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Gli obiettivi del primo modulo posso essere così riassunti:

•Descrivere le principali caratteristiche delle infezioni delle basse vie aeree

•Approfondire l’importanza delle riacutizzazioni della BPCO

•Identificare i patogeni responsabili delle polmoniti di comunità

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La broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) è una condizione patologica dell’apparato respiratorio caratterizzata da ostruzione al flusso aereo, cronica e parzialmente reversibile, cui contribuiscono in varia misura alterazioni bronchiali (bronchite cronica), bronchiolari (malattia delle piccole vie aeree) e del parenchima polmonare (enfisema). La BPCO è causata dall’inalazione di sostanze nocive, soprattutto fumo di tabacco, che determinano, con vari meccanismi, un quadro di infiammazione cronica. Nell’ambito del complesso scenario di patologie respiratorie rappresenta senza dubbio un impegno e al tempo stesso una sfida per il medico di medicina generale.

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Bronchite cronica, bronchite cronica ostruttiva ed enfisema, oltre a essere accompagnati da propri sintomi e segni, possono trovare un differente grado di espressività in ogni paziente, cosicché il fenotipo clinico della BPCO dipende dal contributo delle singole componenti, la cui caratterizzazione può risultare talvolta un’impresa tutt’altro che facile e scontata, a prescindere dal fatto che non tutti i pazienti con bronchite cronica semplice svilupperanno nel tempo BPCO o enfisema polmonare.

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La bronchite cronica comporta la presenza di tosse e secrezione eccessiva di muco nell’albero tracheobronchiale, che dà luogo a espettorazione per la maggior parte dei giorni in un periodo di almeno 3 mesi consecutivi per più di 2 anni di seguito. In questa definizione, soltanto in apparenza semplice, si integrano aspetti di notevole rilevanza a livello non soltanto terapeutico-assistenziale ma anche prognostico, se si considera che nella maggioranza dei casi la diagnosi, se non del tutto omessa, viene posta tardivamente, quando si sono già consolidate le alterazioni ostruttive tipiche della BPCO oppure quelle anatomo-strutturali dell’enfisema. Tosse e catarro cronici spesso precedono lo sviluppo di BPCO di molti anni, sebbene alcuni pazienti sviluppino una significativa ostruzione al flusso in assenza di sintomi respiratori cronici. Tra i vari sintomi, quello più spesso lamentato dal paziente è tuttavia la dispnea, persistente e lentamente progressiva: inizialmente è presente solo per sforzi intensi, poi giunge a interferire con le normali attività della vita quotidiana, sino ad essere assai invalidante e limitante nelle fasi avanzate della malattia.

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La BPCO è sostenuta da un processo infiammatorio che, come mostra questo schema, si declina su un duplice fronte: da un lato l’interessamento delle piccole vie aeree e il rimodellamento bronchiale e dall’altro la distruzione del parenchima polmonare con perdita della sua fisiologica elasticità. Il risultato conseguente all’interazione sommatoria di queste dinamiche è l’ostruzione e cioè la riduzione del flusso aereo, che costituisce il cardine a cui si correla la classica sintomatologia appena descritta.

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La relazione tra sintomi e gravità della BPCO è alquanto sfumata, sia per la diversità del contributo delle singole componenti patologiche sia per la sua stessa lenta progressione, che determina un progressivo adattamento del soggetto alle differenti condizioni funzionali. Il volume espiratorio forzato in un secondo (FEV1) è considerato l’indice che meglio esprime la gravità e l’evoluzione della malattia per le ragioni riportate in questa slide. Un paziente con enfisema polmonare, a parità di FEV1, presenta una dispnea più importante rispetto a un soggetto con bronchite cronica, a causa del maggior grado di insufflazione polmonare. Oppure, un soggetto con asma cronico avrà meno sintomi, sempre a parità di FEV1, rispetto a un soggetto con asma di grado lieve-moderato che presenta un peggioramento acuto della malattia.

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La spirometria è l’esame standardizzato, maggiormente riproducibile e obiettivo disponibile per misurare la limitazione al flusso aereo; per tali ragioni è il gold standard nella diagnosi e nel monitoraggio della BPCO e può essere facilmente realizzata anche nell’ambulatorio del medico di medicina generale. Un rapporto FEV1/CVF <70% e un FEV1 <80% del teorico dopo inalazione di un broncodilatatore confermano una limitazione del flusso aereo non completamente reversibile.

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Fino a quando la riduzione del FEV1 non supera il 50% i sintomi riferiti dal paziente possono essere solo quelli della bronchite cronica (tosse ed espettorazione abituale) se fumatore, o dell’asma (episodi di accessi di dispnea con costrizione toracica e sibili), oppure solo quelli associati alle riacutizzazioni che, con frequenza diversa nei diversi soggetti, possono costellare la storia naturale della malattia. Quando il FEV1 si riduce a meno del 50%, spesso con parallela limitazione al flusso aereo, allora compaiono dispnea da sforzo e limitazione all’esercizio fisico. Nei pazienti con prevalente enfisema, la dispnea da sforzo può comparire anche per gradi più lievi di ostruzione bronchiale, la cui ulteriore progressione determina la comparsa di insufficienza respiratoria e scompenso cardiaco, con la relativa sintomatologia. Nei casi più avanzati è presente un’importante limitazione nelle attività della vita quotidiana. In ogni caso, la presenza di riacutizzazioni, che a questi livelli di gravità della BPCO sono più frequenti e più gravi, sarà accompagnata da ulteriori sintomi.

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Numerose evidenze di carattere epidemiologico, clinico e sperimentale indicano che il fumo di tabacco e, in particolare, quello di sigaretta costituisce, tra i fattori di rischio, quello di maggiore rilevanza per lo sviluppo di bronchite cronica e BPCO, rendendo più precoce e marcato il decadimento fisiologico della funzione respiratoria. La suscettibilità individuale ai diversi fattori di rischio varia notevolmente in relazione alle peculiari caratteristiche costituzionali, tra cui l'unica di provata importanza patogenetica è un grave deficit ereditario di antitripsina, mentre l'effettivo ruolo delle altre anomalie geneticamente determinate resta ancora in gran parte da definire. Va osservato che l’appartenenza agli strati di popolazione più disagiati, l’alcolismo, l’esposizione in età evolutiva al fumo passivo e alle infezioni virali nonché uno scarso apporto di antiossidanti sono tutti fattori di cui il medico di medicina generale deve tenere conto.

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Il fumo di tabacco svolge un ruolo determinante nella patogenesi della bronchite cronica. A prescindere dall’azione procarcinogenetica, le sostanze che si liberano dalla combustione (in particolare della sigaretta) interferiscono su una molteplicità di componenti anatomo-istologici e fattori protettivi, a partire dalla barriera epiteliale e dal sistema immunitario innato e adattativo. Oltre a evocare il riflesso della tosse e a procurare un’azione infiammatoria diretta, il fumo altera l’integrità delle giunzioni intercellulari e la clearance mucociliare, determinando così una disregolazione a più livelli dell’albero bronchiale, di carattere sia funzionale sia morfo-strutturale.

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A corollario di quanto esposto nella slide precedente, il fumo innesca un circolo vizioso caratterizzato dalla cronicizzazione di un processo infiammatorio al quale possono concorrere anche le infezioni virali. L’infiammazione coinvolge inevitabilmente la risposta innata e adattativa, il cui intervento non fa che amplificare e perpetuare il processo flogistico ed evocare possibili fenomeni autoimmunitari, responsabili di ulteriori danni al parenchima polmonare e alle vie aeree centrali e periferiche.

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Un’altra importante evidenza riguarda l’entità dell’infiammazione e del rimodellamento delle vie aeree innescati dall’esposizione al fumo di tabacco. Come mostra questo grafico, fattori quali la suscettibilità individuale, lo stress ossidativo e le infezioni virali concorrono ad accentuare la flogosi soprattutto negli individui affetti da BPCO. Tale condizione acquista così la duplice e concomitante valenza di causa ed effetto nell’ambito di un circolo vizioso responsabile dell’automantenimentodella flogosi e del progressivo deterioramento della funzione polmonare.

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Come già affermato, il fumo di sigaretta è il fattore di rischio più importante ed è responsabile della stragrande maggioranza dei casi di BPCO. I fumatori hanno un declino annuo della funzionalità respiratoria maggiore rispetto a quello dei non fumatori. Il rischio di morte per un fumatore è superiore a quello di un non fumatore ed è proporzionale al numero di sigarette fumate. Di particolare rilevanza è lo stress ossidativo, a cui è stato accennato, promosso dalla formazione di specie reattive dell’ossigeno. Esso comporta un danno anatomo-istologico e al tempo stesso compromette l’assetto funzionale dell’albero respiratorio, compromettendo per esempio la clearance mucociliare ed esplicando un’azione negativa sui meccanismi di difesa immunitaria.

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Questo schema illustra con maggior dettaglio il concetto già espresso sull’importanza dello stress ossidativo. Come si può vedere, le specie reattive dell’ossigeno intervengono negativamente sui fattori che inibiscono le proteasi, favorendone l’azione distruttiva a livello delle vie aeree. Al tempo stesso esplicano un’azione chemiotattica nei confronti dei neutrofili e promuovono fenomeni bronco-costrittivi e congestizi. A completare il quadro interviene poi l’iperproduzione di muco che, a fronte del già citato danno al sistema ciliare, tende ad accumularsi, contribuendo all’ostruzione ed esponendo il paziente al rischio di sovrainfezioni.

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Il tributo all’abitudine al fumo viene pagato dal paziente nel corso degli anni, con una diretta proporzione alla durata dell’esposizione. Come mostra questo diagramma, infatti, la funzione polmonare, espressa dal FEV1, registra una progressiva diminuzione che può essere rallentata soltanto da una tempestiva cessazione. È tuttavia importante anche la suscettibilità soggettiva, che spiega perché due individui, a parità di sigarette fumate, possono mostrare un quadro polmonare (radiologico e funzionale) del tutto diverso. Il diagramma pone poi l’accento sul passaggio da invalidità e morte, che costituisce la fase evolutiva terminale di una serie di danni accumulatisi nell’arco di decenni.

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Nel paziente con BPCO i processi infiammatori che, come già illustrato, sono alla base della progressiva ostruzione respiratoria, accompagnata da fibrosi, ipersecrezione di muco e alterata contrattilità della muscolatura liscia, giocano un ruolo eziopatogenetico primario. Tali fenomeni sono, almeno in parte, correlati al sempre presente rischio di riacutizzazioni infettive che accompagna le bronchiti croniche.

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La BPCO, a fronte del suo decorso evolutivo assimilabile a una “spirale discendente”, impone un’azione a più livelli, che contempli la riduzione dei fattori di rischio individuali e ambientali, ma anche interventi educazionali mirati alla prevenzione primaria e secondaria. Come bene evidenzia la slide, le riacutizzazioni si alternano e integrano ad altri eventi, in cui il danno tissutale si embrica alle alterazioni funzionali, all’ostruzione e all’iperproduzione di muco.

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La causa più frequente delle riacutizzazioni di bronchite cronica (acute exacerbations of chronic bronchitis, AECB) è lo sviluppo di un’infezione a livello dell’albero bronchiale, anche se non sempre la variazione dei tassi anticorpali sierologici nei confronti di virus o la presenza di batteri nell’escreato non corrisponde a quadri clinici di riacutizzazione. Tra i fattori predisponenti le riacutizzazioni, che danno per lo più luogo a un circolo vizioso, rientrano il fumo, l’età avanzata, la maggiore durata dei precedenti episodi e la loro aumentata frequenza, la contemporanea presenza di malattie cardiopolmonari e altre cause quali precedenti patologie respiratorie acute derivanti da altre cause. Tra le AECB che riconoscono una causa microbica, molte sono associate a virus (principalmente rhinovirus, virus respiratorio sinciziale, adenovirus, virus influenzali e parainfluenzali e coronavirus).

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I pazienti con BPCO presentano in media 3 riacutizzazioni all’anno, con un terzo di tutti i pazienti con meno di 3 episodi, un terzo con 3 episodi, un terzo con 4 o più episodi. Il peso sostanziale in termini di costo delle riacutizzazioni risulta legato all’ospedalizzazione del paziente. A tale riguardo è opportuno ricordare che la BPCO è responsabile di una percentuale significativa di visite mediche, accessi in pronto soccorso e di ospedalizzazioni, che pongono la malattia al quinto posto tra le diagnosi di dimissione ospedaliera in Italia. Sebbene l’infezione batterica possa essere responsabile della riacutizzazione e siano comunemente prescritti degli antibiotici, questo tipo di terapia rimane controversa, in particolare per il fatto che almeno il 20% delle riacutizzazioni ha un’origine non infettiva e circa il 30% delle rimanenti riconosce un’eziologia virale (dati ISTAT 2000).

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La polmonite di comunità risponde a un criterio classificativo di natura epidemiologica, che la differenzia da altre tre tipologie: la polmonite acquisita in ospedale (HAP), la polmonite associata al ventilatore (VAP) e la polmonite associata a trattamenti sanitari (HCAP). La sintomatologia è alquanto variegata: tosse, dispnea, pleurite, dolore toracico a cui possono aggiungersi o sostituirsi, soprattutto nei pazienti anziani, segni extrapolmonari quali vomito e diarrea. Purtroppo l’anamnesi e l’esame obiettivo non sono sufficienti a raggiungere una sufficiente accuratezza diagnostica, cosicché è opportuna la ricerca di eventuali infiltrati alla radiografia polmonare. Va tuttavia sottolineato che la presenza di questi ultimi sembra non condizionare l’esito clinico come pure correlarsi predittivamente a uno specifico agente eziologico.

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I patogeni più frequentemente implicati nelle polmoniti acquisite in comunità o territoriali sono Streptococcus pneumoniae, Mycoplasma e Chlamydophila pneumoniae su cui si focalizza l’attenzione quando si parla del ruolo delle resistenze batteriche sulla prognosi delle infezioni respiratorie, in particolare delle riacutizzazioni della bronchite cronica e della polmonite. Va osservato che in una buona parte dei casi non viene identificato un agente patogeno specifico.

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Oltre all’inalazione di particelle infette e l’aspirazione di materiale gastrico (entrambe situazioni comuni), giocano un ruolo altri meccanismi patogenetici, come l’esecuzione di procedure diagnostiche o terapeutiche e la riattivazione di patogeni latenti, frequente nei soggetti immunocompromessi.

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La forma alveolare è caratterizzata per l’appunto dalla presenza di essudato infiammatorio nel lume alveolare e ulteriormente differenziata in polmonite a focolaio, che interessa un intero lobo o il segmento di un lobo, e broncopolmonite, se è presente il contemporaneo interessamento dell’albero bronchiale e del parenchima polmonare; tipica polmonite alveolare è quella da Streptococcus pneumoniae e Legionella. Nella forma interstiziale, sono presenti infiltrati infiammatori nei setti interalveolari; i patogeni più comuni sono Mycoplasma pneumoniae, Coxiella burnetii, Chlamydia psittaci, Chlamydia pneumoniae e, tra i virus, quelli influenzali, i parainfluenzali 1 e 3, il respiratorio sinciziale, i Coxackie A e il cytomegalovirus.

La forma alveolo-interstiziale si differenzia per la compresenza dei due quadri appena descritti, mentre in quella necrotizzante si riscontrano estesi processi necrotici che evolvono verso l’ascessualizzazione. La maggior parte degli agenti batterici e micotici che causano polmoniti alveolari può eccezionalmente essere responsabile di forme necrotizzanti con evoluzione verso l’ascesso polmonare e l’empiema pleurico. L’eziologia di questa forma è dunque molteplice e nella stragrande maggioranza dei casi è sostenuta da batteri anaerobi obbligati della flora orofaringea (patogeni opportunisti).

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