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romeo e giulietta Prosa 2012/2013

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romeo e giulietta

Prosa2012/2013

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Fondazione I Teatri di Reggio Emilia, 2013A cura dell’Area comunicazione ed editoria

L’editore si dichiara pienamente disponibile a regolare le eventuali spettanze relative a diritti di riproduzione per le immagini e i testi di cui non sia stato possibile reperire la fonte.

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Martedì 9, mercoledì 10 aprile 2013, ore 20.30Teatro Municipale Valli

Francesco Montanari Deniz Ozdogan

Romeo e Giuliettadi William Shakespeare nuova edizione traduzione e adattamento Fausto Paravidino e Valerio Binascocon Andrea Di Casa, Filippo Dini, Francesco Formichetti, Massimiliano Frateschi, Simone Luglio, Riccardo Morgante, Fulvio Pepe, Giampiero Rappa, Sergio Romano, Marcela Serli, Roberto Turchetta, Gianluca Viola, Antonio Zavatteri e con Milvia Marigliano scene Carlo De Marinocostumi Sandra Cardiniluci Pasquale Marimusiche originali Arturo Annecchinoregista collaboratore Nicoletta Robelloregia Valerio Binasco Teatro Eliseo in collaborazione con Compagnia Gank e Gloriababbi Teatro Si ringrazia il Teatro Valle Occupato

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©Valeria Tomasulo

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Note di regia

Non si possono scrivere note di regia su Romeo e Giulietta. Nes-sun regista, nessun attore può sapere ‘prima’ dove e come andrà a finire il suo viaggio shakespeariano. Se devo dire quel che pen-so, penso che ogni ‘viaggio’ shakespeariano nei normali teatri italiani è sempre e comunque un naufragio. Per portare un testo di Shakespeare al suo naturale approdo in un teatro normale, delimitato dalla moderazione muraria, e dinnanzi a un pubbli-co odierno ‘moderato’ da muri casalinghi, si devono lasciar ca-dere lungo il percorso molte delle sue qualità, tutte orientate al troppo: o la troppa poesia, o la troppa retorica, i troppi luoghi dell’azione, la troppa libertà formale, o i troppi personaggi, ec-cetera. È quasi tutto troppo con Shakespeare. I registi, appena possono, appena trovano un produttore abbastanza appassiona-to e ingenuo da dir loro di sì, rifuggono dai teatri convenzionali e portano Shakespeare tra le rovine, nei capannoni abbandonati, nei teatri sventrati. Se devo continuare a dire quel che penso: fanno bene. Secondo me non esiste un altro modo di fare Sha-kespeare se non quello di Peter Brook alla Bouffe du Nord e di Carlo Cecchi al Teatro Garibaldi di Palermo. Siamo anche noi, da un bel pezzo, sul Viale del Tramonto, e quindi non darà fasti-dio a nessuno se faccio un piccolo abuso delle parole di Norma Desmond: “Non è Shakespeare che è troppo grande, siamo noi che siamo diventati troppo piccoli”. Comunque: mi stavo barca-menando abbastanza bene con il teatro contemporaneo. Più di metà della mia vita era trascorsa e tiravo avanti, sempre avanti, almeno mi sembrava, col mio mestiere, senza mai incontrare – da regista – quei famosi ‘troppi’ di cui sopra. (L’attore che sono è un’altra cosa, ha fatto Shakespeare molte volte: l’attore avrebbe altro da dire, ma gli attori, per definizione, non scrivono le note di regia). Poi è arrivata la Grande Crisi che ha fatto a pezzi il Teatro: ed è partito questo gioco darwiniano del ‘si salvi chi può’. In realtà i teatranti sono un po’ più vili, e dicono ‘Ci salvi chi può’. E sono corsi a fare Shakespeare. Se ci fate caso: i cartelloni degli ultimi anni sono pieni di Shakespeare. Quanti Amleti giravano l’an-

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no scorso? Erano dappertutto. Quanti Otelli? Quasi tutti han-no prodotto un titolo importante, da Tempesta a Sogno, Molto rumore per nulla, Re Lear, e molti altri. Perché? Ve lo dico io. Non perché ci si guadagna (basta vedere quanti attori servono, anche se ormai sono pagati tutti il giusto, cioè quasi niente), non perché si è sicuri di riempire le sale (e chi lo sa come si fa, a riem-pire le sale in modo onesto?), ma per ritrovare un senso, umano e storico, fosse anche testamentario, alla civiltà del teatro. Ha-rold Bloom ci aveva azzeccato: al centro del Canone Occidentale c’è Shakespeare. Se serviva una prova, eccola qua. Vale anche per gli italiani. Fateci caso: la Grande Crisi ha fatto quasi spari-re Pirandello, chi l’avrebbe detto? Non potevo dunque esimer-mi, pauroso come sono, da questa prova del coraggio. Se devo insistere a dire quel che penso: sono stato troppo coraggioso a scegliere Romeo e Giulietta. Ha un troppo in più: è troppo di tutti. È un’opera così famosa che è impossibile sfuggire al già visto. In più mi accorgo che di Romeo e Giulietta mi piacciono soprattutto cose che potrei anche definire marginali: i personag-gi secondari, il tono da commedia, il provincialismo italiano (di cui Shakespeare non sapeva nulla, certo, ma come non pensarci quando vedo quei poveri giovinastri Capuleti e Montecchi che si aggirano per Verona, nella nebbia, nel ‘niente da fare’ delle pro-vince del nord, determinati in modo quasi scientifico a diventare gretti e imbecilli come i loro genitori, antesignani illustri dei po-veri baldi padani odierni... ?). Insomma la cosa che più mi attira in Romeo e Giulietta è la crudeltà, spesso involontaria ma an-cor più spesso consapevole, che nasce dall’imbecillità umana. Io credo che chiunque si identifichi con un Clan, una famiglia, una razza, una tifoseria, sia un imbecille. Gli imbecilli sono anche violenti, e viceversa. È una storia di imbecilli violenti, questa di Giulietta e Romeo. A parte i due protagonisti, in qualche modo ‘salvati’ dall’innamoramento, e dall’innamoramento convertiti al pacifismo, tutti gli altri si muovono minacciosi e vittoriosi ver-so il domani dell’umanità. Che è il nostro oggi, ahimè. Abbiamo visto tutti che bella carriera hanno fatto e stanno facendo nella Storia gli imbecilli violenti, e quale pessima gli innamorati paci-fisti. Se la morte dei due innamorati doveva servire a placare gli animi, allora ci troviamo dinanzi a due capri espiatori. All’epoca

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©Tiziana Tomasulo

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di Shakespeare è probabile che lo shock morale della morte di due innocenti fosse sufficiente a fermare un’escalation di stra-gi. Oggi non funziona più. I capri ammazzati son capri morti e basta, di espiatorio non si vede nulla. Non so che ha da dire a proposito di oggi René Girard, ma ai tempi di Shakespeare la sua teoria funzionava abbastanza, e i genitori di Romeo e Giu-lietta rinunciano al loro odio. Ma questo non li guarisce dalla loro imbecillità e dalla loro vocazione al kitsch, perché subito si impegnano a imbrattare la città con delle orribili statue d’oro dei loro figli. Questa storia delle statue d’oro mi intenerisce mol-to: la sento davvero appiccicosa e squallida come le ostentazio-ni italiane provincialoidi, tutte pregne di laido decoro. Tuttavia mi intenerisce: che posso farci? Occorre ricordare che chi scrive arriva da un mondo non dissimile? Che conosco per filo e per segno lo squallore e la poesia delle notti di pianura? E che, al pari del fotografo Martin Parr, il più crudo provincialismo mi attira come una perdizione? Qualcuno che vuol bene al mio la-voro, mi ha detto con tono entusiasta che in qualche modo io continuo a provare a fare Checov, magari anche Maupassant, nei miei spettacoli. Sono d’accordo con lui. A onor del vero qualcosa di simile me l’ha detta, con tono del tutto privo di entusiasmo, anche qualcuno che non vuole bene al mio lavoro. Sono d’accor-do anche con lui. Vedremo che succederà. Con Shakespeare non si può prevedere nulla. Intanto mi sono procurato degli attori e dei collaboratori fantastici. Valerio Binasco

Valerio BinascoÈ uno degli attori-registi teatrali più apprezzati della “nuova” generazione: diplomato presso la Scuola di Recitazione del Tea-tro Stabile di Genova nel 1988, dove ha iniziato a lavorare come attore con Marco Sciaccaluga, Valerio Binasco ha collaborato ai progetti artistici di Franco Branciaroli e per molti anni ha lavo-rato con Carlo Cecchi. Ha ricevuto il Premio Linea d’ombra e il Premio Ubu quale miglior attore giovane per l’interpretazione di Amleto (proprio per la regia di Carlo Cecchi) ed è stato prescelto quale vincitore per i Premi Olimpici del Teatro e per il Premio

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Ubu per Edipo a Colono (miglior attore non protagonista, regia di Mario Martone). Con Cecchi ha interpretato anche il ruolo di Clov nello spettacolo (premio Ubu) Finale di partita di Beckett. Lavora anche per il cinema, ricordiamo: Lavorare con lentezza di Guido Chiesa, Texas di Fausto Paravidino, La bestia nel cuo-re di Cristina Comencini, ed è stato tra i protagonisti del film di Ferzan Ozpetek Un giorno perfetto del film (cinema e tv) e de Il sangue dei vinti dal libro di Pansa con la regia di Soavi. Alterna l’attività di interprete e di regista, e anche nel secondo ruolo ha meritato molti riconoscimenti: tra gli spettacoli da lui diretti citiamo La chiusa di Conor Mcpherson, Il cortile di Spiro Sciamone, Cara Professoressa di Ludmilla Razumovskaja, Ti ho sposato per allegria di Natalia Ginzburg. Nelle ultime stagioni ha messo in scena la trilogia dell’autore norvegese Jon Fosse: Qualcuno arriverà al Teatro Stabile di Genova, E la notte canta al Teatro di Roma e Un giorno d’estate prodotto dal Teatro Eli-seo di cui è regista stabile per il triennio 2009-2011 e per il quale nel 2009 ha diretto e interpretato insieme a Maria Paiato anche L’intervista di Natalia Ginzburg. Nel 2010 è coprotagonista con Luigi Lo Cascio del film Noi credevamo di Mario Martone. Sem-pre nel 2010 apre la stagione Carignano di Torino con Filippo di Alfieri e dirige Ennio Fantastichini e Isabella Ferrari nello spet-tacolo Il Catalogo di Jean Claude Carriére. La regia di Romeo e Giulietta è valsa a Binasco il Premio Ubu 2011 migliore regia.

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©Valeria Tomasulo

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Non è mai facile affrontare un classico, lo è ancora meno mettere in scena un “classico dei classici” come Romeo e Giulietta. Indi-pendentemente dalla bravura degli attori, il rischio di cadere nel già visto, nella parodia del dramma, nella forzata attualizzazione di scene e dialoghi o nella fastidiosa sensazione di assistere a una recita scolastica è sempre dietro l’angolo. Dunque, quando si spengono le luci, prima che si apra il sipario, è perfettamen-te lecito venire assaliti dal timore di veder uscire -come troppo spesso accade- un Romeo in motoretta o un Mercuzio vestito da metallaro che parla però in quartine o in decasillabi sciolti; di vita, amore, onore e morte, con quel conseguente e inevitabile senso di ridicolo e di spaesamento che da solo può affossare il miglior spettacolo. (…)E invece? Sorpresa. Valerio Binasco – re-gista e co-sceneggiatore assieme a Fausto Paravidino – riesce a costruire un dramma leggero quando serve, potente al momento giusto, attuale ma non attualizzato; permeato di tutta la fragilità e la volubilità di un amore adolescenziale, esagerato, irrazionale, estremo. (…)I protagonisti sono così credibili che ti aspetti quasi che i due giovani e viziati veronesi, dopo essersi dichiarati amore eterno a una festa in cui si erano appena conosciuti, vadano a convivere infischiandosene facilmente di onori e odi delle rispet-tive famiglie. Nicola Bionda Teatroteatro

Il regista rilegge l’opera del drammaturgo inglese, ponendo l’accento su alcuni dettagli che non sempre trovano spazio: ne esce una rappresentazione di circa tre ore, piuttosto originale nell’ambientazione un po’ modernizzata, quasi da fine ‘800, e per l’utilizzo di uno stile ironico e a tratti comico che rende la tragedia più fruibile per il vasto pubblico, smorzando lievemente il carattere grave della trama ad aumentandone la piacevolez-za. Sviluppa, inoltre, piuttosto egregiamente alcuni personaggi ritenuti secondari, i quali rivivono così in ruoli di primaria im-portanza. Inoltre vi è una chiara scelta del messaggio principa-le da far emergere in questa rilettura: evocare la ricerca di una pace difficile, di una necessità di armonia intelligente e serenità evitando inutili violenze e contrasti socio-culturali. Tutti punti a

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suo favore che gli hanno valso il Premio Ubu 2011 per la miglior regia.Donato Panico (teatro.org)

In questa lettura, è un amore il loro che conosce solo la violenza, quella forte del contesto in cui nasce, una piccola cittadina come doveva essere Verona, devastata da una faida sanguinosa da cui tutto e tutti sono segnati. Una violenza che ci rimanda facilmente a quella dei nostri giorni e così i costumi saranno contemporanei e i Capuleti e Montecchi potrebbero anche far pensare, avere lo stile e il gusto di certi camorristi, basti ricordare le statue d’oro dei due ragazzi che vorranno erigere loro alla fine. L’Arena

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GRUPPO BPER

Le attività di spettacolo e tutte le iniziative per i giovani e le scuole sono realizzate con il contributo e la collaborazione della Fondazione Manodori

UNINDUSTRIA REGGIO EMILIA

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Luigi Bartoli, Paola Benedetti Spaggiari, Bluezone Piscine, Franco Boni, Achille Corradini, Donata Davoli Barbieri, Anna Fontana Boni, Mirella Gualerzi, Insieme per il Teatro, Paola Scaltriti, Gigliola Zecchi Balsamo

Annalisa Pellini

Davide Addona, Giorgio Allari, Carlo Artioli, Maurizio Bonnici, Gianni Borghi, BST Studio Commercialisti Associati, Andrea Capelli, Umberto Cicero, Francesca Codeluppi, Giuseppe Cupello, Emilia Giulia Di Fava, Ennio Ferrarini, Milva Fornaciari, Giovanni Fracasso, Alice Gherpelli, Marica Gherpelli, Silvia Grandi, Claudio Iemmi, Luigi Lanzi, Paolo Lusenti, Franca Manenti Valli, Silvana Manfredini, Graziano Mazza, Clizia Meglioli, Ramona Perrone, Francesca Procaccia, Teresa Salvino, Viviana Sassi, Fulvio Staccia, Alberto Vaccari

Vanna Belfiore, Deanna Ferretti Veroni, Corrado Spaggiari, Vando Veroni

Benemeriti dei Teatri

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