Highsmith Patricia - La Spiaggia Del Dubbio

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PATRICIA HIGHSMITH LA SPIAGGIA DEL DUBBIO (The Tremor Of Forgery, 1969) A Rosalind Constable, come piccolo ricordo di un'amicizia molto lunga 1 «Sicuro che non ci siano lettere per me?» chiese. «Howard Ingham. I-n- g-h-a-m.» Lo compitò, alquanto incerto, in francese, pur avendo parlato invece in inglese. L'arabo, tracagnotto e in uniforme rosso vivo, ripassò le lettere tolte dal- la casella I-J. «Non, m'sieur.» «Merci,» fece lui, con un sorriso di circostanza. Era la seconda volta che chiedeva, ma intanto l'impiegato era cambiato. Aveva già chiesto dieci mi- nuti prima, appena arrivato all'Hotel Tunisia Palace. Aspettava una lettera da John Castlewood, infatti. E una anche da Ina. Aveva ormai lasciato New York da cinque giorni, perché era passato prima da Parigi, per incon- trare il suo agente di lì e, anche, per rivedere un po' la città. Si accese una sigaretta e si guardò in giro nell'atrio. Tappeti orientali e aria condizionata; quanto agli ospiti, dall'aspetto la maggioranza sembra- vano francesi e americani. C'erano però anche parecchi arabi dalla faccia bruna, vestiti all'occidentale. Gliel'aveva raccomandato John quell'albergo. Sarà il migliore della città, pensò. Superò le porte di cristallo e uscì sulla strada. Erano gli inizi di giugno e, alle sei circa del pomeriggio, l'aria era tiepida e il sole, sbieco, ancora bril- lante. John gli aveva raccomandato anche il Café de Paris per l'aperitivo della colazione e del pranzo, e eccolo lì, infatti, dall'altra parte della strada, sull'angolo del Boulevard Bourguiba. Si diresse da quella parte, dunque, e strada facendo comprò l'Herald Tribune di Parigi. La strada era abbastanza larga e aveva al centro uno spartitraffico alberato e pavimentato sul quale la gente passeggiava, e lì c'erano i chioschi dei giornali e dei tabacchi e i lustrascarpe. Tutto sommato, ai suoi occhi quella era un qualcosa di mezzo tra una strada di Città di Messico e una di Parigi; del resto, i francesi ave- vano avuto una mano nella costruzione sia di Città di Messico sia di Tuni- si. Quel che riusciva a cogliere qua e là dalle conversazioni a alta voce gli

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  • PATRICIA HIGHSMITH LA SPIAGGIA DEL DUBBIO (The Tremor Of Forgery, 1969)

    A Rosalind Constable, come piccolo ricordo di un'amicizia molto lunga

    1 Sicuro che non ci siano lettere per me? chiese. Howard Ingham. I-n-

    g-h-a-m. Lo compit, alquanto incerto, in francese, pur avendo parlato invece in inglese.

    L'arabo, tracagnotto e in uniforme rosso vivo, ripass le lettere tolte dal-la casella I-J. Non, m'sieur.

    Merci, fece lui, con un sorriso di circostanza. Era la seconda volta che chiedeva, ma intanto l'impiegato era cambiato. Aveva gi chiesto dieci mi-nuti prima, appena arrivato all'Hotel Tunisia Palace. Aspettava una lettera da John Castlewood, infatti. E una anche da Ina. Aveva ormai lasciato New York da cinque giorni, perch era passato prima da Parigi, per incon-trare il suo agente di l e, anche, per rivedere un po' la citt.

    Si accese una sigaretta e si guard in giro nell'atrio. Tappeti orientali e aria condizionata; quanto agli ospiti, dall'aspetto la maggioranza sembra-vano francesi e americani. C'erano per anche parecchi arabi dalla faccia bruna, vestiti all'occidentale. Gliel'aveva raccomandato John quell'albergo. Sar il migliore della citt, pens.

    Super le porte di cristallo e usc sulla strada. Erano gli inizi di giugno e, alle sei circa del pomeriggio, l'aria era tiepida e il sole, sbieco, ancora bril-lante. John gli aveva raccomandato anche il Caf de Paris per l'aperitivo della colazione e del pranzo, e eccolo l, infatti, dall'altra parte della strada, sull'angolo del Boulevard Bourguiba. Si diresse da quella parte, dunque, e strada facendo compr l'Herald Tribune di Parigi. La strada era abbastanza larga e aveva al centro uno spartitraffico alberato e pavimentato sul quale la gente passeggiava, e l c'erano i chioschi dei giornali e dei tabacchi e i lustrascarpe. Tutto sommato, ai suoi occhi quella era un qualcosa di mezzo tra una strada di Citt di Messico e una di Parigi; del resto, i francesi ave-vano avuto una mano nella costruzione sia di Citt di Messico sia di Tuni-si.

    Quel che riusciva a cogliere qua e l dalle conversazioni a alta voce gli

  • risultava affatto incomprensibile; in una delle valigie lasciate in albergo aveva un libro intitolato L'arabo facile, ma naturalmente l'arabo andava imparato letteralmente a memoria perch non somigliava a niente di quel che lui conosceva.

    Attravers la strada puntando verso il Caf de Paris, i cui tavolini all'a-perto erano tutti occupati. La gente lo guardava, forse perch era una fac-cia nuova. C'erano parecchi americani e inglesi con l'aria di essere l da un bel po' e, soprattutto, la faccia annoiata. Dovette starsene al bar, in piedi. Ordin un Pernod e prese a scorrere il giornale. C'era chiasso. Alla fine avvist un tavolo libero e l'occup.

    La gente passeggiava sul marciapiede fissando le facce altrettanto ine-spressive di quelli seduti ai tavolini Lui prese a osservare soprattutto i pi giovani, perch era l per scrivere la sceneggiatura di un film su due giova-ni innamorati, o meglio tre, in quanto c'era anche un secondo giovanotto che per non riusciva a conquistare la ragazza. Ma di ragazzi e ragazze in-sieme non ne passavano, si vedevano solo giovanotti isolati o a coppie: si tenevano per mano e chiacchieravano fittamente.

    John gli aveva parlato dell'intimit che esiste tra i ragazzi in Tunisia, do-ve i rapporti omosessuali non sono uno spandalo, ma questo non aveva niente a che vedere con la sceneggiatura. I giovani di sesso opposto erano quasi sempre accompagnati o quanto meno tenuti d'occhio. C'era parecchio da imparare, dunque, e per quasi tutta la settimana, cio fino all'arrivo di John, il suo lavoro sarebbe consistito nel tenere gli occhi bene aperti e nel-l'assorbire, per cos dire, l'atmosfera del posto. John conosceva un paio di famiglie di Tunisi e questo gli avrebbe dunque offerto la possibilit di ve-dere l'interno di una casa borghese tunisina. Anche se la storia prevedeva pochissimo dialogo, quel poco bisognava pur sempre scriverlo, dopotutto. Bench avesse gi lavorato per la televisione, in realt lui si considerava un romanziere; quel lavoro perci, lo teneva un po' sulle spine. Ma John si mostrava fiducioso e, oltre tutto, non erano stati presi accordi ufficiali: in altre parole, lui Ingham non aveva firmato niente. Castlewood gli aveva anticipato mille dollari e, scrupolosamente, lui stava ora adoperando quel danaro esclusivamente per ci che riguardava il lavoro. Tra l'altro, buona parte se ne sarebbe andata per la macchina che avrebbe dovuto noleggiare per un mese. Anzi, decise, l'indomani mattina doveva gi procurarsela, in modo da cominciare a dare un'occhiata in giro.

    Merci, non, disse a un ambulante che gli stava offrendo un lungo ra-mo carico di fiorellini. L'odore dolcissimo indugi nell'aria. L'ambulante

  • ne aveva un gran fascio e avanzava tra i tavoli gridando: Jaasmin! Por-tava un fez rosso e una galabia color lavanda che gli pendeva addosso e era cos sottile che di sotto s'intravedevano un paio di mutande bianche.

    A un tavolo, un uomo grasso faceva roteare tra le dita il suo rametto te-nendo i fiorellini sotto il naso. Sembrava in estasi e quasi storceva gli oc-chi a chiss quale visione. Stava aspettando oppure soltanto sognando una ragazza? Occorsero dieci minuti per capire che non stava aspettando nes-suno. Aveva finito quella che sembrava una gassosa incolore e indossava un completo grigio, leggero. Immagin che fosse un borghese se non qual-cosa di pi: magari guadagnava un trenta dinari la settimana, pi o meno sessantatr dollari. Ci aveva rimuginato per un mese su queste cose. A po-co a poco, Bourguiba cercava di liberare i suoi compatrioti dai lacci avvol-genti della loro religione, aveva abolito ufficialmente la poligamia e non ammetteva il velo per le donne. Tutto sommato, tra i paesi africani la Tu-nisia era il pi progredito. Ora stavano cercando di convincere tutti gli uomini d'affari francesi a sgombrare, e tuttavia ancora dipendevano per buona parte dall'aiuto economico francese.

    Lui, Ingham, aveva trentaquattro anni, superava il metro e ottanta di al-tezza, aveva capelli bruni e occhi azzurri e era lento nei movimenti. Ben-ch non si fosse mai azzardato a far ginnastica aveva un buon fisico, con spalle larghe, gambe lunghe e mani forti. Era nato in Florida ma si consi-derava newyorkese perch aveva vissuto a New York sin dall'et di otto anni. Dopo il college (l'Universit di Pennsylvania), aveva lavorato per un giornale di Filadelfia dedicandosi intanto con non molta fortuna alla narra-tiva. Poi era venuto fuori il suo primo romanzo, La forza del pensiero ne-gativo, una parodia un tantino presuntuosa e insieme ingenua del pensiero positivo, nel quale una coppia di eroi del pensiero negativo incontreranno alla fine gloria, ricchezza e fama. Incoraggiato dal successo, aveva lasciato il giornalismo e affrontato un paio d'anni di incertezze. Il suo secondo ro-manzo, Il porco malato, non aveva incontrato il successo del primo. In se-guito aveva sposato Charlotte Fleet, una ricca ragazza della quale era stato molto innamorato e del cui danaro non aveva affatto approfittato, anzi in realt la ricchezza di lei s'era tramutata in un impedimento per lui. Il ma-trimonio s'era concluso nel giro di due anni e lui aveva tirato avanti ven-dendo ogni tanto un soggetto alla televisione o un racconto e vivendo in un modesto appartamento a Manhattan. Quell'anno, in febbraio, finalmente un po' di respiro: il suo romanzo Il gioco del Se era stato comprato dal cinema per cinquantamila dollari. Lui personalmente sospettava che fosse stato

  • acquistato pi per la sciocca storia d'amore presentata nel romanzo che per il suo contenuto, o messaggio, intellettuale (la necessit e la validit del pensiero volitivo); in ogni modo era stato comprato, e per la prima volta lui aveva saggiato il gusto della sicurezza economica. Gli era stato offerto di scrivere la sceneggiatura del film ma aveva rifiutato, perch era convin-to che le sceneggiature, anche quelle televisive, non fossero il suo forte e perch gli era difficile immaginare una trasposizione cinematografica del Gioco del Se.

    L'idea, di John Castlewood, che era alla base di Trio era pi semplice e pi trasponibile. Il giovanotto che non riusciva a conquistare la ragazza ne sposava un'altra, per si vendicava in maniera orribile del rivale a lui pre-ferito, prima seducendogli la moglie, poi rovinandolo negli affari e in fine facendolo ammazzare. Cose del genere, secondo lui, erano poco plausibili in America, ma si svolgevano in Tunisia e John Castlewood oltre a essere entusiasta conosceva bene la Tunisia. Conosceva anche lui Ingham e cos lo aveva sollecitato a scrivere la sceneggiatura. Avevano gi il produttore, un certo Miles Gallust, e lui, Ingham, aveva pensato che se non fosse ap-prodato a niente, se non fosse stato capace di scrivere la sceneggiatura, lo avrebbe detto a John, gli avrebbe restituito i mille dollari e John avrebbe trovato qualcun altro. John Castlewood aveva gi fatto due buoni film di basso costo di cui il primo, Il torto, aveva anche avuto un certo successo. Era ambientato in Messico. Il secondo invece nel Texas, tra i petrolieri, e il titolo lui non lo ricordava pi. John aveva ventisei anni, era pieno di ener-gia e possedeva il tipo di fiducia che possiede chi ancora conosce poco la vita, almeno cos pensava lui, lui che era convinto che il futuro di John fosse, con tutta probabilit, migliore del proprio. Infatti era ormai giunto all'et in cui si conoscono le proprie capacit e i propri limiti. John Castle-wood, invece, i propri ancora non li conosceva e forse non era il tipo da pensarci e, soprattutto, riconoscerli eventualmente. Il che in fondo era un bene.

    Pag il conto e ritorn all'albergo per prendere una giacca. Gli era venu-to appetito. Lanci un'altra occhiata alle due lettere, I-J, della casella vuota davanti alla quale era appesa la chiave della sua stanza. Vingt-six, s'il vous plat, disse, e prese la chiave.

    Seguendo di nuovo il suggerimento di John, and poi al Restaurant du Paradis, nella rue du Paradis, che si trovava tra il suo albergo e il Caf de Paris. Dopo passeggi per la citt e bevve un paio di caf exprs, in piedi al banco, in caff nei quali non c'erano turisti. I clienti erano tutti uomini

  • del posto. Solo uomini. Il barista comprese il suo francese ma lui not che nessuno parlava francese.

    Aveva pensato di scrivere a Ina una volta ritornato in albergo, ma si sen-tiva troppo stanco e forse gli mancava anche l'ispirazione. Se ne and subi-to a letto e lesse qualche pagina del romanzo di William Golding che s'era portato dietro dall'America. Prima di addormentarsi pens alla ragazza che aveva civettato - vagamente e da lontano - con lui nel Caf de Paris. Era bionda, polposetta ma molto attraente. Gli era sembrata tedesca (il tipo che era con lei avrebbe potuto essere qualunque cosa) e quando era andata via, aveva provato un certo compiacimento nel sentirla parlare francese col suo accompagnatore. Vanit, pens. Invece di pensare a Ina. Lei stava certa-mente pensando a lui. In ogni modo, la Tunisia s'annunciava come il posto ideale per non pensare pi a Lotte. Grazie a Dio aveva quasi smesso di pensare alla moglie. Era ormai passato un anno e mezzo dal divorzio, ma a volte a lui sembravano sei mesi appena, se non addirittura due.

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    La mattina dopo, constatato ancora una volta che non c'erano lettere per

    lui, pens che John e Ina potessero avergli scritto all'Hotel du Golfe di Hammamet, suggeritogli da John, dove ancora non aveva prenotato e dove immagin che avrebbe dovuto farlo per il 5 o 6 giugno. John gli aveva det-to: Fermati a Tunisi alcuni giorni. I personaggi del film vivono a Tunisi... Ma non credo che ti piacer lavorare l. Troppo caldo e non si possono fare bagni, a meno di non andare a Sidi Bou Said. Lavoreremo a Hammamet, invece. Una spiaggia magnifica per un bagno pomeridiano, e niente traffi-co...

    Dopo aver girato a piedi e in macchina per Tunisi un intero giorno, af-frontando la lunga chiusura di tutto tranne i ristoranti da mezzogiorno, mezzogiorno e mezzo, fino alle quattro, ormai era pronto per andare a Hammamet l'indomani. Temendo per che appena messo piede a Ham-mamet si sarebbe pentito di non aver visitato meglio Tunisi, decise di fer-marsi ancora altri due giorni. In uno di questi due giorni, and in macchina a Sidi Bou Said, a sedici chilometri da Tunisi, dove fece il bagno e, non essendoci ristoranti, pranz in un albergo abbastanza elegante. Era una cit-tadina di case bianco calce con porte e persiane azzurre.

    Al Golfe, quando aveva telefonato il giorno prima, non aveva trovato posto ma il direttore gli aveva fatto il nome di un altro albergo di Ham-

  • mamet. Vi and, dunque, ma lo trov troppo hollywoodiano cos fin col sistemarsi in un albergo chiamato La Reine de Hammamet. Ogni albergo aveva la sua spiaggia sul golfo di Hammamet e distava dal mare una cin-quantina di metri. Il Reine vantava un grosso edificio centrale, giardini di limette, limoni e bougainvillea e un quindici o venti bungalows di varia grandezza, ognuno appartato tra le foglie degli agrumi. Ogni bungalow a-veva una cucina ma lui non aveva certo intenzione di mettersi a cucinare, cos prese una stanza con vista sul mare nell'edificio centrale. Poi scese subito a fare un bagno.

    Non c'era molta gente sulla spiaggia a quell'ora, bench il sole fosse an-cora alto. Vide un paio di sdraio vuote e ne occup una perch, pur non sapendo se erano o no in fitto, aveva immaginato che comunque apparte-nessero all'albergo. Mise gli occhiali da sole (altra idea di John Castlewo-od, che glieli aveva appunto regalati) e dalla tasca dell'accappatoio tir fuori un libro tascabile. Quindici minuti dopo s'era addormentato, o alme-no appisolato. Diomio, pens, diomio, un posto tranquillo, bello e fa cal-do...

    Salve! Buonasera... Lei americano? La voce squillante lo fece sobbalzate, come un colpo di pistola, sulla

    sdraio. S. Mi scusi se interrompo la sua lettura. Anch'io sono americano. Del

    Connecticut. Era un uomo sulla cinquantina, con i capelli grigi e radi, il ventre leggermente prominente e un'invidiabile abbronzatura. Non era alto.

    Io di New York. Spero di non aver occupato la sua sdraio. A-ah! No. Ma tra una mezz'oretta i ragazzi verranno a ritirarle. Devono

    metterle via, altrimenti domani mattina non ci sarebbero pi. Solo, pens lui. O era in compagnia di una moglie? Ma anche allora

    puoi esser solo. A un paio di metri appena da lui, l'uomo stava guardando il mare, verso il largo.

    Mi chiamo Adams. Francis J. Adams. Lo disse come se ne andasse fiero.

    Howard Ingham. Che gliene pare della Tunisia? Aveva un sorriso non antipatico, che

    gli gonfiava le guance abbronzate. Molto bella. Hammamet, almeno. Trovo anch'io. Meglio per avere una macchina per andare in giro.

    Sousse e Gerba, posti cos. Ha la macchina? S.

  • Bene... Stava indietreggiando, si accomiatava. Venga a trovarmi qualche volta. Il mio bungalow laggi, su quel declivio. Numero dieci. Chiunque dei ragazzi pu indicarglielo. Basta che chieda di Adams. Venga a bere qualcosa una sera. E porti sua moglie, se ce l'ha.

    La ringrazio. No, sono solo. Adams annu, poi salut con la mano. A presto. Rimase altri cinque minuti poi s'alz. Fece la doccia in camera poi scese

    al bar. Era molto spazioso e il pavimento era coperto di tappeti persiani. C'era una coppia di anziani che parlavano francese. Tre, a un altro tavolo, erano inglesi. C'erano solo sette o otto persone nel bar e alcuni guardavano la televisione in un angolo.

    Un tale s'allontan dal televisore e s'avvicin al tavolo degli inglesi an-nunciando, in tono per nulla eccitato: Gli israeliani hanno bombardato una dozzina di aeroporti.

    Dove? In Egitto. O forse in Giordania. Gli arabi le prenderanno. La notizia l'han data in francese? chiese uno degli inglesi. Lui stava l al bar. C'era la guerra, dunque. La Tunisia distava un bel po'

    dai campi di battaglia, c'era quindi da sperare che la guerra non mandasse a monte i loro piani di lavoro. E tuttavia i tunisini erano arabi e se questi perdevano, come era ovvio che avrebbero perso, ci sarebbe stato del risen-timento contro gli occidentali. Bisognava che l'indomani si procurasse un giornale di Parigi.

    Per un paio di giorni evit la spiaggia e fece delle gite nell'interno. Gli israeliani stavano travolgendo gli arabi e il luned, giorno in cui la guerra era scoppiata, venticinque basi aeree erano andate distrutte. Un giornale di Parigi riferiva che in una strada di Tunisi alcune macchine con targa occi-dentale erano state rovesciate e che i vetri delle finestre dell'USIS sul Bou-levard Bourguiba erano andati in frantumi. Non and a Tunisi, and a Na-boul, a nord-ovest di Hammamet, nell'entroterra di Bir Bou Rekba e, anco-ra, in certi villaggi poveri e polverosi i cui nomi non era facile ricordare. In uno di questi capit la mattina del giorno di mercato e s'aggir cos tra cammelli, vasellame, cianfrusaglie, vestiti e stuoie di paglia, il tutto steso a terra su stracci. La gente lo urtava e la cosa lo infastidiva. Agli arabi inve-ce, aveva letto da qualche parte, il contatto umano non dispiace, ne sentono anzi il bisogno; e questo nel souk era pi che evidente. L al mercato la gioielleria era scadente ma gli ispir l'idea di andare in un buon negozio dove compr una spilla d'argento per Ina, un triangolo che s'agganciava a

  • un cerchio. Ce n'erano di tutte le misure. Poich il pacchetto sarebbe stato abbastanza piccolo, le compr anche un abito rosso ricamato: era da uomo ma cos stravagante che in America sarebbe andato benissimo per una donna. Lo sped il pomeriggio di quello stesso giorno dopo aver dovuto ammazzare il tempo fino alle quattro, l'ora in cui l'ufficio postale di Ham-mamet apr. Stando a un cartello esposto fuori, il pomeriggio apriva per u-n'ora soltanto.

    Il quarto giorno dal suo arrivo al Reine scrisse a John Castlewood. John abitava sulla Cinquantatreesima Ovest, a Manhattan.

    8 giugno 19..

    Caro John, Hammamet bella come avevi detto tu. Una spiaggia magnifica. Pensi

    sempre di arrivare il 13? Io qui non aspetto altro che di mettermi al lavoro. Non prdo occasione per parlare con sconosciuti ma quelli che preferisco non sempre parlano francese. Ieri sera sono stato a Les Arcades. (Un caff a circa un miglio dal Reine.)

    Per piacere, di' a Ina di scrivermi almeno un rigo. Io a lei ho scritto. Sen-za notizie da casa mi sento solo qui. Pu darsi che, come dicevi tu, la posta sia straordinariamente lenta...

    E via di questo passo, e quando ebbe finito di scrivere si sent ancora pi

    solo di prima. Ogni giorno andava a chiedere al Golfe, talora anche due volte nello stesso giorno: niente lettere e niente telegrammi. Per imbucare la lettera a John and in macchina all'ufficio postale, perch non era sicuro che sarebbe partita quel giorno se l'avesse consegnata in albergo. Per l'arri-vo della posta i vari impiegati gli avevano dato tre diversi orari, ne aveva dunque dedotto che sarebbero stati altrettanto vaghi riguardo alla partenza.

    Verso le sei and gi alla spiaggia. Ci si arrivava attraverso un fitto, quasi una giungla, di palme che tuttavia spuntavano fuori dall'inevitabile sabbia. C'era un sentiero battuto e lui lo segu. Dalla sabbia spuntavano fuori anche alcuni paletti metallici, forse i resti di un abbandonato campo da gioco per bambini, che in cima erano incrostati di piccole chiocciole bianche attaccate tenacemente come cirripedi. Il metallo era cos caldo che a malapena pot toccarlo. Tir oltre, assorto a pensare al suo romanzo. S'e-ra portato dietro penna e taccuino. Quanto a Trio, fino all'arrivo di John in realt non avrebbe potuto far molto.

    Entr in acqua, nuot al largo poi cominci a sentirsi stanco e torn in-

  • dietro. Si toccava per un bel tratto e sotto i piedi la sabbia era morbida; verso riva il fondo diventava roccioso per poi tornare sabbioso, finch ti ri-trovavi sulla riva. Si asciug il viso con l'accappatoio a spugna, perch a-veva dimenticato di portarsi un asciugamano, quindi sed e prese il taccui-no. Il romanzo parlava della doppia vita di un tale ignaro dell'amoralit della propria maniera di vivere e per ci stesso mentalmente sconvolto o quanto meno squilibrato. A lui non andava di ammetterlo e tuttavia non poteva farne a meno: nel suo libro non aveva nessuna intenzione di giusti-ficare l'eroe, Dennison. Si trattava di un giovanotto (vent'anni, agli inizi del libro) che si sposava e conduceva una felice vita familiare e a trent'anni diventava direttore di una banca. Quando poteva sottraeva fondi alla ban-ca, per lo pi falsificando documenti, e era altrettanto prodigo nel dare e prestare quanto era avido nel rubare. Parte del denaro lo investiva per provvedere al futuro della famiglia ma i due terzi lo dava (di solito sotto falsi nomi) a gente che ne aveva bisogno o che cercava di iniziare una pro-pria attivit.

    Come gli capitava spesso, dopo una ventina di minuti, e dopo aver scrit-to appena una dozzina di righe di appunti, queste meditazioni lo fecero ap-pisolare e s'era dunque mezzo addormentato quando, come nella ripetizio-ne di un sogno, la voce dell'americano lo svegli:

    Salve! Non l'ho vista per un paio di giorni. Si drizz di colpo. Buongiorno. Sapeva come sarebbe andata a finire,

    sapeva gi che quella sera sarebbe andato a' bere qualcosa nel bungalow di Adams.

    Quanto tempo ancora si ferma qui? Non lo so con esattezza. S'era alzato e stava infilandosi l'accappatoio.

    Forse altre tre settimane. Aspetto l'arrivo di un amico. Oh! Un altro americano? S. Guard la fiocina che Adams aveva in mano, una specie di lancia

    lunga un metro e mezzo e priva di ogni apparente congegno di lancio. Sto andando al mio bungalow. Che ne direbbe di venire a bere qualcosa

    di fresco? Automaticamente, lui pens a una Coca-Cola. D'accordo. Grazie. Cosa

    ci fa con quella fiocina? Miro ai pesci, ma non ne prendo nessuno. Adams ridacchi. In effet-

    ti, a volte tiro su dei molluschi che non riuscirei a prendere con le sole ma-ni, sa, alla profondit d'un paio di metri.

    Man mano che s'inoltravano la sabbia s'arroventava, ma riuscivano a

  • sopportarla: lui aveva le ciabatte da spiaggia, Adams era scalzo. Eccoci qui, disse a un certo punto l'americano, svoltando in un viotto-

    lo pavimentato ma ricoperto dalla sabbia. Conduceva al suo bungalow bianco e azzurro col tetto a cupola, nello stile arabo, per dar freschezza al locale.

    Alle loro spalle lui scorse un edificio che non aveva mai notato prima; era una specie di palazzina dei servizi e parecchi ragazzi, addetti alle puli-zie e camerieri dell'albergo, stavano appoggiati al muro e chiacchieravano.

    Non granch, ma per il momento la mia casa, disse Adams, apren-do la porta con una chiave che chiss come aveva tirato fuori dalla cintura del costume da bagno.

    L'interno del bungalow era fresco, le persiane erano chiuse e, dopo tutto il sole di fuori, sembrava buio. Evidentemente Adams aveva un condizio-natore d'aria. Accese la luce.

    Segga. S'accomodi. Cosa prende? Scotch? Birra? Coca? Una Coca, grazie. Avevano battuto ben bene i piedi sulle nude piastrelle fuori della porta.

    A passo svelto, levando un crepitio dalle piastrelle, Adams attravers la stanza fino a un passetto che dava in una cucina.

    Lui intanto si guardava intorno. Aveva proprio l'aria di una casa. C'erano conchiglie, libri, carte, uno scrittoio che aveva l'aria di essere adoperato parecchio, con bottigliette d'inchiostro, penne, una scatoletta di francobolli, un temperamatite, un dizionario aperto. Un Reader's Digest. Anche una Bibbia. Era uno scrittore Adams? Il dizionario era inglese-russo, accurata-mente avvolto in carta marrone. Una spia, allora? Sorrise all'idea. Sopra lo scrittoio era appesa la foto incorniciata d'una casa rurale americana, proba-bilmente del New England, una bianca fattoria cinta, a parecchia distanza, da una siepe punteggiata d'alberi. C'erano olmi nella fotografia, un cane da pastore, ma nessun cristiano.

    Si gir quando Adams entr recando un piccolo vassoio. Per s, l'americano aveva portato scotch e soda. astemio? chiese, col

    sorrisetto che gli gonfiava le guance. No. Ho solo voglia di una Coca. Da quanto tempo lei qui? Un anno. Adams molleggiava sulla punta dei piedi. Aveva piedi arcuati e alti di collo ma piccoli, alquanto ripugnanti. Gli

    bast guardarli una volta, poi non li guard pi. Sua moglie non qui? Su un cassettone alle spalle di Adams aveva

    visto la fotografia di una donna: quarantenne, con un sorriso e un vestito

  • indefinibili. Mia moglie morta cinque anni fa. Cancro. Oh... Cosa fa per passare il tempo, qui? Non avverto la solitudine. Mi tengo occupato. Di nuovo quel sorriso

    da scoiattolo. Ogni tanto all'albergo capita qualche persona interessante, facciamo conoscenza, poi va via. Mi considero una specie di ambasciatore americano. Propagando la buona volont - spero - e il sistema di vita ame-ricano. Il nostro sistema di vita.

    Che caspita vorr dire, si chiese lui, pensando automaticamente alla guerra nel Vietnam. In che modo?

    Ho i miei sistemi... Ma mi parli di lei, Mister Ingham. Perch non sie-de? qui in vacanza?

    Sed su una grossa poltrona di pelle a spalliera alta che scricchiol. A-dams prese posto sul divano.

    Sono scrittore e sto aspettando un amico americano che deve girare un film qui. Come regista e operatore. Il produttore a New York. Una cosa alla buona.

    Interessante. Un film su che soggetto? La storia di due giovani tunisini. John Castlewood - l'operatore - cono-

    sce molto bene la Tunisia. Ha vissuto alcuni mesi in una famiglia di Tuni-si.

    Cos lei uno sceneggiatore? Adams stava infilandosi una camiciola a maniche corte dai colori vivaci.

    No, scrittore. Romanzi. Ma il mio amico John ha voluto che facessi questo film con lui. Detestava l'argomento.

    Che libri ha scritto. S'alz. Sapeva che erano in arrivo altre domande, perci disse: Quattro.

    Uno Il gioco del Se. Probabilmente non ne ha neppure sentito parlare. Adams non ne aveva sentito parlare, infatti, e lui prosegu: Un altro s'inti-tola Il porco malato. Non un gran successo.

    Il porco alato? chiese Adams, come previsto. Malato, ripet. Volevo che suonasse come alato, capisce? Avvert

    un certo calore al viso: vergogna, forse, o noia. Ne ricava da vivere? S. Ogni tanto lavoro per la televisione, l a New York. A un tratto

    pens a Ina e quel pensiero gli comunic un fremito in tutto il corpo che, stranamente, rese Ina pi reale di quanto era stata sin da quando aveva messo piede in Europa e, poi, in Africa. La vide l nel suo ufficio di New

  • York. Doveva essere pi o meno mezzogiorno in quel momento. Stava prendendo una matita; no, un foglio di carta per macchina. Se aveva un appuntamento per la colazione sarebbe arrivata in ritardo.

    Lei forse famoso e io ne sono completamente all'oscuro, disse A-dams, sorridendo. Non leggo molti romanzi. Ogni tanto, quelli condensa-ti. Roba come il Reader's Digest, sa. Se ha con s qualcuno dei suoi libri mi piacerebbe leggerlo.

    Gli sorrise. Mi dispiace. Non li porto dietro in viaggio. Quando deve arrivare il suo amico? Adams s'alz. Gliene do un'al-

    tra? Oppure preferisce uno scotch, adesso? Accett lo scotch. Deve arrivare marted. Afferr di scorcio un rifles-

    so della propria faccia nello specchio appeso alla parete. Era arrossata dal sole e cominciava a abbronzarsi. Le labbra avevano una piega severa, sembrava quasi imbronciato. All'improvviso, una voce che urlava qualcosa in arabo proprio davanti alle finestre con le persiane chiuse, lo fece quasi sobbalzare; tuttavia continu a guardarsi nello specchio. Cos mi vede A-dams, pens, cos mi vedono gli arabi: una faccia americana qualunque, con occhi azzurri che fissano troppo ogni cosa e una bocca che non un capolavoro di simpatia. Tre pieghe che gli ondeggiano attraverso la fronte e un inizio di rughe intorno agli occhi. Una faccia, tutto sommato non mol-to simpatica. F tuttavia era impossibile cambiare espressione senza da re nel falso. Lotte aveva fatto i suoi danni. Il massimo che poteva fare, pens all'improvviso, la cosa giusta da fare era di mantenersi neutrale, n distac-cato n compagnone. Calmo, insomma.

    Si gir quando Adams arriv con il suo scotch. Cosa ne pensa della guerra? chiese l'americano, col suo solito sorriso.

    Gli istraeliani ormai l'hanno vinta. Riesce a sentire notizie? Alla radio? Era interessato. Devo comprarmi

    una radiolina, pens. Riesco a prendere Parigi, Londra, Marsiglia, la Voce dell'America, pra-

    ticamente tutto, Adams indic una porta, che probabilmente dava nella camera da letto. Notizie ancora frammentarie, ma praticamente gli arabi sono finiti.

    Poich l'America appoggia Israele, immagino che ci saranno delle di-mostrazioni antiamericane, no?

    Qualcuna certamente, rispose Adams, con la stessa spensieratezza che avrebbe avuto parlando dei fiori che spuntavano nel suo giardino. Peccato che gli arabi non riescano a vedere a un palmo dal naso.

  • Lui gli sorrise. Pensavo che simpatizzasse per loro. Perch dovrei? Visto che vive qui, pensavo che li apprezzasse. D'altro lato, leggeva il

    Reader's Digest, che puntualmente anticomunista. D'altro lato: l'altro lato di che?

    Gli arabi mi piacciono. Tutte le razze mi piacciono. Sono per dell'opi-nione che gli arabi dovrebbero sfruttare di pi la loro terra. Quel che fatto - la creazione di Israele - fatto, bene o male che sia. Sissignore, gli arabi dovrebbero sfruttare di pi il deserto, per esempio, e smetterla di lagnarsi. Troppi arabi poltriscono senza far niente.

    Era vero, pens lui, ma poich quell'Adams leggeva il Reader's Digest tutto quello che diceva era sospetto e andava preso con le molle. Lei ha una macchina? Pensa che gli arabi gliela rovesceranno?

    Adams ridacchi, tranquillo. No, qui no. La mia macchina la Cadillac nera, decappottabile, che sta sotto gli alberi. La Tunisia, naturalmente, dalla parte degli arabi ma Bourguiba non disposto a tollerare disordini. Non pu permetterselo.

    Poi parl della sua fattoria nel Connecticut e dei suoi affari a Hartford. Aveva un'impresa d'imbottigliamento di bevande. Era chiaro che gli faceva piacere parlare del passato. Il suo era stato un matrimonio felice. Aveva una figlia che viveva a Tulsa. Il marito era un ingegnere in gamba. Intanto lui pensava: Ho paura di innamorarmi di Ina. Ho paura d'innamorarmi di chiunque da quando finita con Lotte. Era cos chiaro. Si chiese come mai non se ne fosse reso conto prima, mesi prima. Come mai se ne accorgeva adesso, mentre parlava con quell'ometto sciapo del Connecticut? O dell'In-diana? Di dove aveva detto d'essere?

    S'accomiat, con la vaga promessa di farsi trovare il giorno dopo verso le otto, cio prima di cena, al bar: Adams aveva detto infatti che per non cucinare a volte cenava l al Reine. Poi mentre si dirigeva verso l'edificio principale dell'albergo il ricordo di Ina ritorn. Dopotutto, pens, quel che provava per lei era positivo pi che negativo. Non impazziva per lei, ma le voleva bene e gli era necessaria. Prima di firmare il contratto per il film da Il gioco del Se, per esempio, glielo aveva portato a leggere, perch per lui la sua approvazione era importante quanto quella del proprio agente. (In effetti Ina sapeva tutto sui contratti cinematografici, ma lui aveva voluto la sua approvazione anche per ragioni emotive.) Era intelligente, graziosa e tsicamente attraente. Era fidata e equilibrata, aveva un lavoro e non era n pesante n noiosa come invece a volte, doveva ammetterlo, era Lotte fuori

  • dal letto. Aveva anche un certo talento come commediografa, anzi, in quel campo s'era mostrata anche pi brava di lui, al punto che c'era da chiedersi perch mai John non avesse proposto a lei di scrivere la sceneggiatura an-zich a lui. Forse gliel'aveva chiesto e lei non aveva potuto lasciare New York. John e Ina si conoscevano da prima che lui conoscesse loro due. Ina, pens, poteva benissimo non avergli detto che John le aveva offerto, se glielo aveva offerto, di collaborare a Trio.

    All'improvviso si sent risollevato. Se quando arrivava all'albergo non c'era nessuna lettera di John, se non ce n'era nessuna neppure l'indomani e se John non arrivava il giorno 13, sentiva di poter accettare la cosa con calma. Forse, dopotutto, stava acquistando ritmi africani: Non essere an-sioso. Lascia che il tempo faccia il suo corso. Cominciava a pensare che Francis J. Adams poteva aver funzionato chiss come da stimolo. Il Rea-der's Digest e i suoi compendi! Il sistema di vita americano! Quell'Adams era cos sfacciatamente soddisfatto di se stesso e di tutto da rappresentare un miracolo, di quei tempi. Mentre era da lui, uno dei ragazzi arabi aveva portato degli asciugamani puliti e Adams gli aveva rivolto la parola in ara-bo. Aveva avuto l'impressione che fosse simpatico al ragazzo. Prov a immaginare cosa significava vivere in quell'albergo per un anno. Cos'era, una specie di agente americano? No, era troppo ingenuo. O questo faceva parte del suo mascheramento? Di questi tempi non si sa mai, no? Chi lo capiva quell'Adams.

    3

    Il 13 giugno arriv e pass. Da John nessuna notizia e, ci che era anco-

    ra pi strano, nessuna notizia neppure da Ina. Il 14, ispirato da un'ottima colazione l in albergo, telegraf a Ina:

    CHE SUCCEDE? SCRIVIMI HOTEL REINE HAMMAMET.

    TI AMO. HOWARD Glielo mand alla CBS. Cos lo avrebbe ricevuto subito, la mattina do-

    po, gioved. Era in Tunisia da due settimane ormai e non aveva ricevuto neppure un rigo, n da John n da Ina. Persino Jimmy Goetz, che non era tipo da scriver lettere, gli aveva mandato una cartolina d'auguri. Jimmy era a Hollywood per scrivere la sceneggiatura di un film tratto da un certo ro-manzo. La sua cartolina era arrivata all'Hotel du Golfe.

  • Il tempo cominci a passare lentamente. Si trascin dunque per due giorni, poi o si adatt mentalmente oppure, forse, si mise al passo: sta di fatto che fin col non farvi pi caso. Faceva progressi nella preparazione del romanzo e ormai aveva chiaramente in testa i primi tre capitoli.

    Adesso era a mezza pensione in albergo e consumava o la colazione o il pranzo fuori, di solito al ristorante Chez Melik nell'abitato di Hammamet, a un chilometro dall'albergo. Ci arrivava a piedi lungo la spiaggia (e la sera la cosa era pi piacevole perch non faceva caldo) oppure in macchina. Quello di Melik era un ristorante all'aperto, economico e alla buona, un paio di gradini pi su della strada. Era ombreggiato da un pergolato e in un angolo dava su un recinto con una tettoia di paglia nel quale a volte c'era-no, in attesa di essere macellate, pecore e capre. Altre volte invece di ani-mali vivi c'era un mucchio di pelli di pecora sanguinanti alle quali s'ag-grappavano i gatti e intorno alle quali ronzavano mosche. Non era sempre un piacere guardare da quella parte. La cosa positiva del ristorante di Me-lik era la clientela mista: cammellieri in turbante, studenti tunisini e fran-cesi con chitarre e strumenti tipo flauto, turisti francesi, qualcuno inglese e uomini del villaggio che se ne stavano l a bere vino ros e a spizzicare frutta fino a mezzanotte. Una volta Adams ci and con lui. Naturalmente c'era gi stato prima e ne era meno entusiasta di lui: lo avrebbe preferito un po' pi pulito.

    All'albergo, intanto, lui aveva conosciuto quattro o cinque tipi, nessuno dei quali lo aveva impressionato granch. Una coppia di americani lo ave-vano invitato a un bridge ma lui aveva declinato dicendo di non saper gio-care, il che era pi o meno vero. Un altro, un certo Richard Messerman, anche lui americano, era scapolo e a caccia ma, a sentir lui, aveva fortuna solo all'Hotel Fourati, a pi di un chilometro di distanza, dove spesso pas-sava le serate. C'era poi un omosessuale tedesco, di Amburgo, che, gli con-fess, con i ragazzi arabi aveva fortuna solo a Hammamet, e non poca. Si chiamava Heinz vattelapesca, parlava bene inglese e francese e portava di solito pantaloni bianchi con cinture colorate.

    Tutto sommato, dunque, e per quanto strano, trovava che quella di A-dams era la compagnia migliore. Forse perch non gli faceva domande e perch aveva gli stessi modi affabili con tutti: Melik, il farmacista, l'impie-gato dell'ufficio postale, i ragazzi arabi dell'albergo. Sembrava contento di tutto e di tutti. Probabilmente, prima o poi in lui sarebbero saltati fuori il bigotto o il reazionario, ma dopo quasi due settimane il fatto ancora non era successo.

  • Il caldo intanto aumentava. Si ritrov cos a mangiar meno e a perder peso.

    Aveva mandato un secondo telegramma a Ina, questa volta all'indirizzo di casa, Brooklyn Heights, e ancora non aveva ricevuto risposta. Tre giorni dopo l'invio del secondo telegramma, un pomeriggio, quando a New York era mattina lei sarebbe stata in ufficio, cerc di telefonarle. Il tentativo lo tenne inchiodato nell'atrio a aria condizionata dell'albergo per pi di due ore: non riuscirono a mettersi in comunicazione neppure con Tunisi. Le li-nee con Tunisi erano tutte occupate. Si convinse cos che telefonare era u-n'impresa disperata, a meno di non andare a Tunisi, cosa possibilissima del resto, visto che era soltanto a sessantuno chilometri di distanza. E tuttavia non ci and n tent pi di telefonare. Scrisse invece una lunga lettera, nel-la quale diceva: .

    L'Africa aiuta stranamente a pensare. come trovarsi nudo, in pieno so-

    le accecante, contro una parete bianca. In un certo senso, niente rimane na-scosto in questa vivida luce...

    Del suo principale timore, invece, di innamorarsi cio, e di conseguenza

    del proprio ancor pi essenziale sentimento nei riguardi di lei, prefer non parlare. Forse prima o poi gliene avrebbe fatto cenno o forse la cosa mi-gliore era proprio non parlarne affatto, perch Ina avrebbe potuto frainten-dere e concludere che lui non era abbastanza convinto nei suoi confronti.

    Di' a John che se non s'affretta a venire mi metter a scrivere il mio ro-

    manzo. Cosa lo trattiene? vero, qui bello, si liberi (se si tiene a queste cose), ma sta diventando una specie di vacanza e a me non piacciono le vacanze... Gli arabi sono molto ospitali e alla buona. Oziano molto, seduti ai tavoli sotto gli alberi, a bere caff e vino. Vicino a una vecchia fortezza che si spinge sul mare c' un quartiere che somiglia alla Casbah. Ci sono case tutte bianche, piene di mamme allegre e grassocce, quasi tutte di nuo-vo incinte. Mai una porta chiusa, cos puoi vedere stanze con tappeti a ter-ra, bambini a quattro zampe, bracieri accesi e nonne che vi sventolano da-vanti il lembo dei loro scialli... La macchina una Peugeot familiare, e fi-nora si comporta bene... Mi piacerebbe da morire che tu fossi qui. Perch John non l'ha offerto a tutt'e due questo lavoro?... Mi manderesti un'istan-tanea? Sai che non ho neppure una fotografia tua?

  • Probabilmente, per scherzo, gli avrebbe mandato una fotografia orribile, pens. Dove ammettere di essere terribilmente solo. Calcol che quella let-tera le sarebbe arrivata dopo quattro o cinque giorni, vale a dire il 20 o il 21 giugno.

    Gli israeliani avevano vinto, e come, la guerra; blitz krieg, la chiamava-no i giornali. Come aveva previsto Adams, a Hammamet conseguenze se-rie non ce ne furono, solo a Tunisi s'ebbero abbastanza vetri rotti e scontri in strada da far preferire di starsene alla larga. Se nei caff di Hammamet gli arabi parlassero o no della guerra, lui Ingham non avrebbe saputo dirlo perch non capiva una parola. I loro discorsi avevano un certo livello di vivacit e strepitio che sembrava immutabile.

    Aveva gi fatto richiesta di un bungalow e il 19 giugno se ne rese uno disponibile. Il frigorifero e il fornello in cucina erano nuovissimi perch, gli aveva detto Adams, quella fila di bungalows era stata costruita soltanto in primavera. Proprio su uno dei viali dell'albergo, a un centinaio di metri dal suo bungalow, c'era un piccolo emporio molto ben fornito che vendeva tra l'altro alcolici e birra fredda, scatolame d'ogni tipo e marca e persino utensileria da cucina e. dentifrici. Se si fosse stabilito l con John, pensava lui, non avrebbero avuto bisogno di allontanarsi dal bungalow se non per una nuotata o una puntata all'emporio per le provviste. Il bungalow, il nu-mero tre, era formato da una sola grande stanza oltre alla cucina e al ba-gno, ma aveva due letti singoli. Probabilmente John non avrebbe voluto dividerla per la notte, e neppure a lui l'idea piaceva eccessivamente, ma John poteva benissimo andare a dormire in una stanza nell'edificio princi-pale. Il tavolo, nel bungalow, era grande, di legno, ottimo per lavorare. Il pomeriggio che vi si trasfer, compr salame, formaggio, burro, uova, frut-ta, crackers Ritz e scotch, dopodich, verso le cinque, and da Adams a invitarlo a battezzare con lui il bungalow.

    L'americano non c'era e lui immagin che fosse alla spiaggia. Infatti lo trov l, disteso su una stuoia di paglia, a pancia in sotto, intento a scrivere. Adams s'accorse di lui solo quando gli fu quasi addosso e complet la fra-se o quel che era con un gran svolazzo compiaciuto, dopodich rimase con la penna a mezz'aria.

    Salve Howard! Hai avuto il bungalow? S, poco fa. Come previsto, Adams fu contento dell'invito. Promise di presentarsi al

    numero tre verso le sei. Quando lui torn al bungalow riprese a disfare le valigie. Era contento di

  • avere una specie di casa invece d'una stanza d'albergo. Pens alla sua scrivania nell'appartamento sulla Quarta Ovest, dalle parti di Washington Square. Lo aveva da appena tre mesi quell'appartamento; c'era l'aria condi-zionata e era il pi costoso di tutti gli appartamenti da lui mai avuti. Lo a-veva preso solo dopo aver concluso la vendita al cinema del Gioco del Se. Ina aveva la chiave. Sperava che ogni tanto v'andasse a dare un'occhiata, per s'era gi portata le piante a casa sua l a Brooklyn e cos, oltre a inol-trargli la posta apparentemente importante, in fondo non aveva altro da fa-re. Ina aveva il dono di capire ci che era importante e ci che non lo era. Lui naturalmente aveva avvertito l'agente e l'editore che andava in Tunisia e a quel punto certo gi sapevano anche che era al Reine.

    Bene! Adams stava sulla porta con una bottiglia di vino in mano. Sembra proprio carino. Ecco qua. Ti ho portato questo. Per il battesimo. Oppure per il tuo primo pasto.

    Oh, grazie, Francis! Sei molto gentile. Cosa bevi? Bevvero il solito scotch, Adams con la soda. Notizie del tuo amico? No, purtroppo. Non puoi telegrafare a qualcuno che lo conosce? L'ho fatto. Alludeva a Ina. Mokta, il cameriere del bar dei bungalows, un ragazzo, buss alla porta

    aprta con un gran sorriso stampato in faccia. Buonasera, messieurs, disse in francese. Hanno bisogno di qualcosa?

    Niente, credo. Grazie, rispose lui. A che ora desidera la prima colazione, signore? Oh, servite la prima colazione? Non obbligatorio prenderla, rispose Mokta con un vago gesto. Per

    qui ai bungalows molti la prendono. Benissimo. Alle nove, allora. No, alle otto e mezzo. Probabilmente

    non sarebbero stati puntuali. Un bravo ragazzo quel Mokta, osserv Adams quando l'arabo fu an-

    dato via. qui sgobbano sul serio. Hai visto la cucina laggi? Indic verso l'edificio basso e quadrato che era il bar-caff all'aperto dei bunga-lows. la stanza in cui dormono?

    Lui sorrise. S. Vi aveva dato un'occhiata proprio quel giorno. I ragaz-zi dormivano in una stanza zeppa di letti, una dozzina. In cucina, il lavello era pieno di piatti e acqua sporca.

    Sai, gli scoli sono sempre intasati. Io la mia colazione me la preparo da

  • me. un tantino pi igienico, penso. Mokta simpatico. Solo che quella directrice antipatica lo sfianca. una tedesca e probabilmente l'hanno as-sunta solo perch parla arabo e francese. Se mancano gli asciugamani, toc-ca a Mokta andare a prenderli all'edificio principale. Come va il tuo li-bro?

    Ne ho scritto venti pagine. Non il mio solito ritmo, ma non posso la-mentarmi. L'interesse di Adams gli fece piacere. Aveva scoperto che non era n scrittore n giornalista, ma ancora non sapeva cosa facesse esatta-mente, a parte studiare alla meglio il russo. Magari non faceva niente. Co-sa del tutto possibile del resto.

    Dev'essere duro scrivere sapendo di dover smettere da un giorno all'al-tro, osserv l'americano.

    Non un problema per me. Riemp di nuovo il bicchiere di Adams e gli offr crackers e formaggio. Il bungalow cominciava a diventare pi ac-cogliente. Attraverso le persiane azzurre socchiuse, gli ultimi raggi del sole brillavano sulle pareti bianche. Pens che a lui e a John la sceneggiatura non avrebbe preso pi di dieci giorni Johr conosceva un tale a Tunisi che lo avrebbe aiutato a formare un piccolo cast. Tra l'altro, non voleva attori professionisti.

    Quando, pi tardi, andarono con la Peugeot a mangiare da Melik erano entrambi di buonumore. Il ristorante era pieno a met, non c'era ancora chiasso. Qualcuno stava pizzicando una chitarra, a un tavolo in fondo, e qualcun altro soffiava maldestramente in un flauto.

    Adams parl della sua figlia di Tulsa, Caroline. Il marito, l'ingegnere, stava per essere mandato nel Vietnam perch faceva parte di una specie di riserva civile dell'esercito. Entro cinque mesi Caroline avrebbe avuto un figlio e lui Adams era contento e ottimista al riguardo, bench lei avesse abortito del primo figlio. Adams, s'era ormai capito, era a favore della guerra nel Vietnam. E la cosa a lui seccava. Gli seccava parlarne con gente come Adams, quindi quella sera fu contento che non venisse fatto alcun accenno alla guerra. Dio e Democrazia, ecco in cosa credeva Adams. Quindi niente, almeno finora, bigotteria e reazione, ma una specie di Billy Graham, un Dio milleusi, con una passata di morale antiquata. Ci di cui i vietnamiti avevano bisogno, diceva Adams in parole terribilmente povere, era il tipo di democrazia americana. Oltre al loro tipo di democrazia, pen-sava lui invece, gli americani stavano iniziando i vietnamiti al sistema ca-pitalistico, rappresentato da una industria bordellesca, e al sistema classista americano, in base al quale ai neri facevano pagare pi care le marchette.

  • Lui stava a sentire e annuiva e crepava di noia, vagamente irritato. Non ti sei mai sposato? chiese Adams. S. Una volta. Divorziato. Niente figli. Stavano fumando, dopo il couscous. Niente carne decente quella sera,

    ma il couscous e la salsa forte e speziata erano stati deliziosi. Il couscous, aveva spiegato Adams, era il nome che in Africa davano alla farina di mi-glio, una farina granulosa, cotta a vapore sopra un brodo. Lo si poteva fare anche con farina di grano. Era d'un colore dorato, d'un sapore delicato e sopra vi venivano spalmati cucchiaiate di salsa rossa piccante o semipic-cante, rape e pezzi di agnello stufato. Era una specialit di Melik.

    Anche tua moglie scriveva? No, non faceva niente, rispose lui, accennando un sorriso. Perdeva

    solo tempo. stato molto tempo fa. Era pronto a dire, se glielo avesse chiesto, che non era passato pi di un anno e mezzo.

    Pensi di risposarti? Non lo so. Perch? Secondo te quella la vita ideale? Mah. Secondo me dipende. Per ogni uomo diverso. Adams stava

    fumando un pccolo sigaro. Quando aspirava e le guance gli si appiattiva-no, la faccia sembrava pi lunga, pi normale, e quando si toglieva il siga-ro di bocca quelle tornavano a gonfiarglisi leggermente, come una carica-tura. Tra le due guance, la bocca sottile e rosea si tendeva in un sorriso ot-timista. Io sono stato certamente felice. Mia moglie sapeva mandare a-vanti una casa. Faceva marmellate, curava il giardino, una buona padrona di casa, insomma. Ricordava sempre il compleanno di tutti, e via dicendo. Non si seccava mai quando facevo tardi l in fabbrica... Avevo pensato di risposarmi. C'era persino una donna che mi sarebbe piaciuto sposare, mol-to simile a mia moglie, ma quando non si pi giovani non pi la stessa cosa.

    Lui non sapeva cosa dire. Pens a Ina e gli sarebbe piaciuto averla l in quel momento, seduta insieme con loro due; gli sarebbe piaciuto fare una passeggiata con lei sulla spiaggia quella sera, dopo aver dato la buonanotte a Adams. Gli sarebbe piaciuto rientrare al bungalow e andare a letto con lei.

    Non hai nessuna ragazza adesso? Si riscosse. S, pi o meno. Adams sorrise. Dunque, sei innamorato?. Di Ina non gli andava di parlare con nessuno, ma con uno come quell'A-

    dams era poi tanto grave parlarne? S, credo di s. La conosco ormai da

  • un anno. Lavora alla CBS-TV a New York. Ha scritto soggetti per la tele-visione e anche dei racconti. Parecchi pubblicati aggiunse.

    Il suonatore di flauto stava acquistando confidenza. Si lev una tremo-lante canzone araba, subito rinforzata da una lagnosa voce maschile.

    Quanti anni ha? Ventotto. Abbastanza da sapere quello che vuole. Em-m. Le gi fallito un matrimonio, quando aveva ventuno o venti-

    due anni. Quindi sono sicuro che non ha fretta di rifare lo stesso errore. E neppure io.

    Ma conti di sposarti? La musica diventava sempre pi forte. Vagamente... Non vedo che importanza possa avere, a meno che uno

    non desideri avere dei figli. Ti raggiunger qui in Tunisia? No. A me piacerebbe. Conosce molto bene John Castlewood. In effetti,

    stata lei a presentarmelo. Ma bloccata dal lavoro a New York. E neppure lei ti ha scritto? Di John? No. Si sent alquanto ben disposto verso Adams. Strano, no? Fino a

    che grad di lentezza pu arrivare la posta qui. Era arrivato il dessert di yoghurt. C'era anche un vassoio di frutta. Parlami ancora della tua ragazza. Come si chiama? Ina Pallant... Abita con i suoi, in una grande casa a Brooklyn Heights.

    Ha un fratello handicappato al quale molto attaccata. Joey. Con una scle-rosi multipla che praticamente lo inchioda alla sedia a rotelle, ma Ina lo aiuta parecchio. Dipinge quadri surrealisti, e lo scorso anno Ina gli orga-nizz una mostra. Naturalmente non sarebbe stato facile organizzargliela se non fosse stato bravo. Ha anche venduto: sette o otto su una trentina di tele. Non che ci tenesse molto a dirlo, ma immaginava che a Adams le ci-fre facessero impressione. Uno dei quadri, per esempio, rappresentava un uomo stravaccato su una roccia in una foresta con in mano una sigaretta. Sul davanti della scena una bambina correva terrorizzata con un albero che le spuntava fuori dalla testa.

    Adams si sporse in avanti, interessato. E che cosa significherebbe? Il terrore della crescita. L'uomo rappresenta la vita e il male. verde da

    capo a piedi. Sta seduto Sulla roccia e guarda, o non guarda affatto, con l'aria di avere il controllo completo della situazione.

    Il figlio di Melik, un tredicenne grassottello, s'avvicin al tavolo, vi si

  • appoggi con le mani grassocce e scambi qualche parola in arabo con Adams, che era tutto sorrisi. Poi il ragazzotto fece il conto e lui Ingham in-sist per pagare: anche quello faceva parte del battesimo del bungalow.

    Quando poi furono sulla strada polverosa not un vecchio arabo, gi vi-sto altre volte, che s'aggirava intorno alla sua macchina. Barbetta grigia, turbante bianco e classici calzoni rossi fermati chiss come sotto il ginoc-chio, camminava con un bastone. Lui Ingham era sicurissimo che quando lui non era in vista il vecchio provava gli sportelli della sua macchina sempre sperando, nella sua tenace pazienza, che sarebbero pur venuti l'ora e il giorno in cui si sarebbe dimenticato di chiuderne almeno uno. Quella volta, mentre l'arabo si trascinava via dalla grossa Peugeot, lui gli lanci a malapena un'occhiata. Quell'arabo gli stava diventando familiare, come la fortezza rossiccia o il Caf de la Plage non lontano dal ristorante di Melik. Insieme con Adams, s'avvi per un po' su per la strada principale ma quando questa divenne buia tornarono indietro. L'angolo pi interessante del paese, l'unica sua parte ancora viva a quell'ora di sera, era lo spiazzo sabbioso davanti al Plage, ai cui tavolini sedevano pochi uomini con da-vanti un caff o un bicchiere di vino. La luce gialla della grande vetrina del Plage lambiva le gambe dei primi tavolini e i piedi e i sandali degli avven-tori.

    Mentre guardava verso l'ingresso del caff un uomo ne venne spinto fuo-ri bruscamente e per poco non cadde. Lui e Adams si fermarono a guarda-re. L'uomo sembrava ubriaco. Ritorn di nuovo nel caff e ne fu buttato di nuovo fuori. Un altro arabo usc dal caff, gli si avvicin, gli mise un brac-cio intorno alle spalle e prese a parlargli. L'ubriaco aveva un'aria ostinata ma si lasci condurre via in direzione delle case bianche alle spalle della fortezza. Affascinato dal furore da cui quell'uomo malfermo sulle gambe sembrava animato, lui Ingham rimase a guardarlo. Quando fu fuori dal raggio delle luci del caff, l'uomo si ferm e gir a met, guardando con aria di sfida verso il caff. Sulla soglia di questo, ora, un uomo alto e quel-lo che aveva circondato con un braccio la spalla dell'ubriaco, stavano par-lando tenendo d'occhio la figura immobile e ostinata a duecento metri da loro.

    Colpito dalla scena, lui si chiese se quella gente era armata di coltello. Forse si trattava di un vecchio rancore.

    probabile che abbiano litigato per una donna, osserv Adams. S. Molto gelosi infarto di donne, sai.

  • Immagino. Passeggiarono un po' sulla spiaggia, anche se la sabbia sottile nelle scar-

    pe gli dava fastidio. Alla luce della luna, gruppi di ragazzini - la seconda o terza ondata di rastrellatori, dopo i genitori o i fratelli pi grandi raccoglie-vano cose dalla spiaggia e le riponevano in sacchi che portavano appesi al collo. Lui non aveva mai visto una spiaggia pi pulita di quella. Non tra-scuravano niente quegli spazzini, neppure una scheggia di legno, perch questo serviva per il fuoco, e tanto meno le conchiglie, perch le vendeva-no, tutte quelle possibili e immaginabili, ai turisti.

    Presero un ultimo caff al Plage. Sulla loro destra, oltre un'arcata dalla quale venivano fuori odori, su una parete blu a meno di un metro di distan-za c'era una enorme scritta W.C. e una freccia dipinta di nero. Il soffitto era a costoloni, se cos possibile definirlo, i cui profili sporgevano da soste-gni sporgenti e ornati di grossi pomelli gialli che ricordavano lampade da palcoscenico. A un tratto lui s'accorse che non aveva pi niente da dire a Adams. Questi, altrettanto silenzioso, doveva essersi accorto a sua volta della stessa cosa nei suoi riguardi. Bevendo gli ultimi sorsi del caff nero e dolce, lui dunque sorrideva al vuoto. Il fatto che due tipi come lui e quel-l'Adams si trascinassero in giro insieme solo perch erano entrambi ame-ricani era semplicemente ridicolo. E tuttavia, una ventina di minuti pi tar-di, nel recinto dell'albergo, la loro buonanotte fu abbastanza calorosa. A-dams gli augur una felice permanenza, come se si fosse trasferito l per sempre, oppure, concluse lui, come se si fosse appena aggregato a una spedizione destinata a mesi e mesi di isolamento e solitudine. Mentre lui invece non aveva doveri da compiere se non quelli che si assegnava lui stesso, libero com'era di spaziare dove voleva con la sua Peugeot, per cen-tinaia di chilometri.

    Quella sera prima di andare a letto consult i suoi due taccuini di indi-rizzi, quelli che riguardavano la sua vita privata e quelli che riguardavano il lavoro: ne trov due ai quali poteva scrivere in riferimento a John. (Non aveva, o l'aveva lasciato a New York, l'indirizzo di Miles Gallust, e si rim-prover per questa trascuratezza.) Erano gli indirizzi di William McIl-henny, un editore dell'ufficio di New York della Paramount, e di Peter Langland, un fotografo professionista che, a quanto ricordava, conosceva molto bene John. In un primo, momento pens di telegrafare, poi decise che un telegramma sarebbe risultato troppo enfatico, quindi scrisse un bre-ve e confidenziale biglietto a Peter Langland (si erano conosciuti a un party in compagnia di John e lui ora lo ricordava con pi precisione: un ti-

  • po biondo e bene in carne, con gli occhiali) per chiedergli di sollecitare John a mandargli un telegramma, nel caso non gli avesse ancora scritto. I quattro, se non cinque, giorni che la lettera avrebbe impiegato per arrivare a New York gli sembravano a questo punto un secolo, ma cerc di imporsi una certa pazienza. Si trovava in Africa, dopotutto, non a Parigi o Londra. La lettera doveva arrivare prima a Tunisi e poi sarebbe stata imbarcata su un aereo.

    La imbuc la mattina dopo.

    4 Passarono due o tre giorni. Lavor. La mattina, Mokta gli portava la prima colazione verso le nove e quindi-

    ci, nove e trenta. Aveva sempre una domanda da fare: Funziona il frigorifero? Oppure: Hassim le ha portato abbastanza a-

    sciugamani? E queste cose le chiedeva sempre con un sorriso disarmante. Era pi biondo che bruno e aveva occhi grigio azzurro con lunghe ciglia.

    Lui immaginava che riscuotesse successo sia con le donne che con gli uomini e, bench avesse solo diciassette anni, doveva aver gi avuto espe-rienza con entrambi. In ogni modo, con quel bell'aspetto e quei modi, non avrebbe certamente passato il resto della vita a portare vassoi della cola-zione o pile di asciugamani da un capo all'altro della spiaggia. Vorrei una sola cosa, amico mio, gli disse lui una mattina. Se in quel manicomio vedi una lettera per me, che me la portassi subito.

    Il ragazzo rise. Bien sr, m'sieur! Je regard tout le temps... tout le temps pour vous!

    Lui lo salut con un vago cenno della mano e si vers del caff, che era abbastanza forte ma non abbastanza caldo. Altre volte invece era tutto il contrario. S'infil la giacca del pigiama. Dormiva infatti solo con i panta-loni. Anche la notte faceva caldo. Pens alla scrivania nell'ufficio della di-rezione dei bungalows. Poteva sperare che quel giorno, per le dieci e tren-ta-undici, gli arrivasse una lettera? Alla direzione dell'albergo gli avevano detto che la posta arrivava due volte al giorno alla direzione dei bungalows e che veniva consegnata immediatamente, ma era chiaro che nella realt le cose andavano diversamente perch lui aveva visto gente andare nell'uffi-cio della direzione dei bungalows a sfogliare la posta, la quale a volte ve-niva distribuita e a volte no. Come poteva aspettarsi che quei ragazzi arabi o quella directrice tedesca, indaffarata e bisbetica, prendessero veramente

  • a cuore il problema della posta? Non c'era mai nessuno dietro quella scri-vania. Pile di asciugamani si accumulavano in un angolo dell'ufficio ben-ch poi una volta, dopo aver adoperato il proprio asciugamano per pi di una settimana, quando ne aveva chiesto uno pulito il ragazzo gli avesse ri-sposto di non averlo cambiato perch gli sembrava pulito. Lungo le pareti c'erano misteriosi classificatori di metallo grigio. L'assurdit delle cose raggruppate l dentro dava un'aria di quasi kafkiana inutilit a quell'ufficio, almeno ai suoi occhi. Aveva la sensazione che da quella stanza non potesse n sarebbe mai venuta fuori per lui una lettera di qualche importanza, e tut-tavia impazziva quando a volte trovava la porta chiusa, senza apparente motivo, a chiave con nessuno che avesse quest'ultima o, avendola, fosse l pronto a aprire. Questo lo spediva dritto di corsa attraverso la spiaggia fino all'edificio principale nella vaga speranza che la posta fosse arrivata e non l'avessero ancora portata ai bungalows.

    Stava lavorando quando, poco prima delle undici, Mokta arriv con una lettera. Lui quasi gliela strapp di mano, dopodich automaticamente si frug in tasca in cerca di spiccioli.

    Evviva! esclam. La busta era di quelle commerciali, lunghe, e veniva da New York.

    Succs! disse Mokta. Merci, m'sieur. S'inchin e usc. La lettera, strana combinazione, era di Peter Langland: s'era incrociata

    con la sua.

    19 giugno 19.. Gentile Ingham... o Howard, a quest'ora sapr certamente del triste fatto dello scorso weekend, poich

    Ina disse che le avrebbe scritto. Avevo parlato con John appena due giorni prima. Stava attraversando una crisi, come lei probabilmente sa. O forse non sa. Per nessuno di noi s'aspettava una cosa del genere. Date le cir-costanze, temeva che non ce l'avrebbe fatta a portare a termine Trio, e que-sto, credo, lo faceva sentire doppiamente colpevole, visto che lei si trovava gi in Tunisia. Poi c'erano i suoi problemi personali, come avr saputo da Ina. So per che avrebbe voluto che le scrivessi un rigo per dirle che era spiacente: quanto faccio ora. Proprio non ce la faceva a reggere il peso di tutto quanto gli gravava addosso. Volevo molto bene a John e lo stimavo moltissimo, come, penso, tutti quelli che lo conoscevano. Eravamo tutti convinti che avesse un grande avvenire davanti a s. Immagino che lei ora torner a casa. Forse sar gi partito, in tal caso confido che le inoltrino

  • questa lettera. Suo

    Peter Langland John Castlewood s'era ucciso. S'avvicin alla finestra con la lettera in

    mano. Le persiane azzurre erano chiuse contro l'incalzante sole del matti-no, cos rimase l a fissarle come se vi vedesse attraverso. Quella dunque era la fine della spedizione in Tunisia. Come s'era ucciso? Una pistola? Molto pi probabilmente sonnifero. Maledizione, pens. E il motivo? Be', non conosceva John tanto bene da immaginarlo. Si ricord della faccia di John: sempre animata, sempre sorridente, pallida al confronto con i capelli neri, dritti e lisci. Un tantinello inconsistente, forse, quella faccia. O era il senno di poi? In ogni modo, la barba, quella s, era inconsistente contro la pelle chiara e morbida. Non gli era sembrato affatto depresso l'ultima volta che l'aveva visto, l a New York, a quella cena insieme con Ina in un risto-rante oltre Washington Square. Era stato alla vigilia della sua partenza. Sai dove rivolgerti a Tunisi per noleggiare una macchina? gli aveva chiesto, al solito occupandosi di cose pratiche, e poi gli aveva anche chie-sto se avesse messo in valigia la pianta di Tunisi e la Guide Bleu della Tu-nisia che gli aveva prestate, o date.

    Cristiddio! esclam. Prese a passeggiare su e gi per la stanza, era sconvolto. D'un tratto si ri-

    cord di un episodio che gli aveva raccontato Adams. Quando aveva dieci anni l'americano stava pescando in un fiumiciattolo (nel Connecticut? nel-l'Indiana?) quando nel tirare su la lenza vi aveva trovato attaccato all'e-stremit un cranio umano, tanto vecchio per da non avere pi importan-za, s'era espresso proprio cos, al punto che non aveva detto niente ai ge-nitori, i quali in ogni caso non gli avrebbero certamente creduto. Per paura, aveva seppellito il cranio. Desider all'improvviso il conforto della com-pagnia di Adams. Pens di andare a dargli la notizia, poi decise di no.

    Santiddio! esclam, e and in cucina a versarsi uno scotch. A quell'o-ra non aveva un buon sapore, ma era comunque una specie di rito in onore di Castlewood.

    A questo punto, era il caso di cominciare a pensare al ritorno. Avrebbe dovuto avvertire l'albergo, informarsi sui voli da Tunisi a New York.

    Certamente la lettera di Ina sarebbe arrivata quel giorno stesso. Guard il calendario. Il weekend al quale si riferiva Peter era quello del 10 e 11 giugno. Che caspita stava succedendo nel grande e dinamico mondo occi-

  • dentale? Sembrava diventato pi lento della Tunisia. Usc e s'avvi per il viale, a quell'ora deserto, che con una curva portava

    al caff-ufficio postale-emporio dei bungalows. Sotto le scarpe di tela la sabbia era sottile come cipria. Camminava con le mani nelle tasche dei calzoni corti quando si vide venire incontro una donna enorme che parlava francese col figlio mingherlino, un giunco accanto a lei, e allora torn sui propri passi, senza una meta. Stava cercando di capire cosa doveva fare. Forse telegrafare di nuovo a Ina. Poteva fermarsi an'cora un paio di giorni, in modo da ricevere la sua lettera. Se l'aveva scritta. Di colpo, tutto era di-ventato vago e incerto.

    Torn al bungalow - di cui non aveva chiuso a chiave la porta, nonostan-te il consiglio di Adams che gli aveva detto di chiuderla sempre a chiave, anche se si allontanava per un minuto solo - prese il portafoglio e, chiuso a chiave questa volta, si avvi verso l'edificio dell'albergo. Avrebbe mandato un telegramma a Ina e dato un'occhiata ai giornali sui tavolini nell'atrio. A volte erano vecchi di vari giorni. Forse nell'Herald Tribune di Parigi ci sa-rebbe stato qualcosa su John. Doveva cercare il giornale di luned 12 giu-gno. O magari di marted 13.

    Una serie di gradini larghi e bassi davano dalla spiaggia all'ingresso po-steriore dell'albergo. Ai loro piedi c'era una doccia all'aperto per i bagnanti e una coppia di robusti tedeschi, un uomo e una donna, stava ridendo e ur-lando sotto l'acqua, mentre rispettivamente si toglievano la sabbia dalle spalle. Nell'avvicinarsi, per, scopr che parlavano invece americano au-tentico.

    Dalla portineria mand il telegramma a Ina: SAPUTO DI JOHN DA LANGLAND. SCRIVI O TELEGRAFA IMMEDIATAMENTE. SCONCERTATO. BACI. HOWARD Glielo mand all'indirizzo di casa, a Brooklyn, perch l lo avrebbe rice-

    vuto senz'altro, qualunque cosa stava succedendo; inoltre, se per caso il fratello Joey non fosse stato bene, per curarlo non sarebbe andata in uf-ficio. Sui tavolini e sugli scaffali in fondo all'atrio non riusc poi a trovare un solo giornale del weekend del 10-11 giugno n alcun giornale inglese o francese del 12 o 13 giugno.

    Per cortesia, disse in un preciso francese al portiere arabo, porgendo-gli un biglietto da cinquecento millimes, se nella giornata di oggi dovesse arrivare una lettera per me, vuole inoltrarla immediatamente al mio bunga-

  • low? Numero 3. molto importante. Aveva scritto il proprio nome a stampatello su un pezzo di carta.

    Pens di andare a bere qualcosa al bar, ma scart l'idea. Non sapeva cosa fare. Stranamente, sentiva di poter lavorare al romanzo quel pomeriggio. Eppure la logica voleva che organizzasse la partenza e avvertisse subito l'albergo. Non lo fece.

    Torn al bungalow, indoss il costume da bagno e and sulla spiaggia. Da lontano vide Adams con la sua fiocina, ma riusc a non farsi vedere. L'americano gli aveva detto che andava sempre a fare un bagno prima di colazione.

    Quel pomeriggio fu in grado di scrivere un solo paragrafo L'attesa della lettera di Ina lo teneva sulle spine, ma era sicuro che sarebbe arrivata con la posta di quel pomeriggio, che era l tra le quattro e mezzo e le sei e mez-zo. Invece non arriv affatto, ebbe solo una lettera dal fisco americano in una busta finestrata, inoltratagli da Ina: volevano altri trecentoventotto dol-lari. A quanto pareva il suo fiscalista s'era sbagliato. Riemp l'assegno e lo mise in una busta aerea.

    Per scrupolo, poi, and a guardare prima nell'ufficio della direzione dei bungalows (otto lettere giacenti ma nessuna per lui), quindi si diresse verso l'edificio principale dell'albergo. Niente neppure l. Torn indietro scalzo, con i sandali in mano e l'acqua che gli lambiva le caviglie. Il sole stava tramontando alle sue spalle, ma lui non staccava gli occhi da terra, dalla sabbia bagnata.

    Howard! Che fine hai fatto? Adams era a pochi metri da lui, col naso abbronzato e lucido. Sembrava un coniglio. Vieni a bere qualcosa chez moi?

    Grazie, fece lui. Esit, quindi chiese: Quando? Adesso. Stavo appunto rientrando. stata una bella giornata per te? chiese, con uno sforzo. S'erano avviati l'uno al fianco dell'altro. Abbastanza, grazie. E per te? Pessima, grazie. Oh. Cos' successo? Indic in direzione del bungalow di Adams; un gesto vago che, in effetti,

    aveva preso proprio dall'americano. Subito dopo imboccarono il viottolo di cemento cosparso di sabbia e

    passarono davanti alla direzione dei bungalows, Adams a piedi nudi, puliti, e lui con i sandali senza tacco che alla fine s'era dovuto infilare perch la

  • sabbia scottava. I sandali o le pianelle lo facevano sentire sciatto, e tuttavia erano senz'altro il tipo d calzatura pi fresco.

    Ospitale, Adams si mise subito al lavoro: prepar due scotch con ghiac-cio. Una gradevole sensazione quella dell'aria condizionata. Lui usc fuori a scrollarsi con cura la sabbia dai sandali, dopodich rientr.

    Bevi, invit Adams, porgendogli il suo bicchiere. Che novit ci so-no?

    Lui prese il bicchiere. L'amico che doveva raggiungermi qui s' ucciso a New York una decina di giorni fa.

    Come?... Santo cielo! Quando l'hai saputo? Questa mattina. Ho ricevuto una lettera da un suo amico. John, lui? Ma perch l'ha fatto? Una storia d'amore? Una questione di

    soldi? Gli era grato per ognuna di quelle prevedibili domande. Non credo che

    si tratti di una storia d'amore, ma in effetti non lo so. Pu anche darsi che non ci sia nessun motivo preciso... ma soltanto dell'ansia. Cose del gene-re.

    Era un tipo nervoso? Un nevrotico? Pi o meno. Ma non da arrivare a tanto. Come s' ucciso? Non lo so. Sonnifero, immagino. Aveva ventisei anni, mi hai detto. Interesse e premura, questo espri-

    meva la faccia di Adams. Problemi di soldi? Lui si strinse nelle spalle. Non sguazzava, ma aveva abbastanza per

    questo film. Avevamo un produttore, Miles Gallust. Ci aveva anticipato qualche migliaio di dollari... Ma a che serve chiedersi? Probabilmente l'ha fatto per un mucchio di ragioni che io ignoro.

    Siediti. Adams sed sul divano, col bicchiere in mano, lui prese posto sulla cigo-

    lante poltrona di cuoio. Le persiane chiuse creavano una piacevole penom-bra nella stanza. Sul soffitto, sopra la testa di Adams, c'erano alcune strisce sottili di sole.

    Bene, disse Adams, immagino che ora, senza John, penserai di andar via, di tornare negli Stati Uniti, vero?

    Avvert una certa tristezza nel tono di Adams. S, certo. Tra pochi gior-ni.

    Notizie della tua ragazza? Quel tua ragazza non gli piacque. Non ancora Le ho mandato un tele-

  • gramma oggi. Adams annu, pensoso. Quando successo? Nel weekend del dieci e undici giugno. Mi dispiace di non aver letto i

    giornali proprio allora. Magari sull'Herald Tribune di Parigi ne avranno parlato.

    un brutto colpo, me ne rendo conto, dichiar Adams, partecipe. Lo conoscevi bene questo John?

    Frasi di circostanza. Adams vers un secondo scotch per entrambi, e poco dopo lui se ne tor-

    n al suo bungalow a infilarsi un paio di pantaloni per la cena. Aveva scioccamente sperato, nell'entrare nel bungalow, di trovare un telegramma di Ina sul tavolo da lavoro. Come al solito, invece, su quel tavolo non c'era nessun messaggio.

    Da Melik c'era molta animazione quella sera. A due tavoli c'erano stru-menti a corda e da qualche altra parte una chitarra. A un altro tavolo anco-ra c'era un tale con un cane lupo tedesco, educato, che spingeva indietro le orecchie innervosito dal chiasso ma non abbaiava. C'era troppo chiasso per poter parlare tranquillamente e questo, dopotutto, non era un male, pens lui. Il tipo col cane era alto e magro e sembrava americano. Vestiva in je-ans e camicia di tela azzurra. Adams se ne stava l col suo sorriso tutto grinze, scuotendo il capo ogni tanto, tollerante. Lui Ingham si sentiva co-me isolato, magari anche svuotato, in mezzo a tutto quel chiasso. L'ameri-cano col cane se ne and.

    Per la seconda volta, Adams grid: Ho detto che dovresti vedere qual-cos'altro ancora di questo paese prima di partire.

    Lui annu con enfasi. La luna era quasi piena. Passeggiarono per un po' sulla spiaggia e lui

    guard la fortezza illuminata, con le mura color beige leggermente inclina-te, guard le bianche cupole delle case arabe ammassate dietro di essa, av-vert la dolce brezza nelle orecchie e si sent lontanissimo da New York, da John e dai suoi misteriosi motivi, lontanissimo persino da Ina, con la quale ce l'aveva per non avergli scritto. Detestava per quel suo risentimento e la piccineria che glielo dettava. Probabilmente aveva i suoi buoni motivi per non scrivere. Certo. Ma quali erano? Non si sentiva vicino neppure a A-dams, pens a un tratto, con un lieve fremito di paura. O di solitudine.

    Dove se ne sarebbe andato? Domani dar un'occhiata alla carta della Tunisia, pens. O riprendo a lavorare al libro finch non arriva una lettera o un telegramma di Ina. Era la cosa pi saggia da fare. Il bungalow, prima

  • colazione compresa, gli costava sei dollari al giorno, quindi non aveva pre-occupazioni per i soldi. Ma naturalmente adesso buona parte di quelle spe-se in Tunisia erano a carico suo ormai. In ogni modo, doveva aspettare an-cora un due o tre giorni notizie da Ina, nel caso gli avesse scritto e non te-legrafato.

    Si salutarono sul viale dei bungalows. Hai tutta la mia comprensione, disse Adams a bassa voce, perch nei bungalows vicini la gente dormiva. Cerca di riposarti. stato un colpo per te, Howard.

    5

    Aveva intenzione di dormire fino a tardi e invece si svegli presto. And

    a fare un bagno, ritorn e si prepar del caff istantaneo. Erano appena le sette e mezzo. Lavor finch, alle nove, Mokta gli port la prima colazio-ne.

    Ah, lavora presto stamattina, osserv il ragazzo. Stia attento, le ver-ranno i giramenti di testa. Col dito all'altezza dell'orecchio imit un mo-vimento rotatorio.

    Lui gli sorrise. Aveva notato che la preoccupazione costante degli arabi era quella di sforzarsi troppo il cervello. Un giovanotto col quale aveva parlato a Naboul gli aveva detto d'essere uno studente universitario ma di essersi sforzato troppo il cervello per cui, dietro ordine del dottore, s'era preso una vacanza di varie settimane.

    Non dimenticarti di vedere se arriva una lettera per me, Mokta, per pia-cere. Io far un salto verso le undici, ma pu darsi che la lettera arrivi pri-ma.

    Ma oggi domenica. Davvero? Di colpo si sent depresso. A proposito, non mi dispiace-

    rebbe un asciugamano pulito. Hassim ieri s' preso il mio e s' dimenticato di portarmene uno pulito.

    Ah, quell'Hassim! Mi dispiace, signore. Spero di trovarne qualcuno. Ie-ri li abbiamo consumati tutti.

    Lui annu. Almeno c'era chi li riceveva gli asciugamani puliti. E sa, disse Mokta, appoggiandosi con grazia allo stipite della porta,

    tutti i ragazzi frequentano un corso alberghiero di cinque mesi per impa-rare il mestiere. Non si direbbe, vero?

    No. S'imburr una fetta di toast. Dorm da mezzogiorno all'una. Aveva scritto nove pagine e era soddi-

  • sfatto del proprio lavoro. Prese la macchina e arriv fino a Bir Bou Rekba, un paesino a circa sette chilometri, dove fece colazione in un modesto ri-storantuccio con un paio di tavoli sul marciapiede. I gatti randagi l erano pi magri, con le costole di fuori, e, tutti, le code spezzate e piegate a an-goli pietosi. Evidentemente spezzare le code dei gatti e dei gattini doveva essere una specie di sport in Tunisia. Quasi tutti i gatti di Hammamet ave-vano la coda spezzata. Non sent parlare francese. Non sent niente che gli riuscisse comprensibile. Era proprio il posto adatto quello, pens, visto che il personaggio principale del suo romanzo passava la met del suo tempo in un mondo sconosciuto ai suoi familiari e ai suoi soci in affari; un mondo noto solo a lui, in realt, perch non poteva partecipare a nessuno la verit: e cio che parecchie volte al mese si appropriava di danaro e falsificava as-segni con tre firme false. Se ne stette seduto l al sole a sognare, sorseg-giando ros gelato e desiderando - ma non disperatamente in quel momen-to - che il tempo passasse pi rapido, cos da ricevere presto notizie da Ina. Che scusa avrebbe trovato? Poteva anche darsi che una sua lettera fosse andata perduta. Se non addirittura due. Aveva telefonato all'Hotel du Golfe due giorni prima, ma quello successivo non l'aveva fatto. Era stanco di sentirsi dire che non c'era niente per lui. Del resto, a quanto pareva il Golfe inoltrava puntualmente tutto al Reine. Il sole gli dava il formicolio al viso come se, ne aveva proprio l'impressione, glielo stesse lentamente abbrusto-lendo. Non aveva idea di un sole cos grande e incombente. La gente del nord non sa cos' il sole, pens. Quello era il vero sole, l'antico fuoco che sembra ridurre la vita di ognuno a un attimo e i problemi di ognuno a una minuscola assurdit.

    I drammi che s'inventa la gente! pens. Nel suo distacco prov disgusto per l'intera razza umana.

    Un gatto scheletrico e arruffato stava guardandolo implorante, ma ave-vano gi portato via il piatto di pesce-e-uova-fritte. Lanci sul cemento polveroso una mollica di pane. Era tutto quello che aveva, ma il gatto la mangi, masticando con pazienza, la testa girata di lato.

    Quel pomeriggio lavor ancora e scrisse cinque pagine. Luned e marted arrivarono e passarono senza che ricevesse neppure

    una lettera di Ina. Lavor. Evit Adams. Si sentiva scorbutico e capiva che non sarebbe stato di buona compagnia; in quello stato d'animo avrebbe fi-nito col dire qualcosa di sgradevole. Il mercoled, quando gli sarebbe anda-to di cenare con Adams, si ricord che questi gli aveva detto che il merco-led sera lo passava sempre da solo. Doveva averne fatto una regola. Man-

  • gi in albergo. L'americano in crociera si trovava ancora l e quella sera pranzava con un tale. Lui lo salut con un cenno del capo, poi si ricord di non aver risposto alla lettera di Peter. Quella sera stessa scrisse:

    28 giugno 19..

    Caro Peter, la ringrazio molto per la sua lettera. Non avevo saputo niente, come avr

    appreso dalla mia prima lettera, e per la verit Ina ancora non mi ha scritto. Mi dispiaciuto moltissimo per John, perch come tutti anch'io pensavo che se la passasse bene. Non lo conoscevo a fondo, come sapr: da un an-no ormai, ma non a fondo. Non sospettavo neppure che attraversasse una crisi.

    Probabilmente partir da qui la prossima settimana e torner negli Stati Uniti. Senza dubbio, questo rimarr il viaggio pi strano di tutta la mia vi-ta. Non una parola neppure da Miles Gallust, che doveva essere il nostro produttore.

    Mi scuso per questa lettera inadeguata. Francamente, sono ancora stordi-to dalla notizia.

    Suo Howard Ingham

    Peter Langland abitava in Jane Street. Chiuse la busta. Non aveva pi

    francobolli. Avrebbe portato la lettera a Hammamet l'indomani mattina. Nel bungalow a pochi metri dietro il suo, riparato da alcuni alberi di li-

    mone, dei francesi stavano dandosi la buonanotte. Attraverso la finestra aperta li udiva distintamente.

    Sai, fra tre giorni saremo a Parigi. Telefonaci. Ma naturalmente! Jacques! Vieni, su. Dorme in piedi. Buonanotte. E sogni d'oro. Sogni d'oro. Al di l della finestra c'era quello che sembrava un buio fitto. Niente lu-

    na. Il giorno dopo pass come il precedente; riusc a scrivere otto pagine.

    Alle cinque del pomeriggio and a bussare da Adams per invitarlo a bere qualcosa, ma l'americano era fuori Non si cur di andare a cercarlo sulla spiaggia.

    La mattina del 30 giugno, un venerd, arriv una lettera di Ina, in una busta della CBS. La port Mokta. L'apr strappando la busta, troppo ansio-

  • so per perder tempo a dare una mancia a Mokta. Era datata 25 giugno e diceva: Caro Howard, mi dispiace di non averti scritta prima. Peter Langland mi ha detto di a-

    verlo fatto lui, nel caso non avessi saputo di John, ma era sul Times (di Londra) e sulla Tribune (di Parigi), cos abbiamo pensato che l'avessi letto l in Tunisia. Sono ancora cos sconvolta che, credimi, non me la sento di scrivere. Ma tra qualche giorno lo far, forse domani. una promessa. Ti prego di perdonarmi. Spero che tu stia bene.

    T'abbraccio Ina

    Era scritta a macchina. La lesse una seconda volta. Non era affatto una

    lettera, e questo lo irrit. Cosa s'aspettava che lui facesse, aspettasse un'al-tra settimana finch lei se la sentiva di scrivere? Perch era tanto sconvol-ta? Abbiamo pensato... Era tanto amica di Peter Langland? Tutt'e due, lei e Peter avevano tenuto la mano di John l all'ospedale prima che morisse? Probabile, ammesso che lui avesse preso sonniferi.

    Se ne and a passeggiare sulla spiaggia, quella stessa che aveva attraver-sato tante volte per andare alla ricerca di una lettera di Ina. Irritante quella lettera. Ina era il tipo di buttar gi dieci righe per una prima informazione sui fatti e magari di aggiungere: I particolari in seguito; questa volta in-vece non informava di un bel niente. Non s'aspettava una simile crudelt da parte sua. Con un po' di fantasia avrebbe anche potuto rendersi conto della situazione in cui si trovava lui, in attesa, a migliaia di chilometri di distanza. E prima del fattaccio di John, come mai non aveva avuto il tempo di scrivergli? E quella era la ragazza che lui pensava di sposare? Sorrise, e fu un sollievo. Tuttavia si sentiva sballottato e confuso, come sospeso nel vuoto. S, era inteso che si sarebbero sposati. Le aveva chiesto la mano in maniera molto semplice, l'unica che lei avrebbe tollerato. E lei non aveva esclamato: Oh s, caro! ma era stato chiaro che accettava. Avrebbero dovuto aspettare ancora parecchi mesi per sposarsi. Dipendeva dal loro ri-spettivo lavoro e da quando avrebbero trovato un appartamento, anche per-ch a volte Ina doveva andare in California per sei e pi settimane, ma il punto era...

    Cotto dal sole a picco, scoraggiato dal semplice sforzo di immaginare, in quella torrida terra araba, le convenzioni non scritte dei newyorkesi, perse

  • il filo dei pensieri. Si ricord di una storia che gli aveva raccontato Adams: una ragazza inglese aveva sorriso a un arabo, o forse l'aveva solo guardato troppo a lungo e questi l'aveva seguita su una spiaggia buia e violentata. Questa era stata la versione della ragazza. Per un arabo lo sguardo di una ragazza era come una specie di invito. Il governo tunisino, per tenersi buo-no l'Occidente, s'era dato molto da fare, aveva processato il giovanotto e gli aveva inflitto una lunga condanna, che per gli era stata ben presto commutata. La storia era assurda e lo fece ridere, ci che provoc un'oc-chiata stupita da parte di due giovanotti - francesi all'aspetto - che proprio in quel momento gli stavano passando vicino con l'equipaggiamento da subacquei.

    Nel pomeriggio lavor, ma scrisse solo tre pagine. Era agitato. La sera cen con il tipo in jeans. Lo aveva incontrato al Caf de la Plage,

    dove alle otto era andato a bere qualcosa e dove quello gli aveva rivolto la parola per primo. Aveva sempre con s il cane lupo tedesco. Era danese e parlava un ottimo inglese, con leggero accento inglese. Si chiamava An-ders Jensen e aveva un appartamento in affitto in un vicolo di fronte al ri-storante di Melik. Stava bevendo boukhah e lui aveva voluto provarlo. Somigliava un po' alla grappa e alla tequila.

    Quanto a parlare di s, lui Ingham era un po' restio. D'altro canto, il da-nese non lo press. A una sua domanda, tuttavia, rispose che era scrittore e che stava prendendosi un mese di vacanza. Lui Jensen era pittore. Dimo-strava un trenta-trentadue anni.

    Ho avuto una crisi, l a Copenhagen, spieg, con un sorriso stanco e tirato. Era magro e abbronzato, con capelli biondi e lisci e una strana luce mutevole negli occhi azzurri, come se facesse poca attenzione a tutto quan-to lo circondava. Il mio dottore - uno psichiatra - mi disse di andarmene da qualche parte al sole. Sto qui da otto mesi.

    comoda la tua casa? Il danese gli aveva detto che era semplice, e gi che aveva l'aria del tipo abbastanza frugale, quindi lui aveva immaginato che si trattasse di una casa del tutto primitiva. Voglio dire, adatta per dipingere?

    La luce splendida. Ma quasi non c' mobilio. Del resto, qui non c' mai. Sai, ti fittano una casa e tu dici: Dov' il letto? Dov' una sedia? Dov' un tavolo, santiddio? E loro dicono che arrivano l'indomani. O la settimana seguente. La verit che loro non adoperano mobilio. Dormono su mate-rassi e ripiegano i vestiti a terra. O ve li buttano. Io per ho almeno un let-to. E mi son fatto un tavolo con delle cassette e un paio di assi raccolte per

  • strada... Hanno azzoppato il mio cane. Si sta appena riprendendo, ha zop-picato fino a poco tempo fa.

    Davvero? Perch? chiese lui, turbato. Be', gli tirarono una grossa pietra. Gliela tirarono da una finestra, cre-

    do. Aspettarono la loro occasione, quando Hasso se ne stava steso all'om-bra di una casa dall'altra parte della strada. Amano far male agli animali, sai. E forse un cane di razza come Hasso per loro una tentazione anche maggiore che un bastardo. Carezz la bestia, che stava accucciata accanto alla sua sedia. Hasso ne rimasto traumatizzato. Odia gli arabi. Gli arabi perfidi. Di nuovo quel sorriso distaccato ma insieme divertito. Fortuna che obbedisce, altrimenti lacererebbe una dozzina di pantaloni al giorno.

    Lui rise. Ce n' uno, in pantaloni rossi e turbante, che pesterei volentie-ri. S'aggira sempre intorno alla mia macchina ogni volta che la parcheggio da queste parti.

    Jensen sollev un dito. Lo conosco. Abdullah. Un vero disgraziato. Sai che l'ho visto rubare da una macchina a appena due strade da qui, in pieno pomeriggio? Rise divertito, ma fu una risata quasi silenziosa. Aveva bei denti bianchi. E nessuno fa niente.

    Stava rubando una valigia? Dei vestiti, mi parve. Li rivende al mercato. Credo che non mi fermer

    ancora per molto qui, a causa di Hasso. Se lo colpiscono di nuovo questa volta ci resta. D'altronde, a agosto qui un forno.

    Attaccarono una seconda bottiglia di vino. Da Melik c'era quasi calma. Solo altri due tavoli erano occupati: arabi, tutti uomini.

    A te piace fare le vacanze da solo? chiese il danese. S. Credo di s. Quindi ora non stai scrivendo niente? Be', s, ho cominciato un nuovo libro. Certo ho lavorato duro nel passa-

    to, ma adesso non me ne sto con le mani in mano. A mezzanotte, s'avvi con Jensen a casa di questi, Voleva vederla. Una

    piccola costruzione bianca con la porta di strada chiusa da un lucchetto. Il danese accese una lampadina fioca e s'avviarono su per una scala bianca ma sporca, spoglia, senza ringhiera. Da qualche parte giungeva odore di cesso. Jensen occupava il primo piano, che consisteva d'una stanza di di-screta grandezza, e quello superiore, formato da due stanze pi piccole. Contro le pareti e sul tavolo di assi e cassette che Jensen aveva descritto c'erano mucchi confusi di tele. In una delle stanze di sopra c'erano un pic-colo fornello a gas a due fiamme e una sola sedia, sulla quale nessuno dei

  • due sed. S'accomodarono a terra. Jensen vers del vino rosso. Aveva anche acceso due candele infilate in bottiglie di vino. Stava di-

    cendo che doveva andare a Tunisi a comprare materiale per dipingere e che ci andava in autobus. Lui intanto guardava i quadri tutt'intorno. Pre-dominava l'arancione vivo. Erano astratti, immagin, bench alcune linee dritte e alcuni quadrati potevano benissimo rappresentarvi delle case. In uno, appiccicato sulla tela e ripassato di vernice, c'era uno straccio tutto spiegazzato, forse uno straccio dipinto. Non c'era abbastanza luce per poter giudicare, e infatti non giudic.

    C' una doccia? chiese. Oh, adopero un secchio. Sulla terrazza. O nel cortile. L c' uno scolo. Dalla strada di sotto giunse il suono di due voci, due uomini che litiga-

    vano. Jensen sollev il capo e rimase in ascolto. I due tirarono oltre. Il loro tono era un po' pi che arrabbiato.

    Capisci l'arabo? chiese lui. Un po'. Ma non mi sforzo molto. Ho una certa facilit con le lingue.

    Me la cavo. Balbetto, dicono loro. Il danese aveva tirato fuori del formaggio bianco, secco, e del pane. Lui

    per non aveva voglia di niente. Alla luce delle candele, circondato da un alone d'ombra, quel piatto di formaggio era abbastanza invitante. Il cane, steso a terra davanti alla porta, diede un profondo sospiro e s'addorment.

    Mezz'ora dopo, Jensen gli mise una mano sulla spalla e gli chiese se vo-leva passare la notte l. E lui di colpo cap che era un invertito o che alme-no gli stava facendo una proposta da invertito.

    No, ho la macchina, rispose. Grazie, in ogni modo. Jensen tent di baciarlo, manc e gli sfior la guancia con un bacio.

    Manc perch lui s'era spostato. Il danese era in ginocchio. Lui ebbe un brivido. Era in maniche di camicia.

    Non vai mai a letto con gli uomini? bello. Niente complicazioni, disse Jensen, girando sui tacchi e tornando a sedere sul pavimento, a poco pi di un metro da lui. Le ragazze qui sono orrende, sia le turiste sia - come chiamarle? - le indigene. Poi c' il pericolo della sifilide. Sai, ce l'hanno tutte. Pare che loro siano immuni, per te la passano.

    Nel tono pacato del danese s'avvertiva una profonda amarezza. Lui In-gham, intanto, si stava dando dell'idiota per non aver capito che il giova-notto era omosessuale. Dopotutto, da newyorkese abbastanza sofisticato avrebbe anche potuto mostrare un po' pi di acume. G