzo si chiantano viti, sommacco, patati […]

Ad aprili, majo e jugno s’azzappa il sommacco, si sarchia e si netta il

frumento […]

A luglio, austu e settemviro si siminano cavolifiori, broccoli […]

A ottobri, novembiro e dicembiro si piantano agli, cipuddre […]

I passi ricordano molto l’impostazione delle filastrocche popolari:

l’incipit anaforico, i mesi divisi a seconda della semina, il lessico

siciliano, tutto rientra in uno schema prestabilito.

Ci sono altri punti nel racconto in cui l’autore spinge le potenzialità

della lingua oltre la normale funzione narrativa. Ciò che potrebbe

essere espresso in modo semplice, lineare, assume invece un

andamento diverso, asseconda le linee curve di un linguaggio

letterario, pensato.

9 Ibid. pp.174.10 Ibid. pp. 176.11 Ibid. pp.182.12 Ibid pp.329.13 Ibid. pp.167-168.

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Si tratta di luoghi della narrazione dal contenuto forte, decisivo per lo

svolgimento della storia.

La nascita del protagonista, Zosimo, ad esempio a mio parere è un

esempio molto eloquente di quanto appena sostenuto:

il dolore era forte e Filònia si mise a fare voci, tanto era sola. A questo

punto le s’avvicinò tutto l’armalume che consisteva in un cane

randagio che s’era allocato in casa e che tutti chiamavano, senza

fantasia, “u cani”, in una capra girgentana, alta e grossa, di lungo

pelame marrò, con due corna di liocorno e grandi minne scure, in

quattro galline bianche. Il gallo nero invece si mise a passiare

nervosamente avanti e narrè. […]

Sulla mano mancusa le cadì una cosa càvuda e tonda, era un ovo che

una gaddrina le stava regalanno. A occhi chiusi, Filònia ci fece un

pirtuso con una pietra nica e se lo sucò. Poi sentì che il sole le

scompariva dalla faccia. Raprì gli occhi: la capra girgentana gli si era

messa supra e teneva le minne all’altezza della sua vucca. Filònia isò

le mani, la mungì, e il latte cavudo cavudo le trasì dritto nella gola.

Quando la capri se ne andò, vide che u cani aveva leccato il

picciriddro e l’aveva puliziato tutto. Ebbe un’altra contrazione e le

venne fora “a mamma”, la placenta. U cani se la mangiò. 14

Leggendo questo passo si ha l’impressione di assistere ad un rito

d’iniziazione, ad un rituale cui partecipano la donna che mette al

mondo un figlio e la natura ad essa circostante. Ogni gesto è

raccontato nel suo lento svolgersi, gli animali sono raccontati come

fossero anch’essi protagonisti; tutti con delle particolari e

imprescindibili caratteristiche fisiche, tutti con un ruolo definito

all’interno del rito.

14 Ibid pp. 133-134.

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Non ci sarebbe lo stesso senso di partecipazione, di familiarità,

tuttavia, se la lingua non fosse miscelata al dialetto in modo sapiente.

Inizialmente l’italiano prevale sul siciliano; è come se al momento

descritto il lettore dovesse avvicinarsi con cautela, osservandolo solo

dall’esterno. Poi il rapporto muta: le galline diventano “gaddrine”, un

cane diventa “u cani”, la capra diventa “la capri”, ogni gesto di Filònia

diventa lento e solenne, “isò”, “mungì”, “trasì”.

Il rapporto tra lingua e dialetto è cambiato, l’autore l’ ha capovolto

permettendo al lettore di entrare a far parte del momento descritto.

Un esempio di questo lento accesso alla narrazione per mezzo della

lingua è anche il passo in cui viene descritta la morte del protagonista.

Condannato all’impiccagione, giunge al patibolo lentamente; ogni

passo è vissuto partendo da due punti di vista di cui il lettore è reso

partecipe attraverso la lingua.

Da un lato il narratore, che dall’alto descrive ciò che si vede, e per

farlo sfrutta il solito impasto linguistico, caratterizzante tutto il

racconto; dall’altro, è il protagonista stesso ad esprimere e descrivere

il momento che sta vivendo, anch’esso sfruttando una forma

linguistica miscelata, in cui tuttavia il tratto dialettale è molto più

evidente e diffuso.

Lo stesso carattere della scrittura evidenzia le due prospettive; la prima

mantiene i caratteri standard, la seconda ricorre al corsivo.

L’aquilone che Zosimo costruisce prima di essere impiccato, ad

esempio, è un elemento fondamentale nella narrazione.

Al lettore è dato di conoscere questo oggetto attraverso vari strumenti:

- il punto di vista del protagonista che la costruisce e con questa ha un

rapporto del tutto speciale,

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- il punto di vista di personaggi esterni che la vedono per quello che

appare, un semplice aquilone,

- i due caratteri di scrittura: in corsivo e standard,

- la lingua.

Quest’ultimo punto è determinante.

Riporto alcuni esempi che mi sembrano particolarmente utili a capire

quanto affermato; il primo passo è un ragionamento di Zosimo, in

corsivo, in cui si spiega come la costruzione della comerdia

rappresenti metaforicamente il corso della vita stessa, e come nel

momento in cui la comerdia è finita, anche il tempo per vivere sia

terminato15:

Questa è la vera difficoltà di la doppia morti, la morti cchiù amara, la

morti cchiù disgraziata, che non è moriri senza sapiri di moriri, e

questa sarebbe la morti cchiù semplici, ma moriri sapenno di moriri,

quanno ti fannu accanusciri il momento preciso di la morti tò, [..]

[..] tu accapisci che ogni cosa che fai non la potrai rifare cchiù doppo

semplicementi pirchì non ci sarà cchiù un doppo e perciò se finisci di

fabbricare la comerdia, quanno che hai finuto di fabbricare la

comerdia, quanno la comerdia è fatta, quanno la comerdia è

fabbricata, quanno la comerdia è finuta, quando alla comerdia non

c’è cchiù nenti da aggiungere, quanno la comerdia è pronta a volari

[..] eh, sai che ti dico? Iu non ci penso cchiù iu lo mettu l’ultimo

pezzettu di carta velina e itivinni a pigliarvela ‘n culu tutti quanti [..]

15 Ibid pp.427-428.

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il secondo passo è un dialogo tra Zosimo e il Capitano Montaperto, in

cui il protagonista risponde alle domande dell’interlocutore sul

significato della comerdia:16

[..] “Mi levate una curiosità?” spiò Montaperto.

“A disposizione vostra”.

“Pirchì date tanta importanzia a una comerdia ch’è joco di picciriddri?

Scusatemi se ve lo dico, ma non mi pare cosa d’omo granni”.

“Volete sapiri che rappresenta pi mia questa comerdia? Non

rappresenta nenti, questa comerdia è sulamenti una comerdia”.

[…]

“E allura?”.

“Ci jucai un jornu ch’ero picciriddro e mi parse una meraviglia, un

miracolo, mi parse di stare volando con la comerdia istissa, mi sentii

lèggiu lèggiu, allato ai passeri, alle palumme, ai carcarazzi, alle

allodole, aceddro tra gli aceddri. E feci giuramento sullenne, allura,

che nell’ora della morti, avrei fatto vulare un’ autra comerdia per

lassare sta terra leggiu leggiu, scordandomi lu piso di lu corpu.

V’abbasta comu spiegazioni?”

Lo stesso oggetto, la comerdia, è visto da più prospettive.

Nel primo passo si notano la prevalenza del siciliano sull’italiano,

l’utilizzo del corsivo, che solitamente è il mezzo attraverso cui si

trasmettono i pensieri del protagonista, un’ impostazione anaforica del

discorso, che dà il senso del flusso veloce dei pensieri del

protagonista, il loro incalzare.

16 Ibid pp.429.

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Graficamente vengono curati alcuni raddoppiamenti fonosintattici e

sono presenti alcuni fenomeni fonologici, tipo l<r, tipici del dialetto

romano, che normalmente non si incontrano.

Nel secondo passo invece , siciliano ed italiano si bilanciano

nuovamente, la scrittura torna ai caratteri standard, vengono riportate

le posizioni dei due parlanti, ma si ha la netta impressione di essere

usciti dal tono confessionale e confidenziale appena descritto,

spariscono tutti quegli elementi grafici e fonologici che

caratterizzavano il dialetto in corsivo, allentando il legame tra lingua

vernacola e personaggio.

Il lettore, insomma, a mezzo della lingua viene allontanato ed

avvicinato all’evento. Subito dopo c’è un altro passo in cui

nuovamente si torna al tono intimo e confidenziale, di nuovo si sfrutta

il corsivo, ed ancora il siciliano riprende il sopravvento.

E’ un momento di confidenzialità, in cui Zosimo spiega a se stesso, ma

in realtà a chi legge, cosa significa lasciare andare lo spago

dell’aquilone:17

[…] E la comerdia, mentri vulava, principiò a stramangiarsi, non era

cchiù carta velina [..] si trasformò in palumma, una vera palumma, ma

impastoiata, tenuta prigioniera dallo spaco che iu serrava ‘ntra le dita e

tirava tirava tirava pi aviri la sò libertà comu sta facendo quest’autra

comerdia e iu ora ci la dugnu la sò libirtà ma lo so che se lasso stu

spaco nun sulamenti mi perdo la comerdia ma mi perdo macari la

fantasia […]

17 Ibid pp.431-432.

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A seguire il racconto del percorso di Zosimo verso il patibolo, con il

continuo ricorso al corsivo, ogni volta in cui il pensiero o i ricordi

intimi del personaggio prendono il sopravvento e si staccano dalla

realtà descritta per tornare indietro nel passato, o per frugare nei

sentimenti del protagonista. E la lingua segue questo andamento,

sbilanciandosi di volta in volta, piegandosi alle necessità letterarie

imposte dal narratore.

Un passo ritengo importante sottolineare, e riguarda il congedo

definitivo di Zosimo prima di essere impiccato18:

E quanno arrivarono che abbisognava acchianare il primo dei cinco

graduna, il capitano fece a voce vascia:

“Io mi fermo qua”.

E lo disse in taliano, pirchì il momentu era quello che era e quanno il

momentu è quello che è, di nicissitate assoluta abbisogna adoperari il

taliano, vasannò dicino che siete pirsone gnoranti, pirsone di scarto e

non di considerazione.

[…]

“Beh, io vado”.

In taliano, naturalmente, pirchì il momentu era quello che era.

Questo passo ritengo sia il più eloquente tra tutti.

E’ un momento in cui la lingua parla di se stessa e svela gli equilibri

su cui poggia, implicitamente spiega le sue oscillazioni.

Per spiegare, tuttavia il perché sia preferibile utilizzare l’italiano in

certe situazioni, l’autore sfrutta il siciliano. E’ il dialetto stesso a

precisare quando e perché sia necessario per lui farsi da parte.

18 Ibid pp.435-436.

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Camilleri qui fa un’ operazione letteraria altissima, metalinguistica,

oltre ad incarnare il ruolo di tragediatore, come mai prima: egli

dichiara che l’italiano è la lingua da sfruttare nelle situazioni

importanti, in momenti solenni, come in questo caso è l’addio tra il

capitano e Zosimo, ma per fare questa dichiarazione usa tuttavia il

dialetto, si identifica cioè con i personaggi e finge di pensare come

loro, con il loro mezzo espressione.

Credo sia qui la chiave dell’ uso della lingua nel romanzo; si è scritto

di tutti i suoi aspetti, da quello fonologico, morfologico, lessicale, per

giungere induttivamente a questo punto che fa capo a tutti, ossia per

capire che la lingua prima di mescolarsi al dialetto, prima di farlo per

raccontare una storia, prima di lasciarsi manipolare dalle mani sapienti

dell’autore, si autocelebra, si spiega, autodenuncia la sua esatta

posizione all’interno degli equilibri del romanzo.

Camilleri è dunque un tragediatore come sostiene La Fauci, tuttavia a

differenza del critico, ritengo che questo sia un pregio di pochi.

Il re di Girgenti è un romanzo in cui è data voce a tutti: bambini,

uomini, donne, animali, ed anche alla lingua stessa, il tutto nel modo

più fluido e impercettibile possibile, per lasciarsi leggere ed

eventualmente, mai forzatamente, cogliere. Quanti potrebbero

dichiarare di riuscire a farlo?

Credo in pochi.

Qui sta la grandezza di Andrea Camilleri.

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NOTA BIBLIOGRAFIA

SCRITTI DI ANDREA CAMILLERI

Il corso delle cose, Sellerio ”la Memoria”, 1978.

Un filo di fumo, Sellerio “la Memoria” e “Il Castello”, 1980.

La strage dimenticata, Sellerio “Quaderni della Biblioteca siciliana di

Storia e letteratura”, 1984.

La stagione della caccia, Sellerio “Quaderni”, 1992.

La bolla di componenda, Sellerio “Quaderni”, 1993.

La forma dell’acqua, Sellerio “La Memoria”, 1994.

Il gioco della mosca, Sellerio “Il Divano”, 1995.

Il birraio di Preston, Sellerio “La Memoria”, 1995.

Il cane di terracotta, Sellerio “La Memoria”, 1996.

Il ladro di merendine, Sellerio “La Memoria”, 1996.

La voce del violino, Sellerio “La memoria”, 1997.

La concessione del telefono, Sellerio “La Memoria”, 1998.

Un mese con Montalbano, Mondadori “Omnibus”, 1998.

La Mossa del cavallo, Rizzoli “La Scala”, 1999.

Gli arancini di Montalbano, Mondadori “Scrittori italiani e stranieri”,

1999.

La gita a Tindari, Sellerio “La Memoria”, 2000.

La scomparsa di Patò, Mondadori “Scrittori italiani e Stranieri”,

2000.

Biografia del figlio cambiato, Rizzoli ” La Scala”, 2000.

Favole del tramonto, Edizioni dell’Altana “ I Quaderni”, 2000.

Racconti quotidiani, Libreria dell’Orso, 2001.

Gocce di Sicilia, Edizioni dell’ Altana, 2001.

L’ odore della notte, Sellerio” La Memoria”, 2001.

Il re di Girgenti, Sellerio” La Memoria”, 2001.

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Le parole raccontate. Piccolo dizionario dei termini, Rizzoli ”Piccola

Biblioteca della Scala”, 2001.

La paura di Montalbano, Mondatori “I Meridiani”, 2002.

Storie di Montalbano, Mondadori “I Meridiani”, 2002.

L’ombrello di Noè, Rizzoli” Piccola biblioteca la Scala”, 2002.

Le inchieste del commissario Collura, Libreria dell’Orso, 2002.

Il giro di boa Sellerio, “ La Memoria”, 2003.

La presa di Macallè, Sellerio “La Memoria”, 2003.

La prima indagine di Montalbano Mondadori “ Scrittori italiani e

Stranieri”, 2004.

Romanzi storici e civili, Mondadori “I Meridiani”, 2004.

La pazienza del ragno, Sellerio “La Memoria”, 2004.

Privo di titolo, Sellerio “La Memoria”, 2005.

La luna di carta, Sellerio “La Memoria”, 2005.

Il medaglione, Piccola biblioteca Oscar Mondadori, 2005

(Racconto scritto per l’Arma dei Carabinieri e pubblicato nel

calendario 2005 della Benemerita).

RACCONTI PUBBLICATI IN RIVISTE E QUOTIDIANI

Zù Colà, Pirsona pulita, “L’Almanacco dell’ Altana” 1996, edizioni

dell’Altana, Roma 1995.

Chi è che trasì nello studio?, “L’Almanacco dell’Altana” 1997,

Edizioni dell’ Altana, Roma 1996.

Il patto, “La grotta della vipera”, a.XXIII 79-80, 1997.

Piace il Vino a S. Calò, “L’Almanacco dell’ Altana” 1998, Edizioni

dell’Altana, Roma 1997.

Una favola, intervento alla XIII edizione della Scuola Europea per

l’Arte dell’Attore, S.Miniato 1997.

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Il gioco delle tre carte, “Delitti di carta”, n.2, aprile 1998.

Il mistero del finto cantante, “La Stampa”, 13 luglio 1998.

Il fantasma della cabina, “La Stampa”, 27 luglio 1998.

Trappola d’amore in 1’classe, “La Stampa”, 3 agosto 1998.

Bella, giovane nuda, praticamente assassinata, “La Stampa”,

10 agosto 1998.

Montalbano contro la banda dei cannibali, “Il Messaggero”, 15

agosto 1998.

Un mazzo di donne per il petroliere Bill, “La Stampa”, 17 agosto

1998.

I gioielli in fondo al mare, “La Stampa”, 24 agosto 1998.

Che fine ha fatto la piccola Irene?, “La Stampa”, 31 agosto 1998.

La scomparsa della vedova inconsolabile, “La Stampa”, 7 settembre

1998.

Il primo voto, “L’Almanacco dell’Altana” 1999, Edizioni dell’Altana,

Roma 1998.

Un cappello pieno di pioggia, “la Repubblica”, 15 agosto 1999

E Giuda scappò con la moglie di Pintacuda, “La Stampa”, 2 dicembre

1999.

Ipotesi sulla scomparsa di Antonio Patò, “L’Almanacco dell’Altana”

2000, Edizioni dell’Altana, Roma 1999.

Storie di Vigata e dintorni. Uno strano scambio di persona, “La

Stampa”, 23 agosto 2000.

Storie di Vigata e dintorni. Quel quaquaraquà di Capitan Caci, “La

Stampa”, 3 settembre 2000.

Storie di Vigata e dintorni. Fimmini e miracoli di Mìnico Portera, “La

Stampa”, 17 settembre 2000.

Cinque favole sul Cavaliere, “MicroMega”, ottobre 2000.

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Cinque favole politicamente scorrette, “MicroMega”, aprile-maggio

2001.

Il medaglione, racconto scritto per l’Arma dei Carabinieri, pubblicato

nel calendario 2005 della Benemerita, riedito da “Piccola Biblioteca

Oscar Mondatori”, luglio 2005.

INTERVISTE E ARTICOLI PUBBLICATI SU RIVISTE E

QUOTIDIANI

Salvatore Agati, Una catena di delitti in una Sicilia grottesca,

“La Sicilia”, 27 giugno 1992.

Riccardo Arena, Camilleri contraffatto. Copie false di un suo

romanzo, “Giornale di Sicilia”, 26 gennaio 2001.

Sergio Astolfi, Una legge della fisica applicata al delitto nel giallo

siciliano di Camilleri, “La domenica del Messaggero Veneto”, a.1,

n.7, 1997.

Corrado Augias, Intrighi e segreti a Vigata, “il Venerdi’ di

Repubblica”, 9 gennaio 1998

-La sua forza negli intrighi e nella lingua, la Repubblica, 8 luglio

1998

-L’Italia si tinge di giallo, la Repubblica, 8 luglio 1998.

Maurizio Assalto, Montalbano odia i telefonini e risolve i gialli anche

per posta, “La Stampa”, 17 settembre 1999

-Montalbano assolda Ulisse, La Stampa, 20 gennaio 2001

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-Camilleri, un po’ di ambiguità è il sale della scrittura, La Stampa, 22

maggio 2001.

Angela Azzaro, Andrea Camilleri pessimista e temperato,

“Liberazione”, 5 ottobre 1999.

Roberto Barbolini-Pier Mario Fasanotto, Montalbano, il caso porno è

tuo, “Panorama”, 15 dicembre 2000.

Stefano Bartezzaghi, Quest’estate il popolare è canticchia

d’avanguardia, “La Stampa-Tuttolibri”, 13 agosto 1998.

Mauro Baudino, Camilleri il riposo del commissario, “La Stampa”, 14

settembre 1998.

Enzo Biagi, Sicilia, L’isola degli italiani esagerati, “Corriere della

Sera”, 15 agosto 1998.

Vito Biolchini, Scrivere, un filo di fumo, “La Nuova Sardegna”, 26

aprile 1997.

Carlo Bo, Il “caso Camilleri”: così uno scrittore diventa fenomeno,

“Gente”, 2 settembre 1998.

Alessandra Bonetti, Montalbano: appuntamento con Montalbàn,

“Il Mattino”, 12 settembre 1998.

Caterina Calabrese, Nel nome della legge e della buona tavola,

“Specchio-La Stampa”, n.126, 20 giugno 1998.

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Orio Caldiron, Giallo italiano. A qualcuno piace il commissario,

“Il Mattino”, 18 gennaio 1998.

Giorgio Caldonazzo, La riscossa del Maigret siciliano, “Visto”, 3

aprile 1998.

Davide Camarrone, Tionfo della terza età, “Euromediterraneo”,

gennaio 1999.

Massimo Carloni, La forma dell’acqua, “Delitti di carta”, n. 2, aprile

1998.

Federica Certa, Montalbano ritorna, quinto giallo a Vigàta,

“la Repubblica on line”, 20 ottobre 1999.

Angiola Codacci Pisanelli, Il segreto di Camilleri, “L’Espresso”, 25

giugno 1998.

Matteo Collura, Camilleri, l’eredità di Sciascia e il fantasma di

Berlusconi, “Corriere della Sera”, 19 luglio 1998.

Elo Conte, Anonimi destini siciliani, “Il Popolo”, 25 giugno 1992.

Roberto Cossu, Un thriller tra le scartoffie, “L’Unione Sarda”, 12

maggio 1998.

Roberto Cotroneo, Caro Camilleri, stia attento al suo pubblico,

“L’Espresso”, 9 luglio 1998.

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-Mi ha pizzicato un merlo dispettoso, L’Espresso, 18 dicembre 2000..

Giuliana Cutore, Gallismo siciliano in una satira di Camilleri,

“Settegiorni”, 20 giugno 1992.

Masolino D’Amico, A Sicilian Brew, “The Times Literary

Supplement”, 19 luglio 1995.

Antonio Debenedetti, Aiuto, Montalbano vuole uccidermi,

“Sette-Corriere della Sera”, 22 aprile 1999.

Alberto De Benedetto, Andrea Camilleri: non chiamatemi giallista,

ma “contastorie”, “kataweb”, ottobre 1999.

Erika Dellacasa, Anche in italiano fa ridere, “Il Secolo XIX”, 15

novembre 2000.

Mario Di Caro, I francesi bocciano Sciascia polemista,

“la Repubblica”, 22 giugno 1999

-Tre morti per Montalbano, la Repubblica, 5 novembre 2000

-Camilleri debutta in CD-ROM con un gioco da computer,

la Repubblica, 25 novembre 2000.

Rodolfo Di Giammarco, Muoio dialogando di aquiloni con un bimbo,

“la Repubblica”, 10 gennaio 2001

-Sono un mago moderno, “la Repubblica”, 10 gennaio 2001.

Antonio Di Grado, L’insostenibile leggerezza del birraio,

“La grotta della vipera”, a.XXIII, n.78-80, 1997.

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Santa Di Salvo, Indagini, misteri in blu e cadaveri spirtusati,

“Il Mattino”, 18 gennaio 1998.

Antonio D’Orrico, Quei pasticciacci belli del commissario

Montalbano, “

“Sette-Corriere della Sera”, 14 luglio 1998

-Mezzogiorno di fuoco (o fuochino), “Capital”, agosto 1998

-Camilleri. La letteratura comincia a 70 anni, “Sette-Corriere della

Sera”, 24 dicembre 1998

-Camilleri colpisce ancora con un ispettore di Genova, “Sette-

Corriere della Sera”, marzo 1999

-Camilleri, lei scrive troppo, continui a farlo per favore, “Sette-

Corriere della Sera”, ottobre 1999.

Francesco Durante, Pronto chi ride, “la Repubblica delle donne”, 25

giugno 1998.

Alain Elkann, Camilleri: mia moglie è il primo censore, “La Stampa”,

10 dicembre 2000.

Francesco Erbani, Fenomeno Camilleri, “la Repubblica”, 11 maggio

1998.

Salvo Fallica, Un re nella Sicilia del ‘700, “l’Unità”, 14 aprile 2001.

Claudio Fava, Andrea Camilleri: il successo è un frutto tardivo,

“Io Donna”, 4 luglio 1998.

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Salvatore Ferlita, Sciascia mi ricarica come un elettrauto,

“la Repubblica”, 15 novembre 2000

-Camilleri editorialista, la Repubblica, 13 maggio 2001.

Marco Ferrari, Un mare di letteratura: il corso delle cose, Andrea

Camilleri riscrive il suo primo romanzo, “l’Unità”, 16 settembre 1998.

Antonella Filippi, L’imitazione? Mi fa sentire una griffe..,

“Giornale di Sicilia”, 26 gennaio 2001.

Ida Fontana, Assurda ragione, “Il Giornale di Napoli”, 28 dicembre

1995.

Silvia Fumarola, Un truffatore geniale sfida Montalbano,

“la Repubblica”, 13 maggio 2001.

Maria Pia Fusco, Camilleri il burattinaio, “la Repubblica”, 17

settembre 1998.

Giuseppe Gallo, Senza Steccati, “Soprattutto”, supplemento del

venerdì de “Il Secolo XIX”, 8 dicembre 2000.

Giorgio Gandola, Commissario Montalbano, arresti Camilleri,

“Il Giornale”, 26 luglio 1998.

Marina Garbesi, Ma quella è superstizione, “la Repubblica”, 10

giugno 1997

Mario Genco, Il fenomeno Andrea Camilleri. Un viaggio nel dialetto,

“Giornale di Sicilia”, 6 dicembre 2000

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Stefano Giovanardi, Ce ne fossero artigiani come lui…,

“L’Espresso”, 25 giugno 1998

-Camilleri, se vi piace il genere…, “la Repubblica”, 3 dicembre 1998

-Bravo Camilleri, ma la Sicilia non è questa, la Repubblica, 14

novembre 2000.

Arturo Gismondi, Al telefono con Camilleri, “il Giornale”, 15 luglio

1998.

Alfredo Giuliani, Vi racconto come l’ho scoperto e perché mi è

piaciuto, “la Repubblica”, 11 maggio 1998.

Gabriella Grimaldi, Le avventure in giallo di un europoliziotto,

“La Nuova Sardegna”, 17 giugno 1998.

Finetta Guerrera, Marcello Sorgi racconta Camilleri, “La Sicilia”, 10

dicembre 2000.

Angelo Guglielmi, Lingua, plot e ironia, “L’Espresso”, 2 luglio 1998.

Giorgio Ierano, Montalbano contro i cannibali, “Panorama”, 19

settembre 1999.

Enric Juliana, Montalbano contra Montalbàn, treinta miradas del

comisario Montalbano, “La Vanguardia”, 31 luglio 1998

Raffaele La Capria, Camilleri, la Sicilia, cosi’ è se vi pare,

“Corriere della Sera”, 5 maggio 1998

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Nicola Lecca, Ecco l’autentica Sicilia dell’anti-Camilleri,

“L’Unione Sarda”, 12 maggio 2001.

Rossana Lo Castro, Un incontro tra amici, “La Sicilia”, 10 dicembre

2000.

Stefano Malatesta, Montalbano Maigret di Sicilia, “la Repubblica”, 10

giugno 1997

-Montalbano terra e mare, “la Repubblica”, 20 luglio 1998

-Camilleri fra i cannibali, “la Repubblica”, 17 settembre 1999.

Paola Mancini, Montalbano nuovo Maigret, “il Venerdì di

Repubblica”, maggio 1998.

Mariarosa Mancuso, La guerra dei due giallisti,

“Panorama”, 25 giugno 1998.

Emilio Manzano, Charla entre Camilleri y Vasquez Montalbàn,

“La Vanguardia Magazine”, 18 aprile 1999.

Titti Marrone, Come un colpo di teatro, “Il Mattino”, 28 aprile 1992.

Gabriella Mecucci, Quegli intensi legami con Sciascia,

“Il Nuovo”, 13 novembre 2000.

Cesare Medail, Scrittori in crisi salvati dal giallo, “Corriere della

Sera”, 21 maggio 1998

-E D’Alema intervista i signori del giallo, “Corriere della Sera”, 10

settembre 1998

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-Camilleri. I venti casi di Montalbano, “Corriere della Sera”, 17

settembre 1998

-Assoluzione in nome del dialetto, “Corriere della Sera”, 13 maggio

1999

-Così Patò scomparve nella botola, “Corriere della Sera”, 14

novembre 2000

-La favola del drammaturgo scambiato, “Corriere della Sera”, 7

dicembre 2000.

Francesco Merlo, La sicilianità (o sicilitudine) non sia solo

paccottiglia sentimentale, “Sette-Corriere della Sera”, 22 giugno 2000

-Camilleri, che noia. La falsa Sicilia di uno scrittore mito,

“Corriere della Sera”, 11 dicembre 2000.

Nicola Merola, I dialetti di Camilleri, “l’Unità”, 27 agosto 1998.

Renato Minore, Camilleri, compleanno con Montalbano,

“Il Messaggero”, 7 settembre 1998

-Fra racconto e dossier, “Il Messaggero”, 14 novembre 2000.

Paola Nicita, In un giorno il suo Patò è già best seller,

“la Repubblica”, 15 novembre 2000

-Montalbano a fumetti, si presenta il volume, “la Repubblica”, 22

novembre 2000.

Carlo Oliva, Italiani, scrittori a “fior di pelle, “Il Nuovo”, 6 dicembre

2000.

Ermanno Paccagnini, La scrittura di Camilleri si intreccia con tre fili,

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“Il Sole-24 Ore”, 3 agosto 1997

-Il punto sul fenomeno Camilleri, “La Domenica del Sole-24 Ore”, 28

giugno 1998.

Giovanni Pacchiano, Brividi caldi,

“Sette-Corriere della Sera”, 7 luglio 1998

-Un mese con Montalbano, Sette-Corriere della Sera, 16 luglio 1998.

Emilio Patruno, La lingua dell’ispettore, “Famiglia Cristiana”, n.14,

aprile 1998.

Sergio Pent, Camilleri intarsia il mal di Sicilia,

“Tuttolibri-La Stampa”, 8 gennaio 1998.

Giuseppe Piacentino, Alla fine..è successo, “Bella”, 7 settembre 1999.

Ranieri Polese, Francoforte, è l’anno di Camilleri,

“Corriere della Sera”, 8 ottobre 1999.

Martino Ragusa, Con tutto il rispetto per Adelina, “Il Salvagente”, 21

ottobre 1999.

Franco Quadri, Camilleri e Pirandello per il grande Turi Ferro,

“la Repubblica”, 14 gennaio 2001.

Francesco Renda, , Insegnare a scuola il siciliano la proposta,

“la Repubblica”, 10 dicembre 2000.

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Valerio Riva, Chi dorme prende un sacco di soldi, “Il borghese”, 8

ottobre 1998.

Ugo Ronfani, Il dottor Camilleri e Mr. Montalbano, “Il resto del

Carlino”, 1 settembre 1999.

Pierangela Rossi, Sotto accusa il narratore del momento: banalizza i

drammi dell’isola?, “Avvenire”, 13 dicembre 2000.

Giovanni Russo, La rivincita dei dialetti, parola per parola,

“Corriere della Sera”, 6 agosto 1998.

Camilleri, “la testa gli fa dire”di dialogare con Sorgi,

“la Repubblica”, 9 dicembre 2000.

Camilleri: mi libererò del commissario Montalbano,

“la Repubblica”, 19 dicembre 2000.

Il Re di Camilleri è già pronto sul trono, “Giornale di Sicilia”, 17

gennaio 2001.

Venerdì alla Normale lo scrittore Camilleri, “Il Tirreno”, 17 gennaio

2001.

Andrea Camilleri padrino del best seller, “Tèlè Moustique”, 14 marzo

2001.

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Camilleri: dopo Montalbano scriverò per Topolino, “Corriere della

Sera”, 13 maggio 2001.

Mariano Sabatini, Montalbano sul set, Film Tv, n.46, 14 novembre

1998.

Rita Sala, Primavera, un grido d’argento, “Il Messaggero”, 21 marzo

2001.

Stefano Salis, Due omicidi per Montalbano, “L’Unione Sarda”, 23

aprile 1997.

Gaetano Savatteri, Il nostro Maigret, “Diario della settimana”, 10

marzo 1998.

Roberta Scorranese, Riappare Camilleri senza Montalbano,

“Il Nuovo”, 14 novembre 2000

-Camilleri: vi racconto il mio Pirandello, Il Nuovo, 5 dicembre 2000.

Silvia Sereni, Un paese tutto giallo, “Donna moderna”, settembre

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Mirella Serri, Esce il nuovo libro dello scrittore siciliano: la biografia.

Il giallo di Pirandello, “La Stampa”, 6 dicembre 2000

-Ferroni stronca l’autore più letto dagli italiani: Camilleri? Solo

marionette, “L’Espresso”, 18 gennaio 2001.

Vittorio Sgarbi, Stereotipi politicamente corretti, “Il Giornale”, 13

dicembre 2000.

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Michela Sposito, Montalbano invecchia con me: un po’ più duro, un

po’ più tenero, “Giornale di Sicilia”, 22 settembre 1999.

Gian Antonio Stella, Camilleri : siciliani, non siamo martiri

smettiamola di piangerci addosso, “Corriere della Sera”, 24 agosto

1998.

Gigliola Sulis, La scrittura, la lingua e il dubbio sulla verità,

“La grotta della vipera”, a. XX, n. 66-67, 1994.

Micaela Urbani, Ritorno alle origini, “Il Messaggero”, 23 agosto

1999.

Chiara Valentini, Prima ha rovinato la TV poi la politica,

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Giandomenico Vivacqua, Conversazione con Andrea Camilleri,

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Elsa Vinci, E’ un servizio di logica, “la Repubblica”, 3 gennaio 1998.

Maria Melena Kuner, Giuseppe d’Angelo, “La sfida del traduttore:

tradurre senza tradire”, “pubblicato su Mosaico italiano”, n.8.

Sebastiano Messina, L’incontro, memorie siciliane,

“la Repubblica”, Domenica 10 luglio 2005.

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Mario di Caro, Ma il suo siciliano è una scelta colta,

“la Repubblica”, 22 Novembre 1997.

Dominique Vittoz, Contro il centralismo della parlata di Lione,

Stilos, supplemento letterario de “La Sicilia”, 19 Marzo 2003.

Laura Lombari, Montalbano je suis,

selezione dal “Reader’s Digest”, Luglio 2003.

Salvatore Ferita, Uno stile canagliesco per tradurre Camilleri in

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Salvatore Ferita, Troppo eros, Camilleri e il tedesco va kaputt,

“la Repubblica”, 10 Marzo 2003.

Camilleri, caso letterario da studiare all’Università,

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Sera”, 30.12.2001.

Intervista a cura di Serena Filipponi, Annali della Facoltà di Lettere e

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II- Maggio-Agosto 2002.

SCRITTI SU ANDREA CAMILLERI, VOLUMI E SAGGI

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Simona Demontis, Elogio dell’insularità. Intervista ad Andrea

Camilleri, “La grotta della vipera”,a.XXV,n.88,inverno 1999.

Giuseppe Dipasquale, Il mondo di Camilleri e la sua poetica dello

stupore, “The Camilleri fan’s club”.

Bruno Porcelli, Un filo di fumo. Romanzo siciliano di Andrea

Camilleri, “Italianistica”, aprile 1998

-Due capitoli per Andrea Camilleri, “Italianistica”, maggio-agosto

1999.

Stefano Salis, In attesa della mosca: la scrittura di Andrea Camilleri,

“La grotta della vipera”, a.XXIII. n.79-80, 1997.

Marcello Sorgi, La testa ci fa dire. Dialogo con Andrea Camilleri,

Sellerio, Palermo 2000.

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Vittorio Spinazzola, Caso Camilleri e caso Montalbano, in Tirature

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pp.118-125.

Jana Vizmuller-Zocco, Il dialetto nei romanzi di Andrea Camilleri,

“The Camilleri fan’s club”.

Serena Filipponi, Il laboratorio del contastorie. Intervista ad Andrea

Camilleri. Annali della facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università

degli Studi di Milano. Volume LV- Fascicolo II- Maggio-Agosto

2002.

Jana Vizmuller- Zocco, I test della (im)popolarità: il fenomeno

Camilleri, articolo pubblicato su QUADERNI d’italianistica, Official

Journal of the Canadian Society for Italy, Volume XXII, No.1, 2001.

Nunzio La Fauci, Prolegomeni ad una fenomenologia del

tragediatore: saggio su Andrea Camilleri, pubblicato in “Lucia

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Vittorio Coletti, Arrigalannu un sognu, L’Indice, 12.2001.

Francesco Cannoni, Il contadino che divenne re, “Messaggero

Veneto”, 11.12.2001.

Giorgio De Rienzo, La pagella di Andrea Camilleri. Il re di Girgenti,

“Corriere della Sera”, 30.12.2001.

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Remigio Roccella, Vocabolario della lingua parlata in piazza

Armerina (Sicilia), Caltagirone, Bartolomeo Mantelli Editore, 1875.

Giuseppe Gioeni, Saggio di etimologie siciliane, Palermo, Tipografia

dello “Statuto”, 1885.

Edoardo Nicotra D’Urso, Nuovissimo Dizionario Siciliano-Italiano,

contenente le voci e le frasi siciliane dissimili dalle italiane, con

prefazione di Luigi Capuana, Catania, Cav. Niccolò Giannotta,

Editore, 1922.

Vincenzo Nicotra, Dizionario Siciliano-Italiano, Catania, Stabilimento

tipografico Bellini, 1883.

Antonino Traina, Vocabolarietto delle voci siciliane dissimili dalle

italiane, con saggio di altre differenze ortoepiche e grammaticali,

Palermo, Libreria Internazionale, 1888.

Carmelo Scavuzzo, Dizionario del parlar siciliano, Palermo, 1982,

Edikronos.

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ARTICOLI, INTRODUZIONI, INTERVENTI

Vicenda d’un lunario, “L’Almanacco dell’Altana” 1995, Editrice

Sallustiana, Roma 1994.

Lapidi in cerca d’autore, “L’Almanacco dell’Altana” 1996, Edizioni

dell’Altana, Roma 1995.

Il jazz di contrabbando e le ninfe danzanti, “I viaggi di Repubblica”,

31 ottobre 1997.

L’occhio di Cordio, introduzione al Catalogo di Nino Cordio

1959\1997, Edizione Diagonale, Roma 1997.

La lingua italiana: una, nessuna, centomila, “Il Messaggero”, 1

febbraio 1998.

Pirandello vola nella notte, “La Stampa”, 16 giugno 1998.

Pirandello: la guerra delle ceneri, “La Stampa”, 14 giugno 1998.

Il mio non esame di maturità, “La Stampa”, 29 giugno 1998.

Per essere mafiosi non serve nascere italiani, “Il Messaggero”, 1

agosto 1998.

Mediterraneo. La sfida degli scrittori, “La Stampa”, 19 settembre

1998.

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Prefazione a Marcello Fois, Sempre caro, “Il maestrale”, Nuoro

1998.

Apprendisti con smania da grandi, “La Stampa”, 4 gennaio 1999.

La sinistra vestita da Arlecchino, “Corriere della Sera”, 27 aprile

1999.

Un po’di rispetto per Ferrandino , “Corriere della Sera”, 27 giugno

1999.

Il mio debito con Simenon, “La Stampa”, 4 luglio 1999.

Elogio del Vecchio contrabbando, “La Stampa”, 19 agosto 1999.

L’uomo e i quaquaraquà, “La Stampa”, 19 novembre 1999.

Vecchie storie di mafia e DC, “MicroMega”, novembre 1999.

Scialiamoci a rileggere Horcynus Orca, “L’Espresso on line”, 16

dicembre 1999.

In attesa d’a musca, Atti del convegno La carta dei giochi. L’Atlante

linguistico della Sicilia e la tradizione ludica infantile, “Atlante

Linguistico della Sicilia”, Palermo1999.

Intervento in forma di favola, Atti del convegno La pubblica

amministrazione che cambia: una riforma per i cittadini, sotto l’alto

patrocinio della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Roma 2000.

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Vivere in campagna, se la natura diventa un’arte, “Corriere della

Sera”, 10 maggio 2000.

Vacanze alla “casina”, sul Catalogo della mostra al Palazzo Chigi,

Ariccia, I piaceri della vita in campagna, Rizzoli-De Agostini, Milano

2000.

I promessi Birrai di Preston, “La Stampa”, 8 ottobre 2000.

Quei preti in cattedra- l’ora di religione, “la Repubblica”, 8 ottobre

2000 MicroMega, n. 4\2000.

Quel giorno rubò mia madre, “la Repubblica”, 3 novembre 2000.

Introduzione a Serge Quadruppani, L’assassina di Belleville,

Mondadori, Milano 2000.

Storie stralunate dietro il Vesuvio, “la Repubblica”, 8 marzo 2001.

Se vince lui, ma forse no, “Diario”, 30 marzo 2001.

Il mito tra due sponde, “la Repubblica”, 19 aprile 2001.

Caro amico ti scrivo dall’ottobre del 2001, “la Primavera di

MicroMega”, n.2, supplemento al n.2\2001 di MicroMega”.

Gli amici del Cavaliere riscrivono la storia, “la Primavera di

MicroMega”, n.2, supplemento al n. 2\2001 di “MicroMega”.

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Il filosofo Lucio Polsini e la nuova lotta alla mafia, “la Primavera di

MicroMega”, n.3, supplemento al n. 2\2001 di “MicroMega”.

Un Te Deum per il nuovo concordato, “la Primavera di MicroMega”,

n.4, supplemento al n. 2\2001 di “MicroMega”.

Perché si è dimesso il commissario Montalbano, “la Primavera di

MicroMega”, n.5, supplemento al n. 2\2001 di “MicroMega”.

Mea culpa (lettera aperta a Paolo Flores d’Arcais), “la Primavera di

MicroMega”, n.6, supplemento al n.2\2001 di “MicroMega”.

VOCABOLARI, DIZIONARI ETIMOLOGICI USATI

Innovazione e conservazione nelle lingue, “Atti del Convegno della

Società Italiana di Glottologia”, Testi raccolti a cura di Vincenzo

Orioles, Messina 9-11 novembre 1989, Giardini Editori e Stampatori

in Pisa, 1991. Remigio Roccella, Vocabolario della lingua parlata in piazza

Armerina (Sicilia), Caltagirone, Bartolomeo Mantelli Editore, 1875

Giuseppe Gioeni, Saggio di etimologie siciliane, Palermo, Tipografia

dello “Statuto”, 1885.

Edoardo Nicotra D’Urso, Nuovissimo Dizionario Siciliano-Italiano,

contenente le voci e le frasi siciliane dissimili dalle italiane, con

prefazione di Luigi Capuana, Catania, Cav. Niccolò Giannotta,

Editore, 1922.

Vincenzo Nicotra, Dizionario Siciliano-Italiano, Catania, Stabilimento

tipografico Bellini, 1883.

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Antonino Traina, Vocabolarietto delle voci siciliane dissimili dalle

italiane, con saggio di altre differenze ortoepiche e grammaticali,

Palermo, Libreria Internazionale, 1888.

Carmelo Scavuzzo, Dizionario del parlar siciliano, Palermo, 1982,

Edikronos.

Marìa Moliner, Diccionario de uso del español, Editorial GREDOS,

Madrid, 1977\ S. Carbonell, Dizionario fraseologico completo

italiano- spagnolo, spagnolo- italiano, Editore Ulrico Hoepli, Milano,

1977.

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Ringraziamenti

Con quest’ultima pagina si chiude un cerchio, sento di aver raggiunto un traguardo. Ma non ho fatto tutto da sola. Ci sono alcune persone che mi hanno accompagnata e mi sono state vicino. A loro va il mio pensiero quando mi guardo indietro e vedo quello che ho realizzato.

Alla mia famiglia, senza la quale non sarei Manuela, con tutto ciò che questo comporta,

a Maria Teresa, che ha reso sempre tutto indimenticabile,

ad Alberta, raggio di sole che illumina la stanza ogni mattina,

al Furioso, inventore della frase “coglioni in mano”, diventata conil tempo mia regola personale,

a Davide, spavaldo uomo dalla pazienza di ferro,

alla Prof.ssa Gianna Marcato, senza l’aiuto e le imprecazioni della quale, tutti questi fogli rilegati sotto un titolo non esisterebbero,

ai miei nonni, che ci saranno sempre in un modo o nell’altro,

a tutte queste persone, GRAZIE.

Manuela B.

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