GUSTARE L'ITALIA 03 - LUGLIO/AGOSTO 2010
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SpecialePuglie
P e r i o d i c o d i c u l t u r a e n o g a s t r o n o m i c a e t u r i s m o A n n o 1 - N u m e r o 3 - L u g l i o - A g o s t o 2 0 1 0
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La tenuta Cà da Meo di Magda Pedriniè il risultato di un profondo amore peruna terra che, grazie alla sua particolareposizione, da origine a coltivazioni as-solutamente straordinarie nell’ambitodei vitigni che producono eccezionali Gavi docg.Da questa storia così carica di senti-menti umani e di lavoro nascono i vinidella Tenuta che arrivano ad arricchiredi stile e di gusto le nostre tavole.
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Gustare l’Italia3
due mesi fa è nata a Milano, edita dalla Press Video Edizioni, “Gustare l’Italia” una nuova rivista
di Enogastronomia e Turismo, due voci da sempre molto importanti per l’economia italiana ma
ancor più da quando il BIE (Bureau International des Exposition) ha deciso di nominare Milano
sede dell’Expo 2015 che avrà come tema “Nutrire il Pianeta – Energia per la vita” (Feeding Pla-
net - Energy for Life).
A partire da questo numero “Gustare l’Italia” sarà mensilmente abbinata a “Libero”, il prestigio-
so quotidiano diretto da Maurizio Belpietro; ed è questo un onore che ci riempie d’orgoglio per-
ché d’ora in poi avremo la certezza che la nostra rivista entrerà nelle case di migliaia di famiglie
alle quali stanno a cuore gli stessi valori e gli stessi obiettivi che ci hanno convinto a farla na-
scere.
A dirigere la rivista l’Editore ha voluto due personaggi molto più conosciuti per altre ragioni che
non per esperienze in campo turistico o gastronomico e vi spieghiamo perché:
Davide Rampello ha nel suo curriculum un passato di regista televisivo di suc-
cesso in Italia (Rai e Mediaset) in Francia (Le Cinq) e in Spagna (Telecinco). È sta-
to docente di Teoria e Promozione d’immagine all’Università di Padova e ha te-
nuto un corso di Arte di massa e uno di Eventi Culturali e Media allo Iulm.
Dal 2003 è alla Triennale di Milano che nei pochi anni della sua presidenza ha vi-
sto più che decuplicare i visitatori (da 40.000 ad oltre 500.000); ha creato una
nuova sede della Triennale alla Bovisa di Milano, ha inaugurato la Triennale di In-
cheon in Corea e tra poco quella di Shangai e di New York.
Cino Tortorella, che molti si ostinano ancora a chiamare Mago Zurlì, anche se da 35 anni non
indossa più i panni del personaggio reso famoso dalla televisione, è stato autore e regista di
numerose trasmissioni di successo fra le quali “Chissà chi lo sa?” che Walter Weltroni cita nel
suo libro “Le trasmissioni che hanno fatto l’Italia”, “Il Dirodorlando”, “La Busta-
rella”, “Bravo Bravissimo”, “Il Pomofiore” e “Lo Zecchino d’Oro”, l’unica trasmis-
sione al mondo che è stata dichiarata dall’Unesco “Patrimonio dell’Umanità per
una Cultura di Pace”.
Che c’entrano costoro con il Turismo e l’Enogastronomia? C’entrano.
Davide Rampello, oltre ad essere un raffinato artista ai fornelli (ma solo per gli
amici) è stato Direttore Editoriale della prestigiosa rivista “Grand Gourmet”, ha
diretto numerose trasmissioni televisive di cucina, ha realizzato alla Triennale
molte mostre di successo sul Food Design.
Cino Tortorella ha curato per 12 anni la rubrica “Il pranzo di Babette” su Grand Gourmet, ha di-
retto il mensile “Sapori d’ Italia”, ha firmato la regia di molte trasmissione di cucina su Rai, Italia
1 e Antenna 3. Fra poco uscirà un libro scritto con Willy Pasini: “I ristoranti galeotti” dedicato ai
gourmet innamorati.
Cari lettori
4Gustare l’Italia
Ecco perché hanno le carte in regola per dirigere un mensile come “Gustare l’Italia”, che si pro-
pone come un mezzo per far conoscere le meraviglie del nostro Paese, spesso ignorate o di-
menticate, e per diffondere e difendere l’alta Enogastronomia italiana, rafforzare la nostra iden-
tità aprendo contemporaneamente alle altre culture. Il nostro impegno sarà quello di
salvaguardare le tradizioni avendo uno sguardo attento alla realtà con interviste ai protagonisti
della scena italiana e internazionale e inchieste giornalistiche su tematiche di attualità.
Si pone dalla parte dei consumatori per aiutarli a districarsi tra le varie informazioni che li fra-
stornano, per consigliare ciò che vi è di meglio - che spesso non vuol dire ciò che è più costo-
so - per segnalare quel che serve a soddisfare la gola e lo spirito.
Si rivolge a chi ha capito l’importanza di un miglior rapporto con il cibo per difendere la salute
e la qualità della vita, a chi sa di appartenere ad un Paese che nel mondo è conosciuto non sol-
tanto per la sua Storia e i suoi capolavori d’Arte ma anche per la bellezza del suo territorio,
l’ospitalità, la fragranza dei cibi dovuti alla ricchezza dei suoi prodotti che la Natura regala con
generosità.
Insieme ai nostri Direttori abbiamo validi e preziosi collaboratori, ma siamo pronti ad accogliere
consigli e suggerimenti da chiunque desideri impegnarsi nell’attuazione del difficile compito che
ci siamo prefissi.
Vi invitiamo perciò a navigare sul sito www.gustarelitalia.it curato dalla Idini Consulting Group
dove troverete video e informazioni relative alla nostra rivista.
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6Gustare l’Italia
Som
mar
io lu
glio
- ago
sto 2
010 8 Come mettere un punto e a capo
10 Illuminiamo la Puglia
13 IN CUCINA
14 L’ORTO Insalate & Co.
17 Ciliegie - Fragole - Melone
20 La “madeleine” di Nichi
26 L’ARTIGIANO IN CUCINA A tavola con il galletto Le ceramiche di Grottaglie
31 IN TAVOLA
32 A TAVOLA CON LE STELLE La cena del leone
38 LE LUNE DI GUSTARE L’ITALIA Terranima
44 L’ARTIGIANO IN TAVOLA Tra pavoni e campanelle, le tovaglie di Alberobello
47 IN CANTINA
48 I SAPORI DEL VINO Corso di sommelier per ignari
50 D’Araprì
54 Il vino in pentola
59 IN GIRO PER... LA PUGLIA
60 IL GARGANO I caraibi delle api
64 Il territorio incantato delle Cento Masserie di Crispiano
68 I tesori della Valle d’Itria
74 Olio d’oliva, pozione magica per grandi e piccoli
78 Scorrano
80 Dal Salento arte luminosa per il mondo
82 La notte della Taranta
84 Colimena, la fabbrica del tonno
che “non si taglia con un grissino”
Gustare l’Italia7
120 Il carrello della spesa
122 Libri da mangiare
124 IL CIBO NEL CINEMA Il pranzo di Babette
126 Appuntamenti
88 LE ECCELLENZE DEL SALENTO I Giardini di Atena e gli antichi mosaici
92 Lo I.A.M. di Bari per una cultura di pace
97 SPECIALE - LA PASTA
98 STORIA DELLA PASTA La pasta: dono degli dèi
104 Come si cuoce la pasta
105 La pasta in poesia
106 Benagiano, la pasta di Garibaldi
109 Le ricette con la pasta
111 RUBRICHE
112 Peccato di gola?
114 I RISTORANTI EXPO La Puglia a Milano
118 Brindisi d’autore
128 QUIZ Sei un vero gourmet?
130 INDICE RICETTE
Direttore Responsabile: Dario Bordet - Direttore Editoriale: Cino Tortorella - Davide Rampello
Segretaria di redazione: Arabella Pezza
Responsabile Dipartimento Grafico: Daniele Colzani
Grafica e impaginazione: Daniele Colzani - Giovanni Di Gregorio
Responsabile Diffusione: Roberto Zanutto
Concessionaria pubblicità: Press Video Edizioni Pubblicità
Responsabile Trattamento Dati Personali: Paola Cattaneo
L’editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti e la possibilità di richiedere gratuitamente la ret-
tifica o cancellazione ai sensi dell’art. 7 del D. Lgs 196/2003 scrivendo al Responsabile del Trattamento Da-
ti Personali: Press Video Edizioni - Via Rosellini, 5 - 20124 Milano
Contatti: [email protected] - www.gustarelitalia.it - Tel. 02 89690647 - Fax 02 89690962
Hanno collaborato: Tonino Guerra - Alice Balestrini - Saverio Carlo Buttiglione - Ginevra Catamo - Marianna
Iodice - Cosimo Lacirignola - Felice Maratea - Angelo e Piero Solci - Guido Tortorella - Pietro Zito
Fotografi: Giovanni Amodio - Mirko Lo Russo - Debora Montoli - Gianni Renna - Francesco Sgobba
Stampa: La Grafica snc di E. Tasca (Ciserano) - Distribuzione: Cogi Express Milano
© Riproduzione (anche parziale) vietata
Periodico di enogastronomia e turismo - Anno 1 - Numero 3Luglio-Agosto 2010 - Testata registrata presso il Tribunale di Milano
Come mettereun punto e a capo
8Gustare l’Italia
di S
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arlo
But
tiglio
ne
Questo numero di “Gustare l’Italia” dedica-
to alla Puglia non può esimersi dall’intervista-
re Dario Stefano, Assessore alle Risorse Agro-
alimentari della regione e da poco chiamato a
presiedere i suoi colleghi Assessori regionali
alle Politiche agricole nell’ambito della Confe-
renza Stato - Regioni.
La sua
esperien-
za politica
è iniziata
pochi an-
ni fa, ma
da subito
si è rivela-
to come l’uomo giusto al posto giusto nel
comparto più strategico della regione; fino ad
allora il suo era stato un percorso di successo
nel mondo dell’imprenditoria iniziato quando,
dopo una Laurea in Economia, aveva dovuto
“emigrare” al Nord in cerca di lavoro che ebbe
la fortuna e il talento di trovare nel marketing
strategico di Industrie Pirelli.
Tornato da imprenditore nella sua terra, che
aveva sempre avuto nel cuore, intraprende
una carriera manageriale che lo vede alla gui-
da di alcune tra le principali aziende pugliesi;
per due mandati consecutivi viene nominato
Vice Presidente di Confindustria Lecce, oltre
che docente di Economia e Contabilità Indu-
striale all’Università del Salento.
La sua esperienza politica inizia quando gli
viene chiesto di candidarsi come indipenden-
te nella lista della Margherita alle regionali
2005 ed ottiene il maggior numero di voti di
tutta la coalizione.
Ha raccontato questa sua esperienza nel libro
che ha chiamato “Diario di bordo” intitolato
“Come mettere un punto e a capo”.
Perché questo titolo, gli chiediamo?
“Mettere punto e a capo” vuol dire non ac-
contentarsi mai degli obiettivi raggiunti e, più
in generale, seguire con determinazione il de-
siderio di affrontare nuove sfide con il massi-
mo impegno, pur nella consapevolezza del
dubbio e dell’errore, ma con la bussola sem-
pre orientata verso il cambiamento, verso un
progetto di crescita che dia le risposte più ef-
ficaci alle aspettative di sviluppo. L’Assesso-
rato alle Risorse agroalimentari credo sia un
ottimo banco di prova, da questo punto di vi-
sta. La sfida è quella di far tornare ad essere
l’agricoltura l’architrave del nostro sistema
economico e sociale, quella chiave di volta su
cui sono stati costruiti millenni di rapporti eco-
nomici, sociali e culturali. E’ una battaglia che
deve coinvolgere tutti gli attori del ciclo agro-
alimentare, affinché le nostre comunità si riap-
proprino di un modo “nuovo”, moderno, di
guardare all’agricoltura.
Stefano ha le idee chiare su cosa fare per
valorizzare i “prodotti di Puglia”.
Ho sempre creduto nella sinergia, nella condi-
visione, nella concertazione, come modelli
operativi utili alla crescita e al raggiungimento
degli obiettivi. Per questo, tra le prime iniziati-
ve che ho voluto intraprendere appena inse-
diato, nell’estate scorsa, quella del tavolo tec-
nico permanente con produttori e Grande
Distribuzione; è un progetto alimentato non da
Gustare l’Italia9
interessi contrapposti ma dal lavoro comune
che deve seguire due linee guida: l’afferma-
zione del Marchio Prodotti di Puglia quale ele-
mento qualificante per l’identità territoriale e la
tracciabilità dei prodotti, a
garanzia di produttori e
consumatori, e una organiz-
zazione che favorisca il con-
tenimento dei prezzi e la
conservazione del valore
aggiunto della filiera alimen-
tare. I nostri sforzi sono
orientati a rendere inequi-
vocabile il rapporto tra la
qualità, indiscussa, dei no-
stri prodotti, e la provenien-
za territoriale.
La chiave è la tracciabilità
delle filiera, che deve esse-
re rigorosamente pugliese;
saranno gli stessi consuma-
tori ad apprezzare la qualità
dei nostri prodotti che sono
alla base della dieta medi-
terranea, considerata dalla
comunità scientifica il mo-
do più salutare di nutrirsi;
faremo conoscere l’eccellenza dei nostri pro-
dotti partecipando alle più importanti manife-
stazioni del settore a livello nazionale ed inter-
nazionale, utilizzando il marchio “Prodotti di
Puglia”, che dovrà divenire garanzia di tipicità
e di filiera interamente pugliese. Ma anche at-
traverso percorsi di educazione alimentare, da
condividere con gli Assessorati della Salute e
della Scuola, Università e Ricerca e con la
stessa Direzione scolastica regionale, rivolti a
tutte le scuole, accompagnati dalla formazio-
ne degli insegnanti e da programmi di sensibi-
lizzazione nei confronti dei genitori, utilizzando
anche strumenti come le masserie didattiche
e gli orti botanici.
L’obbiettivo che l’Assessore Stefano si è po-
sto è perfettamente illustrato dalle parole con-
clusive del discorso che tenne la sera del 15
settembre 2006 a Li Hua Lu, Canton, inaugu-
rando la “Serata Pugliese” durante la missio-
ne italiana in Cina al seguito del presidente
Montezemolo: “…siamo un mosaico, dove le
tessere dell’Occidente si arricchiscono della
bellezza di quelle dell’Oriente. Siamo terra di
periferia. Una periferia che non vuole più stare
ai margini, che non intende più stare a guar-
dare.
Ma che, con passione ed impegno, dà corpo
ad una rinnovata volontà di trasformarsi nella
piattaforma di una Europa che finalmente ha
scelto di rituffarsi in quel Mediterraneo, da
sempre crocevia perfetto di donne e di uomi-
ni, di culture, di commerci e di pace, tra l’Oc-
cidente e l’Oriente”.
“Illuminiamo la Puglia”
10Gustare l’Italia
di T
oni
no G
uerr
a
Qualche tempo fa lo scrittore e giornalista
Salvatore Giannella, pugliese di Trinitapoli, in-
namorato della sua terra come tutti coloro
che per ragioni di lavoro hanno dovuto la-
sciarla, ha voluto far conoscere la Puglia al
suo grande amico Tonino Guerra.
Dal Gargano a Santa Maria di Leuca lo ha
condotto nei luoghi più magici e segreti,
spesso ignorati anche da chi in Puglia vi è na-
to. Il poeta di Sant’Arcangelo di Romagna ne
è rimasto incantato e ha scritto il testo che,
certi di far loro un dono prezioso, dedichiamo
a tutti gli amici pugliesi.
ILLUMINIAMO LA PUGLIA
“Illuminiamo la Puglia nel grande magazzino
del turismo del mondo perché questa terra,
dal Gargano al Tavoliere delle Murge al Salen-
to, non può dare soltanto mare, può dare an-
che favola, può dare musica, può dare silenzi,
può dare storia, può dare memoria a un turi-
sta in arrivo.
Illuminiamo la Puglia perché è la prima volta
che una regione diventa un unico, immenso
luogo di ritrovo di chi può pensare che anche
una parte di questo mondo è paradiso.
Gustare l’Italia11
Illuminiamo la Puglia sommersa: la Puglia del-
le case magiche e dei trulli; la Puglia dell’ac-
qua limpida e dei due mari; la Puglia dei pavi-
menti e dell’arte del mosaico come a Otranto;
la Puglia dei tesori barocchi restaurati; la Pu-
glia di Annibale; la Puglia degli incontri di
guerra e delle spade insanguinate; la Puglia
degli ulivi, con i più antichi patriarchi arborei;
la Puglia dei muretti che chiudono i respiri del
mondo di favola, la Puglia dei sapori forti di
erbe antiche, conditi da oli preziosi e accom-
pagnati da vini antichissimi; la Puglia che vola
perché l’aria è piena di sole.
Illuminiamo la Puglia delle masserie fortificate
e delle tenere controre; la Puglia dei dinosau-
ri che facevano lo struscio sulle Murge; la Pu-
glia dei castelli magici e della costa baciata
dal sale; la Puglia dei santi che salutavano i
crociati; la Puglia miracolosa che da San Ni-
cola a Padre Pio e all’Arcangelo Michele ha
accolto e accoglie la gente in sofferenza; la
Puglia delle antiche torri di pietra e delle grot-
te costiere; la Puglia delle cripte rupestri e dei
capolavori prigionieri sottoterra; la Puglia del-
le necropoli preistoriche con le tombe dei gi-
ganti e delle signore delle ambre; la Puglia
con le stele daune, i fumetti di 2.550 anni fa,
e i bagni di archeologia, la Puglia figlia di Dio-
mede, grande fondatore; la Puglia Imperiale
che stupì Federico II ‘meraviglia del mondo’,
da Castel del Monte all’universo degli uccelli
grandi che muovevano e muovono l’aria del
Tavoliere con le ali. Illuminiamo la Puglia di
sogno che c’era una volta e che c’è ancora.
A ricordarci che bisogna arrivare nei punti più
segreti e selvaggi dove si ha la sensazione di
trovare l’infanzia del mondo. E invece trovi te
stesso”.
In cucina
Gustare l’Italia11
© G
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na
Ecco alcuni dei più freschi prodotti del mese, tutti da scoprire, tutti da gustare
di A
lice
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LE INSALATE PARTICOLARIUn tempo l’insalata era, per definizione, il
contorno dei secondi piatti: si trattava gene-
ralmente di lattuga abbinata a pomodori.
Successivamente, invece, ha assunto una
sua dignità di vera e propria “portata” diven-
tando, a seconda delle esigenze, antipasto
(sull’esempio francese e in sintonia con l’ali-
mentazione naturista), secondo piatto vegeta-
riano o “insalatona”.
Il termine “insalata” deriva da sale, uno dei
condimenti principali per la sua preparazione.
Infatti, per insalata si intendono quelle prepa-
razioni di verdure singole o miste, crude o
cotte, condite proprio con sale, olio e aceto o
limone, o con salse più complesse (come l’in-
salata capricciosa con le verdure tagliate a ju-
lienne o l’insalata russa con verdure cotte e
Insalate & Co.
L’orto
di lu
glio
- ago
sto
maionese). L’insalata di verdura ha origini an-
tiche: soprattutto se comprende i legumi è
una preparazione base nella storia dell’ali-
mentazione.
Oggi la gamma delle varietà proposte si è am-
pliata così da comprendere qualità un tempo
ignorate, come la rucola, la ruchetta, i cre-
scioni, il tarassaco. Insieme danno vita a una
sorta di misticanza (insalata di erbe selvati-
che), dal sapore decisamente forte, talora leg-
germente piccante, da servire a dosi contenu-
te e opportunamente condite.
La vinaigrette classica è un ottimo condimen-
to, magari profumata con del dragoncello, an-
che se - ad esempio - il crescione si presta
bene a essere condito con senape di Digione
montata con olio e la rucola con dadi di for-
maggio tipo Emmental.
Gustare l’Italia15
Crescione (Nasturtium officinale)
Detto anche “crescione delle fontane”, nasce
spontaneamente in numerosi Paesi Europei,
fino a 2.500 metri di altitudine. Si narra che i
soldati dell’antica Grecia lo consumassero
per fortificare e irrobustire il fisico. Ha foglie
piccole e carnose, lucenti e tondeggianti, di
colore verde scuro, con la fogliolina terminale
più grande delle altre, cuoriforme.
Di consistenza carnosa, possiede un sapore
molto intenso, quasi tendente al piccante. Si
conserva per circa due giorni, in frigorifero,
nella parte più umida e temperata. Si abbina
bene con insalate d’arancia e di radicchio e si
utilizza in vellutate, zuppe e carpacci.
Rucola (Eruca sativa)
Si tratta di una pianta di origine mediterranea
diffusa in molte zone d’Europa. Ha steli dritti
con foglie ruvide formate da coppie di lobi la-
terali leggermente asimmetrici e da un lobo
terminale leggermente più grande. Di colore
verde vivo, ha un sapore moderatamente pic-
cante. Si conserva per breve tempo, non oltre
un giorno, in frigorifero nel cassetto delle ver-
dure. E’ possibile abbinare la rucola a pepe-
roni crudi rossi o gialli, pomodori affettati, lat-
tuga e insalata riccia.
Ruchetta (Diplotaxis muralis)
Cresce spontanea e, nonostante appartenga
a un genere diverso di quello dalla rucola, tal-
volta viene considerata come la sua versione
selvatica. Ingrediente della misticanza, alla
quale dona un particolare tocco aromatico,
possiede foglie lanceolate colore verde inten-
so e ha un sapore piccante, simile a quello del
crescione.
Tarassaco (Taraxacum officinale).
Il “Dente di leone” o “soffione” è una pianta
erbacea poco coltivata, diffusa in Europa nei
prati e nei campi dalle zone di pianura fino al-
la montagna. Ne esistono svariate varietà,
dalle foglie ovali più o meno strette a forma di
punta di lancia, con infiorescenze di color
giallo intenso.
Di gusto decisamente amarognolo, si consuma
crudo in primavera (prima della fioritura) e, suc-
cessivamente, cotto, bollito e condito con olio,
sale, aceto o limone o con salsa di Senape.
16Gustare l’Italia
IL RAVANELLOIl ravanello appartiene alla famiglia delle Cro-
cifere: si tratta di una pianta erbacea che pro-
viene dall’Asia e le prime tracce del ravanello
si hanno già nell’Egitto antico, quando i semi
venivano mescolati a un olio medicinale.
Plinio, nella sua “Storia Naturale”, lo menzio-
na all’interno del libro XV; viene poi citato co-
me “pianta che i monaci devono coltivare” in
un’ordinanza reale di Carlo Magno e, nell’an-
no mille, viene consigliato dalla religiosa tede-
sca Ildegarda Bingen.
Gioacchino Rossini li inserisce anche nel suo
brano “Antipasti”, che fa parte dell’opera
“Peccati e Vecchiaia”.
Un tempo, agli occhi dei contadini, i ravanelli
significavano l’inizio della primavera: ne esi-
stono varietà tutte bianche, tutte rosse o tutte
rosse e bianche.
Dal gusto appena piccante e dalla carne so-
da, sono da sempre adoperati in cucina e si
possono cucinare in diversi modi. Per i crudi-
sti più convinti sono ottimi gustati al naturale
o conditi con un filo di sale e olio extra-vergi-
ne d’oliva, dopo averli puliti sfregandoli con
un panno appena inumidito.
Oppure si possono cuocere in acqua, in olio
bollente o col burro. Le foglie, poi, sono ecce-
zionali per preparare il risotto, mentre gli
orientali li cucinano nel wok, la loro pentola
tradizionale.
Ricchi di ferro, vitamina C e vitamina B9 (con-
tenuta soprattutto nella radice), già i primi far-
macisti li adoperavano nelle loro preparazioni
mediche, grazie anche alle loro funzioni sti-
molanti, depurative e diuretiche.
Inoltre, spesso venivano utilizzati per ingentilire
piatti, tavole e bicchieri: oggi sono perfetti per
decorare i cocktail, si possono intagliare per
creare composizioni davvero sorprendenti.
Gustare l’Italia17
Ciliegie - Fragole - Melone LE CILIEGIE
Bigarreau, Nero, Anella, Ferrovia, Marca…
non si tratta di nomi in codice, bensì di quelli
- veri! - delle principali varietà di ciliegie.
Le ciliegie: uno dei frutti più amati dagli italia-
ni di ogni età e che nel mese di giugno diven-
ta grande protagonista sulla nostra tavola.
Forse non tutti sanno che le ciliegie sono ori-
ginarie dell’Estremo Oriente, dove sono
tutt’ora venerate in quanto considerate il sim-
bolo della grazia, della cortesia e della femmi-
nilità.
Da noi invece, per tutto il mese di giugno, dal
Veneto alla Sicilia è una festa continua: tutti
conoscono Vignola (in provincia di Modena) e
Marostica, cittadina del Vicentino, la cui cilie-
gia è l’unica ad aver ottenuto il riconoscimen-
to IGP della Comunità Europea, ma ci sono
anche centri poco noti dove il prodotto è col-
tivato al meglio. In ogni caso, le regioni leader
restano Emilia, Veneto, Campania e Puglia
(vedi le celeberrime ciliegie “Ferrovia”).
Varietà a parte, le ciliegie sono raggruppabili
in due grandi famiglie: quelle dolci, le classi-
che da tavola (che hanno dato vita anche a
numerosi ibridi) e quelle acide (le varie amare-
ne, marasche o vi-
sciole). Sul merca-
to, poi, si
stabiliscono altre
differenze in base
alla polpa del frutto
che può essere
rossa o nera, “te-
nerina” o “duraci-
na”, acidula o dol-
cissima.
Le ciliegie si con-
servano in frigorife-
ro, benché sia sem-
pre meglio
consumarle entro
pochi giorni, lavan-
dole sotto un getto
d’acqua corrente.
Possono inoltre es-
sere utilizzate in
svariati modi: messe sotto alcool o come ba-
se per confetture e marmellate; come ripieno
per i cioccolatini (i mitici boeri); compagne di
gelati (soprattutto come nel caso delle amare-
ne, meglio se sciroppate); distillate per dare
vita a tutta una serie di liquori particolari, forse
non popolarissimi, ma che vantano un note-
vole pubblico di bevitori esperti.
18Gustare l’Italia
Il liquore più noto è senz’altro il maraschino,
originario della Dalmazia e oggi prodotto - e
consumato - soprattutto in Veneto. Sempre in
Dalmazia, che un tempo era terra italiana, si
produce da sempre il cherry brandy, che si ot-
tiene dall’infusione, in piccole botti di rovere,
delle ciliegie marasche nel brandy. E come
non citare il kirsch, l’acquavite di origine tede-
sca?
Insomma, le ciliegie sono belle, buone e sane.
Eppure, ci vuole misura; tante fanno davvero
male, mentre una ventina al giorno sono be-
nefiche, in quanto hanno un effetto equilibra-
tore, grazie agli acidi e ai sali minerali in esse
contenuti. Sono inoltre ricche delle vitamine A
e C, nonché di sostanze come potassio, cal-
cio e ferro.
FRAGOLEE’ proprio adesso il momento delle prime fra-
gole italiane, un frutto presente in tantissime
varietà nate da incroci tra quelle già cono-
sciute all’epoca dei Romani e quelle arrivate
nei secoli seguenti dall’America del Nord e in
particolare dal Cile. Nel nostro Paese ne pro-
duciamo circa 125.000 tonnellate; le fragole
piacciono a tutti, grandi e piccini, perché so-
no dolci, ma non ingrassano, e fanno decisa-
mente bene all’organismo: otto fragole assi-
curano il pieno di vitamina C e contengono
inoltre acidi importanti, come il folico ed ella-
gico, e ancora fibre, potassio, ferro e calcio.
Hanno inoltre un alto valore dissetante e rin-
frescante (non a caso sono spesso adopera-
te per impacchi nutrienti e rassodanti per viso
e corpo).
In Italia non esiste una regione o una sola
area vocata alla fragola; oltre a crescere sel-
vatica nei boschi di tutto il Paese, la facilità di
coltivazione l’ha portata un pò dappertutto,
anche se esistono alcune località - vedi Ne-
mi, nella zona dei Castelli Romani - dove la
produzione è specializzata: gelatine, marmel-
late, budini, yogurt, caramelle, gelati e sor-
betti… senza dimenticare il risotto alle frago-
le! E lo champagne sulle fragole? Meglio un
Moscato d’Asti, da sempre ideale per i cibi
dolci, oppure un rosso vivace e fruttato come
il Lambrusco.
Da non dimenticare infine il “rapporto” parti-
colare con l’aceto balsamico tradizionale: un
must per i modenesi, un piacere per tutti…
18Gustare l’Italia
Gustare l’Italia19
MELONEIl melone italiano è molto rinomato e proprio
per la sua qualità non teme la concorrenza
degli altri Paesi europei (come Francia, Spa-
gna e Romania) e neppure quella dell’Asia
(per alcuni il continente d’origine, mentre altri
sostengono sia l’Africa), che in complesso
vanta il 60% della produzione mondiale.
Le varietà, nel nostro Paese, sono innumere-
voli ma si possono sostanzialmente radunare
in tre gruppi: il Cantalupo, con la buccia liscia,
divisa a spicchi e polpa giallo aranciata (pren-
de il nome dal castello nei pressi di Roma do-
ve alcuni missionari presentarono i meloni tro-
vati in Asia); il Retato, con la buccia ricoperta
da un intreccio di linee e polpa bianca o gial-
lo-verdiccia; l’Invernale, che ha la buccia liscia
e la polpa generalmente biancastra o rosata,
oltre alla possibilità di una lunga conservazio-
ne, preclusa agli altri due.
Da giugno in poi il melone, di qualsiasi varietà,
è protagonista in cucina; ottimo “in purezza”,
come nei dolci o abbinato al Porto, ma esal-
tante se consumato ad esempio con il pro-
sciutto crudo, anche se si sposa bene con al-
tri salumi, anche meno delicati, a merito del
suo caratteristico potere “sgrassante”. Anche
i nutrizionisti amano particolarmente il melo-
ne: è composto per il 94% da acqua, quindi
incide pochissimo sul bilancio energetico.
Contiene inoltre potassio, utilissimo per chi ha
la pressione alta, vitamina C e caroteni, che
sono i “precursori” della vitamina A e preziosi
antiossidanti.
Una curiosità: come capire se un melone è
davvero ok? Conviene percuoterlo con le
nocche, se non emette alcun suono è quasi
sicuramente buono. Un altro controllo consi-
ste nel premere i due estremi e verificare che
non sia troppo duro (ma neanche eccessiva-
mente tenero!).
La buccia deve essere intatta, priva di am-
maccature o macchie scure, e deve emanare
il tipico profumo intenso.
Per quanto riguarda il capitolo “conservazio-
ne” il frigorifero va senz’altro bene, a patto pe-
rò che la temperatura non scenda sotto i 5° e
non si vada oltre i 2 - 3 giorni di permanenza.
L’ultima regola è infine di separare sempre il
melone dal resto degli alimenti, in quanto il
suo forte aroma potrebbe “caratterizzare” i ci-
bi più vicini.
La “madeleine” di Nichi
20Gustare l’Italia
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Vi è mai capitato di gustare un
cibo che avevate dimenticato, un
sapore antico di cui avevate per-
duto la memoria e, nello stesso
istante in cui lo portate alla bocca,
ritrovarvi all’improvviso catapultato
indietro nel tempo, in un altro luo-
go, accanto a persone care che
forse non ci sono più?
E’ quello che si chiama effetto
“madeleine” perché il primo ad
averlo descritto è stato Marcel
Proust nel suo capolavoro “À la re-
cherce du temps perdu”; era una
fredda giornata d’inverno e la
mamma gli aveva preparato un tè
caldo che gli aveva servito con un
dolcetto chiamato “madeleine”,
“pienotto e corto come se avesse
avuto per stampo la valva di una
conchiglia”. Lui lo intinge nel tè e lo
mette in bocca sovrappensiero; e
nel momento stesso che il dolce
tocca il suo palato, si sente trasali-
re: “Un piacere delizioso mi aveva
invaso, isolato, senza sapere per-
ché. Da dove veniva? Che signifi-
cato aveva ?”.
A lungo si interroga sul motivo di quel suo sta-
to d’animo che gli ha fatto dimenticare il triste
momento che sta vivendo, ed ecco che final-
mente il ricordo gli si fa vivo:
“Quel sapore era quello della madeleine che la
domenica mattina a Conbray la zia Leonie mi
porgeva dopo averlo bagnato nel suo infuso di
tè”, il sapore di quel pasticcino “a forma di
conchiglietta di pasta così grassamente sen-
suale sotto la sua veste a pieghe severa e de-
vota” lo fa ritornare al tempo felice della giovi-
nezza e rivede i visi delle persone care e la
casa, e le vie, e gli alberi del paese lontano.
“E’ come in quel gioco in cui i Giapponesi si
divertono a immergere in una scodella piena
d’acqua pezzetti di carta fino ad allora indi-
stinti; ed ecco che appena immersi si disten-
dono e si colorano, diventano fiori, case, figu-
re umane, così ora tutti i fiori del nostro
giardino, e quelli del parco e la buona gente
del villaggio, le loro case, la chiesa e tutta
Gustare l’Italia21
Conbray prende forma e diventa vero, città e
giardini ricreati dalla mia tazza di tè”.
Per ognuno di noi c’è una “madeleine”, c’è il
profumo e il sapore di un cibo che ci riporta
indietro nel tempo, quello che vorremmo ritro-
vare in Paradiso quando, il più tardi possibile,
vi approderemo (e se no che Paradiso sareb-
be?).
Lo chiedo a Nichi Vendola che incontro all’ae-
roporto di Bari; è stato da poco eletto per la
seconda volta alla Presidenza della Regione
Puglia e sta tornando da un viaggio che lo ha
portato lontano dalla sua terra.
Mi lega a lui un rapporto di simpatia e stima
che non ha niente a che vedere con la politi-
ca; mi è capitato di ascoltare i suoi discorsi in
diverse occasioni e sono rimasto affascinato
dalla sua sensibilità, dal suo senso poetico
della vita.
E’ contento perché sta per riabbracciare la
madre che certo gli avrà cucinato il suo piatto
preferito. Gli chiedo di
descrivermelo per poter-
ne parlare nella mia rivi-
sta. Mi interrompe: “Co-
me posso raccontartelo?
Lo banalizzerei. Il solo
modo di capirlo è quello
di gustarlo. Ti invito a ce-
na per questa sera”. E mi
da l’indirizzo della casa
della mamma, a Terlizzi,
che è anche la casa della
sua giovinezza. E’ così
che mi sono trovato quel-
la sera nella casa che pa-
pà Vendola acquistò con
non pochi sacrifici una
quarantina di anni fa per
la famiglia che continua-
va a crescere. Il Presi-
dente tarda ad arrivare e
ne sono lieto perché ho l’occasione di chiac-
chierare con la Signora Antonetta, detta To-
nia, una mamma e nonna del Sud come è
sempre più difficile incontrarne; mi ricorda la
mia mamma, anche lei figlia del meridione,
che ha lasciato appena sposata per seguire il
marito che andava al Nord in cerca di lavoro.
Sta preparando la cena e mi riceve nella gran-
de cucina “da sempre - mi dice - il vero salot-
to della casa”. Due anni fa ha compiuto mille
mesi ma molte ragazzine avrebbero più di un
motivo per invidiarla; è luminosa e allegra;
quando ride ride anche tutta l’aria che la cir-
conda. Fra poco rivedrà il suo figlio Presiden-
te: “Purtroppo non lo vedo spesso ma non
passa giorno che non riceva una sua telefona-
ta”. Mi racconta la semplice storia della sua
vita: non ha avuto un’infanzia felice; a soli cin-
que anni ha perso la mamma ed è diventata
lei la donna di casa con il padre e tre fratelli.
Ha 16 anni quando Francesco Vendola, com-
22Gustare l’Italia
pagno di scuola del suo fratello mag-
giore, si innamora di lei; c’è di mezzo
una guerra che lui deve andare a com-
battere, ma al ritorno, ottenuto un mo-
desto impiego alle Poste, si celebrano
le nozze. Mette al mondo quattro figli:
Gianni, Enzo, Nicola - che chiamano
Nikita, come Krusciov - e poi Patrizia,
la tanto desiderata figlia femmina.
Non è facile crescere da sola quattro fi-
gli con un solo stipendio che entra in
casa, ma con amore e determinazione
riescono a farli arrivare fino alla laurea
(Gianni ed Enzo in Medicina, Nicola
-110 e lode - in Lettere e Filosofia).
Anche i figli, appena possono, danno il
loro contributo all’economia domestica
accettando, durante le vacanze, qua-
lunque lavoro anche se umile; Nichi a
16 anni sale a Cervo San Bartolomeo,
un paesino in provincia di Imperia, do-
ve viene assunto prima come camerie-
re e poi aiuto cuoco alla trattoria “Da Pasqua-
le” (è per questo che anche lui oggi è un
ottimo cuoco e spesso si diverte a inventare
piatti in gara con la mamma, che però vince
sempre).
Mentre mi racconta questa bella storia, la Si-
gnora Antonetta non perde di vista le varie
pentole che sono sul fuoco o nel forno; le
chiedo che cosa ha preparato per la cena di
stasera; mi risponde con una risata: “Nichi va
pazzo per i cavatelli con i ceci e le olive, ma
sono la sua passione anche gli spaghetti con
le polpette, senza però dimenticare che stra-
vede pure per la pasta al forno. Per non sba-
gliare li ho cucinati tutti e tre; poi a seguire c’è
il pollo con le patate; non quello che vi fanno
mangiare in città che non ha mai visto né
un’aia, né una gallina; è un pollo allevato solo
a grano come usava una volta… c’è poi il dol-
ce che piace tanto a Patti, e per finire…”.
Suonano alla porta: è il Presidente che arriva
accompagnato non dalla scorta, come pen-
savo, ma dalla sorella, da una cugina e da al-
tri amici di famiglia.
Prima di metterci a tavola mi vuole mostrare la
casa che è rimasta quella della sua giovinez-
za: stessi mobili, stesse suppellettili, stessi
quadri alle pareti; solo qualche nuova fotogra-
fia, come quella che lo ritrae mentre abbrac-
cia suo padre dopo la vittoria elettorale del
Gustare l’Italia23
2005. Quando me lo indica: “Ogni mio gesto
politico, ogni mia azione nasce dall’impegno
di essere degno di lui”, dice. E gli occhi gli luc-
cicano.
“A tavola!” arriva perentorio l’invito di Donna
Tonia. Ed eccoci ubbidienti intorno alla mensa
che io credevo apparecchiata da Patrizia, co-
me certo avrebbe dovuto fare, lei unica figlia
femmina; mi dice invece che, proprio perché
è la più piccola, i suoi fratelli l’hanno sempre
coccolata facendo loro tutti i lavori di casa.
E’ pronto un pane che vedo per la prima volta:
ha un colore luminoso che viene dato forse,
mi dicono, da una spruzzata di albume.
Nichi assicura che lo fanno solo a Terlizzi ed è
molto difficile procurarselo se non prenotan-
dolo con molto anticipo; per misteriose ragio-
ni si chiama “Pane di Cristo EcceHomo” (in
dialetto “lu pani di Crist ecc omm”) e sarà per-
fetto per accompagnare la cena che sta per
cominciare.
Come perfetto sarà il vino che berremo; ci
sono sulla madia bottiglie di famosi produtto-
ri, etichette molto importanti di tutta la Puglia,
ma quello che Donna Tonia fa magicamente
apparire è senza etichetta, color oro antico
come antico e avvolgente è il suo sapore.
Glielo procura da anni un contadino che lo fa
come lo faceva il nonno e il nonno di suo
nonno.
Ci sediamo intorno alla tavola rotonda dove
tutti dovrebbero essere uguali; eppure c’è
24Gustare l’Italia
qualcuno a capotavola: è Donna Tonia, i suoi
occhi scintillano di gioia perché ha accanto a
sé il figlio che troppo spesso la politica le por-
ta via. Per tutta la cena però la politica resta
fuori dalla porta; c’è solo allegria e serenità;
c’è una famiglia unita e solidale che, dopo la
scomparsa del padre, ha un’unica guida,
quella della mamma,
“Il segreto di tutti i segreti - come dice Nichi -
da sempre la vera capofamiglia, quella che in
Romagna chiamano la “Rezdora”, la reggitri-
ce, quella che con il solo stipendio di
un modesto impiegato alle Poste ha
cresciuto quattro figli e li ha fatti arriva-
re alla Laurea”.
C’è, in quella cena, un’atmosfera d’altri
tempi e i cibi che si succedono, quei
profumi, quei sapori contribuiscono a
ricrearla; sono i sapori forti e netti che
mi proiettano indietro nel tempo quan-
do, bambino in vacanza dai nonni a
Maratea, zia Ida mi preparava la cola-
zione con le trecce di mozzarella e la
ricotta ancora calda appena portata
dai contadini di Trecchina…
Ero venuto per conoscere la madeleine
del Presidente Vendola e, grazie all’at-
mosfera creata da Donna Tonia, ho ri-
trovato me stesso. Quando me ne vado saluto
tutti come fossero di famiglia, rivisti dopo anni
di lontananza. E’ notte fonda; la strada è si-
lenziosa, nessun suono turba la serenità e la
pace che ho dentro di me.
Salgo in macchina. Giro la chiave dell’accen-
sione e parto: cento metri, duecento metri…
mi blocca un semaforo rosso e, subito dopo,
sento il clacson di una macchina che mi ordi-
na di ripartire… sono tornato nel ventunesimo
secolo.
Gustare l’Italia25
CAVATELLI E CECIMettere a bagno i ceci con un po’ di bi-
carbonato x circa 12 ore. Portare ac-
qua ad ebollizione e buttare ceci con
aglio vestito e foglie d’alloro.
Quando arrivati a cottura aggiungere
olio d’oliva
PASTA AL FORNOIngredienti : salsa fatta in casa e mozzarella.
Dare un primo bollo alla pasta e riempire la teglia con strati di pasta , parmigiano o pecorino romano
e mozzarella. Concludere con parata di pomodori aperti a metà e conditi con pan grattato, formaggio
origano sale pepe e olio d’oliva. Fare dorare
POLPETTEUtilizzare carne macinata almeno per
3 volte.
Impastare con formaggio uova e latte
sale pepe e un po’ di pan grattato.
Modellare le polpette e aggiungere
salsa fresca con basilico
Nello scrivere le ricette Donna Tonia non ha la precisione di Gianfranco Vissani o di Gualtiero
Marchesi (anche se i risultati sono a volte superiori); però una buona massaia capirà senz’altro
e se avrà a disposizione le materie prime pugliesi D.O.C., potrà sperare di realizzare piatti che
si avvicinano a quelli della mamma del Presidente.
A tavola con il galletto.Le ceramiche di Grottaglie
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Petto in fuori, pronto a lanciare nell’aria
fresca del mattino il suo canto, il gallo se ne
sta nell’aia sovrano. È questo galletto trionfo
che appare, pennellata dopo pennellata, piu-
me gialle e coda azzurra, sulle ceramiche di
Grottaglie.
L’artigianato locale di questa città tarantina, e
in particolare le ceramiche ad uso quotidiano,
con il disegno tipico del bel galletto e i fiorel-
lini blu, sono diventate nel tempo diffuse in
ogni manufatto pugliese, diventando simbolo
di questa terra.
La ceramica qui è diffusa da tempo immemo-
rabile, data l’abbondanza di materia prima.
Vasi, piatti, coppe, creste, capasoni per olio e
vino: la cucina si imbandiva e si imbandisce
ancor oggi di una varietà di colori che, pas-
sando dalla tradizione del bianco e del blu
(per i servizi da tavola) e dell’ocra e verde (per
capasoni e creste), si è sempre arricchita
dell’estro degli artigiani.
Ognuno con la propria fantasia ha creato
pezzi unici e bellissimi, fino a che, da arte po-
vera, la ceramica di Grottaglie s’è evoluta nel
‘700 ad arte raffinata, con vasellami e piatti
decorati da esposizione o per banchetti nobi-
liari.
Piatti di ieri e di oggiGuardare la ceramica fresca, col suo colore
grigio scuro e la sua malleabilità è uno spet-
tacolo. Si forgia, con la rotazione del tornio, e
Gustare l’Italia27
prende qualsiasi forma. Tanto maggiore è la
grandezza del pezzo da fare, tanto sarà più
potente la forza del tornio, ma lento il suo gi-
ro. In fin dei conti quest’arte, che porta sulla
nostra tavola funzionalità e decoro, è rimasta
pressoché sempre uguale nell’essenza fin
dalle origini.Grottaglie conserva ancora le te-
stimonianze del suo artigianato figulino; alcu-
ne sono nel ventre della terra, in attesa di es-
sere scoperte, altre sono in bella mostra nel
Museo delle Ceramiche, sito nel Castello Epi-
scopale. È proprio qui che si possono ammi-
rare i piatti e le coppe dove mangiavano i no-
stri ”avi”, i vasi, le olle e le patere delle
popolazioni messappiche e magnogreche.
Il piatto realeQualche nonna di Grottaglie forse ricorda an-
cora il piatto reale, quello grande che si po-
neva al centro della tavola per tutta la fami-
glia, che conteneva fave, verdure, pane duro
e pomodoro.
Era il piatto più importante nel servizio, il più
decorato, tanto che divenne ben presto sim-
bolo nuziale nei banchetti degli sposi. Veniva
posto colmo al tavolo degli sposi di fronte
all’uomo. Alla fine del pranzo, una volta svuo-
tato, appariva la decorazione sul fondo: se
c’erano degli uccellini l’augurio era di avere
una figlia femmina, se il gallo di avere un ma-
schio.
Nel servizio di ceramiche di una famiglia non
mancava mai il salsiere per le olive, il piatted-
du (fondo o piano) o il minzanu per porzioni
più abbondanti. Il gallo ruspante, simbolo di
fertilità, colora le tavole; le povere e contadi-
ne d’allora, le ricche d’ora…
Ma il suo cipiglio di sovrano dell’aia ieri come
oggi c’incanta e ci augura abbondanza e vita
lunga.
Dietro le quinte di un piatto Passeggiando per la via delle ceramiche so-
no entrata in una bottega tra le molte, non sa-
pendo che m’ero imbattuta in uno dei mag-
giori artigiani della città, proveniente da una
famiglia che qui conta molti parenti che fanno
lo stesso mestiere, ereditato da nonni e bi-
snonni.
Parlo della famiglia Fasano, e in particolare
della azienda artigiana Gaetano Fasano. Mi
hanno portato nel cuore della loro attività, do-
ve nascono quelle meraviglie che poi sono
esposte nella bottega lungo la famosa via
succitata. Nel capannone è un trionfo di vasi,
capasoni, grandi, piccoli, medi. Un trionfo di
color grigio.
Sulla terrazza ad asciugare al sole stanno al-
cuni otri, dentro troneggiano enormi vasi de-
corati insieme a piccolissime acquasantiere,
ninnoli, “coccarelli” (oggettini da regalo).
In un’altra stanza un artigiano ha finito il lavo-
ro del tornio e sta unendo con apparente
semplicità i manici a degli otri.
28Gustare l’Italia
“In verità questi capasoni e questi vasi, tipici
della tradizione, in cui si conservavano olio,
vino, olive, hanno perso la loro originale fun-
zione - mi spiega il Sig.Fasano - sono ogget-
ti d’arredamento, molto richiesti all’estero”.
Qui, in quest’azienda si produce tutto, dal
semplice piatto all’artigianato più creativo.
Tutto fatto come una volta. Cosa c’è dietro il
piatto che mettiamo a tavola lo scopro grazie
alle spiegazioni che mi vengono date in
azienda.
Viene preparata la materia prima, posta sul
tornio per farne la forma. L’oggetto ottenuto
è poi lasciato asciugare. Solo dopo viene in-
fornato. Alla fine c’è il figulinaio preposto alla
decorazione. Al suo fianco tanti vasetti colo-
rati e pennelli. Con pazienza, seduto alla sua
sedia, tratto dopo tratto, decora piatti e altri
oggetti con fiorellini, greche, galletti e altro
ancora.
Il Sig. Fasano mi svela poi il suo orgoglio per-
sonale, scendendo nella cantina, ricavata in
una delle grotte di questo paese ricco di an-
fratti calcarei (da cui il nome di grottaglie). Si
svela davanti ai miei occhi un posto magico:
ogni parete è piena di capasoni in fila enormi,
titanici.
“Cerchiamo di farne sempre più grandi. Da
record. Alti metri e metri. Non è facile perché
per creare ogni pezzo del capasone occorre
una manualità unica”. Risalendo ho anche
l’onore di vedere il tornio per il prossimo ca-
pasone da record. Il tornio è interrato, per
consentire al capasone di crescere netri e
metri. Nei pochi metri quadri della stanza del
tornio, sulle pareti, ci sono delle piccole im-
palcature: “saliamo sulle impalcature man
mano che il capasone cresce in altezza”. Un
lavoro da funamboli prima ancora che da fi-
gulianai, penso.
C’è davvero un mondo dietro ogni piatto di
coccio, ogni tazza, ogni otre, ogni vaso.
Un’arte antica tramandata di padre in figlio
che si ricollega all’artigianato di tutto il mon-
do, fin dalla storia dell’uomo.. .. E che qui, a
Grottaglie, diventa vera passione.
In tavola
Gustare l’Italia31
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La cena del leone
32Gustare l’Italia
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E’ il quinto segno dello Zodiaco ed è gover-
nato dal Sole; il suo simbolo astrologico è rap-
presentato dalla testa del Leone ornata dalla
folta criniera. Suo elemento è il Fuoco; il suo
colore è giallo-oro; giorno favorevole la dome-
nica; il diamante è la pietra porta-fortuna.
Sotto questo segno hanno avuto i natali
scienziati come Denis Papin, Alexander Fle-
ming; poeti e scrittori come Alexander Du-
mas, G.B. Shaw, Salvatore Quasimodo, Percy
B. Shelley; attori come Dustin Hoffman, Ro-
bert Redford, Giorgio Albertazzi; registi come
Giorgio Strehler, Stanley Kubrick, Alfred
Hitchcock; cantanti come Mick Jagger, Louis
Questo numero di “Gustare l’Italia” lo dedichiamo ai nati sotto il segno del leone, che inizierà
tra pochi giorni
Armstrong, Bruno Lauzi; campioni sportivi co-
me Gianni Rivera, Filippo Inzaghi, Federica
Pellegrini; personaggi politici come Napoleo-
ne, Cavour, Fidel Castro.
Come l’animale che lo rappresenta i nati sotto
questo segno sono molto sicuri di sé; sono
simpatici, fantasiosi, imprevedibili; le loro doti
più evidenti sono la generosità e un senso
quasi religioso dell’amicizia; è difficile che un
amico riceva un rifiuto se bussa alla loro porta
in cerca di aiuto.
Un’altra loro caratteristica è la curiosità che li
porta di continuo a ricercare nuove esperien-
ze e a desiderare di vivere nuove emozioni. E’
Gustare l’Italia33
per questo che sono leali nell’amicizia, ma
spesso incostanti in amore. A tavola però
questa loro ricerca di novità si acquieta; sono
contro il fast food e contro le innovazioni
spesso cervellotiche di una certa cucina, so-
no per la tradizione e la fedeltà agli antichi sa-
pori, a meno che non siano rivisitati con fan-
tasia.
I loro ristoranti ideali sono “L’Albereta” di Er-
busco, il “Caino” di Montemerano, “Il Pesca-
tore” di Canneto sull’Oglio, la tenuta “Le Mo-
nacelle” di Selva di Fasano; di quest’ultima è
proprietario Giorgio Consonni, originario di
Cantù, che - dopo un’esperienza di mobiliere
a Napoli durata trent’anni - si è trovato quasi
per caso ad acquistare un complesso di trulli
appartenuto nel XVII secolo ad una comunità
di monache benedettine, ormai sull’orlo del
disfacimento e nel giro di due anni l’ha tra-
sformato in uno dei più prestigiosi resort di Pi-
glia che ha chiamato “Le Monacelle” così co-
me i contadini chiamavano le suorine
dell’antico convento.
Anch’egli è nato sotto il segno del leone ed è
a lui che chiediamo di inventa-
re la cena ideale per i suoi
compagni di zodiaco.
Quando gli parliamo del no-
stro progetto se ne di-
chiara entusiasta,
chiama a raccolta sua
moglie, la Signora Cle-
lia, napoletana verace, i
figli Aldo e Massimiliano e Pier Luca Ar-
dito, giovane chef; e tutti insieme deci-
dono il menu che sarà composto da cibi
realizzati solo ed esclusivamente con prodotti
pugliesi.
La cena avrà luogo sul grande terrazzo che si
affaccia sul ciliegeto e sarà per tutti un’emo-
zione indimenticabile perché il luogo è di una
bellezza sconvolgente.
Non resta che invitare i più importanti vip, tut-
ti rigorosamente del leone, mentre Pier Luca e
la sua equipe si sono già messi al lavoro.
Naturalmente nessuno degli invitati rifiuta di
partecipare a questo eccezionale avvenimen-
to e a poco a poco eccoli che arrivano: i primi
sono Massimo Boldi (23
luglio) e Teo Mammucari
(12 agosto) che stanno
discutendo sul prossimo
film di Natale che inter-
preteranno insieme; se-
gue Gerry Scotti (7 ago-
sto) che dà galantemente
il braccio a Barbara Bou-
chet (15 agosto); Raul
Bova (14 agosto), sempre
sensibile al fascino fem-
minile, è circondato dalle
splendide Jennifer Lopez
(24 luglio), Maria Grazia
Cucinotta (27 luglio) e Lo-
rella Cuccarini (10 ago-
sto).
34Gustare l’Italia
E’ poi la volta di Whitney Hou-
ston (9 agosto) che arriva in
Rolls Royce con Madonna (16
agosto). A bordo di una rom-
bante Ferrari ecco Dustin Hof-
fman e Robert Redford, che
vengono travolti da un nugolo
di belle ragazze in cerca di
autografi.
Ancora splendide, nonostan-
te la non più verde età, è poi
la volta di Alice ed Ellen Kes-
sler (20 agosto) e la luminosa
Rossella Brescia (20 agosto).
E poi ancora: Peppino di Ca-
pri (27 luglio) con Arisa (20
agosto) e Giancarlo Giannini
(1 agosto).
Avrebbero dovuto essere del
gruppo anche Barack Obama
(4 agosto) e Giulio Tremonti
(18 agosto), ma pare che sia-
no stati trattenuti da ineludi-
bili impegni politici (e non
sanno cosa si stanno perden-
do!).
Ci sono adesso proprio tutti
nel grande terrazzo dietro i
trulli di quello che era stato un convento delle
monacelle. Come benvenuto stanno gustan-
do uno spumante gioioso e leggero, fresco e
allegro come l’amore di due diciottenni: il Me-
larosa della Cantina 2 Palme.
Massimiliano Consonni fa da cicerone e rac-
conta la storia del complesso che, dopo es-
sere stato un convento, era diventato agli ini-
zi del Novecento un piccolo villaggio
contadino prima di essere dalla sua famiglia.
La notizia non appassiona più di tanto gli
ospiti che sono tutti molto più interessati al
primo piatto che arriva a tavola accompagna-
to dal Murà, uno stupendo Sauvignon 2009
delle Cantine del Duca Guarini; come i piatti
che seguiranno è una creazione di Pier Luca
Arditi, il giovane chef di Noicattaro che i Con-
sonni hanno scelto per guidare la cucina del-
la tenuta. Non ha ancora trent’anni ma ha già
compiuto importanti esperienze (è stato an-
che alla corte del grande Ducasse).
La sua è una cucina mediterranea e Le Mo-
nacelle è il luogo ideale per realizzarla, sia il
mare che la terra forniscono prodotti ecce-
zionali e un grande chef non ha che da servir-
sene nel modo più semplice rispettando la
tradizione, solo attento ad interpretarla nel
migliore dei modi.
Gustare l’Italia35
Il piatto con il quale si presenta è una
“Zuppa fredda di pomodoridi Torre Guarceto, cipolla rossa
di Acquaviva delle Fonti,cardoncelli con astice
al profumo di citronella”
ed è subito un grande successo; gli il-
lustri ospiti si rendono conto che stan-
no facendo la conoscenza di un gran-
de chef.
I Consonni lo hanno scelto dopo aver
provato alcuni cuochi che si erano ri-
velati inferiori alle aspettative; come
per ogni altra cosa volevano il meglio
e lo hanno finalmente trovato in que-
sto giovane di Noicattaro che adesso
fa arrivare agli ospiti un altro delizioso
piatto:
“Paccheri di Gragnano con polipo brasato al Negroamaro,
foglie di rucola e Pecorino”
accompagnato dalla Verdeca Menhir
2009, che aggiunge emozioni ad emozio-
ne. La scelta è stata fatta da Massimilia-
no, che è sommelier, con la supervisione
del padre, da sempre attento e respon-
sabile bevitore in memoria del nonno,
grande ebanista di Cantù; racconta di
non aver mai visto il nonno al lavoro sen-
za aver davanti una bottiglia di vino ed un
immancabile sigaro toscano in bocca e
ciononostante è vissuto in perfetta salute
fino a 95 anni.
36Gustare l’Italia
Per il prossimo piatto che sta per arri-
vare in tavola ha scelto l’Anticaia rosé
2009 delle Cantine di San Donaci e
mai abbinamento fu più felice per la
“Ricciola conditacon lemon-grass, foglie di limone
e olio extra vergine d’oliva,sale alle alghe, cicerchie
di Alberobello al peperoncinoe vongole nere”
Il piatto ha appena riscosso un’ovazio-
ne da parte degli ospiti quando fa il
suo trionfale ingresso un’altra creazio-
ne di Gian Luca, che avrebbe ben figu-
rato in un simposio di Federico II:
“Agnello della Masseria Iaccato con fichi secchie mosto di Vin cotto”
Non è facile abbinare un vino a
questo superbo piatto ma Mas-
similiano, con il consueto aiuto
del padre, vi è riuscito sce-
gliendo nelle Cantine Botroma-
gno il “5 uve Murgia rosso
2005”.
Bevendolo si capisce perché i
pugliesi chiamano “mieru” il vi-
no; la parola deriva dal latino
“nerum”, l’aggettivo che veniva
dato al vino in purezza (“vinum
nerum”); nei secoli dopo, la se-
conda parte “nerum” (diventa-
ta “mieru”) è rimasta ad indica-
re quanto sia importante bere
un vino schietto e puro.
Uno dei più bei proverbi italiani attribuiti al vino è pugliese e così recita: “Face cchiù miraculi
‘na utta chiua te mieru ca ‘na chiesa china te santi” (fa più miracoli una botte piena di buon vi-
no che una chiesa piena di santi). Il dessert, come il vino da abbinarvi, lo ha deciso Donna Cle-
lia che è ormai diventata una pugliese DOC ed è anche lei un’ottima intenditrice di vini:
Gustare l’Italia37
“Spumoso arabico all’aranciacon zabaione al Moscato di Trani
con i cantuccini alle mandorle di Valenzano”
puntualmente accompagnato dallo stes-
so Moscato. E’ il perfetto coronamento
di una cena che sarebbe ideale per dei
gourmet innamorati.
Molti degli ospiti che si sono alzati in
piedi per una “standing ovation” allo
chef e alla famiglia Consommi al com-
pleto stanno rimpiangendo di non aver
accanto il proprio partner e si ripromet-
tono di tornare presto alle Monacelle in
compagnia per gustare insieme quei cibi
e poi riposare in una delle stanze realiz-
zate nella masseria; e magari provare
antiche emozioni in una delle camere ricavate dai trulli dove le monacelle trascorrevano le not-
ti della loro vita di preghiera e penitenza. Potranno rivolgere loro, che ormai sono in Paradiso,
un riconoscente pensiero.
Ora il terrazzo che si affaccia sulla vallata dove fioriscono i ciliegi si è completamente svuotato;
mi ritrovo soltanto io, Massimiliano, Giorgio, Aldo e Donna Clelia.
E’ stato dunque soltanto un sogno? Probabilmente sì, un bel sogno, anche se la realtà non è
poi così male; sta infatti arrivando in tavola il primo piatto della cena, la “Zuppa fredda di po-
modori di Torre Guarceto, cipolla rossa di Acquaviva delle Fonti, cardoncelli con astice al pro-
fumo di citronella” .
Gustare l’Italia37
38Gustare l’Italia
Questa rubrica è dedicata ai ristoranti immeritatamente ignorati o sottovalutati dalle varie Guide;
ve ne sono in tutte le regioni ma la gran parte sono del Sud e la disattenzione nei loro confronti
è da riferire a diversi motivi, il primo dei quali - forse - è dovuto al fatto che la gran parte dei cri-
tici risiede al Nord e arrivare a Castrovillari o a Putignano non è come andare a Gallarate o a Bu-
sto Arsizio.
di F
elic
e M
arat
ea
Prendiamo la più antica Guida, la Miche-
lin; ho sotto gli occhi l’edizione 2010: le stel-
le che vengono assegnate ai vari ristoranti
come indice di qualità sono in Italia circa
250. Provate ad indovinare quante illuminano
i cieli della gastronomia pugliese, lucana,
molisana, abruzzese, siciliana, calabrese e
sarda. Non arrivano a 20 e stia-
mo parlando di più di un terzo
delle 20 regioni italiane!
Ora, che alcuni ristoranti del Sud
abbiano le loro colpe, è purtrop-
po fuori discussione: scarsa at-
tenzione nella ricerca dei pro-
dotti che pure la terra regala con
generosità, mancanza di profes-
sionalità nel personale, poco ri-
spetto per le tradizioni…
Non è accettabile, tuttavia, che
in Basilicata vi sia soltanto un ri-
storante con una stella, che ve
ne sia uno solo in Abruzzo, due
in Sardegna… e che in tutta la
Calabria non ve ne sia neppure
uno degno di questo segno di-
stintivo.
“Gustare l’Italia” ha perciò deci-
so di colmare questa lacuna e
manderà i suoi degustatori in gi-
ro per lo stivale, alla ricerca dei
ristoranti ingiustamente dimenti-
cati; e poiché “soli” e “stelle”
sono già stati da tempo prenota-
Terranima
Le lu
ne d
i Gus
tare
l’Ita
lia
ti, non ci resta che la “luna” per segnalare i
locali degni di attenzione da parte dei
gourmet più esigenti.
La nostra Luna illumina oggi un ristorante
non proprio trascurato dalle guide gastrono-
miche ma che, a parere di chi scrive, avrebbe
diritto ad un’attenzione maggiore da parte
Gustare l’Italia39
dei severi critici che attraversano l’Italia per
emanare le loro sentenze inappellabili; qual-
che stella, qualche forchetta, qualche gam-
bero in più certo lo meriterebbe l’elegante
Terranima.
Entri e, come se in una macchina del tempo
avessi premuto il tasto “1900”, ti ritrovi nella
“corte” di un palazzo barese all’inizio del XX
secolo: il pavimento in “chianche”, le grandi
pietre delle masserie, un vecchio lampione,
un graticcio a vite, gli ingressi di una barberia
e di una sartoria, l’edicola di un santo din-
nanzi al quale brilla il lumino di un devoto …
Sei al Terranima, il nuovo - antico locale di
Bari, un ineludibile appuntamento per chi
vuol ritrovare i cibi dimenticati di una tradi-
zione che si perde nel tempo.
E’ stato scritto che è come recarsi in un tea-
tro dove ad andare in scena sono i sapori, i
profumi dei frutti che la terra di Puglia regala
con generosità; ogni quindici giorni lo spet-
tacolo cambia perché varia il menu che se-
gue il variare delle stagioni.
Il direttore d’orchestra è lo chef che armoniz-
za gli ingredienti con cura e passione; il regi-
sta, lo Strehler che sovraintende allo spetta-
colo, è Piero Conte, un gentiluomo del Sud,
una specie sempre più rara e in via d’estin-
zione, fino a pochi anni fa lontanissimo dal
pensare di diventare titolare di un ristorante.
Nasce a Monopoli qualche decennio fa da
una modesta famiglia e, giovinetto, parte alla
ricerca di lavoro come accadeva allora a
troppi giovani (e come purtroppo ancora og-
gi accade).
Varie vicissitudini lo portano in giro per il
mondo: Vietnam, Laos, Thailandia, Iran; la
sua serietà e il costante impegno lo aiutano
a salire poco a poco i gradini della scala so-
ciale: dai lavori più umili fino a diventare diri-
gente di un’importante azienda del Nord. E
proprio quando è al culmine del successo,
contro ogni logica aziendale, resistendo alle
sollecitazioni di chi lo invita a ripensarci, de-
cide di tornarsene in Puglia, nella terra che
ha sempre avuto nel cuore.
Il suo incontro con il mondo della ristorazio-
ne comincia a causa della triste vicenda che
riguarda il fratello ammalato di leucemia e
per questo costretto a frequentare molti
ospedali; si impegna a fare in modo che le
cucine spesso fatiscenti siano meglio attrez-
zate per permettere ai cuochi di realizzare ci-
bi graditi soprattutto ai bambini.
Crea per questo scopo una Società che in
poco tempo diventa leader del settore e oggi
migliaia di pazienti non sanno che è grazie a
lui se il loro forzato soggiorno in ospedale è
stato meno penoso.
40Gustare l’Italia
Questa esperienza fa nascere in Piero Conte
il desiderio di avere un locale tutto suo dove
poter fare gustare ai felici ospiti i cibi della
grande tradizione; è un sogno che diventa
realtà quando viene casualmente a sapere
che il Terranima, un locale storico di Bari,
uno dei pochi rimasti, sta per essere venduto
e trasformato in una ba-
nale pizzeria.
Il Terranima era nato ne-
gli anni Ottanta a fianco
dello storico caffè lette-
rario, il Batafobrle (il no-
me è un acronimo otte-
nuto con le lettere
iniziali delle provincie
pugliesi) dove si riuniva-
no gli intellettuali baresi
per lanciare un libro, un
avvenimento artistico,
un’iniziativa letteraria.
Piero Conte non esita un
istante e, battendo ogni
concorrente, acquista il
locale e si butta nella
nuova impresa con l’en-
tusiasmo di un ragazzi-
no e la determinazione
del grande imprendito-
re.
Rinnova il locale senza tradirne lo spirito;
modernizza bagni e cucine, ridipinge i muri in
rosso Puglia seguendo le regole della bioar-
chitettura, ma il resto rimane tutto come pri-
ma: i tavoli in marmo e legno, gli arredi
d’epoca, i manifesti, gli editti comunali, le fo-
to degli storici clienti nelle vecchie cornici,
dovunque si respira “l’odore di passato” che
avrebbe fatto la felicità di Guido Gozzano.
Ogni oggetto è rigorosamente pugliese, cre-
ato da artigiani locali con materiali naturali:
piatti, bicchieri, suppellettili, tovaglie. E natu-
ralmente i cibi. A dirigere la cucina è stato
chiamato Sabino Costanzo, un cuoco che
conosce ogni segreto della cucina pugliese,
la più ricca, fantasiosa e saporita cucina del
mondo; ma gli ingredienti sono di stretta
competenza di Piero che va a trovarli nei luo-
ghi più lontani per assicurarsi il meglio. Così
ogni pranzo è un viaggio nella gastronomia
più prelibata della Regione: dal pane di Alta-
mura ai latticini della Valle d’Itria, ai formaggi
di Mottola o di Gioia del Colle, alla pasta di
Sant’Eramo, ai capocolli di Martina Franca,
alle cipolle di Acquaviva, ai cardoncelli delle
Murge, alle carni dei vitelli podolici di Albero-
bello, ai prosciutti dei maiali neri di Faeto al-
levati allo stato brado.
Naturalmente anche i vini sono esclusiva-
mente pugliesi; nella sua cantina riposano
bottiglie della Regione: dal Salento a San Se-
vero (unica eccezione tre etichette della vici-
na Basilicata). Con l’aiuto della figlia Vanessa
Gustare l’Italia41
che coinvolge nell’impresa e della bella Gior-
gia Colombo che si improvvisa perfetta ed
elegante maitre, il successo è immediato; nel
giro di pochi mesi, con il tam tam del passa-
parola di clienti soddisfatti, si impone all’at-
tenzione dei gourmet che trovano al Terrani-
ma le risposte ai loro desideri più esclusivi.
Ma la fantasia di Piero, il suo spirito di im-
prenditore che lo ha aiutato negli anni a rea-
lizzare importanti imprese, non gli permetto-
no di riposare sugli allori; ed eccolo pronto a
nuove iniziative: vuol far conoscere la cucina
autenticamente pugliese e per questo invita
una volta al mese i più importanti chef delle
altre provincie per far gustare agli ospiti le lo-
ro creazioni; ogni venerdì la cena è rallegrata
da musicisti che vengono ad eseguire la più
autentica musica popolare.
La missione che si è imposta è quella di va-
lorizzare la sua Regione sotto ogni aspetto
unendo gastronomia, storia e natura, così in-
venta la “minicrociera gastronomica”.
La prima volta la sperimentò lo scorso set-
tembre invitando gli ospiti su di un’imbarca-
zione che li avrebbe portati fino a Trani e ri-
torno; durante il viaggio vennero servite
creazioni marinare dello chef mentre un cice-
rone indicava le bellezze artistiche delle lo-
calità che costeggiavano illustrandone la
storia: Giovinazzo, Molfetta, Bisceglie, fino
alla bella Trani con la cattedrale, la meraviglia
architettonica del più puro romanico, una
delle chiese più belle al mondo.
Il successo di quella prima esperienza ha
convinto Piero Conte a riproporre quest’an-
no le minicrociere con cadenza settimanale.
Un altro fermo proposto da Piero è quello di
far conoscere i prodotti della sua Regione al
di fuori della Puglia; sta per lanciare una linea
“on line” di prodotti pugliesi con il marchio
“Tavola del Conte” che riguarderà non sol-
tanto la gastronomia ma anche l’artigianato
della tavola: il tovagliato di lino ricamato a
mano del Salento e di Alberobello, i piatti in
ceramica di Terlizzi e di Grottaglie, e così via.
Nel frattempo ha incominciato a proporsi co-
me ambasciatore della gastronomia pugliese
al di fuori della Regione; fra pochi giorni si
esibirà al ristorante Fontanafredda di Monte-
porzio Catone, vicino Roma, e poi a Firenze;
ma il battesimo lo ha avuto il mese scorso a
Torino nella prestigiosa sede dell’Eataly, la
mostra mercato dell’eccellenza gastronomi-
ca italiana inventata da Oscar Farinetti, ge-
niale imprenditore piemontese. Esibirsi all’Ea-
taly (si pronuncia “Italy” ed è un bizzarro
accostamento fra “eat”, che in inglese vuol
dire “cibo”, e Italy) equivale ad una Laurea
110 e lode e Piero se la è abbondantemente
meritata.
42Gustare l’Italia
Ho avuto la piacevole ventura di partecipare
anch’io a quella serata e posso testimoniare
che si è trattato di un successo e di una
grande occasione per far conoscere le deli-
zie della cucina pugliese.
Piero è stato un perfetto presentatore e lo
chef Sabino Costanzo ha superato se stes-
so; il benvenuto agli illustri ospiti è stato dato
da un assaggio di panzerotti e focaccia bare-
se accompagnato da un delizioso rosato sa-
lentino; a tavola poi si è proseguito con una
“cialledda”, la burratina della Valle d’Itria con
sedano e cipolla caramellata di Acquaviva,
con cozze ripiene e fave e cicorie; la classi-
ca, storica “tiella” barese (riso, patate e coz-
ze) e alici fritte.
Certo non potevano mancare le orecchiette,
ed eccole infatti con cavoli e lardo di Faeto
croccante, seguite da “Troccoli con fagiolini,
pomodoro e cacioricotta”. E’ stata poi la vol-
ta del “Pignatino di Alberobello” (spezzatino
di vitellino podolico cotto con le carote). Per
finire un delica-
to “Sorbetto di
fichi di Poligna-
no e mandorle di
Toritto”, seguito
dagli “Sporca-
muss”, fagottini di
pasta sfoglia ripieni di
crema calda con agrumi, da
mangiare assolutamente con le mani.
Il tutto innaffiato abbondantemente dai su-
perbi vini delle Cantine Rivera. Al termine
della modesta, semplice, quasi francescana
cena, ho visto molti commensali di origine
pugliese trapiantati a Torino, con le lacrime
agli occhi.
Sono ormai passati due anni da quando Pie-
ro Conte ha assunto il comando del Terrani-
ma e il successo è riconfermato ogni sera da
una clientela esigente, sempre più numerosa
e soddisfatta.
Alcune guide gastronomiche di Germania, di
Russia, persino di Au-
stralia, hanno incomin-
ciato ad accorgersene
ed a segnalarlo; adesso
speriamo che se ne ac-
corgano anche le guide
italiane e che qualcuno
dei severi critici del
Nord si spinga fin quag-
giù per conoscere que-
sto ristorante e che gli
attribuiscano i gamberi,
le forchette, le stelle e i
soli che si merita.
Noi di “Gustare l’Italia”,
abbiamo deciso di pre-
miarlo con la nostra “lu-
na”, una luna piena, lu-
minosa, non turbata da
nessuna nuvola.
, seguito
“Sporca-
, fagottini di
pasta sfoglia ripieni di
crema calda con agrumi, da
Tra pavoni e campanelle, le tovaglie di Alberobello
44Gustare l’Italia
di M
aria
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Iod
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- F
oto
di F
ranc
esco
Sg
ob
ba
L’artig
iano
in ta
vola
“Nel corredo di una donna non può man-
care una tovaglia di fiandra bianca” ci “istrui-
scono” ad Alberobello le signore del paese
mentre illustrano l’importanza che aveva, ma
che ancora ha, il corredo di casa in questa cit-
tadella baciata dalla frescura della collina, dal
sole pugliese e dalla sua storia feudale che,
tra i capricci e le efferatezze del Conte di Con-
versano, ha regalato al territorio i trulli, unici al
mondo e ammirati in ogni angolo della terra.
Siamo quattro donne sedute in cerchio all’in-
gresso di un trullo e chiacchieriamo confiden-
zialmente sull’arte del ricamo, del punto a
giorno, del punto gigliuccio “uno dei più anti-
chi”, sulla canapa che “oggi non si fila più”,
sul cotone e sul lino, il più apprezzato per len-
zuola, asciugamani e tovagliati. Tra noi tiene
parola allegra e desiderosa di spiegarmi le
usanze del posto Cristina Greco, esperta arti-
giana locale; ci racconta che qui, fino ad una
ventina d’anni fa, si tesseva ancora con telai a
pedale di legno, “e qualche artigiana ancora li
usa per creare filati unici, per canovacci e to-
vaglie”.
Proprio nella sua bottega in bella mostra si er-
ge, grande e rugoso, un telaio di almeno due-
cento anni, la cui vita è tutta segnata nelle ve-
nature e nelle piccole crepe del legno scuro.
Nel dopoguerra, passeggiando lungo le viuz-
ze, fra i coni di pietra, avremmo visto, sbir-
ciando attraverso le porte, tessere con telai di
diverse misure, almeno tre donne per ogni vi-
Gustare l’Italia45
colo. I telai si smontavano e rimontavano per
farli passare attraverso la piccola porta del
trullo, e si posizionavano nell’unico punto luce
della casa, l’ingresso.
Si usava persino prestare i telai o affittarli per
qualche mese, il tempo giusto affinché ogni
ragazza potesse farsi il proprio corredo, “il
suo tesoro, il bene che la donna portava nel
patrimonio della famiglia”.
Tra la biancheria di casa, quella di tutti i giorni,
ma soprattutto della festa, la tovaglia era il
pezzo messo maggiormente in bella mostra,
quando il pranzo riuniva la famiglia. La tradi-
zione qui non s’è spenta e oggi è ancora pos-
sibile aprire sulla propria tavola una bella to-
vaglia di lino bianco o grezzo, tessuta
artigianalmente, l’addobbo perfetto per una
bella mensa imbandita.
Le tovaglie di Alberobello sono piccoli capo-
lavori d’arte: trama e ordito, trama e ordito, fi-
lo dopo filo, le tessitrici riescono oggi come
un tempo, a creare il tessuto con i disegni ti-
pici, greche, galli, e altri simboli di buon auspi-
cio.
Mi congedo dalla mia compagnia e cammino,
fra frotte di gente, lungo la via del quartiere
Monti, per andare curiosare tra pile e pile di
bella biancheria in uno dei negozi più antichi
del paese; nella sua bottega Maria Matarrese
e sua figlia Diana creano ancora tovaglie di li-
no come si faceva una volta.
Al tatto si scoprono subito i rilievi del tessuto
che decorano la base grezza, fatta secondo
una tecnica antica di almeno quattro secoli.
Sul campo chiaro del lino spiccano i motivi
decorativi, il pavone, simbolo di immortalità,
la campanella, la fedeltà, l’uva pugliese, l’ab-
bondanza, motivi semplici, segni lontani tra-
mandati da nonna a nipote.
Con un gesto veloce Diana apre una alla volta
varie tovaglie le cui grazie colorate rifulgono al
sole: il giallo, ottenuto con mimosa e limone,
il blu della mora selvatica, il neutro del mallo
di mandorla, l’azzurro del glicine e del limone,
il rosa tenue della camelia, il rosso del papa-
vero, il verde acqua, che nasce dall’unione di
basilico e mallo di mandorla.
Guardandole una ad una immagino che nulla
potrà essere più buono di una bel piatto case-
reccio gustato, con amore, su una tovaglia
così bella insieme ai miei cari…
In cantina
Gustare l’Italia47
© G
iann
i Ren
na
Corso di sommelier per ignari
48Gustare l’Italia
di A
ngel
o e
Pie
ro S
olc
iI s
apor
i del
vino
Quale filosofo disse che l’uomo si distin-
gue da tutti gli altri animali per due cose: bere
senza sete e fare l’amore in ogni tempo
dell’anno? Per “bere senza sete” deve inten-
dersi il bere che si fa di vino, naturalmente.
Queste riflessioni ci pongono innanzi l’impor-
tanza di saper degustare il vino e ciò significa
osservare, valutare l’aspetto visivo, olfattivo,
gustativo e postgustativo attraverso i nostri
organi di senso dove arrivano gli stimoli che
vengono riconosciuti e catalogati dal nostro
cervello.
L’intenzione di queste “pagine” è quella di
condurre il lettore ad apprendere questa arte
per la quale occorrono dedizione, rigore, pre-
senza mentale e pratica frequente, applican-
do le regole e la grammatica necessarie. Inse-
gnerà soprattutto, almeno lo sperano, a
conoscere i vini e ad apprezzarli; saper degu-
stare è alla base del saper bere.
La degustazione insegna la maestria e il buon
uso dei nostri sensi. I buoni vini incitano alla
sobrietà e l’alcolismo è la sanzione del bere
male. Bevete meno ma siate difficili nelle vo-
stre scelte. Ogni volta che acquistate un vino
indegno, fate un torto alla causa del vino. Go-
ethe scriveva: “La vita è troppo breve per bere
‘Se sapessimo gustare il vino, il pane, un’amici-
zia, sapremmo gustare allo stesso modo ogni
istante della nostra vita, nel rispetto e nell’ascol-
to silenzioso della buon’ora che passa’ .
Jean Trèmoliers
un cattivo vino”. La degustazione insegna an-
che a parlare di vino.
Bere vino non è un piacere solitario; se è buo-
no, fatelo sapere ai vostri amici. Ci sono pochi
piaceri che rendono così eloquenti come
quelli che si dividono con un bicchiere in ma-
no. A questa scuola, vedrete, diventerete pre-
sto eruditi.
La degustazione deve essere per voi un mez-
zo di controllo permanente della qualità. Qua-
lunque sia il tipo di vino, bisogna che appren-
diate a degustarlo bene.
Abbiamo sempre bisogno, del resto, di perfe-
zionarci. Vi è difficile fare progressi in questo
ambito se gustate solo il vostro vino. Approfit-
tate di tutte le occasioni per uscire dalla vo-
stra casa, della vostra area di denominazione,
© G
iann
i Ren
na
Gustare l’Italia49
dalla vostra regione, dal vostro paese. Si ridi-
venta spesso molto modesti da questi con-
fronti. Se siete originari di un paese di tradi-
zione viticola, siete eredi della civilizzazione
del vino; questo vi attribuisce dei doveri, ma
potete appartenere anche ad un paese poco
colonizzato dalla vigna. In entrambe i casi,
siete contemporaneamente rappresentativi e
responsabili della qualità dei vostri vini. Siete
voi che, in un certo senso, “fate” la loro quali-
tà; se ci sono i vini cattivi è perché ci sono
cattivi bevitori. “Il gusto è simile alla grossola-
nità dell’educazione”. Bevete il vino che vi
meritate. Scegliete di bere meglio, accettate
di pagare più caro un vino perché è superiore
e i vini ben presto miglioreranno. Sta al con-
sumatore scoraggiare gli autori di cattivi vini.
Da un punto di vista più tecnico i propositi so-
no: spiegare le relazioni esistenti fra le varie
componenti del vino e le sensazioni che esse
producono; insegnare a gustare il vino valu-
tandone in modo completo le caratteristiche;
permettere a ciascuno di mettere a punto un
proprio sistema di “lettura” dei vini rendendo-
lo perciò più gratificante.
Per realizzare questi propositi sarà anzitutto
necessario imparare l’alfabeto, cioè la tecno-
logia necessaria per definire i vari aspetti di un
vino e per spiegare la tecnica dell’assaggio;
individuare i caratteri fondamentali di ogni vi-
no e le diverse fasi della degustazione. E’ quel
che faremo a partire dal prossimo numero.
I GEMELLI DEL VINOPiero e Angelo Solci (nerlla foto insieme ai genitori e al fratello Felice) sono rispettivamente pe-
rito agrario ed enologo. Sono cresciuti tra botti e bottiglie nella bottega di vini e oli pregiati che
il padre Cesare aveva aperto a Milano nel 1938. Entrambi sommellier (e docenti ai corsi AIS)
hanno alle spalle esperienze professionali in numerose cantine italiane ed estere. Nel 1971
hanno aperto insieme l’Enoteca Solci di via
Morosini, a Milano, offrendo alla clientela la mi-
glior produzione italiana e di tutto il mondo,
con un occhio di riguardo per gli alimentari
speciali e i prodotti regionali di altissima quali-
tà. Nell’arco di un trentennio via Morosini è sta-
ta teatro di appuntamenti destinati agli amanti
del buon bere: aste, degustazioni, mostre, sfi-
late, abbinamenti tra vini e cibi, tra vini e libri,
tra vini e musica.
© G
iann
i Ren
na
D’ Araprì
50Gustare l’Italia
di A
rab
ella
Pez
za
D’Araprì è l’acronimo delle iniziali di tre
amici - Girolamo D’Amico, Louis Rapini e Ul-
rico Priore - suonatori di jazz con un’immen-
sa e smisurata passione per il vino (ereditata
dai genitori) che, nel lontano 1979, quasi per
caso, per scommessa, si sono messi a pro-
durre spumante a San Severo, un paesino nel
cuore della Daunia, in provincia di Foggia. E
questo solo dopo un lungo viaggio nella zona
dello Champagne, per apprendere i segreti e
le tecniche della vinificazione.
I vigneti di San Severo sono tra i più noti e
meglio tenuti di tutta la Puglia. Si trovano pro-
prio a ridosso del Gargano, sono protetti dal-
la Maiella e si avvalgono di un particolare mi-
croclima favorevole alla coltivazione dell’uva,
in particolare a bacca bianca.
Questo grazie sia alla protezione montuosa,
sia alla notevole ventilazione del luogo, che
impedisce le gelate, non consente che attec-
chiscano malattie crittogamiche e permette il
poco utilizzo di prodotti antiparassitari.
Oggi, dopo oltre trent’anni, su questi terreni
grigio-gialli di natura argilloso-calcarea, ven-
gono prodotti gli spumanti Metodo Classico
d’Araprì: si tratta dell’unica realtà in Puglia e
una delle poche dell’intero Meridione.
Sin dalla sua nascita la Casa d’Araprì si è po-
sta l’ambizioso obiettivo di raggiungere il più
alto standard qualitativo, proponendo al con-
sumatore la sua precisa filosofia produttiva:
tutte le fasi della lavorazione vengono infatti
seguite personalmente dai fondatori della
Casa e il carattere artigianale garantisce non
solo l’alta qualità dei prodotti, ma anche il ri-
spetto assoluto della tradizione champenoi-
se.
Proprio per questo abbiamo deciso di inter-
vistare Girolamo D’Amico e di farci racconta-
re da lui personalmente come nascono i vini
d’Araprì. “Lo spumante in Italia viene prodot-
to un po’ ovunque, sia utilizzando i classici vi-
tigni della tradizione francese (come Char-
donnay e Pinot), sia i vitigni autoctoni, talvolta
anche miscelati con quelli d’oltralpe. Al Cen-
tro e al Sud, rispetto al Nord, non esistono
territori espressamente vocati alle bollicine di
qualità: esistono però produttori vocati alla
qualità, come noi. La nostra cantina utilizza
anche le varietà tradizionali e autoctone Bom-
bino e Montepulciano - e questo un tempo
era davvero impensabile! - per produrre que-
Qui nascono bollicine di qualità che nulla han-
no da invidiare ai migliori spumanti del Nord
Gustare l’Italia51
sti spumanti di pregio, che hanno i caratteri della
modernità ma un cuore antico”.
Da sottolineare che, oltre a un buon
riscontro tra i consumatori (che più
di tutti decretano il successo o
l’insuccesso di un vino) d’Araprì
raggiunge ogni anno risultati ec-
cellenti: nell’edizione 2010 di
Sparkle Bere Spumante la loro Da-
ma Forestiera, realizzata solo in
magnum, ha conquistato le 5 sfe-
re, il massimo punteggio, e questa
è in assoluto la prima volta che
uno spumante prodotto al di sot-
to della “linea gotica” ottiene un
tale riconoscimento. “La Dama
Forestiera ha una storia affascinante: alla fine del 1800 la dama inglese Eli-
sa Crogham si era ritrovata a gestire da sola il grande tenimento del suo
defunto convivente, l’ultimo Principe di San Severo, Michele di Sangro.
E’ proprio per suo volere che l’intero territorio diventerà uno dei maggio-
ri vigneti d’Italia: così la Crogham è entrata nella storia col nome de La
Dama Forestiera e d’Araprì ha voluto renderle omaggio dedicandole una
Cuvée speciale, ottenuta da uve a bacca nera Montepulciano e Pinot
nero, vinificate in bianco, delle quali si adopera esclusivamente il mosto
di prima spremitura.
Viene inoltre affinata nella quiete e nella freschezza delle nostre cantine
lentamente, per almeno 5 anni, e questo le conferisce finezza ed ele-
ganza. Le nostre cantine risalgono al 1600 e sono a ridosso della Chie-
sa di San Nicola, una delle più antiche della
città. Si estendono sotto a storici palazzi: qui
si possono ammirare numerose testimonian-
ze del passato come un pezzo delle antiche
mura di cinta del 1200, un’antica pressa del
1836 e la prigione dei Carbonari Morelli e Sil-
vati.
E’ in questo storico ambiente che invecchia-
no al buio migliaia e migliaia di bottiglie”.
Da sottolineare che, oltre a un buon
riscontro tra i consumatori (che più
di tutti decretano il successo o
l’insuccesso di un vino) d’Araprì
raggiunge ogni anno risultati ec-
cellenti: nell’edizione 2010 di
Sparkle Bere Spumante la loro Da-
ma Forestiera, realizzata solo in
magnum, ha conquistato le 5 sfe-
re, il massimo punteggio, e questa
è in assoluto la prima volta che
uno spumante prodotto al di sot-
to della “linea gotica” ottiene un
“La Dama
Forestiera ha una storia affascinante: alla fine del 1800 la dama inglese Eli-
sa Crogham si era ritrovata a gestire da sola il grande tenimento del suo
E’ proprio per suo volere che l’intero territorio diventerà uno dei maggio-
ri vigneti d’Italia: così la Crogham è entrata nella storia col nome de La
52Gustare l’Italia
E gli altri prodotti?
“Oltre al Brut, che ottiene da sempre larghi consensi (ne vengono pro-
dotte oltre 70.000 bottiglie n.d.r.) in quanto e più morbido, è molto ap-
prezzato anche il Rosè. Negli ultimi due anni, infatti, va molto di mo-
da: è un perfetto vino da tutto pasto, oltre ad essere l’ideale per un
tipo di alimentazione povera di grassi, mediterranea, come lo è la
nostra. Si tratta di un vino carico, che viene a contatto con le
bucce, che si avvicina molto ai più titolati rosati del nord”.
Dove si utilizzano varietà autoctone e tradizionali nascono vi-
ni che possiedono caratteristiche ben diverse dagli spu-
manti realizzati con Chardonnay e Pinot e che sono dotati
di una personalità tutta particolare. I d’Araprì sono riusciti
a trarre dall’unione vitigno-territorio prodotti di altissimo
livello e qualità, davvero eccezionali.
Spumanti di pregio “con i caratteri della modernità ma il
cuore antico”, come ha giustamente sottolineato Giro-
lamo D’Amico, che non solo contribuiscono alla diffu-
sione dei luoghi e degli uomini che hanno “fatto” la
storia della Daunia, questa terra meravigliosa e gene-
rosa come la popolazione che la abita, ma che divul-
gano anche le eccellenze del Made in Italy in tutto il
mondo.
“Oltre al Brut, che ottiene da sempre larghi consensi (ne vengono pro-
dotte oltre 70.000 bottiglie n.d.r.) in quanto e più morbido, è molto ap-
prezzato anche il Rosè. Negli ultimi due anni, infatti, va molto di mo-
da: è un perfetto vino da tutto pasto, oltre ad essere l’ideale per un
tipo di alimentazione povera di grassi, mediterranea, come lo è la
nostra. Si tratta di un vino carico, che viene a contatto con le
bucce, che si avvicina molto ai più titolati rosati del nord”.
Dove si utilizzano varietà autoctone e tradizionali nascono vi-
ni che possiedono caratteristiche ben diverse dagli spu-
manti realizzati con Chardonnay e Pinot e che sono dotati
di una personalità tutta particolare. I d’Araprì sono riusciti
a trarre dall’unione vitigno-territorio prodotti di altissimo
“con i caratteri della modernità ma il
, come ha giustamente sottolineato Giro-
“Oltre al Brut, che ottiene da sempre larghi consensi (ne vengono pro-
dotte oltre 70.000 bottiglie n.d.r.) in quanto e più morbido, è molto ap-
prezzato anche il Rosè. Negli ultimi due anni, infatti, va molto di mo-
da: è un perfetto vino da tutto pasto, oltre ad essere l’ideale per un
tipo di alimentazione povera di grassi, mediterranea, come lo è la
nostra. Si tratta di un vino carico, che viene a contatto con le
Il vino in pentola
54Gustare l’Italia
del
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oto
di G
iann
i Ren
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Chi per primo ha avuto l’idea di aggiunge-
re del vino nella cottura di un cibo? Certa-
mente nessuno nel mondo greco e romano,
di cui abbiamo ampie notizie e prima meno
ancora.
E’ ragionevole supporre che siano stati i fran-
cesi in età più vicina a noi quando nella loro
civiltà la cucina diventò sempre più raffinata.
blica Cisalpina con capitale Milano, si ebbero
in Italia molte ripercussioni nel modo di vive-
re, anche a tavola.
Fu allora che da noi si cominciò ad usare il vi-
no in cucina come apprendiamo, per esem-
pio, nell’evoluzione del risotto alla milanese.
Quando se ne parla il punto è sempre lo stes-
so: ci vuole o non ci vuole il vino? E se ci vuo-
le deve essere il bianco o il rosso?
Era questo un quesito che nessun cuoco si
era mai posto prima dell’Ottocento. In un suo
trattato Vincenzo Buonassisi, con Veronelli - il
più grande gastronomo italiano -, classificò
alcune centinaia di ricette in cui entra il vino,
oltre a qualche decina con i liquori e i
distillati. Ne ricordiamo alcune inco-
minciando proprio dalla prima che ri-
guarda il risotto alla milanese.
Fino alla fine del Settecento nessun
cuoco si sarebbe permesso di mettere
del vino nel più tradizionale piatto me-
neghino: secondo la tecnica culinaria
ortodossa non ci doveva essere vino,
soprattutto non doveva esserci il ros-
so che attenua lo stupendo giallo oro
prodotto dallo zafferano (anche se in-
dubbiamente arricchisce il gusto).
Il vino bianco dà invece una sfumatura
più raffinata ed elegante. Dopo due
secoli di contrasti siamo giunti alla
conclusione che forse si può mettere il vino
nel risotto alla milanese, ma possibilmente
solo il bianco e soltanto con una spruzzata e
verso la fine della cottura, quando i chicchi
sono pronti e questa aggiunta serve a confe-
rire una certa sfumatura di aroma e sapore.
Ed è meglio il bianco che il rosso. E già che
ci siamo scegliamo un vino pugliese, con
questo gemellagio gastronomico tra Nord e
Sud contribuiremo a ricordare l’Unità d’Ita-
lia, di cui si sta per festeggiare il 150° anni-
versario.
Grazie anche all’influsso del Rinascimento
italiano, soprattutto ad opera dei cuochi al
seguito delle regine medicee (è un luogo co-
mune ormai accettato da tutti che l’uso della
forchetta venne insegnato ai cugini d’Oltralpe
da Caterina de Medici, andata sposa a Enrico
II di Francia).
E’ poi curioso che quello che gli insegnammo
secoli dopo sono venuti a riproporcelo come
loro invenzione: infatti, un dato sicuro è quel-
lo che quando le armate francesi guidate da
Napoleone imposero la nascita della Repub-
Gustare l’Italia55
RISOTTO ALLA MILANESE CON IL BIANCO DI LOCOROTONDOIngredienti per 6 persone
600 g di riso Vialone; 150 g di burro; 120 g di Parmigiano; 80 g di midollo di bue; 1 cipolla; zafferano;
brodo di carne; sale; vino bianco.
Preparazione
Scaldare metà del burro nel tegame, unire la cipolla mondata e affettata sottilmente; lasciare che di-
venti traslucida senza prendere colore, unire anche il midollo e lasciare che si disfi. A questo punto
aggiungere il riso e lasciarlo abbrustolire, rimestando spesso con un mestolo in legno.
Mano a mano che il brodo si consuma, aggiungerne ancora. Quando il risotto sarà quasi giunto a cot-
tura, unire lo zafferano, mescolare, amalgamare e spruzzare col vino bianco.
Togliere dal fuoco, mantecare incorporando burro e formaggio e servire subito, ben caldo.
Ricett
e
Gustare l’Italia59
In gi
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La Puglia
I caraibidelle api
60Gustare l’Italia
di A
lice
Bal
estr
ini
Il Gar
gano
I piatti garganici sono sapidi e ricchi, ma
nello stesso tempo genuini e autentici, così
come sono anche le genti che abitano questa
zona generosa. Il pane, alimento cardine della
dieta mediterranea, è uno degli ingredienti
principali di numerose portate: qui lo si gusta
abbrustolito (la celeberrima “bruschetta”),
semplicemente condito col meraviglioso olio
extra vergine d’oliva locale oppure con pomo-
dorini, origano e cipolla; si tratta di uno dei più
classici antipasti “all’italiana”.
Tra le portate principali ecco le mitiche orec-
chiette con patate e rucola; la classica zuppa
di pasta e fagioli; le paste fatte a mano come
i cecatelli, da gustare insaporiti col pomodoro
fresco. Inoltre, sempre presenti, le minestre a
base di verdure fresche, come quella di cico-
rie selvatiche, con rucola e patate, con scaro-
la e cicoria o con le fave.
La carne regna sovrana tra i secondi piatti:
soppressate, salsicce, salami, capocolli… e
ancora formaggi e uova da abbinare agli im-
mancabili ortaggi locali.
E tra i vini? Nonostante il territorio sia partico-
larmente vocato alla viticoltura, questa rap-
presenta oggi solo una nicchia tra le principa-
li attività agricole. Tuttavia, impossibile non
citare i “Vini di Monte Sant’Angelo” (tra i più
antichi della zona), i “Vini di Vico” e il Moscato
Gustare l’Italia61
autoctono che - si racconta - veniva servito
sulle tavole dei Borboni.
Sono proprio certi di questi piatti e di questi
vini la prima memoria che ho a proposito del-
la terra di Puglia; premetto che sono trascor-
si parecchi anni, oramai, tuttavia ricordo an-
cora un lungo pranzo durante il quale ho
avuto modo di assaggiare numerose specia-
lità: la tiella, preparata con le patate, il peco-
rino e il pangrattato; il fragagghjamme, a ba-
se di piccolissimi pescetti crudi; il beneditte,
con uova sode, formaggio, arance affettate e
salame; le strascinate col finocchietto, una
variante delle orecchiette; ed infine la sapida
carne d’agnello.
Mi dovevo imbarcare per le vicine Isole Tremi-
ti e non volevo proprio farmi mancare nulla,
prima di intraprendere il breve viaggio alla
scoperta di questa meravigliosa riserva mari-
na che fa parte del Parco Nazionale del Gar-
gano.
L’arcipelago è composto da 5 isole: San Do-
mino (la più grande); San Nicola (dove risiede
la maggior parte della popolazione); Caprara
e Pianosa (disabitate) e il Cretaccio (uno sco-
glio di creta tra San Nicola e San Domino).
Quello che maggiormente mi incuriosiva di
questo mio primo itinerario era la fascinossis-
sima leggenda legata all’eroico condottiero
omerico Diomede.
Le isole Tremiti, infatti, sono dette anche Dio-
medee in quanto la leggenda narra che nac-
quero proprio per mano dell’acheo, che get-
tò in mare tre enormi massi portati da Troia:
ecco erigersi San Nicola, San Domino e Ca-
prara.
E ancora oggi, nelle notti di luna piena, è pos-
sibile udire l’urlo straziante dei suoi compagni
di viaggio, tramutati da Afrodite - forse per
compassione, forse per vendetta - in uccelli;
si tratta delle Diomedee (che sulle isole chia-
mano arenne), uccelli epici che emettono un
62Gustare l’Italia
lamento simile al vagito di un neonato. Appe-
na sbarcata a San Domino, l’isola maggiore e
più vocata al turismo, mi ero prenotata per
potermi recare di notte, con una barca, ad
ascoltare i garriti delle Diomedee. Per una vol-
ta la vacanza non voleva solo essere alla sco-
perta delle bellezze naturali del luogo e della
gastronomia tipica del territorio, ma mi auspi-
cavo che si tramutasse anche in una mia per-
sonalissima conquista privata: vivere in prima
persona una vera e propria leggenda, che su
queste isole mitiche si tramanda da sempre,
nei secoli.
San Domino, la “Regina delle Tremiti”, è rico-
perta da una caratteristica pineta di pini
d’Aleppo che arriva in molti punti fino alle roc-
ce a strapiombo sul mare. Io alloggiavo in una
stanza che si affacciava sul minuscolo centro
del capoluogo e, appena sbarcata, avevo in-
dividuato lì vicino il posto giusto dove fermar-
mi ad assaggiare le specialità locali: triglie,
orate e aragoste freschissime.
La sera scendeva veloce e silente, ero quasi
pronta ad imbarcarmi per andare, finalmente,
alla scoperta delle arenne di Diomede.
Seduta al tavolo della trattoria
gustavo un sapido piatto di
spaghetti con triglie e pomo-
dorini, condito con abbondan-
te olio extra vergine d’oliva, di
fronte a me un calice colmo di
un vino chiaro e freddo come
la luna che occhieggiava nello
smisurato cielo estivo.
Quando, pronta ad alzarmi,
ecco una nube ronzante avvi-
cinarsi velocemente: api im-
pazzite, ovunque. Certo, le zo-
ne del Gargano vengono anche
chiamate “Caraibi delle api”,
come dimenticarsene?
Lo sciame ci aveva terrorizzati
tutti: il patron del ristorante,
che agitava vorticosamente le lunghe brac-
cia magre per scacciare gli insetti; il ragazzo
in cucina, che correva a nascondersi in ba-
gno, sbattendo forte le porte; una coppia di
pingui avventori tedeschi molto biondi, e
molto tedeschi, che cercava rifugio sotto al
tavolo; il marinaio che doveva condurmi in
barca, sì, proprio lui, che - benché non fossi
in grado di comprendere ogni sua parola - si
allontanava a grandi falcate affermando che
non sarebbe più stato possibile uscire con la
barca.
Ecco i miei sogni infranti, niente Diomedee al
chiaro di luna, niente gita in mare.
Ma era stato tutto inutile? Avevo contempla-
to il mare di Puglia; il celeberrimo “Sperone
d’Italia” e le 53 specie di orchidee che cre-
scono nel triangolo Apicena - Monte Sant’An-
gelo - Sannicandro; le isole di Diomede e,
comunque, avevo gustato alcune tra le mi-
gliori specialità tipiche della tradizione ga-
stronomica locale.
Nonostante l’improvviso sciame d’api “dei
Caraibi”, personalmente ero molto soddi-
sfatta del mio primo viaggio in questa terra.
Il territorio incantatodelle Cento Masserie
di Crispiano
64Gustare l’Italia
di F
elic
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arat
ea
Nel cuore della Puglia, tra la Murgia e la
Valle d’Itria, si distende il paesaggio delle
Cento Masserie di Crispiano, in un suggesti-
vo percorso tra colline mediterranee e pianu-
re ricoperte da ulivi. Si incontrano kilometri
dopo kilometri, dalle più piccole masserie ru-
rali alle più imponenti strutture a corte chiusa,
con mura fortificate la cui epoca va dal 1400
alla fine dell’800. Tutto il territorio si distende
tra piante di ulivi secolari i cui frutti, per le lo-
ro qualità alimentari, terapeutiche e simboli-
che, sono da secoli considerati i doni più pre-
ziosi concessi dagli dei all’umanità. Nelle
masserie ritroviamo quello che Dante chia-
mava “il licor d’ulivi”, l’olio sia nei sapori ge-
nuini della tradizione culinaria, sia nei tratta-
menti di fito-cosmetica a base d’estratto
d’uva e olio d’oliva, due prodotti naturali con
forte azione anti-ossidante frutto di una tradi-
zione millenaria.
Ogni masseria è scrigno di tesori: tra palazzi
padronali e chiese affrescate, tra torri di ve-
detta e stalle nei trulli, tra ovili settecenteschi
e frantoi ipogei, tra aie e corti delle feste, tra
Gustare l’Italia65
apiari e piccionaie in pietra, tra profonde ci-
sterne scavate nella roccia e interminabili
muri a secco…
Con l’ambizione di valorizzare questo carat-
teristico territorio è nato il consorzio “Le Cen-
to Masserie” di Crispiano, con il compito di
promuovere l’immenso patrimonio paesaggi-
stico, culturale e gastronomico di questa ter-
ra.
Grazie all’impegno del Consorzio, in poco
tempo si è ottenuto il recupero delle masserie
storiche che, ritornando all’antico splendore,
possono vantare oggi un’offerta ricettiva in
grado di soddisfare ogni esigenza, disponen-
do sia di lussuose camere dotate di ogni con-
fort, sia di più modeste ma graziose camere
di campagna in cui è possibile rilassarsi im-
mersi nel verde e a contatto con la natura.
Cento realtà che lavorano in sinergia tra loro:
è questa la peculiarità che rende unico que-
sto luogo incantato dove è possibile, andan-
do da una masseria all’altra, visitare aziende
vitivinicole, olearie, zootecniche, casearie,
tutte di primissima qualità. In poche decine di
ettari si ritrovano tutti i tesori di questa terra
incantata che è la Puglia.
Passando di sorpresa in sorpresa ci si può
imbattere, per esempio, in un allevamento di
asini murgesi, gli stessi che hanno aiutato per
secoli gli uomini nei duri lavori dei campi,
quelli i cui antenati trasportavano i cannoni
della Prima Guerra Mondiale.
Per decenni sono stati dimenticati ed hanno
rischiato l’estinzione; oggi grazie ad alcuni al-
levatori si stanno recuperando questi anima-
li che, al contrario dei luoghi comuni, non so-
no affatto stupido e sono da alcuni addirittura
definiti medici. Infatti, oltre alle proprietà co-
smetiche ed alimentari del latte d’asina, fa-
mose fin dai tempi di Poppea, pochi sanno
che avvicinarsi ad un asino e giocare con lui
può aiutare molti pazienti con problemi psi-
cologici ; la cosidetta “onoterapia” è ricono-
sciuta scientificamente come tecnica riabili-
tativa.
Accanto alla fruibilità ricettiva, il Consorzio
offre come importante novità nel panorama
turistico regionale, la possibilità di conoscere
il territorio attraverso percorsi personalizzati e
tematici: sono itinerari gastronomici, archeo-
logici, religiosi, del benessere, oltre al carat-
teristico percorso dei briganti, primi tra tutti
quelli di don Ciro Annicchiarico e Pizzichic-
chio.
Don Ciro Annichiarico, detto Papa Giru, il
prete brigante le cui gesta hanno ispirato
scrittori di tutto il mondo. Numerosi sono i
volumi che narrano le sue prodezze: tradi-
menti, omicidi, assalti, travestimenti e tanta
passione. Visitare la caverna in cui si rifugiava
il prete brigante è solo una delle numerose
tappe di questi inimitabili percorsi, che con-
ducono il visitatore in un sentiero da scoprire,
© M
irko
Lo R
usso
66Gustare l’Italia
per ammirare le meravigliose cappelle, musei
di civiltà contadina, siti archeologici che testi-
moniano la vicinanza con la capitale della
Magna Grecia o, più semplicemente, am-
bienti rurali in cui per secoli si è alternata la
vita di poveri e nobili.
A rendere ancor più interessante il territorio
delle Cento Masserie di Crispiano, un ricco
calendario di eventi culturali, teatrali, artistici,
musicali ed equestri con importanti appunta-
menti in ogni periodo dell’anno.
Lo spirito delle iniziative territoriali è quello di
creare eventi di turismo culturale fortemente
integrati: tradizioni popolari, agricoltura, ar-
chitettura, turismo, ambiente, archeologia.
Di particolare importanza le ultime scoperte
in ambito archeologico. A Crispiano, nella
masseria l’Amastuola, è stato scoperto il pro-
babile punto di contatto tra i Greci e le popo-
lazioni indigene e, invertendo le teorie note
sulla conquista Greca, pare che i due popoli
condividessero pacificamente il villaggio.
Una scoperta di rilevanza storica senza pre-
cedenti sul territorio fatta dall’Università di
Amsterdam che ha condotto gli scavi e che,
dopo averne riconosciuto l’importanza scien-
tifica, porta la necessità di trasformare le te-
stimonianze del passato, un passato glorio-
so, in una risorsa per il presente. Un parco
archeologico quindi che possa mirare da un
lato a valorizzare le risorse insite nel parco, e
dall’altro generi sviluppo economico intorno
all’archeologia.
Oggi più che mai conoscere le radici e i valo-
ri più antichi rappresenta un patrimonio ine-
stimabile perché quello che si trova nel sotto-
suolo archeologico è speculare al presente,
lo arricchisce e lo alimenta. Si tratta quindi di
creare qualcosa di vivo, qualcosa che instau-
ri un circolo comunicativo con il presente, al-
lora sì che la scoperta diventa arricchimento
per tutti i cittadini. Per questo è stato creato
il percorso della Magna Grecia che trasporta
gli ospiti nel mondo classico dai Greci fino ai
Gustare l’Italia67
Romani con una parte di acquedotto ipogeo
percorribile a piedi.
Gianpaolo Cassese, Vice Presidente del Con-
sorzio, dichiara: “La nostra passione per la
campagna ed il nostro impegno nelle produ-
zioni agroalimentari di qualità si traduce oggi
in una nuova opportunità di sviluppo: il rilan-
cio turistico delle masserie, contenitori di sto-
ria, cultura e tradizione”.
Pierpaolo Palmisano, tesoriere: “Il territorio di
Crispiano aspettava da 20 anni un soggetto
giuridico che si facesse carico della promo-
zione dell’intero territorio attraverso azioni
concrete ed obiettivi precisi. Una lunga attesa
che si è concretizzata nel Consorzio. La mia è
anche una soddisfazione generazionale, in
quanto mio padre fu tra gli ideatori del brand
delle Cento Masserie”.
Il Presidente Antonio Prota, soddisfatto dei ri-
sultati già raggiunti: “Il Consorzio è stato cre-
ato per dar voce a un territorio splendido del-
la Puglia, che ha lasciato nei secoli quelle
testimonianze meravigliose ed uniche della
presenza dell’uomo. La mission del Consor-
zio è quella di aprire le masserie ai turisti alla
ricerca di antiche tradizioni gelosamente con-
servate per far conoscere un’area ricca di
unicità, fuori dai consueti percorsi. Imperdibi-
le poi la possibilità di assaporare prodotti fre-
schi e appena raccolti in un tour gastronomi-
co di sapori esaltati dal nostro elisir di lunga
vita: l’olio extravergine”.
I tesori della Valle d’Itria
68Gustare l’Italia
di C
ino
To
rto
rella
Chi non conosce quella parte d’Italia che
da Bari arriva a Santa Maria di Leuca segua il
nostro consiglio: cancelli la prenotazione per
le Maldive o per Mauritius e parta per una,
due, cinque settimane, un anno sabbatico
lungo le sue coste o nell’interno.
Scoprirà il mondo fantastico delle rocce a pic-
co sul mare del canale di Otranto, gli alberi
millenari della Selva di Fasano, la magia di
Ostuni, bianca regina degli ulivi, la preistorica
Grotta dei Cervi di Porto Badisco, il mistero
dei dolmen e dei menhir di Calimera, il fascino
barocco di Lecce, il silenzio incantato delle
Grotte di Castellana, la poesia dei trulli di Al-
berobello.
Se poi è anche un autentico gourmet, il piace-
re sarà ancora più grande perché poche re-
gioni d’Italia sono ricche di tesori gastrono-
mici come questa.
Dai vini agli oli agli ortaggi ai legumi ai cereali
alle carni ai latticini, dovunque è una scoperta
di sapori, di profumi, di aromi esaltati da una
cucina che risente le influenze dei popoli che
qui si sono succeduti nel corso della storia:
© G
iann
i Ren
na
Gustare l’Italia69
messapi, greci, romani, normanni, svevi, ara-
bi, saraceni, francesi, spagnoli, borboni… so-
no tornato qualche settimana fa nella Valle
d’Itria, detta anche Murgia dei trulli, dove si
producono i migliori formaggi e latticini del
mondo; per chi ama questi prodotti siamo
nell’Eldorado, nella Shangri-là, nel regno dei
sogni. Mi ha fatto da cicerone Saverio Butti-
glione, un produttore televisivo di Putignano.
Con Saverio siamo dunque partiti per una full
immersion nella Valle che prende il nome dal-
la Madonna nera di Odegitria (“colei che indi-
ca la strada”) venerata nel rito bizantino.
In una splendida giornata di sole ci appare
tutto il suo fascino, da Locorotondo a Cister-
nino a Martina Franca, un paesaggio incanta-
to in tre tonalità: l’azzurro violento del cielo, il
verde dei mandorli, dei fichi, degli ulivi cente-
nari, il bianco accecante degli antichi tratturi,
delle masserie, dei trulli.
“Sono circa 25000”, mi dice Saverio, “i trulli
sparsi nella vallata perché le proprietà non so-
no molto grandi; anticamente i potenti latifon-
disti concedevano in enfiteusi un tomolo (po-
co meno di un ettaro di terra) che i contadini
avevano il compito di dissodare per renderlo
coltivabile; con le pietre recuperate creavano
i muretti per delimitare la proprietà e costrui-
vano i trulli sovrapponendole a secco nella
caratteristica forma conica secondo la tecni-
ca importata forse dagli arabi”. Ogni appez-
zamento aveva perciò il suo trullo e il numero
delle cupole aumentava con l’aumentare del-
la famiglia. Si è creata così nel tempo una
parcellizzazione del terreno condiviso fra
molti proprietari: con tutti i vantaggi (la perso-
nalità dei prodotti) e gli svantaggi (lo scarso
guadagno) connessi.
Il GAL, Gruppo di Azione Locale, si è costitu-
ito appunto per salvaguardare queste realtà
locali che altrimenti sarebbero destinate a
scomparire con il loro carico di tradizione e
cultura che rappresenta l’identità stessa della
gente del posto.
70Gustare l’Italia
Fortunatamente stanno nascendo un po’ in
tutta Ia regione gruppi, formati in prevalenza
da giovani che, assieme alla salvaguardia dei
prodotti gastronomici, riscoprono e riprendo-
no le antiche usanze, ristrutturano i siti storici
abbandonati, proteggono aree naturali, recu-
perano attività dimenticate.
detto Pippobbaudo, dove si lavorava ancora
come decine di secoli fa; il formaggio, per
esempio, è fatto ancora con la cagliata ani-
male, procedimento proibito dalla Comunità
Europea; ma Mimino, alle obiezioni di chi in-
vocava igiene, modernità, praticità risponde-
va: “Per me quello che conta è la prova del
nonno”. Vale a dire che ciò che ha
fatto bene al nonno (morto a 96 an-
ni) deve fare bene anche ai nipoti”.
Come dargli torto?
Il trionfo dei latticini a pasta filata lo
incontriamo oggi alla Masseria Fra-
gnite che prende il nome dai fragni,
le querce dalle foglie rosse che na-
scono solo nella valle d’Itria. Que-
sta masseria ha aperto il suo nego-
zio dove si possono acquistare
direttamente i prodotti eliminando i
molti passaggi fra produttore e
consumatore; si ha così un guada-
gno che permette la sopravviven-
za. Cosimo Coliandro, i titolare, ci
mostra i suoi animali: 133 capi fra i
quali 26 bufale.
La Fragnite è l’unica masseria pu-
gliese dove si fanno anche le moz-
zarelle di bufala assieme ad altre
numerose tipologie di formaggio che Cosimo
descrive come se si trattasse di rari tesori
d’arte (e forse lo sono) suggerendo anche il
modo di assaggiarli: il cacioricotta ottenuto
con latte di capra e pecora, da grattugia, leg-
germente stagionato, sulla pasta, perfetto
con le orecchiette al sugo di pomodori freschi
(dette “fiaschette” per la forma) che maturano
in questa stagione; la ricotta asckuante (che
brucia) nata dall’esigenza delle massaie di
non gettare nemmeno la ricotta inacidita, anzi
più è piccante più è gradita perché fa bene al-
la circolazione ed è anche afrodisiaca (prova-
tela su una fetta di pane abbrustolito bevendo
Latticini in trionfo
Mi porta a visitare alcune masserie che hanno
ripreso fiato e continuano a produrre gi straor-
dinari latticini che hanno reso famosa la Valle
d’Itria. La maggior parte dei bovini qui è di
razza bruna pugliese, un incrocio tra la Podo-
lica (una razza quasi selvatica abituata ai ter-
reni non facili e ai pascoli stenti della Murge) e
la Bruna Alpina, di grande produttività; le ca-
pre sono altamurane, famose oltre che per il
latte, per la lana grezza e ruvida con la quale
un tempo si riempivano i materassi.
Ho ancora nel ricordo i favolosi latticini che
produceva alla Masseria Bilanciara Mimino
Gustare l’Italia71
un Primitivo di Manduria); la burrata, un’inven-
zione degli inizi del secolo scorso, ottenuta
soffiando all’interno della pasta delle mozza-
relle fino a farne una sorta di palloncino da ri-
empire con panna e straccetti di mozzarella
(una volta i casari soffiavano con la bocca ma
oggi, per la tranquillità della Comunità Euro-
pea, ci sono degli strumenti appositi); le giun-
catelle che venivano poste nei caratteristici
canestri di giunco (i quali danno i nome anche
al canestrato di Puglia), le pampanelle avvolte
nei pampini dell’uva, i primosale, le scamorze,
le caciotte, gli stracchini, fino ai caciocavalli
così chiamati forse perché, legati a due a due,
vengono messi a maturare a cavalcioni di un
legno.
Sono le stesse delizie che si ritrovano in quei
ristoranti dove l’orgoglio regionale è vivo, per
esempio l’Antica Locanda, un bel palazzo del
Settecento, all’inizio del
centro storico di Noci,
in provincia di Bari.
Pensavo di conoscere
tutto della cucina pu-
gliese, ma ho dovuto ri-
credermi. Nelle ore tra-
scorse alla Locanda di
Pasquale Fatalino, pa-
tron e cuoco, ho fatto
un lungo viaggio nella
più antica (e dimentica-
ta) gastronomia delle
Murge, nelle radici della
cucina povera, nell’anti-
quariato di sapori, ripor-
tati alla luce con una
puntigliosa ricerca filo-
logica.
Eravamo andati alla Lo-
canda per i Fricelli con
melanzane e ricotta (fru-
scidd ch’mulungiane e
ricott), ma siamo stati abbordati da una serie
di assaggi uno più straordinario dell’altro. Ol-
tre ai salumi, alle mozzarelle, alle burrate, alle
zucchine marinate, ai carciofini sott’olio, ecco
cibi di cui avevo fino ad oggi ignorato l’esi-
stenza: le sporchie per esempio, parassiti del-
le fave che se non vengono tolti possono far
morire la pianta cui si attaccano.
Anziché buttarle, nelle Murge hanno imparato
a cucinarle lessate e condite con fortissimi
aceto, aglio e mentuccia; hanno un sapore
che ricorda gli asparagi, ma con una gradevo-
le violenza.
Oppure le cime di vign, i viticci delle viti che,
bolliti, vanno accompagnati con un purè di fa-
ve e hanno un sapore intenso e piacevolissi-
mo; i lampascioni fritti al vincotto di fichi e
uva, le cicuredd azzise (le cicorielle sedute nel
brodo di pollo).
72Gustare l’Italia
Finalmente sono arrivati i frusciddi - un tipo di
pasta fatta in casa - che abbiamo mangiato
secondo la tradizione delle Murge con (altra
scoperta) lu spingituro: un insieme di finoc-
chi, sedano, ravanelli, cime di cicorie, carote,
che si sgranocchiano ogni tre o quattro for-
chettate di pasta, e serve - assicurano gli an-
ziani - a favorire la digestione.
La ricotta sapida e profumata della masseria
Don Giulio accarezza e avvolge i frusciddi e
ne fa un piatto di rara perfezione; per esaltar-
lo Francesco Notarnicola, il sommelier, gli ab-
bina un vino del grande Cosimo Taurino: lo
straordinario Patrignone del ’95 rosso rubino
cupo, dal profumo largo e po-
tente che continua in bocca sen-
za cedimenti; una delle più gran-
di creazioni del Sud degli ultimi
anni.
Un altro importante appunta-
mento per gustare i latticini lo
abbiamo avuto al Già sotto l’ar-
co, di Carovigno, in provincia di
Brindisi.
Sono ritornato con grande pia-
cere in questo ristorante al pri-
mo piano di una casa signorile
del XVIII secolo nella piazza prin-
cipale del perfetto borgo domi-
nato da un castello quattrocen-
tesco da poco ristrutturato.
Se alla Locanda di Noci siamo in
contatto con la tradizione più
severa e autentica, qui si vive il
futuro reinventato con fantasia.
La cucina di questo delizioso lo-
cale assomiglia a Teresa, la sola-
re vestale dei fornelli. Lei e il ma-
rito Teodosio detto Tosio, maître
e sommelier, in pochi anni, inco-
minciando da zero, si sono im-
posti come una delle più interes-
santi realtà della gastronomia pugliese anche
sulle guide ufficiali.
I molti ristoratori del Sud incapaci di capire
cosa offre la loro terra dovrebbero provare ad
assaggiare i Perciatelli con ricotta al finoc-
chietto, i Ravioli di melanzane con salsa al ti-
mo, le Fave e cicoria con peperoni dolci cu-
cinati per noi.
Tosio ha perfezionato questo piatto abbinan-
dolo al Teresa Manara prodotto da Cantele,
uno Chardonnay fresco, fruttato, di buon vi-
gore e di grande personalità, dove il legno
della barrique è presente in perfetto equili-
brio.
Gustare l’Italia73
Burrata imperiale
Il nostro tour gastronomique termina al Melo-
grano, l’antica masseria fortificata di Monipoli,
che oggi è un rifugio di assoluta bellezza chiu-
so fra cielo e ulivi.
Camillo Guerra, vero gentiluomo del Sud col-
to e raffinato, lo ha acquistato negli anni No-
vanta, sotto forma di rudere e lo ha trasforma-
to nell’hotel più sofisticato ed esclusivo senza
alterarne le linee originarie.
Guerra, innamorato dei prodotti della sua ter-
ra, dai più umili ai più preziosi, ma anche
grande viaggiatore, ha scelto, fra i latticini che
confeziona giornalmente il suo casaro Anto-
nio, la burrata, per creare in ricordo di un suo
viaggio a San Pietroburgo, un piatto ispirato ai
blini russi, ottenuto dall’accostamento di pan-
na acida e caviale. Per riprodurlo procuratevi
la vera, autentica, inarrivabile burrata della
Valle d’Itria, lasciatela inacidire un giorno o
due fuori dal frigorifero, unitevi il caviale più
pregiato, gustate tutto ad occhi chiusi apprez-
zando l’esotica sensazione di trovarvi nello
stesso istante in Russia e nelle Puglie.
Comunque, su suggerimento dell’ottimo
maître Nicola, anziché pasteggiare a Vodka ci
siamo accontentai, si fa per dire, di una Ver-
deca dell’azienda Botromagno di Gravina con
grande soddisfazione.
Dopo cena Camillo Guerra mi conduce sul li-
torale nei pressi di Savelletri per mostrarmi
un’altra sua creazione: la trasformazione di
un’antica “peschiera” (le peschiere erano nei
secoli scorsi le riserve di pesca per gli aristo-
cratici), appartenuta ai Borboni, in un com-
plesso alberghiero unico in Italia: una nave di
pietra con dodici camere, dotate del più mo-
derno e rivoluzionario impianto di talassotera-
pia a cielo aperto.
Dormo in una delle bellissime suite con gli
spruzzi del mare che battono sui vetri e ralle-
grano il mio sonno.
© G
iann
i Ren
na (2
)
Olio d’oliva,pozionemagica
per grandie piccoli
74Gustare l’Italia
di P
ietr
o Z
ito
“L’olio extravergine di oliva - e in particola-
re quello del Sud - è una difesa contro gran
parte delle malattie a cominciare dal cancro;
è alla base della corretta alimentazione per
contrastare il drammatico problema dell’obe-
sità infantile; è di grande aiuto per vivere una
vecchiaia serena e felice”
Da queste parole, pronunciate dal Prof. Schit-
tulli durante una trasmissione televisiva, è nata
l’idea di avviare i progetti “Un ulivo per la vita”
e “Olibimbo” dei quali il Professore sarà testi-
monial, “Gustare l’Italia” e il proprio sito (www.
gustarelitalia.it) gli organi d’informazione.
Un ulivo per la vitaNasce dalla considerazione della difficoltà
che incontrano i produttori meridionali per
promuovere e valorizzare i frutti del proprio
lavoro; non è una novità che in Italia chi la fa
da padrone sono i grandi produttori e le mul-
tinazionali, indifferenti alle esigenze dei con-
sumatori e delle piccole società che ottengo-
no olii pregiati con notevoli sacrifici.
“Di quando in quando vengono fatte inchieste
giornalistiche, vengono rese note autorevoli
dichiarazioni di uomini politici, poi tutto torna
come prima. E i produttori italiani, quelli seri
ed onesti, rischiano di venire soppiantati da
turchi, tunisini, marocchini, perfino dagli ulivi-
cultori della California da poco affacciatisi sul
mercato”.
È perciò avvertita l’esigenza di promuovere
azioni concrete per aiutare chi fra mille diffi-
coltà continua a fare il suo lavoro per garan-
tire un prodotto unico al mondo.
Il progetto “Un ulivo per la vita” va incontro
appunto a questa esigenza. Il proposito è ab-
bastanza semplice: chiedere ai piccoli pro-
duttori di riunirsi in consorzio e di continuare
a garantire un prodotto di sicura qualità da far
conoscere attraverso canali di informazione
quali giornali, televisioni, internet, invitando i
Gustare l’Italia75
consumatori ad adottare gli ulivi del Meridio-
ne per assicurarsi quell’olio così prezioso per
la cucina e la salute.
Sarà un utile strumento per valorizzare e so-
stenere l’agricoltura meridionale, ma anche
un interessante aiuto per lo sviluppo del turi-
smo in regioni ricche di bellezze naturali ed
artistiche troppo spesso ignorate o dimenti-
cate. A partire dal prossimo numero, “Gusta-
re Italia” fornirà tutte le informazioni che per-
metteranno ai nostri lettori di aderire
all’iniziativa e poter:
• ricevere un olio di grande qualità provenien-
te da zone famose per la fragranza delle loro
olive, garantito oltre che dalla serietà dei pro-
duttori, dal marchio D.O.P (di origine protetta)
• pagare una prezzo conveniente
• contribuire a sostenere la Lega per la lotta
contro i tumori del Presidente Schittulli, testi-
monial del progetto “Un ulivo per la vita”.
OlibimboIl progetto nasce dalla considerazione dell’im-
portanza dell’uso dell’olio in una corretta ali-
mentazione per combattere il problema
dell’obesità infantile che vede la nostra nazio-
ne al primo posto in Europa.
PROF. FRANCESCO SCHITTULLIPresidente della Lega Italiana Lotta contro i tumori,laureato in Medicina e Chirurgia, specializ-
zato in Chirurgia Generale e in Oncologia con il massimo dei voti e la lode, è stato eletto più
volte consigliere all’Ordine dei Medici di Bari. Già consigliere nazionale della Società Italiana di
Chirurgia Oncologica e Direttore della Scuola Speciale di Senologia Chirurgica, è stato docen-
te universitario dapprima alla Facoltà di Medicina e Chirurgia
dell’Università di Foggia e poi alla Scuola di Specializzazione
in Oncologia dell’Università di Bari e al corso di specializzazio-
ne in Oncologia all’Università Tor Vergata di Roma. Direttore
Scientifico dell’Istituto Oncologico di Bari dal 1993 al 1997, è
dal 1993 componente della Commissione Oncologica Nazio-
nale del Ministero della Salute. Attualmente ricopre l’incarico
di Presidente della Provincia di Bari
76Gustare l’Italia
Il dato risulta da un’indagine del Consiglio
Nazionale delle Ricerche dei primi mesi del
2007: il 35% dei nostri figli è in sovrappeso
(contro il 20% degli inglesi, il 19% dei france-
si, il 14% dei tedeschi) e le cause (a parte
malformazioni congenite) sono le stesse più
volte denunciate: scarsa attenzione nel pro-
blema da parte delle famiglie, poca attività fi-
sica, alimentazione scorretta; le tre A: Ali-
mentazione, Aria aperta, Amore.
La fascia d’età più colpita è quella tra i 6 e 13
anni e i maschi sono i più interessati rispetto
alle coetanee. Per quanto riguarda la distribu-
zione sul territorio il problema aumenta da
Nord (un bambino su quattro) a Sud (un bam-
bino su tre).
I dati del C.N.R. dovrebbero seriamente pre-
occupare le famiglie e la Società se si consi-
derano i rischi che corrono i piccoli afflitti da
problemi di sovrappeso: diabete, ipertensione,
infarto, malformazioni ossee, ictus,
varie forme di tumore, oltre a riper-
cussioni psicologiche pericolose
(l’obesità comporta spesso una di-
minuzione dell’autostima e persino
sindromi depressive).
Preoccupata attenzione dovrebbe
essere data anche dal Governo se
si tiene conto di quanto un obeso
pesa sull’economia di una nazione
in termini di cure (negli Stati Uniti
117 miliardi di dollari, molto più che
per l’istruzione).
E’ dunque di questo gravissimo
problema che ci occuperemo su
“Gustare l’Italia” con l’iniziativa che
abbiamo chiamato “Olibimbo” pro-
prio perché l’olio dovrebbe essere
alla base di una sana alimentazio-
ne, una delle armi più efficaci per
combattere l’obesità infantile.
Certo la mancanza di movimento,
di giochi all’aria aperta, di sport hanno anche
una forte incidenza: troppe ore passate da-
vanti ai computer, ai videogiochi, alla televi-
sione da bambini costretti agli arresti domici-
liari (soprattutto nelle città) per mancanza di
luoghi dove poter giocare o praticare sport,
ma una alimentazione scorretta è molto più
devastante.
Eppure ci vorrebbe molto poco per correg-
gerla (oltretutto risparmiando). I genitori che
si preoccupano per le tre lineette di febbre o
per qualche colpo di tosse restano indifferen-
ti ad un aumento di peso dovuto non soltanto
ad un forte appetito del bambino ma ad una
alimentazione sregolata: “ Che male c’è se il
bambino è un po’ cicciottello? In fondo è an-
che più simpatico … e poi crescendo si rego-
larizzerà...”. E non si rendono conto che stan-
no condannando il loro figlio adorato ad un
drammatico futuro.
Gustare l’Italia77
Olibimbo farà suonare il campanello d’allar-
me nelle famiglie le metterà di fronte alle loro
responsabilità; le inviterà a preoccuparsi in
modo determinante di come nutrire i propri
figli obbligandoli a rinunciare a tutto ciò che
anche se piacevole e appetitoso, può dan-
neggiare la loro salute (non trascurando pe-
raltro l’importanza dell’attività fisica).
Si comincerà proprio dal Sud dove l’inciden-
za di obesità infantile è più alta, nella regione
dove è nata la dieta mediterranea che ha al-
la base delle sue ricette proprio l’olio extra-
vergine d’oliva, la ricchezza della Puglia.
Il fatto è che, su richiesta delle autorità poli-
tiche italiane e spagnole, la “mediterranean
diet” sta per essere inclusa dall’Unesco nel-
la lista dei Patrimoni mondiali dell’Umanità,
apprendiamo, su denuncia della FAO che
proprio nei paesi mediterranei si sta pro-
gressivamente abbandonando.
Incredibile: tutti d’accordo gli esperti che la
dieta mediterranea oltre a far vivere a lungo
mantiene snelli e in buona salute, eppure è
sempre più ignorata proprio dalle popolazio-
ni che l’hanno inventata.
I paesi europei hanno ignorato le direttive
dell’OMS (Organizzazione Mondiale della
Sanità) e della FAO le quali raccomandano
che i grassi non devono rappresentare più
del 30% dell’apporto energetico giornaliero
totale e questo cambio delle abitudini ali-
mentari è dovuto non solo all’aumento delle
condizioni economiche ma anche a fattori
come il lavoro delle donne che hanno meno
tempo per cucinare e le famiglie mangiano
fuori casa più frequentemente e spesso in ri-
storanti fast food.
Allo stesso tempo il fabbisogno calorico è
calato, la gente fa meno moto e si è passato
ad uno stile di vita molto più sedentario.
“Gustare l’Italia” darà la parola ad illustri
esperti in scienze dell’alimentazione e un
impegno molto importante sarà quello di
chiedere al Ministro della Pubblica Istruzio-
ne di seguire l’esem-
pio di altre nazioni
europee, fra cui la
Francia, che da anni
hanno introdotto nelle
Scuole Elementari e
Medie Inferiori una
materia di “avviamen-
to al gusto” per sti-
molare la sensorialità
del bambino e aprire i
suoi orizzonti gastro-
nomici e di porre più
attenzione sulle scel-
te effettuate nelle
mense scolastiche
perché l’educazione e
la salute dei bimbi
passa anche da lì.
78Gustare l’Italia
di F
elic
e M
arat
ea
Qualche volta mi domando per quale de-
formazione mentale molti italiani vanno in gi-
ro per il mondo alla ricerca di emozioni eso-
tiche quando a due passi da casa c’è
ancora tanto da scoprire.
Giro l’Italia da oltre quarant’anni e ho per-
corso migliaia di chilometri, penso di cono-
scere bene il mio Paese anche negli angoli
più nascosti, nelle sue bellezze più esclusi-
ve, nei cibi, nei vini, nelle sue proposte ga-
stronomiche più umili e più raffinate, eppure
mi trovo sempre di fronte a emozionanti sor-
prese.
Una terra dalla mia predilezione che credevo
non avesse più segreti per me è la Puglia,
dove ritorno sempre con piacere perché la
bellezza dei luoghi e la bontà della cucina si
sposano con il carattere della gente genero-
sa, gioviale, sincera, gente per la quale co-
me nel mondo sognato da Zavattini “buon-
giorno vuol dire davvero buongiorno”
Eppure mi è capitato non molto tempo fa di
scoprire in un paese di cui ignoravo l’esi-
stenza, una manifestazione che in un’altra
parte d’Italia o in un’altra nazione avrebbe
un rilievo clamoroso: mi sono trovato a
Scorrano, un piccolo paese in provincia di
Lecce a pochi chilometri da Otranto la bella
città più a oriente di tutta Italia, la città che
ogni mattina riceve per prima il sole del nuo-
vo giorno.
Mi era stato chiesto di dare il via ai tradizio-
nali festeggiamenti per la festa patronale di
Santa Domenica, la protettrice del paese,
che si svolge ogni anno da ormai quattro se-
coli dal 5 al 7 luglio; avrei dovuto premere un
pulsante per dare il via ai fuochi artificiali pi-
rotecnici e poi all’accensione delle luminarie
che erano state predisposte nel centro stori-
Scorrano
co. Mi aspettavo di assistere ad uno dei tan-
ti avvenimenti già visti molte volte in altri pa-
esi e città di Italia e anche all’estero, ma
appena premuto il pulsante mi trovai immer-
so in uno spettacolo che non aveva parago-
ni con nessun altro vissuto nella mia vita. Fui
aggredito ed esaltato da un esplosione piro-
Gustare l’Italia79
fu quando premetti il pul-
sante che fece accendere il
milione e mezzo di lampa-
dine della luminaria.
Come mi fu poi raccontato
è uno spettacolo che si ri-
pete in modo sempre nuo-
vo ed originale; due ditte di
Scorrano si sono specializ-
zate nel corso degli anni fi-
no a raggiungere dei vertici.
Trascorrono la maggior par-
te dell’anno richiesti da
ogni parte in modo partico-
lare dall’oriente: Giappone,
Corea, Thailandia, ma per
Santa Domenica ritornano
a casa per far rivivere ai
compaesani la magia che
non ha eguali.
Se uno spettacolo così si
fosse svolto a Toronto, a
Dallas o a Cincinnati ci sa-
rebbero stati articoli sui
giornali, riprese televisive,
interviste agli organizzatori;
si è svolto a Scorrano, in
provincia di Lecce, nel pro-
fondo Sud, e non se ne è
accorto nessuno se non gli
abitanti del paese e dei din-
torni.
Così vanno le cose a casa
nostra. “Gustare l’Italia” si
propone di puntare di volta
in volta i riflettori su queste realtà incredibil-
mente ignorate o trattate con sufficienza.
Abbiamo chiesto ad una ragazza figlia di
un’illustre emigrato di Scorrano di racconta-
re con sue parole e la sua sensibilità di di-
ciassettenne le “luminarie” di Santa Dome-
nica. Ed eccovi il suo racconto.
tecnica unita in modo perfetto a musiche
classiche; assistetti sbalordito ad un con-
certo fantastico di note che diventavano luci
e le luci musica. Trascorsero trenta minuti
davvero esaltanti, emozionanti, magici; ma
la sorpresa non si esaurì in quello; da li a po-
co avrei vissuto un’altra intensa emozione:
80Gustare l’Italia
Un attimo, un interminabile attimo di me-raviglia in cui gli occhi si spalancano e se-guono centinaia di luci colorate che si ac-cendono rincorrendosi freneticamente fino a formare meravigliosi merletti sullo sfondo della notte. Il cielo diventa tela e la luce pen-nello; insieme modellano lo spazio regalando sensazioni che fanno vibrare il cuore dello spettatore che in quell’attimo si trova coin-volto, cosciente di far parte di un opera d’ar-te, parte integrante di un dipinto. La luce diventa arte sapiente di disegnare le luminarie. Non esiste festa patronale senza le lumina-rie, e nel Salento sono imprescindibili. Per dare verbalmente importanza alla festa si attribuisce la definizione di “festa cu li pali” cioè “festa con i pali” (i pali di legno, base
di G
inev
ra C
atam
o
Dal Salentoarte luminosaper il mondo
portante delle luminarie), rendendola così più prestigiosa e sentita. Non esiste e tantome-no non è pensabile un Santo Patrono a cui non viene fatta la festa “cu li pali”, e per un anno intero il popolo devoto lavora per trova-re sostegno economico per dimostrare al suo Santo la devozione. E così luminarie bel-lissime addobbano strade, piazze e sagrati. La realizzazione è preceduta dalla progetta-zione da parte di esperte mani di artisti che disegnano prima su carta, utilizzando matite colorate per imitare i colori delle luci, seguita dalla produzione di una miniatura in legno. A questo punto si costruisce l’intera struttura in telai, come un puzzle, da montare pezzo per pezzo nella piazza o strada che sia. Il le-gno usato è l’abete, facile al taglio (intaglio), robusto e di giusto peso. Non è tutto così semplice come potrebbe sembrare: dietro le quinte c’è un grande la-voro di veri artisti, persone che hanno un grande senso della prospettiva e uno squisi-to gusto cromatico. Vedere montare una lu-minaria lascia stupiti. Guardare gli addetti al montaggio attaccati a dei pali altissimi, con il compito di assembla-re i vari pezzi, fa pensare agli Indiani d’Ame-rica impiegati nella costruzione dei grattacie-
Gustare l’Italia81
li che si muovono sicuri e con rapidità. Di giorno queste strutture sembrano enormi re-alizzazioni di candido pizzo poiché le lumina-rie spente e alla luce del sole sono bianchis-sime; la struttura in legno è dipinta di bianco per riflettere nel buio il bagliore della luce. Chissà quando sono nate le luminarie e chi è stato il primo a farne uso. In antichità al po-sto delle lampadine si usava il carburo di acetilene, messo in contenitori appoggiati sull’estremità delle strutture. Si possono im-maginare i problemi causati alle persone che passeggiavano al di sotto nel momento in cui uno di questi contenitori , per un colpo di vento, si rovesciava! Le moderne lampadine collegate a sistemi elettrici non hanno fatto perdere l’amore per la realizzazione artigianale delle luminarie. Le lampadine vengono tutt’ora dipinte a mano con vernici particolari e successivamente cotte per poter avere brillantezza e traspa-renza, che con grande pazienza vengono montate una ad una per dare vita a fiori, tri-bali, rosoni e arabeschi.Scorrano, nel Salento, è il simbolo delle lumi-narie, è il luogo dove devozione ed effimero si uniscono per dare spettacolo alla più gran-de manifestazione religiosa. A Scorrano lu-minarie altissime inglobano tutto il centro storico, creano un contenitore da favola do-ve lo spettatore è quasi stordito da tale ma-estosità e armonie cromatiche per la festa della Patrona Santa Domenica. La devozio-ne per la Santa risale agli inizi del 1600, quando il flagello della peste stava deciman-do la popolazione. Santa Domenica apparve presso la porta del paese e debellò il flagello. Chiese ad ogni cittadino guarito di accende-re una lampada ad olio sul davanzale della propria finestra. E fu così che tutta Scorrano si copri di luci e il male che affliggeva il pae-se fu estirpato. La tradizione continua ancora oggi per tutta la durata della festa: per tre giorni ogni casa lascia la luce esterna accesa e durante la processione dei lumini segna il percorso.
Nella zona nascono due delle più famose dit-te di luminarie, Mariano e De Cagna, e per questo appuntamento patronale annuale lo sforzo creativo, direttamente proporzionale alla devozione, le spinge a superarsi anno dopo anno, sempre diverse e sempre più spettacolari e imponenti.Vengono utilizzate oltre un milione e mezzo di lampadine tutte collocate in scenografie pirotecniche musicali che precedono il mo-mento più atteso dai devoti: l’accensione delle luminarie, che avviene storicamente per questa festa ogni anno allo stesso giorno e alla stessa ora.Non esiste Autorità o personaggio che sposti questo appuntamento: ci si trova tutti insie-me in piazza alle 21.00 del 5 luglio per vivere l’accensione, che non sarà solo delle luci ma anche delle emozioni, nell’attimo esatto in cui un grande dipinto investe tutti quanti co-lorando anche l’anima. Festa grande il 6. L’epilogo il 7. Questi sapientissimi artisti, quasi sconosciu-ti in Italia, subito dopo la festa smontano de-licatamente il tutto, pezzo per pezzo, ed esportano quest’arte luminosa in giro per il mondo: New York, Cina, Giappone, Corea... dove li conoscono bene e li apprezzano ade-guatamente.
La notte della Taranta
82Gustare l’Italia
del
la R
edaz
ione
Non si tratta solo del più grande festival
musicale dedicato al recupero della pizzica
salentina e alla sua fusione con altri linguaggi
musicali che vanno dalla world music al rock,
dal jazz alla sinfonica, dal reggae all’elettroni-
ca, ma è soprattutto un esperimento riuscito
della buona politica che vive e si afferma an-
che nel Sud Italia.
Nato nel 1998 su iniziativa dell’Unione dei Co-
muni della Grecìa Salentina e dell’Istituto Die-
go Carpitella, su impulso di numerosi giovani
amministratori guidati dall’Assessore alla cul-
tura prima e sindaco di Melpignano poi Sergio
Blasi (che si definisce “la madre della Notte
della Taranta, perché solo la madre è certa”),
in questi anni il festival è cresciuto di dimen-
Dopo Daniele Sepe, Piero Milesi, Stewart Copeland, Vittorio Cosma, Ambrogio Sparagna e
Mauro Pagani sarà il pianista e compositore Ludovico Einaudi il Maestro Concertatore della
Notte della Taranta che torna nel Salento dal 13 al 28 agosto.
sioni e prestigio culturale. Dalle pioneristiche
prime edizioni ospitate da Piazza San Giorgio
nel centro storico del piccolo comune di Mel-
pignano, che ha poco più di 2mila abitanti, in
pochi anni si è arrivati a superare le 130mila
persone che assiepano ogni anno fin dal po-
meriggio il Piazzale dell’Ex Convento degli
Agostiniani.
La pizzicaLa “pizzica” è la musica che scandiva l’antico
rituale di cura dal morso immaginario della ta-
rantola, il pericoloso ragno velenoso. La tradi-
zione vuole che per liberare la vittima, di solito
una donna, si suonassero incessantemente i
tamburelli a ritmo vorticoso finché non veniva
Gustare l’Italia83
sciolta dall’incantesimo. Al suono dei tambu-
relli si accompagnava un ballo ossessivo e ri-
petitivo, che contribuiva ad esaurire il veleno.
Questa tradizione, dopo anni di oblio, è torna-
ta alla ribalta grazie all’impegno di molti musi-
cisti e studiosi o semplici appassionati, come
il regista Edoardo Winspeare che con i suoi
primi film (Pizzicata e Sangue Vivo) ha portato
la pizzica sugli schermi di mezza Europa.
Nel 1998 tutto questo fermento culturale e
musicale diede vita alla Notte della Taranta,
che distante dalle sofferenze delle tarantate, è
un vero e proprio happening musicale, mo-
mento di gioia e danza collettiva.
L’edizione 2010La tredicesima edizione della Notte della Ta-
ranta partirà il 13 agosto con il Festival itine-
rante, che precederà il concertone finale di
Melpignano, (con la consueta pausa del 15
agosto) nelle piazze dei comuni della Grecìa
Salentina (Calimera, Carpignano Salentino,
Castrignano dei Greci,
Corigliano d’Otranto,
Cutrofiano, Martano,
Martignano, Soleto,
Sternatia e Zollino), di
Alessano, Galatina e
Cursi.
Il Festival ospiterà, co-
me ogni anno, alcuni
dei gruppi più rappre-
sentativi della scena
della pizzica salentina
e numerosi progetti
speciali frutto delle
collaborazioni sempre
più frequenti tra i grup-
pi salentini di ripropo-
sta e musicisti di altra
estrazione geografica
e culturale.
Sabato 28 agosto gran finale con il Concerto-
ne che quest’anno, come detto, sarà diretto
dal nuovo Maestro Concertatore Ludovico Ei-
naudi.
“Io penso a questa avventura come alla co-
struzione di un palazzo, di una struttura solida
e continua all’interno della quale possiamo
trovare il giardino, la fontana, gli anfratti, le
bellezze e i gelsomini che sono le canzoni del
repertorio”, precisa Einaudi.
“Questo palazzo è solido perché si basa su rit-
mi forti, quelli salentini. Ma su questi ritmi in-
nesterò esperienze di musica elettronica che
secondo me hanno molte affinità con la tradi-
zione salentina. Una interpretazione nuova
che naturalmente tenga conto della tradizione
e rilanci la palla verso il futuro; una interpreta-
zione creativa, che sperimenti questa unione
tra ritmi tradizionali e acustici e suoni elettro-
nici”.
www.lanottedellataranta.it
Colimena,la fabbricadel tonno che “non si taglia con
un grissino”
84Gustare l’Italia
di A
rab
ella
Pez
za
“La Puglia non è una regione; è un conti-
nente”, così ha scritto Raffaele Nigro, “mon-
tagnosa e rurale nel Subappennino Dauno,
rocciosa ed arcaica nel promontorio gargani-
co, si estende in una piana fumentosa del Ta-
voliere, si fa siccitosa sulla Murgia, olivicola e
mercantile sul mare, per diventare di sughero
e neve a sud del capoluogo e tornare friabile
e aspra nel Salento…”.
Non a caso spesso si scrive “le Puglie”, per-
ché è riduttivo parlare di una sola regione.
Per la sua collocazione geografica molte so-
no state le civiltà che l’hanno accompagnata
e tutte vi hanno lasciato un segno del loro
passaggio.
Così fra Santa Maria di Leuca e il Gargano
non ci sono soltanto chilometri di differenza,
ma secoli di storia, millenni in cui si sono in-
trecciate le culture mediterranee che ne han-
no fatto un luogo di incontro e di armonia tra
razze e civiltà.
Per questo chi viaggia la regione va incontro
a continue sorprese: scopre la Puglia dei ca-
stelli, delle saline, dei dolmen, degli ipogei,
delle chiese, delle grotte, delle cripte rupestri,
dei mosaici… ed ogni volta è una nuova
emozione, ogni volta ci si domanda: perché
questa meraviglia che farebbe la fortuna turi-
stica di qualsiasi regione del Nord è così po-
co conosciuta? Recentemente abbiamo fatto
un’altra scoperta che anche molti pugliesi
ignorano: la Puglia delle tonnare.
Sentendo la parola “tonnara” si pensa sem-
pre alla Sicilia o alla Sardegna; ed ora invece
scopriamo che le prime tonnare furono pu-
gliesi, nel tratto di mar Ionio che dal Golfo di
Taranto arriva a Gallipoli; infatti, fin dal Me-
dioevo, la ventresca, la parte migliore del ton-
no, in tutti i paesi del Mediterraneo viene
chiamata “tarantello”.
Il primo documento che attesta l’esistenza di
queste tonnare risale al 1327 ed è un regio
decreto del Re di Napoli Roberto d’Angiò con
il quale si vuol mettere la parola fine ad una
diatriba tra la città di Gallipoli e Nandò, che
volevano entrambe avere l’esclusiva della pe-
sca del tonno. Il Re diede ragione a Gallipoli
e ordinò ai pescatori di Nandò di smetterla di
pescare i tonni che discendevano dal Golfo di
Taranto.
Gustare l’Italia85
Il decreto non impensierì però troppo i rivali
che continuarono ad intercettare i pesci con
ben due tonnare, una nelle acque di Santa
Caterina e una nelle acque di Sant’Isidoro.
In seguito si aggiunsero quelle di Porto Cesa-
no, sempre nel territorio di Nandò, e quella di
Torre Pizzo, nel territorio di Taviano. Altre poi
entrarono in attività a Torre Colimena e Torre
Ovo.
Col passare degli anni, però, una dopo l’altra,
per varie ragioni, cessarono la propria attività
e sarebbero scomparse del tutto senza l’im-
pegno di tre amici, tre cognati, che qualche
anno fa hanno deciso di non far morire l’anti-
ca tradizione: Agostino Lomartire, Francesco
e Pompeo Scarciglia, tutti e tre di Manduria,
una cittadina in provincia di Taranto, a pochi
chilometri dal mare.
Ci racconta la loro storia Agostino, oggi am-
ministratore unico della Società fondata negli
anni Settanta.
Erano partiti nella seconda metà del secolo
scorso come tanti altri pugliesi per il Nord in
cerca di lavoro, con la classica valigia di car-
tone legata con lo spago (anzi, dice Agostino
ridendo, non avevano nemmeno la valigia ma
solo lo spago). Con im-
pegno e determinazione
si improvvisano ristora-
tori a Brugherio, alla pe-
riferia di Milano, e nel
giro di qualche anno la
loro trattoria, la “Guzzi-
na”, ricavata da una ca-
scina del Seicento, di-
venta la meta preferita
di molti lombardi che
vanno a gustare la cuci-
na pugliese. Ma rag-
giunto il successo che
assicura la stabilità eco-
nomica, Francesco de-
cide di ripartire per il Sud; a lui che ha da
sempre una passione per la pesca manca
troppo il suo mare e, nonostante le preghiere
dei cognati, saluta tutti e se ne torna a Man-
duria dove riprende a pescare con una vec-
chia imbarcazione.
Pochi anni prima, nel 1974, erano state chiu-
se le ultime due tonnare sopravvissute, quel-
la di Gallipoli e quella di Sant’Isidoro, e Fran-
cesco, che continua a pescare favolosi tonni,
si chiede perché non riaprire l’antica tonnara
di Torre Colimena, ormai in disfacimento.
86Gustare l’Italia
Ne parla con i cognati rimasti a Brugherio e
li convince a creare insieme una Società per
questo scopo; nasce così ad Avetana, quasi
per scherzo, l’Azienda “Torre Colimena”, che
in pochi anni si impone all’attenzione del
mercato per la qualità dei tonni pescati e per
la cura posta nella loro lavorazione.
Anticamente le carni venivano conservate
sotto sale in orci di argilla o fusti di legno e
per poter essere consumate dovevano subi-
re laboriose operazioni di dissalazione.
Oggi i pescherecci del Gruppo Colimena pe-
scano tre tipologie di tonno: il Tonnetto, il Pa-
lamita e l’Alalunga, che vengono subito tra-
sferiti nello stabilimento di Avetana, dove si
passa al procedimento di trasformazione:
vengono cotti in acqua e sale (non a vapo-
re!), mantenendo così le loro qualità organo-
lettiche e garantendo un prodotto lavorato
senza conservanti ed esclusivamente a ma-
no da personale altamente qualificato e spe-
cializzato. Inoltre, poiché vengono pescati e
lavorati soltanto tonni di non eccessivo peso
(e perciò più giovani e con una minima pre-
I NOMI DEL TONNO
Ecco a voi un vocabolario dei nomi dia-
lettali italiani per l’Euthinnus Alletteratus
(tonnetto alletterato)
Torre Colimena (Taranto): Zirru, Zirrali
Bari: Palametidd
Brindisi: Nzirru
Cagliari: Alacurza, Scampirru
Catania: Allittiratu, Cuvaritu
Genova: Tunna, Tonnella
Manfredonia: Letterato
Messina: Allittiratu, Littiratu, Tunnina
Napoli: Alletterato
Palermo: Allittiratu
Pescara: Letterato
Porto Empedocle: Allittirato, Cuvarito
Rimini: Litterato, Tonnina
Roma: Tonnetto
Siracusa: Pizziteddu
Trieste: Leterato
Venezia: Carcana, Aleterato
Viareggio: Sanguinaccio
senza di metalli pesanti nel loro corpo), pos-
sono essere consumati anche da bambini
con problemi di autismo. “Tonno fresco, gu-
stoso, sano e non certo da tagliare con un
grissino”, conclude Agostino Lomartire con
un sorriso ironico. Sono passati ormai
trent’anni dalla felice intuizione di Francesco
Scarciglia e i tre soci e cognati che in tutto
questo tempo, roba da Guinnes dei Primati,
sono sempre andati d’accordo, abbandona-
ta la trattoria di Brugherio hanno realizzato il
sogno di tornare nella loro magica terra do-
ve, grazie al successo dell’Azienda Colime-
na, hanno dato vita a numerose altre realtà:
acquistano a Manduria Reggia Domizia, una
masseria del ‘700 ormai fatiscente, e la tra-
sformano in uno splendido centro di ristora-
Gustare l’Italia87
zione e benessere; ad Avetana realizzano
“La Scogliera”, un residence tra i più elegan-
ti della regione; ancora a Manduria inaugura-
no “Ziu Belo”, un piacevole after dinner ed
altre attività sono ancora in fase di realizza-
zione.
Tutte iniziative che danno lavoro a molti gio-
vani ai quali è così risparmiata la triste espe-
rienza dell’emigrante.
Torre Colimena, la fabbrica del tonno. Un al-
tro felice miracolo di questa magica terra che
non finisce mai di stupire.
88Gustare l’Italia
Due realtà uniche nel loro genere, che sorgono a pochi chilometri da Lecce, nel cuore del Salen-
to: “Royal Mosaici”, una collezione di pavimenti e rivestimenti in mosaico, e “I Giardini di Atena”,
un residence a metà strada tra un resort e un villaggio turistico.
di A
rab
ella
Pez
za
Cos’hanno in comune queste due società
pugliesi, oltre a rappresentare l’eccellenza
salentina in Italia e all’estero?
La risposta in un solo nome: Giuseppe Bru-
no, eclettico e spigliato imprenditore che, con
passione e professionalità, gestisce queste
attività. L’Ing. Bruno, infatti, non solo è socio
di maggioranza della “Royal Mosaici”, ma è
anche Amministratore de “I Giardini di Ate-
na”, la recente struttura moderna e funzionale
(è stata inaugurata nell’estate 2004) a pochi
kilometri dal mare e dal centro di Lecce. Si
tratta di una vera e propria cittadella del Con-
fort e del Benessere, composta da oltre 400
appartamenti, immersi nella lussureggiante
I giardini di Atenae gli antichi mosaici
Le E
ccell
enze
del
Salen
to
macchia mediterranea, aperti tutto l’anno. “Il
residence è stato costruito per garantire il
massimo confort a ogni tipologia di clientela,
sia alle famiglie che ci scelgono per le vacan-
ze, sia ai business men che cercano un am-
biente raffinato e ben attrezzato - spiega
l’Ing. Bruno - Offriamo un servizio a 360°:
centro sportivo e centro medico, sala con-
gressi, auditorium, anfiteatro, negozi, centro
estetico e benessere, palestre, due piscine,
area giochi per bambini e pista ciclabile, oltre
al bar e un ottimo ristorante. Insomma, pos-
siamo garantire “l’arte dell’ospitalità”, che co-
niuga convivialità e privacy, con una costante
attenzione ai dettagli.
Gustare l’Italia89
Sono presenti inoltre mol-
te interessanti attività per i
più piccoli: si inaugura
proprio quest’anno il
“Campus Estivo” per ra-
gazzi, italiani e stranieri.
Si tratta di un ambiente ri-
servato (c’è un responsa-
bile ogni 10 ragazzi), che
si sviluppa in un comples-
so interamente immerso
nel verde. I ragazzi hanno
la possibilità di seguire
svariati corsi – tiro con
l’arco, magia, corso di lin-
gua straniera… oltre ad essere seguiti da un
vero e proprio “educatore” che ha la preroga-
tiva di insegnare loro, ma divertendosi!, come
ci si comporta nella vita, come si sta al mon-
do.
E per i più grandi?Ci sono tante offerte per tutti: c’è il pacchetto
benessere che abbiamo titolato “Salute e tu-
rismo” - che siamo dotati di un centro medico
che permette di intraprendere un percorso di
cura - il pacchetto enogastronomico, quello
cultura e territorio… non c’è che l’imbarazzo
della scelta!
Ma cosa cercano gli ospiti che scelgono il Salento per trascorrere un periodo “sab-batico”?Il Salento con Lecce, la “capitale naturale”
che più di ogni altra città pugliese conserva
integra la sua identità storica, rappresenta il
posto ideale per vivere un’esperienza unica,
all’insegna della cultura, delle bellezze pae-
saggistiche tipiche locali, della gastronomia,
della storia e dell’arte… proprio per questo
ho fortemente voluto la “Royal Mosaici”,
quest’azienda che vuole riportare in auge un
prodotto tanto unico nella sua originalità,
quanto lontano nel tempo: il mosaico.
E’ vero che il Salento vanta una lunga e antica tradizione di pavimenti e rivesti-menti in marmo?Certo. L’arte del pavimento in mosaico affon-
da le sue radici nelle decorazioni musive di
monasteri, chiese e ville patronali, tra cui
spicca il mosaico della cattedrale di Otranto.
90Gustare l’Italia
E’ in questo solco che trova il fondamento
l’azione culturale della “Royal Mosaici”. Da
tempo il mosaico è impiegato come prezioso
rivestimento di pareti e pavimentazioni di pre-
gio. Le tessere di marmo, di dimensioni mi-
nutissime, compongono il mosaico moderno
e classico rendendolo parte integrante
dell’ambiente in cui si trova e conferendogli
ricchezza ed eleganza.
La costruzione di una pavimentazione, o di un
rivestimento in mosaico di marmi pregiati, è
un’opera molto particolare: essa viene intera-
mente realizzata a mano accostando piccoli
frammenti di marmo il cui fascino è dato
dall’utilizzo di materiali provenienti spesso da
luoghi lontani. Tutti i materiali che vengono
adoperati per la realizzazione del prodotto, e
tutte le fasi di lavorazione, sono rimasti inva-
riati nel tempo e con metodi artigianali esclu-
sivamente manuali.
Una macchina non potrà mai sostituire la fi-
gura professionale del posatore mosaicista
nella stesura del mosaico, un vero artista-ar-
tigiano.
Qual è esattamente la vostra filosofia aziendale?Il successo che contraddistingue il nostro
marchio, poggia su due elementi fondamen-
tali: unicità ed esclusività dei prodotti che nel-
la loro realizzazione vengono eseguiti a mano
e, non essendo mai uguali gli uni agli altri, si
possono ritenere veri e propri “pezzi unici”.
Sviluppiamo e produciamo soluzioni esclusi-
ve e personalizzate, ogni opera è progettata
appositamente per l’ambiente che la acco-
glie: perché la soddisfazione della clientela è
l’elemento essenziale alla base della nostra
attività.
Quando si è spinti da uno spirito imprendito-
riale così evidente è impossibile non realizza-
re attività di successo: così l’Ing. Bruno coa-
diuvato da uno staff dinamico e appassionato
- è riuscito a diffondere le eccellenze della sua
Puglia in tutt’Italia e anche all’estero. Perché “I
Giardini di Atena” e “Royal Mosaici” sono due
realtà ben note che soddisfano anche il clien-
te più esigente e arricchiscono professional-
mente il Salento.
Lo I.A.M. di Bariper una cultura di pace
92Gustare l’Italia
di C
osi
mo
Lac
irig
nola
*
L’Istituto Agronomico Mediterraneo di Ba-
ri, sede italiana del Centro Internazionale di
Alti Studi Agronomici Mediterranei con sede
a Parigi, è stato fondato nel 1962 insieme ad
altri centri di 12 paesi mediterranei, 7 dei
quali della riva Nord (Spagna, Portogallo,
Francia, Italia, Albania, Grecia e Malta) e 6
della riva Sud (Algeria, Marocco, Tunisia,
Egitto, Libano e Turchia).
L’Istituto opera in quattro campi: gestione
delle risorse naturali (suolo e acqua), prote-
zione delle colture mediterranee, agricoltura
biologica mediterranea, agricoltura sostenibi-
le e sviluppo rurale.
In questi campi si tengono i corsi istituzionali
di alta formazione. Gli allievi, provenienti dai
Paesi membri e tutti laureati in Scienze Agra-
rie, Ingegneria o Biologia, sono ospitati nel
campus e conseguono il Diploma di specia-
lizzazione post-universitaria al termine del
primo anno accademico, ed il Master of
Science con una tesi di ricerca elaborata nel
secondo anno.
L’attività di ricerca è finalizzata alla soluzione
dei problemi della regione mediterranea. Per-
tanto, il lavoro, impostato e svolto all’interno
di un quadro di riferimento scientifico estre-
mamente rigoroso, fa leva su conoscenze e
Gustare l’Italia93
soluzioni innovative sostenibili per il territorio
oggetto di studio. Questo approccio consen-
te di coniugare conoscenze scientifiche e
tecnologiche più avanzate con soluzioni ef-
fettivamente praticabili nelle aree di interven-
to, al fine di ottenere il migliore impatto su
territorio e popolazione.
Nell’area mediterranea 39 milioni di persone
(1 su 3) si occupano di agricoltura: 34 milioni
sono sulla sponda sud.
A nord del Mediterraneo l’agricoltura ha una
valenza multifunzionale, volta alla qualità del-
la produzione, generatrice di servizi ambien-
tali e sociali.
A Sud essa rappresenta uno strumento per lo
sviluppo economico, per il miglioramento
delle condizioni di vita nelle aree rurali, non-
ché per la sicurezza alimentare delle popola-
zioni in crescita.
Lo Iam di Bari contribuisce allo sviluppo
dell’area attraverso nuovi approcci alla ricer-
ca, coordinamento e partecipazione degli at-
tori dello sviluppo rurale, elaborazione di
strategie basate sull’integrazione dei diversi
settori.
E’ inoltre impegnato nella creazione di uno
spazio mediterraneo della ricerca, attraverso
la realizzazione di network euro mediterranei
che consentono di condividere linguaggi e
metodologie di ricerca.
L’attività dell’Istituto Agronomico Mediterra-
neo (IAM) di Bari, in particolare, attraverso la
formazione, la ricerca, la cooperazione e l’as-
sistenza tecnica, mira allo sviluppo delle ri-
sorse umane, alla diffusione della conoscen-
za, all’assistenza alle Istituzioni ed alla
promozione di nuove politiche di sviluppo:
una missione che contribuisce a seminare la
pace nella regione mediterranea.
Tutto questo lo si fa in Puglia, laboratorio
d’elezione, dove in quarantasette anni di atti-
vità sono stati accolti oltre sette mila allievi,
94Gustare l’Italia
dando loro una formazione grazie alla quale,
al rientro nei loro Paesi d’origine, hanno potu-
to assumere incarichi di alta responsabilità
nelle istituzioni scientifiche, negli organismi
politici e nel sistema produttivo.
Lo IAM favorisce i rapporti tra i Paesi del Ba-
cino mediterraneo fornendo il supporto scien-
tifico e tecnico per la progettazione e l’attua-
zione di interventi in partenariato, favorendo
la raccolta e la diffusione delle informazioni
per i ricercatori, stabilendo connessioni e
scambi tra i ricercatori, coinvolgendo esperti
e istituzioni dei Paesi beneficiari della coope-
razione, identificando problemi comuni, defi-
nendo programmi di collaborazione, unifor-
mando approcci e metodi di ricerca. Questo
modo di operare dell’Istituto contribuisce alla
diffusione della PACE: nei laboratori e nei
campi sperimentali, giovani di etnìa, cultura e
religione diverse lavorano fianco a fianco ed
imparano che la diversità è una risorsa e che
la cooperazione è il metodo vincente.
L’Istituto sviluppa le sue ricerche anche sul
territorio pugliese in collaborazione con Uni-
versità, Centri di ricerca, Istituzioni ed Enti re-
gionali. La Puglia, infatti, per molti aspetti ri-
specchia un habitat molto diffuso nel bacino
Mediterraneo e rappresenta un laboratorio
ideale, fornendo modelli da studiare e solu-
zioni da esportare. Ciò ha portato alla crea-
zione di una fitta rete di collaborazione con
realtà produttive territoriali che riconoscono
all’impostazione dell’Iamb competenza e
pragmatismo nella soluzione dei problemi.
L’obiettivo primario dell’umanità è disporre di
cibo in quantità crescente e di qualità sempre
Gustare l’Italia95
*Cosimo Lacirignola è dal 1988 il direttore
dell’Istituto Agronomico Mediterraneo di Bari
del Ciheam
migliore, di conseguenza, il destino dell’uo-
mo è legato alla crescita della produzione
agricola.
C’è da considerare che le terre agricole non
si possono più
espandere, l’acqua
è una risorsa più
preziosa del petro-
lio, gli equilibri biolo-
gici sono sempre più
a rischio e la variabi-
lità climatica rappre-
senta una nuova sfi-
da. La diffusione e la
condivisione delle
conoscenze scienti-
fiche possono offrire
la soluzione alle nuo-
ve emergenze attra-
verso, ad esempio, il
miglior utilizzo delle
risorse, la sperimen-
tazione di tecniche di adattamento delle
piante a terreni aridi o salini, l’incremento del-
la produzione.
Compito dei ricercatori è svolgere ricerche
che diano risultati facilmente e rapidamente
applicabili e che siano economicamente so-
stenibili per popolazioni e governi che non
possono disporre di grandi risorse economi-
che.
Nei laboratori dell’Iam di Bari, con tenacia e
con fatica, si lavora per cercare le soluzioni
scientifiche che possano fornire sicurezza ali-
mentare a tutti. L’obiettivo è una governance
globale che parte da una formazione ed uno
studio condiviso, attraverso una forza di agire
comune per sconfiggere la fame, i problemi
della desertificazione, la scarsità d’acqua, la
perdita della biodiversità. Ogni anno centina-
ia di studenti di oltre venti Paesi mediterranei
studiano, lavorano con tanta voglia di con-
costruzione di una regione euro-mediterra-
nea dispensatrice di “prosperità condivisa”,
perchè non vi è dubbio che la prosperità è
l’unica garanzia per sradicare povertà e inte-
gralismo. Non può esservi pace senza la ga-
ranzia di pari opportunità ed il superamento
delle profonde divergenze socio-economiche
tra i nostri popoli.
C’è chi esporta la propria democrazia con le
armi, c’è chi costruisce la democrazia e lo
sviluppo accompagnando i Paesi più deboli
in un percorso dove al centro è l’uomo, le sue
potenzialità, le sue tradizioni, il rispetto con-
diviso. Certo non è facile, ma all’Iam di Bari si
lavora da quarantasette anni in questa dire-
zione, in silenzio.
frontarsi ed imparare, rompendo il cerchio
dell’ignoranza e dei pregiudizi che alimenta-
no il sottosviluppo economico e sociale, ne-
gando la libertà dell’Uomo. Si lavora per la
Masseria San Domenico - 72010 Savelletri di Fasano (BR) - Tel. 080 4827769 - Fax 080 [email protected] - www.masseriasandomenico.com
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La pasta
Gustare l’Italia97
La pasta
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La pasta: dono degli dèi
98Gustare l’Italia
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Storia
dell
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Nei secoli scorsi i contadini italiani - anche
senza avere mai ascoltato il parere di un dieto-
logo - sapevano che nessun altro cibo come la
pasta fornisce un’alimentazione così completa
ed equilibrata. Un adulto necessita di circa
3000 chilocalorie al giorno, costituite da car-
boidrati (60%), grassi (20%), proteine (10%);
un buon piatto di pasta, condito con una sem-
plice salsa di pomodori e una discreta grattu-
giata di formaggio, apporta circa 600 chiloca-
lorie nella quasi identica percentuale di
carboidrati, grassi e proteine.
Nessun altro alimento risulta così ben bilancia-
to e i contadini lo sapevano. La loro dieta: un
piatto di pasta al sugo arricchita di quando in
quando (soprattutto nei giorni di festa) da car-
ne o pesce, era perfetta; la pasta era pratica-
mente un piatto unico, il formaggio, la frutta, il
pane e il vino completavano un pranzo sempli-
ce ma completo e sano. I guai alimentari co-
minciarono con l’avvento del cosiddetto be-
nessere, quando da piatto unico la pasta
divenne un “primo piatto” che richiedeva per-
ciò un antipasto, un secondo e contorno, il
formaggio, la frutta, il dolce, con relativi aperi-
tivi, vini, distillati, caffè e ammazzacaffè.
Incominciarono i problemi di malattie dovute
alla superalimentazione e all’obesità e, curio-
samente, la gran parte delle colpe vennero ri-
versate sulla povera e innocente pasta che di-
venne uno spauracchio per chiunque avesse
problemi di linea.
Le “donne crisi” degli anni venti avrebbero con
entusiasmo sottoscritto il Manifesto per una
cucina futurista, nel quale Filippo Tommaso
Marinetti propugnava l’abolizione della pasta-
Gustare l’Italia99
sciutta che, secondo lui, “non
serviva ad altro se non a tappa-
re i buchi dell’inguaribile tristez-
za” di quelli che spregiativa-
mente egli chiamava
“pastasciuttari”. Si andò avanti
così per anni; intere generazio-
ni, quando si sedevano a tavola
davanti ad un piatto di bucatini
o di pappardelle o di bigoli, ve-
nivano assaliti dai rimorsi e dai
sensi di colpa; diafane giovinet-
te votate all’anoressia consu-
mavano tristemente la loro gio-
vinezza mangiando un po’ di
bresaola e qualche foglia di in-
salata scondita…
Poi finalmente tornò la luce. Dai
dietologi di oltre Atlantico arrivò
la lieta novella: ci spiegarono
quello che i nostri avi sapevano
da centinaia di anni rivalutando
come perfetti per una sana ali-
mentazione gli elementi tradizionali degli italia-
ni: verdure, olio e - naturalmente - la pasta.
Da allora siamo tornati a gustare senza rimorsi
piatti di trenette al pesto o bucatini all’amatri-
ciana o di fusilli alla marateota e se qualcuno
ci obbietta qualcosa possiamo serenamente
rispondere che stiamo seguendo una dieta: “la
dieta mediterranea”.
D’altra parte come si potrebbe rinunciare a
questo cibo che deriva dal grano, il più impor-
tante dono che ci hanno dato gli dei come è
testimoniato in ogni religione: per gli antichi
egizi fu Iside a donare il grano all’Umanità, per
i greci Demetra, per i romani Cerere…
Non è un caso che Cerere e Demetra, oltre ad
essere le protettrici delle messi, fossero anche
simboli del progresso: la coltivazione dei cere-
ali incominciò quasi contemporaneamente in
varie parti del mondo 6 o 7 mila anni fa e cam-
biò le abitudini dell’uomo e contribuì al suo
sviluppo e al suo ingresso nella civiltà. Quando
si rese conto che la coltivazione e il raccolto
del grano e dei cereali in genere gli costava
meno fatica e comportava meno pericoli
dell’andare a caccia per procurarsi il necessa-
rio alla sopravvivenza, l’uomo cambiò le sue
abitudini di nomade e si convinse a scegliere
insediamenti stabili.
Fu una delle più importanti rivoluzioni della
storia, che portò a radicali cambiamenti nei
suoi costumi e addirittura nella sua struttura fi-
sica; nei costumi perché, non dovendo conti-
nuamente cambiare luogo, si trovò ad avere
più tempo per dedicarsi a sviluppare l’artigia-
nato e in seguito le arti e le scienze.
Una divertente leggenda attribuisce l’invenzio-
ne della pasta al dio Vulcano (Efesto per i gre-
ci) il quale, infuriato con Demetra - la dea delle
100Gustare l’Italia
dà alla pasta una resistenza alla cottura che
non si riscontra in paste nate altrove.
In realtà, molto semplicemente, si è trattato di
una scoperta che tutti i popoli del mondo fe-
cero ad un certo punto della loro storia, sco-
perta legata alla conoscenza e all’uso dei ce-
reali; come accadde per il pane, anche per la
pasta ad un certo punto qualcuno pensò di
trasformare i cereali in farina e poi di cuocerla
nell’acqua salata trasformandola in pasta.
L’importante, in ogni caso, è che la pasta oggi
sia una realtà, chiunque ne sia stato l’invento-
re, e che si possa cucinare in dieci, cento, mil-
le modi….
In quanti modi si può cucinare la pasta? Per
Vincenzo Buonassisi, uno dei massimi studio-
si della materia, un innamorato di questo ali-
mento potrebbe andare avanti quattro anni
cambiando ricetta ogni giorno; nel suo “Codi-
messi -, strappò tutti i chicchi di grano dalle
sue spighe, li pestò rabbiosamente con la sua
mazza di ferro facendone farina che gettò nel
Vesuvio; i vapori del vulcano trasformarono la
farina in un impasto che sul fuoco della lava
venne cotto a puntino.
Il dio, incuriosito dal buon profumo che ema-
nava, lo raccolse, vi sparse sopra un po’ d’olio
d’oliva e se lo mangiò; aveva inventato la pri-
ma pizza alla marinara della storia.
Dalla pizza alla pasta il passo fu breve e i na-
poletani - forti del fatto che la leggenda mito-
logica situa la cottura della prima pizza in
Campania - sostengono che sono stati loro a
inventare i maccheroni.
A Gragnano, sulle pendici del Vesuvio, non
hanno alcun dubbio, i maccheroni li hanno in-
ventati loro e portano a sostegno della loro te-
si il fatto che la loro acqua, molto ricca di zolfo,
© D
ebor
a M
onto
li
Gustare l’Italia101
ce della pasta” ha infatti individuato e
con affetto catalogato ben 1347 ricet-
te elencandole in ordine alfabetico,
dagli “agnoli” (sorbir d’agnoli) alla
“zuppa di grano”.
Milletrecentoquarantasette ricette,
milletrecentoquarantasette piatti di
pasta, dai più classici ai più nuovi e
raffinati, milletrecentoquarantasette
momenti di gioia per il palato, di alle-
gria, di beatitudine appunto, perché -
come scrive Mariarosa Schiaffino nel
suo “Tempo di pasta” - … “la pasta è
un piatto ottimista, positivo, capace di
portare in tavola il sorriso e di ispirare
una visione più rosea della vita. Ha an-
che un che di consolatorio, di affettuo-
so, di tenero. E’ morbida e accogliente
come un seno materno. Gli italiani vi
tuffano metaforicamente la loro fatica
di vivere”. Siamo al lirismo. Giusta-
mente. Ma se si arriva alla poesia per
la pasta, dove si dovrebbe arrivare
pensando al pomodoro? Meglio: alla
pasta col pomodoro? Pensate al po-
vero Efesto: aveva inventato la pasta
- o per lo meno la pizza - ma, per sua
sfortuna, non seppe mai quale subli-
me abbinamento si sarebbe ottenuto
unendola col pomodoro.
Di Vulcano, infatti, e di tutti gli altri déi
dell’Olimpo, non restava ormai che il
ricordo quando Cristoforo Colombo nel 1492
scoperse per caso l’America e, con l’America,
alcune piante che dovevano arricchire la ga-
stronomia europea: la patata, la melanzana, la
zucca, il peperone e - soprattutto - il pomodo-
ro. La cosa incredibile fu che molte di queste
piante, soprattutto quelle appartenenti alla fa-
miglia delle solanacee, per secoli vennero
considerate soltanto come pianta da orna-
mento perché si pensava che fossero veleno-
se. La melanzana - per esempio - ha questo
nome che significa “mela insana”, perché era-
no convinti che fosse immangiabile. Soltanto
alla fine del XVIII secolo si decisero a mangia-
re i pomodori col riso, con il pesce, nelle frit-
telle, in crocchette… ma non ancora con la
pasta. In uno dei primi libri di cucina scritto dal
napoletano Vincenzo Corrado detto “Il cuoco
galante”, nel 1773 non se ne fa cenno.
Chi sarà stato il primo che abbinò pasta e po-
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102Gustare l’Italia
modori creando uno dei cibi più straordinari
della storia della gastronomia: la pasta “c’a
pummarola ‘ncoppa”?
Se se ne conoscesse il nome sarebbe poca
cosa dedicargli un monumento nella piazza
principale di ogni città d’Italia, se i turisti an-
dassero religiosamente a visitarne la casa na-
tale, se poeti e musicisti gli dedicassero poemi
e sinfonie.
Ad ogni modo qualcuno, un luminoso giorno
lo fece questo abbinamento, e - anche se il
suo nome è rimasto sconosciuto - si sarà cer-
to assicurato un posto in Paradiso tra i Santi
che più gioia hanno dato alla povera umanità.
Con l’aggiunta del pomodoro, la pasta - che
per secoli era stata cotta nel brodo di carne o
nel latte, condita con zucchero, formaggio,
burro e addirittura cannella e altre spezie -, si
illuminò, prese vita e colore, come la natura
quando da uno squarcio di nuvole è illuminata
dal sole.
Prima della scoperta dell’America, l’uomo non
lo sapeva, ma viveva in un Purgatorio culinario
(niente gnocchi di patate, niente gatò, niente
parmigiana di melanzane, niente spaghetti alla
norma, alla sangiuaniello, al ragù, alla caprese,
alla pizzaiola, alla bolognese…): ma era vita,
quella?
Oggi, grazie a Dio, quel cupo medioevo ga-
stronomico è finito e siamo in pieno Rinasci-
mento, anche se occorre fare molta attenzione
per difendere questo cibo arrivato a noi attra-
verso un’evoluzione durata settemila anni.
Un argomento molto importante quando si
parla di pasta riguarda il vino: quale vino bere
gustando un piatto di pasta? Lo scrittore Al-
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Gustare l’Italia103
berto Denti di Pirajno scriveva: … “dopo aver
mangiato la pasta c’a pummarola ‘ncoppa non
dovete profanarla bevendo vino: sulla pasta al
pomodoro non si beve che acqua pura”.
Con tutto il rispetto, mi sembra demenziale.
Ma come: Dio ha dato all’umanità questi tre
grandi doni: pasta, pomodoro e vino che - co-
me abbiamo visto - hanno impiegato migliaia
di anni per giungere al felice appuntamento di
trovarsi insieme su una tavola apparecchiata e
tu vuoi che io mi privi di uno di questi? Quale
peccato vuol farci scontare il buon Alberto
Denti con questa rinuncia? Il vino è necessa-
rio, è importante, è indispensabile su ogni ci-
bo, si tratta soltanto di scegliere quello adatto
a ciascuno di essi.
Ritengo che l’”homo” sia finalmente diventato
“sapiens” solo dopo aver imparato ad abbina-
re cibo e vino. Quale vino dunque con la pa-
sta? C’è una regola molto semplice teorizzata
anni fa da Luigi Veronelli: “la scelta del vino è
condizionata dalla salsa; la pasta asciutta è im-
mangiabile con
la sola cottura;
per farla esplo-
dere occorre l’ac-
compagnamento di
una salsa, anche la più
semplice, un pomodoretto
pressato, aglio e olio…”.
Logico che siano le salse a guidare la
scelta dei vini. Se sono a base di verdure: vini
bianchi o rosati, lievi e passanti; se a base di
pesce: vini bianchi equilibrati e secchi; se a
base di carni: vino rossi asciutti e robusti. “At-
tenzione - continua Veronelli - i vini siano più
leggeri e più giovani o più freschi di quelli che
avreste scelto per gli stessi intingoli di verdure,
pesci, carni, cacciagione, se li avreste serviti
per sé soli e non come condimento. Le ragioni
sono chiare: l’intingolo diluito a consistenza di
salsa, ha minor pienezza; il sapore è ancora at-
tenuato da gusto neutro della pasta”. Si pote-
va dire meglio?
104Gustare l’Italia
COME SI CUOCE LA PASTA
E’ incredibile, ma c’è ancora gente che non sa cuocere la pasta. Non diciamo all’estero ma,
qualche volta, nemmeno in Italia. Date un’occhiata a questo box per ricordare le regole fonda-
mentali (e chiediamo scusa a coloro che riterranno eccessivi o scontati questi consigli):
• l’acqua deve essere abbondante: ogni cento grammi di pasta un litro d’acqua, in modo da
non correre il rischio di farla agglomerare e di
darle un sapore colloso;
• salare l’acqua al momento in cui viene messa
sul fuoco, in ragione di circa 10 grammi per litro
(un po’ meno se il sugo con il quale verrà con-
dita sarà particolarmente sapido);
• prima di “calare” la pasta, aspettare che l’ac-
qua sia ben bollente, così non si abbasserà
troppo la temperatura e non si interromperà di
troppo l’ebollizione. E’ bene anche avere una
piccola riserva di fuoco, così quando si butta la
pasta si alza la fiamma al massimo e l’acqua ricomincia a bollire;
• non calare la pasta in un sol colpo ma a poco a poco, assicurandosi che si sparpagli ben
bene affinché non si incolli. Se si tratta di spaghetti, vanno messi nella pentola a ventaglio, in
modo che ognuno sia investito dall’acqua bollente in ogni parte;
• quando l’ebollizione sarà tornata al punto giusto, abbassare la fiamma e continuare la cottu-
ra mescolando di tanto in tanto;
• la pasta va puntualmente cotta al dente. Ogni pasta ha il suo tempo di cottura e perciò ognu-
no dovrà basarsi sulla propria esperienza. Non fidarsi di quello che c’è scritto su certe confe-
zioni; a volte certe paste, per le quali si prevedono 15 minuti per la cottura, sono pronte dopo
10 minuti;
• non lasciare mai la pasta sola mentre cuoce ma sorvegliarla e rinnovarla con un cucchiaio
(possibilmente di legno) di tanto in tanto;
• quando la cottura sarà completata, togliere la pentola dal fuoco e scolare la pasta scuoten-
do il colapasta dal basso verso l’alto per far fuoriuscire tutta l’acqua di cottura (tranne nei ca-
si in cui è bene lasciarla un po’ acquosa, come per esempio nella pasta al pesto);
• appena scolata, la pasta va adagiata su un piatto di portata (possibilmente concavo e preri-
scaldato); se la ricetta prevede il formaggio, metterlo prima della salsa perché, quando si ag-
giungerà quest’ultima, ben calda, ne completerà l’amalgama;
• qualcuno consiglia di bagnare la pasta appena scolata con un po’ d’acqua fresca che serve
a fermare la cottura, ma non tutti sono d’accordo. Qualche altro consiglia, una volta sgoccio-
lata la pasta, salsata e mescolata, di versarla in un tegame e di farla saltare qualche attimo a
fuoco forte. Fatta eccezione per pochissime ricette tradizionali, i puristi non sono d’accordo
perché le paste non amano cotture a contatto diretto con i grassi.
Gustare l’Italia105
LA PASTA IN POESIA
Una tenera e divertente poesia dedicata alla pasta scritta da Aldo Fa-
brizi, attore romano scomparso nel 1990 all’età di 84 anni. Grande ap-
passionato di cucina, nonché lui stesso ottimo cuoco.
“Ieri dar friggidere,ch’o svotato pe’ daje na’ sbrinata, c’è sortito
un pezzo de guanciale rancichitona’ crosta de formaggio smozzicato,
na’ ciotola de strutto congelato,du’ fette de presciutto inseccolito,
un ciuffo de basilico appassito, e un pommidoro mezzo magagnato.
Voi buttavate tutto alla monezza,ma io ch’o combattuto cor bisogno
ciò fatto “er sugo della fanciullezza”.
Un sugo col sapore rancichetto che m’a portato indietro come un sogno
ar tempo bello ch’ero poveretto”.
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Benagiano:la pasta di Garibaldi
106Gustare l’Italia
di S
aver
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arlo
But
tiglio
ne
Sono un “pastasciuttaro”, autentico, irridu-
cibile, impenitente; di fronte al mio “quotidia-
no” piatto di pasta ringrazio il cielo che qual-
cuno l’abbia inventata e mi piacerebbe
conoscerne il nome per proporlo per la beati-
ficazione.
Ma chi ha inventato la pasta? Se ne attribui-
scono il merito innanzitutto i napoletani, anzi
gli abitanti di Gragnano (che per la verità si ac-
contentano - e non è merito da poco - di es-
sere considerati gli inventori della pasta al po-
modoro). Ma partecipano alla gara anche
greci, arabi, egiziani, perfino i turchi e ciascuno
con validi argomenti.
A complicare le cose ci si sono messi anche i
cinesi con l’autorevole testimonianza di Marco
Polo. Quest’ultima ipotesi è però francamente
inattendibile perché già qualche anno prima
che il viaggiatore veneziano tornasse dal Ca-
tai, l’uso dei maccheroni nella cucina italiana
era noto, e lo dimostra un documento del no-
taio Ugolino Scarpa che nel 1279, redigendo
l’inventario dei beni di un suo cliente genove-
se, ad un certo punto elenca “una barixella
plena de maccaronibus”.
Qualche decennio dopo il Boccaccio racconta
nel Decamerone del Paese di Bengodi dove
“si legano le viti con salsicce ed eravi una
montagna tutta di formaggio Parmigiano grat-
tugiato sopra la quale stavan genti che gniuna
altra cosa facevan che far maccheroni o raviu-
oli e cuocerli in brodo di capponi”.
In ogni modo questo è quello che importa: un
giorno fece il suo solenne ingresso nella storia
dell’Umanità il “maccherone” (un invenzione
pari - e forse superiore - a quella della ruota).
Anche sull’etimologia ci sono pareri contra-
stanti: chi fa derivare “maccherone” dal latino
“maccare” (schiacciare, quindi impastare); chi
dal greco “maghis” che significa “colui che im-
pasta”. Ma se è proprio obbligatorio sceglier-
ne una preferisco chi la fa derivare dal greco
“makarios”, che significa “beato”.
Quante volte, infatti, mi sono sentito beato do-
po un piatto di spaghetti al filetto di pomodo-
ro, alle vongole, alla caprese, o dopo una por-
zione di tagliolini ricoperti di tartufo bianco, o
di bucatini alla matriciana o di pasta con le
sarde…
Quando mi trovo a tu per tu con un piatto di
pasta come Alberto Sordi nel film “Un ameri-
cano a Roma”, chiedo soltanto che provenga
Gustare l’Italia107
da un’azienda che la produca ancora nel ri-
spetto della qualità: “trafile in soltanto che pro-
venga da un’azienda bronzo” ed una “lenta es-
sicazione”. Ne sono rimaste poche in Italia; le
leggi del mercato globale impongono altissimi
volumi di produzione a prezzi bassi e sono
perciò preferiti i procedimenti veloci, anche se
in questo modo si perdono i sapori e sostanze
preziose per la salute contenute nel grano.
Una delle aziende rimaste fedeli alla tradizione
è la Benagiano di Santeramo in Colle, a pochi
km da Bari, e sono proprio i suoi prodotti che
vogliamo sottoporre al giudizio dei Saggi De-
gustatori.
La dirigono i fratelli Giuseppe e Andrea che,
con molti sacrifici, continuano a produrre
quella che è un’eccellenza agroalimentare
pugliese con lo stesso amore, la stessa pas-
sione, la stessa cura del bisnonno “Mastro
Francesco”, che a metà Ottocento diede l’av-
vio alla stirpe dei “Benagiano Pastai”.
In molte locande d’Italia si ricorda il passaggio
di Garibaldi con una targa con su scritto: “Qui
dormì l’Eroe dei Due Mondi”; a Santeramo
hanno scritto: “Qui si fa la
pasta come quella che man-
giò e apprezzò Garibaldi” (e
gli piacque talmente tanto
che, quando fu eletto depu-
tato ad Andria ritornò spes-
so s Sant’Eramo per gustar-
la ancora).
I Benagiano sono, con i figli
Nicola e Vito, arrivati alla
quinta generazione di pa-
stai, ma i metodi di produ-
zione sono sempre gli stes-
si. Si incomincia dalla
accurata ricerca del grano e
del farro (oltre alle paste tra-
dizionali producono, infatti,
anche pasta di farro e inte-
grale). Il mulino che li trasforma in farina lo
hanno trovato ad Altamura in un’altra azienda
dove vige il più rigoroso rispetto della tradizio-
ne: i cilindri di macina si muovono molto lenta-
mente, ad una velocità che è la metà di quella
della produzione industriale per non bruciare
sostanze importantissime. In fabbrica, poi, an-
che l’impasto è lentissimo e avviene con
un’impastatrice a cielo aperto, con l’acqua
che cade dall’alto goccia a goccia, mentre - se
avvenisse alla velocità standard - dovrebbe
essere sigillata ermeticamente per evitare che
l’effetto centrifuga, dovuto alla velocità delle
pale, faccia schizzare fuori l’impasto.
Le trafile che danno forma ai vari tipi di pasta
devono essere esclusivamente di bronzo; il
bronzo, non levigabile oltre un certo limite, tra-
smette la sua ruvidità alla pasta e ciò svolge
un ruolo fondamentale durante l’essicazione
perché consente che avvengano alcuni feno-
meni chimici e biologici che caratterizzano il
sapore e gli altri fattori di qualità della pasta;
per favorire questo processo l’impasto, dopo
essere stato trafilato in bronzo, deve essere
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108Gustare l’Italia
essic-
cato -
a n c h e
se non
più al sole
come avveni-
va una volta - in
tempi lunghissimi e
ad una temperatura che non
superi i 45-50°.
Ancora a fine Ottocento la pasta veniva porta-
ta in strada per farla asciugare all’aria aperta e
occorrevano intere giornate per completare il
processo; oggi la pasta della grande industria
viene essiccata in poche ore ad alte tempera-
ture che eliminano definitivamente le preziose
sostanze nutritive.
I prodotti dei Benagiano vengono messi in cel-
le con grandi ventole a ricambio naturale di
aria alla temperatura massima di 45°, per cui
occorrono 24 ore per essiccare la pasta corta
e quasi due giorni per quella lunga.
I tempi di lavorazione vengono così notevol-
mente allungati, ma il risultato - importante per
la nostra salute - è che la ricchezza delle so-
stanze contenute nel grano arriva intatta al no-
stro organismo per arricchirlo e proteggerlo.
Fra i molti riconoscimenti e attestazioni otte-
nuti dalla loro pasta, premiata dal “Tuttofood”
di Milano e dal Gambero Rosso come la “mi-
glior pasta di farro”, quello che preferiscono i
Benagiano è stato conferito dal Centro di Ri-
cerca De Bellis che, dopo test durati mesi e
mesi su 556 volontari scelti fra 1042 soggetti
affetti da sindrome metabolica, ha decretato
che la pasta di Garibaldi, oltre che essere buo-
na, fa anche bene alla salute.
L’azienda Benagiano produce 35 tipi di pasta,
oltre alla pasta al farro e a quella di semola in-
tegrale, ideale per i diabetici; chiedo al Cava-
lier Giuseppe qual’è il tipo che preferisce e il
modo migliore di cucinarla. Non ha esitazioni:
“spaghetti al pomodoro”, quello che i napole-
tani chiamano “c’a pummarola ‘ncoppa”. Ci
sono centinaia di modi per cucinare la pasta
(Vincenzo Buonassisi nel suo “Codice della
Pasta” ne ha individuato e catalogato ben
1347, elencandoli in ordine alfabetico dagli
“agnoli in sorbir” alla “zuppa di grano”). Ma il
Cav. Giuseppe la sua pasta la preferisce nella
maniera più tradizionale.
E quale vino abbinargli? Lo chiedo ancora al
Cavaliere, ricordandogli che qualcuno sostie-
ne che: … “dopo aver mangiato la pasta al po-
modoro si beve solo acqua pura; non si deve
profanarla bevendo vino”.
Il Cavalier Giuseppe non è assolutamente
d’accordo: “Perché questa rinuncia? Il vino è
importante, è indispensabile su ogni piatto di
pasta, si tratta soltanto di scegliere quello
adatto. Con la “mia” pasta al pomodoro io be-
vo un buon bicchiere di vino bianco delle Mur-
ge”. Ecco dunque tutti gli ingredienti per rea-
lizzare uno dei più grandi piatti della storia
della gastronomia: pasta, olio, pomodori, sale,
vino. Semplice, no?
Ma attenzione: l’olio deve essere quello sapi-
do e intenso che solo la Puglia sa dare; il sale
quello marino realizzato nelle saline lunari di
Margherita di Savoia; i pomodori quelli che i
contadini di Santeramo coltivano fra terra e
cielo, senza niente altro che aria e sole; il vino
quello ottenuto nelle Murge dalle uve di vigne
“ad alberello”, sempre più rare. E la pasta?
Naturalmente quella di Giuseppe Garibaldi.
se non
più al sole
come avveni-
va una volta - in
tempi lunghissimi e
ad una temperatura che non
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Le ricette con la pasta
Gustare l’Italia109
Ricett
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FOJADE GIALLE CON PI-SELLI E MENTAIngredienti per 4 persone:
500 gr di farina di semola; 400 gr di pi-
selli novelli freschi; 200 gr di Parmigia-
no; 4 rametti di menta; 80 gr di burro.
Preparazione:
preparare la sfoglia per le tagliatelle
amalgamando le uova con la farina.
Cuocere i piselli in abbondante acqua
salata per circa 6-7 minuti, scolarli e
passarli in padella col burro. Cuocere la
pasta, scolarla e condirla con i piselli, il
Parmigiano e le foglie di menta sbricio-
late.
MALTAGLIATI CON I FAGIOLIIngredienti per 4 persone:
400 gr di farina di semola; 400 gr di fagioli freschi; 4 uova; 4 litri di brodo di gallina; 300 gr di patate;
100 gr di Parmigiano; 2 pomodori; 1 grossa cipolla; 2 spicchi d’aglio; basilico e alloro; 50 gr di burro;
sale e pepe q.b.
Preparazione:
impastare la farina con le uova e ta-
gliare la sfoglia così ottenuta dopo
averla arrotolata in pezzetti (maltaglia-
ti). Lasciare appassire la cipolla all’in-
terno di una pentola capiente con il
burro. Aggiungere i fagioli, le patate, i
pomodori, l’aglio, l’alloro, il basilico.
Salare e pepare.
Coprire il tutto col brodo di gallina e
far cuocere per circa un’ora abbon-
dante. Cuocere i maltagliati per qual-
che minuto, unire il Parmigiano e ser-
vire col sugo di verdure ben caldo.
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110Gustare l’Italia
TAGLIATELLE GIALLE CON SALSICCIA FRESCA E ACETO BALSAMICO DI MODENAIngredienti per 4 persone:
300 gr di farina di semola; 600 gr di salsic-
cia cruda; 2 uova; 20 gr di burro; aceto di
Modena; Parmigiano; sale q.b.
Preparazione:
disporre la farina a fontana, sgusciarvi al
centro le uova, impastare e preparare le
tagliatelle. Cuocere la pasta e nel frattem-
po sbriciolare le salsicce e farle rosolare in
una padella col burro. Condire le tagliatel-
le con la salsiccia, mezzo bicchiere d’acqua di bollitura, abbondante Parmigiano e qualche goccia di
aceto Balsamico.
TORTELLI DI ZUCCA IN CREMA DI ZUCCA E MANDORLE DI PESCAIngredienti per 4 persone:
500 gr di farina; 4 uova; 1 kg di polpa di zucca gialla; 100 gr di amaretti; 150 gr di mostarda di mele;
50 gr di mandorle di pesca; 300 gr di Parmigiano; 1 limone; 100 gr di burro; ½ bicchiere di vino cotto;
noce moscata; sale q.b.
Preparazione:
cuocere la zucca, scolarla e
passarla al setaccio. Tritare gli
amaretti, unire le mandorle e
la mostarda. Aggiungere la
zucca, il Parmigiano, la buccia
del limone grattugiata e amal-
gamare bene il tutto fino ad
ottenere un composto omo-
geneo.
Preparare la sfoglia per i tor-
telli con le uova e la farina. Ta-
gliarla in quadrati di circa 8
cm di lato e riporre al centro di
ognuno una noce di ripieno.
Richiuderli e cuocerli in ab-
bondante acqua salata per
circa 3-5 minuti. Condirli con burro fuso e una crema di zucca preparata con un po’ di pesto tenuto
da parte, ½ bicchiere di vino cotto e poca acqua di cottura.
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Rubriche
Gustare l’Italia111
Peccato di gola?
112Gustare l’Italia
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rella
I “Peccati Capitali” quelli che senza un du-
ro e sofferto pentimento portano diritti all’In-
ferno erano inizialmente gli otto individuati
da Frate Cassiano nel 400 d.C.: Lussuria - Ira
- Invidia - Superbia - Avarizia - Accidia - Tri-
stezza e Gola. Qualche secolo dopo Tom-
maso d’Aquino ne introdusse ufficialmente
nel Catechismo soltanto sette, eliminando la
Tristezza.
Non tutti i suoi confratelli però furono d’ac-
cordo; niente da obiettare sulla Lussuria, che
spesso degenera nell’abiezione, nella violen-
za, nella prevaricazione sui più deboli; tutti
d’accordo sull’Ira, che provoca guerre e de-
litti, sull’Invidia, sulla Superbia, sull’Avarizia
che uccide la solidarietà e la generosità; ci fu
qualche perplessità sull’Accidia, che è gene-
rata dalla noia, dallo scoraggiamento, dalla
solitudine, ma è difficile che provochi danni
se non a se stessi. Ma perché – si chiesero
in molti - considerare mortale il peccato di
Gola?
Che male si fa - si domandarono - a gustare
con piacere i doni che la Natura elargisce
con generosità? Perché mettere sullo stesso
piano un delitto provocato dall’Invidia o dalla
Gustare l’Italia113
Superbia e il godimento di un cibo mangiato
in allegria con amici e magari seguito da can-
ti e danze e invenzioni poetiche? Tutto però
fu inutile: per l’autore della Summa Teologiae
i Peccati Capitali dovevano essere sette e
sette rimasero, compresa la Gola, che - pe-
raltro - era stata condannata all’Inferno già
da Dante nel VI canto della “Divina Comme-
dia”.
Nei secoli che seguirono molti preti si dimen-
ticarono di comminare recite di pateraveglo-
ria a chi confessava il peccato di aver man-
giato con avidità un cosciotto di agnello o un
piatto di agnolotti e molti Vescovi, Cardinali e
perfino Papi sono stati colti dal dubbio se la
Gola fosse da considerare un “peccato” e -
per giunta - “capitale”. Nessuno è però mai
intervenuto a correggere la decisione di Tom-
maso, forse anche per rispetto, dal momento
che era stato anche santificato.
Noi di “Gustare l’Italia” siamo giunti alla con-
clusione che 700 anni dopo la pubblicazione
della “Divina Commedia”, 600 anni dopo la
decisione di San Tommaso sia giunta l’ora di
fare qualcosa di concreto e di definitivo per
riparare a questa che - secondo noi - è un’in-
giustizia e pensiamo che, proprio come era
già accaduto per la Tristezza, sarebbe op-
portuno cancellare dai Peccati Capitali la
Gola, che nei secoli ha dato gioia, ha invitato
all’amore, alla poesia, alla bellezza.
Chiediamo a tutti coloro che condividono il
nostro pensiero a farci avere un commento su
questa nostra proposta (possono anche co-
municarcelo alla mail [email protected]).
P.S. Se qualcuno si è affezionato al numero
sette e ritiene che i “peccati capitali” debba-
no necessariamente essere sette, proponia-
mo di sostituire la Gola con il peccato
dell’Astinenza dal Vino e mandare all’Inferno
la triste genia degli Astemi, coloro che rifiu-
tano la divina bevanda che esalta la gioia di
vivere, dispone all’ottimismo, dà acutezza
all’ingegno, ali all’ispirazione e che certo ri-
troveremo in Paradiso, come ci assicura il
Vangelo secondo Giovanni: “… e preso il ca-
lice, reso grazie, diede loro; e ne bevvero tut-
ti. E disse loro: “questo è il sangue mio effu-
so per molti. In verità vi dico che non più
berrò del succo della vite fino a quel dì che
ne berrò di nuovo nel regno di Dio.
114Gustare l’Italia
Un vero gourmet che, proveniente da ogni parte del mondo, arriverà a Milano in occasione del-
la Grande Esposizione del 2015 sarà certo curioso di visiatre i ristoranti dove poter incontrare il
meglio della cucina del nostro Paese, i sapori autentici e genuini della nostra terra.
“Gustare l’Italia” vuol dare il proprio contributo a questo legittimo desiderio segnalando quei lo-
cali ai quali il turista goloso non dovrà rinunciare per nessuna ragione. Diamo dunque il via alla
nostra personale guida segnalando un ristorante dove, a pochi chilometri da Mlano, si può in-
contrare la più autentica e genuina cucina pugliese
di C
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To
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iann
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Gualtiero Marchesi, il più titolato chef ita-
liano, intervistato dal New York Time, alla do-
manda: “Qual è il suo ristorante preferito in
Italia?” Ha risposto senza esitazione: “Il Car-
retto” e ha aggiunto: “Non trovo il più picco-
lo difetto in questa semplice trattoria che ser-
ve un autentico menù pugliese; non ci sono
invenzioni false ma cibi semplici, sinceri e
pieni di fantasia. La cuoca, Maria, cucina in
modo meraviglioso con grande amore e pas-
sione”.
La Puglia a Milano
I risto
ranti
Exp
o
Paul Bocuse, forse il più grande cuoco d’ol-
tralpe non perde occasione, se è di passag-
gio a Milano, di fare una visita al Carretto do-
ve si gusta - lui sostiene - la più esaltante
cucina mediterranea.
Lorella Cuccarini lo mette al primo posto fra
i ristoranti della sua predilezione, così Lino
Banfi che viene a ritrovare i piatti che gli cu-
cinava la nonna. Il Corriere della Sera ha
scritto che Il Carretto, anche se si trova a Bo-
nirola di Gaggiano, a pochi passi dalla capi-
Gustare l’Italia115
tale lombarda, “è forse il più grande ristoran-
te pugliese d’Italia”.
Sono d’accordo. E sono lieto di avere contri-
buito anche se soltanto con consigli e sug-
gerimenti a far crescere questo locale fino a
meritare questi prestigiosi riconoscimenti.
Ho scoperto Il Carretto 40 anni fa quando è
stato inaugurato e l’ho tenuto gelosamente
nascosto segnalandolo solo ai gourmet di
provata fede nel timore che, una volta diven-
tato famoso, scadesse nel banale e nella
routine come è accaduto - purtroppo - a
molti altri.
Da molto tempo il pericolo è passato; anche
se è facile incontrare ogni sera importanti
nomi del mondo dello spettacolo, della cul-
tura, della cronaca, l’attenzione dei proprie-
tari si è fatta - se possibile - ancora più acu-
ta senza cedimenti e senza incertezze. Il
merito va ad una coppia arrivata in Lombar-
dia una trentina d’anni fa dalla natia Spinaz-
zola, un paesino Murge ai confini con il Vul-
ture: Giuseppe e Maria.
Pochi soldi in tasca, un grande sogno nel
cuore, una volontà di ferro unita alla capacità
- propria di certa gente del sud - di lavorare
con impegno costante senza fermarsi di
fronte alle difficoltà.
Il Carretto fu una realtà qualche anno dopo,
nel 1970, e il successo fu immediato soprat-
tutto fra i pugliesi di Milano che costituisco-
no la più numerosa colonia di immigrati.
Il merito di questo successo va diviso equa-
mente fra due coniugi: Giuseppe che ogni
settimana parte con suo camion alla esaspe-
rata ricerca degli ingredienti e Maria che li
cucinerà con antica sapienza e rispetto per
la tradizione. Raramente in un ristorante le-
gato alla cucina meridionale ho trovato la
perfezione dei cibi di Maria, il trionfo dei sa-
pori che giungono da un lontanissimo passa-
to e che fanno ammalare di nostalgia chi
quei sapori ha vivi nei suoi ricordi. Ne sono
innamorato perché anch’io vi ritrovo la mi in-
fanzia - i mie genitori erano originari di Mara-
tea, il più bel paese del mondo, in provincia
di Potenza.
Spesso, quando sono al sud cerco la cucina
più autenticamente popolare, quella più vici-
na ai sapori del passato ma se non ho la for-
tuna di essere invitato in una casa privata
dove - grazie a Dio - c’è ancora qualcuno at-
tento alla tradizione, rischio di andare incon-
tro a cocenti delusioni. In regioni di straordi-
naria cultura gastronomica, di incomparabile
ricchezza di ingredienti che la natura dona
con generosità, dove l’artigianato locale con-
tinua a creare fra mille difficoltà prodotti di
alta qualità, i ristoranti si accontentano di
prodotti industriali che sono l’appiattimento
del gusto.
Si direbbe anche che i ristoranti del sud ab-
biano una sorta di complesso di inferiorità
nei confronti di quelli del nord; c’è una spe-
cie di pudore, quasi di vergogna nel proporre
piatti autenticamente paesani….facilissimo
sentirsi offrire penne al salmone, lumache al
vermut, tagliatelle al cacao, scampi al co-
gnac, persino bagna caoda o brasato al ba-
rolo, ma mangiare un accettabile piatto di fa-
116Gustare l’Italia
ve e cicoria a Foggia o una decente pasta
con le sarde in Sicilia, è un’impresa quasi di-
sperata. Ci sono naturalmente luminose ec-
cezioni: penso ad “Alia”, un’oasi di grande
gastronomia a Castrovillari (Cosenza), al
“Don Alfonso” di Sant’Agata sui due golfi,
all’”Antichi Sapori” di Montegrosso di Andria
disposto a fare chilometri e chilometri e non
è contento se non ha ottenuto il meglio, l’as-
soluto. Se ogni ristorante del sud ponesse la
stessa attenzione alla genuinità dei prodotti
locali ne riceverebbe sicuramente un impul-
so l’economia meridionale e Dio sa quanto
ce ne sarebbe bisogno.
L’arrivo del camion di Giuseppe a
Bonirola è un trionfo per gli occhi
e per il palato: mozzarelle, peco-
rini, caciocavalli, ricotta dura,
burrate, salsicce, peperoncini,
lampascioni, cime di rapa, pomo-
dorini, tarallini, farina di pane di
Altamura, pancetta, salame, dol-
cetti di mandorle, finocchiella sel-
vatica, alloro, uova, aglio, cipolla,
carne d’agnello, fave, ceci, cicer-
chie, fagioli, olio di Andria, vini di
Spinazzola, di Gravina (la stupen-
da Verdeca) del Volture (il prezio-
so Aglianico), di Venosa, la patria
di Orazio (nunc est bibendum,
nunc pedelibero pulsanda tellus)
perfino l’acqua di Monticchio
senza la quale sarebbe impossi-
bile fare a Milano strascinati, orecchiette,
cartellate…
Maria accoglie con il suo dolce sorriso tutto
quel bendidio che lei, magicamente trasfor-
merà in piatti di assoluta perfezione: orec-
chiette al sugo di braciola, strascianati alle
cime di rape, cavatieddi, orecchiette alla
Sangiuaniello, al pomodoro e basilico, al ra-
gù, strascinati alle cime di rape, cicatielli con
fagioli, taglioline con ceci, favette con la ci-
coria, gnummeriddi, salsicce in punta di col-
tello, braciole alla spinazzolese…
Non c’è niente di inventato, il rispetto della
tradizione nel realizzarli, ne fanno piatti di as-
soluta perfezione. Le cime di rapa sono cime
di rapa come una rosa è una rosa, ma prova-
te ad assaggiare un piatto di strascinati in
guidato con travolgente passione da Pietro
Zito, all’”Antica Locanda” di Pasquale Fatali-
no a Noci (BA)… Ma il panorama resta al-
quanto deprimente.
A volte mi viene la tentazione di prendere
certi ristoratori e portarli in pellegrinaggio a
Bonirola di Gaggiano per far loro gustare la
cucina di Maria, la cucina delle origini che
essi hanno dimenticato.
Non c’è piatto nel suo menú che non si rife-
risca alle tradizioni della sua terra, nulla viene
tralasciato del repertorio regionale che trova
qui la sua più alta espressione. Giuseppe è
un appassionato ricercatore dei prodotti arti-
gianali che va a scovare nelle più remote
masserie delle Murge; per un certo cacioca-
vallo, per certe salsicce, per un certo vino è
Gustare l’Italia117
certi ristorante del sud e poi confrontateli
con quelli di Maria. In quanti ristoranti puglie-
si si possono ancora mangiare gli gnumerid-
di o le cicerchie o le favette con la cicoria?.
Chi impiegherebbe tre o quattro ore per rea-
lizzare il trionfale “cuturiddu”? Al Carretto è
possibile: basta capitare in una fortunata
giornata di primavera o ordinarlo espressa-
mente.
Eccovi gli ingredienti: agnello nostrano (natu-
ralmente di Spinazzola) finocchiella, funghi
cardoncelli, piselli, cipollotti freschi, aglio,
olio, prezzemolo, foglie di alloro, pezzetti di
pecorino. Si mette il tutto a crudo in una pen-
tola possibilmente di coccio - tranne pecori-
no, alloro e prezzemolo - e si fa cuocere len-
tamente. Solo se è proprio necessario si
aggiunge un po’ d’acqua.
Dopo circa un’ora dovrebbe essere pronto;
aggiungere il pecorino, il prezzemolo e l’allo-
ro. Sarete felici. Gustatevi il cuturiddu beven-
do l’Aglianico che Giuseppe si è spinto fino a
Rionero per trovarlo e lo ha ottenuto dal pro-
duttore con blandizie o minacce. Sarete feli-
ci. Non avrete mai bevuto un Aglianico di
questa fragranza, di questa perfezione, di
questa ricchezza. Basterebbero questo piat-
to e questo vino per dare fama e lustro a
qualunque ristorante ma il Carretto è molto
di più. Anche dal punto di vista umano: dalla
prima volta che ci entri ti senti come a casa
tua, vieni accolto come un amico da troppo
tempo assente finalmente ritrovato e ti ac-
corgi che non c’è affettazione e calcolo ma
autentico piacere e senso di ospitalità.
Giuseppe è anche un raffinato antiquario e te
ne accorgi entrando al Carretto per la ric-
chezza, l’originalità, la fantasia di mobili, nin-
noli, fotografie, quadri, suppellettili che fanno
capolino fra trionfi di pomodorini, di trecce
d’aglio, di peperoncini, di cipollotti…sei su-
bito avvolto da una atmosfera che rallegra gli
occhi e lo spirito e ti predispone ai piaceri del
palato che gusterai fra poco.
Gualtiero Marchesi concludeva la sua intervi-
sta con queste parole: “Ciò che mi ha colpito
di più in questo locale è che ogni cosa viene
cucinata con tanto amore. Preferisco chi
mette cuore in ciò che fa a chi adopera il cer-
vello”. Perfetto.
Brindisi d’autore
118Gustare l’Italia
di D
avid
e R
amp
ello
“Beviamo; Dioniso ci ha dato il vino
per alleggerire il nostro fardello,
per darci allegrezza,
per allontanare i malumori della vecchiaia
rinnovando la giovinezza e facendoci
dimenticare la disperazione”.
Catone
“Vuotiamo questo calice di vino
che ci ha dato il figlio di Zeus e di Samuele
per dimenticare dolori e affanni”.
Alceo
“Beviamo, amici, la notte amore e vino
non chiedono nessuna moderazione.
E’ priva di pudore la notte. Bacco e Amore
non conoscono la paura”.
Ovidio
“Brindiamo per sconfiggere con il vino
il canto e i dolci conversari la tristezza
che ci opprime”.
Orazio
E’ un drammatico brindisi anche l’invito a bere
di Gesù agli apostoli la sera dell’ultima cena,
secondo il racconto del Vangelo scritto da Gio-
vanni:
“… preso il calice di vino, reso grazie, lo die-
de loro; e ne bevvero tutti. E disse loro: que-
sto è il sangue mio effuso per molti. In verità
Vi dico che non più berrò del succo della vite
fino a quel dì che lo berrò nel Regno di Dio”.
E’ un momento drammatico ma anche piace-
vole per chi crede, poiché le parole di Gesù ci
dicono che in Paradiso potremo bere del
buon vino (e se no che Paradiso sarebbe?).
La consuetudine di fare quello che si
chiama “brindisi” ha origini antichissime;
da quando l’uomo cominciò a provare
gioia nel sedersi con degli amici intorno a
un tavolo per gustare cibi e bere del buon
vino, nacque in lui il desiderio di manife-
stare il proprio piacere improvvisando in
prosa o in versi un discorso per dedicare
quel momento ad una persona cara o ad
un avvenimento importante.
Molti di questi brindisi sono rimasti nella
storia dell’Umanità e ci sono stati traman-
dati da storici e poeti, ecco alcuni frasi
più famose:
Gustare l’Italia119
Altri brindisi d’autore sono dovuti a importan-
ti scrittori; quello che segue è il brindisi di Mi-
randolina ne “La Locandiera” di Goldoni:
“Viva Bacco e viva Amore,
l’uno e l’altro ci consola;
uno passa per la gola
l’altro va diritto al cuore.
Bevo al vin, con gli occhi poi…
Faccio quel che fate voi”.
Ed ecco Charles Baudelaire:
“Beviamo; oggi lo spazio è splendido.
Senza morsi, senza speroni, senza briglie,
partiamo a cavallo sul vino
verso un cielo di magia…”.
E come dimenticare i brindisi dei capolavori
operistici?
Dal Rossini de “L’Occasion fa l’uomo ladro”:
“Dunque facciamo un brindisi
Con questo vin perfetto”.
“Il gentile invito accetto
Di Vostra urbanità”.
“Viva Bacco dio del vino.
Viva il sesso femminino.
Che il piacer ti da alla testa
e fa tutti giubilar”.
Al Verdi de “La Traviata”:
“Libiamo, libiamo nei lieti calici Che la bellezza
infiora e la fuggevol ora s’inebriì a voluttà”.
Al Mascagni ne “La Cavalleria Rusticana”:
“Viva il vino spumeggiante Nel bicchiere scin-
tillante, Come il riso dell’amante Mite infonde
il giubilo! Viva il vino ch’è sincero Che ci allieta
ogni pensiero, E che annega l’umor nero,
Nell’ebbrezza tenera”.
E’ questa dei brindisi una tradizione che non
deve perdersi: per questo noi di “Gustare
l’Italia” invitiamo i nostri lettori a continuare
questa piacevole abitudine… inventate altri
brindisi, in prosa o in poesia, e inviatecelo.
Basta un po’ di fantasia, di allegria, di gioia
di vivere, tutte doti che si possono trovare fa-
cilmente in fondo ad un bicchiere colmo di
buon vino, circondati da amici (o insieme a
un amante…). Chi vuol partecipare è invitato
a mandare una mail completa con tutti i suoi
dati all’indirizzo [email protected].
Ogni mese una giuria sceglierà i brindisi mi-
gliori, i più divertenti, i più poetici, che ver-
ranno premiati con bottiglie dei vini delle più
rinomate cantine della provincia - natural-
mente - di Brindisi.
Bevo al vin, con gli occhi poi…
Il carrello della spesa
120Gustare l’Italia
del
la R
edaz
ione
Insieme a “Gustare l’Italia” nasce oggi un
nuovo contenitore che sarà di grande aiuto
per tutti i nostri lettori. Il portale è stato realiz-
zato dall’”Idini Consulting Group”, un’impor-
tante Società del settore che può vantare col-
laboratori tra i più qualificati.
Alla direzione del Gruppo c’è Piero Idini, forte
di un’esperienza ormai ultratrentennale che lo
ha visto tra i primi tecnici di Antenna Tre, la
prima televisione privata fondata da Enzo Tor-
tora, Cino Tortorella e Beppe Recchia nel
1977.
Il sito, che è fin d’ora visibile all’indirizzo www.
gustarelitalia.it, vuole essere un importante
aiuto per i lettori che potranno sia seguire ri-
cette, consigli e appuntamenti, sia scoprire le
più vantaggiose eccellenze alimentari di
tutt’Italia.
La rubrica, che è allo studio, inizierà a partire
dal prossimo mese di settembre; si tratta di
un’iniziativa che nasce da una doppia esigen-
za: illustrare a tutti i lettori i migliori prodotti
del nostro Paese e aiutare a crescere le molte
Aziende che, nonostante offrano articoli di al-
tissima qualità, spesso sono ancora poco co-
nosciute dal pubblico.
IDINI CONSULTING GROUPÈ un’azienda di consulenza leader nella gestione e nell’integra-
zione di sistemi e di servizi professionali, con particolare riferi-
mento all’industria dei media e delle telecomunicazioni.
Forte di un’esperienza trentennale nel settore broadcast enter-
tainment e all’avanguardia nei servizi legati al web 2.0, ICG ri-
sponde a tutte le esigenze di comunicazione delle imprese che
vogliono trarre il massimo vantaggio dalle nuove opportunità che
il digitale e internet mettono a disposizione per un business di
successo grazie a :
Produzioni audiovisive - Web TV - Siti Web interattivi - E-commerce - Comunicazione multime-
diale e cross mediale - Digitalizzazione pubblicazioni editoriali
Per informazioni: [email protected]
122Gustare l’Italia
del
la R
edaz
ione
Libri
da m
angi
are
LA CUCINA PUGLIESE - Luigi SadaUn autentico vademecum della tradizione culinaria pugliese. Dalle antiche
ricette, riscoperte dal noto storico della gastronomia, ai “nuovi” ghiotti e
gustosi sapori. Luigi Sada, tarantino di nascita e barese di adozione, ha
dato un notevole contributo alla conoscenza della Puglia e, in particolare,
di Bari, sotto il profilo storico, demologico e linguistico. Il suo ultimo lavo-
ro è una guida dettagliata, approfondita e fantasiosa ai segreti di una del-
le cucine più solari d’Italia che ha saputo sfruttare in modo completo, vario
e intelligente le risorse alimentari della terra. L’olio, anzitutto; poi il grano
- il pane in questa regione viene quasi idolatrato -; le carni più saporite (co-
me il celebre rito dell’uccisione del maiale, un autentico costume popolare
che coinvolge intere comunità). Dagli antipasti alle zuppe, dai piatti di pesce e carne accompagna-
ti dalle verdure locali, fino ai dolci tipici e al buon vino: ecco un vademecum davvero imperdibile.
IL LUSSO DELLA SEMPLICITA’- Gianfranco Bolognesi - Elsa MazzoliniLe più belle ricette del Ristorate “La Frasca” di Milano Marittima.
Nessun territorio è amabile solo per le sue caratteristiche storiche,
paesaggistiche, climatiche o culturali, si sa. E’ la conoscenza dei
luoghi, dei prodotti, dell’ambiente e – perché no? – anche della
cucina a fare la differenza.
Milano Marittima, in questi ultimi anni, si sta avvicinando alla va-
lorizzazione sia delle proprie tipicità alimentari, sia della ristorazio-
ne: ne è un esempio il Ristorante “La Frasca” che, attraverso un
progetto socio-culturale di ampio respiro, “cerca quotidianamente
di tradurre in un linguaggio comprensibile il concetto di cibo come
momento non solo di aggregazione intelligente, ma anche di co-
noscenza territoriale”. Da qui l’idea di questo libro, un volume che vuole raccontare il cibo e la
configurazione geografica straordinaria di un territorio che sorge tra mare e collina, di fascino in-
dubbio.
FLOS OLEI 2010 - Marco OreggiaEcco la prima guida internazionale dedicata ai migliori oli extravergine di oli-
va di tutto il mondo. Curata da Marco Oreggia e Laura Marinelli - ed edita
dallo stesso Oreggia -, è arrivata la prima guida internazionale dedicata ai
migliori extra vergine d’oliva di tutto il mondo. La guida è stata scritta sia in
italiano, sia in inglese, e presenta le realtà olivicole di 40 Paesi: naturalmente
l’Italia (che detiene il primato produttivo per qualità); poi la Spagna; il Porto-
gallo (premiata l’azienda Maria Costança de Castro Doutel de Andrade come
“Frantoio emergente”); la Francia (l’azienda Viticole & Oleicole des Rives du
Rhone ha vinto il “Frantoio di frontiera”); la Croazia (che si sta ritagliando uno
spazio notevole nel settore). Inoltre anche il Sud Africa, l’Australia, il Cile e la
Nuova Zelanda che - negli ultimi anni - sta raggiungendo davvero ottimi risultati.
124Gustare l’Italia
A partire da questo numero, il regista Guido
Tortorella ci illustrerà i più celebri film che ve-
dono il cibo come protagonista
di G
uid
o T
ort
ore
lla Il pranzodi Babette
Il cib
o ne
l cine
ma
La necessità di soddisfare la gola deve esse-
re tanto nobile quanto quella di soddisfare l’ani-
ma. Vivere il cibo come una forma d’arte è ciò
che ci distingue dagli animali, che mangiano so-
lo per bisogno. Questa necessità è il tema di un
film, “Il Pranzo di Babette” che mi è parso il più
appropriato ad aprire questa rubrica.
In due parole la trama: in un piccolo villaggio
della Danimarca vivono due sorelle che fanno
parte di una comunità di luterani. La loro vita si
svolge nella preghiera e nella semplicità.
Madame Babette, una grande cuoca in fuga da
Parigi perché ricercata dalla polizia per la sua
partecipazione ai moti rivoluzionari dal 1871
viene accolta nella loro casa come domestica.
Babette non rivela a nessuno la sua identità, si
adatta ai lavori più umili, a una cucina semplice
e povera del tutto intonata alle condizioni delle
due anziane sorelle.
Quando però vince alla lotteria una ricca som-
ma, anziché ritornare in Francia decide di rin-
graziare le sue benefattrici a modo suo e spen-
de tutto il denaro per offrire alla comunità un
pranzo indimenticabile acquistando i cibi più
esclusivi e ricercati, il meglio che trova sul mer-
cato; crea così per gli ospiti sbalorditi una fan-
tastica cena al termine della quale uno degli
ospiti uscendo nella notte stellata dirà: “Le stel-
le sono venute più vicine”…
Nel film di Axel, quello che allontana i personag-
gi dal piacere della cucina è la visione distorta
di un estremismo religioso. “Possa oggi il mio
cibo servire il mio corpo”, dicono i commensali
prima di ogni pasto. In senso lato si potrebbe
paragonare il loro rifiuto alle deformazioni che
portano oggi la maggior parte degli italiani a
servirsi quotidianamente dei fast-food.
L’unica necessità sembra essere diventata quel-
la di riempire la pancia e, a causa della fretta,
spesso si rinuncia a farlo con giudizio e ricerca-
tezza.
Ma la comprensione di qualcosa che ci è com-
pletamente alieno non è sempre facile: se por-
tassimo un frequentatore abituale di fast-food
da Aimo e Nadia o da Gualtiero Marchesi, note-
rebbe veramente la differenza o rimarrebbe
semplicemente stordito da un cambiamento
troppo violento?
L’educazione al mangiare deve avere una base
culturale, non può nascere dal nulla, altrimenti si
rischia di fare la stessa figuraccia della luterana
che, nel film, assaggiando lo champagne dice:
“Deve essere una specie di limonata”.
Gustare l’Italia125
Quando cominciano ad arrivare le pietanze che
Babette ha cucinato, le due sorelle sono spa-
ventate come fossero di fronte all’ignoto e al
peccaminoso.
E’ anche vero che vedendo la cuoca intenta al-
la preparazione del Vol-au-vent di quaglia (in
cui l’animale viene sventrato e riempito di ali-
menti), ci par di osservare qualcosa di demo-
niaco.
Nell’allestire un buon pasto ci si deve mettere
passione, anche violenza, come nell’esecuzio-
ne dell’aria di un opera lirica. Solo così si sarà
in grado di suscitare emozioni forti….e alla fine,
infatti, il miracolo avviene.
Portata per mano dalle nobili pietanze e dal
flusso continuo dei vini che accompagnano il
pranzo (Amontillado, Veuve Cliquot 1860, Clos
Vougeot 1864) la comunità raggiunge finalmen-
te quella consapevolezza che, per fanatismo
religioso, ignorava: anche il piacere del cibo
può aiutare ad avvicinarci a Dio.
INSALATA MISTA CON VINAIGRETTE DI ACETO BALSAMICO DI MODENAINSALATA MISTA
Ingredienti: Scarola riccia - Lattuga - Carote - Cetriolo - Gherigli di noce di miele
Procedimento: spellare e grattugiare i cetrioli, schiacciarli bene per fare uscire il liquido avvol-
gerli in una stamina e metterli sottopeso per un’ora. Stracciare a mano le insalate. Tagliare le
carote a julienne. Condire con salsa vinaigrette
SALSA VINAIGRETTE X4
Ingredienti: Aceto balsamico di Modena 3 cuc-
chiai - Olio extravergine ligure 6 cucchiai -
Tuorlo sodo 1 passato al setaccio - Sale, pepe,
erba cipollina
Procedimento: In una bastardella aggiungere:
aceto, tuorlo e sale. Frustrare e aggiungendo
olio a filo. Alla giusta densità aggiungere un
cucchiaino di acqua calda. Aggiungere erba
cipollina
126Gustare l’Italia
di A
rab
ella
Pez
zaAp
punta
men
ti
OTRANTO JAZZ FESTIVAL 2010Otranto - 22/25 luglio
Per info: www.otrantojazzfestival.com
Non solo jazz per tutti gli appassionati del genere, ma anche una
serie di appuntamenti enogastronomici - tutti da scoprire! - da gu-
stare nei migliori locali che aderiscono all’iniziativa.
SAGRA TE LU RANUMerine (LE) - 9/11 luglio 2010
Per info: www.sagratelurano.eu
“Lu Ranu” è il grano, Merine è un piccolo paese
alle porte di Lecce dove vale la pena fare una
sosta in questi giorni per assaggiare pizzi, mac-
cheroni e orecchiette, ballando la pizzica, ov-
viamente.
FESTA FEDERICIANAGioia del Colle (BA) - 24/25 luglio 2010
Per info: www.festafedericiana.it
L’Associazione culturale Petali di Pietra, in collaborazione col Con-
sorzio Made in Puglia, organizza la II edizione della Festa Federicia-
na, realizzata con l’ausilio di Slow Food: bancarellisti, aziende eno-
gastronomiche, artisti, artigiani e un grande mercato di prodotti tipici
locali tutti da gustare
SAGRA DEL POLPOMola di Bari (LE) - 31 luglio/1 agosto 2010
Due intere giornate dedicate al polpo, il vero e
unico protagonista di questa ghiottissima sa-
gra. Da gustare sul lungomare, alla griglia o in
zuppa, anche se la vera specialità è il panino
farcito col polpo, hot-dog alla marinara…
Gustare l’Italia127
FESTA DELLA MUNICEDDHACannole (LE) - 10/13 agosto 2010
Per info: www.comune.cannole.le.it
Una delle maggiori (e più commerciali) sagre
salentine. Il nome deriva dalla cuffia inamidata
che usavano le suore, la monachella, e la muni-
ceddha è la lumaca di terra, da provare arrosto,
al sugo o fritta.
SAGRA DA FAR’NÈDD(E DEI SAPORI DI PUGLIA)Castellaneta (TA) - 8 agosto 2010
Per info: www.comune.castellaneta.ta.it
E’ forse la Sagra più grande ed importante d’Ita-
lia: 2 km di percorso nel cuore della storia archi-
tettonica della cittadina, bontà locali e, natural-
mente, lei “a far’nèdd”.
Di cosa si tratta? Della vecchia farina ricavata macinando i legumi, ma si potranno degustare an-
che focacce, salumi, caci, friselle, orecchiette e, naturalmente, vini.
SAGRA DE LE 4 PIGNATETiggiano (LE) - 13 agosto 2010
Per info: 335-228673
La “pignata”, ovvero il contenitore di terracotta
all’interno del quale si cucinavano un tempo i
legumi (il cibo dei poveri), durante questo gior-
no di festa viene adoperato da tutte le donne
del paese, che si sfidano nella preparazione del
piatto migliore.
SAGRA DELLA PISCIALETTASurbo (LE) - 6/9 agosto 2010
www.sagradellapiscialetta.com
La “piscialetta” è la focaccia tradizionale, tutta
da scoprire partecipando a questa sagra che -
ogni anno - richiama a Surbo migliaia di appas-
sionati (affamati!).
128Gustare l’Italia
Dovete rispondere a questo test senza barare, senza consultare enciclopedie,
siti internet, o chiedere lumi agli amici; se rispondete esattamente ad almeno
10 domande, potrete fregiarvi del titolo “vero gourmet”; da 5 a 9 potrete sem-
pre vantarvi di essere un “buongustaio”; da 0 a 4 sarà bene cambiare i ristoranti nei quali vi
recate di solito a smettere di seguire le trasmissioni televisive che trattano di cucina.
del
la R
edaz
ione Sei un vero gourmet?
Quiz
1) Quali di questi vini non è pugliese?
A) Sciacchetrà
B) Nero di Troia
C) Negramaro
2) Quale di questi tipi di pasta non è puglie-
se?
A) Trofie
B) Fruscilli
C) Strascinati
3) Quale di queste città pugliesi è famosa per
il suo Capocollo?
A) Locorotondo
B) Martina Franca
C) Gioia del Colle
4) Cosa sono nella cucina pugliese gli
“Sponsali”?
A) Frutti di mare
B) Un tipo di cipollotti
C) Un genere di pasta
Dovete rispondere a questo test senza barare, senza consultare enciclopedie,
siti internet, o chiedere lumi agli amici; se rispondete esattamente ad almeno
10 domande, potrete fregiarvi del titolo “vero gourmet”; da 5 a 9 potrete sem-
Sei un vero gourmet?
Gustare l’Italia129
5) Che cosa è nel Salento “lu mieru”?
A) Il miele
B) Il vino
C) Un liquore d’erbe
6) Le osterie a Milano vengono chiamate con
il nome di una città pugliese, quale?
A) Brindisi
B) Trani
C) Molfetta
7) Insieme al riso e alle patate quali frutti di
mare sono presenti in un famoso piatto puglie-
se?
A) Gamberi
B) Vongole
C) Cozze
8) Che cosa sono le “cicerchie”
nella gastronomia pugliese?
A) Frutti di bosco
B) Legumi
C) Pesci
9) Quale famoso cantante pu-
gliese è anche un produttore di vi-
ni?
A) Enzo Iannacci
B) Albano
C) Caparezza
10) Quanti sono all’incirca
gli alberi di ulivo in Puglia?
A) Circa 1 milione
B) Circa 15 milioni
C) Circa 60 milioni
11) L’abbinamento classico
con le orecchiette è con:
A) Cime di rapa
B) Ceci
C) Rucola
RISULTATI:1) a - 2) a - 3) b - 4) b 5) b - 6) b - 7) c - 8) b9) b - 10) c - 11) a - 12) c 13) c - 14) c - 15) c
8) Che cosa sono le “cicerchie”
nella gastronomia pugliese?
A) Frutti di bosco
B) Legumi
C) Pesci
9) Quale famoso cantante pu-
gliese è anche un produttore di vi-
ni?
A) Enzo Iannacci
B) Albano
C) Caparezza
10) gli alberi di ulivo in Puglia?
A) Circa 1 milione
B) Circa 15 milioni
C) Circa 60 milioni
11) con le orecchiette è con:
A) Cime di rapa
B) Ceci
C) Rucola
8) nella gastronomia pugliese?
A) Frutti di bosco
B) Legumi
C) Pesci
gliese è anche un produttore di vi-
12) Quale di questi nomi di vini è inventato?
A) Cacc’emmitte
B) Malicchiamapicchia
C) Lu miero di la merula
13) Quale città pugliese è nota per il pane
“Eccehomo” (Crist ecc omm)?
A) Andria
B) Barletta
C) Terlizzi
14) Quale di questi funghi è pugliese DOC?
A) Finferlo
B) Galletto
C) Cardoncello
15) Qualche città pugliese è famosa per le
sue cipolle rosse?
A) Castellana Grotte
B) Ostuni
C) Acquaviva delle Fonti
130Gustare l’Italia
Indice
dell
e ric
ette
23 Cavatelli e ceci
23 Pasta al forno
23 Polpette
53 Risotto alla milanese
con il bianco di Locorotondo
107 Fojade gialle con piselli e menta
107 Maltagliati con i fagioli
108 Tagliatelle gialle
con salsiccia fresca
e aceto balsamico di Modena
108 Tortelli di zucca
in crema di zucca
e mandorle di pesca
123 Insalata mista con vinaigrette
di aceto balsamico di Modena
33050 Percoto, Udine / Italy T. +39 0432 676331
NONINO OlTre ceNT’aNNI dI dIsTIllazIONecON meTOdO arTIgIaNale
I Nonino imbottigliano esclusivamente Grappa e Acquaviti ottenute da materie prime fresche, distillate con metodo artigianale nei propri alambicchi discontinui a vapore a Ronchi di Percoto, invecchiate in barriques e imbottigliate senza aggiunta di caramello.
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www.nonino.it
Grappa Noninoil Merlot
Gustare L_Italia_210x275 1 17.05.2010 16:48:06
L’arôme dela séduction.
cuvée prestigebrut rosé millésime
cuvée prestigebrut millésime
brut grande réservepremier cru
brutblanc de blancsw
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