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TULLIO BONOMETTI e CHELLA PIETROFORTE con CRISTINA MANGANINI FERDINANDO CRIMELLA SANDRA CAMURRI LUCIANO CREMA ROBERTA AVERSA MARIASOLE ROESLER FRANZ PAOLA MICHELASSI MAURO BERGOMI DOMENICO SICILIANO FRANCO SCHENA Diario di viaggio nelle TRIBU’ DEL FIUME OMO (ETIOPIA) CON AVVENTURE NEL MONDO 1

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TULLIO BONOMETTI e CHELLA PIETROFORTE con

CRISTINA MANGANINI FERDINANDO CRIMELLA SANDRA CAMURRI LUCIANO CREMA ROBERTA AVERSA MARIASOLE ROESLER FRANZ PAOLA MICHELASSI

MAURO BERGOMI DOMENICO SICILIANO FRANCO SCHENA

Diario di viaggio nelle

TRIBU’ DEL FIUME OMO (ETIOPIA)

CON AVVENTURE NEL MONDO

11-25 agosto 2017

1

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giorno itinerario KM Tempi

Ven 11

Milano/Roma – Istanbul – Addis Abeba

sab 12

Addis Abeba- Museo – Chiesa Adadi Mariam –km 70

– Lago Langano km 150

2202,30+3,00

dom 13

Lago Langano – Lago Awasa ( Fish Market) km 72 Dila km 120 Totu Fella- Yabelo km 220

3941,30+1,30+4,00

lun 14Yabelo- El Sod crater- km 106 Villaggio Borana – Pozzi cantanti-Yabelo km 120 – Konso km 123

3391,30+2,30+4,00

mar 15

Konso Museo villaggio pranzo Arbore km 140 Turmi km 70

2102,30+2,00

mer 16

Turmi Nyangatom km 110 villaggio Karo km 40 Turmi km 70

2403,00+1,30+2,30

gio 17 Turmi mercato Key Afar km 80 mercato Turmi km 80 160 2,00+2,00

ven 18

Turmi Omorate km 75 pranzo villaggio Hamer Turmi

km 75

1501,30+1.30

sab 19

Turmi mercato di Dimeka km 30 pranzo km 30 Salto del Toro Turmi 3

631,00+1,00

dom 20

Turmi villaggio Ari km 120 Jinka museo etnografico120

2,30

lun 21Jinka Mago park villaggio Mursi km 75 Arba Minch km

250400

3,00+5,00

mar 22

Arba minch Villaggio Dorzè km 40 mercato di Chencha Arba Minch km 40

801,00+1,00

mer 23

Arba Minch Parco Nechisar km 20 Arba Minch km 2040

0,45+0,45

gio 24Arba Minch missione di Sodo km 120 Addis Abeba km

310430

3,00+6,00

ven 25

Addis Abeba – Istanbul – Roma – Milano

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Premessa

La parte inferiore della valle dell'Omo ospita circa 200 mila persone che vivono in villaggi lungo le sponde del maestoso fiume; l’Omo scorre per 800 chilometri attraverso gli altopiani centrali e sfocia nel lago Turkana, al confine con il Kenya.Questa regione è una delle più affascinanti del mondo perché qui si concentrano molte etnie e tribù che hanno mantenuto quasi intatto il loro stile di vita da millenni di anni. La straordinaria biodiversità alimentata dalle piene stagionali dell’Omo, prodotte dalle piogge degli altopiani, è un sistema delicato, oggi minacciato non solo da un turismo invasivo, ma anche dalla gigantesca diga Gibe III, alta 240 metri e lunga 610, che ha consentito di raddoppiare la produzione nazionale di energia idroelettrica. La portata dell’Omo ha subito una drastica riduzione, interrompendo il ciclo naturale delle esondazioni, che periodicamente riversavano acqua e humus nella valle, rendendo possibili agricoltura e pastorizia.  È il doloroso effetto collaterale di un massiccio intervento di sviluppo infrastrutturale, che va a incidere su realtà naturali e antropologiche, sopravvissute immutate per millenni. Per pagare la diga, il governo etiope ha dato in concessione ampi appezzamenti di terre tribali alle aziende straniere per impiantare grandi piantagioni di zucchero e cotone bisognose di molta acqua. Seppure in modi diversi, tutti i popoli della valle dipendevano da una varietà di tecniche di sostentamento che si alternavano e completavano a vicenda con il mutare delle stagioni e delle condizioni climatiche: le coltivazioni di sorgo, mais, fagioli nelle radure alluvionali lungo le rive dell’Omo, le coltivazioni a rotazione nelle foreste pluviali e la pastorizia nelle savane o nei pascoli generati dalle esondazioni.

VENERDI’ 11 SABATO 12 AGOSTO

GHEDI MILANO ISTANBUL ADDIS ABEBA

Andiamo in macchina alla stazione ferroviaria di Brescia, prendiamo il treno per Milano e quindi arriviamo alla Malpensa, dove incontriamo Mauro di Palazzolo sull’Oglio in provincia di Brescia, Cristina e Ferdinando della provincia di Lecco e Domenico di Milano. Il volo parte regolarmente per Istanbul, dove ci aspettano Sandra e Luciano, una coppia di Carpi, Roberta di Napoli, Paola di Siena, Mariasole Roesler Franz e Franco di Roma; siamo due coppie, quattro uomini e quattro donne e formeremo 3 equipaggi di 4 persone ciascuno. All’aeroporto di Addis Abeba non abbiamo alcun problema, un addetto della Greeland Tours ci viene a prendere con un pulmino e ci porta all’International Empire Hotel. E’ un grande e moderno hotel, ma le strade intorno sono malridotte per disordinati lavori di ricostruzione, improvvisati e lasciati a metà. Il mattino l'appuntamento con i nostri autisti è alle 9 e noi siamo puntuali e ansiosi di partire. Per prima cosa andiamo a cambiare gli euro in birr (1 € vale 27 birr), la moneta locale, prendendo molte banconote piccole di 5 birr, che ci serviranno per pagare le foto nei villaggi. Passando per piazza Meskal, ci fermiamo al museo nazione etiopico, soprattutto per vedere Lucy, l'ominide più antico con la capacità di stare eretto; era alto circa 1 metro e 5 centimetri ed i suoi resti risalgono a 3 milioni di anni fa.Partiamo nella direzione del lago di Langano, il traffico per uscire da Addis Abeba è molto intenso. Con una deviazione di qualche chilometro per una strada sterrata andiamo alla chiesa copta Mariam

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Adadi, posta un po' fuori dal mondo, in mezzo a zone abitate molto povere, ma piene di dignità. La chiesa rupestre con ingressi separati per gli uomini e per le donne era stata costruita da un re di Lalibela nel 1180.Dopo più di 200 chilometri di strada statale asfaltata, con un’altra strada sterrata un po’ impervia raggiungiamo il nostro hotel Hara, posto proprio sulle rive del lago di Langano. E' ormai buio, ma si capisce bene che il posto è molto piacevole, siamo sistemati in bei bungalow, immersi nella natura. Il salone comune è una grande tettoia, la cena è buona, il piatto principale è una tilapia. Ci addormentiamo nel silenzio rumoroso della  boscaglia.

DOMENICA 13 AGOSTO

LAGO DI LANGANO AWASA STELE DI TUTU FELLA YABELO.

Ritorniamo tramite la pista sulla strada statale per Shashamane, che raggiungiamo dopo una ventina di chilometri, proseguiamo per Awasa, la città più importante del sud e capitale degli Oromo, la seconda etnia dell'Etiopia.

Un mercato del pesce molto interessante si tiene sulle rive del lago di Awasa; alcune barche stanno ancora ritornando dalla pesca notturna, che avviene tramite reti, portano a riva alcune cassette piene di pesce  e sopra un muretto si svolge l'asta. Il prezzo dipende dal rapporto tra la domanda e l'offerta, più sono i compratori, più è alto il prezzo, più è grande l'offerta più il prezzo diminuisce. Molti pescatori lo puliscono subito in modo tale che può essere immediatamente mangiato. In una zona del mercato il pesce viene acquistato da commercianti o da ristoratori, in altri posti si vende al minuto; l'ambiente intorno è poverissimo e senza alcuna struttura, sporco e fango sono un po’ dappertutto; ci sono dei bagni, ma la puzza è tanto forte che noi preferiamo andare dietro alcuni cespugli. Ci fermiamo per il pranzo nella cittadina di Dila, ci servono 4 grandi piatti di injera, una specie di piadina fatta con il teff, il cereale più importante dell'Etiopia; sull’injera ci sono legumi, carne, salse, cipolle e patate; tutto si mangia con le mani. Ad alcuni di noi non piace, ma parecchi l’apprezzano. Riprendiamo la strada del Sud, ad un certo punto deviamo su una strada insignificante,  crediamo che sia una deviazione per andare a fare i nostri bisogni nella boscaglia, invece no, è la strada che ci porta a visitare le stele di Tutu Fella. Non vi è nessun villaggio, ma bambini ed adulti sbucano da ogni parte per l’arrivo di noi turisti. Il sito è racchiuso da  una rete ed al suo interno vi sono molte stele, che non sono ancora state identificate in  modo univoco, alcune sono dei simboli fallici, altre hanno segni stilizzati, mentre altre ancora rappresentano dei visi.Riprendiamo la strada principale  sempre molto bella, ma è già sceso il buio e per noi è pericoloso viaggiare a 80 chilometri all'ora quando ci sono molti pedoni, animali sciolti e greggi che si spostano anche durante la notte.

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Verso le 20 arriviamo nella cittadina di Yabelo, dove pernottiamo nel migliore motel della zona. La cena è di una sola portata e quasi scarsa; ci sono altre criticità nell’hotel, ma nel complesso il gruppo resiste bene.

LUNEDI’ 14 AGOSTO

YABELO EL SOD KONSO

Dopo la colazione piuttosto essenziale, riprendiamo il cammino verso Sud, la strada è molto bella ed il traffico è scarso, ma bisogna sempre prestare una grande attenzione ad animali e pedoni, che percorrono o attraversano la strada senza rispettare alcuna regola.

Dopo una novantina di chilometri, prendiamo una pista piuttosto scorrevole ed arriviamo nel villaggio di El Sod, dove veniamo accerchiati da uno stuolo di bambini ed adulti. Con una guida locale scendiamo lungo una mulattiera al fondo di un cratere, dove vi è un laghetto nero come la pece, la discesa ha un dislivello di 300 metri, qualcuno fa un po' fatica soprattutto nel ritorno in salita. Nel lago sono infissi numerosi pali che servono per smuovere il fondo e rendere possibile la raccolta del sale.

Arriviamo alla riva del laghetto, in cui due uomini entrano apposta per noi; con un bastone smuovono il fondo e staccano blocchi di sale, poi immergendosi ad una profondità di circa un metro e mezzo, con le mani li recuperano, il sale può essere cristallino, bianco oppure nero. E' un lavoro molto duro perché può portare alla cecità, alla sordità ed a profonde cicatrici sulla pelle.Lungo la mulattiera incontriamo molti asini che scendono  senza carico ed altri che risalgono portando sul dorso 50 chili di sale posto in sacchi di plastica. Gli asini compiono un viaggio al giorno per ogni giorno dell'anno. Nel paesino bisogna stare attenti quando si offre qualcosa ai bambini perché sono tanti e, per prendere  qualche birr, una penna o una maglietta, possono azzuffarsi. Ad una decina di chilometri con una pista impegnativa raggiungiamo i pozzi cantanti, che per noi rappresentano una delle esperienze più emozionanti di questo viaggio. Il posto è protetto da una recinzione  di arbusti e di rami ed attraverso una mulattiera polverosa si scende ad un abbeveratoio

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per mucche, asini e pecore. Alcuni uomini vigorosi del villaggio e tra questi anche una donna, tramite un palo con qualche appiglio, scendono lungo la parete strapiombante di un pozzo, si fermano a profondità diverse per una quindicina di metri; quindi si passano di mano in mano, in modo velocissimo, dei secchi pieni di acqua fino a riempire  in superficie l'abbeveratoio per gli animali. Mentre si passano i secchi, cantano sempre uno stesso motivo ed il canto è ben amplificato dal pozzo, che fa da cassa armonica. E' un lavoro molto duro ed è impressionante vedere questi corpi sempre bagnati ed atletici lavorare come in una catena di montaggio in una posizione secondo noi instabile ed anche pericolosa. Dall’abbeveratoio l’acqua viene presa anche da donne e bambini, che con o senza l’aiuto degli asini trasportano taniche contenenti una ventina di litri.

Visitiamo quindi il loro villaggio posto a qualche chilometro, è costituito da una una ventina di capanne, racchiuse da una cinta di rami accatastati. Entriamo anche in una capanna di circa 4 metri di diametro: vi è una zona per dormire ed una per cucinare, c'è solo uno scaffaletto, ma vuoto. Per entrare abbiamo dovuto pagare una somma e altri 5 birr per ogni foto scattata ad una persona, adulto o bambino. Mangiamo al nostro ritorno a Yabelo verso le 16,30, il servizio è molto lento, ma è il migliore per tutta la città, come ci dice il nostro capoautista Jimmy, confermato dalla Lonely Planet.Verso le 17 prendiamo la strada per Konso, la prima parte è asfaltata, poi è asfaltata a tratti e quindi diventa difficile per i lavori in corso di costruzione di una strada nuova da parte di una compagnia cinese.Ad una decina di chilometri Jimmy, il nostro capo autista, prende un bivio sbagliato e così ci inerpichiamo per le montagne per strade strette ed impossibili, se non per fuoristrada perfetti e con abili autisti. Lungo il cammino, anche quando ormai il buio è pesto, si vedono qualche rara lucina  in giro e le sagome di uomini e donne che camminano sul bordo della pista. Anche con l'aiuto del gps andiamo a riprendere la strada principale e così raggiungiamo il nostro albergo, il Kanta, il migliore di tutto il viaggio. Siamo sistemati proprio bene in casette, dalla forma rotonda, come le case tradizionali konso.

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MARTEDI’ 15 AGOSTO

KONSO VILLAGGIO ARBERI TURMI

Alle 8 del mattino un gruppo va a visitare il museo della cultura konso che è proprio di fronte al nostro hotel. Siamo accompagnati da una guida locale, che zoppica un po'; chiediamo il perché e lui ci racconta della pallottola presa nel fianco durante la guerra contro l'Eritrea, si commuove e gli vengono le lacrime agli occhi. La guerra ora è finita, ma permane lo stato di tensione. Il villaggio tradizionale konso di Gamole è molto interessante, è racchiuso da una cerchia di mura di pietroni a secco ed è stato riconosciuto Patrimonio Mondiale dell'Umanità da parte dell'Unesco. Il villaggio è densamente abitato, vediamo moltissime donne e soprattutto bambini, mentre gli uomini sono al lavoro nei campi. Ci sono varie piazzette e luoghi pubblici, dove si amministra la giustizia  e si tengono le riunioni del villaggio, I popoli della valle dell’Omo prendono le decisioni pubbliche nel corso di incontri comunitari a cui partecipano tutti gli adulti. Al centro vi sono i secolari “pali delle generazioni”, fasci di tronchi verticali, a cui ogni diciotto anni viene aggiunto un elemento nuovo. Per terra vi è anche la pietra del matrimonio che viene sollevata da un uomo come prova di forza quando si sposa.Vi è anche una capanna che viene utilizzata per gli ospiti. I giovani sono posti a fare la guardia sulle mura esterne per la difesa dai nemici. Per ogni fotografia alle persone bisogna pagare 5 birr, mentre si può fotografare senza alcun costo  il villaggio. Entriamo  in un cortile privato pagando 200 birr, un signore anziano, avvolto in una coperta gialla, seduto davanti alla sua capanna, sembra una statua. La casa è molto misera, alcune galline razzolano all’interno del cortile. Molti uomini delle tribù della valle del fiume Omo portano in mano una lancia  ed una specie di sgabellino di legno, che usano per sedersi o come cuscino per dormire. Attraverso una pista ci dirigiamo al villaggio degli Arboré a circa 140 km, il traffico è molto scarso, ma non vi sono problemi di orientamento. Tutta la popolazione del villaggio è già venuta incontro a noi e si è schierata in bella posizione pronta per essere fotografata. Entriamo nel villaggio; seguendo le istruzioni del nostro capo autista, procediamo senza fotografare; visitiamo una capanna, all’interno è molto buia e misera e vi è un piccolo spazio per il fuoco, nella parte posteriore vi è la zona notte, in cui dormono i genitori con i bambini, le ragazze dormono in un angolo separate, mentre i ragazzi dormono fuori. Fotografiamo poi tre gruppi che si sono messi in posa: i bambini, le ragazze e le donne. Dopo le foto di gruppo si possono fotografare le singole persone pagando 5 birr per ciascuna.

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La pista per Turmi è piuttosto impervia e per vari chilometri segue il letto di un fiume in secca da molti anni. I nostri autisti sono molto bravi e non ci sono problemi per arrivare all'hotel Evangadi, dove incontriamo un altro gruppo di Avventure, con il quale ci scambiamo le impressioni del viaggio. L'hotel è immerso nel verde e ha varie casette come alloggio. La sera nella sala del ristorante ceniamo con una zuppa di lenticchie ed un piatto di carne di montone. Nella nostra camera vi sono le zanzariere, che circondano i letti; per essere più tranquilli, noi chiediamo un repellente.

MERCOLEDI’ 16 AGOSTO

TURMI NYANGATON TURMI

Prendiamo un cestino per il pranzo al sacco ed alle 8,30 partiamo; dopo 110 chilometri raggiungiamo il villaggio degli Nyangatom, una tribù che vive vicino al fiume Omo.Vicino al nostro lodge nel letto di un fiume ormai secco, sono state scavate delle buche, dove uomini e bambini con un barattolo raccolgono l’acqua che affiora e riempiono le taniche, che con carretti e asini o a spalle portano alle loro capanne.La pista è stata costruita da una ditta cinese, che ha piantato delle grandi coltivazioni di zucchero e di cotone. In particolare è stato costruito un modernissimo ponte, su cui passano grandi camion. Lungo la strada ci sono molti giovani armati con un fucile o con un kalashnikov.

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Andiamo a visitare un villaggio, il cui livello di povertà è simile agli altri. E' pieno di donne e di bambini, mentre gli adulti sono nei campi. Siamo ormai abituati a fare foto individuali o di gruppo pagando 5 birr per ciascuna persona fotografata.Siamo molto vicini ad una piccola cittadina di nuova costruzione, dove c'è un ristorante. Vi sono parcheggiati tre fuoristrada con la targa delle Nazioni Unite perché ad una quarantina di chilometri vi è un campo profughi di rifugiati provenienti dal Sud Sudan. La temperatura raggiunge i 36 gradi e si sta bene all'ombra. Mentre noi mangiamo una buona pastasciutta bevendo una bibita fresca, i nostri tre autisti mangiano un piatto di injera. Riprendiamo la strada del ritorno attraverso una pista piuttosto impegnativa, andiamo nella zona dei Karo, una delle tribù con pochi abitanti ed a rischio di estinzione, il villaggio è situato su un’ansa del fiume Omo in una posizione panoramica molto bella. Qui ci viene in mente la grande avventura del capitano Bottego, che nel 1896 era andato alla ricerca dello sbocco del fiume Omo, che si getta nel lago Turcana al confine con il Kenia.

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La popolazione karo forma due villaggi, noi visitiamo il minore, che si trova ad una sessantina di chilometri da Turmi con una percorrenza in fuoristrada di un'ora e mezza. E’una delle tribù indigene maggiormente in pericolo, la sua sopravvivenza dipende interamente dall'Omo, coltiva sorgo, mais, fagioli e piselli per completare una dieta a base di pesce pescato nel fiume. Tutta la popolazione si pittura il viso ed il corpo di bianco con linee o pallini. Vi è una grande capanna, dove possono dormire gli ospiti, vi possono stare una decina di persone ammassate sul fondo terroso o su pelli di mucca sporche e impolverate. Vi è anche un piccolo bar con un frigorifero alimentato da un generatore, ogni tanto arriva un venditore da Turmi che trasporta le bibite. Con Domenico entro in una tenda, una ragazza sta cucinando su un fuoco acceso, tra due sassi, mentre un bambino è disteso a terra perché  sta male, forse ha la malaria, ma la distanza dal centro medico di Turmi è molta, noi diamo qualche medicina per far abbassare la febbre, ma occorrerebbe una diagnosi precisa. Ferdinando poi si presta a curare la ferita di un giovane soldato, che porta ancora un fucile a spalle. Il giovane si lascia curare tranquillamente ed alla fine dimostra molta riconoscenza. Ci colpisce il lavoro di due donne che con due pietre macinano il sorgo, facendole scorrere l’una sull'altra, in una scena per noi di altri tempi, ma che qui rappresenta la vita di tutti i giorni. Attraverso una pista secondaria ritorniamo a Turmi, dove ci fermiamo in un bar per prendere insieme qualcosa di fresco insieme ai nostri autisti.Non vi è molta scelta per la cena: passato di verdure, pollo con contorno di patate, pomodori e barbabietole rosse.

GIOVEDI’ 17 AGOSTO

TURMI MERCATO DI KEY AFAR TURMI

Alle 9,00 prendiamo la strada lunga una ottantina di chilometri per Key Afar, che significa terra rossa, si tratta di una strada sterrata sempre dritta, che arriva nella cittadina, dove si tiene un mercato importante. Prendiamo, come sempre, una guida locale. Andiamo prima a vedere il mercato degli animali, dove si contratta la vendita di mucche, capre e pecore. Gli animali piccoli per essere pesati vengono sollevati con una corda. Dalle mucche si ottiene il latte, ma si preleva anche il sangue che viene spesso bevuto insieme al latte. Una mucca può valere fino a 10.000 birr ( 370 €), mentre una capra fino a 2.000. Al mercato di Key Afar possiamo vedere un crogiolo di tribù: gli uomini Banna si differenziano dagli Hamer per il gonnellino più corto e talvolta per la fascia azzurra e nera di perline colorate che portano sul capo, mentre gli Hamer la portano rossa e nera. Le donne hamer indossano vesti di pelle di capra impreziosite da conchiglie e sfoggiano complicate acconciature a caschetto formate da sottili treccine impastate con polvere d'argilla rossa e grasso animale. Le donne nubili hanno il collo libero ed un vestito molto colorato, quelle sposate hanno una collana a forma di collare con una protuberanza di metallo. La seconda moglie ne ha due, la terza tre.

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Nel mercato generale vi sono vari settori, a noi interessa maggiormente quello dell'artigianato per poter comprare qualche oggetto da portare in Italia, ci sono statuette di legno raffiguranti uomini e donne delle diverse etnie. In un altro settore vi sono i vestiti usati, probabilmente provenienti dall'Europa, scarpe di plastica o costruite con i copertoni usati delle macchine. La parte più viva è quella degli alimentari, si vendono vari cereali, tra cui il sorgo ed il mais, le scorze tritate del caffè, fascine di fieno e di legna e uova di gallina. I turisti sono molto pochi ed il mercato è autentico. Molti bambini si avvicinano a noi per chiedere qualche birr, alcuni venditori,  se noi abbiamo dimostrato attenzione a qualche loro articolo, continuano ad inseguirci per riproporcelo. Presso il cortile di un ristorante ci mettiamo all'ombra di un grande albero per mangiare gli spaghetti preparati nel nostro lodge. Incontriamo altri gruppi di Avventure, che fanno il nostro stesso itinerario pernottando però in tenda. Al ritorno ci fermiamo nella città di Turmi per visitare il mercato che è molto più piccolo, ma comunque interessante. Il capo degli autisti ci affida ad un ragazzino che ci fa da guida parlando inglese, ma poi verrà contestato da un gruppo di adulti, noi non capiamo bene la situazione, che ci appare poco chiara, per niente piacevole e quasi un pochino pericolosa. Ci affrettiamo nella visita al misero mercato e prendiamo la via del ritorno stando sempre insieme. Il nostro ragazzino-guida si lamenta perché gli diamo solo 50 birr. Dopo una decina di minuti che siamo già nel lodge, arriva un giovanotto con un foglio stampato, nel quale si dice che  chi visita la cittadina di Turmi deve pagare 200 birr, noi paghiamo la differenza per evitare discussioni.

VENERDI’ 18 AGOSTO

TURMI OMORATE TURMI

La strada per Omorate è quasi tutta asfaltata  e arriva ad un ponte che attraversa il fiume Omo e dopo altri venti chilometri raggiunge il confine con il Kenia e l’Uganda. Ieri al mercato di Key Afar abbiamo comperato 37 paia di ciabatte di misure diverse da dare a quanti sono scalzi. Durante il tragitto vicino ad una grande pozza vediamo un gruppo di quattro bambini, ci fermiamo per dare qualche paia di ciabatte, di fatto diamo anche del pane e un po' di acqua, i bambini sono affamati ed assetati e mangiano e bevono tutto quello che diamo a loro.Andiamo all'ufficio immigrazione per un controllo dei passaporti, io e Chella avevamo lasciato in valigia la richiesta del visto, che per l'ufficio è obbligatoria. Comunque, superate alcune incertezze, ci fanno passare lo stesso, in realtà non andiamo in Kenia, attraversiamo soltanto il fiume con una barca ed una canoa fatta da un tronco incavato e spinta da un remo piuttosto primordiale. Avremmo potuto attraversare il ponte nuovo ed ampio, ma il nostro capoautista Jimmy ha preferito farci traghettare perché è una esperienza interessante. Al di là del fiume raggiungiamo un villaggio dei Dassanech, il più povero tra tutti quelli visti. Concordiamo di pagare una cifra unica per visitare il villaggio e poter fare le fotografie a piacere.

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La maggior parte dei bambini e delle donne è sotto una tettoia di rami e di latta con una densità di 4 persone per metro quadrato, per ripararsi dal sole. Nonostante il gran caldo molti bambini corrono e giocano, il gruppo delle giovani organizza una vendita di statuine di legno e di collanine infilate ad una corda sospesa tra due capanne. Le donne anziane invece sono sedute insieme presso le capanne.Le condizioni sono molto dure perché la temperatura è sui 37 gradi e non vi sono ripari dal sole; a noi pare impossibile sopravvivere per più di una giornata in questo posto che sembra maledetto.

Ad un centinaio di metri dal villaggio vi è una chiesa cattolica con una croce posta sull'ingresso. È l'edificio più alto, è fatto di bastoni e dentro si sta bene perché vi è una buona ombra e si può stare in piedi. Dopo la visita saliamo sulle nostre tre fuoristrada; anche se fuori fa molto caldo, noi nelle macchine abbiamo l’aria condizionata e stiamo bene; in cinquanta minuti ritorniamo al nostro lodge, dove possiamo bere dell'acqua potabile fresca e consumare un buon pranzo. Alle 16,30 andiamo a visitare un altro piccolo villaggio dell’etnia hamer, le donne hanno i capelli con treccine imbevute di argilla e grasso. In particolare visitiamo una capanna per assistere alla preparazione del caffè, di noi soltanto alcuni però se la sentono di entrare da una minuscola porticina rialzata, adatta più a bambini che ad adulti. Il caffè viene preparato con le bucce del caffè ed i pochi che sono entrati non se la sentono di berlo. Per essere entrati offriamo alla signora 100 birr.La sera nel lodge mangiamo una pizza con un contorno di riso e verdure.

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SABATO 19 AGOSTO

TURMI SALTO TORO

La nostra meta di questa mattina è il mercato di Dimeka. Lungo la strada troviamo una mamma con tre bambini e ci fermiamo per offrire alcune magliette ed un paio di ciabatte a lei ed ai suoi figli. Ci sembra che il dono sia molto gradito e siamo contenti della nostra iniziativa. Percorriamo un chilometro a piedi insieme a uomini e donne che vanno al mercato, ma è meglio non azzardarci a fare fotografie anche a gruppi perché qualche ragazza ha preso in mano qualche sasso da scagliare contro di noi. Ci fermiamo in un bar, prendiamo qualcosa di fresco e quindi andiamo al mercato, che risulta uno dei più autentici ed interessanti. In un angolo vi sono molte donne con contenitori per il miele e molte mosche vi gironzolano intorno. In un’altra zona sopra teli stesi per terra si vendono i cereali, soprattutto il sorgo ed il granoturco. In altre parti vi sono i prodotti dell'artigianato locale; quando tento di fare una ripresa, una donna hamer prende un sasso da terra e mi minaccia, la nostra guida le spiega che io non la stavo filmando. Ritorniamo in albergo, dove il nostro cuoco  ci ha preparato l'injera, come avevamo richiesto. Due non si sentono di mangiarla e chi la mangia chiede  un piatto ed una forchetta perché per noi è difficile prenderla con le mani raccogliendo sughi e verdure. Il pomeriggio è il grande momento del salto del Toro, verso le 14,30 andiamo in macchina per circa 3 chilometri in direzione di un villaggio; lungo la strada vi sono molti locali, che provengono dai villaggi vicini perché è un avvenimento importante. Vi sono anche molte fuoristrada che portano turisti da Turmi ed anche da molto lontano perché è il primo Salto del Toro, che avviene da quattro mesi. Per poter partecipare i turisti devono pagare 660 birr per persona, circa 25 euro, il valore di 13 giornate lavorative per un Etiope. Il letto di un fiume in secca è diventato un’area di parcheggio, la festa è già iniziata ed una cinquantina di donne, generalmente giovani, balla con un ritmo ed una nenia sempre uguali, battendo i piedi sul terreno polveroso; sul polpaccio delle gambe hanno dei

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campanellini. Tutte le donne sono vestite secondo la tradizione hamer, hanno i capelli con treccine colorate con argilla rossa a caschetto ed  indossano una pelle di capra adornata da conchiglie. I balli preparatori durano un'ora e mezza e noi siamo incollati a loro per fotografare e filmare. Ad un certo punto tutti si spostano in una radura all'interno della boscaglia, dove vi sono una ventina di torelli un po' innocui. In un angolo una decina di giovani ragazze  a turno offrono una verga ad un maz, un amico del saltatore, il quale infligge loro una frustata, a ogni vergata appare sulla schiena un grande livido ed ai colpi successivi si forma una ferita con l'uscita di sangue; con coraggio ed orgoglio le ragazze porgono la verga più volte e, anche quando vengono colpite a sangue, non battono ciglio. Le donne considerano le cicatrici come un segno di devozione nei confronti del giovane che sta per diventare adulto.Questo spettacolo, molto forte per noi, continua per una mezz'oretta e ciascuna ragazza prende una decina di colpi. Le ferite non vengono curate, i segni rimarranno per tutta la vita e le ragazze sono orgogliose di questo tatuaggio, simbolo di forza e di coraggio.

Nella radura entra il ragazzo completamente nudo, che deve superare la prova del salto del toro per poter essere riconosciuto  come un adulto nel suo villaggio. Intanto altri uomini hanno messo i tori l'uno accanto all'altro; il giovane saltatore, nudo, con una corsa prende lo slancio e con un balzo salta sul primo toro, cammina sulla schiena di tutti gli altri, scende a terra e rifà il salto per altre cinque volte, il saltatore non compie  errori e tutti lo festeggiano per aver superato la prova.E’ stata una festa vera, abbiamo percepito la connessione degli hamer con la loro terra, il loro mondo così lontano dal nostro è reale e è un tutt'uno con la natura che li circonda.

DOMENICA 20 AGOSTO

TURMI VILLAGGIO ARI JINKA

Ci svegliamo pensando ancora al Salto del Toro, a cui ieri abbiamo assistito un po’ allibiti. Partiamo per Jinka con una strada sterrata fino a Key Afar. Lungo la strada, quando vediamo bambini che  sono scalzi, ci fermiamo per dare loro le ciabatte comperate. I bambini si dimostrano felici di quanto ricevono, ma bisogna stare attenti quando si dà qualcosa; se vi sono troppe persone o

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bambini, si possono creare tensioni tra di loro. Ogni oggetto deve essere dato in mano a ciascuno di loro.Poco prima di Jinka  ci fermiamo per vedere un villaggio della tribù degli Ari, l'etnia più numerosa della bassa valle dell’Omo; come al solito siamo accompagnati da una guida locale. Il villaggio è il più civilizzato tra quelli visti, vi sono capanne, ma vi sono anche casette di bastoni e fango o in muratura; noi possiamo assistere alla cottura dell'injera, che viene fatta con una specie di impasto simile a quello delle crêpes. Un fabbro con un mantice molto rudimentale riscalda sul fuoco un pezzo di ferro per ottenere una zappetta. Entriamo anche in una casa: un signore guarda un televisore  e due bambini piccoli mangiano in cucina  un po' di verdure in un ambiente, secondo i nostri criteri, miserrimo e sporco. Il villaggio è più civilizzato perché è proprio vicino ad una grande città. Le strade del centro di Jinka sono ampie e noi andiamo nel ristorante Resort posto in mezzo al verde. Andiamo quindi al nostro hotel Orit, anch'esso immerso nel verde. Nel pomeriggio in macchina percorriamo per  un chilometro e mezzo una strada in salita e visitiamo il museo etnografico delle tribù della zona sud del fiume Omo. Il museo è composto da un grande salone che illustra tutte le varie tribù ed in particolare gli Hamer ed i Mursi. Dalle testimonianze di antropologi e di membri delle varie tribù emerge con chiarezza che il comportamento primitivo  è proprio dato dalla loro cultura ancestrale che è stata mantenuta grazie al loro isolamento ed ai conflitti tra le stesse. Dalle interviste riportate sui pannelli del museo risulta che le donne hamer desiderano essere fustigate come prova di coraggio in onore del giovane che dovrà effettuare il Salto del Toro.In una sala si può assistere alla proiezione creata da antropologi europei, i quali hanno documentato in modo veritiero e  crudo realtà aberranti come le scarificazioni o le mutilazioni genitali.

LUNEDI’ 21 AGOSTO

JINKA ARBA MINCH

Oggi tutta la mattinata è dedicata alla tribù dei Mursi; vive nel parco del Mago e tra tutte le tribù è quella più aggressiva e che ha un rapporto più difficile con le altre tribù e con il mondo circostante in continuo cambiamento. Percorriamo una settantina di chilometri su una strada sterrata larga perché serve le piantagioni di zucchero, impiantate di recente. Vediamo dei bambini completamente nudi e con il corpo pitturato a strisce bianche, sembra che vogliano assomigliare a delle zebre, anche il pene è pitturato. Quando partiamo da Jinka, prendiamo una guida locale che conosce la lingua dei Mursi e dopo aver pagato il biglietto di ingresso al parco, prendiamo una guardia armata che ci accompagnerà nel parco. Le donne sono famose per l’utilizzo del piattello labiale detto “debbi”, decorato con disegni geometrici e colorati, che arriva a misurare anche sedici-venti centimetri di diametro. Le ragazze iniziano a perforare il labbro intorno al decimo anno di età: il labbro inferiore viene bucato, e nel foro viene introdotto un piccolo pezzetto di legno. Il foro viene successivamente allargato con

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l’inserimento di pezzi di legno di diametro sempre maggiore fino a che il labbro diventa un anello di carne molto elastico: introducendovi il piattello di argilla, il labbro si tende trattenendolo.Le dimensioni del piattello sono fondamentali per i canoni di bellezza di questa etnia: più sono grandi più la donna sarà considerata bella e coraggiosa e più prestigioso sarà il suo ruolo nella comunità. L’asportazione degli incisivi è comune in tutte le donne Mursi ed è adottata oltre che per facilitare l’introduzione del piattello, anche per consentire l’ alimentazione forzata nei casi di complicazioni derivate da infezioni molto comuni, come il tetano.Gli uomini invece praticano la scarificazione del corpo ( detta “Icioà”) per apparire più attraenti. Si tratta di una sorta di “tatuaggio a rilievo” e, considerate le condizioni igieniche in cui si svolge, questa pratica  non è priva di rischi. Si disegnano sul corpo i punti dove effettuare i tagli che vengono eseguiti con una lametta, per poi sollevare la pelle con un rametto spinoso, quindi si va ad incidere all’interno della ferita. Si cosparge la ferita con cenere e polvere derivante da una radice particolare. Le cicatrici che si formano successivamente, danno vita ad un tatuaggio a rilievo, particolarmente apprezzato.Per gli uomini Mursi il combattimento e la lotta costituiscono la forma più alta di prestigio e di rispetto. Si cimentano nel thagine, un combattimento con lunghi bastoni i dongo. E’ una feroce arte marziale, dove l’unico limite è quello di non uccidere l’avversario, per il resto  tutto è ammesso e di solito il sangue scorre copioso dalle vergate che si abbattono sui corpi nudi. Il vincitore viene portato in trionfo dai componenti del villaggio e ammirato soprattutto dalle donne. Uno dei pochi aspetti “tecnologici “che si incontra nei villaggi e che gli uomini ostentano, sono i kalachnikov, che acquistano tranquillamente ai vicini mercati per una cifra di circa 1.000 birr equivalente al valore di una mucca.Un ultimo aspetto curioso e  peculiare di questa cultura consiste nel fatto che i bambini invece di bere il latte dalle mucche, ne bevono il sangue, attingendo direttamente dalla giugulare dell’animale incidendone il collo con la punta di una freccia.Ci colpiscono le donne con il labbro penzolante. Stanno proprio male, sono brutte da vedere, forse un po' meno quando vi infilano il disco. Comunque questa è la loro usanza e le giovani con il labbro a penzoloni sono tante. Sono loro che ci cercano e vogliono essere fotografate per avere in cambio 5 birr. Alcune si tolgono dalle labbra il disco e ce lo porgono in vendita. Per i Mursi il disco labiale è una pratica decorativa del corpo.

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La guida mi presenta al re del villaggio per un'intervista, ma questi vuole essere pagato ulteriormente, per cui rinuncio. Anzi il re  mi dice che devo anche pagare per le foto in generale, allora interviene la guida, la quale ricorda al re che non devo pagare niente in più di quanto stabilito. La guida ci invita quindi ad andare a vedere un villaggetto poco lontano, lo seguiamo. I  Tursi di questo villaggetto si mettono in posa per una fotografia, contrattiamo per 200 birr una foto di gruppo che ciascuno di noi potrà scattare, sembra tutto risolto e chiaro, ma poi notiamo che tutto è in discussione, vogliono di più, un Mursi blocca la nostra guida trattenendolo per il polso, mentre un ragazzetto va a bloccare la via di uscita, la situazione ci sembra che precipiti, siamo un po' preoccupati, ma non possiamo fare altro che restare tranquilli.

Comunque continuano le trattative: rimane l'accordo di 200 birr, ma con un numero inferiore di persone da fotografare; paghiamo e tutto si sblocca. Chiediamo poi al capoautista Jimmy la spiegazione  di quanto avvenuto, ma lui mi dice che è  stata tutta una messa in scena, comunque per noi vi è stato qualche brivido.Ritorniamo a  Jinka per il pranzo e quindi prendiamo la direzione di Arba Minch.La strada si dimostra un po' impegnativa per il traffico perché vi sono molte mucche che ritornando dal pascolo  nel villaggio o nella città, invadono la strada, ma i nostri autisti sono più preoccupati dei pedoni, che sono più indisciplinati degli animali. Nel centro della cittadina di Konso ci fermiamo per il mercato che ci appare molto tranquillo. Anche qui tutto è esposto per terra ed i negozianti vendono le cose che producono loro stessi. Il buio scende alle 18,30 e la strada diventa più pericolosa. La città di Arba Minch ha i pali ed i cavi dell’illuminazione lungo la strada, ma nessuna lampada è accesa; persone, animali, carretti, macchine sono numerosissimi ed il tutto a noi sembra molto pericoloso, mentre qui è normale. Il nostro lodge si trova alla periferia della città con una bella visione panoramica sui  due laghi di Abaya e di Chamo, divisi nel mezzo da una montagna chiamata Ponte di Dio.

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MARTEDI’ 22 AGOSTO

ARBA MINCH VILLAGGIO DORZE MERCATO DI CHENCHA ARBA MINCH

Non riconosco più la città di Arba Minch, vista 18 anni fa, la ricordavo un piccolo agglomerato di case  senza alcuna strada asfaltata, che mi aveva fatto immaginare il viaggio tra le tribù della parte sud della valle del fiume Omo impossibile se non per esperti e coraggiosi esploratori. Oggi le strade di Arba Minch sono ampie e spesso a doppia carreggiata con un traffico intenso. A qualche chilometro verso la periferia c'è un grande assembramento intorno ad una chiesa copta ortodossa. Oggi è una festa religiosa importante in onore della Madonna ed i fedeli sono tantissimi sia all'interno del cortile che all'esterno. La maggior parte tiene in mano una candela accesa, prega e canta seguendo le indicazioni di un sacerdote, che dall’interno del cortile parla attraverso un altoparlante potente. Ad un certo punto  viene steso sul terreno un lungo tappeto, su cui scorre una processione che porta fuori il quadro della Madonna, seguito dal sacerdote, coperto da un parasole; i fedeli continuano a pregare cantando e suonando; quello che ci colpisce di più è la gioia che esprimono, le nostre messe sembrano un rito serio, mentre quelle degli ortodossi copti sembrano un’esplosione di gioia e di felicità.Riprendiamo la nostra strada verso nord e ad un certo punto svoltiamo in una strada sterrata ed ampia di montagna, che sale fino a 1.700 metri sul livello del mare. Ci sono anche autobus di linea che salgono ai vari villaggi; sembra un po' di essere tra le nostre montagne e così arriviamo proprio alla casa del re dei Dorze. La padrona di casa ci offre il caffè che ha preparato su un fuoco posto nel centro della capanna. È una tipica capanna, la cui forma richiama la testa di un elefante: la parte anteriore assomiglia alla proboscide e due finestrelle laterali sembrano le orecchie. È alta circa 12 metri e può durare fino a 120 anni. Ogni anno si abbassa un po’ perché il legno di bambù, che la sostiene, nella sua parte più bassa  viene mangiato dalle termiti; ogni venti anni bisogna rifare il tetto con nuove foglie di falso banano. All'interno della casa vi è una parte riservata agli animali, che d'inverno riscaldano l'ambiente. Vi è anche una specie di magazzino per il cibo e per gli attrezzi. Producono il loro pane dalla raschiatura delle foglie di finto banano, che finisce sotto terra a fermentare per almeno tre mesi e viene poi cotto su una piastra sul fuoco vivo, schiacciato come una pizza all’interno di due foglie di banano. I Dorze si vestono normalmente, hanno i cellulari e sono ben organizzati. Nel villaggio hanno anche creato un modesto ma originale ed autentico eco-lodge . Insomma si stanno civilizzando, sta arrivando l'elettricità e pare non abbiano molti problemi. L'autobus arriva fin quassù, le banane e gli abbondanti manghi pendono dagli alberi, cominciano ad intravedersi case più nuove e moderne. Ci fa da guida Mekkonen, il figlio del re del villaggio, che è molto bravo nell’illustrarci gli usi ed i costumi della sua tribù ed a condurre i gruppi di visitatori. Ci porta nel centro del villaggio, dove vi è una specie di piazzetta; all'interno della capanna pubblica ci viene offerta l'injera con una salsa piccante  e del miele grezzo, ci viene inoltre offerta della grappa che viene bevuta tutta d'un colpo, a noi non piace molto, ma qualcuno fa anche il bis.

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Molti abitanti del villaggio vengono nella piazzetta a cantare per noi le loro canzoni, è uno spettacolo molto bello perché vi è una partecipazione convinta, si ha proprio  l'idea di un villaggio unito intorno al proprio capo ed alla propria cultura. Prima ballano e cantano da soli, poi coinvolgono tutti i visitatori. Con una breve passeggiata attraversiamo il villaggio e raggiungiamo un laboratorio tessile, dove una cooperativa tesse sciarpe e cappelli. Alla fine, le donne cercano di vendere i loro manufatti. Consumiamo il pranzo presso la capanna del villaggio ed alla fine ci viene offerto il caffè. Il pomeriggio andiamo a Chencha, un altro villaggio dei Dorze, per vedere il suo mercato, è diviso in settori, quello più vasto è quello delle patate, dei pomodori, delle insalate e dell’aglio, ma si vendono anche piccole fascine di fieno, recipienti di plastica, canne di bambù e foglie di falso banano.

Il villaggio è povero, i viaggiatori sono pochi, ma rappresentano una grossa novità; tanti bambini ci seguono e sono un po' insistenti. Le strade sono sterrate e nel mercato le piazzole di ciascun espositore sono circondate da un piccolo canaletto per impedire di venire allagate e diventare una pozza di fango dopo le piogge.

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MERCOLEDI’ 23 AGOSTO

ARBA MINCH PARCO NECHISAR

Durante la notte è sempre piovuto molto intensamente e continua a piovere anche di primo mattino, siamo preoccupati per la visita al parco, ma il capoautista Jimmy ci rassicura, tutto si svolgerà regolarmente. Il tempo un po' migliora, alle 9 andiamo nel centro di Arba Minch  per prendere con noi due guide locali ed una guardia del parco. L'ingresso del parco è ad una ventina di chilometri, prendiamo due motoscafi ed attraversiamo per una decina di chilometri il lago Chamo, dove si vedono ippopotami, coccodrilli, fenicotteri e pellicani. Vi sono anche alcuni pescatori che utilizzano le reti. Sbarchiamo sulla terraferma per fare una passeggiata nella boscaglia e vedere babbuini, scimmie e zebre di Burchell. È proprio una zona non antropizzata e direi poco turistica perché non c’è alcuna struttura. Camminiamo per un'oretta lungo dei sentieri percorsi dalle zebre e dai babbuini, il parco sembra poco significativo, non vi sono particolari panorami ed il nostro punto di arrivo è un posto qualsiasi e qui consumiamo il pasto al sacco.

Il ritorno in motoscafo ci sembra ancora più lungo perché è una ripetizione del tragitto dell'andata. Ad Arba Minch non c'è molto da visitare, per cui andiamo direttamente al nostro lodge Swaynes.All'interno del lodge sono in corso grossi lavori di ampliamento ed abbellimento, in particolare stanno costruendo delle capanne seguendo lo stile della tribù dei Dorze. Intorno ad una intelaiatura di  bastoni, vengono intrecciate lamine di bambù, sormontate da foglie di falso banano. In ogni angolo del lodge vi eseguono lavori per la sistemazione anche di giardini, di vialetti, di aiuole, di statue e per la costruzione di una grande piscina. Sarà un lodge di 5 stelle e potrà ben aumentare i propri prezzi. La situazione invece è un po' critica per quanto riguarda la corrente elettrica e soprattutto l'acqua, che in parecchi momenti viene a mancare.

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GIOVEDI’ 24 E VENERDI’ 25 AGOSTO

ARBA MINCH SODO ADDIS ABEBA ITALIA

Siamo tutti puntuali come sempre ed alle 7 partiamo per ritornare ad Addis Abeba. La strada fino a Sodo è tutta asfaltata ed è stata raddoppiata rispetto a quella che c'era 18 anni fa, è sempre percorsa da animali e gli autisti devono usare la massima prudenza perché, in caso di incidente, la colpa è sempre attribuita all'autista e non al proprietario dell'animale. La città di Sodo si dimostra totalmente cambiata rispetto alla cittadina povera che ricordiamo noi, ora è piena di palazzi e strade ampie, noi cerchiamo ĺa missione credendo di andare in quella dove eravamo stati ospiti di padre Gino nel 1999. Di fatto quella missione non esiste più, andiamo nella sede del vescovado, ma non vediamo nessun fedele, ma solo pochi preti ed il vescovo di origine etiope. Telefoniamo ed arriva subito padre Gino, ha 18 anni in più ed ha avuto problemi di salute, per cui   non è più quell'energico missionario pieno di forze e di attività che avevamo conosciuto noi. È anche molto demoralizzato perché il vescovo nominato lo scorso anno  etiope è di rito copto e padre Gino si sente quasi escluso dalla nuova realtà della chiesa cattolica etiope di Sodo interessata, secondo lui, più al guadagno che alla evangelizzazione e all'attenzione verso i poveri. Rimaniamo molto colpiti dalla nuova situazione che abbiamo trovato, ma il nostro incontro con padre Gino è emozionante. A lui affidiamo indumenti medicine e soldi che avevamo destinato alla missione di Sodo e che padre Gino porterà all’ospedale della città.

Dopo Sodo ci fermiamo presso un cratere, dove c'è un minimo di struttura turistica con una capanna per poter consumare il nostro pranzo.Addis Abeba si presenta come una metropoli ed ha avuto nell'ultimo ventennio un grande sviluppo con parecchie fabbriche poste alla periferia della città.

Anche tutto il centro è cambiato, è più pulito ed ordinato. La vecchia ferrovia per Gibuti è ormai in disuso ed è in via di ultimazione una nuova ferrovia elettrica costruita dai Cinesi.

Non ci rimane molto tempo, per cui andiamo nella centrale via Churchill per comperare qualche souvenir del nostro viaggio.

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La sera  andiamo a cena in un bel ristorante, dove ci viene servita una buona injera; un gruppo folcloristico suona strumenti tradizionali, mentre alcuni ballerini danzano sprigionando una grande energia fisica. Sembra una serata per turisti, ma è un’autentica espressione di un popolo forte.All’aeroporto salutiamo con grande affetto i nostri autisti e lasciamo loro una mancia molto meritata.

Il nostro viaggio è ormai finito, l’impatto con le popolazioni della bassa valle dell’Omo e con la realtà in cui vivono è stato veramente molto forte.

Siamo costretti a riflettere, ma è difficile tirare delle conclusioni perché tutte ci sembrano banali. E’ difficile stabilire un rapporto paritario quando le differenze tra due popolazioni sono troppo grandi ed alla fine ci interroga su cosa veramente ci serve per riempire la nostra la vita.

Spunti e riflessioni finali

La macchina del tempo non esiste, ma certamente nella valle dell’Omo il tempo sembra essersi fermato. La nostra esperienza è stata unica e, una volta a casa, continuiamo a vedere intatte nella nostra mente le immagini di un mondo ancestrale, destinato forse a scomparire ogni giorno sempre di più. E' stato un viaggio bello e forte, non tanto fisicamente quanto emotivamente. Nella valle dell’Omo uomini e animali, appena sorge il sole, devono iniziare a correre per arrivare interi e nutriti alla fine della giornata; anche i bambini sono costretti all’autonomia appena si reggono in piedi, alla stregua delle loro caprette appena nate.Pur con differenti origini e in perenne conflitto tra loro per il possesso di elementi vitali come acqua, pascoli e armenti, queste tribù hanno molte caratteristiche comuni: la religione animista, la poligamia, le scarificazioni corporali, la nudità, il potere assoluto dei maschi e la subalternità delle donne. Alcune etnie vivono di agricoltura, altre di pastorizia, altre ancora di caccia e di pesca. I corpi statuari degli uomini sono sempre abbelliti da collane, orecchini, bracciali, gonnellini, frammenti di ossi e avorio, perline di vetro, alluminio, legno, corteccia, conchiglie, semi... Il cranio rasato è coperto da arditi ciuffi, arricchiti di piume, creste e codini. La varietà nelle acconciature delle donne è incredibile: treccine spalmate di argilla e grasso, fermate da cilindretti di osso e legno, riccioli tagliati a caschetto o attorcigliati intorno alla testa. Lo stesso corpo è coinvolto in mille modi: scarificazioni, tatuaggi, cicatrici, piercing multipli, anelli al naso e il celebre piattello labiale. Questa inesauribile creatività risponde all’ esigenza di distinguersi in base all’età ed al gruppo di appartenenza e di farsi belli e attirare il partner. Siamo entrati in molti villaggi ed abbiamo visto, guardato e fotografato molte persone, ma non abbiamo saputo nulla o ben poco della loro vita, per quanti anni vivono, se sono felici o infelici. La nostra visita è stata comunque troppo veloce per poter capire un ambiente e persone molto diverse da noi. Qui è difficile sembrare turisti o viaggiatori, qui sembriamo ricchi e molto lontani da loro.

L’incontro con le varie tribù rivela in modo disarmante quanto noi occidentali ci siamo allontanati dall’essenzialità della vita e dai suoi ritmi naturali.

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Il nostro modo di visitare i villaggi è stato forse troppo rapido, in ogni villaggio abbiamo ascoltato per 30 minuti una guida locale che però non fa parte della tribù. Si viene notati da tutti gli abitanti, i quali cercano di mettersi davanti al nostro obiettivo e di attirare la nostra attenzione per chiedere un po' di denaro... Ci siamo sentiti spesso a disagio durante queste visite. Si arriva fin qui per ammirare, finché sarà possibile, un’umanità diversa e unica, che fa riflettere sulle differenti condizioni della specie umana e che consente, come una macchina del tempo, di tornare indietro per gettare uno sguardo sulla vita di millenni fa. Il viaggio è un difficile confronto senza una comunicazione diretta, è comunque un’esperienza da vivere con realismo. La valle dell’Omo non è un eden incontaminato. L’incontro con la gente dei villaggi non è né spontaneo, né innocente. Non c’è popolazione in quest’angolo perduto di Africa che sia rimasta indifferente alle lusinghe dell’industria turistica. Spesso si resta sorpresi o si rimane addirittura scioccati, dalla loro natura mercenaria, ma non si deve dimenticare che questo può essere il mezzo attraverso il quale i gruppi etnici traggono sostentamento economico per sopravvivere. Le tappe, da luoghi reali, diventano spazi della preistoria e della fantasia e si confondono nell’immaginario. La smisurata differenza di condizioni di vita tra la nostra e la loro, tra un bambino che ha tutto e uno che è nudo e scalzo e che gioisce se gli viene offerto un boccone di pane o una bottiglietta di acqua, è dovuta prima che alle capacità o alla volontà, al fatto di essere nato in un luogo anziché in un altro. Chi è nato nell’abbondanza, non ha meriti, ma ha avuto una fortuna gratuita, che come tale dovrebbe condividere con quelli meno fortunati. Si avrebbe così un mondo più giusto ed uguale per tutti.

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