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[H appunti: Un Carnevale ama- ro, lo spettro del '29, E.T. e un profeta tradito D politica intemazionale: Hanno messo in pensione Dubcek l'uo- mo che sognava il socialismo senza i carri armati D cinema: 11 sogno di Fitzcar- raldo e la sua differenza D studio: Nascita e sviluppo dei movimenti nonviolenti e anti- militaristi in Trentino (1967-1977) D fede: Una morale « sommer- sa » per i giovani dopo il crollo delle ideologie totalizzanti? D mass media: La televisione: quella grande, comoda, pericolo- sa baby-sitter D taccuino culturale trentino 1 983

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[H appunti: Un Carnevale ama-ro, lo spettro del '29, E.T. e unprofeta tradito

D politica intemazionale: Hannomesso in pensione Dubcek l'uo-mo che sognava il socialismosenza i carri armati

D cinema: 11 sogno di Fitzcar-raldo e la sua differenza

D studio: Nascita e sviluppodei movimenti nonviolenti e anti-militaristi in Trentino (1967-1977)

D fede: Una morale « sommer-sa » per i giovani dopo il crollodelle ideologie totalizzanti?

D mass media: La televisione:quella grande, comoda, pericolo-sa baby-sitter

D taccuino culturale trentino

1 983

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I L M A R G I N Emensile dell'associazione culturaleOscar A. Roraero

Direttore: PAOLO GHEZZICondirettore: MICHELE NICOLETTIRedazione: LUCIANO AZZOLINI (dir.resp. a norma dì legge) - GIOVANNIBIANCONI - DANIELA GIULIANI(segretaria) - PAOLO GIUNTELLAROBERTO LAMBERTINI - FABRIZIOMATTEVI - VINCENZO PASSERINIMARIA TERESA PONTARA - MARIA-NÒ PRETTI - SILVANO ZUCALUna copia L. 1.200 - un arretrato,L. 2.000 - abbonamento annuo,L. 12.000 - abbonamento sosteni-tore, da L. 20.000 in su - prezziper l'estero: una copia L. 2.000abbonamento annuo, L. 20.000.I versamenti vanno effettuati sulc.c.p. n. 14/9339 intestato a « IIMargine », Trento.Autorizzazione Tribunale di Trenton. 326 del 10.1.1981.Redazione e amministrazione: « IIMargine » c.p. 359, 38100 Trento.Tip. Argentarium - Trento

II Margine n. 2 - anno III

febbraio 1983

Un Carnevale amaro, lo spettrodel '29, E.T. e un profeta tradito

Hanno messo in pensione Dub-cek l'uomo che sognava il socia-lismo senza i carri armati

appunti

II sogno di Fitzcarraldo e la suadifferenza

Nascita e sviluppo dei movi-menti nonviolenti e antimilitaristiin Trentino (1967-1977)

Una morale « sommersa » per igiovani dopo il crollo delle ideo-logie totalizzanti?

La televisione: quella grande,comoda, pericolosa baby-sitter

Taccuino culturale trentino

PRIMA DI LEGGERE QUESTO NUMERO

II Convegno su « don Milani, profata tradito? » organizzato dall'Associazione O.Romero e da II Margine ci ha sorpreso un po' tutti. Non ci aspettavamo l'interessae la partecipazione dì persone cosi numerose e cosi diverse rispetto al pubblicodei covegni: insegnanti e operatori del mondo della scuola, studenti, adulti chericordavano il dibattito e lo « scandalo di quegli anni ».Dunque ci sono ancora cose e persone che hanno una capacità propria di parlaree di comunicare attraverso gli anni. Testimonianze che qualche volta ci vergogniamodi « tirare fuori » perché pensiamo appartengano solo alla nostra nostalgia. Invecaappartengono a tutti e ancora riescono a parlare a tutti. Non è vero che non c'èpiù niente, che tutto è stato spazzato vìa. Qualche filo si può riannodare.

Stiamo preparando la pubblicazione degli atti del convegno. Aspettiamo il rinnovodegli abbonamenti, nuovi abbonati e segnalazioni di persone interessate a riceverela rivista. Ne va della sua sopravvivenza.

« II Margine » è in vendita a Trento presso: a Disertori », via s. Vigilie; « Pao-line », via Perini; « Artigianelli », via s. Croce.

Questo numero è stato chiuso in tipografìa il 7 marzo 1983.

UN CARNEVALE AMARO,LO SPETTRO DEL '29, E.T.E UN PROFETA TRADITO

paolo ghezzi

Molte divergenze di giudizio satta società del benessere e sulla civiltà dimassa sorgono dalla diversità dei punti di osservazione. E' inevitabile chel'atteggiamento mandarinesco, così frequente, e anche così naturale, tragli intellettuali, produca visioni deformate o addirittura allucinanti. Percapire una società bisogna cominciare col non sentirvisi estranei. Sene omale questo scombinato mondo degli uomini è il nostro unico mondo enon ci è concesso di guardarlo dd di fuori.

(Ignazio Silone)

E così si è spento un altro carnevale, effimero e mascheratissimo,sponsorizzato dagli assessori alla cultura più illuminati, benedettodagli idilliaci connubi tra Grande Cultura Laica e Grande Capitale,benignamente tollerato dalle vestali dell'economia nazionale — tan-to assidue nel profetizzare imminenti tracolli, quanto geniali neU'in-ventare i meccanismi più ingegnosamente inutili perché tutto riman-ga esattamente come prima.Si è spento un altro mascheratissimo carnevale, Pulcinella hi la-guna e Arlecchino a Posillipo (scambi culturali); e con la Quaresimasono riapparsi inquietanti fantasmi.

Reagan-ranches: i fantasmi della Grande Crisi

Quelli del '29, per esempio. Gli economisti, ormai, non esorcizzanopiù lo spettro della Grande Depressione: negli Stati Uniti ci sonomilioni di disoccupati, il 10,8% della popolazione attiva, la più altapercentuale dal 1933. Entro la fine di quest'anno falliranno altre70 mila aziende, mentre nella periferia delle metropoli si allarganoa macchia d'olio le baraccopoli battezzate « Reagan-ranches », perdebito di riconoscenza verso la politica anti-inflazionistica dura del-l'ex cow-boy di Hollywood: responsabile — afferma qualche econo-mista dissidente — di aver portato gli States sull'orlo della cata-strofe. Ritorna dunque il vagabondaggio di massa, ritornano i clan-

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destini sui treni merci, le code davanti alle mense popolari, mentrein Germania fanno pacchi-dono per gli americani poveri.Insoninia, notizie inquietanti dall'altra parte dell'oceano. E non citranquillizza troppo il nostro barbuto e aitante ministro del Tesoroche ci assicura, da Washington, che i prestiti del Fondo monetariointernazionale salveranno dalla bancarotta il Messico e gli altri Paesidel Terzo mondo con l'acqua alla gola. Non ci tranquillizza nemme-no che gli sceicchi — bontà loro — abbassino drasticamente il prez-zo del petrolio, concedendo qualche litro di ossigeno in più alleeconomie più asfittiche e sbilanciate come quella italiana. Bruttosegno, che si giochi al ribasso dell'oro nero: segno che nemmenole locomotive trainanti dell'industria mondiale (vedi Germania) ti-rano più, che troppe fabbriche chiudono, che gli investimenti siriducono al lumicino. Insomma, è la Depressione.Aggiungeteci, per quanto riguarda l'Italia, un'inflazione che navigaimperturbabile attorno al 16-17% (il triplo rispetto a quella tede-sca, e non parliamo del Giappone...), e un deficit pubblico che sfon-derà il tetto degli ottanta mila miliardi.No, il '29 non è così lontano.

Ma le nobili corporazioni non fanno una piega

Ma le nobili corporazioni che sono la gloria della nostra Repubblicanon si spaventano per così poco. Olimpici nella loro indifferenza aproblemi tanto triviali come quelli del bilancio dello Stato, i mediciospedalieri trascinano la loro vertenza all'inseguimento dei loro col-leghi condotti e generici, che lavorano poco, hanno meno respon-sabilità e incassano — ciononostante — qualche milione in più almese. Hanno ragione, gli ospedalieri, si capisce, perché interpretanocorrettamente il classico copione del miope sindacalismo nazionaleassecondato dal potere facilone e imprevidente: ogni categoria inse-gue selvaggiamente la categoria che sta al gradino superiore dellascala retributiva, costi quello che costi. La disoccupazione giovanile,la cassa integrazione, la crisi industriale sono problemi degli altri.Si ragiona sempre in termini di confronto, senza mai lasciarsi sfio-rare dal sospetto di essere pagati abbastanza, per il servizio chesì offre.Non che gli ospedalieri siano particolarmente diabolici, poveretti.Tra qualche mese, non temete, sarà la volta di qualche altra nobilecorporazione: i funzionar! delle assicurazioni, i dirigenti pubblici, iconsiglieri provinciali, i fattorini delle Poste o i giornalisti. E nes-suno che abbia il coraggio di scendere da questa giostra impazzitache si fermerà soltanto quando scoppierà il motore o si ingrippe-ranno gli ingranaggi.

I Governi — intanto — insistono nel fissare ridicoli tetti di aumentoche i vari Spadolini e Fanfani sanno benissimo che saranno disin-voltamente sfondati. E si prodigano in estenuanti trattative che sirivelano quasi sempre farseschi tira e molla per inoliare il più tardipossibile.Per fortuna che c'è sempre l'Italia che lavora e paga le tasse. Perfortuna c'è il genio, l'arte, lo stellone e la grande moda che trainal'esportazione. Ma se arriverà la Grande Crisi, ci salveranno lo Stel-lone, Paolo Rossi, le giacche in pelle di Giorgio Armani? Gli analistifinanziari hanno qualche dubbio.

Negl'inuline e italianità

Intanto, abbiamo visto tutti come fa presto ad aprirsi una crepa,nel delicatissimo tessuto economico mondiale: è successo in Nige-ria, dove il giovane capitalismo africano (ma d'importazione) ha get-tato la maschera, innescando la bomba di una tragica guerra trapoveri. Altro che negritudine, altro che cultura dell'accoglienza. La-crime dì coccodrillo, allora, sulla sorte dei profughi, e tanti generosiaiuti alimentari governativi che non costano niente a nessuno (in Eu-ropa si distruggono ogni anno migliaia di tonnellate di prodottiagricoli). Aiuti necessari, certo, ma che perpetuano i meccanismidella dipendenza e dell'asservimento.E intanto, mentre l'Occidente inorridisce davanti allo spettro del'29, il ministro Lagorio esalta l'italianità dell'incontro tra gli azzurridel Mundial reduci dall'eroico pareggio di Cipro e i ragazzi di levache garantiscono la « pax italiana » a Beirut.E intanto in Guatemala continuano a torturare, mutilare, squartaremigliaia di indios — uomini e donne, vecchi e bambini — di cate-chisti, di oppositori politici. Ordine del religiosissimo presidenteRios Montt, seguace di una setta spiritualista, sedicente inviato di Dio.E non parliamo dei missili, della guerra fredda strisciante, dell'om-bra del Grande Fratello di orwelliana memoria (il fatidico 1984, tral'altro, è alle porte).

E.T., la profezia galattica

Ma' per fortuna in questi tempi bui è arrivato E.T., il meravigliosoE.T. di Steven Spielberg (genio autentico del cinema americano).E.T., la bontà galattica, più piccolo di Fanfani e tanto più brutto,ma così catartico, così liberante, col suo Vangelo stellare lungo tremilioni di anni luce.Su questo bellissimo film, ormai, è stato detto di tutto. « II Sabato »

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gli ha dedicato due pagine per spiegare che si tratta di un film« religioso, ma non cristologico », nonostante gli inquietanti paral-lelismi tra la vicenda dell'Extraterrestre e quella di Nostro Signore.I critici paleomarxisti di stretta osservanza si sono stracciati perl'ennesima volta le vesti denunciando l'ignobile macchina da soldidel cinema americano, il deprecabile successo a suon di dollari, lasporca operazione consumistico-commerciale alle spalle di vecchi ebambini. I critici freudiani, dal canto loro, si sono affannati a di-mostrare che l'opera di Spielberg teorizza una pericolosa regressio-ne allo stato infantile con il rifiuto della complessità del reale.Perfino « Civiltà Cattolica » è scesa in campo, con un severo articolodi padre Virgilio Fantuzzi sulla « doppia morale » della favola. « Laformula " scacco alla scienza, esaltazione dell'irrazionale " — si leggenella rivista dei gesuiti — inquina con il suo veleno la favola delbambino e dell'extraterrestre». E non basta. Fantuzzi fa anche ilverso ai vituperati paleomarxisti affermando che « pseudomisticismoe pseudoscienza non sono affermati in E.T. come entità a sé stan-ti, ma utilizzati come elementi funzionali al trionfo dell'oggetto in-teso come mercé di scambio».Ben pochi, di fronte a tutto questo sproloquio interpretativo, hannoavuto la spudoratezza di dire che « E.T. » è semplicemente un bel-lissimo film che tocca corde particolarmente sensibili per l'uomod'oggi: il recupero dell'infanzia come innocenza perduta, il recuperodei buoni sentimenti, la religiosità come bisogno insopprimibile —poco importa se è incarnata da un Extraterrestre o da una settaorientale. E.T. va dritto al cuore: ecco perché maturi amici barbutie seriosi mi hanno confessato di avere pianto, ecco perché c'è gen-te che è andata a vederlo sei volte, ecco perché nella scettica e gra-nitica Trento un film tanto ingenuamente marziano sfonda tutti irecord di permanenza in cartellone, ecco perché in Svezia i bambinisotto gli undici anni inscenano pittoresche dimostrazioni contro icensori (proprio quelli di Stoccolma!) che hanno vietato loro l'in-gresso per evitare shock psicologici. Ma la fantascienza di E.T. èuna fantascienza buona, a misura d'uomo, tanto diversa dal milita-rismo galattico made in Japan delle « larne rotanti e delle alabardespaziali » di cui rigurgitano i cartoni animati che la TV riversa indosi massicce sui bambini di tutto il mondo post-industriale.Se è vero — come è vero — che il cinema è il grande lenzuolobianco dell'immaginario collettivo, se è vero che i sogni hanno riac-qiiistato diritto di cittadinanza e che non serve più agitare il « de-mone » del riflusso, « E.T. » è un capolavoro del cinema. E' una boc-cata d'aria, è il profeta-quasi-biblico che in una società senza Dioe senza padre, riempie i vuoti della nostalgia per il « totalmentealtro ».

Contro le illusioni, la profezìa di chi sceglie da che parte stare

Ma il cinema è finzione, lenzuolo bianco e sala buia. E quando siriaccendono le luci riappare la realtà difficile, complessa, molto ter-restre e poco extraterrestre, di questo carnevale amaro e inquietante.Eppure è stato proprio in questo Carnevale amaro, turbato da fan-tasmi difficili da esorcizzare e consolato da improbabili extraterre-stri, che l'Associazione Oscar Romero e questa rivista — testarda-mente anacronistiche — hanno chiamato Giampaolo Meucci e alcuniragazzi di Barbiana, a Trento, per parlare di quello straordinarioprofeta del radicalismo evangelico che è stato don Lorenzo Milani,morto poco più di quindici anni fa, subito dimenticato e troppospesso tradito.Oltre cinqtiecento persone, in tutto, hanno partecipato ai tre incon-tri proposti: per Trento, una folla assolutamente inattesa e straor-dinaria. E questo ci ha reso un po' meno amaro il Carnevale '83,ci ha fatto capire che esiste ancora uno spazio, una lunghezza d'on-da, un linguaggio, una grammatica esistenziale che ci fa incontrare— al di là degli steccati generazionali e ideologici — per parlaredel destino dell'uomo. Per cercare insieme una via d'uscita dal ri-piegamento, dalla rassegnazione di fronte alla follia del mondo.Dobbiamo imparare la lezione-di chi — come Milani, come Rome-ro — ha scelto « da che parte stare ». Perché vivere vuoi dire sce-gliere, compromettersi, sporcarsi le mani con una storia concreta,in un posto concreto. La lezione di Milani e di Romero è il « pagaredi persona»: in un mondo impegnato in un tragico scaricabarile(tra gli individui, le corporazioni, gli Stati e i continenti), è un ge-sto rivoluzionario, il solo che può cambiare la rotta di una storiaimpazzita.E' un pezzette di profezia irriducibile al Grande Potere fagocitantedelle mascherate assessorili, del dissesto pianificato, del becero re-vival nazionalistico, irriducibile anche alle consolatorie illusioni ga-lattiche.Se ricordare don Milani ci ha messo in crisi, almeno un po', se ciha fatto capire che le uniche scelte vere sono quelle che si paganodi persona, quella del « Margine » non sarà stata una vuota com-memorazione, una memoria inutile.Solo scegliendo da che parte stare e pagando di conseguenza abbia-mo il diritto di sperare in un mondo più saggio, più giusto, piùpulito. Un mondo che sa dire di no alla pace dei missili e può per-fino fare a meno dei Messia extraterrestri. •

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politica internazionale

HANNO MESSO IN PENSIONE DUBCEKL'UOMO CHE SOGNAVA IL SOCIALISMOSENZA I CARRI ARMATI

giovanni bianconi

La Burocrazia ha voluto definitivamente sbarazzarsi di AlexanderDubcek. L'uomo della « primavera di Praga », che aveva alimentatosperanze di cambiamento e di libertà in milioni di cittadini non so-lo cecoslovacchi, ma di tutta l'Europa, Orientale e Occidentale, èstato messo in pensione dall'impresa forestale dove era stato spe-dito a lavorare nel 1970, dopo un periodo trascorso presso l'amba-sciata cecoslovacca in Turchia. Una mossa ufficiale, questa, con laquale si è voluto chiudere un ciclo, far cadere nel dimenticatoio,anche formalmente, l'esperienza del '68 cecoslovacco, rimuovere l'ul-timo simbolo di ciò che quel periodo aveva rappresentato.Alexander Dubcek fu il primo segretario del partito comunista ce-coslovacco, dal 1948, ad essere eletto senza il parere e il placet diMosca. Ma verso l'Unione Sovietica egli nutriva sentimenti di sin-cera amicizia per avervi trascorso diciassette anni della sua vita;e fu proprio questo attaccamento alla « Patria del Socialismo » chedeterminò in lui quell'atteggiamento conciliante nei confronti diBreznev, che volle mantenere fino alla fine, anche nei momenti peg-giori, quando continuava a ripetere «i compagni sovietici alla finecapiranno... ». Pare che anche in questi ultimi tempi, dopo la mortedi Breznev, Dubcek avesse ripreso a nutrire la speranza di una ria-bilitazione, dì una « richiamata » da parte degli attuali dirigenti diPraga, quelli imposti nel '68 coi carri armati.Nel grigio panorama degli uomini d'apparato del socialismo realeDubcek rappresentò subito un elemento di novità e di rottura.Per la prima volta in un comitato centrale di im partito comunistadell'Europa dell'Est si udirono frasi come « diamo fiducia alla gen-te: se vuole fare qualcosa di nuovo, se cerca la verità, non è giàquesto un aspetto positivo? », e fu luì a pronxmciarle. Con lui se-gretario, fu abolita la censura, la gente tornò ad interessarsi aiproblemi dello Stato e a partecipare alla vita pubblica. Fu luì a ten-

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tare di instaurare un nuovo metodo di conduzione della politica nelquale gli oppositori e i dissidenti non venivano eliminati, ma chia-mati a collaborare: « Stiamo tentando — sono sempre sue parole —qualcosa di nuovo per il mondo socialista. Infatti, pur avendo al-lontanato il primo segretario del partito comunista, non l'abbiamoeliminato dalla vita politica. Anzi è rimasto presidente della Repub-blica e membro dell'Ufficio politico, e noi vogliamo che resti, perrealizzare cambiamenti con metodi democratici ».Ma il 20 agosto 1968 il sogno finì tragicamente, il realismo tornò atrionfare sull'utopia che poteva non essere più tale, l'ordine fu im-mediatamente ristabilito e un nuovo, fedele servitore dell'Impero fuinsediato a Praga. Dubcek fu arrestato e condotto a Mosca dovevenne costretto a firmare un « diktat » che cancellava d'un colpotutte le conquiste e le speranze della primavera prima di essere in-vitato ad un ipocrita e cinico banchetto preparato per «brindareall'amicizia». Poi fu gradualmente allontanato dalla scena politicafino _ad essere relegato come funzionario nell'impresa forestale diBratislava. Il provvedimento di pensionamento che ora l'ha raggiun-to, con lui che tenacemente si ostinava a sperare in nuove possibi-lità di cambiamento e forse in una « nuova primavera », concludeuna storia che si ripete puntualmente, in una regolarità che Dubcekcredeva non fosse immutabile. Racconta Jirì Pelikan, un altro pro-tagonista di quella stagione, che alla notizia dell'arrivo dei carri ar-mati sovietici il segretario del partito disse, quasi piangendo: «E'la più grande tragedia della mia vita. Dopo che ho dedicato tuttala mia vita all'amicizia fra l'Unione Sovietica e la Cecoslovacchia! ».Sempre Pelikan, a dieci anni di distanza, ha sostenuto che se Dubcekavesse tenuto nei confronti dell'Urss un atteggiamento diverso, piùduro e fermo, e avesse abbozzato una qualche forma di resistenza,fin dall'inizio, alle pressioni e alle ingerenze sovietiche, le cose sa-rebbero potute andare diversamente. Questo non lo sappiamo, po-trebbe anche essere vero. Ma Dubcek resta comunque il sìmbolodella « primavera di Praga », di una stagione tanto breve quantopiena di speranza e di vitalità. Colpendo lui, oggi, senza aspettareil 1984, il Grande Fratello ha voluto far intendere ancora una voltache nulla sfugge al suo controllo e chi tenta di sottrarsi a questaregola, irrimediabilmente, cade in disgrazia. •

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cinema

IL SOGNO DI FITZCARRALDOE LA SUA DIFFERENZA

fabrizio mattevi

« Ho visto saccedere troppe cose, nella mia vita, che avevo ritenuto im-possibili, per poter escludere qualsiasi eventualità, perfino qualsiasi speranza »

(E. Goldstucker)

Brian Sweeney Fitzgerald, oriundo europeo, vive tra gli avampostidella grande civiltà occidentale, ai margini dell'immensa foresta amaz-zonica. Attorno a lui furoreggia uno smodato e lucroso traffico delcaucciù. Fallito il suo progetto di costruire un'insostenibile ferroviatransandina, insegue ora un nuovo sogno immenso ed incredibile:portare tra gli indios l'opera lirica, far sentire loro la voce del gran-de Pino Caruso. La musica lirica è infatti l'ultimo assoluto rimasto-gli e per essa è disposto ad arrischiare la vita.Werner Herzog, maestoso regista tedesco della « nuova onda », viveai margini della cultura europea, custode originale della grande tra-dizione romantica. Il cinema è l'ispiratore della sua esistenza e percelebrarne la potenza avvia la rischiosa impresa di girare un filmin Amazzonia, tra mille pericoli e disavventure, sebbene molte per-sone savie lo avessero sconsigliato da questa pazzia. Contro ogniprevisione la sua avventura riesce, se pur a prezzo della vita di set-te persone.Regista e protagonista, dunque, s'incontrano e sì riflettono a vicen-da: l'arte imita la realtà e la realtà ripete le trame dell'arte. Cosìè nato « Fitzcarraldo », ultimo bellissimo film di Werner Herzog.Qui autore e personaggio vivono la medesima convinzione: chi sasognare riesce a spostare le montagne; l'arte riscatta le contraddi-zioni ed i limiti del mondo normale. Là dove per arte s'intende ge-nialità creatrice, vitalità inesauribile, tensione ideale, invocazione —annuncio — messa in opera della verità. Il concetto di arte si allar-ga a diventare principio assoluto e fondamento di vita. Si perpetuacosi la leggenda germanica del genio eroico, poeta e filosofo assie-me, teso titanicamente alla comprensione della verità infinita, chefa suo il motto di Holderlin: « il sacro sarà la mia parola ».

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L'entusiasmo di sognare sopravvìve tra i bambini, le ruffiane,i poeti ed i vagabondi

Fitzgerald, come Herzog, riconosce attorno a sé un mondo bruttoe volgare, marcito dalle muffe del guadagno e corroso dall'ingordi-gia del denaro. S'incontrano visi deformi e lerci di sudore, untuosie grassi, che godono in modo maniacale la propria ricchezza ed insuo onore sono disposti a qualsiasi bassezza, violenza ed ipocrisia.Quei miseri superbi si trascinano da un tavolo verde all'altro, trail puzzo dei sigari e preziosi bicchieri di whisky, per ostentare lapropria ottusa potenza. Sono gli improvvisati capitalisti di Manaus,gonfiati dal caucciù. Cercano di abbellirsi con un'esasperata elegan-za ed uno sfarzo esagerato, rna tutto quel luccicare non riesce anascondere la loro villana stupidità. Ogni gesto conferma l'ariditàdei loro cuori, l'assenza dei sentimenti, la morte della fantasia. Pos-siedono solo il freddo raziocinio di un'intelligenza meccanica e cal-colatrice, capace dì prevedere profitti ma non di gustare la bellezzae desiderare la verità.Fitzcarraldo, come lo chiamano gli indigeni, guarda con disgustoquei visi beoti e pingui. Preferisce la compagnia dei bambini, checon il loro silenzioso stupore hanno la pazienza di ascoltare la suamusica. Piuttosto di quei lerci è miseri ricconi meglio il suo maialenero, a cui ha promesso di riservare una poltrona di prima fila nelmaestoso teatro che innalzerà nel cuore della foresta.Il mondo non pare più capace di apprezzare la magia profonda del-l'arte ed allora solo presso diversi e marginali si può trovare com-prensione. Non a caso l'amore dì Fitz va a Molly, tenutaria di unbordello e matrona del vizio, che condivide le sue passioni, credenei suoi progetti folli ed è disposta a consumare per essi i suoirisparmi.Come Fitzcarraldo anche Herzog guarda affascinato e rabbioso versoquegli uomini che nei nostri sistemi imidimensionali soggiornanoall'ombra delle periferie e lì vengono abbandonati. Nei films del re-gista tedesco ritornano figure di dannati e disperati: prostitute,ubriaconi, vagabondi, pazzi. Dalle loro esistenze emergono pesantied evidenti le lacerazioni, le violenze, i disastri che il nostro universometropolitano compie, con inesorabile puntualità, su ogni persona.Ma, al caro prezzo della propria solitudine e della propria sofferen-za, quei poveri, ripudiati dalla onorata società, riescono a conser-vare un loro spazio di libertà, che la maggioranza silenziosa hainvece perduto: autonomia di pensiero, generosità del cuore, limpi-dezza di coscienza, vivacità d'immaginazione, che a tutti gli «one-sti » sono negate e sconosciute. Per questo presso di loro, a volte,

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si possono trovare illuminazioni profonde, che squarciano l'owietàdei pregiudizi e delle certezze da cui la nostra società è regolamen-tata. Quei folli e fastidiosi incompresi, che ogni giorno si giocanola vita, sono spesso poeti e filosofi, sempre inascoltati ed ogni volta« diversi ».A quegli uomini disgregati ed annientati va l'attenzione dell'artistae dell'idealista, che vi riconoscono la loro medesima inutilità ed im-potenza, poiché anche loro vedono derisi e calpestati i loro sogni,quelle delicate invenzioni di verità cui provano a dare forma.

Il viaggio del sognatore verso il totalmente altro

Per raccogliere i fondi sufficienti a realizzare il suo teatro liricoFitzcarraldo decide di dedicarsi al commercio del caucciù. Ma tuttele piantagioni disponibili sono già state arraffate dai grandi prò-prietari. Rimane solo una fetta di terra lungo un affluente del Riodelle Amazzoni, popolata da una tribù di indios feroci e primitivi.Un territorio che tutti ritengono inutilizzabile per la pericolositàdei suoi abitanti e per l'impossibilità di creare una rete di traspor-ti fluviali visto che il fiume forma lungo il suo corso rapide -violenteed impraticabili.Ma Fizt non ragiona secondo la logica del profitto ed il realismodei tecnocrati. Quella piantagione può essere sfruttata trasportandoil suo raccolto su di un fiume vicino, tranquillo e praticabile. Perfare questo occorre però superare la collina che divide i due fiuminel punto in cui essi sono più vicini. E l'intenzione di Fitzcarraldoè di far superare quel colle ad un battello per poter andare poi araccogliere il caucciù.Entusiasta e fiducioso, acquista con l'aiuto di Molly una nave, as-solda una ciurma, a dire il vero assai poco raccomandabile, e parte.Inizia così il grande viaggio verso l'ignoto ed il misterioso, lungoterritori che i civili danarosi hanno pensato bene di evitare, inso-spettiti dalle tragiche vicende che su di essi sentivano narrare. MaFitzcarraldo non procede nella sua avventura secondo il calcolo del-le probabilità, ma in nome di un ideale sommo, la musica, che dasenso alla sua esistenza. Non a caso, prima di lui, solo altri uominidi fede, alcuni padri missionari, avevano osato, tragicamente, quel-la impresa.Ben presto, intese le azzardate intenzioni del suo padrone, l'equipag-gio si da alla fuga e Fitz rimane solo con tre compagni di viaggio:il comandante, ormai vecchio e quasi cieco, rifiutato per questo datutte le compagnie di navigazione, ma esperto dell'Amazzonia, ca-

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pace di orientarsi e regolarsi in base ai suoni, i rumori ed i silenzidel fiume; il motorista, un poderoso meticcio, sempre ostile e so-spettoso, ma alla fin fine sincero e leale; ed il cuoco, ubriacone, masimpatico e disinvolto, l'unico, stranamente, capace d'intendere laparlata degli indios, quasi che tra loro gli esclusi dell'Occidente sap-piano comprendersi con facilità.Ancora una volta Fitzcarraldo trova conforto e sostegno per i suoiprogetti tra i diseredati del mondo.Il battello, « Molly Aida » come è stato battezzato, s'inoltra semprepiù nella giungla ad inseguire un sogno da tutti deriso.La foresta, dove la natura è ancora madre e matrigna onnipotente,è lo spazio della totale differenza, il totalmente altro dal nostro mon-do. Là il pignolo e geometrico progresso non è arrivato: gli uominisono altri uomini da noi.Questo passaggio tra i due opposti universi è segnato dalla straor-dinaria sequenza della nave che, con il suo scarso ed atterrito equi-paggio, percorre la foresta, mentre intorno il battere ritmato deitamburi indiani annuncia la nuova presenza. Il battello viene av-volto da quel rumore potente, mentre tutto, lungo il fiume, pareapparentemente immobile e tra il fogliame intricato e fitto non siriesce a scorgere alcun essere vivente.La suggestione di quella scena, rimanda ad Ulisse che penetra nelregno dei morti, a Dante che traghetta sull'Acheronte.Mentre il regno della grande foresta pare fagocitare mortalmentequei piccoli civilizzati, ecco che Fitzcarraldo, ispirato dal suo cuoree dalla sua fede, avvia sul grammofono un brano di musica lirica.E' l'evento miracoloso che muta una storia e ricostruisce una realtà.La musica giunge agli indios invisibili ed i tamburi, improvvisamen-te tacciono. Di li a poco, decine di piroghe colme di indigeni acco-stano l'imbarcazione dei bianchi, li salutano e cominciano ad ac-compagnarli nel loro viaggio.I due universi antitetici si sono incontrati e compresi attraversol'incanto dell'arte e del suo eterno significato. La potenza della mu-sica ha vinto l'incompatibilità delle culture e l'estraneità dei lin-guaggi. Per la prima volta gli indios accolgono i bianchi, se pur sitratti di bianchi alquanto originali: dei folli ubriaconi, tra i pochirimasti capaci ancora di sognare, incompresi e strapazzati dai loroconsanguinei. Queste scorie della civiltà sono accolte da uomini cheancora, come nei tempi delle antiche mitologie, vivono la realtà inmisura poetica: possiedono un linguaggio colorito ed espressivo, ric-co di figure ed allegorie vivaci; vivono spontaneamente la danza ela musica; abitano la natura in quanto spazio quotidiano dei lorocorpi; credono che la realtà sia apparenza mentre la verità è rac-colta nei sogni. Anche loro come Fitz. La stessa credenza che anima

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l'arte: la verità profonda ed essenziale rimane sempre nascosta die-tro l'evidenza delle cose e la quotidianità degli uomini, ed è sempreopera faticosa e pesante portarla alla luce.

Chi sa sognare riesce a spostare le montagne

Fitzcarraldo, convinti i fedeli compagni della bontà del suo pro-getto, che prevede di trasportare la nave sul colle per raggiungerepoi le vergini piantagioni di caucciù, ottiene anche la collaborazionedegli indios. Con loro, attraverso un complesso meccanismo di ti-ranti ed argani, trascina il battello fuori dal fiume, su per il fiancodel monte.Il regista indugia a lungo sulla scena: la nave, tirata dalla forza de-gli uomini, sale la montagna, mentre il grammofono diffonde le no-te di una romanza Urica. Quell'immagine celebra tutta la forza del-l'arte, l'ardore dei suoi eroi, la potenza dell'ideale ed insieme espri-me il fascino del cinema ed il coraggio dello stesso Herzog: chi sasognare può realmente muovere le montagne.E pure, quando Fitzcarraldo pare ormai raggiungere il successo, lasituazione, improvvisamente, muta nuovamente.Allorché, valicata la collina, il battello è calato nelle acque del nuo-vo e pericoloso fiume, gli indios, di notte, tranciano gli ormeggi eIo abbandonano all'impeto delle correnti. Anche loro rimangono abordo, con i bianchi che riposano ignari, poiché vogliono vederecome andrà a finire. Il fatto è che gli indiani considerano Fitzcar-raldo come quel dio biancovestito che, secondo xin'antica leggendasacra, un giorno, su di una grande piroga, sarebbe venuto per con-durli in una terra meravigliosa.Ora i due mondi, quello degli indios e quello dei bianchi, sono nuo-vamente divisi e procedono secondo logiche distinte ed inconcilia-bili. Il loro incontro è durato qualche attimo, il breve periodo diuna « ouverture », ed è stato possibile per l'incanto profondo dellamusica. Sfumata la magia, gli uomini della foresta e gli uomini delprogresso non si comprendono più: la differenza realizza qui la suavendetta.La diversità sta proprio nel modo di concepire e di vivere la poesiae la sua verità. Per gli uomini dei computers quella verità è qual-cosa da cercare, perché lontana e quasi dimenticata. E' una dimen-sione irraggiungibile, che per essere intravista richiede sfoizo, sa-crificio e pazienza. Per i bianchi l'esperienza dell'artista è anelitoa ciò che è stato smarrito ed a cui alcuni non riescono a rinunciare.Per gli indios invece la poesia e la sua verità sono dimensioni quo-

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tidiane. Loro vivono con spontanea continuità quel sacro mistero,quella potenza tremenda ed affascinante, quella trascendenza inaf-ferrabile in cui l'esistenza umana trova il suo senso e che i signoricivilizzati riescono a percepire solo in momenti rari ed irripetibili.Gli indios l'avvertono presente naturalmente tra le cose, negli in-trichi mutevoli della foresta, nel passare ciclico del tempo; i bian-chi la rincorrono a fatica con la pittura, la musica, la scrittura edogni volta di nuovo la smarriscono.Per questo le due realtà non possono comprendersi. Gli indios, ac-colto quel signore presentatosi con suoni potenti e marchingegnisconosciuti, stupiti dal vigore delle sue decisioni e dall'ardire deisuoi progetti di cui non conoscono il fine, lo mettono alla prova:vogliono verificare se quel personaggio estraneo ai loro tradizionalimodelli di vita è ima divinità, capace perciò di dominare anche laviolenza del fiume. Fitzcarraldo cade vittima della sua stessa tra-volgente passione. Abituati ad una esistenza tranquilla e lineare, or-dinata da bisogni essenziali, priva di tensioni progressive verso ilfuturo e verso radicali mutamenti, di fronte a quella figura dina-mica e carismatica, sempre impaziente ed imperiosa, non possonoche pensare ad una presenza soprannaturale, venuta a compiereuna missione superiore che dovrà sconvolgere la tranquillità delloro mondo.Mentre il battello corre trascinato dalle rapide, sballottato da unaroccia all'altra, il sogno di Fitz pare irrimediabilmente fallire, cosìcome è stato per Gauguin nella sua capanna di Tahiti, e sembraquasi di udire le risate ironiche e sarcastiche dei borghesi di Ma-naus. Ma ecco avviarsi di nuovo il grammofono con la voce di Ca-ruso: « Moìly Aida » supera una vertiginosa cascata e si salva. Lamusica ripete la sua magia. Di nuovo la fiducia rocciosa nell'ideale ela capacità di sognare capovolgono la logica della realtà: le mon-tagne si spostano.

Tramandare ai bambini le verità dei sogni

Ritornato al mondo dei signori eleganti, Fitzcarraldo sa che nes-suno vorrà credere alla sua storia e tutti lo prenderanno per mat-to, poiché pochi ormai conoscono la potenza dei sogni. Il suo ten-tativo, fallito nello scopo di raccogliere il caucciù, pare oltretuttovano.Ma rivenduto il battello, con i soldi affìtta un'intera orchestra, icantanti ed un'essenziale scenografia, li dispone sulla nave, di cuiè padrone ancora per qualche giorno, ed avvia l'ultima tappa del

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viaggio. Percorre il fiume puntando su Manaus e le grandi città del-la costa, mentre attorno a luì salgono e si diffondono le note de« I puritani » di Bellini.Fitz, con un grosso avana in bocca, guarda la sua opera fiero e fe-lice e vede il suo sogno farsi, in un modo diverso dalle sue inten-zioni, realtà.Fitzcarraldo non è riuscito ad innalzare un teatro nella foresta, maneppure era necessario, perché là dove il profitto è sconosciuto,l'arte e la vita sono un tutt'uno e non servono templi in cui conser-vare e coltivare la bellezza con le sue verità. Più utile è custodirequella verità nel mondo progredito, ormai quasi incapace di sogna-re, tra coloro che consumandosi di benessere hanno inaridito i loroanimi e smarrito il senso universale e sfuggevole dell'esistenza.Qui va testimoniata la grandezza dell'idealità, quella grandezza cheha permesso a Fitzcarraldo di realizzare l'impossibile, di stravolge-re la logica ordinaria degli eventi, di superare la totale differenza epenetrare un universo totalmente altro dal nostro. La forza dellaverità va tramandata presso i bambini, perché forse solo loro or-mai, insieme ai pazzi, i poeti, gli ubriaconi ed i maiali la possonointendere, •

ROMERO, UNA MEMORIA SCOMODA CHE VOGLIONO CANCELLARE

« Per la visita del papa era già apparso un manifesto con Romero che davala mano a Wojtyla. Era la foto di una visita a Roma del vescovo ucciso. Igesuiti dell'Università Cenlroamerlcana ne avevano fatto stampare ventimilacopia. Quel manifesto è scomparso dai muri di San Salvador, Le signore delpartito di estrema destra "Arena" sono andate a protestare in Vescovado ealla Nunziatura apostolica. "Con tutto quello che ci è costato cancellare l'im-magine di quest'uomo", hanno datto "ora ce lo vediamo riapparire di nuovo".Il manifesto è stato ritirato».

(da: «La Repubblica B, 2 marzo 1993)

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studio

NASCITA E SVILUPPODEI MOVIMENTI NONVIOLENTIE ANTIMILITARISTI IN TRENTINO(1967-1977)

armando vadagninì

Dopo la preziosa testimonianza personale di don Marcelle Farina sullachiesa trentina del Concilio e del dopoconcilio (II Margine, 1982, n. 9),questi brevi appunti vorrebbero offrire altre considerazioni a propositodi quegli anni, per ricordare, in maniera specifica, i fermenti e le inizia-tive assunte allora da molti giovani sul terreno del pacifismo. Natural-mente non si tratterà di una ricostruzione " storica ", quanto invece dialcuni tasselli che forse in seguito potranno servire per completare i]mosaico di un periodo storico così vivace e ricco di stimoli, quale fuil dopoconcilio. Come ha giustamente ricordato anche l'amico Farina, neigiovani degli anni Sessanta la speranza e l'utopia erano alimentate daquei grandi personaggi della storia mondiale che furono Papa Giovanni,Martin Luther King, Leopold Shengor e, in una dimensione diversa, i fra-telli Kennedy e Nikita Kruscev. Ma pure in Italia avevamo buoni mae-stri, come don Lorenzo Milani, Aldo Capitini, Danilo Dolci, Giorgio LaPira, padre Ernesto Balducci. Erano gli anni del dialogo e della tolle-ranza, anche se la società civile appariva molto spesso spiritualmenteinfiacchita da un consumismo sempre più adiposo.

Pacifismo e nonviolenza

Per molti giovani di allora la scelta nonvìolenta era avvenuta fondamen-talmente sul piano religioso e ideale. Dalla lettura dì Gandhi o di don Mi-lani o di altri testi classici della nonviolenza, erano nati poi stimoli fe-condi per interessarsi anche alle esperienze concrete in questo senso,come ad esempio l'Università della pace di Padre Pire, i campi di la-voro dell'Abbé Pierre, la comunità ecumenica di Taizé o altri ancora.In sede locale ricordo che uno dei primi dibattiti pubblici (se non ad-dirittura il primo in assoluto) sui temi della nonviolenza e della pacepartì dai gruppi di Gioventù Studentesca (G.S.) sulle pagine di un quo-tidiano nella primavera-estate 1967.ì Era il periodo drammatico in cui

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la guerra del Vietnam stava rincrudendo, con il ricorso, sempre più atro-ce, alle bombe al napalm e ad altre micidiali armi batteriologiche e chi-miche. Per di più nel mese di giugno avevamo assistito, con sorpresa esbigottimento, alla fulminea guerra dei sei giorni tra arabi e israeliani(6-11 giugno); una guerra-lampo, che aveva scosso l'opinione pubblica, an-che locale, divisa da una parte tra chi manifestava ammirazione e soli-darietà per gli ebrei, capaci dì difendersi con i propri mezzi dalle ag-gressioni esterne, e chi, invece, dall'altra esprimeva fondati timori cheil ricorso alle armi in quel delicato settore potesse minacciare la pacemondiale. Buona parte di quel dibattito pubblico ruota appunto attornoal tema dell'eticità della guerra. Mentre parecchi interlocutori scrivonoche la guerra di Israele va considerata come un esempio di guerra didifesa e quindi può essere ritenuta legittima, i giovani di G.S. rispon-dono che la distinzione tra guerra giusta e guerra ingiusta era orinaisuperata dagli eventi storici, in quanto si aveva chiara coscienza cheuna eventuale guerra futura sarebbe stata non più di tipo convenzionale,ma nucleare e quindi totale, nel senso che avrebbe causato la distruzionedi tutta l'umanità. Era perlomeno ingenuo quindi parlare di « violenzada usare con moderazione e con fermezza », come scriveva un lettoredel giornale.Oltre a ciò, il dibattito lasciava intravedere in questi giovani pure unaconvinta cultura di pace, che trovava le sue radici soprattutto nell'inse-gnamento dei Padri della Chiesa primitiva, ma anche nei documenti re-centi del Magistero (Gaudium et Spes, Pacem in Terris, Populorurn Pro-gressio).Nonviolenza, tuttavia, non significava pacifismo inerte e acquiescente, maal contrario si poneva come una forma di contestazione del sistema fon-dato sulla violenza e sullo sfruttamento. Da qui le sincere riflessioni deigiovani (che trovano spazio anche nel loro periodico « Alternative ») sulrazzismo e l'ingiustizia sociale, con particolare riferimento all'AmericaLatina. A questo punto però il pacifismo nonviolento non rimaneva piùintegrale, ma diventava, per usare l'espressione di Capitini, di tipo po-litico, in quanto ammetteva ad esempio la guerra o la guerriglia control'America e il suo imperialismo, a cui, tra l'altro, le figure del « Che »Guevara e del prete- guerrigliero Camillo Torres davano un significatoesemplare.2L'attenzione ai paesi del Terzo Mondo si può dire che sia stata quasiuna costante nei gruppi giovanili cattolici di quegli anni. Oltre alla guer-riglia dell'America Latina, altri due episodi ebbero vasta risonanza in se-de locale; mi voglio riferire alla guerra del Sudan (gennaio 1968) e aquella, ancora più sanguinosa, del Biafra (giugno 1968). Dalla lettura deigiornali e dalle informazioni raccolte, ci si rendeva conto benissimo chequelle forme di guerra erano alimentate dai paesi europei, che le ap-poggiavano attraverso un massiccio invio di armi. Ben presto, anche insede locale, sì creò una vasta opinione pubblica, specialmente tra gli stu-denti, che organizzò manifestazioni e marce della pace, contro il neoca-pitalismo dei paesi europei nel Biafra, dove, come diceva un volantino,si stava svolgendo « la più degradante e meschina guerra civile di que-sto secolo ». Di quei mesi ricordo appunto i cortei per la città e i sit-in

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in piazza Dante, come pure l'adesione al « Natale per il Biafra », pro-mosso dalla Lega Missionaria Studentesca e dall'Unione pacifista.3Questo lungo dibattito sulla nonviolenza servì dunque in quei mesi arisvegliare le coscienze dì molti giovani, che volevano uscire dal grigioredel conformismo. Non più dunque, per dirla con Montale, giovani come« tuorli d'un solo uovo. Venere li conduce. Mercurio li divide, Martefarà il resto ». Al contrario il motto che distingueva quei giovani era dialtro tipo. Risaliva ai movimenti giovanili impegnati dell'America, chedon Milani aveva contribuito a far conoscere anche in Italia. Si diceva« I Care », che significava « me la prendo a cuore ». Era il contrariodunque del fascista « menefrego ».4

Naturalmente per qualcuno (e mi riferisco alla situazione generale), lautopia fu anche una forma di ubriacatura. Non dobbiamo negare questaverità. Quando poi all'alba i sogni morirono, in molti rimasero l'amarez-za e la tentazione delle scorciatoie rivoluzionarie che portarono, più tar-di, agli esiti noti a tutti noi.

Antimilitarismo

Ritornando a quei mesi, ricordo invece un altro dibattito che interessòl'ambiente trentino: quello sull'antimilitarismo. E' difficile stabilire qualifossero i confini tra nonviolenza - e antimilitarismo. Probabilmente nonesistevano nemmeno, poiché il nonviolento era portato quasi spontanea-mente alla scelta antimilitarista. E' certo comunque che i discorsi sul-l'antimilitarismo diventarono molto più frequenti ed espliciti soprattut-to dopo che molti di noi giovani erano stati coinvolti dall'esperienza delservizio militare.Personalmente la vita di caserma, con le sue stridenti assurdità, mi sirivelò come lo specchio in cui si riflettevano un po' tutti i mali dellasocietà italiana: il conformismo, la retorica, la violenza gratuita, il for-malismo ecc. Le vie di uscita da quella situazione erano dì due tipi:la prima, radicale e coerente, ma anche (lo confesso francamente) ri-schiosa e non alla portata di tutti, era quella dell'obiezione di coscienzae quindi del carcere; la seconda, molto meno impegnativa, anche se nonesente da pericoli, consisteva nell'impegno dentro le mura della caser-ma, in un lavoro, spesso infruttuoso, di sensibilizzazione alla nonviolenzafra i coetanei di leva. In questo senso potrei ricordare parecchi episodi,come i libri antimilitaristi che venivano fatti circolare tra i soldati, leinchieste sulla condizione del militare e altre iniziative organizzate infunzione contestativa.3

Questo lavoro di critica all'esercito venne proseguito anche dopo il ser-vizio militare. Ma anche a questo proposito occorre accennare ad alcunecircostanze storielle che favorirono la scelta antimilitarista. Intendo ri-cordare in primo luogo il terremoto del Belice (gennaio 1968), dove imilitari di leva si erano prodigati con encomiabile sacrificio per sal-vare il salvabile, pur essendo impreparati e male equipaggiati per quel

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lavoro. Ebbene proprio quell'episodio, tra l'altro, aveva dimostrato chel'esercito avrebbe potuto trasformarsi in una struttura efficiente dì in-tervento nelle calamità naturali. Si stava precisando insomma il discor-so sul servizio civile, visto come alternativa a quello militare; un servizioriservato in primo luogo agli obiettori di coscienza, dei quali, per laprima volta il Magistero della Chiesa, qualche mese prima, aveva solen-nemente riconosciuto l'importanza.6Vorrei aggiungere poi il fenomeno del terrorismo tirolese, che in queimesi (27 giugno 1967: quattro militari italiani uccisi) si accaniva controi giovani in divisa, rendendo ancora più delicato il discorso di chi con-testava la struttura dell'esercito, proprio per l'emozione suscitata nellaopinione pubblica locale da quei tragici episodi.Non si può infine dimenticare la lunga polemica (autunno 1967 - autun-no 1968} scoppiata in provincia attorno ai 1500 milioni « regalati => dalloStato al Trentino in occasione del cinquantesimo anniversario della vit-toria. Oltre allo spettacolo indecoroso dì chi rispolverava titoli di me-rito per avere il diritto a una fetta più grande della torta, allora fum-mo anche costretti a sorbirci fiumi di retorica, mentre la critica piùintelligente proponeva un uso « sociale » della considerevole somma. E'interessante notare però come nel mezzo di questo acceso e, a volte,scomposto, dibattito, siano affiorate anche delle posizioni che andavanooltre la meschina questione del gruzzoletto, per abbracciare problemi benpiù radicali, come ad esempio il mito della « vittoria armata », dei sacriconfini della patria, della guerra come « inutile strage », della funzionedei cappellani militari in una società di pace. Sono concetti apparsi inun documento di Alternative e condiviso da altri gruppi pacifisti di Bol-zanp (Die Brucke e Fratellì-Bruder), Nella chiesa eli san Francesco Sa-verio a Trento, proprio mentre nella vicina piazza del Duomo si stavasvolgendo la manifestazione celebrativa ufficiale del Cinquantenario (26maggio 1968), i gruppi di Alternative diffusero e commentarono il lorodocumento, durante quello che era ormai considerato il « controquare-simale autorizzato», suscitando consensi, ma anche qualche critica.7Qualche mese prima, nel gennaio 1968, mentre l'università era già oc-cupata, un gruppo di giovani (per lo più studenti, di diverso orientamen-to politico) costituì la Stanza 4 Anna Frank, con sede presso il centro« B. Clesio » di Trento. Il programma, come diceva uno stampato, eramolto esplicito: mettere radicalmente in discussione il cosiddetto serviziomilitare, « senza timori reverenziali o vili esitazioni, organizzando a talfine un centro di ricerca, documentazione e discussione sul significato,le ragioni, la realtà, l'utilità, i modi di attuazione e le alternative delservizio militare in Italia ».Tra polemiche piuttosto aspre con l'opinione pubblica e le gerarchle mi-litari, il gruppo continuò ad esistere fino al dicembre 1970. Ben prestoal suo interno vennero individuati altri obiettivi, in particolare la difesae la messa in esecuzione della legge Pedini, che istituiva per la primavolta in Italia, pur con molti limiti, il servizio civile. Certamente la leg-ge Pedini non poteva soddisfare; comunque dai giovani dell'Anna Frankessa era vista come una prima breccia nel sistema militare, un primopasso di un cammino da compiere.

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Altro settore in cui si operò fu quello dell'obiezione di coscienza, di cuivennero discussi i principali progetti di legge, prendendo nettamente po-sizione, ad esempio, in difesa degli obiettori condannati (molto scalporefece la condanna a sette mesi di Ezio Bellettato). A tutto questo poi sideve aggiungere il lavoro di sensibilizzazione nei paesi della provinciacon il recital delle Lettere dei condannati a morte della resistenza eu-ropea o con la presentazione pubblica e discussione di libri antimilita-risti (molto affollata quella sul libro di Robi Ronza // Pierino va soldato:21 febbraio 1969) o, infine, con la partecipazione a tavole rotonde e di-battiti sulla nonviolenza (ricordo quella al centro sociale di Cadine nel-l'autunno 1970).sUn altro gruppo di studio e di lavoro suH'antimih'tarismo era sorto nel-lo stesso periodo, o poco più tardi, all'interno della facoltà di Sociologia.Il punto di riferimento era dato dal prof. Franco Fornari, docente dipsicologia dinamica e noto autore di opere, in cui il fenomeno della guer-ra veniva analizzato dal punto di vista psicanalitico (il suo libro Psico-analisi della guerra in quel periodo era diventato un bestseller). Proprioseguendo il suo insegnamento, il gruppo arrivò a elaborare un lungo do-cumento che analizzava l'Istituzione militare nelle sue funzioni, mecca-nismi e simbologia antropomorfica. Un lavoro dunque di diagnosi, co-me indicava la Prefazione, ma che voleva essere altresì una prognosi,« ammesso che dopo aver capito subentri la volontà di agire ».9Da allora seguirono altre ricerche che generalmente si concludevano conla tesi di laurea. A questo proposito però si deve aggiungere che il con-tributo di Sociologia in questo settore non fu particolarmente importan-te. Delle centinaia e centinaia di tesi prodotte dalla facoltà, soltanto unaquindicina, infatti, si occupano delle forze armate italiane e, tra di esse,solo due affrontano il problema della guerra e della violenza dal puntodi vista psicologico e sociale. La maggior parte di quei lavori, infine, so-no compresi nel periodo che va dal 1969 al 1975. Tutto questo può di-mostrare che agli interessi iniziali era subentrato un certo raffreddamen-to, dovuto anche al fatto che nei pruni anni Settanta i discorsi e i pro-getti sulla nonviolenza avevano subito una notevole caduta di tensioneideale.Ormai stavano per iniziare i lunghi anni durante i quali le parole di-ventarono pietre o pallottole, mentre ognuno cercava il suo nascondiglioper sfuggire all'attimo violento della storia. Mancò insemina in moltigiovani la volontà di continuare a lottare « in prima persona », come siera detto tante volte prima di allora. Tramontato lo spontaneismo, ca-duto nel rituale l'assemblearismo, non rimase che trovare rifugio neipartiti o nei sindacati o, comunque, nei gruppi organizzati, da alloraconsiderati come un rifugio sicuro per una guerra manovrata, come unatrincea insomma, che logora, ma anche che protegge. Così avvenne pureper molti giovani che anni prima avevano partecipato ai gruppi nonvio-lenti e antimilitaristi: ognuno di loro fece una scelta politica « di strut-tura», nel senso che si appoggiò ai gruppi organizzati, magari portandoavanti lo stesso discorso pacifista o antimilitarista.

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Alle origini della L.O.C. regionale

Qualche gruppo spontaneo, a dire il vero, era pur sempre rimasto. Vor-rei ricordare ad esempio il Centro antimilitarista pacifista nonviolento,sorto a Rallo nel 1971, che si proponeva la divulgazione del pensierononviolento, ma soprattutto la contestazione del servizio militare e l'ap-poggio alla legge sull'obiezione di coscienza, allora in discussione in Par-lamento. Il Centro inoltre si offriva come sede di raccolta di documenti,che riguardavano il servizio militare, costituendo una fonte polemica, mareale di controinformazione.10

L'approvazione della legge n. 772, che riconosceva l'obiezione di coscienza(15 dicembre 1972) costituì, anche a livello locale, uno stimolo impor-tante di riaggregazione e dì riorganizzazione degli antimilitaristi e deipacifisti. Ormai l'obiettivo principale era quello di trasformare quellalegge da strumento, a dir poco, punitivo per chi faceva quella scelta,in un diritto acquisito per via democratica.Vi furono contatti frequenti tra un gruppetto locale e il Movimentononviolento di Perugia. Più di una volta venne a parlare a Trento Pie-tro Pinna (il primo obiettore italiano del dopoguerra), finché nel dicem-bre 1973 venne diffuso in tutta la regione un manifesto che invitava gliinteressati a una riunione « per stabilire un programma d'azione comune,con l'obiettivo di formare, a livello regionale, un gruppo del MOVIMEN-TO NONVIOLENTO ». Di lì a pochi mesi, nel febbraio 1974, in una riu-nione al « Focolare » di Gardolo venne costituita la L.O.C. provinciale(Lega degli obiettori di coscienza), che dichiarava di « accettare piena-mente lo statuto della L.O.C. e la Mozione finale del congresso del 4-5-6gennaio a Firenze ».n La L.O.C, nazionale e quella regionale, con il loroorgano di informazione Lotta antimilitarista (primo numero: marzo 1977)si posero ben presto come l'organismo più efficace nel condurre unabattaglia non solo per introdurre modifiche radicali alla legge, ma ancheper agganciare questo discorso a temi di più vasto respiro, quali laproduzione delle armi, le centrali nucleari, la difesa popolare nonvio-lenta, il servizio civile ecc.In una importante riunione della L.O.C. (18 dicembre 1976) nella sede diVilla s. Ignazio, si fece il punto della situazione a livello locale, ricor-dando che al corso di formazione partecipavano 18 obiettori, di cui 8della regione, mentre altri, che avevano inoltrato domanda, erano in at-tesa di iniziare il servizio. Nella stessa riunione si programmò inoltreun pubblico dibattito sul tema della giustizia militare e sì propose diinvitare lo scrittore Carlo Cassola a parlare del disarmo (il che avvenneeffettivamente nell'ottobre 1977). Altra iniziativa di pressione fu quelladel rinvio dei congedi militari, che ebbe luogo, sempre nell'autunno del1976, anche come protesta, stando a quanto precisava un documento,contro « la classe di potere che, mentre esige eccezionali tributi per sa-nare la sua crisi, propina ai lavoratori, per un piano di rinnovamentoe di potenziamento delle strutture militari e degli armamenti, uno stan-ziamento di 3365 miliardi ».I2

Nel breve volgere di un decennio si era dunque passati da un pacifismo

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ideale a un pacifismo combattivo, da un antimilitarismo, per così dire,riformista a quello di classe.A questo punto varrebbe la pena chiedersi se la L.O.C. e il servizio civilecontinuino anche oggi ad essere veramente l'alternativa democratica enonviolenta al servizio militare. Recenti testimonianze ed esperienze fa-rebbero pensare piuttosto a un sistema, più o meno comodo, di « evi-tare » il servizio militare.B Probabilmente non tutto quello che si vadicendo corrisponde al vero. Comunque anche su questo punto, prima opoi, si dovrà aprire una seria riflessione. •

NOTE

1 O. Turrini (e gli amici di G. S.), Non violenza e altro, « L'Adige », 13 giugno1967. Il dibattito continuò sulle pagine del quotidiano e di « Vita Trentina », conaltri interventi (da segnalare quello di Lidia Menapace, 15 giugno).2 Lettera di Aldo Capitini all'autore, 5 luglio 1967. Per le analisi dei giovani gies-sini, cfr. P. Pombeni, La collera dei poveri, «Alternative», npv. 1967, p. 11. Idiscorsi sul razzismo e la nonviolenza verranno ripresi anche nei numeri successivi.Cfr, O. Turrinì, Fermiamoci a pensare, « Alternative », gennaio 1968.3 Cfr. Documento della Lega Missionaria Studenti e dell'Unione Pacifista di Trento.15 dicembre 1969.4 Era il motto della scuola di Barbiana. Si veda don Milani, Obiezione di coscienza,Vicenza, La Locusta, 1965, p. 36.5 Possiedo ancora, piuttosto consunti, Alcuni dei libretti che ci passavamo tra amicinella caserma: G. Gozzini, Appunti sulla naja, A. Capitmi, Le tecniche della non-violenza, O. Gregorio, L'obiezione di coscienza, D. Dolci, Ai più giovani, L. Rosa-doni, La violenza dei disarmati, M. L. King, La forza di amare, T. Merton, Fede eviolenza, don L. Milani, L'obiezione di coscienza ecc.6 Molti di noi avevano accolto con profonda commozione le parole,di Paolo VIche nella Popalorum progressio (marzo 1967) aveva benedetto l'introduzione delservizio civile nei paesi in via di sviluppo in sostituzione di quello militare (cfr. n. 74).7 Celebrazioni del Cinquantenario, a cura dei gruppi dì Alternative, Trento 26maggio 1968. Si legga anche la cronaca in « Alto Adige », 27 maggio 1968.8 Tra i documenti della Stanza 4 Anna Frank, sono da ricordare il manifesto-pro-gramma del gruppo, i depliant sulla legge Pedini, un lungo documento a difesa diEnzo Bellettato e soprattutto un discreto dossier, con esperienze, documentazioni eriflessioni sul servizio militare, curato da Antonio Arman, Ida Cerri, Rosario Casettì,Giuseppe dell'Antonio, Renzo de Stefani, Sandro Ducati, Giovanni Dalpiaz, GiulianoRigoni, Armando Vadagnini, Paolo Weber.9 Analisi dell'Istituzione Militare in Italia, pp. 20, senza data e autori, autunno 1969.10 L'esercito uccide anche in tempo di pace, a cura del Centro Antimilitarista Pa-cifista Nonviolento, pp. 10, Rallo, 12 luglio 1973.11 II manifesto è dell'll dicembre 1973 (firmato da Michele Valentini e Leone Stic-cottì). L'avviso della fondazione della L.O.C, è dal 9 febbraio 1974 (firmato daFausto Tondelli, Michele Valentini e Gianni Marchìori).12 Verbale della seduta, 18 dicembre 1976, p. 3. Migliaia di miliardi rubati ai la-voratori. Sasta con le complicità: rinviamo i congedi. Documento, Trento, 18 ot-tobre 1976, p. 3.13 Sulla « degenerazione » qualitativa del servizio civile, si leggano le amare con-clusioni di una recente riunione della L.O.C, provinciale in « Vita Trentina », 20febbraio 1983, p. 5.

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fede

UNA MORALE «SOMMERSA»PER I GIOVANI DOPO IL CROLLODELLE IDEOLOGIE TOTALIZZANTI?

marcello farina

Sui muri di Trento centro tra le tante scritte che compaiono di tan-to in tanto ad incuriosire il frettoloso passante, ce n'era una qualchetempo fa che suonava così: « Basta con la vostra morale! ». La vagaprotesta era indirizzata alla morale corrente, cioè a quella imparata,proposta fin dagli anni dell'infanzia, almeno a parole, e poi stirac-chiata nella vita di ogni giorno da quella patina di cristianesimoche continuiamo a portarci dentro. Il desiderio dell'ignoto autoreera forse il passaggio niciano verso una nuova morale, al di là delbene e del male? Se non è possìbile una risposta per l'assenza del-l'interlocutore scrivano, è però vero che il tema morale e l'educa-zione che ne deriva rappresenta oggi uno dei luoghi di dibattito piùaperti all'interno delle comunità cristiane.In un bel convegno, organizzato a Roma ai primi di gennaio diquest'anno, dalla ormai collaudata esperienza salesiana, se ne è di-scusso animatamente, così da lusingare l'uditore a voler tentarneuna breve sìntesi, capace di movimentare un ulteriore dibattito.Quando l'adulto parla di morale, non può non suscitare la sospettosareazione dei giovani. Essi non si fidano più di lui; ha rovinato loroil mondo, non vogliono sentirlo insegnar loro come viverci dentro!Anche la famiglia, che pur ha ricuperato la dimensione affettiva neiconfronti dei giovani, non ha ritrovato la strada di proporre « valo-ri ». Eppure ci sembra che la « salute » morale sia abbastanza fra-gile, « sommersa » come l'economia.

Il frutto dì una società « eccentrica »

Per cercare di capirne qualcosa, non partiamo dalle ideologie, cheproducono moralità, ma dalle condizioni sociali, in cui i giovani vi-vono la loro vita etica.

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I giovani son il frutto di una società eccentrica, dice il sociologoFranco Garelli. Essi non confinano la loro vita all'interno di istitu-zioni fisse, ma la scandiscono tra più istituzioni di appartenenza.Da parte loro si riconosce come un fatto estremamente valido ilfare molte esperienze, il non legarsi a un modo univoco di condurrela propria vita. Ciò comporta anche il pericolo di andare incontro aprocessi dissociativi, in quanto si fa sempre più strada la coscienzache non si può far fronte a tutte le opportunità che la vita mettedavanti. Ne deriva un equilibrio precario, con un'identità giovanilea debole intensità, a corto respiro, a piccolo cabotaggio... Però difatto, anche se precario e contingente, anche se fragile e fioco, pursempre di equilibrio, pur sempre di stabilità si tratta.La tendenza di fondo della morale giovanile sembra essere quella diabbandonare gli ideali totalizzanti dei grandi sistemi culturali diriferimento, come il Cristianesimo o il Marxismo, per affidarsi a unaricerca di senso che non si stacchi dalla quotidianità.Ne deriva un atteggiamento morale dei giovani, che può essere cosìdescritto:

— la morale del relativismo, che è il riconoscimento che per la pro-pria realizzazione non è necessario tendere all'unitarietà dei com-portamenti, delle azioni, delle pratiche di vita;

— la morale della non-tensione, che è il rifiuto da parte dei giovanidi cercare prospettive non immediatamente riportabili ai pro-blemi della propria realizzazione personale;

— la morale come non-perfezione, cioè come estraneità alla conce-zione di un progressivo e graduale miglioramento in funzionedell'optimum. Particolarmente estranea ai giovani risulta in que-sto ambito la perfezione come metodo, cioè insieme di regole,condizioni, atteggiamenti, in base ai quali soltanto è possibile co-gliere la perfezione o tendere a essa.

Queste considerazioni ci permettono di affermare che l'indetermi-natezza, che sembra caratterizzare in generale la sfera morale gio-vanile, riguarda anche la morale che si produce in rapporto a unaconcezione religiosa. In questo settore sembra infatti che l'influenzadel cosmo sacro si attenui, e non tanto per i guasti della moralenegativa, della morale dei precetti, che era parte integrante di unateologia o di un modo di trasmissione dei contenuti religiosi domi-nanti in un periodo storico precedente al nostro, ma perché oggic'è estraneità del mondo culturale dei giovani dal mondo sacro, dalfondamento stesso di una morale religiosa.Da questo contesto nascono più domande che risposte: come è pos-sibile fare una proposta educativa morale, attenta a questa condi-

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zione giovanile? Quale funzione può avere l'azione educativa? Qualemorale, che non fugga in avanti verso una libertà utopica, ma siaad un tempo fedele ai giovani che vivono la loro esperienza fram-mentaria, e fedele ad un progetto che si fonda sull'identità dell'uo-mo fatto oggetto di salvezza?Ci rendiamo conto che il problema sollevato è enorme, e non pos-sediamo soluzioni prefabbricate. Anche il dibattito andrebbe lonta-no, senza magari approdare ad un minimo di concretezza.Ci sembra d'altra parte che vadano fatti alcuni rilievi, sulla scortadi quanto raccontava al convegno Riccardo Tonelli, esperto sul temadella morale giovanile.

Dire i « valori » in modo povero

Dal punto di vista degli educatori, degli adulti, è necessario anzitut-to riproporsi il problema di che cosa è un « valore » nella nostracultura e nella nostra storia; non bisogna dare per scontato questoobiettivo. Poi si tratta di riformulare la comunicazione educativa,in modo da superare definitivamente le fasi dell'autoritarismo o delpermissivismo. In questo ambito fa parte della comunicazione edu-cativa elencare ( — nominare con coraggio) i « valori », dirli in mo-do povero, anche se si sa bene che la realtà può essere diversa;si nominano cioè i valori, non per difendere princìpi, ma perché cisia più vita intorno all'uomo dì oggi. E fa parte della comunicazio-ne educativa una figura di educatore come luogo di accoglienza,prima che come giudice. Occorre infine far la fatica di inventarecontinuamente luoghi di identificazione affettiva.Ci sono valori sostanzialmente cristiani che circolano tra i giovani,diceva Luciano Tavazza nel dibattito conclusivo. Essi possono esserericonosciuti nella pace, nella solidarietà, nell'universalità. Il « con-tagio » sembra il miglior modo per arrivare ai giovani. La più pro-fonda immoralità, di cui possiamo diventare colpevoli è quella del-la delega, che significa talvolta mollare tutto e talvolta imporre tut-to. Ma c'è un'opportunità che merita di essere sfruttata per ripro-porre in termini comprensibili il discorso morale ai giovani: quelladi far morale a partire dal giornale, dal quotidiano. Lì sì incarnail discorso dell'ingiustizia, Ti trova spazio l'atteggiamento di chi do-na i suoi organi, perché altri abbiano salute. E in quella descrizione,incarnata di storia, della capacità dell'uomo di essere fedele o in-fedele, si potrà trovare lo spunto per rivedere, con i giovani, unaproposta di educazione morale. •

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mass media

LA TELEVISIONE:QUELLA GRANDE, COMODA,PERICOLOSA BABY-SITTER

rita biancheri

L'incidenza dei mass media, e soprattutto della televisione, sui processidi apprendimento e più in generale sulla costruzione di un nuovo tipodi cultura resta per lo studioso un tema fra i più spinosi da dover af-frontare. Questo si deve alla complessità dell'oggetto dì indagine. Infattiè molto difficile, se non impossibile, isolare le variabili intervenienti neivari processi e di conseguenza individuare gli effetti della televisionesiigli utenti poiché a determinare le varie reazioni del soggetto — l'even-to quantificabile — intervengono numerosissimi fattori concomitanti edi origine diversa. Gli approcci metodologici al problema provengono danumerosi ambiti di ricerca e gli -studi spesso richiedono interventi inter-disciplinari.Sul media televisione si parla molto e da sempre se ne è rilevata l'in-fluenza nefasta sui fruitori del piccolo schermo, ma spesso se ne sonoanche esaltate le potenzialità tutt'ora inespresse.Me Luhan, il famoso sociologo americano, divide i mass media in « mez-zi caldi » e « mezzi freddi ».I primi, come ad esempio il cinema, fornirebbero un messaggio esau-riente, completo cioè di ogni particolare offerto alla percezione. I se-condi invece darebbero una stimolazione non finita, per decifrare la qua-le sarebbe necessaria un'operazione di completamento del segno. PerMe Luhan questa è la caratteristica più importante della televisione.Infatti, il suo messaggio sarebbe soltanto suggerito all'utente che devequindi completarlo. Questo lavoro toglierebbe allo spettatore la possi-bilità di giudicare il contenuto, poiché la partecipazione dell'utente allaelaborazione del messaggio creerebbe la forma più congeniale all'assimi-lazione acritica del contenuto.Anche Me Quail sostiene che i mass media, essendo mezzi potenti eflessibili, esercitano un notevole controllo sociale in quanto « acquistanoinevitabilmente autorità e prestigio poiché controllano in qualche misurale fonti della verità... ».Infine, Cesareo parla della televisione come un mezzo « sprecato » per l'usolimitato che si è fatto finora del suo potenziale. Infatti, il piccolo schermoè stato usato « come mezzo di comunicazione a senso unico, dall'alto

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verso il basso, dal centro alla periferia, dall'emittente ai sìngoli utenti.I suoi impianti sono strutturati in modo da assolvere soprattutto que-sto compito. Ma troppo spesso ciò viene attribuito... alla natura del mez-zo... E qui sta il primo grave errore di ottica: si scambia per "natura-le" il modello "storico" che è stato plasmato già a partire da questolivello, dall'uso che ne ha fatto la classe dominante per piegarlo ai suoidisegni e alla sua logica».Ma rinviamo ad altra sede il dibattito sul possibile uso alternativo diquesto media così importante nel vissuto di ciascun membro della no-stra società e veniamo al nostro tema specifico: il rapporto tra i bam-bini e la Tv.

Il giocattolo più gettonato dai bambini

Abbiamo già messo in evidenza precedentemente le difficoltà metodo-logiche che si presentano quando si deve affrontare un simile argomento.In una ricerca condotta su bambini dai tre ai sei anni, si legge che l'etàprescolare è quella più adatta per compiere questo tipo di indagine inquanto nell'infanzia «il fenomeno televisivo pare presentarsi con un piùelevato grado di purezza, sia perché in essa i condizionamenti sociocul-turali risultano meno massicci e meno determinanti che nelle età suc-cessive, sia perché taluni aspetti, almeno nel mezzo televisivo come tale,vi trovano una corrispondenza particolarmente significativa».Le conclusioni di questo studio rilevano che da parte dei bambini inetà prescolare vi è un'altissima fruizione televisiva e che questi « guar-dano spesso tutti i tipi di programmi, anche quelli ufficialmente ed esclu-sivamente dedicati agli adulti... Dunque il video è risultato il giocattolopiù gettonato dai bambini».Queste prolungate esposizioni alla televisione, considerata troppo spessouna grande e comoda baby-sitter, incidono notevolmente sui processi diinculturazione e sull'intera struttura della personalità. Gli interrogativiche ci si presentano sono moltissimi ad esempio: quali sono le motiva-zioni reali di tale massiccia fruizione? In che modo incide la televisione?Quali sono i suoi effetti? Che uso possiamo farne? Qual è il modo perdifendersi?Da tale serie limitata di domande risulta chiaramente l'importanza distudiare questo settore per poter gettare iw po' di luce su questo campoconoscitivo così vasto e differenziato.E' con questo intento che il settore Verifica Programmi Trasmessi dellaRai e la cattedra di Sociologia delle Comunicazioni dì massa dell'Istitutodi Sociologia dell'Università di Pisa hanno realizzato una ricerca com-parata, su diversi livelli e per fasce di età, sulle « modalità di acquisi-zione » dei contenuti che emergono da una serie dì programmi televisiviprescelti.In questa sede ci occuperemo soprattutto dei risultati emersi dall'analisidei dati relativi al campione dei ragazzi perché le modalità di ascolto

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negli adulti sembrano dipendere da meccanismi diversi e quindi l'analisidi questi richiederebbe ulteriori approfondimenti.Infatti, vi è un modo diverso dì fruire il messaggio televisivo da partedei ragazzi e degli adulti. « 1 ragazzi si pongono di fronte alle trasmis-sioni secondo un'ottica particolare e soggettiva, più concentrata su " que-stioni di dettaglio ", come direbbe Enzesberger, ma non per questo me-no profonde e rivelatrici.Gli adulti riferiscono la loro impressione secondo una scala proporzio-nale e un'analisi più complessa, ma spesso meno ricca di personalità esoggettività ».

Un'impresa produttrice di beni simbolici

Va tenuto sempre presente che — come afferma Lamberti — « L'atten-zione al modo di funzionamento dell'apparato televisivo diventa il mo-mento centrale di ogni riflessione sulla televisione (sul prodotto, sui suoieffetti, sul pubblico e sul sociale, sulla sua organizzazione, sul suo de-centramento.,.) in quanto è ormai maturata la consapevolezza che la te-levisione va considerata come un'impresa produttiva, anche se di tipodel tutto particolare, in quanto produttrice di "beni simbolici"».A questo proposito vogliamo accennare alle interessanti considerazioniche Garnham fa in un suo articolo intitolato: « La cultura come mercé »sempre a proposito dell'apparato dei mass media. Per Garnham in unasocietà a capitalismo avanzato il rapporto tra l'economico e l'ideologicocambia perché l'universo culturale è sempre più regolato « dalla logicadella produzione complessiva di merci». Infatti una economia politicadelle comunicazioni di massa non deve più concentrare la sua attenzionesui mass media come apparati ideologici di Stato ma deve considerarliin primo luogo come entità economiche in quanto creatori di plusvalore.Il determinismo economico delle teorie marxiste offre spiegazioni ridut-tive del rapporto struttura/sovrastruttura e da questo « si deduce sem-plicemente che i mass media sono strumenti ideologici del dominio delleclassi al potere, le quali se ne servono attraverso la proprietà diretta, o,come nel caso della radiotelevisione, attraverso il controllo dello Stato ».Una simile posizione trascura sia gli specifici effetti della subordinazionedella produzione e della riproduzione culturale alla logica complessivadella produzione capitalistica di merci, sia la specificazione dei diversie mutevoli rapporti tra i livelli economico, ideologico e politico nell'am-bito dell'attuale, concreto momento storico. Infatti nell'epoca del capita-lismo monopolistico « la sovrastruttura si industrializza, è invasa dallastruttura e la distinzione tra struttura e sovrastruttura viene infranta,ma non già perché, come tendono a sostenere i post-althusseriani, lastruttura si trasforma in un nuovo discorso sovrastrutturale, quanto piut-tosto perché la sovrastruttura precipita nella struttura ».

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Ma la TV non va demonizzata

Spesso si tende a vedere nel piccolo schermo l'unica causa di alcuni ef-fetti negativi riscontrabili nel comportamento dei ragazzi cresciuti conla televisione, ma la letteratura specializzata ha messo in guardia controle facili generalizzazioni: è fuorviante « attribuire all'efficacia della tele-visione fenomeni quali l'individualismo, l'alienazione, che sono invece ilrisultato di una azione sociale complessa dovuta alla burocratizzazione,alla divisione del lavoro, alla impossibilità dì integrare fini individualie collettivi ».Fatte queste necessario premesse, passiamo a sintetizzare i risultati piùsignificativi emersi dall'indagine che abbiamo già ricordato riguardantile modalità di decodifica dei soggetti esaminati. Naturalmente non ci sa-rà nessun riferimento alle caratteristiche dell'oggetto consumato, in que-sto caso i programmi televisivi prescelti, poiché il fine dello studio èstato quello di evidenziare le modalità di "lettura" dei contenuti dellevarie trasmissioni esaminate. Inoltre è evidente « come da un'indaginedi questo tipo non siano neppure rilevabitì in profondità gli effetti cu-mulativi dei programmi, ovvero non si possa esplorare in quale misurae a quali livelli l'ascolto della TV incida sul complesso processo dì so-cializzazione dei ragazzi, né si possano ricavare indicazioni sul rapportodel mezzo televisivo con l'azione pedagogica svolta contemporaneamentea livello familiare e scolastico. Per indagare questi aspetti del rapportoragazzi-Tv, ovvero le modificazioni culturali e ideologiche che la Tv de-termina, sarebbe necessario condurre tuia ricerca diacronica di tipo" longitudinale " », mentre la ricerca in questione ha solo cercato di de-finire le modalità dì ricezione e di interpretazione del messaggio tele-visivo da parte di un definito settore del pubblico giovanile. « In terminipiù semplici: come viene dai ragazzi compreso o accettato (o rifiutato)il flusso dei valori, atteggiamenti e comportamenti dei quali la Tv quo-tidianamente li rende spettatori».

Le scene dì violenza: incitamento o catarsi?

Le correlazioni più significative che sono emerse riguardano le variabilisesso, età e genere televisivo.Si è riscontrato che la variabile sesso incide in grado assai più elevatodella variabile età nelle modalità di lettura di ciascun programma.Però « i più giovani, in cui è possibile ipotizzare forine di partecipazionepiù emotive e più legate alla spettacolarità o alla drammaticità dellescene, fanno dì preferenza riferimento alle fasi violente o movimentatedel filmato, mentre i più grandi si rivolgono alle fasi risolutive o conclu-sive. E' probabilmente questa la principale discriminante che emerge inrapporto all'età. Nei più piccoli prevale ima implicazione emotiva cheproduce la tendenza a ricordare le scene più cariche di suspence* e ainterpretarle talvolta indipendentemente dal contesto. Nei più grandi

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emerge e si consolida un approccio più "intellettuale", in conseguenzadel quale le impressioni lasciano più frequentemente il posto a riflessionie desideri».Il coinvolgimento emotivo spesso può portare alla distorsione della com-prensione globale della trama e ad una memorizzazione più precisa dellesequenze più cariche di valenze emotive. Le emozioni più forti sembra-no essere quelle derivate da una situazione negativa. L'item della vio-lenza (uno dei dieci temi che facevano parte del questionario; gli altrierano: amore, famiglia, competitivita, donna, lavoro, disuguaglianza so-ciale, tecnologia, droga e scuola) ha una presenza molto elevata (71,3%)soprattutto nei cartoni animati.Parlare qui del ruolo dei media nell'elaborazione degli stili di vita dellasocietà contemporanea e più specificamente del rapporto esistente tral'esposizione ad immagini televisive violente e il comportamento aggres-sivo non ci sembra opportuno data l'enorme mole di lavori svolti suquesto tema. Inoltre la mancanza di esperimenti « cruciali » e risolutivi,in quanto non è possibile separare le esperienze accumulate in passatodall'ultima (e cioè l'eventuale esposizione ad una scena di violenza), nonci permettono di esprimere giudizi definitivi.Cluzel, nel suo libro « TéléViolence », sostiene che è impossibile indivi-duare una correlazione tra la visione di scene di violenza e l'atto delin-quenziale. Tali spettacoli hanno un effetto "catartico" quindi tranquil-lizzante sugli adulti, però possono anche avere un effetto di incitazionesoprattutto per i giovani data la presenza in loro della componente imi-tativa dato che, come sostiene Tarde, la società è un insieme di indi-vidui che si imitano l'uno con l'altro.Ma ancora Morin, sempre a questo proposito sostiene: « per parte mia,credo che le due serie contradditorie di ipotesi siano ugualmente fon-date. Lo spettacolo della violenza incita, e al tempo stesso placa: incitaparzialmente l'adolescenza, in cui la proiezione e l'identificazione nonsi distribuiscono in modo razionale come negli adulti... ma nello stessotempo placa parzialmente i bisogni aggressivi dell'adolescenza».Un altro elemento che viene colto particolarmente dai ragazzi è il latocomico anche se ha una funzione marginale rispetto alla trama.Per quanto riguarda il genere dei programmi si è riscontrato che sonoì films e i telefilms a suscitare atteggiamenti e modelli interpretativi di-versi, mentre le altre trasmissioni (quiz, varietà, cartoni etc.) determi-nano un'acquisizione maggiormente conformista e passiva.

Il ruolo massificante dei programmi « leggeri »

« Sembra dunque che sia soprattutto nei programmi " leggeri " che sìrealizzi il ruolo massificante della televisione come fonte di informazio-ni che agisce su tutti in modo univoco proponendo ovunque lo stessomessaggio. Un tipo di partecipazione più "evasiva" non significa infattiche questo genere di programmi sia meno influente sul piano della for-

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inazione etica e intellettuale. E' anzi ipotizzabile che strutture narrativetroppo semplificate (e dunque fin troppo facilmente comprensibili) daun lato producano un'interiorizzazione più immediata ed incisiva, dal-l'altro portino i ragazzi ad adagiarsi sui livelli cognitivi già acquisiti enon costituiscano uno stimolo a sviluppare ulteriormente le proprie ca-pacità di comprensione ».Quindi possiamo dire che « una funzione decisiva è mantenuta nel com-plesso processo di socializzazione dei ragazzi dal quadro di riferimentoideologico globale (che sono altri "canali" — scuola e famiglia in pri-mo luogo — da delineare). Probabilmente la TV non ha possibilità dideterminare modelli normativi originali alternativi a quelli familiari escolastici, ma il mezzo televisivo è certamente in grado di fornire conte-nuti (informazioni e modelli culturali) altrimenti non trasmessi e capacidi allargare gli orizzonti conoscitivi e normativi dei ragazzi. Perché que-sto avvenga, l'ascolto non deve proporsi secondo moduli ripetitivi e stan-dardizzati che sollecitino una fruizione passiva e acritica. I programmidi evasione non solo producono un modello di ricezione superficiale,ma sollecitano schemi elementari e stereotipati. La potenzialità di ap-prendimento e di comprensione dei ragazzi sono probabilmente superioria quanto comunemente si crede e sono i programmi strutturalmente piùcomplessi a favorire la maturazione etica e intellettuale ».Per concludere ancora un accenno specifico al problema dell'incidenzadella televisione sulla struttura familiare. Donati sostiene che « tanto piùforte è la crisi interna della famiglia, tanto maggiore sarà il ruolo mo-dernizzante dei media sulla famiglia stessa». Anche nella ricerca dellaUniversità di Pisa è emerso che l'influenza dei rnass media varia secondola stratificazione socio-economica e le due variabili sono inversamenteproporzionali. Infatti l'interesse alla conversazione diminuisce negli am-bienti con scarsa cultura e con Cluzel possiamo dire che « la televisionerischia di essere l'oppio dei popoli perché è soprattutto ai bambini delpopolo che essa toglie i loro genitori ».Per finire vogliamo ricordare le conclusioni di un saggio di Schramm,Lyle e Parker pubblicato negli Stati Uniti nel 1961 ma ancora, per certiaspetti valido: « la televisione in sé non può essere considerata né utilené nociva per i bambini, dal momento che il tipo di fruizione dei mes-saggi emanati dal video è in diretta relazione con la personalità dei sog-getti e con le loro esperienze quotidiane. L'azione del mezzo televisivo èquindi rivolta a stimolare gli interessi dei ragazzi più che le loro attività,a rafforzare più che a modificare gli atteggiamenti verso il mondo ester-no». •

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TACCUINO CULTURALE TRENTINO

(a cura di MARIA TERESA PONTARA)

SCIENZE RELIGIOSE

— E' iniziato martedì 22 febbraio ore 18 un Corso biblico su MOSE', L'UOMO DELLAPASQUA, a cura del prof. d. Lorenzo Zani, docente di Sacra Scrittura presso ilSeminario Diocesano. Il Corso è organizzato dall'Istituto di Scienze Religiose di Trentoin collaborazione con il Centro B. Clesio (1*8-15-22 marzo ore 18)

e/o Centro B. Clasio - via Barbacovi 4 - Trento

— La sezione UCIIM di Trento propone una serie di incontri sul recente libro diRahner-Weger Problemi di fede della nuova generazione ( 7 marzo ora 17.30;11 aprile ore 18)

e/o Casa s. Paolo - via s. Giovanni Bosco 3 - Trento

— L'Eucaristia nel pensiero di Antonio Rosmlnl a cura del prof. Alfeo Valle dell'IstitutoRosminìano di Torino (3 marzo; 4 aprile, ore 18)

e/o Centro Clesio-Rosmlni - via Stoppanl 1 - Rovereto

18 marzo ore 20.30 11 Mistero della SIndone dopo II verdetto del 1978, a curadel dott. Gian Maria Zaccone dell'Istituto Internazionale diSindologia di Torino, organizzato dal Centro Bernardo Clesio

e/o Teatro Collegio Arcivescovile - via Endrici 23 - Trento

STORIA, FILOSOFIA, SCIENZE UMANE

10 marzo ore 18

11 marzo ora 18

LETTERATURA

11 marzo ore 11

II mistero nella vita e nella società: II mistero della fedeltàconiugale e familiare nella crisi de] valori e delle societàoccidentali, rei. prof. Gianfranco Morrà dell'Università diBologna

e/o Centro Clesio-Rosmini - via Stoppani 1 - Rovereto

idem a Trento

e/o Centro B. Clesio - via Barbacovi 4 - Trento

Clemente Rebora a 25 anni dalla morte, rei. prof. Gianfran-co Morrà, dell'Università di Bologna

e/o Centro A. De Gasperi - via Endrici 23 - Trento

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SCIENZA

— La sezione A.R.C.I. di Trento promuove una serie di incontri e iniziative su Galileo:scienza a comunicazione, massimi sistemi a confronto.

1S marzo ore 17

SCIENZE SOCIALI

25 marzo ore 18

ECONOMIA

L'Universo di Galileo e l'Universo di oggi, rei. prof. FrancoPacìnì, direttore dell'Osservatorio di Arcelrle/o Sala della Tromba - vìa Cavour - Trento

La natalità verso 11 2000 con interventi dal dott. Dlno Pe-drotti, prof. Renzo Gubert, prof. d. Vittorio Crlstelli e prof.Michele Zengae/o Centro A. Rosmìni - largo Carducci 24 - Trento

II neocostituito Centro Culturale « Alcide De GasperI » promuove un Breve corso diEconomia rivolto agii studenti degli ultimi due anni di Licei, Istituti Magistrali al.T.I. Il Corso si articola in 6 incontri e si propone di far conoscere la struttura eil funzionamento di un concreto sistema economico capitalistico, mettendone in luce1 mutamenti e 1 problemi che ne hanno caratterizzato lo sviluppo. Rei. prof. d. Tar-cisio Samuelli con la collaborazione del prof. Marla no Bampi (2-9-16-23-28 marzoore 14.30)e/o Centro A. De Gasperi - via Endrlcì 23 - Trento

TEATRO

14-15 marzo ore 21

6-7 aprile ore 21

ARTE

I due gemelli veneziani di Carlo Gol don i, regia di AugustoZucchle/o Teatro Sociale - via Oss Mazzurana 77 - Trento

Provaci ancora, 5am di Woody Allen, regia di Marco Ber-nardie/o Teatro Sociale - via Oss Mazzurana 17 - Trento

— Il Centro B. Clesio propone un itinerario Alla scoperta di Trento con diapositivesonorizzate a cura del dott. Gian Marla Rauzi (7 marzo, 21 marzo, 11 aprile, 18aprile, ore 20.30}

e/o Centro B. Clesio - via Barbacovi 4 - Trento

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L'aiutante. Santità, nessuno intende censurare i vostri pensierie sentimenti nell'atto della benedizione. Ma per il re, comeper l'esercito, è importante ch'essa abbia luogo. Essa saràsignificativa anche- per gli altri regnanti d'Europa.

Celestino V. Cercate di capirmi, vi prego. Perfino se in un mo-mento di debolezza io consentissi a impartire la benedizio-ne che mi chiedete, mi sarebbe poi tìsicamente impossibileeseguirla. Perché? Figlio mio, non dovrebbe essere difficileimmaginarlo. Il segno della benedizione cristiana è quellodella Croce. Voi sapete, vero, che cos'è la Croce? E le pa-role della benedizione sono: in nome del Padre, del Figlioe dello Spìrito Santo. Se ho ben inteso, voi mi avete sug-gerito di dare la benedizione ai soldati in procinto di par-tire per la guerra, pensando ad altro. Avete voluto scherza-re? Sarebbe un orribile sacrilegio. Col segno della Croce eÌ nomi della Trinità, si può benedire il pane, la minestra,l'olio, l'acqua, il vino, se volete anche gli strumenti da la-voro, l'aratro, la zappa del contadino, la pialla del falegna-me, e così di seguito; ma non le armi. Se avete un asso-luto bisogno di un rito propiziatorio, cercatevi qualcunoche lo faccia in nome di Satana. E' stato luì a inventarlele armi.

L'aiutante. Voi sapete che altri papi, prima di voi, hanno be-nedetto delle guerre.

Celestino V. Non sta a me di giudicarli. Io posso solo pregareIddio di avere misericordia di essi.

IGNAZIO SILONE, L'avventura di un priverò cristiano.