Gli s-vantaggi della relazione
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per “Flusso Continuo, notiziario A.O.A. dicembre 2005, Alba”
adalberto geradini – http://prendersicura.blogspot.com- [email protected] 1
Gli s-vantaggi della relazione
L’uomo è un fascio di relazioni, un groviglio di radici, i cui fiori e frutti sono il mondo Ralph Waldo Emerson
Poiché vi sono animali che vivono in
gruppo e altri rigorosamente solitari, é evidente che
i vantaggi acquisiti dall’uomo scegliendo la
socialità e la relazione (costituzione di comunità di
difesa, divisione del lavoro, trasmissione della
cultura ecc) sono stati superiori agli svantaggi.
L’uomo è un animale sociale, come altre specie del
resto, che grazie alla sua particolare dimensione
collettiva e all’evoluzione culturale che nel tempo
ne é scaturita, è diventato ciò che è. E’ la sua
precoce immersione per un lungo periodo iniziale
in un gruppo, che fa di un essere umano l’uomo
come noi lo intendiamo. Alla nascita nessuno di noi
è realmente “contemporaneo”, lo diventiamo
progressivamente verso i cinque-sei anni attraverso
l’interazione continua con gli altri umani che ci
circondano e con il sistema comunicativo non
verbale e verbale che caratterizza quell’ambiente.
Le disposizioni innate, geneticamente determinate,
e le esperienze acquisite tramite i regolari contatti
con gli altri membri della nostra specie,
interagiscono a formare comportamenti e regole di
vita comunitari. Costruiamo la cultura attraverso
l’alto livello di socialità e i tanti messaggi che ci
scambiamo per coordinare ed organizzare la vita di
gruppo. Si struttura così il nostro linguaggio, una
rete di segnali, cui seguono specifiche risposte. Un
sistema complesso, attraverso cui esploriamo e
riflettiamo internamente su noi stessi e
comunichiamo idee astratte all’esterno. Per noi,
animali culturali, è indispensabile trasmettere quelle
informazioni e quelle abilità che non sono acquisite
direttamente attraverso il codice genetico. Del resto,
è stato proprio il nostro successo culturale a far sì
che creassimo un ambiente per il quale non
eravamo stati filogeneticamente selezionati e che ci
trova abbastanza inadatti sul piano biologico: il
patrimonio genetico dell’uomo è rimasto
sostanzialmente lo stesso negli ultimi
centocinquantamila anni, di fronte a mutamenti
sconvolgenti dell’ambiente stesso. La nostra
plasticità e la comunicazione simbolica ci hanno
permesso invece di adattarci sul piano culturale,
anche se dobbiamo prendere atto che alcune
disposizioni comportamentali ereditate, potrebbero
portarci oggi, nel diverso contesto in cui viviamo, a
comportamenti disadattati. Senza conoscerle, queste
pre-programmazioni possono diventare dei veri
tranelli, “dobbiamo essere consapevoli che siamo
uomini con il bagaglio emozionale del Paleolitico e
oggi dirigiamo in qualità di presidenti le
superpotenze, pilotiamo aerei supersonici e
corriamo come in gara sulle autostrade.” (I. Eibl-
Eibesfeldt 1997 Dall’animale all’uomo, Roma, Di Renzo
Editore)
La comunicazione, che è il tessuto su cui
abbiamo costruito il nostro successo, presenta
qualche complessità, come tutti sperimentano. Uno
degli elementi che genera difficoltà è costituito dal
suo duplice aspetto: il suo essere
contemporaneamente individuale e sociale.
Già nell’etimologia del termine “relazione” sono
presenti i due significati che sottolineano questa
caratteristica: da un lato si rimanda al latino “re-
ligo”, dall’altro a “re-fero”. Con religo si indica il
legame in senso stretto fra due o più soggetti, ciò
che li unisce durante l’interazione; con refero che i
soggetti sono latori di qualcosa, che portano con sé
un patrimonio culturale collettivo di cui sono
rappresentanti all’interno del legame.
Vale a dire, il rapporto tra i soggetti della relazione
non riguarda solo loro in quanto persone con un
passato individuale, è sempre portatore di un
sistema simbolico più ampio, è immesso in una
storia sociale, é collegato ad altri legami. In
presenza dell’altro, non solo non si può non
comunicare ma si confrontano universi collettivi di
cui siamo depositari più o meno consapevoli.
Durante un processo comunicativo sono
presenti simultaneamente due piani relazionali.
• quello fra persone
• quello fra ruoli
La comunicazione fra ruoli avviene poiché
ciascuno di noi rappresenta non solo se stesso ma
anche la sua comunità d'appartenenza. La socialità
comporta un sapere comune e un sistema di rapporti
nel quale noi ci collochiamo con uno status e un
ruolo specifico, al di là della personalità autentica.
Si può definire il ruolo come quell’insieme di
norme e di aspettative che convergono su un
individuo in quanto occupa una posizione in una
rete di relazioni sociali. Le norme indicano il cosa
devo fare, l’aspetto prescrittivo, mentre le
aspettative indicano cosa i miei interlocutori si
attendono da me durante l’interazione. Le
SINTESI
• La relazione è il tessuto su cui si sviluppa la nostra evoluzione
• La comunicazione ne è uno strumento fondamentale
• La relazione si svolge su due piani: del ruolo e dell’individuo
• La comunicazione fra ruoli richiede flessibilità di riconoscimento e di interpretazione;Ruolo e Persona
• La comunicazione intersoggettiva richiede ascolto esterno ed interno
per “Flusso Continuo, notiziario A.O.A. dicembre 2005, Alba”
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aspettative quindi non riguardano solo i
comportamenti ma anche gli affetti, le credenze, i
valori, le motivazioni.
Se sono un papà, il Codice definisce quali sono gli
obblighi di legge che devo rispettare, ma nello
stesso tempo i figli, la moglie ecc si aspettano che
io lo sia in quel certo modo che è definito
dall’ambiente culturale al quale apparteniamo. Fare
il padre a Amsterdam genera aspettative diverse da
quelle presenti a Lagos.
Anche se biologicamente l’uomo è ancora un
semplice animale tribale, da parecchio non viviamo
più all’interno di ecosistemi locali, siamo diventati
membri di una supertribù in cui non conosciamo
più personalmente ogni membro della comunità. I
sistemi sociali della nostra specie sono diventati
enormemente più complessi di qualsiasi altro
sistema sociale noto, i vari aspetti della vita sono
organizzati in moltissimi sottosistemi dei quali ogni
individuo può far parte, inserito
contemporaneamente in più gradini e con diversi
ruoli concomitanti.
In qualsiasi situazione pubblica quindi, ognuno
interagisce con gli altri con diversi ruoli. Nella serie
televisiva I Sopranos appare un personaggio, Tony,
che vive il conflitto tra il suo ruolo violentemente
antisociale di gangster e quello di membro della
classe medio alta del Nord America. In alcune
scene lo si vede durante la prima colazione nel
ruolo di padre moderno politically correct,
chiacchierare con i figli che si preparano ad andare
a scuola e contemporaneamente telefonare al suo
“mandante” mentre si appresta ad uscire per
ammazzare qualcuno.
I ruoli appartengono a due macro categorie:
quelli determinati dalle caratteristiche
dell’individuo e che si sviluppano spontaneamente
durante la vita (es. maschio/femmina,
giovane/anziano ecc) (ascritti) e quelli che un
individuo incarna successivamente e su cui ha
diversi gradi libertà, (es. marito/moglie,
medico/paziente ecc) (acquisiti o prescritti).
Questi ruoli si sovrappongono continuamente sullo
stesso soggetto (che ad es. può essere femmina,
figlia, madre, moglie, vigile urbano, testimone di un
incidente ecc) e ciascuno genera aspettative diverse,
oltre che norme diverse. Se sono un vigile e fermo
mia figlia che sta andando in motorino senza casco,
lei si aspetterà da me, la madre, comportamenti
diversi da quelli che si aspettano i cittadini che
assistono alla scena. Questa simultaneità crea
difficoltà nel processo comunicativo tra i singoli
interlocutori, cui é richiesta molta flessibilità e
tempestività per gestire i vari ruoli compresenti, la
loro dinamica e per fronteggiare le diverse attese.
Ad es. in un rapporto capo/collaboratore tra due
persone che lavorano assieme da molti anni e che
sono diventate amiche, può succedere che il
collaboratore chieda un colloquio per incontrare il
suo capo in quanto esperto da cui ricevere un
contributo tecnico risolutivo su un problema che lo
assilla, mentre per il capo questa può essere
l’occasione per “staccare”, per lasciarsi andare un
attimo, visto che sono anche amici. I due, se non
verificano le reciproche aspettative, utilizzeranno
bagagli di modalità comunicative probabilmente
molto diversi.
Se i comportamenti dell’interlocutore si discostano
dalle reciproche attese in modo significativo, si crea
stress che si sovrappone alla comunicazione,
peggiorandola.
Il ruolo, in quanto ponte tra io e collettivo e
le sue implicazioni sull’individuo, é esaminato dalla
psicologia analitica con un concetto simile: la
“Persona”. Il termine, che deriva forse dall’etrusco
phersu, (maschera) o per-sonu, (suonare attraverso),
indicava la maschera portata in origine dagli attori
per rivelare la parte che recitavano, attraverso la
quale esprimevano se stessi ma anche un
frammento di psiche collettiva. Questo volto
artificiale coprendo il viso, l’io esteriore di chi la
indossa, rende manifesta parallelamente una
possibilità a lui implicita: la possibilità di andare
oltre il singolo, verso il noi, il collettivo, anche se
questo ruolo, questa maschera, è una forma che
confina, oltre che liberare.
La società, per soddisfare la necessità di
massimizzare i risultati, tende a privilegiare per
ciascuno di noi un ruolo predominante. Che diventa
così una giacca, una livrea che ci descrive ma che al
tempo stesso ci delimita “...la società esige, deve
esigere che ciascuno rappresenti il meglio possibile
la sua parte. Che dunque chi è parroco non solo
compia obiettivamente le funzioni del suo ufficio,
ma anche peraltro rappresenti agevolmente, in ogni
tempo e in ogni circostanza, la parte del parroco. La
società è convinta che faccia buone scarpe solo il
calzolaio che non sia anche un poeta, l’univocità
dell’apparenza personale è in pratica una cosa
importante perchè l’uomo medio, il solo che la
società conosca, deve avere la testa a una cosa sola,
per poter fare alcunché di buono; due cose
sarebbero troppe. Così non stupisce che chiunque
voglia fare carriera debba rispettare questa
esigenza. Queste identificazioni col ruolo sociale
sono ricche sorgenti di nevrosi.” (C.G. Jung 1967 L’io e
l’inconscio, Torino Boringhieri) Il processo
d’integrazione nella società ci richiede fortemente
di assumere questo o quel ruolo come totalizzante,
senza il quale ci sentiamo spaesati, non ci sentiamo
“centrati” perché non riconosciuti e accettati. “...ed
è veramente spaventevole l’esperienza della perdita
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di un centro, sia una cultura a viverla o un
individuo. Ma una volta passato l’iniziale
sgomento, si avverte un nuovo senso di libertà:
ovunque ci si trovi c’è un centro, un nuovo centro, e
l’universo del significato non si limita più a un
piccolo, stretto orizzonte, circolo vizioso di una
mente singola e di una esistenza singola... (D.L. Miller
e J. Hillmann 1983 Il nuovo politeismo Milano, Edizioni di
Comunità)
La specializzazione è diventata “un culto prestato a
un solo dio” in cui ci si dimentica che siamo una
sintesi di molti livelli, persone, impulsi, tendenze,
personalità, possibilità e che rinunciare a questo
politeismo psicologico è solo fonte di disagio.
Poiché la società ci vuole identificare con “uno” dei
nostri ruoli, ogni volta che ci proponiamo
pubblicamente in questa posizione e veniamo in
questa individuati, ci sentiamo costretti a rimanere
coerenti con quella posizione, senza curarci di
quanto questa rigidità potrà costarci in seguito.
Eppure, sempre nell’ottica psicologicamente
politeistica di J. Hillmann, siamo tutti strutture poco
compatte di una molteplicità di modi di essere e
perseguire la compiutezza non comporta
l’esclusione, ma la comprensione. Senza avere la
smania di porre fine alle contraddizioni scegliendo
uno dei due termini in conflitto.
Oltre alla comunicazione “fra ruoli” l’altro
piano della relazione avviene fra individui, in cui
ciascuno ha in sé una propria immagine interna
della realtà, che ha costruito nel tempo.
Spesso le persone hanno difficoltà relazionali
perché avendo mappe mentali diverse, come ci
rappresentiamo il mondo, utilizzano modi diversi di
organizzare i pensieri, le sintassi mentali, e pertanto
adoperano codici diversi per esprimerli.
Nella fase dell’ascolto di un processo
comunicativo, la scoglio principale é accettare che
gli altri possono vedere la realtà in modo diverso da
come la vediamo noi e comprendere come la
rappresentano. Una comunicazione efficace sarà
caratterizzata pertanto dalla capacità di accogliere
dentro di sé il mondo dell’altro, di passare dal
proprio sistema di riferimento a quello
dell’interlocutore.
E’ altresì importante sottolineare che il genere di
persona che gli altri vedono in noi, guida le loro
reazioni nei nostri confronti. Ma, oltre a quanto
detto prima sull’ascolto (come io vedo gli altri), i
nostri interlocutori ci identificano per come noi ci
manifestiamo, per come comunichiamo. Perché i
nostri comportamenti sono il frutto dei nostri stati
d’animo e di quanto sappiamo modificarli, oltre che
della nostra fisiologia. Le nostre emozioni
dipendono dal significato che attribuiamo a ciò che
ci accade (come ci atteggiamo di fronte alle
esperienze), il che dipende esclusivamente da noi,
poiché niente ha un significato diverso da quello
che noi stessi gli attribuiamo. Quindi la nostra
comunicazione interna, le cose che immaginiamo,
proviamo, diciamo del mondo e di noi, nel segreto
della nostra testa, diventano manifeste, esplicite,
quando entriamo in relazione con gli altri. In
sostanza, il rapporto che instauriamo con gli altri
dipende fortemente dalla relazione che abbiamo con
noi.
Cominciamo a cambiare il modo di parlare
con noi stessi e ci accingeremo a trasformare la
qualità della relazione con gli altri
Per modificare i nostri comportamenti dobbiamo
cambiare o lo stato fisico in cui siamo quando
entriamo in quel certo atteggiamento oppure il
modo in cui dipingiamo ciò che ci accade, le
rappresentazioni interne. Ogni comportamento ha
un perché, é una risposta a un istinto, a un’idea, a
un’emozione. E’ importante quindi conoscere quali
emozioni base (disagio-piacere) associamo a
determinati nostri comportamenti comunicativi. Per
iniziare forse non serve molto; ad es. scegliamo un
modo di comunicare che vogliamo cambiare e un
altro con il quale vorremmo sostituirlo e scriviamo
le riflessioni suggerite da queste domande:
LA MIA COMUNIC-AZIONE1. scegliete un vostro comportamento comunicativo che vole te cambiare
SCRIVETE
1. QUALE VANTAGGIO HO AVUT O FINORA COMUNICANDO COSI’?
QUALE BISOGNO SODDISFA?
2. QUALE DISAGIO MI PROVOCHEREBBE QUESTO CAMBIAMENTO?
3. QUANTO POTREBBE COSTARMI NON CAMBIARE?
4. QUALE PIACERE RICAVERO’ DAL NUOVO COMPORTAMENTO
COMUNICATIVO ?
E osserviamo cosa ci succede...
E, come Ulisse si cela sotto i cenci di un mendicante, con altrettanta semplicità potrebbe essere un dio colui che
col sacco in spalla tende la mano di porta in porta E. Chartier
adalberto geradini