I 10 articoli più letti del blog Decrescita Felice e Rivoluzione Umana
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i 10 articoli più letti del blog Decrescita Felice e Rivoluzione Umana
2010-2013
Luca Madiai
Segue la pubblicazione dei dieci articoli più letti
del blog Decrescita Felice e Rivoluzione Umana
dal 2010 al 2013.
Ringrazio tutti i lettori e tutti i collaboratori che
mi hanno sostenuto in questo periodo.
Continuate a seguirmi e a contribuire con le
vostre riflessioni.
Grazie
Luca Madiai
Maggio 2013
Blog: http://creazionedivalore.blogspot.it/
Sito web: http://www.lucamadiai.it/
I10 articoli più letti del blog Decrescita Felice e Rivoluzione Umana
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La termodinamica come fondamento: l'avevamo
dimenticata
7 febbraio 2011
La termodinamica è quel ramo della fisica che descrive le
trasformazioni di un sistema in termini di materia ed energia.
Non voglio addentrarmi nei dettagli, ma ritengo che la
termodinamica e in particolare i due principi siano basilari e
che la loro conoscenza e approfondimento sia d’obbligo anche
per campi diversi da quelli tecnici. I principi della
termodinamica dovrebbero essere alla base della politica,
dell’economia e persino della filosofia e della religione.
Dovrebbero gettare le basi teoriche di ogni azione o progetto
1
4
che riguarda lo sfruttamento delle risorse e dell’energia. Per di
più dovrebbero essere insegnati fin dalla scuola elementare in
forma semplificata, trasmettendo il loro significato profondo.
Il primo principio della termodinamica non dice altro che
l’energia non può essere creata o distrutta, ma solo convertita
da una forma ad un’altra. È chiamato anche principio della
conservazione dell’energia. Tutti lo conosciamo, ma forse mai
lo abbiamo utilizzato come principio fondamentale alla base
delle nostre scelte.
Si tratta di un bilancio energetico che si deve mantenere
invariato perché nulla può apparire o sparire d’incanto. Se
questo principio fosse il fondamento del nostro progresso
forse avremo meno sprechi e più attenzione per le nostre
azioni. Se le nostre risorse (sia energetiche che materiali) non
possono essere né create né distrutte questo significa che
sono limitate, numerabili, finite. È un principio banale se
vogliamo. Anche a un bambino di sette anni si può insegnare
che se in un paniere ci sono 5 mele e la famiglia è composta di
5 persone non potrà mai spettare più di una mela a testa. Sarà
logico, sarà scontato, ma è spesso ignorato.
Il secondo principio è forse meno logico e meno popolare.
Tutti sanno che l’energia non può essere né creata né
distrutta, ma pochi sanno che l’energia nelle sue
trasformazioni si deteriora sempre più. Questo è quello che
afferma il secondo principio della termodinamica, che
introduce una nuova variabile fisica: l’entropia. L’entropia è
I10 articoli più letti del blog Decrescita Felice e Rivoluzione Umana
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una grandezza che valuta il disordine di un sistema
macroscopico, più grande è l’entropia più grande è il disordine
nel sistema. Il deterioramento dell’energia è proprio dovuto
all’aumento dell’entropia del sistema (considerato isolato) e
cioè all’aumento del disordine. Secondo l’enunciato di Kelvin-
Planck, è “impossibile realizzare una trasformazione ciclica il
cui unico risultato sia la trasformazione in lavoro di tutto il
calore assorbito da una sorgente omogenea”. Questo significa
che nel passaggio da energia sottoforma di calore (calore
caldaia) a lavoro (energia meccanica) il bilancio non è
paritario, ma una certa quantità di calore deve essere dispersa
affinché il ciclo si possa ripetere. Inoltre a causa delle
irreversibilità (attriti, viscosità, anelasticità) alla fine dei conti il
sistema che ha subito la trasformazione ha un’entropia
maggiore del primo, quindi l’entropia a differenza dell’energia
non si conserva. La perdita di qualità dell’energia è inevitabile
in caso di trasformazioni reali. Infatti, un altro modo di
enunciare il secondo principio è quello di affermare che
l’entropia di un sistema isolato non diminuisce mai.
Nell’universo, visto come ambiente onnicomprensivo,
l’entropia aumenta costantemente, il disordine cresce grazie
alle trasformazioni che non sono reversibili.
I due principi della termodinamica pongono dei limiti fisici al
nostro mondo, al nostro sviluppo, al nostro modo di pensare il
futuro. L’energia che utilizziamo ogni giorno non solo è
limitata ma si deteriora in continuazione. Ogni nostro
movimento ha un impatto sul nostro ambiente, soltanto il
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fatto di esistere ha di per sé un impatto con il nostro esterno.
Per questo dobbiamo parlare di equilibrio e non di impatto
zero. Allo stesso modo le cosiddette e celebri energie
rinnovabili, pur non emettendo inquinanti nell’aria, possono
avere un enorme impatto ambientale, si tratta solo di
calcolarne gli effetti e i benefici e di trovare il giusto
compromesso.
Il vero problema è che la nostra economia e politica ha
completamente ignorato le leggi della termodinamica,
fermandosi alla meccanica di Newton. Il primo passo per
migliorare le nostre condizioni per il futuro sarà quello di
riformare le fondamenta dell’economia riconoscendo come
punto di partenza i principi di conservazione dell’energia e
dell’aumento dell’entropia.
Guido Dalla Casa afferma: «Non si tratta di un problema di
esaurimento di risorse, ma dell’impossibilità di persistenza di
un sistema come quello economico di produrre-vendere-
consumare all’interno della Biosfera, che è un sistema
complesso che funziona in modo stazionario lontano
dall’equilibrio termodinamico, cioè in sostanza si comporta
come un singolo organismo vivente».
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Una vincente strategia energetica Dalle energie rinnovabili alla sobrietà
6 febbraio 2011
«Il modo in cui la crisi energetica può essere sconfitta nei paesi
ricchi è quello di fare cadere l'illusione che il benessere dipende
da un consumo di energia sempre crescente»
Nicola Armaroli, Vincenzo Balzani
La sfida energetica oggi è un grande tema, possiamo sentire la
gente parlarne in qualsiasi luogo e in qualsiasi momento. In
particolare, ogni giorno sentiamo alcune notizie sullo sviluppo
delle energie rinnovabili, una corsa veloce verso l'espansione
della green economy. Anche se questo è decisamente
auspicabile, i metodi e le finalità di questa corsa frenetica non
sono, a mio avviso, quelle giuste. L'obiettivo principale è solo
sulla crescita annuale della capacità installata di energie
rinnovabili e i profitti attesi principalmente di grandi interessi
commerciali e per gli impianti di potenza altrettanto grandi. La
speculazione è il vero obiettivo, i grandi profitti, non altro.
L'efficienza energetica, l'utilità reale e la producibilità di tali
progetti sono di secondaria importanza.
2
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Ad ogni modo, invece di discutere ulteriormente le ragioni
delle mie opinioni, preferisco, e i lettori mi perdoneranno,
passare direttamente alla proposta di un’alternativa per
affrontare l'attuale crisi energetica ed ambientale,
mutualmente correlate con la crisi economica e sociale. La mia
proposta si può riassumere in un semplice diagramma,
riportato in figura 1, che si basa su quattro punti
fondamentali, dalle fonti di energia al consumo di energia. Essi
sono: le risorse energetiche rinnovabili, l’efficienza di
conversione, la riduzione dei rifiuti e la sobrietà.
Figura 1
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Il tipo di fonte di energia alla base della nostra società è una
scelta cruciale per la sua stabilità, equità e benessere, tre
condizioni essenziali per un futuro di pace e felicità in tutto il
nostro pianeta. La valorizzazione delle risorse rinnovabili è
sicuramente una saggia decisione: non emettono inquinanti e
anidride carbonica *, sono più o meno uniformemente diffuse
ovunque, usano le risorse naturali e possono essere
implementate in piccoli impianti collegati a livello locale per
uso diretto. Qualsiasi tipo di risorsa rinnovabile** può essere
sviluppata per massimizzare il suo contributo, senza
dimenticare il relativo impatto ambientale. Centrali elettriche
troppo grandi devono essere evitate in quanto sono
principalmente operazione di speculazione, hanno un enorme
impatto ambientale e sono controllate da pochi enti. Smart
grid locali saranno create con l'obiettivo di scambiare energia
fra i vicini di casa e raggiungere la massima efficienza
attraverso sofisticati sistemi di controllo elettronici. Oltre ai
costi ancora piuttosto elevati e il loro relativo impatto
sull'ambiente, le energie rinnovabili hanno due problemi
principali: 1) una bassa densità di energia e 2) una produzione
discontinua e non del tutto prevedibile (tranne che per la
biomassa e, in alcuni casi, l'energia idroelettrica). Il primo
punto sarà discusso più avanti. Al fine di compensare la
discontinuità, le energie rinnovabili possono essere
trasformate in altri tipi di energia: un esempio è la produzione
di idrogeno che può alimentare celle a combustibile, motori a
combustione o addirittura potrebbero essere utilizzati, in un
10
futuro non troppo lontano, per alimentare piccoli reattore a
fusione nucleare fredda.
Le fonti rinnovabili sono fondamentali, ma da sole non sono
sufficienti a creare un sistema energetico vincente al fine di
superare la triplice crisi: ambientale, crisi economica e sociale.
Esse sono solo il primo passo del nostro cammino, dobbiamo
andare avanti. «Il flusso sterminato di energia solare e
l’ingegno umano non basteranno da soli a salvarci dalla crisi
energetica, climatica e ambientale. La transizione energetica
richiede un cambiamento radicale di mentalità, stili di vita e
pratiche consolidate. Quello che serve è n’iniezione
consistente di sobrietà, buon senso e lungimiranza»[2].
Proseguendo nel nostro diagramma, ogni trasformazione di
energia comporta inevitabilmente perdite di energia di tipo
diverso. L'efficienza di conversione energetica stima quanto è
buona una trasformazione: le perdite possono essere
diminuite ma non potranno mai essere zero, come indicato
dalla seconda legge della termodinamica. Quindi, migliorare
l'efficienza energetica è il secondo passo. La tecnologia
moderna ed avanzata permette di ridurre le perdite e di
progettare nuovi sistemi molto più efficienti e rispettosi
dell'ambiente, mentre continua a garantire gli stessi risultati
se non migliori. Un esempio sono le lampade a basso consumo
che illuminano meglio consumando molto meno. Le
trasformazioni di energia consentono alle fonti di energia
naturale di essere convertite in energia utilizzabile dall’uomo
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(calore, energia elettrica, combustibili ...) e la riduzione
dell’energia disponibile in ingresso a quella utile è descritta
dall'efficienza di conversione energetica.
Ci sono principalmente due limitazioni al miglioramento
dell'efficienza energetica di conversione. Uno ha ragioni
empiriche, poiché è sostenuto dalle leggi della termodinamica.
Le leggi della termodinamica sono di straordinaria importanza.
«Dovrebbero essere una parte fondamentale del nostro
background culturale, come l'alfabeto, le tabelline, la
Costituzione e la Divina Commedia», come affermato da
Armaroli e Balzani [2], dovrebbe essere insegnate dalla scuola
primaria e persino nelle facoltà umanistiche. La prima legge
dice che in un sistema isolato non può essere creata l'energia:
l'energia di un sistema isolato è sempre la stessa. Se
consideriamo l’Universo, l'energia può essere solo
trasformata. Ciò significa che l'energia dell'Universo, anche se
enorme, è una quantità limitata. La seconda legge afferma che
l'energia nella sua continua trasformazione si deteriora
inesorabilmente. Questo è il motivo per cui ogni
trasformazione è sempre in relazione con una dissipazione
termica di energia, con una crescita di disordine (entropia) e
perché l'efficienza di conversione non potrà mai essere la
migliore. Pertanto, l'energia nelle sue trasformazioni conserva
la sua quantità, ma non la sua qualità.
L'altro limite al miglioramento dell'efficienza di conversione è
il paradosso di Jevons, secondo cui una maggiore efficienza
12
può portare ad un uso crescente delle risorse, invece di una
loro diminuzione. Ciò è dovuto in parte alla riduzione dei costi
e in parte ad una terribile cultura di non-limiti alle nostre
esigenze materiali.
Questi limiti al miglioramento della conversione di energia non
deve scoraggiare la ricerca e sviluppo di nuove tecnologie e
soluzioni, ma deve renderci consapevoli che la scienza e la
tecnologia non possono risolvere tutti i problemi che abbiamo
creato e che un ulteriore passo in avanti sia strettamente
necessario.
Questi primi due punti, le energie rinnovabili e l'efficienza di
conversione, sono sicuramente importanti, ma gli ultimi due lo
sono decisamente di più. Anche se riuscissimo a utilizzare
100% energie rinnovabili per soddisfare i nostri bisogni
energetici e l'efficienza di conversione fosse molto alto, non
potremmo comunque affermare di aver superato l’attuale
sfida energetica e ambientale. Questi ultimi punti sono
fondamentali, e purtroppo oggi sono quasi completamente
ignorati.
Andando avanti nel nostro cammino dopo aver ottenuto
energia utile abbiamo due scelte possibili: una è usare
l’energia, l’altra è sprecarla. Spreco si riferisce all’energia che
fa un lavoro effettivo, ma che non è utile a nessuno. Per
chiarire meglio con un semplice esempio, è una stanza vuota
con la luce accesa. Naturalmente nessuno può beneficiare
della luce, quindi l'energia utile per l'illuminazione di questa
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stanza è completamente sprecata. So che può essere ovvio e
banale, ma dato che in pratica questo non viene mai preso in
considerazione, ho buone ragioni per credere che non è così
ovvio e banale affatto. In ogni caso, è una conseguenza
evidente che ridurre o addirittura eliminare lo spreco di
energia non diminuisce o compromettere i nostri benefici, non
c'è alcuna influenza sul comfort né sul benessere, è sufficiente
un sapiente uso di energia, questo è tutto.
Al fine di ridurre lo spreco di energia si può agire sia
tecnicamente che culturalmente, con un forte sostegno di
riforme politiche. Un grande insieme di tecnologie vecchie e
nuove, semplici e sofisticate, economiche e costose possono
essere applicate per risparmiare energia eliminando gli sprechi
in diversi settori: edilizia, distribuzione di energia, trasporti,
illuminazione pubblica e privata, i processi industriali,
l'agricoltura e così via. D'altra parte, agendo per il
cambiamento culturale della gente molto lavoro può essere
fatto nella direzione della riduzione dei rifiuti: l'educazione e
la consapevolezza delle persone del ruolo dell'energia nella
nostra vita, la sua importanza e l'impatto sulla società
dovrebbero essere uno dei primi punti in tutti i programmi
culturali ed educativi, oltre all'insegnamento delle leggi della
termodinamica e della loro filosofia.
Tornando al nostro diagramma (figura 1), ci rendiamo conto
che anche l'energia utile che viene effettivamente utilizzata
può essere utilizzata in due modi principali: consciamente o
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inconsciamente. Non è solo una questione di inquinamento
che è strettamente connesso alle conversioni di energia
oppure dell’instabilità politica internazionale legata alla
fornitura di risorse energetiche primarie sempre più scarse e
alle problematiche economiche che ne conseguono. E' stato
mostrato in differenti occasioni che il consumo di energia pro
capite non è un parametro affidabile per valutare la qualità
della vita in un paese affluente. «Diversi studi dimostrano che
le persone che vivono in paesi con elevato consumo di energia
sono spesso meno felici rispetto alle persone che vivono in
paesi con utilizzo di energia inferiore» [1]. Ciò significa che c'è
un limite, più o meno definito, oltre il quale non ci sono
miglioramenti sostanziali sulla qualità della vita: surplus di
energia e di ricchezza portano a disagi sempre più gravi
nonché a infelicità diffusa e disgregazione sociale. Dovremmo
liberarci dall'illusione che “più” e “nuovo” è sempre meglio,
che i limiti nella nostra vita terrena non esistano e che il
nostro benessere e la nostra felicità siano legati solo al
soddisfacimento dei nostri bisogni materiali. In una parola,
dobbiamo prendere confidenza con una vecchia parola oggi,
non molto di moda: la sobrietà. La sobrietà come stile di vita,
la sobrietà come filosofia di vita e sobrietà come nuovo
paradigma dello sviluppo umano e della ricerca della felicità.
La sobrietà è lo slogan che include la consapevolezza
individuale che l'eccesso è fisicamente e socialmente dannoso,
mentre la giusta quantità ha a che fare con la saggezza,
l'autocontrollo e il rispetto, non con la rinuncia o i sacrifici.
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Quando prendiamo l'auto per fare pochi metri in città, non
stiamo usando l'energia consapevolmente. Lo stesso quando si
consuma acqua in bottiglie di plastica, o quando teniamo la
nostra casa molto calda in inverno e fredda in estate. In
ognuno di questi casi, non siamo consapevoli dell'impatto
delle nostre azioni quotidiane e non ci rendiamo conto di
come l'energia sia preziosa.
Dopo tutto, la sobrietà è il rispetto dei limiti, significa pensare
la vita a misura d'uomo, perseguendo la dose corretta, non
l'eccesso, né la scarsità, ma il giusto equilibrio, la via di mezzo.
Significa scegliere di prendere le scale piuttosto che prendere
l'ascensore. Significa scegliere di andare in bicicletta invece
che in moto o prendere un tram invece dell'auto. In ultima
analisi, significa evitare l'uso di molti degli schiavi energetici
che assistono le nostre vite, e che non sempre rendono
migliori.
Al fine di avere un nuovo indicatore per valutare la gestione
dell'energia, dalla fonte primaria all'uso finale, si può definire
un nuovo parametro denominato coefficiente di sobrietà
energetica ESC. Tale parametro è definito come il rapporto tra
l'energia primaria disponibile in un sistema e l'energia
corrispondente utilizzata consapevolmente come indicato in
figura 1:
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Il coefficiente di sobrietà energetica è definita come un
coefficiente di efficienza, poiché descrive come una risorsa
energetica viene utilizzata. Si tratta di un rapporto tra la
produzione e la quantità di input, esso rappresenta lo spreco
di energia durante l'intero processo. L'efficienza di
conversione energetica non potrà mai essere massimizzata
come abbiamo visto in precedenza, avremo sempre una
perdita di energia. In ogni caso questo approccio cerca di
massimizzare un altro importante parametro: l'efficacia, che
misura la capacità di un sistema di raggiungere un obiettivo o
di soddisfare un bisogno. E' calcolato come rapporto tra il
risultato effettivo e l’obiettivo che si voleva raggiungere. Dal
momento che cerchiamo di evitare ogni spreco di energia e la
usiamo solo in modo consapevole riusciamo a massimizzare
l'efficacia, poiché soddisfiamo il nostro bisogno
completamente.
Abbiamo già detto che uno dei maggiori svantaggi delle
energie rinnovabili è la loro bassa densità energetica in
termini di superficie occupata. L'unico modo davvero
soddisfacente per compensare tale svantaggio è quello di
adottare una politica di sobrietà energetica insieme ad un
mutamento di stile di vita e un profondo cambiamento del
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modo di pensare la vita stessa. A mio parere, queste scelte
potrebbero seriamente condurre la nostra società a
raggiungere l'obiettivo agognato del 100% di energia
rinnovabile per la produzione di energia elettrica. Tale
obiettivo potrebbe essere raggiunto in un tempo
relativamente breve.
L'importanza di questi temi è unica e sta crescendo con
l’intensificazione della triplice crisi negli ultimi anni. Oltre alla
sfida energetica, un'altra sfida imminente è sicuramente legati
all'economia globale. Ora dovrebbe essere evidente a tutti che
una economia basata sul consumismo e la crescita illimitata in
un mondo sensibile e limitato non ha nulla a che fare con la
saggezza e la coscienza. Tale sistema è destinato a crollare su
se stesso. Dobbiamo affrettarci a sostituirlo con un'alternativa
sostenibile. Poiché l'energia è la base di tutte le attività umane
e naturali, una strategia energetica vincente è strettamente
necessaria.
* Tranne che per la biomassa che emette inquinanti e CO2. In
ogni caso il CO2 non è di origine fossile e può essere assorbito
dalle piante, senza compromettere l'equilibrio dell'atmosfera
terrestre
** E 'importante sottolineare che il recupero di energia dalla
combustione dei rifiuti inorganici, non deve essere
considerato una fonte di energia rinnovabile. Le fonti di
energia che seguono possono essere classificati come
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rinnovabili: sole, vento, geotermia, biomassa, idroelettrica,
marina.
[1] Armaroli, Balzani – Energy for a sustainable world – Wiley
[2] Armaroli, Balzani – Energia per l’astronave Terra –
Zanichelli
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Fine del mondo nel 2011 o 2012 ? o 20...?
8 gennaio 2011
Apprendo adesso che Gesù tornerà sulla Terra il 21 maggio del
2011. Tutti a discuterne, tutti a parlare della tanto celebre
apocalisse e del cosiddetto giorno del giudizio. Non solo la
Bibbia, ma anche il calendario Maya parla di catastrofi e fine
del mondo, addirittura vengono fornite date precise e la gente
pare esserne tanto affascinata. Fanno piacere forse delle
"verità scoop", perché i media così ci hanno tirato su. Ma
dov'é la verità? Quella "vera".
La verità é che a nessuno interessa "la vera verità". La verità é
che la fine del mondo, o meglio la fine della nostra vita come
3
20
esseri umani su questo pianeta, la nostra esistenza serena, la
nostra sopravvivenza come specie vivente e quella di tante
altre specie, é ormai a rischio da decenni. Si può infatti far
partire dagli anni sessanta circa la devastazione del pianeta e il
degrado umano dovuti a un intenso sfruttamento delle risorse
naturali senza alcun criterio di limitazione o di controllo, a una
terrificante fiducia ossessiva nel potere del progresso
scientifico e tecnologico di dominare la vita e rendere migliore
la nostra esistenza, all'agghiacciante macchina del capitalismo
e della globalizzazione che livella ogni differenza per l'avanzata
della crescita e del denaro. L'umanità guarda questo
fenomeno complesso, dal Nord opulento e grasso al Sud
malconcio e inaridito, due parti di una macchina divoratrice di
vite, di stabilità, di felicità, di solidarietà.
Invece di fantasticare e di ammaliare milioni di persone con
storielle leggendarie dovremmo aprire gli occhi su questa
cruda realtà e alzarci da soli come singoli individui, come
singole entità fondamentali di un vasto universo in continua
evoluzione.
Quello di cui abbiamo bisogno é riscoprire la nostra umanità
ripartendo dalle cose piú semplici che esistano in questo
mondo, resettando i nostri cervelli plagiati, andando
all'origine, alla radice profonda del nostro "essere" umani, la
nostra stessa umanità, la nostra stessa vita come
interrelazione con il nostro ambiente vitale.
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Se dovessi fare una premonizione "fantascientifica" allora io
direi che tra qualche anno (e se volete una data direi il 21
ottobre del 2020) le persone di tutto il mondo si
risveglieranno per la prima volta nella loro vita e si renderanno
conto del senso della loro esistenza e del loro immenso
potenziale in quanto parte di un'unica immensa entità vitale
che flussa dall'infinito passato. Tutti assieme lo stesso giorno si
alzeranno e realizzeranno così il migliore dei mondi possibili,
un mondo in cui tutti siano a loro agio, in cui la gioia e la
compassione trapelino da ogni cosa e la dignità della vita sia
preservata in eterno. Non sarei forse tanto fantascientifico
quanto gli altri premonitori??
Non avverrà oggi, non avverrà domani, non avverrà neanche
in una data precisa tra vent'anni o più, ma sono
profondamente convinto che una rivoluzione dell'umanità
(una rivoluzione umana appunto) é inevitabile quanto
auspicabile. Avverrà perché lo vorremo, avverrà perché lo
abbiamo già deciso, avverrà perché l'abbiamo già iniziata.
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La teoria del valore
16 maggio 2011
Spesso diciamo che la nostra società ha perso i valori
fondamentali, o che si basa su valori fittizi, materiali, come il
denaro, la fama, il potere, il riconoscimento sociale. Nessuno
insegna più quale sia il senso e lo scopo della nostra vita su
questa Terra. L’imperativo predominante è quello di creare
ricchezza monetaria, crearsi una posizione di prestigio nella
comunità, acquistare importanza, e sempre più frequente tutti
i mezzi per raggiungere questi scopi diventano leciti. Nessuno
crede più di poter conciliare le proprie ambizioni con quelle
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degli altri e la legge del più forte stabilisce chi ha ragione e chi
ha torto.
Tuttavia esistono altre vie per realizzare la propria vita,
sebbene non siano insegnate in nessuna scuola. Esiste la
cosiddetta Teoria del valore [3] dell’educatore giapponese
Tsunesaburo Makiguchi (1871-1944), la quale afferma che lo
scopo della nostra esistenza sta nella creazione del valore, per
noi e per la società intera. Il concetto di creazione di valore
comprende il termine creare, ovvero un’azione attiva e
creativa, e il termine valore che consiste di tre elementi:
bellezza bene e guadagno.
Secondo Makiguchi la realtà (o verità), se pure possa essere
osservata sotto infiniti punti di vista, è unica e non può essere
creata né cambiata dall’azione dell’uomo, la realtà e ciò che è.
Il valore invece può essere creato allo scopo di modificare la
relazione tra l’oggetto esterno e l’uomo, in quanto connota un
rapporto soggetto-oggetto. Il modo per creare valore è quello
di interagire con la natura e con la realtà in modo da creare un
ordine nuovo che produce un beneficio sostanziale per la
società intera.
La bellezza si riferisce alla risposta sensoriale del singolo
individuo all’ambiente esterno e riguarda solo una parte della
sua vita.
Il guadagno invece è riferito alla totalità della vita
dell’individuo e consiste nella relazione tra l’individuo e
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l’oggetto. Tale relazione contribuisce allo sviluppo e al
mantenimento della sua vita.
Il bene è un valore sociale, una relazione tra soggetto-
oggetto che arreca sostegno e beneficio alla società intera.
In opposizione a bellezza, guadagno e bene ci sono bruttezza,
perdita e male e sono indicativi di ogni relazione considerata
nociva al mantenimento della vita (la creazione di disvalore).
Makiguchi crede che lo scopo dell’educazione sia quella di
insegnare la distinzione tra valore e verità e tra bellezza,
guadagno e bene in modo da armonizzare queste componenti
nelle relazioni (pensieri, parole e azioni) che creiamo nella
nostra vita.
Questa teoria del valore, include il concetto di felicità e
benessere che andavamo cercando, e non soltanto parla della
felicità del singolo, ma comprende, e ne fa condizione
necessaria, anche l’impegno e il desiderio per la felicità altrui.
Tutto questo è visto in un’ottica del singolo individuo che si
attiva, che prende coscienza e agisce per il proprio e l’altrui
bene.
«La vera felicità viene unicamente dal condividere gioie e
dolori con gli altri e con la nostra comunità. È essenziale
dunque che il vero concetto di felicità racchiuda in sé il senso
di una partecipazione attiva alla vita sociale» (Makiguchi,
Educazione per una vita creativa, Rivista Duemilauno n. 28).
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Elogio della Bicicletta
9 marzo 2011
Amo la bicicletta
perché scorre silenziosa
e mi accompagna nei pensieri
Amo la bicicletta
perché l’aria fresca
a contatto con la pelle
mi ricorda che sto viaggiando
Amo la bicicletta
perché sono io che la muovo
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Amo la bicicletta
perché necessita di poco spazio
e non ho costi da sostenere
Amo la bicicletta
perché nell’andare per le strade
posso soffermarmi a guardare attorno
Amo la bicicletta
perché la sua velocità
è sostenuta ma non eccessiva
Amo la bicicletta
perché saluto le persone che incontro
Amo la bicicletta
perché non uccido
con gas tossici e incidenti pericolosi
Amo la bicicletta
perché mi mantengo in forma fisica
Amo la bicicletta
perché non distrugge la vita
ma la sostiene
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Che cos'è la sobrietà?
8 febbraio 2012
«Non potrai mai avere abbastanza di ciò che non serve per
essere felice» Eric Hoffer
La sobrietà nasce dalla consapevolezza che la nostra felicità, la
nostra realizzazione come individui e il nostro benessere non
dipendono esclusivamente dalle condizioni esterne né dalle
conquiste materiali, che esistono limiti fisici che dobbiamo
riconoscere e che dobbiamo utilizzare per vivere serenamente
e in armonia con noi stessi, gli altri e l’ambiente.
La sobrietà poggia quindi su due principali consapevolezze: il
senso del limite e il senso della possibilità.
6
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I limiti fisici della nostra vita sono evidenti e inevitabili. Il
primo fra tutti è la durata stessa della vita e perciò la morte.
Altri limiti palesi si possono individuare osservando tutti gli
eccessi della società dell’abbondanza: l’obesità, il traffico,
l’inquinamento, l’alcolismo, lo spreco, i divari sociali e oltre.
Da ciò, la nostra felicità e il nostro benessere ad esempio non
crescono all’infinito con l’aumento del consumo di energia (e
quindi con il crescere degli schiavi energetici al nostro
servizio). Esistono limiti più o meno delineabili (Armaroli e
Balzani suggeriscono 100 GJ/anno procapite* [1]) e
certamente non rigidi, superati i quali la nostra felicità e il
nostro benessere non crescono più, piuttosto cominciano a
diminuire. Lo stesso vale per il reddito: esiste un limite
oltrepassato il quale non si hanno più ulteriori benefici, e si
arriva a un punto in cui i benefici vengono superati dai disagi.
Il senso del limite è bilanciato, in supporto e non in contrasto,
dal senso della possibilità che invece si riferisce alla
potenzialità umana (questa volta veramente illimitata) di
creare un’alternativa, un’occasione, in altre parole di creare
valore nella propria vita. Il potenziale umano riflette il potere
racchiuso nella vita universale, quell’energia che permea
l’intero universo e si manifesta in ogni fenomeno. Schiudere
questo potenziale significa aprire la propria vita, attraverso
una riforma interiore, che chiamiamo rivoluzione umana, e
rivelare la propria natura originaria pura e illuminata, eterna.
Questo processo, che è attivato individualmente, si
concretizza servendosi di tre canali relazionali: il canale
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spirituale, quindi la relazione con se stessi, il canale delle
relazioni propriamente dette, quindi le relazioni umane, e il
canale delle relazioni con il proprio ambiente fisico. Per creare
valore nella propria vita si devono mettere cause (pensieri,
parole e azioni) allo scopo di armonizzare e curare queste tre
relazioni fondamentali. Le relazioni diventano bisogni primari
da soddisfare per realizzare appieno la propria felicità e il
proprio benessere e condurre la società intera verso la
stabilità, la libertà e la pace.
*«che rappresentano meno della metà dell’attuale consumo
medio nel mondo occidentale»
[1] Energia per l’astronave Terra – Armaroli, Balzani –
Zanichelli editore
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La "decrescita" fa paura ?! Proviamo a conoscerla 7 gennaio 2013
Si comincia a parlare sempre più di decrescita, o meglio dei
temi che la riguardano, spesso inconsapevolmente. Sì, perché
il solo proferire la parole decrescita incute terrore, mette
tristezza, ci fa cadere in depressione, perciò preferiamo
evitarla e difficilmente associamo a questo termine connotati
positivi, quanto meno di miglioramento. Si può parlare di
critica al consumismo, di risparmio energetico, di efficienza
energetica, di abbattimento degli sprechi, di orti urbani, di
riciclaggio e di rifiuti zero, di ritorno alla campagna, di
agricoltura biologica, di cibi salutari e a chilometro zero, di
relazioni umane, di cohousing, di recupero della tradizione e
del saper fare, di artigianato e di ritorno al piccolo e al locale,
ma davvero difficilmente ci rendiamo conto che tutto questo
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fa parte di un cambiamento epocale che stravolgerà il nostro
modo di vedere la vita.
Ebbene allora, se in fondo in fondo i contenuti sono questi,
perché attaccarsi tanto alle parole ? perché non trovare un
altro termine, magari più allegro e ottimista per descrivere
questo fenomeno ? Forse qualcosa del tipo sviluppo
sostenibile o equo-solidale potrebbe fare all’occasione ? O
magari usare termini come bio o green che vanno tanto in
voga adesso ?
Indubbiamente non c’è alcun bisogno di attaccarsi alle parole,
tanto meno ai significanti, qualunque siano. Ad ogni modo,
credo che ad oggi l’uso del termine decrescita sia
fondamentale, per non osar dire indispensabile; ed occorre
inoltre aggiungere una precisazione. Il Movimento per la
Decrescita Felice ha aggiunto allo sventurato
termine decrescita l’aggettivo felice, e a una prima e rapida
valutazione, a cui siamo tutti abituati oggi, pare che il “felice”
sia stato aggiunto intelligentemente, con una gran mossa di
prestigioso marketing, proprio per risollevare la sciagurata
“decrescita”, tanto che viene da chiedersi se effettivamente
non si tratti di una figura retorica tipo ossimoro, che abbina
due termini in contrapposizione tra loro. Come può la
decrescita essere felice, viene da chiedersi immediatamente.
Ecco allora l’importanza cruciale dell’uso di questa
espressione: non semplicemente decrescita, ma decrescita
felice, ed i motivi sono sostanzialmente due.
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Il primo motivo è proprio intrinseco al termine
stesso: decrescita. Il cambiamento epocale che abbiamo
davanti richiede una profonda rivoluzione culturale, uno
stravolgimento del nostro modo di pensare, della nostra
visione del mondo, dei valori in cui crediamo fermamente.
Prendere confidenza col termine decrescita, fino ad arrivare a
farci amicizia e a farlo proprio, significa comprendere
profondamente le ragioni di questo cambiamento, significa
farle proprie, significa manifestare la consapevolezza interiore
necessaria a realizzare un mondo realmente sostenibile, sotto
tutti i punti di vista, che si tratti di economia, di ambiente o di
società. Comprendere la decrescita è il primo passo per
liberarsi dalla folle rincorsa alla crescita eterna, al progresso
senza limiti che degrada l’ambiente e l’uomo, alla crudele
logica del profitto e della mercificazione della vita. La semplice
parola decrescita ci aiuta a decolonizzare il nostro
immaginario, perché ci costringe semanticamente a ragionare
in modo diverso, in un modo in cui non siamo mai stati
abituati, a mettere in discussione tutto ciò su cui abbiamo
creduto finora, per poter riuscire a costruire una nuova
cultura: una cultura della Via di Mezzo, una cultura del buon
senso, una cultura del sostegno alla vita. Se volessimo
intraprendere una nuova strada, in parte lo stiamo già facendo
soprattutto perché spinti da forze esterne, lo potremmo
certamente fare senza aggrapparci alla parola decrescita, ma
credo che facendo così rischieremmo di non compiere quel
cambiamento culturale che è strettamente necessario, ancor
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più dell’effettivo cambiamento nei comportamenti e nelle
azioni. La decrescita, questa parola così triste e così scomoda
per la nostra mentalità, ha una forza dilaniante proprio perché
mina le basi culturali che hanno creato il degrado ambientale
e umano che stiamo attraversando negli ultimi decenni di
enorme sviluppo economico. Costruire una nuova società
senza prendere in considerazione questo, significa creare un
cambiamento illusorio che potrebbe portare a peggiorare le
cose anziché a migliorarle.
Il secondo motivo riguarda proprio l’aggettivo felice, che non
è, come è facile pensare, una mera decorazione che ha lo
scopo di rendere meno triste la parola decrescita. Tutt’altro, è
un aggettivo essenziale alla corretta interpretazione del
concetto racchiuso nell’espressione decrescita felice. La
decrescita infatti non solo è un fenomeno che accade in
natura spontaneamente, ma come tutte le cose di questo
mondo può avere delle accezioni con connotati più positivi e
altre con connotati più negativi. La decrescita può essere, di
fatto, sia felice che infelice e questo è bene sottolinearlo con
vigore. In termini economici una decrescita infelice può essere
considerata una recessione che provoca sofferenza e disagi
per un gran numero di persone, come ad esempio, la nostra
crisi attuale – quella di un sistema che pur volendo crescere, di
fatto decresce – ma la decrescita potrebbe essere
anche felice se ciò che decresce induce benefici e benessere
per tutti: una decrescita saggia perché intenzionale. Perciò
parlare di decrescita non basta, occorre anche specificare che
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si tratta di una decrescita felice, proprio perché cambiando il
nostro modo di vedere il mondo, non più offuscato dalla
crescita a tutti i costi, la società ne risulterà migliorata nel suo
insieme.
Perciò, non ci spaventiamo davanti al termine decrescita, non
ci rattristiamo nemmeno. Prendiamoci confidenza, proviamo a
farci amicizia e scopriremo che esiste un nuovo mondo da
creare che ci sta aspettando, e che è possibile crederci già
adesso.
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Essere incompresi nell’era dell’abbondanza 21 maggio 2012
Molti dei miei amici che mi vedono andare in bicicletta tutti i
giorni pensano che lo faccia puramente per un fattore
ecologico, altri pensano che io sia un gran spilorcio che vuole
risparmiare su qualsiasi cosa faccia, o che sia una sorta di
santone che auspica un ritorno all’età della pietra, alla
clausura e all’austerità monastica. Credo che addirittura alcuni
pensino che uso la bicicletta perché le mie condizioni
economiche non possano permettermi di meglio. La bicicletta
è comunque vista come qualcosa di arretrato e inferiore,
soltanto perché è tecnologicamente più semplice e
antecedente dei mezzi motorizzati, ma non per questo è meno
efficiente ed efficace, anzi. Pochissimi riescono a capire cosa
c’è dietro all’atto innocente di usare la bicicletta per i propri
spostamenti giornalieri. Vedere esclusivamente l’aspetto
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ecologico o economico è riduttivo. Alle spalle di tale scelta vi è
un entroterra culturale molto vasto.
Allo stesso modo, quando scelgo volontariamente di fare a
meno di qualche schiavo energetico (auto, ascensore,
climatizzatore …) la maggior parte delle persone pensa che lo
faccia perché ho pochi soldi oppure perché sono taccagno.
Tante persone mi vedono fare le scale e mi dicono subito: “c’è
l’ascensore, non l’hai visto?”, si sbalordiscono sempre se
scelgo di fare le scale quando c’è la possibilità di prendere un
mezzo meccanico che fa tutto al posto tuo. Mi capita spesso
che le persone hanno la mania di accompagnarmi in auto,
quando io vorrei fare due passi perché mi fa piacere, e non
credo lo facciano soltanto per buona educazione, ma
soprattutto perché ritengono che usare i piedi quando non è
necessario sia inopportuno, non ragionevole. Una cosa è
andare in palestra o a correre nel parco, quello sì che ha una
logica: smaltire il grasso in eccesso, tenersi in forma, mostrarsi
in pubblico atletici e vigorosi. Ma se durante le nostre normali
funzioni giornaliere rinunciamo a uno schiavo energetico
siamo semplicemente dei tirchi, dei poveracci o abbiamo
perso la testa. Non c’è altra spiegazione.
È soprattutto per questi motivi che spesso mi sento isolato e
incompreso. Io stesso che sono figlio di questa cultura
dell’abbondanza da cui voglio uscire sto facendo sforzi. Se non
ci alleniamo tutti quanti a pensare diversamente e a fare
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esercizi di alternative di pensiero, non potremmo mai uscire
dal senso comune diffuso.
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Il lavoro non manca, ce n'è pure troppo 13 marzo 2013
Il lavoro non manca, ce n'è pure troppo. Quello che manca è il
profitto monetario. Il lavoro, infatti, visto solo come opera o
attività a cui corrisponde una somma di denaro è un grosso
limite dell'attuale sistema economico. Siamo abituati, per
deformazione culturale, a pensare la vita in termini monetari e
perciò facciamo del lavoro il mezzo divino attraverso cui
creare profitto. Se il lavoro sia utile, efficace ed efficiente non
ha poi molta importanza, perché la domanda di fondo è
sempre comunque la stessa: quanti soldi riesco a
guadagnare?
Ci sono tanti tipi di lavori e di prestazioni che non possono
essere monetizzati, ci sono lavori che vengono da noi svolti
gratuitamente tutti i giorni ma non sono ritenuti tali e non
sono elogiati proprio perché non corrispondono a un ritorno
monetario. Finché l'unico metro di giudizio resterà il profitto
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non usciremo mai da questa logica, sebbene con qualche
pallido e smilzo tentativo.
La società attuale, in piena crisi occupazionale, è di fatto
stracolma di potenziali lavori utilissimi che nessuno si
permette di fare perché giustamente ritenuti antieconomici. I
lavori più saggi e urgentemente richiesti dalla società sono,
guarda caso, quelli a più bassa densità di profitto. Mi riferisco
naturalmente ai lavori che riguardano la cultura, non solo dal
punto di vista di preservazione del patrimonio artistico e
storico o quello di creazione artistica e culturale, quanto
piuttosto quello che riguarda lo sviluppo di nuovi modi di
pensare, di educare, di comunicare e di vedere le cose. Mi
riferisco a progetti concreti che vadano oltre la tradizionale
impresa basata sul mercato, come riferimento supremo e
imprescindibile, a piccole imprese artigianali, di recupero delle
tradizioni e delle conoscenze locali. Mi riferisco a tutti i lavori
che, uscendo dalla mentalità del profitto ad ogni costo,
forniscono servizi indirizzati al miglioramento effettivo del
benessere delle persone e dell'ambiente.
In sostanza, il lavoro oggi manca non perché non ci sia, ma
perché in un sistema globale basato esclusivamente sulla
ricerca di profitti sempre crescenti non c'è spazio, se non
molto limitato, per tipologie di lavoro che vadano invece nella
direzione della creazione di valore.
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Sinonimi pericolosi
7 marzo 2012
«Non dovremmo aver paura di cambiare mentalità, di vedere
le cose da un altro punto di vista. Non ci dovremmo
affezionare a concetti comodi, o a verità consolidate dal
tempo. Tutto è in evoluzione. Noi esseri umani stiamo
evolvendo nel nostro cammino su questo pianeta, stiamo
crescendo giorno dopo giorno, non abbiamo mai smesso di
farlo. L’unica differenza è che fino ad oggi abbiamo rivolto lo
sguardo solo al di fuori di noi stessi. Adesso è arrivato il
momento di crescere dentro» Luca Madiai
Le parole che usiamo racchiudono vasti concetti, costrutti
mentali, un vero e proprio entroterra culturale che noi
abbiamo creato nel tempo e che è in continuo mutamento.
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Curare le parole che usiamo, e ancor di più il loro senso
culturale profondo, è fondamentale per uscire dalla triplice
crisi attraverso un cambiamento di prospettiva desiderabile.
Senza alcun dubbio, ci sono parole che oggi vengono abusate,
strumentalizzate, schiavizzate all’insegna della crescita senza
tregua. Tra queste svettano sicuramente termini come:
ecologico, green, ecosostenibile, biologico e via discorrendo.
Questi termini sono molto pericolosi, perché difficilmente
vanno ad associarsi con qualcosa che abbia davvero a che fare
con relazioni armoniose e sostenibili con l’ambiente, piuttosto
sono stratagemmi di marketing per trovare nuovi spazi sul
mercato. Sebbene siano belle parole e con connotati di buon
costume e buone intenzioni, spesso sono usate
impropriamente o sfruttate per il loro fascino ammaliante e
per il loro essere così in voga. Perciò, con tutto il rispetto che
si può avere per queste belle parole, è bene comunque stare
molto all’erta e non cadere in facili tranelli.
Alcuni termini oggi sono pericolosi perché sono usati come
sinonimi e spesso confusi, come se una loro relazione, anche
se non stretta e dipendente, sia sufficiente a identificarle l’una
nell’altra, di modo che richiamando l’una subito associamo
automaticamente l’altra. Ciò è tra le cose più tossiche della
nostra crisi culturale: è la perdita del discernimento, della
direzione che vogliamo intraprendere, è il non rendersi conto
che esiste sempre un’alternativa.
Alcuni esempi di questi binomi oggi erroneamente considerati
sinonimi sono: ricchezza-abbondanza, sobrietà-povertà,
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semplice-arretrato, contentarsi-insoddisfazione, sviluppo-
crescita, economico-conveniente, nuovo-migliore, vecchio-
superato, progresso-modernità, limite-ostacolo, bene-merce,
concorrenza-competizione, ecc.
È ovvio che confondere tali termini deriva da un
impoverimento culturale sostenuto dai media e dal consumo
di massa e rinforzato da credenze distorte basate su verità
illusorie. Tra queste detiene una posizione di rilievo l’illusione
che la ricchezza sia un accumulo materiale senza limiti e quindi
legata al concetto di abbondanza, ovvero di eccesso, come
condizione indispensabile per la felicità e il benessere. Tale
concezione non solo non prevede il senso del limite, ma lo
ritiene dannoso e ostile allo sviluppo della vita stessa.
L’abbondanza richiama all’eccesso e al sovrappiù, quindi ci
esorta a eccedere, a non tenere in considerazione le risorse
primarie, la loro propria natura, e a non rispettare la loro
fragilità e finitezza. La ricchezza vista come abbondanza è una
visione distorta della realtà perché tiene in considerazione
solo l’aspetto quantitativo, non qualitativo, e riguarda
principalmente l’aspetto materiale, delegando ad esso quello
spirituale, visto più che altro come una condizione interiore di
appagamento esteriore. Invece la visione della ricchezza come
il livello di varietà, di diversità (come è definita in biologia),
acquisisce oltre che valori quantitativi e materiali, senz’altro
importanti, anche valori qualitativi, morali e spirituali: un vero
e proprio valore aggiunto non visibile che accompagna e
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arricchisce, nel senso più vero della parola, l’uomo di una
condizione interiore elevata.
Detto ciò, se pensiamo al binomio limite-ostacolo possiamo
fare tantissimi esempi nella vita di tutti i giorni per capire tale
ricorrente accostamento. Mai più di oggi il limite viene visto
come ostacolo. Nell’antichità i limiti erano temuti, rispettati
per pavidità, e solo pochi temerari e superbi osavano valicarli,
come Ulisse le colonne d’Ercole. Oggigiorno invece i limiti non
sono più temuti, anzi, sono considerati dei veri e propri
ostacoli da valicare per far strada al progresso inarrestabile
dell’Uomo, della sua illimitata capacità di dominare e
controllare il suo ambiente. Tutti i limiti vengono messi in
discussione, alcuni addirittura ignorati perché scomodi a tale
visione positivista. Il limite per antonomasia, la morte, diventa
una cosa dalla quale rifuggire, dalla quale si può e si deve
tentare di allontanarsi o che si deve dominare e sconfiggere. I
limiti stessi del nostro pianeta sono ostacoli, quindi barriere
che si possono e si devono superare, con cieco ottimismo e
forzato coraggio.
La differenza tra sobrietà e povertà o indigenza è notevole e
spesso ignorata. Sobrietà non è associabile con la rinuncia, con
il sacrificio o con l’autolimitazione, invero è riferita alla
consapevolezza dei limiti fisici esistenti e della incapacità,
superata una certa soglia, di trovare soddisfazione
nell’appagamento dei soli bisogni materiali o nell’accumulo di
oggetti come mezzo per realizzare se stessi e raggiungere
felicità e benessere. È la consapevolezza che dentro di noi
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esistono illimitate potenzialità per godere di una vita piena e
appagante, che oltre ai bisogni primari è necessario soddisfare
e curare anche i bisogni relazionali dai quali, in ultima analisi, il
nostro sostentamento dipende. In ultima analisi la sobrietà è
la consapevolezza che tutto è interconnesso, che non c’è
fenomeno isolato. Pensare alla sobrietà come a un ritorno alle
fatiche, alle privazioni, alla scarsità di risorse significa avere
una visione distorta, significa non concepire alternative,
significa aver limitato il proprio senso della possibilità. Mentre
la povertà è legata intimamente con lo sfruttamento, con la
violenza, con il contrasto, con l’avidità, con l’ignoranza, con
l’odio, la sobrietà è piuttosto relativa alla compassione, alla
consapevolezza, al buon senso, all’equilibrio, all’armonia, alla
saggezza.
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