Hourani - L'Islam Nel Pensiero Europeo

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«Separati dal conflitto ma uniti da legami di varia natura, cristiani e musulmani lanciavano gli uni agli altri sfide religiose e intellettuali. Cosa era in grado di comprendere l'una religione del- le affermazioni dell'altra?» Jeon-Uon Giromc. L'1tI(.mtatorc d, serpentI (panico!J.rc). Albert Hourani L'ISLAM NEL PENSIERO EUROPEO - 4 L. 12.000 >aggmc ,. ..

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«Separati dal conflitto ma uniti da legami divaria natura, cristiani e musulmani lanciavano gliuni agli altri sfide religiose e intellettuali. Cosaera in grado di comprendere l'una religione del­le affermazioni dell'altra?»

Jeon-Uon Giromc. L'1tI(.mtatorc d, serpentI (panico!J.rc).

Albert Hourani

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EUROPEO

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Una complessa e delicata rete di rela­zioni e conflitti economici, diplomatici,commerciali e culturali lega il mondo cri­stiano occidentalc alla «enigmatica e mae­stosa,. civiltà islamica. Ma i rapporti si fis­sano in «visioni,., ora banali Ofa sofisticate,e quasi sempre ideologiche. Quale fu allorain Europa la percezione dell'isiam nel cor­so dci secoli? Quali immagini della religio­ne e della società islamichc elaborarono neisecoli mercanti, viaggiatori, filosofi, teologie missionari, fino ai moderni professionistiuniversitari «di area,.?

In questo breve saggio uno dei massimispecialisti della cultura araba ridisegna iconfini del confronto e dello scontro, a par­tire dalla distorsione del pensiero religiosomusulmano e della figura di Maometto nellediatribe spiriruali e nelle confutazioni teolo­giche d'epoca medievale. All'inizio dell'etàmoderna, la fine della sfida militare e l'av­vio dell'espansionismo commerciale euro­peo indussero un aUnlemo delle conoscen­ze e dell'interesse; nel 1587 un regolare in­segnamento di arabo venne istituito alCollège dc France, e cattedre di arabo sor­sero a Leida, Cambridge e Oxford nellaprima metà del XVII secolo, divenendopresto fulcri di un dibattito sullo «spiritodel mondo» che aveva nell'islam il propriointerlocutore; un confronto che appassio­nerà filosofi c studiosi, da Kant a Maurice.da Carlyle a Stuart Mill, da Herder a He­gel e a Renan.

La Rivoluzione francese accese una di­scussione - a tutt'oggi più rimossa checonclusa - sull'essenza stessa della religio­ne e delle sue ricadute sociali. Si apriva

Saggine

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Finito di stampare il 29 aprile 1994per COnto di Donzelli editore s.r.l.

presso la StilGraf di Roma

un'epoca fervida di studi in cui prolifera­rono anche le immagini degli arabi quali«individui solitari c romantici,.., mentre!legel accostava il successo delle originidell'islam - il «trionfo dell'entusiasmo. ­al suo coevo, presunto ritiro dalla scenadella storia «nell'inerzia c nella tranquillitàorientale».

Se Ernest Renan fu forse la figura cen­trale nella formazione delle idee europeesull'islam, toccò ai linguisti c ai cultori difilologia comparata, nel corso del XIX se­colo, il compito di contrastare le indistintemitologie oricntaleggianti, congiungendosialla critica biblica c discutendo la dimen­sione «proferica» delle religioni monotci­sec. Al contempo, l'atteggiamento di stu­diosi spiritualisti come Massignon, criticiverso l'europeo «secolare furore di pene­trare, conquistarc, possedere», aprirà leporte allo studio della società islamica nelcomplesso delle sue articolazioni c diffe­renze, alle più sofisticate c rispettose «vi­sioni» dei mondi musulmani care agli antro­pologi sociali del XX secolo come GeerTz cGilsellan.

Alben Ilourani, professore emerito al StAntony's College di Oxford, è l'autore di operefondamentaJi sul mondo isiamico, quali Ambrethoughl in Ihe "berai age c Hi,tory o/Ihe Arabpeople, (Sloria dei papa" arabI, Milano 1992).

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Albert Hourani

L'ISLAM EL PENSIERO EUROPEO

Traduzione di Annalisa Merlino

DONZELLI EDITORE

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ID 1991 Cambridge University Press, CambridgeTitolo originale: Is/am in EUTopean Thought

Cl 1994 Donzelli editore, RomaISBN 88-7989-072-7

___ L'ISLAM NEL PENSIERO EUROPEO _

Indice

p. 9 1. Musulmani e cristiani

14 2. Una maggiore consapevolezza

22 3. Dispute teologiche ed evangelizzazione

32 4. Lo .spirito del mondo-

38 5.•Eroi della religione- e profeti

45 6. Una nuova disciplina: gli studi islamici

49 7. Un puro monoteismo

58 8. La teoria della «sostituzione-

68 9. Misticlsmo islamico e spiritualismo cristiano

71 IO. L'islam o le società islamiche?

79 11. Oriente e Occidente

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Questo saggio è basato sul testo di una conferenza leru neH'ambito dellef. D. Maurice Lectures al King's College di Londra (1986) e, in una versionemodificata, alle Tanner Lectures, nd 1989, alla Clare Hall. Le conferenzevennero pubblicate in Tann~ Lrctur~s on Human Values, XI, University o(Uta!> Pms, Salt Lake City 1m, pp. 223-87.

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L'islam nel pensiero europeo

1. Musulmani e cristiani.

Dal primo momento della sua comparsa, la religionedell'islam ha costituito un problema per l'Europa cristia­na. Coloro che la professavano erano il nemico alla fron­tiera. Nel VII e nell'VIII secolo gli eserciti che combatte­vano in nome del primo Impero musulmano, il Califfato,penetrarono nel cuore del mondo cristiano. Occuparonoprovince dell'Impero bizantino in Siria, la Terra Santa el'Egitto e dilagarono ad ovest in Nord Africa, Spagna e Si­cilia; e la conquista non fu solo militare: venne seguita nelcorso del tempo da conversioni all'islam su larga scala. Tral'XI e il XIII secolo ci fu un contrattacco cristiano, vitto­rioso per qualche tempo in Terra Santa, dove venne creatoun regno latino di Gerusalemme, e in maniera più durevo­le in Spagna. L'ultimo regno musulmano in Spagna fu di­strutto definitivamente nel 1492, ma a quell'epoca si stavaverificando una nuova espansione musulmana in altri ter­ritori, ad opera di dinastie appartenenti a popolazioni tur­che: i Selgiuchidi avanzarono in Anatolia e più tardi gliOttomani espugnarono quello che restava dell'Impero bi­zantino, ne occuparono la capitale, Costantinopoli, e dila­garono nell'Europa orientale e centrale.

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Ancora nel XVII secolo riuscirono ad occupare l'isoladi Creta e a minacciare Vienna.

I rapporti tra i musulmani e i cristiani d'Europa nonfurono tuttavia soltanto di guerra santa, di crociate e jihad.Scambi commerciali attraversavano il Mediterraneo e i lo­ro equilibri interni mutavano nel corso del tempo; dall'XIe XII secolo in poi i porti italiani moltiplicarono i lorocommerci e, nei secoli XV e XVI, nel Mediterraneo e nel­l'Oceano Indiano cominciarono ad apparire navi prove­nienti dai porti dell'Europa del Nord. Prese avvio ancheuno scambio di idee e in questo caso la spinta partiva so­prattutto dalle terre dell'islam verso quelle della cristianità:opere arabe di filosofia, scienza e medicina vennero tra­dotte in latino e fino al XVI secolo nelle scuole europee dimedicina furono in uso i testi del grande scienziato medi­co Ibn Sina.

Separati dal conflitto ma uniti da legami di varia natura,cristiani e musulmani lanciavano gli uni agli altri sfide reli­giose e intellettuali. Cosa era in grado di comprenderel'una religione delle affermazioni dell'altra? Per i pensatorimusulmani la posizione della cristianità era chiara. Gesùrientrava nella linea di autentici profeti che era culminatain Maometto, il .Sigillo dei Profeti., e il suo messaggio ve­ro era essenzialmente uguale a quello di Maometto. I cri­stiani avevano però travisato la loro fede: ritenevano illo­ro profeta un dio e credevano che fosse stato crocifisso. Laspiegazione che di questo davano abitualmente i musul­mani era che i cristiani avevano «corrotto» le loro scrittu­re, falsificandone il testo o travisandone il significato. Seinterpretate in modo corretto, sostenevano i pensatorimusulmani, le scritture cristiane non suffragavano le pre­tese relative alla divinità di Gesù e un passaggio del Cora­no chiariva che egli non era stato crocifisso ma era stato in

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qualche modo assunto in cielo. E ancora, i cristiani nonaccettavano l'autenticità della rivelazione fatta a Maomet­to, ma una corretta interpretazione deUa Bibbia avrebbedimostrato che essa aveva predetto la venuta di Maometto.

Per i cristiani, la questione era più problematica. Essi sa­pevano che i musulmani credevano in un solo Dio che po­teva essere considerato, neUa sua natura e nelle sue opere, lostesso Dio che adoravano i cristiani, ma non era facile perloro accettare che Maometto fosse un autentico profeta.1:evento centrale preannunciato dalla profezia del VecchioTestamento, la venuta di Cristo, aveva già avuto luogo; chenecessità c'era di altri profeti? L'insegnamento di Maomet­to, inoltre, era in sostanza la negazione delle dottrine basila­ri della cristianità: l'Incarnazione e la Crocifissione, e quindianche la Trinità e la Redenzione. Poteva il Corano essereconsiderato in alcun senso come la parola di Dio? Ai pochicristiani che ne sapevano qualcosa, il Corano sembrava con­tenere echi distorti di storie e di temi biblici.

Con poche eccezioni, i cristiani d'Europa che si inte­ressavano all'islam, durante il primo millennio del con­fronto, lo facevano sulla base di una sostanziale ignoranza.A dire il vero, a partire dal XII secolo si poteva disporredella traduzione latina del Corano; la prima venne eseguitasotto la direzione di Pietro il Venerabile, abate di Cluny.Alcuni lavori filosofici erano ben noti in traduzione, inparticolare quelli che portavano avanti la tradizione delpensiero greco. Vi era tuttavia una conoscenza molto limi­tata di quelle opere di teologia, legge e spiritualità nellequali ciò che era contenuto nel Corano veniva organizzatoin un sistema di pensiero e di pratiche. Vi erano pocheeccezioni; nel XIII secolo, alcune case domenicane in Spa­gna erano centri di studi islamici, ma anche questi declina­rono nei secoli successivi. Da parte musulmana ben di più

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si conosceva ed era anzi opportuno che si conoscesse. Icristiani continuavano a vivere in alcuni paesi musulmani,soprattuno in Spagna, Egino e Siria, e molti di loro aveva­no adottato la lingua araba. La conoscenza di quello cheessi credevano e praticavano era dunque possibile, ed eraanzi necessaria a fini amministrativi e politici; non si devetuttavia esagerarne la portata: i suoi limiti sono evidenti inopere come la confutazione di al-Ghazali della dottrinadella divinità del Cristo'.

Guardando all'islam con un misto di timore, sconcertoe disagio nel riconoscere una certa qual affinità spirituale, icrisciani potevano vederlo sono luci diverse. Talvolta l'affi­nità spirituale veniva riconosciuta. Esiste ancora, ad esem­pio, una lettera scritta dal papa Gregorio VII ad un principemusulmano d'Algeria, al-Nasir, nel 1076, in cui diceva:

c'è una carità che noi dobbiamo gli uni agli altri più che ad altri po­poli, poiché ammettiamo e riconosciamo un unico Dio, benché inmodi diversi, e Lo lodiamo e Lo adoriamo ogni giorno quale creato­re e reggitore del mond&.

Intorno a questa lettera sono sorte discussioni tra glistudiosi, ma sembra che ad essa non debba essere attribui­ta un'importanza eccessiva. È possibile che, dietro i! tonocaloroso e amichevole adottato da Gregorio, vi fosseromocivi pratici: la necessità di proteggere le comunità cri­sciane del Nord Africa che si andavano progressivamenteriducendo, la comune opposizione del papato e di al-Na­sir ad altri dominatori musulmani in Nord Africa, e forsei! desiderio dei mercanti di Roma di entrare nel giro dei

, a/-R4dd al-jamil li il4hiyat '[sa bi sarih a/-inji/, ,rado frane. Rif.tationaalknu de la droinit.i tU }esus-Christ d'après ks E'Vangi/es. il cura di R.Chiduc, Paris 1%9.

l Testo Ln PatTologia Latina, il cura di J. P. Migne, CXlVlII, Pam 1853,pp. 450-2.

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crescenci traffici del porto di Bijava nei domini di al-Nasir.In altre lettere, indirizzate a cristiani, Gregorio VII siespresse sui musulmani e sull'islam in toni più aspri. Non­dimeno, i termini in cui la lenera è scritta mostrano che al­l'epoca vi era una certa consapevolezza del fatto che i mu­sulmani non erano pagani, e questa è la cosa più sorpren­dente perché la lettera venne redatta poco prima dell'iniziodel più rilevante episodio di ostilità, le Crociate'.

Un'opinione più generalmente condivisa era quella checonsiderava l'islam un ramo collaterale di eresia del criscia­nesimo. Questo era il punto di vista del teologo cristianoche per primo lo prese in seria considerazione, San Gio­vanni Damasceno (ca. 675-749). Era stato egli stesso unfunzionario nell'amministrazione del califfo Umayyad aDamasco e conosceva l'arabo. Egli include l'islam in unasezione della sua opera sulle eresie crisciane: crede in Dio,ma non nconosce alcune delle verità essenziali della cri­stianità e a ca~s~ di q~esto .rifiuto anche le verità che accet­ta sono destituIte d, SIgnif,cato. La credenza P'Ù larga­mente diffusa, tunavia, era quella diametralmente opposta:l'islam è una falsa religione, Allah non è Dio, Maomettonon era un profeta; l'islam è stato inventato da uomini, icui motivi e i! cui carattere andavano condannati, e propa­gandato con la spada'.

J Dibattito, in R. Lopez.! Le (adeur iconomiqut dans la politiqu~ africai­ne des Paper, In cRevue hlstonque~J 198, 1947, pp. 178-88; C. CounoisGrigoire VII et l'Afriq,ue du nord, in .Revue histonquc... 195, 1945, pp. 97~122. 193-226; J. Henrunger, Sur la contribution lks missionaius à la connais­sance de /'ls/am. fUTtON! pendant le Moyen Age. in .Neue Zeiuchrift furMissionswisscnschafo., 9,1953, pp. 161-85; B. Z. Keder, ENropean Approa­chef lO'W4rds the Muslims, Princeton, N. J. 1984, pp. 56-7. Devo la compren­sione di questO episodio aUa cortesia di David Abulafia.

•San Giovanni Damasceno.~ Hanesibus. in Patrologla CrfUCil, a curadi]. P. Migne, xcv, Paris 1860, pp. 764-74.

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2. Una maggiore consapf!1lolezza.

Qualunque cosa i cristiani d'Europa pensassero del­l'islam, non potevano negare che si trattasse di un ele­mento importante della storia umana, un elemento sulquale era necessario fare chiarezza. La conoscenza delmondo islamico si accrebbe all'inizio dell'era moderna,tra il XVI e il XVIII secolo, e per alcuni versi la sua natu­ra mutò. Entro il XVIII secolo era cessata la sfida milita­re da parte dell'Impero ottomano, dato che l'equilibriodella potenza militare si era spostato. I progressi nellanavigazione rendevano possibile l'esplorazione del mon­do da parte di navi europee e una espansione dei com­merci europei nel Mediterraneo e nell'Oceano Indiano, ecominciavano a sorgere degli insediamenti europei. Allecomunità commerciali italiane, che esistevano da moltotempo nei porti del Mediterraneo orientale, se ne aggiun­sero altre: Aleppo, uno dei centri più imporranti delcommercio del Vicino Oriente, aveva varie comunità, in­cluso un certo numero di mercanti inglesi (Shakespearene accenna due volte, nell'Otel/o e nel Macbeth)'. Anchemercanti portoghesi, olandesi, francesi e inglesi si inse­diarono in alcuni porti indiani. Cominciarono a delinear­si relazioni politiche di nuovo genere: gli stati curopci in­sediarono ambasciatori e consoli nei domini ottomani,benché il sultano ottomano non abbia avuto propri am­basciatori permanenti in Europa fino al tempo delleguerre napoleoniche. Si discutevano trattati e alleanze:francesi e ottomani strinsero un patto contro gli Asbur­go, e gli inglesi, e altri, cetcarono di stabilire relazionicon gli scià sifarditi dell'Iran.

I w. Shakespure, Maeb~tht Acto r, Scena 5; Ot~/k). Arto VI Scena 2.

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Man mano che le relazioni si intensificavano, crescevaanche la consapevolezza intellettuale. L'importanza chel'islam aveva rivestito per studiosi e pensatori andò sceman­do: le controversie religiose dell'Europa della Riforma edella Controriforma vertevano su un nuovo ordine di pro­blemi, e lo sviluppo della scienza e della medicina europeeridimensionarono il valore di quello che era stato scritto inarabo. Per alcuni versi, tuttavia, l'islam aveva ancora unacena rilevanza all'interno degli interessi religiosi dell'epoca.Anche se la filologia comparata non esisteva ancora comedisciplina scientifica, veniva generalmente riconosciuto ilfatto che l'arabo aveva una stretta parentela COn le linguedella Bibbia, l'ebraico e l'aramaico, e che lo studio di quellalingua avrebbe POtuto gettare luce sulle altre due; anche laconoscenza dell'ambiente del Vicino Oriente, nel quale gliavvenimenti raccontati nella Bibbia avevano avuto luogo,avrebbe potuto aiutare a spiegarli. Presso la classe colta, iviaggi, i commerci e le letture contribuirono a creare unacerta consapevolezza del fenomeno, insieme maestoso edenigmatico, della civiltà islamica, che si estendeva dal­l'Atlantico al Pacifico, con la lingua araba come lingua fran­ca, l'idioma più diffuso che fosse mai esistito. Questa consa­pevolezza fu espressa da Samuel Johnson: -Ci sono due og­getti di curiosità: il mondo cristiano e il mondo maometta­no. Tutto il resto può essere considerato barbaro»'.

Quanto incidevano questi mutamenti nell'atteggiamentoverso l'islam? Lo spettro di possibili pregiudizi esisteva anco­ra. Ad uno degli estremi c'era il rifiuto totale dell'islam comereligione. Con questo spirito Pasca! intitolò il diciassettesimodei suoi Pensieri .Contro Maometto». Cristo, asscriva, è tut-

, Boswd/'s Life 01Johmon, a cun di G. Birkbee.k Hill, 0:1. riveduta a cu­ra di L. F. PoweU: Oìcford 1934, IV, p. 199.

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to ciò che non è Maometto. Maometto è privo di autorità, lasua venuta non era stata preannunciata, non ha operato mira­coli, non ha rivelato misteri: «Qualsiasi uomo avrebbe potutofare ciò che ha fatto Maomeno; nessun uomo avrebbe potutofare ciò che ha fatto Gesù•. Maomeno ha percorso la via delsuccesso umano; Gesù Cristo è morto per l'umanità'.

Questi temi continuarono ad essere riproposti, ma conil passare del tempo si verificò un significativo cambiamen­to di enfasi: alla denigrazione di Maometto come uomo siandò sostituendo un più ampio riconoscimento deUe suequalità umane e delle sue straordinarie imprese. Per questoJoseph White, docente di arabo all'Università di Oxford,scelse come soggetto delle sue conferenze del ciclo Bamp­ton del 1784 cuna comparazione tra l'islarn e il cristianesi­mo partendo dalle origini, dalle testimonianze e dagli effet­ti.'. Egli non accetta che la comparsa dell'islam sia stata unevento miracoloso o che abbia giocato alcun ruolo nel dise­gno provvidenziale per l'umanità. Si tratta di una religionepuramente naturale, nutrita di prestiti dalle scritture ebrai­che e cristiane. Anche il suo successo può essere spiegato intermini naturali, con la corruzione della Chiesa cristianadeU'epoca da una pane, e la personalità del profeta daU'al­tra. Lungi daU'essere il «mostro di ignoranza e di vizi. di­pinto dagli autori cristiani, Maometto era, a detta di White,«una personalità straordinaria ricca di splendidi talenti e diprofonda ingegnosità [...] dotata di una grandezza di pen­siero in grado di tener testa agli assalti deUa sfortuna con[...] la sola forza di un genio audace e fecondo.'.

J B. Pascal, Prnsies. n. 17 (trad. it. Prnsini, Torino 1962).•Strmons Preachea before the University ol0xford, in the Year 1784, al

the ucr.ure founaed by the RnJ. Jobn Bampton, London 1785, 1;& ed., l bUi., pp. )65 sgg.

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Per spiegare un tale mutamento nell'enfasi e nel giudi­zio, bisogna considerare la maggiore conoscenza dell'islame alcuni cambiamenti intervenuti nei riguardi deUa religionein quanto tale. Joseph White e i suoi contemporanei pote­vano attingere a duecento anni di cultura europea. li primostudio sistematico dell'islam e deUa sua storia nell'Europaoccidentale risale alla fine del XVI secolo. Nel 1587 ebbeinizio l'insegnamento regolare dell'arabo al Collège deFrance di Parigi; i primi due docenti furono due dottori inmedicina, e questo è significativo di uno degli aspetti percui la conoscenza deU'arabo era importante all'epoca; il ter­zo fu un prete maronita del Libano, e anche questo è signi­ficativo per un altro verso, poiché testimonia la prima colla­borazione tra gli studiosi europei e quelli indigeni'. Subitodopo, nel 1613, una cattedra di arabo venne istituita al­l'Università di Leida nei Paesi Bassi, e il primo ad occuparlafu un famoso erudito, Thomas van Erpe. In Inghilterra, unacattedra fu creata a Cambridge nel 1632 e una a Oxford nel1634. Da questo momento ebbe inizio uno studio serio eapprofondito delle fonti arabe, dal quale la figura umana diMaometto emergeva in termini più chiari.

Per seguire questo sviluppo limitandoci all'Inghilterra, ènecessario iniziare da colui che per primo tenne la cattedraad Oxford, Edward Pococke (1604-91). Egli trascorse duelunghi periodi nel Vicino Oriente, prima ad Aleppo comecappellano dei mercanti inglesi, e poi a Istanbul. In entram­bi i luoghi collezionò manoscritti o se li fece copiare. Unadelle opere scaturite dai suoi studi fu lo Specimen HistonaeArabum, la cui introduzione dimostra la portata deUa cono­scenza acquisita da un dotto suo pari: include genealogie

, P. Casanova, L'enseignement de L'arabe au CoLJège de France. Pans1910.

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arabe, informazioni sulla religione dell'Arabia prima del­('islam, una descrizione dei principi basilari dell'islam e unatraduzione di uno dei credo, quello di al-Ghazali'. Allasvolta del secolo, George Sale (ca. 1697-1736) eseguì la pri­ma accurata traduzione inglese del Corano, a sua volta tri­butaria di una recente versione latina, quella di LodovicoMarracci. Anche in questo caso l'introduzione è importan­te; in essa si pone la questione dei disegni di Dio a propositodella venuta di Maometto. Egli non fu, così riteneva Sale,direttamente ispirato da Dio, ma Dio ha usato le sue incli­nazioni e i suoi interessi umani per i Suoi scopi: ~essere unflagello per la Chiesa cristiana i cui membri non vivevano inmaniera adeguata alla sacra religione che avevano ricevu­to»'. Questo era possibile solo grazie alle straordinarie qua­lità di Maometto: la sua convinzione di eSSere stato manda­to a ripristinare la vera religione, il suo entusiasmo (nel Sen­so proprio del XVIII secolo di forti emozioni non comple­tamente trattenute dai freni della ragione), la sua intelligen­za sagace e penetrante, la buona capacità di giudizio, l'indo­le cordiale e i modi amabili e cortesi.

Nella stessa generazione Simon Ockley (1678-1720)pubblicò una History of tbe Saracens che contiene una de­scrizione di Maometto in termini simili. Egli non era unprofeta ispirato, ma un uomo di ragguardevoli imprese, chenon solo preservò la conoscenza e la saggezza dei tempi an­tichi, ma promosse una riforma morale. Gli arabi ripristina­rono in Europa «COSe di Universale Necessità, il Timore diDio, il Controllo dei nostri Appetiti, una Economia pru­dente, la Decenza e la Sobrietà del Comportamento»'.

1 E. Pococke, Speeimen Histor1ae Arabum, Oxford 1806, nuova ed.I G. Sale, Thc Koran, London 1734, in Preliminary disrouTse, p. 38.·S. Ockiey, Thc History o/che Saracens, London 1718, Il, p. Il, 2'" ed.

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Di pari passo con l'aumento della conoscenza si veri­fi Ò un mutamento nel modo di considerare la religione einvero nel significato della parola stessa «religione». ComeWilfred Cantwell Smith ha esposto nel suo libro, TbeMeaning and End of Re/igion, l'uso moderno del terminecompare nei secoli XVI e XVII. Nei tempi precedenti ave­va semplicemente designato le forme di culto, ma ora erapassato ad indicare qualsiasi sistema di credenze e di prati­che elaborato da esseri umani. Se il termine viene usato inquesta accezione, allora vi possono eSSere differenti reli­gioni, tutte degne di studi speculativi e di riflessione".

Questo risveglio di curiosità per le molteplici formedello spirito religioso è chiaro, ad esempio, nella vita diRobert Boyle (1627-91), noto «fisico» e uno dei fondatoridella Royal Society. Nella sua autobiografia, Boyle descri­Ve una crisi spirituale di cui era stato vittima negli annigiovanili. Durante il Grand Tour aveva visitato un mona­stero certosino vicino Grenoble, e Il era stato sopraffattoda «pensieri così strani e spaventosi e da dubbi così scon­volgenti su alcuni dei fondamenti del cristianesimo» daaVer provato la tentazione di suicidarsi finché «alla finepiacque a Dio [...] restituirgli il perduto senso della Sua be­nevolenza»". Da questa crisi egli trasse una benefica lezio­ne: «indagare con serietà sui fondamenti del cristianesimo,e ascoltare quello che sia i turchi sia gli ebrei, nonché leprincipali sette del cristianesimo, asserivano a sostegnodelle loro diverse opinioni. Il. Era solo sulla base di questaricerca, egli riteneva, che le proprie convinzioni potevano

lO W. CanrwcU Smith, Thc Meaning and End ofRe/igum, London 1964.Il R. Borie, An account of Philaretus, dunng his minority, in Worh of

the Hon. Robert Bayk, London 1744, I, p. 12.Il Ibid.

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essere fermamente ancorate. Nel suo testamento diede di­sposizioni per una serie di conferenze, da tenersi annual­mente, volte a dimostrare l'autenticità della religione cri­stiana contro «atei, rcisti, pagani, ebrei e maomettaru. lJ•

Quando il cristianesimo veniva visto in questa luce, neisuoi rapporti con le altre religioni, e quando tutte questevenivano considerate sistemi di credenze e di pratiche ela­borati da esseri umani, si potevano trarre varie conclusio­ni. Era possibile ritenere il cristianesimo differente da tuttele altre religioni, nelle sue origini e nella sua dottrina, maera anche possibile considerarle tutte come prodotti dipensieri e sentimenti umani, e sostenere che il cristianesi­mo non fosse necessariamente l'unica religione o necessa­riamente la migliore.

In alcuni scrittori del XVIII secolo, in verità, c'era unatendenza a utilizzare le vicende e la missione di Maomettocome un modo indiretto per criticare il cristianesimo, al­meno nella forma in cui le chiese lo avevano insegnato.Maometto poteva essere presentato come un esempio de­gli eccessi del fanatismo e dell'ambizione e i suoi seguacicome esempi dell'umana credulità; in alternativa, potevaessere visto come uno che predicava una religione più ra­zionale, o più vicina ad una fede puramente naturale, diquanto non fosse il cristianesimo.

Questo era il punto di vista di alcuni pensatori francesidel XVIII secolo e possiamo sentime un'eco nelle dichiara­zioni di Napoleone sull'islam. Nel proclama arabo emana­to quando sbarcò in Egitto nel 1798 egli assicurò gLi egizia­ni che i francesi «adorano Dio molto più di quanto nonfacciano i musulmani e rispettano il Profeta e il glorioso

IJ L. T. More. The Life and Works DJ the Hon. Roba-t Boyk. London1944, p. 132.

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orano [...] i francesi sono degli autentici musulmani ....Non c'è dubbio che in questo vi fosse della propaganda po­litica, ma c'era anche dell'ammirazione per le imprese diMaometto (un argomento su cui Napoleone sarebbe torna­to più tardi nel corso della sua vita), e una certa visione dellareligione: c'è un Dio o Essere Supremo, la cui esistenza puòes ere compresa con la ragione, ma la cui natura e le cui mo­dalità di intervento sono state distorte dalle specifiche reli­gioni; di queste religioni si può tracciare una classificazione,a seconda di quanto il loro insegnamento si avvicini a quellaverità verso la quale ci può guidare la nostra ragione.

Un'idea di questo tipo poteva essere formulata in moltimodi, da una genuina convinzione razionale ad un quasi to­tale scetticismo o agnosticismo. Edward Gibbon ha un pun­to di vista prossimo allo scetticismo, ma Maometto gli appa­riva in una luce altrettanto favorevole di quanto potesse ap­parirgli qualunque altro capo religioso. Il capitolo 50 dellaStona della decadenza e caduta dell'Impero romano è dedi­Cato a Maometto e alla nascita dell'islam. È un'opera di note­vole erudizione, basata su vaste letture di opere della culturaeuropea e anche sugli scritti di viaggiatori come Chardin,Volney e Niebuhr. Gibbon ha su Maometto un'opinione,che viene formulata con molta chiarezza, favorevole fmo adun certo pUnto. Maometto, egli ritiene, ha «un genio origi­nale e superiore., formato in solitudine, così come deve es­sere: «la comprensione si arricchisce col dialogo, ma la verascuola del genio è l'isolamento•. Il prodotto dell'isolamentoè stato il Corano, «una gloriosa testimonianza dell'unità diDio•. Esso esprimeva l'idea di «un essere infmito ed eterno,senza forma né luogo, senza principio, senZa alcunché di

• 1< 'Abd al-Rahman al-Jabarti, Aja'ih a/-athar fi'I-t4rajim wa"-akhbar.Curo, AH 1322/1904-5, tu, p.~.

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rassomigliante a lui, presente nei nostri pensieri più riposti,che traeva dalla sua propria natura una necessaria ragione diesistenza e aveva in se stesso ogni perfezione intellettuale emorale». Questo è, aggiunge Gibbon, «un credo forse trop­po sublime per la nostra comprensione»; per questa ragionevi sono in esso dei pericoli e Maometto non ne era immune:

L'unicità di Dio è un conceno quanto mai congeniale alla naturae alla ragione, sì che bastarono forse pochi contatti con ebrei e cri­stiani ad inculcugli disprezzo e odio per il paganesimo della Mecca[...] le energie del suo spirito focalizzate sempre su questo obiettivo.quell'obbligo generico divenne per lui una vocaz.ione personale; lesue ardenti immaginazioni e concezioni Sii puvero ispirazioni dcicielo [...] come la coscienza possa vivere IO un inceno ed equivocodormiveglia a mezza via fra l'illusione c la frode valanuria.

Gibbon ipotizza che, quando Maometto cominciò aconseguire maggiori successi, le sue motivazioni possanoaver subito un cambiamento:

Uno spirito caritatevole porrebbe credere che il movente originariodi MaomettO fosse un puro e sincero amore per gli uomini. Però [...]l'ingiustizia della Mecca e la scelta di Medina rrasfomurono il citadinoin un principe, l'umile predicatore in un condottiero di eserciti [...] unpolitico potrebbe sospettare che egli [...] sogglùgn",se segretamente di­nanzi all'enrusi3.Smo della gioventù e alla credulicl dei proselitiu.

(Troviamo qui quello che sarebbe diventato un temafamiliare della cultura europea, la differenza tra il Mao­metto della Mecca e quello di Medina).

3. Dispute teologiche ed evangelizzazione.

All'inizio del XIX secolo gli europei che pensavano al­l'islam potevano assumere nei suoi riguardi due tipi di atteg-

" E. Gibbon. Tb. D.cline and Fan or ,b. Roman Empi.... cap. 50 (u.d.iL Stona tk/Ja Jecadenza e caduta dell'/mptTO romano, Tormo 1967).

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giamento (naturalmente con una serie di varianti all'internodi entrambi). Potevano vedere l'islam come il nemico e riva­le del cristianesimo, che usava alcune verità cristiane per ipropri scopi, oppure come una delle forme che la ragione eil sentimento umani hanno assunto nel tentativo di conosce­re e definire la natura di Dio e dell'universo. Comune ad en­trambe queste posizioni era il riconoscimento del fano cheMaometto e i suoi seguaci avevano giocato una parte impor­tante nella storia del mondo. A quell'epoca, inoltre, era piùdifficile non prendere una qualsivoglia posizione nei riguar­di dell'islam, come nei riguardi delle altre religioni del mon­do, a causa dei mutamenti in corso nelle relazioni tra l'Euro­pa e i popoli dell'Asia e dell'Africa tra i quali prevalevanoreligioni diverse dal cristianesimo. I commerci si andavanoespandendo man mano che venivano inventati e adonatinuovi sistemi di produzione e si andavano sviluppandonuovi mezzi di comunicazione: la nave a vapore, la ferroviae il telegrafo. L'espansione dell'Europa portò come conse­guenza nuove conoscenze sul mondo esterno e creò anchenuove responsabilità: la sovranità di inglesi, francesi e olan­desi si estese ai porti e all'entroterra dei paesi intorno al MarMediterraneo e all'Oceano Indiano, e il dominio russo si al­largò a sud verso il Mar Nero e ad est verso l'Asia.

In questo secolo si verificò dunque un rinnovamentodelle opinioni sull'islam. Esse assunsero molte forme, chedifferivano in una certa misura a seconda delle esperienzedelle varie nazioni europee. In Inghilterra, e tra i britannicidell'Impero, un incentivo all'idea dell'antagonismo tra cri­stianesimo e islam venne fornito dal nuovo spirito religio­so delle chiese evangeliche: l'idea che la salvezza risiedesolo nella coscienza del peccato e nell'accettazione delVangelo di Cristo, e che chi sa di essere salvato ha il dove­re di mettere gli altri a confronto con questa verità. Tale

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confronto si rendeva ora possibile su più vasta scala ri­spetto a prima, grazie alla crescita delle attività missionarieorganizzate e grazie al fatto che l'Impero in espansione, el'Impero indiano in particolare, offrivano spazi di grandiopportunità ma anche di grandi responsabilità.

In generale, l'atteggiamento dei missionari che erano sta­ti toccati dallo spirito evangelico era di ostilità nei confrontideU'islam, e riconosceva la necessità di convertire i musul­mani. Thomas Valpy French (1825-91), preside del StJoOO'sCoUege di Agra e più tardi vescovo di Lahore, può servireda esempio. Fin dai primi tempi del suo lavoro di missiona­rio egli si formò la convinzione che «cristiani e musulmanisono diversi quanto la terra e il cielo e non potrebbero maiessere leali gli uni con gli altri.'. In seguito rinunciò alla suacarica di vescovo perché riteneva suo dovere andare a predi­care il Vangelo in Arabia, nel cuore del mondo deU'islam;morì durante il viaggio in queUe terre, a Muscat.

In alcuni casi il confronto era diretto, e abbiamo testimo­nianza di almeno due di questi. Nel primo si trattò di unacontroversia tra Henry Martyn (1781-1812), un famoso mis­sionario dell'India, e due teologi iraniani Shi'i, durante la vi­sita di Martyn a Shiraz nel 1811. I punti principali in discus­sione riguardavano questioni che erano sempre state centralineUe polemiche tra musulmani e cristiani. Il Corano è unmiracolo? Martyn lo negava e i mulLi esprimevano il puntodi vista ortodosso secondo il quale il Corano è unico e ini­mitabile, e questa è la prova deUa sua origine divina. La ve­nuta. di Maometto era stata prea~unciata dalla Bibbia? An­che In questo caso I mulLi forruvano la versIOne ortodossa:era stata preannunciara, ma il testo deHa Bibbia era stato cor-

I H. Birks, Life and COrTespontknce o[ Thonuu Valpy French, London1895, I, p. 69.

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rotto o frainteso dalla Chiesa. Le qualità morali di Maomet­to e dei suoi seguaci erano tali da giustificare la convinzioneche l'islam fosse di origine divina? Qui la discussione si spo­stava su temi concreti: il numero deHe mogli del Profeta e ladiffusione dell'islam per mezzo deHa forza delle armi'.

Una controversia di tipo più diretto ebbe luogo adAgra nel 1854, tra Karl Pfander, un missionario tedesco alservizio deUa Società missionaria della chiesa, e un teologomusulmano, Shaikh Rahmatullah al-Kairanawi. pfanderera stato educato nella tradizione di un pietismo tedesconon dissimile daUa dottrina deUe chiese evangeliche. Inco­raggiato da alcuni funzionari evangelici deHa CompagniadeUe Indie orientali, egli esercitò una politica attiva di pre­dicazione e di scrittura, pubblicò un lungo libro sul pecca­to e la salvezza e fu sfidato ad un pubblico dibattito daShaikh Rahmatullah. L'argomento principale verteva sulquesito se le scritture cristiane fossero state alterate in mo­do da celare la prova deUa futura venuta del Profeta Mao­metto. Il dibattito non giunse a conclusione perché Pfan­der si ritirò dopo la seconda sessione, ma dai resoconti ap­pare evidente che non stava avendo la meglio neUa tenzo­ne; Rahmatullah aveva una certa conoscenza delle nuoveacquisizioni deUa critica biblica tedesca, che aveva appresoda un medico musulmano indiano che conosceva benel'inglese, e se ne servÌ per porre la questione dell'autenti­cità e dell'autorità deUa Bibbia in una nuova luce'.

Non erano solo i missionari ad essere intrisi del nuovospirito evangelico. Anche molti degli ufficiali inglesi in In-

: Per Martyn si veda S. Lee. Contro'Uer5ia/ Tracts on Christianity andMohammedanism, Cambridge 1894.

) A. Powell, Mawlana Rahrruu Allah Kairanawi and MU5/im-Cbristiancontrooersy in India in the mid-19th century, in «Joumal of thc Royal Asia­tic Society., 1976, pp. 42-63.

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dia ne erano contagiati. Uno di loro, William Muir (1819­1905), era presente al dibattito di Agra. Pochi anni primaaveva scritto un anicolo, La controversia maomettana, chemanifestava la totale opposizione al1'islam che era caratte­ristica degli evangelici. L'islam, diceva, era

il solo manifesto e formidabile antagonista del cristianesimo [...] unnemico attivo e potente [...]. Ed è proprio perché il cmaomcnismoltdichiara un'origme divina, ed ha preso in prestito tante delle armidel cristianesimo, che è un avversario così pericoloso~.

In seguito, dopo che la sua carriera indiana era giuntaal termine, Muir divenne preside dell'Università di Edill­burgo e scrisse una famosa Life ofMuhammad, destinata arimanere per molti anni il Libro inglese di riferimento sul­l'argomento. Esso contiene praticamente lo stesso messag­gio del precedente articolo. Maometto riuniva in sé qualitàbuone e cattive, con il lato cattivo destinato a prevalerenell'ultima pane della sua vita. È un inganno supporre chel'islam sia una sorta di cristianesimo, o che possa rappre­sentarne una preparazione evangelica: -C'è in esso tantaverità, verità presa in prestito dalle precedenti Rivelazionima a cui è stata data un'altra forma, da distogliere l'atten­zione dalla necessità di molto di più.'.

Al di fuori delle schiere dei cristiani evangelici, è pro­babile che si stessero diffondendo atteggiamenti di altro ti­po, quelli cioè che discendevano dall'idea che l'islam è, en­tro i suoi limiti, un'autentica espressione dell'umana ne­cessità di credere in un Dio, un Dio che abbia valori suoipropri. Questa idea veniva espressa, in forma piuttostoconfusa, in un lavoro destinato ad avere vasta e durevoleinfluenza nel mondo di Lingua anglosassone: la conferenza

•W. Muir. Thc Mohammcdan Contnwcrsy, Edinburgh 1897, pp. 1-63.'Id., Th. Lii. oiMohamm.d, Edinburgh 1912, p. 522, ed. riveduu.

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di Thomas Carlyle su L'eroe come profeta, pubblicata nel1841 in On Heroes, Hero-Worship and the Heroic in Hi­story. Carlyle riconosce Maometto come profeta, in basealla sua stessa definizione di spirito profetico: _una grandeanima silenziosa: egli era di quelli che non possono fare ameno di vivere in sincerità•. Maometto era conscio del-grande mistero dell'esistenza [...] il fatto ineffabile, "Ecco­mi qua!"•. In un ceno senso egli era ispirato:

Una tale luce era venuta, come aveva potutO, a illuminare le te­nebre della selvaggia anima di questO arabo. Un confuso, abbaçlian­te splendore, come di viu discesa dal cielo [...] egli lo chiamò nvela­zione, lo disse "angelo Gabriele; chi di noi pouebbe ancor oggi sa­pere come chiamarlo?'

Tra coloro che seguivano le conferenze di Carlyle c'eraF. D. Maurice, un teologo guida della chiesa d'Inghilterra,che sollevò polemiche e qualche sconceno ai suoi tempi eanche dopo; John Stuan Mill, che non condivideva le sueidee, disse di lui: «c'è più spreco di capacità intellettuale inMaurice che in qualsiasi altro dei miei contemporanei.'. Inuna lettera Maurice lodava la carità insita nell'opinione diCarlyle su Maometto, ma era in disaccordo con la sua ideadi religione. Carlyle, diceva, -considera il mondo comeprivo di centro e la dottrina cristiana come solo uno deicasi fittizi di cui certe azioni [...] si sono rivestite.'.

Qualche anno più tardi Maurice espresse le sue opinionisulle altre religioni nel libro The Religions of thc World andTheir Relations with Christianity. Si trattava di conferenzetenute all'interno del ciclo istituito da Robert Boyle, nella

•Th. Carlyle, On H~s. Hero-Worship and the H"oic in History,lec­ture 2, The h"o as prophet (trad. iL Gli "oi e il culto degli "oi e l'eroico ntl­ia storia, Torino 1936).

,J. S. Mil!, AHrob;"~TaéY, London 1873, p. 153.• F. M.urice, TI>< uJ. oiFrtdtnd. D<niscn MaNna, London I88i, I, p. 282.

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sessione 1845-46. Maurice era docente di letteratura e storiaal King's College di Londra, in procinto di diventare profes­sore di teologia nella stessa università; questo avveniva qual­che anno prima della controversia che doveva portare allasua destituzione da quella cattedra. Nelle lezioni Maurice ri­volgeva la sua attenzione ai problemi sollevati, egli riteneva,dalle circostanze proprie del suo tempo e del luogo. 1.:In­ghilterra stava diventando un paese colonizzatore; c'era laresponsabilità di predicare il Vangelo ai non-cristiani, e que­stO comportava la necessità di conoscere le loro religioni e iltipo di rapporti che il cristianesimo aveva con le stesse. Asua volta questo poneva un altro problema. Cos'è il cristia­nesimo? È solo una tra le religioni del mondo, o ha una po­sizione privilegiata che le assegna un posto fuori della mi­schia e le conferisce una verità che le altre non possiedono?Maurice si dichiara cosciente del fatto che è sopravvenuto.un mutamento straordinario nei sentimenti degli uominiverso i sistemi religiosi». Sorgono domande inquietanti:

Non r.otrebbero territori particolari essere adattati a religioniparticolan? (...] Non potrebbe essere vicino un giorno m.igliore, incui si scopra che tutte le religioni in eguale misura hanno compiuto b.propria opera in parte di bene, in parte molto maggiore di male, e incui qualcosa di molto più ampio e soddisfaceme ne prenda il pOSto?

La grande rivoluzione politica della fine del XVIII se-colo aveva dato origine all'accusa secondo cui le religionivenivano tenute in vita nell'interesse di politici e preti, equesta accusa veniva rivolta tanto al cristianesimo quantoalle altre religioni. Fu dunque necessario chiedersi cosarealmente fosse la religione'.

, Id., Thc Religions 01 the World and Tbeir Relatums with Chrutianity,London 1847, pp. 3 sgg.

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Per Maurice, l'essenza della religione era .la fede nelcuore degli uomini•. Egli intendeva con questo qualcosa diben preciso: la fede per lui non era semplicemente una qua­lità umana, una parte essenziale della costituzione di un es­sere umano: essa derivava dalla 'rivelazione di Dio all'uo­mo, non è [semplicemente] un generico sentimento pio oreligioso che gli uomini possono nutrire riguardo a Dio».Questa rivelazione contiene un messaggio: che Dio esiste eha manifestato la Sua volontà a beneficio degli esseri uma­ni, che la Sua volontà è di amore, che essa si è rivelata pro­gressivamente nella storia, e questa progressione è statacompletata in una persona, la perfetta immagine di Dio,'uno spirito che unisce e concilia, che eleva [gli uomini] aldi sopra delle forme guaste e delle ombre della terra. IO.

Maurice esamina ognuna delle religioni più elevate allaluce di questo principio. Quando giunge all'islam. primadi tutto prende in considerazione cinque interpretazionifalse o inadeguate del suo successo. Non si può spiegaresemplicemente con la forza delle armi: da dove venivaquella forza, se non dalla potenza e dalla natura della fededei musulmani? Non era il risultato dell'umana credulità,poiché questo non potrebbe dar conto del motivo per cuil'islam sia sopravvissuto e abbia prosperato con tanto vi­gore. Non si può dire che l'intero messaggio dell'isIam siastato mutuato dal Vecchio e dal Nuovo Testamento: Mao­metto deve almeno esserne stato ispirato, essi .devonoaver preso possesso di lui». La personalità di Maometto, laforza della sua convinzione e della sua esaltazione nonpossono da sole costituire l'unica ragione: bisogna anchedimostrare come mai questa personalità ha avuto un effet­to così forte e durevole sul genere umano, e questa è la co-

"Ibid., p. 151.

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sa più difficile da spiegare perché la religione che egli pre­dicava condanna qualsiasi forma di venerazione rivolta ad. .essen umaru.

Vi è un'altra spiegazione? Il succeSSO dell'islam può eS­sere visto come un giudizio di Dio sulle nazioni colpevoli:i popoli cristiani d'Occidente che avevano perduto le virtùcristiane ed erano sprofondati nel culto di immagini, di ce­rimonie religiose e di teorie filosofiche, e i pagani che nonavevano conosciuto il cristianesimo o l'avevano conosciu­to ma lo avevavo rifiutato? Nel formulare questa ipotesiprobabilmente Maurice riecheggia il pensiero espresso inun libro che aveva leno: Mahometanism Unveiled (1822)di Charles Forster, un'opera che può essere definita biz­zarra nel migliore dei casi (il nipote di Forster, il roman­ziere Edward Morgan Forster, andò oltre e disse che i suoiscrini -sono privi di valore»)". Il tema del libro è cbeMaomeno rappresentava l'antagonista di Cristo, ma la suavita ha avuto nondimeno un disegno provvidenziale:combanendo contro l'idolatria, il giudaismo e le eresie cri­stiane, l'islam ha potuto -volgere indirenamente il corsodelle cose» verso il cristianesimo e ha svolto quindi unruolo _essenziale per il recupero e la definitiva perfezionedella pura fede»".

Maurice riteneva che ci fosse del vero in questa teoria:l'islam aveva davvero riportato nel mondo _il senso diuna Volontà divina onnipotente, a cui ogni volontà uma­na dovrebbe inchinarsi», l'affermazione di un eSSere nondipendente da noi, la base dell'esistenza dell'uomo. Essocondivide con il cristianesimo alcune verità essenziali:che vi è un Dio che fa conOSCere la sua Volontà al genere

Il E. M. Forster, Mananne Thornron, londan 1956, pp. 145, 163.l: C. Forster, Mahometanism Un'Ve;~d. Londan 1829,1, p. IOSi li, p. 351.

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umano, che il suo Verbo è registrato in un Libro che pos­siamo considerare Senza alcun dubbio un'autorità, e chetutti coloro che aCCenano questa verità formano un cor­po o comunità chiamata da Dio all'opera di predicarequesta verità. In tal modo l'islam ha servito un utile dise­gno nel mondo richiamando gli uomini alla conOSCenZadi queste verità, e in questo senso si può dire che Mao­metto ha avuto una chiamata da Dio. La sua testimonian­za ha salvato la Chiesa: cii Medioevo gira intorno [aMaometto] [...] più di quanto io avessi mai immaginatofinché non mi sono trovato a rifletterci più approfondita­mente. Non ci sarebbe stata alcuna fede in Cristo se nonci fosse stata quella piena e risoluta affermazione di unDio assoluro_ lJ•

Questa «testimonianza maomettanalt aveva tuttavia insé qualche mancanza. Secondo il parere di Maurice, il Diodell'islam è pura e semplice volontà: non -un grande esseremorale che si degna di sollevare le Sue creature dalla lorodegradazione, e rivela loro ciò che Egli è e perché li hacreati». Se presa in considerazione da sola, la volontà puòfacilmente diventare un piano destino e condurre all'indif­ferenza o alla disperazione. Per Maometto, la storia nonporta con sé -alcuna speranza di progresso», e la religioneche è cominciata con lui è simile a tune le religioni delmondo tranne il cristianesimo: «schemi frammentati, divisi,superstiziosi, tesi a propiziarsi un Essere restio e non beni­gno, perché essi non sono stati capaci di percepire il puntounificante, perché sono stati obbligati a crearlo, in qualcheposto nel mondo naturale o nel mondo spirituale»".

l) Mauric~The Life ofFndmdt Dmiwn Maurla cit., p. 239.l' IbiJ., p. 230; Maurice, Thc Rdigicm of the World cìt., pp. 10 sgg.,

135 'gg.

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4. Lo .spirito del mondo>.

Il libro di Maurice è un segno dello svilupparsi dell'ideache considera le religioni come tentativi dell'uomo di dareforma a qualcosa che viene dal di fuori del mondo umano,«la fede nel cuore degli uomini•. Visti in questa prospetti­va, il Corano e la vita del Profeta potrebbero essere giudi­cati al peggio come una distorsione di idee prese da altrereligion~ e al meglio come una valida ma limitata testimo­nianza della verità. Senza tornare indietro di molto, è pos­sibile rintracciare questo modo di considerare la religionenel pensiero di Immanuel Kant (1724-1804). In un'operatarda, La religione entro i limiti della sola ragione, Kant di­stingueva la «vera religione. dalle «fedi ecclesiastiche•. La«vera religione., diceva, contiene due elementi: la leggemorale, un'intuizione resa chiara dalla ragion pratica, e uncerto modo di considerare quella legge, come un comanda­mento divino; l'esistenza di Dio è vista come il necessariopresupposto dell'imperativo morale. Per quanto riguarda le«fedi ecclesiastiche., queste sono basate sulla credenza inuna scrittura rivelata, e dovrebbero essere giudicate dallamisura in cui si conformano o meno alla «vera religione•.Tra di esse il cristianesimo ha una posizione unica, perchési tratta della fede che più pienamente esprime la «vera reli­gione., e offre all'umanità il supremo esempio dell'idealemorale, ma è possibile che altre fedi rappresentate nellescritture esprimano la «vera religione., almeno in parte'.

Questa linea di pensiero fu approfondita da uno stu­dioso della generazione successiva, Friedrich Schleierma-

l I. Kant. D~ Religwn inn~halb Jer Grenun Jer b/opm Vernunft. inW.,.k., • cura di W. Weisched.~ Berlin 1984, IV, pp. 654-879 (trad. it. LA re­ligione mtro; limiti dd/a sola ragione, Modena 1941).

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chcr (1768- 1834), che aveva qualcosa di esplicito da diresull'islam. Nel suo Ober die Religion: Reden an die Gebil­deten unter ihren Veriichtem, in Kritische Gesamtausgabe(1799)', sosteneva che la base di ogni religione è il senti­mento umano, ma forse la parola «sentimento. è troppodebole per esprimere ciò che egli intende; un interprete delsuo pensiero lo ha definito come «un metodo di compren­sione oggettiva [...] una sorta di penetrazione delle cosespirituali.'. Più precisamente, è la comprensione del fattodi essere completamente dipendenti, o - in altri termini - diavere un'inevitabile relazione con Dio (che egli chiama an­che «lo Spirito del Mondo.). Si tratta di un sentimentouniversale, presente in tutti gli esseri umani. È anteriore alconoscere e all'agire, ma gli esseri umani cercano di ordi­nario in idee ed esprimerlo in azioni, e questi tentativi han­no dato origine a diverse comunità religiose, ognuna fon­data da un «eroe della religione., e ognuna dotata del suomodo peculiare di articolare il sentimento religioso in teo­logia e pratica. Tali comunità differiscono tra loro nel­l'enfasi che pongono sull'uno o sull'altro aspetto della rela­zione tra Dio e l'uomo, e la pienezza con cui esprimono ilsentimento di dipendenza che è il terreno comune a tutte.

È possibile, dunque, tracciare una scala delle religioni. Inun lavoro successivo Schleiermacher compie una distinzio­ne tra coloro che accettano l'idea di dipendenza da un unicoEssere Supremo e coloro che non l'accettano. Tra le religio­ni monoteiste ce ne sono tre importanti, il giudaismo, il cri­stianesimo e l'islam, o forse sarebbe meglio dire che ce ne

J F. Schleiermacher, Ober die Rdigion: Reckn an die Gebildeun unlerihrm Vtriichtern. in Id., Kritische Gesamtausgabe. Berlin 1984, Il, parte l, pp.185-326 (tr2d. il. Discorsi sulla religione. Fu-cnzc 1947).

'H. R. M.ckintnsh, Type. orMod<rn Theoi<>gy, London 1937, pp. 31 sgg.

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sono due, dal momento che il giudaismo è in via di estinzio­ne. Il cristianesimo e l'islam -ancora si contendono il domi­nio del genere umano.'. Nel prendere in esame questa con­tesa, Schleiermacher scrive come un cristiano convinto chcla sua fede sia senza ombra di dubbio superiore. AttraversoCristo, egli ritiene, l'idea di dipendenza viene espressa conuna -gloriosa chiareZZa>, e a questo si aggiunge l'altra ideasecondo cui tutto ciò che è limitato necessita di un interces­sore più alto per essere POrtato in armonia con Dio. In ognicaso, tutte le religioni sono corrotte, persino il cristia­nesimo; questo è inevitabile quando l'Infinito discende nellasfera del tempo e si piega all'influenza dell'intelletto fInito.

essun uomo o nessuna comunità possiede l'interezza dellareligione, ma tutti hanno in sé una parte della verità: ciòesclude l'idea -che la religiosità cristiana come minimo varapportata alla maggioranza delle altre formazioni comequella vera a quelle false [...] l'errore non sussiste in sé e persé, bensì sempre e solo nel vero, ed esso non è stato maicompreso pienamente finché non si è trovato il suo rappor­to con la verità, e il vero cui merisce.'.

Tali idee costituivano uno stimolo all'esame di quei fat­tori storici che avevano orientato lo sviluppo delle diversereligioni e avevano assegnato ad esse la loro parte di verità ei loro limiti. Per la maggior parte degli scrittori dei primi se­coli, e anche per molti del XIX secolo come Maurice, islamvoleva dire il Corano, il Profeta Maometto e le prime con­quiste dei musulmani. Non c'era molto il senso di una cul­tura, di un corpo di idee, di pratiche e di norme che si erano

• F. Schleiermacher. Der Chn"ltliche Glaube, in Id., Samtliche Werkt',Berlin 1842, III, parte J. p. 47, r ed. (trad. iL LA dottrina della fede, in OpereSa/l<, Brescia 1981,1, p. 188).

'lbid., p. 42 (crad. n. pp. 182·3).

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sviluppate nel tempo e che erano ancora vive. Durante laprima metà del XIX secolo, tuttavia, sarebbe emerso un di­verso punto di vista sulla questione, man mano che si anda­va sviluppando l'idea che tutte le credenze, le culture e lenorme vengono forgiate dal fluire della storia. Prendere inesame differenti culture e società, e le religioni che avevanogiocato una parte importante nel costruìrle, e considerarletutte all'interno di una visione generale della storia del­l'umanità, era il progetto di un altro pensatore tedesco dellastessa generazione, Johann Gottfried Herder (1744-1803).

eI suo Ancora una [doso[la della storia per l'educazionedell'umanità, egli sostenne che le unità di base dell'umanitàerano i popoli Onazioni, formatisi all'interno di uno specifi­co ambiente fisico attraverso la graduale evoluzione di unsistema di vita che si esprimeva in usanze e credenze. Ognu­no di questi popoli si distingue per la sua lingua, e ogniaspettO della sua vita è connesso con tutti gli altri: _tutte leopere di Dio hanno la loro stabilità in se stesse, e nella lorobella coerenza•. Questi popoli diversi non possono esserericondotti l'uno all'altro né, oltre un certo puntO, para­gonati l'uno all'altro. Herder scriveva all'inizio del periododi espansione europea e rifiutava l'impossibile tentativo di

un'Europa unita per erçersi il despota e costringere tutte le nazionidel mondo ad essere felIci secondo i suoi parametri [...] un pensieroarrogante di questo genere non costituisce un tradimento contro lamaest3. della natura ?l'

Il fine della storia non è che un solo popolo si impongasugli altri, ma piuttosto il raggiungimento di un equilibrioe di un'armonia tra i popoli.

•J. G. Herder,lcJun zur PhiJosoph~ Ju Geschichre deT Mcnschheir. Ri­ga e Leipzig 1784-91, u. p. 206 (uad. it. Ancora una filosofia della sroria perl'educazione tkWumanità, Torino 1951).

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In questo contesto cosa si dovrebbe dire dell'islam, opiuttosto degli arabi, dal momento che l'islam, secondo ill'arere di Herder, era l'espressione dello spirito arabo? Eglinteneva che gli arabi, «fin dai tempi più remoti, hanno nu­tr:i t? conce~ ~ublimi>. Es~i erano «per la maggior parte in­dlV1dUl sohtan e romantICI>. (In quest'epoca una certa im­magine degli arabi del deserto come nobili figure cominciòa~ app~rir~ in alcuni scritti europei, ~oprattutto nell'operadl un v,awatore olandese, Carsten NlCbuhr, che considera­va i beduini come coloro che avevano conservato la naturalebontà del genere umano: «libenà, indipendenza e sempli­cità.). Secondo il parere di Herder, Maomeno aveva pona­to alla luce ciò che era già latente in Arabia, con l'aiuto diidee cristiane e giudaiche così come lui le conosceva. Il mo­vimento a cui diede origine mostrava insieme la forza e ladebolezza tipiche di queste tendenze. Fu creato e sorrettodalle. v.irtù ?el des:rto, a cora.ggio e la fedeltà; riscattò gliuonunl dall,dolatna de, poten della natura e li rese adora­tori dell'unico Dio, e li innalzò anche da uno stato selvaggioad «un grado medio di civiltà>. Quando le virtù del desertosi indebolirono, la civiltà araba cessò di progredire, ma la­sciò qualcosa dietro di sé: la lingua araba, «la loro ereditàp~ù nobile~, non patrimo"!o d.eg1i arabi soltanto, ma legamed, comunione tra le naZIOnI quale non era mai esistitoprima? (Herder scriveva in un'epoca in cui l'arabo era anco­ra la lingua franca di una larga parte del mondo civilizzato).

Una generazione più tardi, un altro tentativo di daresignificato all'insieme della storia dell'umanità fu compiu­to da Georg Wilhelm Friedrich Hcgel (1770-1831). NelleLezioni sulla filosofia della storia, tenute all'Univcrsità diBerlino negli anni venti, la sua categoria di base non è dis-

, Ibid., Il, pp. 151-2; IV, pp. 239-67.

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simile da quella di Herder e si fonda sull'idea di uno spiri­to specifico che crea e anima una società e una cultura.Tuttavia le relazioni tra i diversi spiriti non sono viste nel­lo stesso modo. Per Herder esse sono collegate da tensionie conflitti che possono alla fine risolversi in armonia edequilibrio; per Hegel sono tutte manifestazioni o fasi dcl­l'unico Spirito universale, e sono ordinate su di una scalatemporale. Tutto ciò che esiste nel mondo può essere vistonella linea di uno sviluppo storico, che porta dentro di sé ilproprio significato e il proprio fine. La storia è «la rivela­zione dello Spirito nel processo di rendere manifesto ciòche è potenziale>; la fine del processo sarà la Libenà, defi­nita come la piena realizzazione dell'essenza degli esseriumani nell'ane, nel pensiero e nella vita politica. I mezziattraverso cui lo Spirito si realizza sono le passioni e gli in­teressi di ogni essere umano. La storia umana è dunquecomposta da fasi diverse, in ognuna delle quali lo Spirito simanifesta in un panicolare spirito o una panicolare vo­lontà locale o nazionale. Questo spirito è dominante nellasua epoca, ma ha i suoi limiti ed è attraverso la negazionedi questi che un nuovo spirito ha origine in un altro popo­lo; una volta che questo è avvenuto, il ruolo dello spiritonazionale che esprimeva la fase precedente è finito.

Qual è il postO dei musulmani e degli arabi in questoprocesso? Essi vi hanno giocato un ruolo fondamentale, poi­ché la loro era la società umana in cui lo Spirito si era incar­nato in una delle fasi dci suo sviluppo. Il loro ruolo consiste­va ncll'asserire .il principio della pura unità: niente altro esi­ste - niente può diventare stabile -l'adorazione dell'Uno ri­mane il solo vincolo attraverso cuj tutto ritrova unità».

L'accettazione e l'affermazione di questo principio dapane dci musulmani ha prodotto uomini di grande levaturamorale, che avevano «tutte le virtù che sono di pertinenza

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della magnanimità e del coraggio•. Tuttavia la fona stessadel I:'rinc~pi~ contene~a in ~é i suoi limiti. Il trionfo degliarabI era Il tnonfo dell entusIasmo, che portava avanti l'ideadell'universalità, ma su quella base niente è sicuro. Una voltache l'entusiasmo è morto, non è rimasto nulla: <<l'islam è giàda lungo tempo scomparso dal piano della storia del mon­do, e ricaduto nell'inerzia e nella tranquillità orientale.'.

5.•Eroi della religione> eprofeti.

In tali sistemi di pensiero l'islam ha giocato solo unaparte secondaria, ma nelle due generazioni successive sial'islam che la lingua araba dovevano assumere un'impor­tanza diretta in alcune questioni centrali del pensiero coltoeuropeo. Si sviluppò un nuovo genere di studi, quello del­le lingue nelle loro relazioni reciproche. Appariva chiaroor":lai da tempo che alcune lingue erano simili: le linguedenvate dal latino, o dall'ebraico, dal siriaco e dall'arabo.Verso la fine del XVIII secolo, tuttavia, fu elaborata unanu~va teoria. Nel 1786 Sir William Jones (1746-94), unerrunente studioso inglese di cose orientali, allora residentea C~lcu~a in 9ualità di giudice presso la Compagnia delleIndIe onentali, fece osservare che vi erano somiglianze divocabolario e di struttura tra il sanscrito, alcune lingue eu­ropee. e forse .anc~e il persiano antico. Può darsi che eglinon sIa stato il pnmo a notarlo, ma la sua idea fu ripresasoprattutto dagli eruditi tedeschi come Franz Bopp (1791­1876). Man mano che si studiavano le relazioni tra quelle

•.G. W. F. Hege/, Vork,.ng<n _ber die Phiu,sophie <kr G.schi<:h". inId., 5amtlK:he Wtrk~J Sruttgart 1928, XI, pp. 453-9 (trad. it. uzioni sulla filo­sofIa cklla storia, Firenze 1975, IV, p. 50).

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che vennero definite le lingue «indo-europee. o «ariane.,divenne chiaro non solo che esse erano simili, ma ancheche esistevano principi sulla base dci quali una lingua, ouna forma di linguaggio, poteva essersi sviluppata daun'altra, e che un certo numero di lingue simili potevanoavere radici comuni. Questa teoria sembrava applicabilenon solo alle lingue indo-europee ma anche alle altre;l'ebraico, il siriaco, l'arabo ed altre potevano essere consi­derate costituenti la «famiglia. delle lingue semitiche.

In tal modo si sviluppò la scienza della filologia com­parata, ora assorbita dalla linguistica, almeno nei paesi dilingua anglosassone, ma indubbiamente una delle scienzepiù feconde del XIX secolo, perché era molto più che unostudio della struttura e della storia del linguaggio. Almenoin tedesco e in francese, il termine «filologia. si riferiva al­lo studio non solo delle lingue ma anche di ciò che è statoscritto in esse: i testi che costituiscono un retaggio del pas­sato, e in particolare quelli che esprimono una visione col­lertiva dell'universo e della posizione dell'uomo all'internodi esso. Herder aveva messo l'accento sul fatto che l'uma­nità è divisa in nazioni, ognuna delle quali guarda a se stes­sa e all'universo attraverso lo strumento di un linguaggiospecifico; questa idea fu ripresa da Wilhelm von Hum­boldt (1767-1837) e altri, e divenne un luogo comune delpensiero nell'età del romanticismo.

Un'importante derivazione dello studio della filologiacomparata è rappresentata dalla scienza o pseudo-scienzadella mitologia comparata, sviluppata da F. Max Miiller(1823-1900) c altri. Alla base c'era l'idea che i più antichiprodotti letterari di un popolo - i racconti popolari e gliscritti religiosi - avrebbero rivelato, se studiati sulla base diuna rigorosa analisi linguistica, la sua mentalità essenziale ela sua intima storia: quel processo attraverso il quale una

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religione più alta e un pensiero razionale si erano sviluppatial di fuori delle storie e dei miti. In tal modo lo studio com­parato delle lingue, correttamente impostato e perseguito,poteva diventare uno studio dei popoli con le loro specifi­che mentalità, una sorta di storia naturale dell'umanità. Adalcuni filologi questo studio appariva come una forza libe­ratrice: dimostrando che i testi religiosi erano un modo pri­mitivo di rappresentare la verità attraVerso i miti, esso po­teva rendere il pensiero libero di esprimerli razionalmente.

Questo sistema di idee era destinato ad avere un effettoprofondo e di lunga durata su vari campi di studio. Costituìuna delle spinte per la creazione della scienza dell'antropo­logia: lo studio di alcune società che ancora esistevano maerano attestate ad un livello più basso dello sviluppo attra­verso il quale erano passate le società più avanzate. Essodiede vita anche a una certa visione della storia culturale chenon tucci i filologi accettarono. Tale visione venne espressacon forza da Ernest Renan (1823-92), una delle figure fon­damentali nella formazione delle idee europee sull'islam.

L'autobiografia di Renan, Souvenirs d'enfance et de jeu­neHe, trasmette bene il senso della sua personalità'. Essaracconta di come, al seminario di Sainc Sulpice di Parigi,egli perse la fede cattolica nella quale era stato allevato, mamancenne una serietà di fondo nella ricerca della verità. Re­nan riteneva che il metodo attraversa il quale questa ricercadoveva essere condotta fosse quello della filologia. Parlòpersino di .religione della filologia., cioè della fede nel fat­to che uno studio accurato dei testi inquadrati nel lorocontesto storico potesse rivelare la natura non solo di unpopolo ma dell'umanità intera: .l'unione della filologia e

. I E. Renan, Sou'Wnin d'mfana: et d~jtunt$~. in Oeuf)~s complite!, Pa­ns 1948, Il, pp. 711- 931.

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della filosofia, della dottrina e del pensiero, dovrebbe costi­tuire la natura dell'attività intellettuale del nostro tempo.'.

La sua vita fu consacrata a questa attività. Scrisse sullafilologia delle lingue semitiche, sulla storia degli ebrei esulle origini del cristianesimo, e pubblicò anche uno stu­dio sul filosofo islamico Ibn Rushd (Averroè). Renan rite­neva che questi studi conducessero a una importante con­clusione: che vi è un corso naturale di sviluppo delle co­munità umane. Queste ultime possono passare attraverso~re stadi di crescita culturale: il primo è quello della lette­ratura religiosa e dei miti, dell' .umanità che progetta sestessa per un mondo di sua immaginazione., il secondo èquello della scienza e il terzo, verso il quale l'umanità simuoverà nel futuro, sarà quello di una sintesi tra la scienzae un senso «religioso» di unità con la naturaJ

Renan pensava che i diversi popoli avessero differenticapacità per muoversi lungo questo sentiero. La natura diuna lingua de<ermina la cultura che può essere espressa at­traverso essa, e i popoli sono perciò in grado di produrreculture a vari livelli. Vi è una gerarchia di popoli, lingue eculture. Allivello più basso stanno i popoli che non hannomemoria collettiva, cioè che non hanno cultura. Sopra diloro ci sono le prime razze civilizzate, i cinesi e altri, chepossono elevarsi fino a una certa altezza e non oltre. An­cora sopra si trovano le due .grandi e nobili razze-, la se­mitica e la ariana. Le civiltà più alte si sono sviluppate dal­l'interazione tra queste ultime, che hanno però fornitocontributi di tipo diverso'.

: Id., L'RfJenir de la scUna:, in Otl4VTes complitel, Paris 1949, m, p. 836.'H. Wanlman, Ern... Rman: A Criticai Biograpby, Lonàan 1964, pp. 46-7.• E. Rman, Hisloire ginbale et système compari cks Iangues simiriques,

in Oeuvrrs computes, Pans 1948, VIU, pp. 585 sgg.

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Lo spirito semitico ha prodotto il monoteismo - e ilcristianesimo e l'islam hanno conquistato il mondo - maesso non può produrre niente altro, niente miti, quindinessuna letteratura o arte di livello più alto, a causa della«eccessiva semplicità dello spirito semitico, che chiude ilcervello umano a qualsiasi idea sonile, a qualsiasi senti­mento delicato, ad ogni ricerca razionale, per menerlo aconfronto con un'eterna taurologia: Dio è Dio.'.

Questo ha di conseguenza impedito lo sviluppo dellascienza. In una lezione su lslam e scienza, Renan ha riba­dito questa tesi in altri termini:

Chiunque sia SUolO in Oriente o in Africa sarà rimasto colpitodalla sona di cerchio di ferro in cui è imprigionata la lesta del cre­dente, che lo rende completamente chiuso alla scienza e incapace diaprirsi a qualcosa di nuovo'.

È lo spirito ariano che ha creato tuttO il resto: la vitapolitica nel senso reale del termine, l'arte, la letteratura - ipopoli semitici non hanno nulla di tutto questo, a parte unpo' di poesia - soprattutto la scienza e la filosofia. Su que­sti argomenti cnoi siamo totalmente greci»; persino lescienze cosiddene arabe rappresentavano una continua­zione delle scienze greche, portate avanti non dagli arabima dai persiani e dai greci convertiti, cioè da ariani. Ancheil cristianesimo nella forma in cui si è sviluppato è opera dieuropei. Il futuro dell'umanità giace dunque nel grembodei popoli d'Europa, ma ad una imprescindibile condizio­ne: la distruzione dell'elemento semitico nel processo dicivilizzazione e del potere teocratico dell'islam'.

) Id., De la pari des peHp/es simitiques clans ['bistoire de la citJilisaticn, inOeuvres complites. Paris 1948, Il, p. 333. .

'Id., L'jsiamisme et la wnce. in Oeuvres compl.ètes, Pans 1942, I. p. 946.'Id., De la parr ciI., pp. 332-3.

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Si tranava di un attacco violento che contcneva in sé unelemento di metafora: Renan stava nflenendo non solo sulmondo dell'islam ma anche sulla chiesa cattolica romana esulla spiritualità di Saint Sulpice. Le sue teone provocaronouna forte reazione. Jamal al-Di n al-Afghani (1839-97), unoscnttore e politico musulmano che credeva nella possibilitàdi un rinnovamento dell'islam, scrisse una risposta alla le­zione su lslam e scienza', e un giovane erudito ebreo un­gherese, Ignaz Goldziher (1850-1921), replicò alle teorie diRenan sui miti: nel suo libro Der Mythos bei den Hebriiernund seine geschichtliche Entwickelung, egli sostenne che gliantichi ebrei erano stati in realtà capaci di creare miti, e al­cuni di questi erano inglobati nelle scritture, che potevanoanzi essere comprese solo se venivano interpretate alla lucedelle nuove discipline della filologia e della mitologia'.

Un tenrativo dotto strettamente connesso alla fùologiafu la critica biblica, cioè lo studio dei testi del Nuovo e delVecchio Testamento attraverso una precisa analisi linguisti­ca, allo scopo di accertare quando e da chi erano stati scnni,in che modo sono collegati l'uno all'altro, e qual è la realtàstonca che riflettono, direttamente o indirettamente. Que­sto filone di ncerca doveva condurre a risultati destinati adessere importanti per lo studio dell'islam. Per quanro ri­guardava il Vecchio Testamento, le conclusioni della «criticapiù colta» trovarono espressione nei Prolegomena zur Ge­schichte lsraels, pubblicati nel 1878, di Julius Wellhausen(1844-1918). Da una primitiva religione mosaica, egli soste­neva, era emerso il giudaismo, un monoteismo etico predi-

• Djem.a.leddin al-Afghani, L'islamisme tt la sama, in .Journal des IX­bau» (18-19 maggio 1883), ristampato in A. M. Goichon, lA réfutation desmacbialisus. Paris 1942, pp. 174-89.

9 I. Goldziher, Der Mychos bei den Htbrii~ und seme gtKhichtlichtEntwidulung, Leipzig 1876.

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cato dai profeti; la legge e i rituali erano venuti in seguito".Analogamente uno studio condotto sul Nuovo Testamentosembrò dimostrare che il -Gesù storico. era venuto prima esolo più tardi si erano sviluppate le dottrine e le norme chevengono chiamate «cristianeslmo-.

SiHatte teorie potevano essere adottate per fornire unachiave di lettura dello sviluppo storico di tutte le religioni:prima di tutto c'era un santo o un profeta, un -eroe dellareligione., per usare il termine di Schleiermacher; solo piùtardi veniva organizzato un sistema religioso articolato indottrine, leggi, pratiche e norme. Queste idee avevano unachiara attinenza con la storia dell'islam. Visto in questa lu­ce, infatti, l'islam poteva rivestire un particolare interesseper gli studiosi delle religioni. Maometto era stato l'ulti­mo, in ordine di tempo, degli -eroi della religione., coloroche si dichiaravano profeti e che venivano accettati cometali dai loro seguaci; egli era apparso in un periodo relati­vamente al quale c'era abbondanza di documentazionestorica e la sua vira, le sue azioni e i suoi discorsi erano sta­ti interamente riportati nell'Hadith (Le tradizioni del Pro­feta) e nella Sira (la sua biografia tradizionale). In tal modoi metodi messi a punto dagli studiosi della Bibbia poteva­no essere usati per gettare luce sulle origini e sullo svilup­po dell'islam, e questo a sua volta poteva aiutare a spiegareil modo in cui altre religioni, più distanti nelle origini enon così accuratamente documentate, si erano sviluppate.

Ritroviamo questi argomenti nell'opera dello stessoWellhausen che, oltre agli studi sul giudaismo, scrisse sullastoria islamica dei primi anni. Egli riteneva che la cono­scenza dell'Arabia pre-islamica e della formazione del­l'islam potessero aiutare a spiegare il modo in cui gli ebrei

ICI J. Wellhausen, Prokgorntna ZHr G~schichte /sTads, Berlin 1883.

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erano entrati nella storia. Il profeta o l'eroe religioso veni­va per primo, e così nei suoi studi islamici egli pose l'ac­cento sulla vita e sulla personalità di Maometto, fondatoree capo di una comunità". In questo caso, tuttavia, tale lineadi pensiero era destinata ad avere un esito che forse non erastato previsto. La _piena luce della storia., in cui Maomet­to sembrava aver vissuto, risultò non essere affatto una lucepiena. Alla fine del XIX secolo alcuni studiosi misero indubbio che l'Hadith rappresentasse un'autentica testimo­nianza di ciò che il profeta aveva detto e fatto, anche se po­teva ancora essere considerato valido sotto altri aspem.

6. Una nuO'Va disciplina: gli studi islamici.

La migliore conoscenza del mondo al di fuori del­l'Europa, l'ampliamento della curiosità intellettuale su tuttociò che concerneva sia la terra che il cielo, lo stimolo fornitodalle speculazioni dei filosofi e dalle indagini dei filologi edegli studiosi della Bibbia: tutto ciò porrò allo sviluppo diuna specifica tradizione di studi islamici, allento accumulodi conoscenze e di comprensione basati sullo studio dei testiscritti, e in una certa misura anche sull'osservazione direttadella realtà viva. Questo lavoro dotto, iniziato nel XVII se­colo e continuato attraverso il XVIII e il XIX secolo fino adoggi, è forse di interesse più durevole delle formulazioniteoriche che gli hanno dato slancio e direttiva.

Ci volle molto tempo prima che gli studi islarnici diven­tassero una disciplina a sé; in molte università costituivanosolo un'appendice agli studi ebraici e biblici, e in alcune

.. Id., R~srt arabiscber HtUUntumes, Berlin 1887; Id., Prokgormna zuriiltestm Geschichtt des Islams. Berlin 1899.

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convivono ancora in una non facile coabitazione e in peri­colo di rimanere tagliate fuori dalle principali correnti dellavita accademica. Questi studi sono stati condotti, fino atempi recenti, da un numero limitato di persone. Nelle uni­versità d'Europa, due delle cattedre create all'inizio dell'eramoderna rivestivano una suprema importanza: quella diLeida, in cui continuava la tradizione iniziata con van Erpe,e quella del Collège de France a Parigi, dove una ininter­rotta linea di docenti ha incluso alcuni famosi eruditi. Unnuovo impulso agli studi islamici in Francia venne dallacreazione dell'Ecole des langues orientales vivantes alla finedel XVIII secolo. La tradizione francese fu arricchita daSilvestre de Sacy (1758-1838), in un certo senso il fondato­re dei moderni studi islamici e arabi.

In una tradizione debole, mantenuta viva e trasmessa daun esiguo numero di studiosi sparsi in luoghi diversi, i con­tatti personali sono di particolare importanza; la tradizioneviene consegnata oralmente tanto quanto per iscritto. Lescoperte e le idee degli studiosi di Leida e di Parigi veniva­no trasmesse da una sorta di successione apostolica e glistudiosi formavano una catena di testimoni (una si/sila, perusare il termine arabo). L'influenza di Leida e di Parigi fuparticolarmente sentita nei paesi di lingua tedesca, destinatia diventare il centro degli studi islarnici in Europa, graziead una combinazione delle straordinarie conoscenze edesperienze che gli studenti tedeschi apprendevano dalle tra­dizioni olandesi e francesi più antiche, con le idee su reli­gione, storia e linguaggio che venivano prodotte in Germa­nia a quell'epoca. Le figure più importanti nella fiorituradella cultura tedesca, non solo per il loro lavoro ma ancheper gli studenti il cui pensiero essi contribuirono a forgiare,furono forse H. Fleischer (1801-88), allievo di Silvestre deSacy, che insegnò a Lipsia per molti anni, e Theodore Nol-

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deke (1836-1930), che compì una importante visita a Leidanei suoi anni giovanili e poi insegnò a Strasburgo'.

La tradizione di studi islamici era più debole e menocentrale nelle università inglesi, forse per motivi connessial loro declino nel XVIII secolo. A Cambridge un risve­glio di interesse si manifestò alla fine del XIX secolo,quando William Wright (1830-89) venne nominato profes­sore di arabo nel 1879 dopo aver studiato a Leida; con luiCambridge entrò nella principale tradizione europea, edegli fu seguito da alcuni eminenti studiosi, come W. Ro­bertson Smith (1846-94), R. A. Nicholson (1868-1945) eE. G. Browne (1862-1926). A Oxford, invece, la serie didocenti che seguì Pococke, il primo ad occupare la catte­dra di arabo, non si distinse in alcun modo. Per uscire dal­l'anonimato si dovette aspettare la nomina di D. S. Margo­liouth (1858-1940) nel 1889; si trattava di un uomo estre­mamente colto, ma autodidatta come studioso di arabo edi islamico e che non manteneva stretti contatti con glistudiosi più anziani della materia, cosa importante quandosi devono elaborare vaJutazioni; nel suo pensiero c'era unavena di fantasia, o forse di ironia, che talvolta lo portava aproporre teorie insostenibili. Fu soltanto con il suo suc­cessore, H. A. R. Gibb (1895-1971) che Oxford si inserìnella corrente principale, e non fu prima della metà delXX secolo che gli studi islamici cominciarono ad acquisireuna solida base istituzionale in Gran Bretagna, grazie allafondazione della School of OrientaI and African Studies ealle raccomandazioni di una serie di commissioni ufficiali.

Ciò che mancava nelle università inglesi, ma non solo,veniva in parte sostituito dalle esperienze di viaggio e sog­giorno nel mondo dell'islam. Un osservatore acuto delle

l J. Fuck, Die arabischen Stud~n in Europa, Leipzig 1955.

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cose arabe e islamiche, E. W. Lane (1801-76), visse per mol­ti anni al Cairo: il suo dizionario della lingua classica anticaè a tutt'oggi il più completo ed accurato, e il suo Mannersand Customs of the Modem Egyptians, una vivida e detta­gliata descrizione della vita degli abitanti del Cairo, tra­smette al lettore il senso - cbe mancava nella maggior partedelle opere erudite del tempo - di una società urbana mu­sulmana e di una civiltà ancora viva e in continuo muta­mento'. Allo stesso modo, J. von Hammer-Purgstall (1774­1856) passò alcuni anni come ufficiale dell'ambasciata au­striaca a Istanbul, e, dopo il suo ritorno a Vienna, pubblicòalcune opere sulla storia ottomana e sulla poesia araba, tur­ca e persiana cbe ebbero influenza su Goethe e su altriscrittori tedeschi del suo tempo.

I funzionari degli imperi in espansione - inglese, fran­cese, olandese e russo - avevano ampie possibilità di ap­prendere le lingue orientali e di osservare la vita dei paesinei quali prestavano servizio, e alcuni di essi divennero de­gli studiosi. La tradizione del gentiluomo-erudito era par­ticolarmente forte nell'Impero inglese in India, dove la se­rie iniziata con Sir William lones venne continuata damolti funzionari e ufficiali dell'esercito. C'era una ragionepratica per questo: almeno nel primo periodo, la maggiorparte dell'amministrazione e delle trattative con i signorilocali veniva gestita attraverso il persiano, la lingua dellacultura alta nell'impero mongolo e in alcuni dei suoi stati­successori. C'era anche, tuttavia, un autentico accendersidi curiosità intellettuale e di immaginazione.

Col procedere del XIX secolo, il lavoro dei singoli stu­diosi, sparsi e isolati, fu reso più facile dalla creazione di

J E. W. Lane, An Account 01 cM Mannus ami Omoms o[ th~ MtxkrnEgyptians, London 1836.

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un sistema internazionale per lo scambio di idee e diinformazioni. Vennero costituite società scientifiche: laAsiatic Socieey del Bengala nel 1786, la Royal Asiatic So­cleey a Londra nel 1823, la Societé Asiatique a Parigi nel1822, la DeulSche MorgenJandische Gesellschaft nel 1845;ognuna di esse pubblicava un proprio giornale. el 1873si tenne il primo di una serie di congressi internazionali diorientalisti. Si creò ancbe una rete di corrispondenza tragli studiosi. La necessità di superare l'isolamento dei ricer­catori spiega il consiglio che uno di loro, Ignaz Goldziher,diede a un giovane corrispondente: rispondere sempre allelettere e partecipare sempre ai congressi degli orientalisti'.

7. Un puro monoteismo.

Il piccolo gruppo di studiosi piuttosto isolati aveva fintroppe cose da fare e non c'è da sorprendersi se non tuttifurono in grado di ottenere pari risultati. Il loro compitoprimario era quello di studiare e insegnare l'arabo e le altrelingue della cultura islarnica, e di fornire i mezzi per Com­prendere ciò che era scritto in quelle lingue. Essi pubblica­rono grammatiche, come quelle di Silvestre de Sacy e diWilliam Wright, e dizionari, come per esempio l'Arabic­English Lexicon di E. W. Lane e il vocabolario turco e in­glese di J. W. Redhouse. Catalogarono manoscritti nellegrandi biblioteche europee e curarono l'edizione di alcunedelle più importanti opere di teologia, legge, storia eletteratura. Alcune delle edizioni furono opere collettive distudiosi di diversi paesi: la storia di al-Tabari venne curata

, R. Simon, Ignaz GoldziMr. His Life and Scho!'",hip as Refkcud in hisWork,and Correspondena, Bud.pest-Loden 1986, p. 16.

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da M. J. de Goeje (1836-1909) e altri, e il dizionario biogra­fico di Ibn Sa'd's da E. Sachau (1845-1930) e altri. (Atutt'oggi, tuttavia, è stata pubblicata solo una piccola partedei documenti ancora esistenti della civiltà islamica, e anco­ra meno in edizioni soddisfacenti dal punto di vista filolo­gico). In alcuni casi, le traduzioni si basarono sulle edizionicritiche e portarono nuovi temi e nuove immagini nellacultura europea. Le mille e una notte era popolare fin daquando A. Galland (1646-1715) ne aveva pubblicato la tra­duzione francese, ma ora i Prolegomena di Ibn Khaldun al­la sua grande storia furono conosciuti attraverso la versio­ne francese di W. M. de Slane, che si basava sull'edizione diE. Quatremère (1782-1852); dello Shah-nameh di Firdaw­si, il poema epico nazionale dell'Iran, venne curata l'edizio­ne e la traduzione in francese da]. Mohl (1800-76); l'anticapoesia araba, infine, fu tradotta in tedesco da F. Ruckert(1788-1866) e in inglese da C. J. Lyall (1845-1920). Alcuniviaggiatori dotti riportarono notizie sulla topografia e suimonumenti delle terre arabe dove era sorto l'islam: C. M.Doughty (1843-1926) in Travels in Arabia Deserta e A.Musil (1868-1944) in una serie di libri basati su lunghi viag­gi in Siria, Mesopotamia e Arabia del Nord'.

1 A. I. S. de Sacr, Grammaire arabe, Paris 1810,2 voll.; W. Wright,Grammar 01 cbe Arabic Language, Londan 1859-62,2 voLI.; E. W. une, AnArabic-English Lexiron, London 1863-93; J. W. Redhouse, A Turkish andEnglish uxiron, Costantinopoli 1890; Annaks... al-Tabari: Tarikh al-rusu/wa'/-muluk, trad. di M.J. de Goeje e altri, Leida 1879-1901, IS voli.; Muham­mad ibn 5a'd, Kitab al rabaqar al-kabir, md. di E. Sachau e altri, Lcida 1904­21,9 vol1.; Prolegomènes dJ/hn Khaldoun, a cura di E. Quatremère, Paris1858,3 volI. (uad. frane. di W. M. de Siane, Prolegomènes hisloriques d'lbnKbaldun, Paris 1862-8,3 voll.); Firdwasi, Sbab-nameh, a cura di J. Mohl, Pa­cis 1838-78,7 voll. (trad. frane. di]. Mohl, Le lrure des rois, Paris 1876-78,7voll.); Hamasa oder d~ iilleslen arabischen Volkslieder, lrad. di F. Riickert,Stuttgart 1846, 2 voli.; C. 1. Lyall, TransLuions 01 Ancienl Arabian Poetry,London 1885; C. M, Dougrny, Travels ìn Arabia, Cambridge 1888,2 volI.

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Se i grandi studiosi del XIX secolo non avessero fattonull'altro che questo, avrebbero meritato ampiamente il lorosuccesso. Alcuni di loro, tuttavia, cercarono di spingersi ol­tre e di inserire ciò che avevano scoperto in una cornice piùampia, ma era naturale che dovessero farlo al di fuori delleidee correnti del tempo. Tutto sommato, si trattò di un ramosecondario della ricerca che non produsse idee proprie, o al­meno non produsse idee feconde anche per altri campi.

La più importante delle idee elaborate nel XIX secolo,per coloro che lavoravano in questo settore, fu quella di unacultura che si era sviluppata attraverso lo sforzo congiuntodegli esseri umani nel tempo e che aveva una natura unicache si esprimeva in tutti i suoi aspetti. Forse il primo tentati­vo sistematico di considerare la storia dell'islam in questaprospettiva venne compiuto da Alfred von Kremer (1828­89). Austriaco, studiò alla OrientaI Academy di Vienna, do­ve Hammer-Purgstall aveva insegnato precedentemente, epoi entrò al servizio consolare dell'Impero austriaco e svol­se il suo incarico per circa trent'anni ad Alessandria, al Cai­ro, a Beirut e altrove. Tra l'altro scrisse una storia della ci­viltà sotto i califfi, pubblicata in due volumi negli anni 1875­77. Le sue idee guida derivavano da Herder, da Hegel e daaltri pensatori tedeschi, ed erano sostenute da una vasta cul­tura; egli fu forse il primo studioso occidentale ad essere in­fluenzato dagli scritti di Ibn Khaldun (1332-1406), il grandestorico e pensatore arabo, sul quale scrisse un libro. La cate­goria base del suo pensiero si fondava sull'idea di una cultu­ra o civiltà come espressione totale dello spirito di un popo­lo. Egli riteneva che questo spirito si manifestasse principal­mente in due modi: nello stato, un fenomeno sociale la cuinascita e il cui declino erano governati da legg~ e nelle ideereligiose che informavano la vita della famiglia e della co­munità. Questi due fattori erano strettamente legati l'uno

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all'altro: la natura e il destino di una società e di una civiltàvengono determinati dalle idee che la guidano'.

La figura più importante nella costruzione di una im­magine europea colta dell'islam, del suo sviluppo e dellasua natura come sistema religioso e culturale, fu forseIgnaz Goldziher. Ebreo ungherese, cresciuto soprattutto aBudapest, ci ha lasciato memorie della sua giovinezza e undiario degli anni successivi, che sono illuminanti per com­prendere la formazione del suo pensiero'. Egli ricevette unamoderna educazione secolare all'Università di Budapest, eappare profondamente influenzato dal fermento di idee chesi agitavano nell'Ungheria del tempo'. Con il cCompro­messo» del 1867, all'Ungheria era stata praticamente con­cessa l'indipendenza all'interno dell'Impero austriaco, chedivenne così una doppia monarchia. Il suo primo governoera schierato in favore dell'emancipazione degli ebrei, edera diffusa l'idea di una unità culturale che trascendesse ledifferenze di razza e di religione. Grazie alla protezione delministro dell'Educazione, Eotvos, al giovane Goldzihervenne assegnata una borsa di studio per l'estero. Egli tra­scorse qualche tempo a Leida e due anni a Lipsia dove stu­diò con Fleischer, il conoscitore di Silvestre de Sacy. Fu quiche si inserì nella tradizione principale degli studi islamici.Fleischer fu il suo vero maestro; quando questi morì,Goldziher disse: cHo sentito come se una parte della miastessa vita fosse finita. Finché viveva il maestro, mi consi­deravo nient'altro che un suo studente»'.

J A. von Kremer, Kulturgeschichtt tUS Orients unttr dm &/ifen. Wien1975-7, 2 voli. (Irad. ingl. di S. Khud. Bukh,h, The Onen' "nder ,he CÀ­lipha, C.lcutt. 1920).

J l. Goldziher, Tagebuch. lcida 1978.l Simon,/gnaz Go/dzihercit., Budapest-Leida 1986, pp. 11-76.~ Goldziher, Tagebuch cit., p. 116.

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Grazie alle letture effettuate in questi anni, Goldziherdivenne edotto del pensiero e della cultura tedeschi moder­ni. Studiò la fIlosofia di Hegel, le opere della critica biblica edella teologia protestante, la fIlologia e il complesso di ideeche la circondava; queste letture stimolarono l'elaborazionedel pensiero che pOrtò al suo primo libro Der Mythos beiden Hebriiern und seine geschichtliche Entwickelung.

Egli tuttavia ebbe anche un altro tipo di istruzione,quella tradizionale giudaica. Aveva una conoscenza pro­fonda dell'ebraico e del Talmud, e la natura e il futuro delgiudaismo dovevano rimanere di interesse centrale per lui;egli afferma che fIn dal 1867 ciI giudaismo è stato il battitodeUa mia vita». Il suo giudaismo, comunque, non era quel­lo degli studiosi tradizionali. Goldziher accettava le ideedella nuova scienza della critica biblica, che giungevano al­le comunità ebraiche di lingua tedesca attraverso scritti co­me quelli di Abraham Geiger (1810-74). L'autentico giu­daismo, secondo questa scuola di pensiero, era essenzial­mente il monoteismo dei profeti; la legge e i rituali eranovenuti dopo, ed erano stati il prodotto di particolari tempie luoghi. Quest'idea conteneva implicazioni nei riguardidella pratica religiosa, ma anche della cultura. I testi reli­giosi dovevano essere studiati nel loro contesto storico, epotevano essere usati in due modi diversi: per gettare lucesugli avvenimenti e le persone di cui pretendevano di regi­strare la storia, ma anche - anzi prima di tutto - per farechiarezza sul periodo in cui erano stati prodotti.

Quando era poco più che ventenne, ai suoi due filoni diistruzione si aggiunse una terza influenza. Goldziher ebbel'opportUnità di recarsi nel Vicino Oriente e tra il 1873 e il1874 passò vari mesi a Beirut, a Damasco e al Cairo. Beirutnon gli fece una grande impressione, ed egli non rimasecolpito dai missionari americani e dai loro convertiti, ma le

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semmane che trascorse a Damasco ebbero un'importanzaprofonda nella sua vita: gli diedero per la prima volta l'oc­casione .di entrare nella repubblica musulmana del pensie­ro•. Conobbe studiosi e teologi, e più tardi descrisse que­sto periodo come .la parte più bella della mia vita.'. Ancheal Cairo fece la conoscenza di studiosi, incluso il riforma­tore Jamal al-Din al-Afghani, e ottenne il permesso di assi­stere alle lezioni ali'Azhar, il grande centro della culturaislamica tradizionale; egli fu probabilmente il primo intel­lettuale europeo ad averne l'opportunità.

Questo viaggio lasciò chiaramente un segno indelebile sudi lui. Gli trasmise la consapevolezza che l'islam era una co­munità viva che non lo avrebbe mai abbandonato, benchéegli sia poi tornato in Egitto solo una volta per una brevissi­ma visita. Gli insegnò anche l'importanza della giurispru­denza e deUa legge nel sistema di pensiero islarnico. Soprat­tutto, l'islam gli apparve come la religione verso cui tutte lealtre avrebbero dovuto tendere: un puro monoteismo, unarisposta incontaminata alla chiamata di Dio al cuore umano:.la sola religione in cui la superstizione e gli elementi paganivenivano superati non dal razionalismo ma dall'insegnamen­to ortodosso.'. In quei mesi, egli dice, .il mio modo di pen­sare era interamente rivolto aII'islam, e anche la mia parteci­pazione [...]. Non mentivo quando dicevo che avevo fedenelle missioni profetiche di Maometto [...]. La mia religionefu da quel momento la religione universale dci profeti.'.

L'islam, così come lo aveva conosciuto durante queimesi, rappresentava una pietra di paragone con la quale

, Ibid., p. 58. Per il diario di Goldziher durante la visita nel VicinoOriente, cfr. R. J'aui, 19nu Gold.;;,,, and bis Onnotai Diary, Detroi, 1987.

, Goldzih<!r, T«geb.eh cit., p. 59.'lbUi., p. 71.

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poteva giudicare le altre religioni monoteiste. Goldziherdesiderava fare tutto quello che era in suo potere per ri­chiamare il giudaismo a queUa che egli riteneva essere lasua verità. A giudicare dal suo diario, aveva una indubbiaavversione per il cristianesimo, almeno per come lo vedevain Terra Santa; ma aveva l'abitudine di scrivere cose sgra­devoli che potrebbero non riflettere il suo reale pensiero.

Sembra che avesse l'ambizione di scrivere un'operacomparativa generale sulle civiltà umane, ma non ebbe lapossibilità di farlo a causa dell'eccessivo lavoro. Quandotornò a Budapest dopo gli anni di studio e di viaggi, l'at­mosfera liberale dell'Ungheria non era più la stessa; Eot­vos era morto e il governo era cambiato. on ottenne unposto di rilievo all'università fino al 1904, e si guadagnò davivere come segretario della comunità giudaica di Budape­t. I suoi diari sono pieni di lamentele sul lavoro noioso e

servile che era costretto a fare, e sul modo in cui lo trat-tavano i ricchi ebrei che controUavano la comunità. C'è unmistero a questo proposito. Gli furono offerte cattedre aPraga, Heidelberg e altrove, e nel 1894 vennero presi con­tatti per affidargli la cattedra di Cambridge. Non c'era ne­cessità che stesse a Budapest, e non è chiaro perché vi ri­mase; può darsi che fosse per motivi familiari, ma può an­che darsi che sia stato per un senso di lealtà verso l'Unghe­ria, e per l'idea che ogni uomo deve trovare il suo postonel mondo, e che questo era il suo.

Goldziher nOn riuscì a scrivere il suo libro universale,ma la sua opera dettagliata sulJ'islam è forse più importantedi quanto non sarebbe stato quello. Egli dedicò altrettantotempo di quanto ne aveva avuto per la borsa di studio adanalizzare approfonditamente una grande varietà di testi re­ligiosi e legali islamiei nel loro contesto storico. In quelloche è forse il più famoso e fecondo dei suoi scritti, applicò il

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metodo critico che aveva appreso in Germania a uno dei te­sti base dell'islam, l'Hadith o Le tradizioni del Profeta. Eglilo considerava non come un testo sacro che era giunto im­mutato dal tempo del Profeta e dei suoi Compagni, ma co­me un corpo di scritti prodotto da un processo di gradualeaccumulazione attraverso molte generazioni: non era dun­que da accettare senza discussione come tesrimonianza diciò che Maometto disse e fece, ma da considerarsi preziososoprattutto perché gettava luce sulle controversie rcligiose epolitiche dei primi secoli della storia islamica. Questa intui­zione era destinata ad avere un profondo effetto su tutti glistudi successivi della teologia e della legge islamica'.

Il punto di vista completo di Goldziher sul modo incui l'islam si era sviluppato come sistema religioso trovòespressione in una serie di conferenze, scritte nel 1907, chedovevano essere tenute negli Stati Uniti ma che di fattonon furono mai pronunciate, e i cui testi vennero più tardipubblicati: Vorlesungen iiber den Islam lO

• Essi mostrano ilsuo tentativo di inquadrare il fenomeno dell'islam in unastruttura derivata dal pensiero speculativo tedesco delXIX secolo. Il suo punto di partenza è la teoria delle reli­gioni di Schleiermacher: la base di tutte le religioni è il sen­timento della dipendenza, ma in ognuna di esse questoassume una forma particolare che ne determina il caratteree lo sviluppo. Nell'islam la forma che ha assunto è quelladella sottomissione, che è il significato letterale della stessaparola .islam.: l'uomo deve sottomettere la sua volontàall'onnipotenza infinita. Questa era la visione formulatadal Profeta Maometto; può darsi che egli avesse attinto al-

'I. Goldziher, Oberdie Emwickelung des Hadith, in Id., Muhammeda­nische Studien, Halle 1890,11, pp. 1-274.

lO Id., VorkSlmgen uberden 'siam, Heidelberg 1910.

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trove le sue idee, ma ne fece qualcosa di originale e di nuo­vo con la forza del convincimento appassionato. Da quelmomento si andò gradualmente sviluppando quello chenoi conosciamo come islam. Ricevette le sue direttive dalleintuizioni del Profeta, ma inglobò anche elementi derivan­ti dai sistemi religiosi delle civiltà incorporate nell'univer­sale mondo islamico: il giudaismo, il cristianesimo, la reli­gione di Zoroastro e le ultime antichità classiche.

Goldziher vide dunque lo sviluppo dell'islam come am­piamente simile a quello di altre religioni profetiche, così co­me le consideravano gli studiosi e i teologi del suo tempo:prima veniva il profeta, poi la rivelazione profetica venivafissata in testi sacri, quindi i teologi cercavano di spiegarla edi difenderla e gli studiosi del diritto di trarne le implicazio­ni pratiche. Durante questo processo, tuttavia, le lusinghe e ipericoli del mondo erano dappertutto. Per i musulmani laParola di Dio, il Corano, rivelava la Sua volontà al genereumano e l'elaborazione della shari'a, la .Iegge santa' o siste­ma della moralità ideale, costituiva dunque una parte essen­ziale e centrale del processo attraverso il quale l'islam si eraandato articolando in un organismo, ma aveva i suoi rischi:poteva soffocare il desiderio di santità che giace nel cuore ditutte le religioni. (Senza dubbio Goldziher pensava al giu­daismo rabbinico oltre che all'islam). Il misticimo (sufismo)era un necessario contrappeso a questo: una riaffermazionedel desiderio e della necessità di santità e di un personalerappotto con Dio. Goldziher fu uno dei primi studiosi a co­gliere l'importanza del sufismo nel sistema etico dell'islam.Egli sapeva, tuttavia, che anche qui potevano attecchire leidee false del mondo; il sufismo era stato un canale attra­verso il quale le credenze primordiali erano penetratenell'islam. Ciò nondimeno esse non potevano distruggere ilscnso di sottomissione e tutto quello che ne scaturisce:

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Una vita vissuta ocUo spirito deU'isl.am può essere una vita. cti:a­mente impecc3b~le. che eSige co~passlOne pe~ le Cre3[U~e di DIo!onestà nel propn comport3mentl, amore, lealta, soppressIOne deghimpulsi egoistici Il.

Lo spirito dell'islam, Goldziher credeva, era an~ora vi~

vo; il suo libro non è semplicemente una testlmoruan~a diciò che era esistito nel passato, ma nvela qualcosa che Inte­ressa il presente e il futuro.

8. La teona della ~sostituzione"

Nell'opera di Goldziher c'è un senso dell'islam comedi una realtà vivente che si modifica nel tempo ma conmutamenti controllati, almeno entro certi limiti, da una vi­sione di quello che «una vita vissuta nello spirit';' de.l­l'islam. dovrebbe essere: creare e mantenere un eqUlllbnotra l.a legge, ~ioè l'articola~ione del.la,p:rola di Dio in pre­cem per l'az,one, e ,l mlStlC'Smo, c,oe lespresslOnedel.de­siderio di santità; sfrondare da essa le ,dee provementl daciviltà più antiche, accolte dalle ~lites intellett.uali dellegrandi città islamiche e ancora v,ve e In cresc'ta. Tuttoquesto è lontano dall'idea prevalente nel secolo pre­cedente di un islam creato dall'uomo, sostenuto dall'entu­siasmo 'di un popolo nomade, e che avrebbe cessato ~iavere importanza nella storia del mondo una volta che ,Iprimo impulso si fosse esaurito. . ..

Idee molto simili vennero utilizzate In una direzIonealquanto diversa da un altro s~dioso della generaz.ione diGoldziher, C. Snouck HurgronJe (1857-1936), co.n ,l qualesi può dire che la tradizione della scuola dI Lelda abbia

"lbiti., p. 16.

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raggiunto il suo apice. Dopo gli studi a Leida si verificaro­no due episodi significativi nell~ sua vita.. Il primo fu ,:n an­no di residenza alla Mecca tra .1 1884 e ,l 1885, alla ncercadi una conoscenza più approfondita dell'islam. Il prodott.odi questo fu il suo libro, Mekka, un resoconto del Pellegn­naggio e anche una descrizione della vita della città santa.Basato sulle sue osservazioni, è un libro critico su certi ste­reotipi occidentali della società musulmana. La concezionemusulmana della schiavirù, per esempio, è molto d,versa daquella connessa a ciò che i colonizzatori euro!'ei hanno fat­to in America; «il mondo cnstlano - egli d,chIara - assumenei confronti dell'islam un atteggiamento di malintesi e difalsità.'. Analogamente, la famiglia musulmana non è ciòche comunemente si crede: la segregazione delle donne èmeno totale, la monogarnia è più comune, le donne spessosi sposano più volte. Forse la co~a più important~, per di­mostrare l'orientamento del SUOI lavon succeSSIV1, sono lesue osservazioni sulla legge islamica: «È un errore supporreche la cosiddetta legge musulmana abbia sempre realment~

dominato la cultura o sia rimasta in intimo contatto con l

bisogni della societào'.Efondamentale non come legge ma come sistema idea­

le della moralità sociale, come influenza sulla pratica e noncome «corte d'appello. in tempi difficili. Più importantedella stretta lettera della legge, per quanto riguarda gli ef­fetti sulla vita del popolo della Mecca, è l'insegnamentodella fratellanza sufi in rapporto alla pratica, alla disciplinamorale e alla meditazione che. conduc~. al senso della pre­senza di Dio. Tra le persone 'strulte I insegnamento dellafratellanza non è considerato un sostituto della cultura re-

I C. Snouck Hurgronje, Mekka, L'Aia 1888-9,2 volI.'lbiti., pp. 83 sgg.

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ligiosa, ma un mezzo per dare valore all'obbedienza allalegge; tra gli incolti esso pone l'accento sull'espletamentodei doveri religiosi e dà espressione ai sentimenti umanimentre li tiene sono controllo'.

Dopo il soggiorno alla Mecca, Snouck Hurgronje ri­mase per un lungo periodo nelle Indie occidentali olande­si, dal 1899 al 1906, come consigliere del governo colonialesulla politica musulmana. Questa esperienza rafforzòquello che egli aveva appreso alla Mecca, cioè che J'islamera una realtà viva e in movimento: ciò che i musulmaruintendono con questo è che c'è un costante cambiamentoin rapporto alle specifiche circostanze di tempo e di luogo.Persino le formulazioni teoriche degli uomini di legge edei mistici sono mutate nel tempo, e questo processo è ini­ziato molto presto, quando .il sobrio monoteismoo diMaometto venne adattato agli .ideali religiosi dell'Asiaoccidentale e dell'Egitto, entrambi permeati di pensiero el­lenisticoo'. Se i non-musulmani vogliono comprenderel'islam, devono studiado nella sua realtà storica, senza giu­dizi di valore su ciò che dovrebbe essere.

Il concetto di islam, comunque si intenda, non è suffi­ciente da solo, secondo il parere di Hurgronje, a spiegaretutti i fenomeni di quelle che vengono definite .societàmusulmaneo. Queste dovrebbero essere viste come .campidi forza»' risultanti daU'interazione tra certe norme scaturi­te dall'insegnamento dell'islam e la natura specifica di unaparticolare società, creata da una lunga esperienza storicacumulativa all'interno del suo ambiente fisico. Quest'ideaaveva notevoli implicazioni pratiche. Come consigliere del

, /bUi., pp. 170 sgg.. Id., Sdteted Works. a cura di G. H. Bousquet ~ J. Schacht. Leida

1957, p. 76.t J. Waardenburg. L'lslam dans k miroir de /'omJml, Paris 1960, p. 97.

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governo, Hurgronje riteneva scontato che il dominio eu­ropeo sarebbe durato indefinitamente, ma credeva che es­so dovesse essere esercitato in modo compatibile con lanaturale evoluzione delle società musulmane in Indonesia:l'educazione moderna e il processo sociale avrebbero con­dotto all'evoluzione di una civiltà secolare e razionale, allaquale la legge islamica non avrebbe avuto nessun contri­buto da dare'.

Il senso dell'islam come qualcosa di più di quanto fossescritto nei testi, come qualcosa di vivo nei singoli musul­mani, era nuovo negli studi europei. Esso fu espresso piùpienamente, in modo estremamente personale, da uno stu­dioso della generazione successiva, che riconosceva il suodebito ai maestri precedenti, e a Goldziher in panicolare.Louis Massignon (1883-1962) è stato importante per l'im­patto che ha avuto su una delle due principali correnti del­la cultura europea, quella di Parigi, ma anche per la forza el'originalità con cui pose alcune questioni ai pensatoricristiani che studiavano l'islam. Per descrivere le sue idee,è meglio iniziare da dove lui stesso ha iniziato, dai variframmenti di autobiografia e confessioni spirituali sparsinei suoi scrini. Dopo i primi studi a Parigi e viaggi in

ord Africa, egli trascorse un ulteriore periodo di studi alCairo e da lì passò a una missione archeologica in Iraq. Se­condo il suo stesso racconto, nel maggio del 1908 vennearrestato dalle autorità ottomane, accusato di essere unaspia, messo in prigione, e minacciato di morte. Tentò ilsuicidio 'per il sacro orrore di me stesso., avvertì la pre­senza di invisibili forze che intercedevano per lui, ed ebbeuna sorta di visione di Dio - la .visitazione dello Stra­niero•. Questa fu seguita da un senso di perdono e di

'/biti., pp. 245 sgg.

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remissione: «un subltaneo ricordo, i miei occhi chiusi da­vanti a un fuoco interiore, che mi giudica e mi brucia ilcuore, la certezza di una Presenza pura, inesprimibile,creativa, che sospendeva la mia condanna grazie alle pre­ghiere di esseri invisibili, visitatori della mia prigione, i cuinomi colpiscono la mia mente".

Per la prima volta riuscì a pregare, e la sua prima pre­ghiera fu in arabo. Venne rilasciato e riportato alla salvez­za grazie all'intercessione di una famiglia di intellettualimusulmani arabi di Baghdad.

II resoconto di Massignon su questi avvenimenti sollevainterrogativi di varia natura. Prima di tutto, cosa accadderealmente quel giorno di maggio del 1908? È impossibileavere la certezza, ma sono stati espressi dei dubbi sulla suaversione. Data la situazione dell'Impero ottomano a queltempo, un cittadino francese che andasse in giro per lacampagna poteva benissimo essere arrestato dalle autoritàlocali, ma difficilmente sarebbe stato condannato a morte. Idocumenti consolari dell'epoca parlano solo di un attaccodi febbre, causato probabilmente da un colpo di sole'.Quello che sembra verosimile è che Massignon avesse unasorta di esaurimento fisico, tale da poter provocare un mo­mento di alterazione della coscienza, che a sua volta puòaver causato una crisi morale e spirituale durante la qualeegli prese le distanze da quella che considerava la confusio­ne morale della prima parte della sua vita (~il sacro orroredi me stesso.). In realtà, è meno importante indagare su

, l. Massignon, lA vuùahon de /'etTangtT, in Id., Parole donnit. Paris1962, p. 71.

• G. Harpigny, Islam tt cim'stianumc selon Louis MaISignon. Louvain­l.a-Neuve 1981, p. 57j D. MassignoD, Le voyage m Mesopoldmie tt la con­flcrsion de Louu Massignon tm 1908, in cIslamochristiana., 14, 1988, pp.127-99.

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cosa accadde piuttosto che valutare il significato che eglistesso diede alla crisi. Questa produsse o rafforzò in lui unacerta visione della storia, e una certa visione dell'islam.

Massignon si schierava consapevolmente in opposizio­ne al tipo di approccio storico che era comune nel XIX se­colo: all'idea cioè che la storia avesse un significato in sestessa e muovesse da un proprio dinamismo interiore ver­so un obiettivo da conseguire in questo mondo, e che con­siderava le grandi collettività - nazioni o razze o classi ­come i vettori di questo movimento. Per Massignon il si­gnificato della storia si trovava piuttosto nel lavoro dellagrazia di Dio nelle singole anime, al di là di tutte le barrie­re tra le comunità umane - anche le comunità religiose - eil suo fine era un obiettivo che si trova oltre il limite delmondo mortale. II processo si manifestava soprattutto nel­la vita di quegli individui che erano stati toccati dalla gra­zia in un qualche modo particolare e vi avevano rispostopienamente, diventando testimoni della presenza di Dio,se necessario anche con iJ martirio. Questi testimonj pote­vano offrire le loro sofferenze per quelle degli altri. C'è inquesto un'influenza del pensiero cattolico francese dellafine del XIX secolo. Alcuni pensatori svilupparono l'ideacristiana di sofferenza delegata in una teoria di ~sostitu­

zione., di sofferenza offerta non per tutta l'umanità maper intenzioni specifiche, e non solo per le sofferenze deglialtri ma anche per i loro peccati. Massignon potrebbe averappreso questa idea dal romanziere Joris-Karl Huysmans(1848-1907) che aveva conosciuto nella sua prima giovi­nezza'.

Secondo il punto di vista di Massignon, c'è una succes­sione perpetua di questi sostituti, e la loro influenza si può

, R. Griffith, The Reaetionary RewiNtion, London 1966, pp. 149 sgg.

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estendere oltre la morte. Può darsi che egli avesse in mentedi poter diventare parte di questa catena di testimoni, conla preghiera, l'intercessione o persino il martirio. Egli tut­tavia non parlava con orgoglio di questa particolare voca­zione ma piuttosto con un senso di indegnità. Talvoltascrisse di se stesso come di un «fuorilegge», e coloro che loconobbero ebbero modo di nOtare una certa lotta che sisvolgeva al suo interno tra forze in conflitto.

Massignon aveva anche una visione particolare, moltopersonale dell'islam. Le sue formulazioni teologiche pote­vano suscitare qualche sospetto tra i cristiani, così come po­tevano dare adito all'idea che j'islam costituisse una via al­ternativa di salvezza. Era un cattolico, in ogni caso, e neglianni successivi si fece prete della chiesa cattolica greca, e lasua posizione rientra nella gamma degli atteggiamenti cri­stiani accettabili. Egli credeva che l'islam fosse un'espres­sione genuina della fede monoteisra, che vantava una di­scendenza da Abramo attraverso Ismaele, e che avesse unaprecisa missione spirituale: agire da monito per gli idolatriche non riconoscevano l'esistenza di un solo Dio". I musul­mani potevano offrire ai cristiani un esempio di fede; questoera un alrro tema ricorrente negli scritti di alcuni cattolicidel tempo, come Charles de Foucauld e Ernest Psichari, ni­pote di Renan. Per questo motivo egli riteneva che i cristia­ni avessero un dovere nei confronti dei musulmani: lo Stra­niero che aveva visitato Massignon al momento della crisiera un'immagine di Dio, ma anche dell'esilio umano, l'er­rante che bussa alla porta per essere lasciato entrare. Nelpensiero di Massignon l'ospitalità era una virtù cardinale,perché implicava lealtà e coraggio. In seguito, questo dove-

I.) L. Massignon, Trois pribes d'Abraham. in Opua Minora, la con di Y.Moubmc, Beirut 1%3, lu, pp. 804-16.

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va portarlo ad un'opposizione attiva alla politica francesenel periodo delle rivolte coloniali: in Madagascar, in Maroc­co e, soprattutto, in Algeria. Come gran parte della suagenerazione, nei primi anni egli aveva aderito alla missioneimperiale della Francia, ma in seguito arrivò a considerare ildominio imperiale come un «abuso di ospitalità», comeun'espressione del «nostro secolare furore di penetrare,conquistare, possedere»". Al di là della sfera dell'azione po­litica, egli credeva che la vocazione dei cristiani fosse quelladi portare i musulmani alla pienezza della verità attraversola preghiera e l'intercessione, e con l'offerta della propria vi­ta e delle proprie sofferenze al posto delle loro. I cristianipotevano svolgere questo ruolo in una comunione di pre­ghiera con i musulmani. Questo spiega l'interesse di Massi­gnon per quei luoghi nei quali i cristiani e i musulmani po­tevano unirsi nella preghiera: Gerusalemme, la tomba diAbramo a Hebron, e un tempio in Britannia consacrato ai«sette dormienti di Efeso», conosciuti nella tradizione cri­stiana e menzionati anche nel Corano.

Avendo queste convinzioni, era naturale che Massignonnutrisse un interesse particolare per una specifica correntedella spiritualità musulmana, quella dei Sufi che cercavanonon solo di obbedire alla volontà di Dio così come era rive­lata nel Libro, ma anche di avvicinarsi di più a Lui aUonta­nandosi dalle cose del mondo e attraverso la disciplina spiri­tuale. Gran parte del suo lavoro di studioso fu dedicato allaricerca sul misticismo. In un certo senso, il suo fu un lavoroortodosso, all'interno della tradizione filologica del XIX se­colo: la scoperta e la revisione dei testi, l'analisi degli stessicon una cura particolare per l'esatto significato dei termini;scrisse sullo sviluppo del vocabolario tecnico del sufismo e

n Id., Toute um'fJ~awcun}tirtpanim tUsnT, in PaTOktkmniecit., p. 71.

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anche di filosofia islamica". Gli interessava mostrare comeavesse allignato il sufismo, non per importazione dal cristia­nesimo occidentale o dall'induismo, ma grazie ad uno svi­luppo interno, perché alcuni musulmani avevano preso sulserio l'insegnamento del Corano, vi avevano meditato soprae avevano cercato di tfarne le conseguenze per la vita spiri­tuale. 'Aveva il senso della suprema importanza del Coranonella vita interiore dei musulmani, perché il suo -repertorioverbale,. racchiudeva in sé una storia dell'universo, una rac­colta di massime per l'azione e un manuale di auto-esamemorale e di concentrazione dell'anima su Dio.

Il lavoro più famoso di Massignon è il suo studio su al­Hallaj (morto nel 922), un mistico, poeta e teologo che fuaccusato di gettare dubbi sulla necessità di una stretta os­Servanza dei doveri musulmani: sembra sostenesse che sipoteva compiere il Pellegrinaggio nella propria stanza an­ziché andare alla Mecca, e che la Ka'ba, il sacro edificioche costituisce il cuore del Pellegrinaggio, dovesse esseredistrutto in modo da poter essere ricostruito in saggezza.Era inoltre sospettato di insegnare che, al momentodell'unione mistica, la personalità umana dei mistici pote­va essere assorbita in quella di Dio. C'era un famoso dettoattribuito a lui, benché non sia sicuro che lo abbia mai ve­ramente pronunciato: -ana al-haqq., -sono la Verith O

-sono Dio•. Questo sembrerebbe suggerire un puro mo­nismo che sarebbe incompatibile con l'idea della trascen­denza di Dio. Non è esclu~o comunque che ci siano stateanche ragioni politiche per il suo arresto; fu processato,condannato e giustiziato a Baghdad.

Il Id., Essai sur les origines du lexique technique de la mystique musulma­ne, Paris 1954, nuova ed.; Muhadarat fi tarikh al-iJtilahat a/-falsafiyya al­'arabiyya, Caì.ro 1983.

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_ L'islam nel pensiero europeo _

Lo studio di al-Hallaj fu la tesi di laurea di Massignon,virtualmente terminata nel 1914 e pubblicata nel 1922;egli continuò a lavorare sull'argomento per il resto dellavita, e dopo la sua morte ne venne pubblicata una versio­ne riveduta". Si tratta di un'opera di grande erudizione eoriginalità di pensiero, che usa le fonti pur frammentarieper costruire un resoconto della vita di al-Halla; e mo­strare le fasi dello sviluppo della vocazione di un misticomediante la penitenza, la rinuncia e la purificazione perpervenire ad una sorta di esperienza di unione con Dio.Essa mostra anche la relazione dei suoi detti e dei suoiscritti con la descrizione del milieu della Baghdad abbasi­de, dove al-Hallaj viveva; attraverso una attenta accumu­lazione di dettagli, una città medievale della quale non ri­mane quasi nessuna traccia è riportata in vita -le sue stra­de e i suoi edifici, la sua gente, il cibo che mangiava, ilmodo in cui si guadagnava da vivere, come studiava, ado­rava e veniva seppellita.

In conformità con la sua idea di una catena di testimonio sostituti, che esercitano un'influenza anche dopo la mor­te e che passano la loro missione ad altri, Massignon vedela vita di al-Hallaj come prolungata al di là del suo svolgi­mento. In uno studio interessantissimo sulla vita spiritualedelle comunità musulmane, egli racconta come la fama dial-Hallaj sia sopravvissuta, nei dibattiti tra i dotti e nelladevozione popolare espressa nell'arte, nella poesia, nelleleggende e nelle visioni; la figura di al-Hallaj si è andatagradatamente trasformando nel processo, e da _fuorileg­ge. finì con l'essere reintegrato nella comunità.

l) L. Massignon, La passion d'al-Hosayn-ibn-Mamour martyr mystUiuede /'islam, Paris 1922,2 voli.; Id., La passion de Husayn ibn Mansur martyrmystique de l'islam, Paris 1975,4 voU., ed. riveduta.

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Sono stati espressi dei dubbi sull'opera di Massignon.Essa è attraversata da un tema comune alla scritrura catto­lica francese della sua giovinezza: la fede nelle società se­grete, nelle vaste cospirazioni tendenti a impadronirsi delpotere o a rovesciare l'ordine sociale. Alcune delle sue in­terpr.eta~ioni dell: fonti non sono state accettate dagli altristudIOSI, In particolare quelle relative all'esistenza dicorporazioni di commercio e ai loro legami con i movi­menti religiosi esoterici, e alla connessione tra alcune sette!slamiche e i movimenti di protesta sociale. La parte piùImportante nel suo lavoro è il modo in cui ha tracciato lafigura di al-Hallaj. Massignon ha dimostrato che al-Hallajè una personalità straordinaria nella storia della spiritualità~usulmana e che, seguendo la via del sufismo, ha rag­gIUnto un eccezIOnale livello di comprensione degli effettidella grazia divina. C'è un avvertimento, tuttavia, nelle suestesse parole: .Ho aggiunto ai fatti storici le ulteriori me­ditazioni che quelli mi hanno suggerito»". Sembra il tenta­tivo di adattare al-Hallaj ad uno schema cristiano; Massi­gnon lo fa apparire come uno che considerava la propriamorte come un atto di sofferenza delegata, anche a costodel martirio perché 'per i musulmani non c'è nessun affarepiù pressante della mia esecuzione», che desiderava .mori­re maledetto per la salvezza di rutti»".

9. Misticismo islamico e spiritualismo cristiano.

Per l'originalità delle sue idee e la forza della sua perso­nalità, Massignon ebbe una profonda influenza sugli srudi

.' IbiJ., l, p. 32, nuova ed.• [bUi., " p. 336.

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islamici in Francia, e persino sul punto di vista francesesull'islam; egli fu forse l'unico srudioso islarnico a diventa­re una figura centrale nella vita intellettUale del suo tempo.La sua opera rappresentò il segno di un cambiamentonell'approccio cristiano a!l'islam, ed anzi,. forse! una dell:cause di questo. Nelle ultime due generazIOni VI sono statitentativi da parte di pensatori e di srudiosi cristiani di defi­nire quello che è sempre stato lo sconcertante fenomenodell'islam, così vicino per alcuni versi, così distante per al­tri: un Dio che sembra essere il Dio di Abramo, che si ri­volge al genere umano e fa ~onosc.ere la Sua v~lo~tà, e of­fre la prospettiva di un ultimo GIOrno del GIUdiZIO, mache parla attraverso un Libro, che i musulmani riconosco­no alla lettera, e i cristiani no, come la parola di Dio. Que­sti tentativi sono stati compiuti in larga misura da srudiosidella Francia o almeno che scrivevano in francese, poichéalcuni di lor~ sono' cristiani provenienti da paesi arabi madi formazione intellettuale francese.

Quindi G. C. Anawati e Louis Gardet hanno scrittoopere sulla teologia e sul mistic~s'."o isla~ci. Come te,?l<;­gi cristiani hanno cercato dI defmue la POSIZIone dellTIlstl­cismo islamico. È «narurale» o «soprannarurale»? A loroparere si trova in una condizione intermedia tra i due: ten­de verso il soprannarurale, cioè a!l'esperienza dell'amoredivino nell'anima, dato dalla Grazia soprannarurale, ma èlimitato dall'idea fondamentale islamica della inaccessibi­lità di Dio, del velo che si stende tra Dio e l'uomo, la cuivera adorazione è l'obbedienza alla sua parola. Il sufismo èdunque contrassegnatO da «stati spiriruali suscettibili. dipiù di una interpretazione»l. J. Abdel-Jalil, un marocclùnomusulmano per nascita ma convertito al cristianesimo e

I G. C. AD2waci - L. Gardet. MystiqNe musNlmane. Pans 1961. pp. 95-6.

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frate francescano, studiò quelle linee del pensiero e dellaspiritualità islamici che, se prolungate, potrebbero condur­re un musulmano al cristianesimo; in Marie et l'fslam,trattò della particolare posizione assegnata alla VergineMana nel Corano'. Questo senso dell'islam come di unareligione costruita sull'accettazione di un unico Dio, mache tendeva verso un completamento con qualcosa di di­verso da sé, si riscontrava anche nelle formulazioni delC~ncilio Vaticano del t 962-65, il primo ponderato ten­tativo da parte della ch,esa cattolica di definire il suo atteg­giamento verso l'islam:

La Chiesa guarda anche con stima i Musulmani che ador.tnol'unico Dio, ,vivente c sussistente, misericordioso e'onnipotenre.creatore del CIelO e della tcrra, che ha parlato agli uomini'.

In questa formula vi è un'eco della terminologia dellostesso Corano.

V~i simili si so.no levate nelle chiese protestanti, peresempIO da parte d, Kenneth Cragg, vescovo della chiesaanglicana', e il O>ncilio mondiale delle chiese ha compiutouno sforzo conSIstente per avviare un dialogo tra cristianie musulmani. Questa linea di pensiero è tuttavia attraver­sata da un'altra, che affonda anch'essa radici profonde nel­I~ teologia cristiana. C'è sempre stata una corrente di pen­sIero che ha messo l'accento sull'unicità della rivelazionedi CriSto: Dio non può essere conosciuto tramite i tentati­vi degli uomini, ma solo dalla rivelazione di Sé che è stataperfezionata nella persona di Gesù Cristo ed è 'testimonia-

" J J. Ab:del-Jalil. Asp~as intbi~urs d~ /'isiam, Pans 1949; Id., MarJ~ ~llulam, Pans 1950.

'Conci/w Ecutmnico Vaticano Il: TUlli i doCHmmli dd Concilio, Milano1993, p. 534.

, K. Cr.agg, Th. eall or th. Mina,." O.ford 1956; Id., Sandals a, th.Mosqu., Orlord 1959; Id., The E"cn, ofthr Quc'an, London 1971.

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ta dalla Bibbia; tutti gli altri maestri di religione, e i librinei quali i loro insegnamenti sono custoditi, non possonoesprimere niente altro che l'umana lotta per qualcosa chenon può essere ottenuto con gli sforzi umani. Tutto ciòche l'uomo può creare per se stesso sono idoli; per questoKarl Barth sentenziò recisamente: .11 Dio di Maometto èun idolo come tutti gli altri idoli.'. Analogamente, Hen­drik Kraemer, missionario e teologo olandese, sostenneche l'islam è una religione creata dall'uomo, non la vera fe­de tratta dall'unica rivelazione di Dio di se stesso: .L'uo­ma vuole Dio, ma in qualche modo lo vuole a modo suo[.. .]. In nessun posto troviamo il rifiuto di ogni possibilemondo spirituale creato dall'uomo.'.

Vi è una significativa differenza di tono, tuttavia, tra lavoce di Kraemer e quella di voci simili del passato. Krae­mer era uno studioso islamico con una profonda conoscen­za delle società musulrrìane dell'Asia sud-orientale, e unapersona di grande sensibilità morale e intellettuale; nel suolavoro non c'è nessuna intenzione di mettere in discreditoMaometto e i suoi seguaci, ed egli riconosce pienamentel'importanza delle conquiste umane della civiltà islamica.

10. L'islam o le società islamiche?

La tradizione centrale degli studi islamici ha continua­to ad esistere lungo tutto l'ultimo mezzo secolo: l'esplora­zione dei modi in cui ciò che era arrivato ai musulmani dao attraverso Maometto era stato organizzato in sistemi diteologia, legge e pratica, un'esplorazione condotta con il

'Citato in G. Parrinder, ComparatNe Religion. Londan 1962, p. 48.• H. Ktaemer. Religwn and me Chnstian Faith. Londan 19S6, p_ 334.

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metodo elaborato dai filologi, quello dello studio accuratodei testi scritti. Parallelamente a questo, tuttavia, c'è statoun crescendo di interesse verso l'islam come sistema vi­vente di pratiche all'interno delle specifiche società. Que­sto interesse era già evidente in Goldziher, Hurgronje eMassignon, ma si è allargato con l'ingresso in questo cam­po di studiosi specializzati in altre discipline del pensiero­storia e scienze sociali.

Una delle cause di questo cambiamento è stata la cre­scita di interesse per il mondo dell'islam nelle grandi uni­versità americane. La tradizione della cultura islamica eu­ropea è stata introdotta negli Stati Uniti da alcuni docentieuropei, tra i quali due scozzesi. Uno di loro, D. B. Mac­donald (1863-1943), aveva studiato in Gennania con Noi­deke e Fleischer, e aveva insegnato al Seminario teologicodi Harttord dal 1893 in poi. L'altro è H. A. R. Gibb, cheha lasciato Oxford nel 1955 per diventare professore diarabo a Harvard.

Sia Macdonald che Gibb erano profondamente interes­sati alla vita del mondo musulmano. Macdonald scrisse unlibro su questo e Gibb, in uno studio sulle tendenze mo­derne nell'islam, mise in guardia sul pericolo di limitare lostudio solo all'opinione dei dotti, ignorando quella del po­polo'. Queste idee suscitarono echi nel pensiero degli stu­diosi americani con una formazione storica o legata allescienze sociali, e dal 1905 in poi, alcune università hannocominciato a sviluppare centri di -studi di area' dove co­loro i quali si erano specializzati in diverse discipline, ma

, Pc=r Macdonald, cfr. W:uroenburg, L'/s/am cit., pp. 132 s~.; per Gibb,cfr. A. Hourani, H. A. R. Gibb: che WC4tion 01 an onentalise, In Id., Europeand the Middk East, London 1980, pp. 104-34; D. B. M.edon.ld, The Re/i­gio.' Attit.de and Li[e in [,lam, Chicago, ilI., 1909; H. A. R. Gibb, McdernT,end, in /slam, Chicago, III. 1947.

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avevano acquisito una specifica conoscenza della lingua,della cultura e della società di una particolare regione, po­tessero scambiarsi esperienze.

Oltre al resto, ha fatto la sua comparsa sia nella culturaeuropea che in quella americana un crescente interesse perquello che viene spesso definito _islam popolare., e in par­ticolare per le confraternite suf., che fm dal tempo di Gold­ziher sono state riconosciute come i canali attraverso i qua­li era passata la corrente principale della spiritualità musul­mana. Vi sono diversi modi di avvicinarsi all'argomento.Gli studiosi islamici lo hanno fatto attraverso i testi che de­scrivono la via percorsa dai mistici verso l'esperienza diret­ta di Dio, e le idee su Dio e l'uomo implicite in essa; gli an­tropologi sociali hanno cominciato a studiare l'insieme del­le credenze popolari e le pratiche che sono fiorite intornoalle confraternite, il culto dei santi, l'usanza del pellegrinag­gio ai santuari a loro dedicati, la fede nell'efficacia deUa lo­ro intercessione, neUe suppliche e neUe apparizioni. Harmoanche studiato il ruolo sociale dei santuari e dei loro custo­di come luoghi intorno ai quali possono coagularsi comu­nità e, in alcuni casi, movimenti politici, e deUe confraterni­te che fungono da collegamento tra diverse zone o diversigruppi sociali, o tra uomini e donne.

Illavoro svolto lungo queste linee nel corso della pas­sata generazione ha posto un interrogativo: se andiamo ol­tre le definizioni normative dei teologi e degli uomini dilegge, cosa intendiamo per -società islamica.? Conside­rando la grande varietà di usi e di norme, di forme artisti­che e di mentalità collettive del -mondo dell'islam. che siestende dall'Atlantico al Pacifico, dal Marocco alle Filippi­ne, in che senso possono essere tutti definiti _islamici.? Sitratta di una questione aUa quale hanno rivolto la loro at­tenzione vari antropologi sociali. Clifford Geertz, nel suo

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lslam Obserued, fece uso di materiale proviente da Giavae dal Marocco per rispondere all'interrogativ~: in chesen­so due società, che si trovano agli est~eml OppOSti delmondo in cui l'islam è la principale religione tradizionale,possono essere definite società musulmane? Che cos'è ~aesomiglianza di famiglia•.che le rende entrambe elslarm­che. ?'. Michael Gilscnan, 111 Reeogmzmg lslam, suggens~eche eislam. considerato nel suo contesto sociale, non staun singolo ~ggwo unit~ri,? che deten~i~ di per sé il com­portamento e l c.ost~mt. dI una SOCle~~; .e un ter~~e ch~può essere usato lfi nfen~e~to a speCificI concet~l, slmbolte rituali che hanno contribuito a forgtare la cosCienza col­lettiva di varie società ma ne sono stati a loro volta infor­mati. Islam è cuna pa;ola che identific~ ~utevol~ ~elazionidi pratiche, rappresentazioni, si,,:,b?", Idee.e VISIOne. d:lmondo all'interno della stessa sOCleta e tra diverse socl~ta.Vi sono modelli in queste relazioni che sono cambtati 111

modo rilevante nel corso del tempo.'. .Per quanto accuratame.nte veng~ dcfin~t,? il t~"mlfie

eislam., ci si può ancora chiedere se Sta pOSSibile utihzzar­lo in ogni senso come categoria pe~ splegar.e ,la stona dellesocietà in cui la maggioranza de~1t ablt~ntl e musulmana.Pochi scrittori lo sosterrebbero lfi mamera altrettanto ~­tegorica di quanto quakun.o avrebbe. fatto un~ generazIO­ne o due fa, perché glt scntton or~ Impegnan a nnette~:sulla storia di queste società sono di genere differente. C estato un tempo, passato non da molto, anzi non pa.ssatodel tuttO ancora oggi, in cui virrualmente soltanto gh stu-

J C. Geenz, Islam Ob~~d: Rdigious DnJtwpmnlc In MOTOCCC! and/ntUmesia, Chicago 1968 (.,.d. it. /,/am. AnallS' wci<HulluTa/e ddio roi/upporeligioso in Marocco t Indonesia, Bresaa 1974).

'M. Gilsenan, Recogmud [slam, London 1982. p. 19.

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diosi che scrivevano sulla storia e la società del emondomusulmano. erano coloro il cui compito primario consi­steva nello studiare e insegnare le lingue arabe, persiane eturche e i testi scritti in queste lingue. Essi porrarono nelleloro ope~~ s~ argo:nenti più ampi le categorie che eranol~r~ familtan. Nell ultima generazione, tuttavia, il campod~ trId~gme è stato lfiVaso da studiosi specializzati in altredlsc.pltne. Alcuni di essi, il cui pensiero si era formato sul­la storiografia o sulle scienze sociali, hanno cominciato arivolgere la loro attenzione al emondo dell'islam., e c'èanch~ un nuovo interess~ per la «storia universale. e per la~stona comparata., per l processi e i movimenti che si e­stendono al di là del «mondo dell'islam. a tutto il mondoo almeno a larghe parti di esso. Il cambiamento, tuttavia, èlento; nella maggior parte delle università, almeno nel­l'area di lingua inglese, la storia viene ancora insegnata po­nendo al centro soprattutto quella civiltà occidentale cheprese le mosse dali'antica Grecia verso ovest, cioè verso ipaesi lungo la costa aclantica, per poi coprire il mondo in­tero nella sua forma moderna. In un buon testo di storiauniversale am~iamente usato nell'insegnamento, su circanovecento pagme che prendono in esame il periodo stori­co che parte dal 600 d.C., solo una cinquantina sono dedi­cate al mondo dell'islam (ma sono ricche di sensibilità ebuone informazioni)'.

In alcuni paesi, tuttavia, e specialmente in Francia e ne­gli Stati Uniti, gli storici e gli esperti di scienze sociali stan­n? introducendo le loro specifiche categorie di interpreta­ZIOne, tratte dalla cultura storica o sociologica del momen­to: in particolare, le categorie marxiste o post-marxiste oquelle elaborate dagli storici collegati alla rivista francese

•J. M. Robcru, Th. HUlchimon Hislory 01th. Worbi. London 1976.

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-Annales» o - negli anni recenti - i concetti derivati dallamoderna teoria letteraria. Per fare alcuni esempi evidenti:Fernand Braudel, in Civiltà e imperi del Mediterraneo nel­l'età di Filippo 1/, ha cercato di spiegare la natura e lo svi­luppo di tutto il mondo affacciato sul Mar Mediterraneo eha in tal modo introdotto un concetto allo stesso tempopiù ampio e più limitato di quello di _mondo musulma­no»'. Analogamente, in un libro curato da Julian Pitt-Ri­vers, Mediterranean Countrymen, alcuni antropologi han­no dimostrato di essere interessati più alle somiglianze chealle differenze tra i paesi nei quali il cristianesimo, nelleforme cattolica e ortodossa, o l'islam erano le religionitramandate: il loro interesse si concentra sui valori di ono-re e ritegno di cui vivono le società contadine'. .

La categoria dell'_islam» è presente a mala pena m unadelle opere fondamentali di storia del Medio Oriente scrit­ta nell'attuale generazione: Artisans et commerçants auCaire au XVIIlèm. siècle. Gli elementi principali di inter­pretazione sono il sistema amministrativo e fiscale dell'Im­pero ottomano e dei suoi delegati locali in Egitto, e il siste­ma di produzione industriale nei suoi rapporti con il com­mercio internazionale; l'cislam» entra nell'analisi solo co­me fattore sussidiario, laddove la legge islamica concerne ilpatrimonio e la distribuzione della proprietà'. Maxime Ro­dinson, in Islam et capitalisme, prende in esame l'opinionediffusa secondo la quale vi è qualcosa nelle dottrine, nelleleggi e nei comportamenti abituali delle società musulmane

) F. Braude~ La. Midiurranle et ~ monde midilerranlm à l'ipoque dePhilippc Il, Para 1966. 2& ed. (tnd. it. CitJi/là t impen' dtl Mediterraneon.U'.tà di Filippo Il, Torino 1%5).

•J. Pin-Rivers. Mcditerrancan Countrymm. p~ 1963. '.7 A. ~ymond. ArtUanS et commtrçants ali CalTt ali XVfllmw necit,

Damasco 1973-4,2 voli

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_______ L'islam nel pensiero europeo _

che ha impedito lo sviluppo di una moderna economia ca­pitalista. Il libro è uno dei frutti del dibattito aperto da MaxWe~r con L'etica protestante e lo spirito del capitalismo, eRodinson tenta di dimostrare che, se il capitalismo si è svi­lup~at.o da~prima nei ~aesi in cui la religione prevalente eraIl cns!laneSlmo e non llslam, la spiegazione non può esseretrovata. nella natura dell'una o dell'altra religione'. Un con­vegno mternazlonale sulla -città islamica» tenuto nel 1965. "parttva dall'idea che le città musulmane avessero caratteri-stiche, sia di composizione fisica che di struttura sociale de­r,ivate d.irettam~nt.e dall'insegname.nto e dalle leggi 'del:Ilslam; m esso SI gIUnse alla conclUSIOne che Il concetto di-città islamica» risultasse meno utile, come elemento di in­terpretazione, di quanto lo fossero, per esempio, quelli dicittà medievale o di città pre-industrìale o del Vicino Orien­te o del Nord Africa'.

Un simile cambiamento nell'enfasi può portare troppolontano, comunque. In particolare coloro che sono inte­ressati al primo periodo di quella che viene normalmentec~amata «storia .is~amica. non possono ignorare la nascitadI una nuova rehglOne, la sua diffusione in paesi di anticaciviltà, la sua organizzazione in teologia e leggi attraversolo strumento della lingua araba e la fondazione di un im­pero che ~sigeva autorità nel suo nome; anche nei periodisucceSSIVI, In un certo senso, i paesi musulmani hannoavuto.la te~denza a vivere in un relativo isolamento rispet­to agh altri. Il tentativo più ambizioso di mettere d'accor­do le inter~ret~ion.i in termini di islam con gli altri tipi dilOterpretazlOnJ stanche, e dJ collocare il mondo dell'islam

• M. ~odinson. lslam ~l CApitalis~. Paris 1960 (trad. it. lswm ~ CApitali­smo, Tonno 1968).

, Th~ Is/amic City, a cura di A. Hourani ~ S. M. Sterno onoro 1970.

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nel contesto della storia universale, è quello compiuto daMarshall Hodgson in The Venture o[ Islam lO

• Il sottotitolodel libro è Conscience and H istory in a World-Society equesto è significativo dell'interesse di Hodgson per i rap­porti tra l'individuo e la collettività e anche della sua con­sapevolezza del ruolo del mondo islamico all'interno diuna unità più vasta: l'Oikoumene, tutto il mondo di ,:ittà edi agricoltura organizzata che si estende dall'AtlantIco ~

Pacifico. Egli vede la storia dell'islam anche all'interno diuna struttura temporale più ampia, come continuazione diuna tradizione culturale più antica, quella della FertileMezzaluna, dell'Iran e dell'Egitto, che va indietro fino aBabilonia e all'antico Egino, ma che ora si esprime con unnuovo linguaggio, quello arabo, e come risposta intellet­tuale e artistica a un nuovo Libro sacro.

All'interno di questo ampio contesto di spazio e tem­po, Hodgson sostiene una certa visione del proces~o sto­rico in termini di interazione fra tre forze: lo SVIluppograduale deUe risorse culturali e delle tradizioni nei limitidi un determinato ambiente fisico, la crescita e la duratadi una solidarietà collettiva e il sottile lavoro del pensieroe della coscienza individuali che, in alcune circostanze,può dare un nuovo indirizzo alle tradizio~i culturali e al­la solidarietà collettiva. Le conseguenze d, questa v,slOnedella storia arrivano lontano. Hodgson ha rottO conl'idea generalmente accettata che la storia islamica siaformata da tre secoli circa di conquiste, con la lingua ara­ba come strumento e la Fertile Mezzaluna come suo cen­tro, seguiti da un lungo periodo di stagnazione e di decli­no. Egli riteneva che il punto più alto della civiltà islami­ca fosse da collocare molto più avanti nel tempo e molto

IO M. Hodgson, The Venture DJ [slam, Chicago 1974,3 volI.

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più ad est nello spazio: all'inizio del periodo moderno, enella regione dell'alta cultura persiana, che si estendevadall'Asia centrale attraverso l'Iran fino all'India del Nord.Questo punto di vista ha conseguenze anche per la storiadel mondo: Hodgson si allontanò dall'idea consueta(espressa, ad esempio, nel pensiero di Hegel) della storiacome una marcia verso l'Occidente. Fino al XVIII seco­lo, egli afferma, è la civiltà musulmana che domina ilmondo delle .ci~tà e dell'agricoltura organizzata, con iSUOI linguaggI dI alta cultura, le sue leggi universalmenteaccettate all'interno delle quali hanno trovato pOSto rap­porti commerciali e di altro genere, la sua letteratura e lasua arte che hanno dato espressione simbolica ad una vi­sione di questo mondo e di quello prossimo. È stato solonel XIX secolo, sostiene Hodgson, che il potere e l'indi­pendenza culturale del mondo musulmano hanno co­minciato ad essere messi seriamente in discussione, comeconseguenza di una mutazione della società umana che simanifestò dapprima ai lontani confini occidentali delmondo civilizzato.

11. Oriente e Occidente.

All'interno di questi dibattiti stanno ora cominciando alevarsi altre voci: In ~uropa e in America vengono svilup­pate ncerche e nflesslOnI sulla cultura e sulla storia islami­che alla presenza di coloro sui quali gli studiosi e i pensa­tori occidentali scrivono. Questo è vero in vari sensi: sia­mo tutti consci di un mondo musulmano vivo e in evolu­zione, e non di qualcosa che esisteva nel passato e cheadesso - per usare le parole di Hegel - è affondato .nel­l'inerzia e nella tranquillità orientale». Ricerca e riflessioni,

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inoltre, vengono ora condotte nella collaborazione e neldialogo. La comunità internazionale di studi islamici è piùche una 'comunità apena. Possiamo mettere a confrontouna conferenza tenuta sessant'anni fa con quelle che sitengono oggi. AI diciassettesimo congresso internazionaledi orientalisti, tenutosi a Oxford nel 1928, dei 750 membriiscritti non più di una dozzina erano musulmani, e vi svol­gevano un ruolo minore'; ai convegni attuali della MiddleEast Studies Association del Nord America, una larga per­centuale dei membri proviene da paesi musulmani, e tra diessi ve ne sono alcuni tra i più attivi e impananti.

La maggior pane d~gli studi possono essere seguiti congli stessi metodi e compresi attraverso le stesse categorieanche da coloro che hanno formazioni culturali diverse: ilcommento dei testi, l'esplorazione degli archivi di stato, lastoria dei mutamenti economici o la storia dell'ane. In al­cuni campi, in verità, l'equilibrio si sta spostando tra glistudiosi d'Europa e d'America e quelli dello stesso mondomusulmano: tutti gli specialisti di storia ottomana, peresempio, hanno sentito l'influenza del lavoro di Halil Inal­cik e di altri storici turchi. È probabile tuttavia che vi sianodifferenze di approccio sui temi più delicati: l'interpreta­zione di una tradizione religiosa e della cultura intima­mente legata ad essa. Negli ultimi anni, sono stati espressicon forza due tipi di critica degli studi islamici, o più gene­ricamente «orientali•.

Uno di essi viene dai devoti seguac.i della fede del­l'islam, per i quali il Corano è, in senso letterale, la paroladi Dio rivelata attraverso l'angelo Gabriele al ProfetaMaometto, e che trovano impossibile accettare il tipo di

I Procudings or,be Stwnternth Inttrnaticnal ConglYn ol0rimt4usu.Oxforo 1928, London 1929.

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analisi dotta che vorrebbe ridurre il Corano a prodotto delpensiero di Maometto, o dipingere la persona di Maomettoin un modo che potrebbe gettare dubbi sulla pretesa di es­sere stato scelto da Dio come messaggero della Sua parola.Queste riserve dovrebbero essere considerate con rispettoda coloro che non le condividono; esse esprimono una fedeper la quale uomini e donne hanno vissuto e sono motti, eun modo di pensare e di vivere che ha informato le loropersonalità, sia individuali che collettive. Un'idea dellaprofondità di queste riserve è contenuta in un'analogia sug­genta da Wdfred Cantwell Smith. Per i musulmani, eglipuntualizza, il Corano non è semplicemente una docu­mentazione della rivelazione di Dio, è la rivelazione stessa:

Se si fa un parall~l~ in termi~i di struttura delle due religioni, ciòche nello schema cnstlano cornsponde al Corano non è la Bibbiama la persona di Cristo - è CristO che per i cristiani è la rivelazionedi (~a ~ane di) Dio. Eciò che nello schema islamico corris~nde al­la Bibbia 03 documentazione della rivelazione) è la Tradizione (ha­dùh) [...] il corrispettivo della critica biblica è la critica all'hadich,che ha avuto inizio. Andare in cerca di una critica storica del Cora­no è come andare in cerca di una psicoanalisi di Gesit.

Se questi dubbi e queste esitazioni devono essere risol­ti, ciò non può essere fatto dall'esterno, ma solo attraversoil dibattito tra cmodernisti. e ctradizionalisti. che è anda­to avanti in tutte le società musulmane neU'ultimo secolo.I termini deUa discussione sono stati ben definiti di recen­te da Fazlur Rahman, un insigne studioso pakistanodell'Università di Chicago, in Islam and Modemity. Illa­varo principale sulla storia dell'islam, afferma, è statosvolto da studiosi occidentali, ma l'impegno dovrebbe oraessere assumo dagli stessi musulmani. Egli pensa che sia

, W. CanrweU Smith, Islam in Modn-n History, Princeton 1957. p. 18,nota 13.

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essenziale preservare il Corano come base della fede, delgiudizio e della condotta morale, ma dovrebbe essere con­siderato come un libro guida per tutta l'umanità (huda [i'[­nas). Gli scrittori di legge hanno sbagliato a estrapolare di­chiarazioni isolate del Corano e a trame, per stretta analo­gia, leggi e regole per tutti i temp~ è necessario guardare alCorano come ad un'unità alla luce della moderna cultura,distinguendone i «propositi primari», e ricavandone ordiniprecisi appropriati alle circostanze di particolari tempi eluoghi. Allo stesso modo è necessario guardare all'Hadithin modo critico; questo «dovrebbe non solo rimuovere ungrosso blocco mentale ma anche promuovere opinioni fre­sche sull'Islam»'. C'è dunque la necessità di un nuovo tipodi istruzione musulmana, al fine di formare studiosi chepossano guardare al Corano, a11'Hadith e alla legge alla lu­ce della ragione.

Vi è un altro tipo di critica che viene dagli stessi studio­si, e non solo da quelli la cui cultura tramandata è quelladell'islam. L'accusa di «orientalismo», che è diventata cor­rente in tempi recenti, è in parte espressione dci conflittotra diverse generazioni, in parte tra diverse formazioni in­tellettuali. Sembra che ci siano tre principali linee di attac­co. Si dice, prima di tutto, che la cultura occidentale haavuto la tendenza ad essere «essenzialista»: cioè a spiegaretutti i fenomeni delle società e della cultura musulmane neitermini dell'idea di un'unica, immutabile natura dell'islame di ciò che deve essere un musulmano. C'è una certa ve­rità in questo per quanto riguarda il primo periodo dellacultura islarnica, e se ne possono ancora udire gli echi inalcuni scritti popolari e nei mass media, ma non è statol'atteggiamento dominante di coloro che si trovavano nella

, F. Rahman,/,L.m and ModemÌly, Chicago 1982, p. H7.

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tradizione centrale della cultura, almeno dal tempo diSnouck Hurgronje. La maggior parte di loro accetterebbeuna formulazione di questo tipo: che l'islam, così come èarticolato in leggi, rituali e istituzioni, ha fornito un mo­dello che condiziona le società nelle quali è stato la religio­ne dominante, ma la natura di qualsiasi specifica societàpuò essere spiegata solo nei termini dell'interazione traquesto modello e le peculiari tradizioni e situazioni diquella società, e lo stesso modello muta nei diversi tempi enei diversi luoghi.

Si sostiene, in secondo luogo, che la cultura occidentaleha avuto motivazioni politiche: nel periodo del potere eu­ropeo - e ora in quello di un altro tipo di supremazia occi­dentale - è stata usata per giustificare la dominazione sullesocietà musulmane, costruendo ad arte un'immagine dellesocietà musulmane (o delle società orientali in generale)come stagnanti e immutabili, arretrate, incapaci di autogo­vernarsi o ostili; la paura della «rivolta dell'islam» ha os­sessionato la mente dell'Europa durante l'età imperiale, edè tornata Ofa per ossessionarla di nuovo. In effetti c'è unaqualche verità in questa accusa, riferita a un certo periodo,ma l'atteggiamento che intende denunciare non era neces­sariamente ignobile, né generalizzato. Era naturale che glistudiosi inglesi, francesi e olandesi sentissero dellaresponsabilità per il modo in cui i loro governi esercitava­no il potere; senza dubbio alcuni di loro accettavano quel­le sommarie divisioni dell'umanità, tra Oriente e Occiden­te, criscianesimo e islam, avanzati e arretrati, che potevanoessere assunte per giustificare la dominazione occidentale,e questo si è protratto fino al tempo presente con l'elabo­razione di divisioni schematiche come quelle tra paesi«sviluppati» e «sottosviluppati». Non tutti gli «orientali­sti., comunque, accertavano queste distinzioni o le loro

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implicazioni. Alcuni erano fieri oppositori delle politicheimperiali dei loro paesi: E. G. Browne in Inghilterra è sta­to un sostenitore della rivoluzione costituzionale in Iran,Louis Massignon del movimento algerino per l'indipen­denza; altri, come Hurgronje, hanno usato tutta la loro in­fluenza in favore di un atteggiamento più sensibile e com­prensivo verso coloro che le loro nazioni governavano.Quella che divenne la tradizione centrale degli studi isla­mici nel XIX secolo, e cioè quella espressa in Germania,non fu così profondamente segnata da questi atteggia­menti, dal momento che né la Germania né l'Austria eser­citarono un dominio diretto sui paesi musulmani in Asia oin Africa; anche qui, tuttavia, alcune distinzioni di questogenere erano implicite in idee sulla storia del mondo comequelle di Hegel.

La terza linea della critica si fonda sull'idea che il pen­siero e la cultura occidentali abbiano creato un corpo, chesi perpetua automaticamente, di verità generalmente accet­tate che hanno autorità nella vita intellettuale e accademi­ca, ma che hanno scarsa relazione con la realtà dell'oggettoche viene studiato. C'è indubbiamente del vero in questo.Forse è inevitabile che studiosi e pensatori debbano lavo­rare in questa maniera. Nel cercare di comprendere un ar­gomento, dobbiamo far uso di determinate categorie diinterpretazione, che servono almeno come principi di sele­zione e di importanza; è inevitabile che esse vengano trattedalla nostra tradizione intellettuale e che tendano a perpe­tuarsi. Non c'è altro modo di lavorare con profitto, maquello che forse si può dire è che le categorie che hannousato molti di coloro che hanno lavorato allo studio del­l'islam non rispecehiano quelle della parte più cospicua delpensiero moderno più vitale, e non è verosimile cheprodurranno risultati di grande interesse per coloro che

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non rientrano nelle file degli specialisti. Le categorie di ba­se sono ancora, in larga misura, quelle formulate da Gold­ziher, tratte dal pensiero speculativo e dalla cultura filolo­gica del XIX secolo. Se paragonata con quella della Cina odel Sud dell'Asia, la storia della maggior parte dei paesimusulmani è ancora un campo di indagine poco sviluppa­to. Ciò è dovuto in parte al fatto che studi condotti conserietà che abbiano per oggetto la storia e le società musul­mane, con saggi specifici su questi argomenti, sono relati­vamente nuovi, e ci sono pochi specialisti nel campo; inparte anche al fatto che i pensatori e gli studiosi che hannolavorato all'interno di queste società non s'ono stati in gra­do - tranne poche eccezioni - di imporre l'autorevolezzadelle proprie categorie di interpretazione.

Può darsi che tutto questo stia ora cambiando, dato cheun maggior numero di studiosi di una nuova generazioneentrano in campo e fanno uso di categorie tratte da nuovisistemi di pensiero. È chiaro, tuttavia, che non dovremmoaspettarci di veder emergere lo stesso tipo di consenso cheesisteva in passato. Ci saranno differenze di approccio tra levarie scuole e tendenze, e potrebbe esserci anche una diffe­renza di enfasi tra coloro che guardano al mondo dell'islamdall'interno e coloro che vi guardano dalla sponda diun'atavica cultura occidentale. Per esempio, è probabile chel'interesse per l'islam, come stadio intermedio tra la civiltàclassica e quella dell'Europa a partire dal Rinascimento, siapiù profondo tra gli studiosi occidentali che non tra quellidei paesi musulmani. Quando lo studioso tedesco C. H.Becker diceva «senza Alessandro il Grande, niente civiltàislamica»\ toccava un tasto che poteva avere una risonanzapiù profonda nelle menti occidentali che non in quelle che

•C. H. Becker,lslamsludien, Leipzig 1924,1, p. 16.

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avevano ereditato la tradizione deUa cultura islamica, e perle quali essa rappresenta non un ponte tra una cosa e un'al­tra, ma qualcosa di originale, e un apogeo.

Gli studiosi occidentali sono probabilmente più inte­ressati alle origini che allo sviluppo. Nello studio dell'Ha­dith, per esempio, il miglior lavoro europeo, da Goldziherin poi, è stato consacrato al modo in cui il corpo delle Tra­dizioni si era sviluppato, alle sue origini e all'ampliamentoe alla formazione di un corpo riconosciuto di Tradizioniattraverso i secoli. C'è un altro modo di guardare all'argo­mento, che potrebbe avere più significato per gli studiosimusulmani: il ruolo dell'Hadith nel pensiero e nella so­cietà musulmani. Quali sono i diversi significati che gli so­no stati attribuiti nei diversi momenti? Quali particolaritradizioni sono state usate, e per quali propositi? Quando,nel 1798, i governanti mammalucchi dell'Egino appreseroche i francesi erano sbarcati in Egitto, mandarono istru­zioni agli shaikhs dell'Azhar di leggere il Sahih di al­Bukhari, la principale collezione di Hadith'. Perché lo fe­cero? Quali hadith vennero letti? Quali effetti ebbe la let­tura sulla mobilitazione della gente del Cairo di fronteall'invasione? Queste domande potrebbero avere una riso­nanza più profonda in qualcuno che condivida la coscien­za collettiva dalla quale sono scaturiti questi ani e questeidee anziché in chi non si trovi in questa condizione.

Tali divergenze di enfasi e di opinione sono inevitabiliin un campo sviluppato di studi condiviso da persone cheprovengono da diverse formazioni intellettuali. Questonon deve però condurre necessariamente a un conflitto, sericordiamo, con le parole di papa Gregorio VII, .la caritàche dobbiamo gli uni agli altri».

'al-Jabmi. 'Aja'''', IlI, p. 6.

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