I bambini della Scala - Rizzoli Libri€¦ · e seconda della scuola primaria, due volte per terza...

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Testi raccolti da Beatrice MasiniProgetto grafi co di Mariagrazia Rocchetti

© 2011 RCS Libri S.p.A., MilanoPrima edizione Rizzoli ottobre 2011

Tutti i diritti sono riservati

ISBN 978-88-17-05197-2

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I bambini della Scala

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L'Accademia del Teatro alla Scala di Milano è una scuola di arti

dello spettacolo che forma ballerini, cantanti, fotografi , scenografi , costumisti,

sarti teatrali, attrezzisti, truccatori e molte altre fi gure che lavorano in scena

e dietro le quinte. E comincia dai bambini, con corsi di propedeutica

di ballo e canto, perché la strada per arrivare sul palcoscenico è lunga,

e bisogna incamminarsi presto, per capire che cosa si vuole fare e se si è capaci di farlo.

Questo libro racconta per immagini le lezioni seguite da bambini di età compresa

fra i sei e i dieci anni: l’inizio del cammino, appunto, un gioco che diventa passione

e impegno, piano piano, passo dopo passo, nota dopo nota.

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razie a Frédéric Olivieri, direttore

del Dipartimento Danza dell’Accademia del Teatro

alla Scala, a Eliane Arditi, coordinatrice

del Corso di propedeutica, a Bruno Casoni,

direttore artistico del Coro di voci bianche

e direttore del Coro del Teatro alla Scala.

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Le foto dei bambini della propedeutica di ballo

sono state scattate da Nora Roitberg e Agnès Webber

durante le lezioni aperte a conclusione dei corsi

2008/2009 e 2009/2010.

Le foto del coro di voci bianche sono state scattate

da Alessia Santambrogio nella primavera 2011,

durante le prove del Sogno di una notte di mezza estate

di Felix Mendelssohn-Bartholdy

e del Piccolo spazzacamino di Benjamin Britten.

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PPerché una bambina, un bambino comincia a studiare danza classica, qui, oggi, ora?

Perché una disciplina così antica, così incongrua, così disciplina può attirare un ragazzino

piccolo, vivace, solleticato dalle mille possibilità della vita in una grande città come Milano?

Ci sono gli sport, mille più uno, e spesso agonistici fi n da subito; ci sono le attività artistiche,

disegnare, modellare la creta, recitare; ci sono i computer e i videogiochi, sirene irresistibili;

c’è la televisione, un miliardo di canali che colano in casa attraverso l’imbuto della

parabola. Ce n’è da occupare tutti i pomeriggi di molte vite di bambino; senza contare

la scuola, praticamente come andare in uffi cio, otto ore al giorno, cinque giorni la settimana.

E la danza, così faticosa, diffi cile, precisa; la danza fatta all’Accademia del Teatro alla

Scala, seria, sobria, lasciando fuori dalla porta i lustrini, i fi occhi, il tulle, che cosa c’entra?

C’entra. C’entrano le ambizioni delle mamme, che hanno voluto e non potevano,

e lo dicono, almeno sono oneste e ne parlano coi loro bambini: mi sarebbe piaciuto,

non ci sono riuscita, provaci tu. C’entra il richiamo precoce di una vita fantasticata sotto

i rifl ettori: girare il mondo, fare tappa nei grandi teatri, vedere il proprio nome stampato

gigante sui giornali e la propria foto che brilla sotto il titolo. C’entra il gusto di muoversi:

a tutti i bambini, fi n da piccolissimi, piace ballare sulla musica che scivola fuori da una radio

o da uno stereo. Certo, la danza classica è un’altra cosa, ma se ci provano, se la provano

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scoprono insieme anche il fascino della musica classica, un pianoforte vero con un pianista

vero che suona per te e per il tuo corpo, e non possono che amarla, tutta questa musica

rovesciata addosso e fatta solo per seguirla, assecondarla, anticiparla.

C’entrano anche i lustrini e le paillettes, certo: quanto può essere bello, un tutù rosa pallido

appeso in una vetrina, con quel suo colore di perla e la passamaneria scintillante

che lo borda? E le scarpette di raso, lucide, perfette, immacolate, con la loro promessa

di leggerezza?

È tutto bello. Sembra tutto bello. Poi s’impara la fatica quotidiana, l’apparente banalità

di un esercizio a terra ripetuto tante e tante volte. Ci si confronta con piedi ribelli,

braccia spigolose, schiene e colli e teste che non vogliono proprio stare diritti, disobbedienti

che sono. Eppure tutto continua a restare bello. Nonostante l’impegno e la fatica,

il magnetismo di quelle grandi sale foderate di specchi si avverte forte e chiaro come

una voce. E non si può che seguirla, questa voce, anche se si hanno solo sei anni e magari

è altrettanto forte la voglia di tirar calci a un pallone o di giocare alle bambole.

A sei anni si può fare tutto, e tutto insieme. Poi si vedrà.

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Anche se è un corso di propedeutica, ossia di preparazione alla danza vera e propria,

quello dell’Accademia impone una selezione iniziale. Niente di spaventoso: si tratta

di muoversi seguendo la musica, di assecondare le richieste della commissione, di lasciarsi

osservare, di saltare, correre, piegarsi, saltare ancora, con un numero di riconoscimento

appuntato alla canottiera. Su un’ottantina di richieste ne verranno accolte la metà,

per formare due classi. La frequenza è di una volta la settimana per i bambini di prima

e seconda della scuola primaria, due volte per terza e quarta, tre volte per la quinta;

due volte al mese, per chi vuole, c’è la lezione di coro. I bambini respinti alzano le spalle,

forse non ci tenevano nemmeno tanto, era la mamma che voleva; invece qualcuna

delle mamme piange, ma di gioia, perché sul foglietto bianco appeso al vetro dell’ingresso

c’è scritto il nome di suo fi glio. Reazioni eccessive: è – forse – solo l’inizio di un percorso

a ostacoli molto molto lungo che pochi percorreranno leggeri fi no alla fi ne.

Reazioni umanissime: solo mettere piede nell’atrio di via Campo Lodigiano, dove ha sede anche

la Scuola di Ballo, è respirare un’atmosfera che ti prende subito, ti intossica, ti stordisce per il

fascino che emana. Ci sono i ragazzi grandi, che scendono e salgono le scale

con grazia navigata: esili e forti, elegantissimi nelle divise blu, tutte uguali, tutte diverse perché

ciascuno la indossa a modo suo e ci aggiunge un tocco peculiare: un golfetto annodato,

gli scaldamuscoli lasciati molli sulle caviglie, certi buffi stivalotti grossi e soffi ci come doposci

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che hanno l’aria di essere comodissimi. Non si può fare a meno di seguirli con sguardo

incantato, mentre salgono e scendono – dove vanno? – e si salutano, e ogni tanto

da qualche parte si apre una porta ed esce una nuvola di musica che li inghiotte.

I bambini della propedeutica (in tutto sono circa duecento, dai sei ai dieci anni) imparano

presto i passaggi segreti della scuola, quelli preclusi agli adulti, che non possono spingersi

più in là della sorvegliatissima portineria. Cominciano a salire e scendere anche loro,

avvolti nelle tute bianche con il ricamo rosso e grigio sul cuore a ripararli dalle correnti.

Sotto c’è una rigorosa tutina bianca per le bambine, maglietta bianca e calzoncini blu

per i bambini; infi ne calzine corte bianche e scarpette di tela bianca, che spesso verranno

tolte per lasciar più liberi i piedi. Le bambine piccole devono essere pettinate con due piccoli

chignon alti; è una cerimonia complicata, che richiede l’uso di un mucchio di forcine,

il possesso di reticelle ed elastici e spazzole e pettini, e ogni tanto una cipollina crolla

a metà lezione quando all’inizio le mamme non sono ancora diventate esperte;

molte preferiscono lasciar fare alle assistenti, le ragazze che sorvegliano i bambini

negli spogliatoi e danno loro una mano a domare bottoni e cerniere. E poi si va, tutti in fi la,

in silenzio, senza correre, su per le scale oppure nella sala da ballo grande a piano terra,

dall’altra parte del cortile acciottolato che regala uno scorcio di come Milano doveva essere

una volta, tanto tempo fa. Si entra, si saluta l’insegnante: e si comincia.

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“A me piace la pettinatura con le cipolline che ci fanno”. Rebecca

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“Mia mamma aveva questo desiderio di fare danza, ma non ha fatto danza perché sua mamma, cioè mia nonna, era contraria. Lei invece mi ha chiesto se io volevo e io ho detto di sì e mi è piaciuto”. Sofi a