GLI EVENTI - Ordine Psicologi Lazio

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L’EFFETTO ZIMBARDO

Gian Vittorio Caprara

UN GRANDE DELLA PSICOLOGIA

A ROMA

LA GIORNATA ORGANIZZATADALL’ORDINE

gli eventi

Il 22 maggio 2007, nella sede cen-trale del Consiglio Nazionale delleRicerche, ho avuto il privilegio e il

piacere di presentare Philip Zimbardoin occasione della giornata organizza-ta in suo onore dall’Ordine degli Psi-cologi del Lazio.

Le parole non sono di circostanza.

È stato infatti un privilegio intro-durre ad un pubblico numeroso, di col-leghi e studenti, nella città in cui hopercorso tutta la mia carriera accade-mica, uno dei maggiori protagonistidella nostra disciplina.

Phil Zimbardo è una star della Psico-logia, più volte celebrata con i maggioririconoscimenti tributati ad un inse-gnante per le sue straordinarie capa-cità di comunicazione e di affascina-mento delle platee studentesche, nonsoltanto a Stanford dove ha insegnatoper oltre trent’anni e dove è professoreEmerito.

Il prison study di Zimbardo è proba-bilmente uno dei pù noti tra quelli dipsicologia sociale, non soltanto tra glistudenti, ma anche tra il grande pub-blico. Non vi è manuale di psicologiasociale che non vi dedichi pagine e diesso si continua a dibattere anche a-spramente.

All’inizio degli anni ‘70, da poco ap-prodato a Stanford, Phil Zimbardo haconcepito l’esperimento che ha mo-strato come persone normali possonorapidamente trasformarsi in aguzzinisadici quando le situazioni lo permetto-no.

Secondo quanto previsto dall’esperi-mento, nella mattinata di domenica 14agosto 1971, una dozzina di studentisono stati arrestati, condotti in una pri-gione appositamente costruita al pia-no terra del Dipartimento di Psicolo-gia dell’Università di Stanford, informa-

ti delle regole che avrebbero dovutorigorosamente rispettare, rivestiti conuna casacca da carcerato, destinati al-le loro celle e dati in consegna ad un’al-tra dozzina di studenti vestiti coll’u-niforme di agenti penitenziari, che in-dossavano occhiali che, non facendotrasparire gli occhi, ne garantivano l’a-nonimato e previamente istruiti a svol-gere il ruolo delle guardie. Sia i primiche i secondi erano stati scelti dal cen-tinaio di studenti che avevano rispo-sto ad un inserzione sul giornale cheinvitava a partecipare ad un esperi-mento di psicologia, presentavano unprofilo di personalità del tutto norma-le, ed erano stati assegnati casualmen-te al ruolo di carcerato o secondino.

Come ho notato, si tratta di uno de-gli esperimenti più noti della psicolo-gia sociale, che tuttavia non ha mai tro-vato pubblicazione in una rivista scien-tifica, almeno nelle forme e secondo icriteri che abitualmente seguiamo. Inrealtà l’esperimento è stato precoce-mente interrotto per i rischi che essoevidentemente comportava. Infatti so-no bastate poche ore ad alcune guar-die per immedesimarsi nel ruolo delsecondino sadico e pochi giorni ad al-cuni prigionieri per dare segni seri disofferenza e scompenso psicologici.L’esperimento progettato per due setti-mane è stato perciò definitivamenteinterrotto prima del termine della pri-ma.

Sono intuibili le reazioni della comu-nità scientifica.

Alcuni hanno fermamente disappro-vato un esperimento che, ponendo arischio il benessere dei soggetti, nonsoltanto le vittime ma anche i carnefi-ci che inopinatamente potevano rive-lare e scoprire parti inconfessabili disé, violava i principi etici ai quali do-vrebbe uniformarsi qualsiasi ricerca

scientifica in ambito psicologico.

Altri hanno dubitato della validità e-cologica dell’esperimento, ritenuto ar-tificioso e poco credibile ai partecipantistessi. Chi poteva escludere che vitti-me e carnefici non si fossero infine ap-passionati ad un gioco crudele che tut-tavia aveva poco a che fare con quan-to accadeva in situazioni reali?

Neppure si poteva escludere l’inaffi-dabilità dei profili di personalità e per-ciò la possibilità che alcuni soggetti“fragili o disturbati” avessero inquina-to tutta la situazione.

Trent’anni più tardi quanto accadu-to nella prigione di Abu Ghraib in Iraq,ha confermato che il sadismo gratuitoe la prepotenza degli aguzzini, al ripa-ro dell’omertà e con la complicità delconformismo e della pavidità, possonoandare molto oltre l’immaginazionedello studioso.

È stato dunque allora che Phil Zim-bardo è ritornato alla carica rivelandoaspetti della sua personalità che primaerano sfuggiti anche ai suoi estimato-ri: il coraggio e l’impegno civico.

Phil Zimbardo non ha esitato a servi-re come testimone informato in unodei processi ai responsabili delle tortu-re di Abu Ghraib prendendone le dife-se. Fondamentalmente per contrasta-re la teoria delle “mele marce” sotto-scritta dall’Amminstrazione Bush, chia-mare in causa la responsabilità di tut-ta la catena di comando e denunciarei meccanismi di disimpegno morale chead Abu Ghraib, come negli innumere-voli campi di sterminio e come nellaprigione al piano terra del Dipartimen-to di Psicologia di Stanford, permetto-no al buon Dr. Jekyll di rivelare il vol-to luciferino del Sig. Hyde.

Di come può accadere che bravepersone si trasformino nel male assolu-

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philip zimbardo

to possiamo leggere con ampia doviziadi particolari e il piacere di una espo-sizione affascinante in “The Lucifer Ef-fect”, il libro che Zimbardo ha appenapubblicato con la Random House e cheverrà pubblicato in italiano l’anno pros-simo dall’editore Raffello Cortina.

Di come Zimbardo sia capace di co-niugare indagine scientifica e impegnocivico è attestato dalle sue ricerche suitorturatori di tutti i tempi al serviziodella Germania Nazista, dei colonnelligreci o delle tirannie sudamericane.

Il suo contributo alla psicologia, d’al-tro canto, non è soltanto quello del pri-son study e degli studi sui processi dideumanizzazione.

Phil Zimbardo ha dato contributi si-gnificativi allo studio degli stati di co-

scienza, della timidezza, della dimen-sione temporale. Insieme abbiamoscritto lavori sulle deviazioni margina-li e sulle condotte aggressive, e con Al-bert Bandura sul comportamento pro-sociale.

Insieme con Claudio Barbaranelli, i-noltre, abbiamo aperto nuovi filoni diricerca nell’ambito della psicologia po-litica, prima sulle percezioni che glielettori hanno della personalità dei po-litici e poi sull’influenza che la perso-nalità degli elettori esercita sulle loropreferenze politiche.

Di come Zimbardo sia capace di co-niugare indagine scientifica e impegnopolitico e professionale è attestato dal-le cariche ricoperte in seno all’Ameri-can Psychological Association sino al-la sua Presidenza.

Quella di Phil Zimbardo è la storia e-semplare di un grande Ambasciatoredella Psicologia .

È stata perciò una scelta illuminatal’invito del Consiglio dell’Ordine degliPsicologi del Lazio, per il segnale cheun protagonista come Zimbardo puòdare e di ciò che gli psicologi possonofare. Si tratta infatti di un segnale au-torevole che testimonia il ruolo deci-sivo della nostra disciplina per com-prendere e governare i grandi cambia-menti del nostro tempo.

Per me, introdurre Phil Zimbardonon è stato soltanto un privilegio, maanche un piacere per l’amicizia che datanti anni ci lega e per il godimento cheogni volta si trae dalle sue parole, dalsuo sorriso, dalla sua ironia, dalla suasimpatia, dal suo affetto.�

23 maggio.TG1.Edizione della notte

In onda l’intervista di Piero Da-mosso a Philiph Zimbardo e alla presi-dente dell’Ordine Psicologi Lazio Ma-rialori Zaccaria

22 maggio. Il MessaggeroMartedì 22 maggio, nell’Aula Con-

vegni del CNR a Roma, piazzale AldoMoro, dalle 9 alle 13 avrà luogo l’in-contro con Philip Zimbardo dal tito-lo “L’Effetto Lucifero: come personebuone possono diventare cattive”, or-ganizzato dall’Ordine degli Psicologidel Lazio. Aprirà i lavori Marialori Zac-caria, presidente dell’Ordine degli Psi-cologi del Lazio. Interventi dell’Asses-sore alla Sanità della Regione LazioAugusto Battaglia e del Garante deiDiritti dei Detenuti della Regione La-zio Angiolo Marroni.

La relazione del professor PhilipZimbardo, professore emerito di Psi-cologia, Stanford University, sarà se-guita dal contributo straordinario diPiero Angela. Paolo Cruciani, vicepre-sidente dell’Ordine degli Psicologi delLazio condurrà la discussione conGian Vittorio Caprara, ordinario Catte-dra Psicologia Personalità, FacoltàPsicologia II - Università La Sapienzae David Cariani segretario dell’Ordi-ne Psicologi del Lazio

22 maggio. L’Unità L’effetto Lucifero

Incontro con Philip Zimbardo, “L’ef-fetto Lucifero: come persone buonepossono diventare cattive”. Interven-gono, tra gli altri: Piero Angela, M.Zaccaria, Pres. Ordine Psicologi La-zio, A. Battaglia, Assessore Sanità del-la Regione, A. Marroni, Garante Di-ritti Detenuti. CNR, P.le Aldo Moro,ore 9.

22 maggio. AdnkronosPRESENTATA A ROMA NUOVAOPERA PROF. ZIMBARDO

Roma, 22 maggio. Adnkronos Un’affollata Aula Convegni del Cnr

ha accolto oggi il Professor Philip Zim-bardo, emerito psicologo di fama in-ternazionale, invitato dall’Ordine de-gli Psicologi del Lazio a presentare inanteprima gli ultimi risultati delle suericerche, pubblicate nel libro ‘The Lu-cifer Effect: undestanding how goodpeople turn evil’, la cui edizione ita-liana uscirà il prossimo anno a curadi Raffaello Cortina Editore.

Com’é possibile che persone ordi-narie, medie, addirittura buone diven-tino perpetratori del male? Zimbardoè famoso per aver dimostrato quantoè facile trasformare una persona buo-na in una aggressiva e ostile, indivi-duandone le cause nel ‘potere situa-

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zionale’, a partire dal suo celebre e-sperimento del 1971 alla Stanford U-niversity, per studiare gli effetti del-la vita in prigione.

Lo studioso reclutò un gruppo distudenti e chiese loro di imitare ilcomportamento dei detenuti e delleguardie carcerarie. Dopo sei giorni fucostretto a interrompere l’esperimen-to perché le guardie, normali studentiscelti perché psicologicamente equi-librati, stavano trasformandosi acqui-sendo comportamenti sadici.

“Lo studio della situazione - affer-ma Zimbardo - in cui la natura uma-na va fuori controllo permette di com-prendere i meccanismi della delin-quenza di gruppo, del ‘male ammini-strativo’, fino agli abusi e torture suiprigionieri iracheni nella prigione diAbu Ghraib da parte della polizia mi-litare americana. Se non capiamo l’im-portanza della psicologia di grupponon possiamo sperare di combatterefenomeni come la tortura, gli atten-tati suicidi o il genocidio, non sapre-mo evitare di commettere noi stessiazioni spregevoli’’.

Zimbardo ha analizzato anche il la-to positivo della natura umana, quel-lo che dovrebbe essere rafforzato perfavorire uno sviluppo armonico del-la società: “l’eroe ordinario, uomini edonne comuni che non hanno fattomai nulla di memorabile, ma che agi-scono eroicamente quando esigenzesituazionali ne danno l’opportunità,anche ribellandosi all’autorità ingiu-sta”.

‘’Ringraziamo il professor Zimbar-do che ha rimesso in luce la vera mis-sione della psicologia - ha detto Ma-rialori Zaccaria, Presidente dell’Ordi-ne degli Psicologi del Lazio - che èquella di comprendere la complessità

delle situazioni e dei fatti che acca-dono intorno a noi e di analizzare l’in-dividuo nel contesto del gruppo in cuiè inserito, in quanto l’individuo è un’a-nimale sociale. La psicologia deve ave-re perciò una visione binoculare siaverso l’individuo sia verso il gruppo.I metodi e i modelli della psicologiapermettono di conoscere le dinami-che per cui soggetti da sempre pacifi-ci sviluppano comportamenti tali dacommettere crimini anche efferati”.

“La società aperta - ha aggiunto - èin continuo mutamento domanda unruolo più forte della psicologia, so-prattutto per prevenire situazioni didisagio nei diversi contesti sociali; lafamiglia, la scuola, i luoghi di lavoro,le stesse istituzioni.

Dobbiamo lavorare perché le dina-miche dei gruppi invece di crearecomportamenti devianti siano una ri-sorsa per promuovere il senso civicoe l’assunzione di responsabilità”. Al-l’incontro hanno partecipato PieroAngela, Paolo Cruciani, Vicepresiden-te dell’Ordine degli Psicologi del La-zio, Gian Vittorio Caprara, OrdinarioCattedra Psicologia Personalità, Fa-coltà Psicologia II - Università “La Sa-pienzà” di Roma e David Cariani Se-gretario dell’Ordine Psicologi del La-zio.

21 maggio.AdnkronosRoma, 21 maggio (Adnkronos Sa-

lute) - Come è possibile che personeordinarie, addirittura buone, possanotrasformarsi in aguzzini e fare del ma-le? Una domanda alla quale rispondo-no gli studi dello psicologo america-no Philip Zimbardo, professore emeri-to di Psicologia alla Stanford Universi-ty e past president della AmericanPsychological Associalion (Apa), che

domani sarà a Roma, protagonistadell’incontro ‘L’effetto Lucifero: comepersone buone possono diventare cat-tive’, in programma dalle 9.00 nellasede del CNR.

All’iniziativa, promossa dall’Ordinedegli psicologi del Lazio, parteciperà,tra gli altri, anche l’assessore alla Sa-nità della Regione Lazio, Augusto Bat-taglia. L’importanza e l’attualità deglistudi di Zimbardo - si legge in una no-ta - è dimostrata dalle recenti vicen-de sulle torture cui furono sottopostii prigionieri iracheni nel carcere diAbu Ghraib ad opera di militari sta-tunitensi, durante la guerra in Iraq.Ma anche da tanti casi di cronaca.

‘L’effetto Lucifero - dice Zimbardo- solleva una domanda fondamentalesulla natura della natura umana: co-m’è possibile che persone ordinarie,medie, addirittura buone, diventinoperpetratori del male? Provando a ca-pire comportamenti inusuali o aber-ranti, spesso sbagliamo, poiché foca-lizziamo l’attenzione esclusivamentesui fattori interiori, i geni, la persona-lità e il carattere, così come tendia-mo anche a ignorare quale potrebbeessere il catalizzatore del mutamentodi carattere nella situazione esternao nel sistema che crea e mantiene ta-le situazione. Io stimolo i lettori a ri-flettere su quanto essi conoscano sestessi e su quanta fiducia essi abbia-no in ciò che farebbero o non fareb-bero mai se immersi in nuove situa-zioni comportamentali’.

Il lavoro di Zimbardo ‘consiste -conclude la nota - nel tentativo di da-re il giusto peso alle specifiche carat-teristiche della situazione contestualenella espressione di comportamentiviolenti o devianti’. (Com-Ram/Adnk-ronos Salute).�

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ll 18 giugno scorso la Facoltà diPsicologia 1 dell’Università “La Sa-pienza” ha conferito la laurea Ho-

noris Causa in Psicologia a DanielKahneman. Questa cerimonia ha an-che costituito l’apertura di un con-vegno scientifico realizzato anche incollaborazione con l’Ordine degli Psi-cologi del Lazio, a testimonianza del-le sinergie culturali e operative traaccademia e mondo professionale.

Daniel Kahneman ha ricevuto nu-merose onorificenze per meriti scien-tifici compresa la più alta, la più am-bita da uno scienziato, il Premio No-bel, che gli è stato conferito nel 2002per i suoi contributi ad una scienzache l’ha premiato, l’Economia.

Questa laurea Honoris Causa havoluto rappresentare un tributo allasua straordinaria attività scientificache è psicologica e che alla Psicolo-gia ha dato e continua a dare idee in-novative e linee di sviluppo entusia-smanti.

A partire dalla collaborazione conAmos Tverski, iniziata nel 1971, sidelinea chiaramente il campo di inda-gine che farà di Kahneman uno de-gli psicologi più studiati. Con Tver-ski, al quale era legato da una profon-da amicizia, Kahneman dimostra chei giudizi alla base delle decisioni e delcomportamento umano non sonoguidati da processi razionali astrattiné sono basati sulla conoscenza el’applicazione di norme statistiche,ma piuttosto sono il frutto di ragiona-menti intuitivi, guidati da “scorciato-ie cognitive” denominate “euristi-che”. Tali disposizioni intuitive spes-so facilitano le scelte più appropria-te, ma possono anche condurre aderrori sistematici, elegantemente

smascherati negli esperimenti idea-ti dai due studiosi. Queste scopertefurono considerate una critica fero-ce al “modello dell’agente-razionale”,tanto in voga, ancora oggi, nel pen-siero economico e sociologico. Alcu-ni critici si spinsero perfino a consi-derarle un attacco alla razionalità u-mana. In realtà, gli studi sulle euristi-che e gli errori sistematici portanoad una concezione della razionalitàche considera il pensiero umano co-me il frutto di una combinazione traelementi intuitivi e riflessivi.

Due sono i momenti fondamentalidell’opera di Daniel Kahneman. Il pri-mo è segnato dagli studi sui proces-si di giudizio condotti con AmosTverski, che portano nel 1974 allapubblicazione di un articolo sulla rivi-sta Science, dal titolo “Judgementunder Uncertainty: Heuristics andBiases” (“Giudizi nell’incertezza: eu-ristiche ed errori sistematici”) (Tver-ski & Kahneman, 1974). In seguito,nel 1979, viene pubblicato l’articolo“Prospect Theory” (“Teoria del pro-spetto”) sulla rivista Econometrica(Kahneman & Tverski, 1979). En-trambi i lavori ebbero un impattoscientifico straordinario. In partico-lare, la scelta della rivista Econome-trica per l’articolo del 1979 si rivelòparticolarmente lungimirante, per-ché permise un’apertura verso ilmondo degli economisti e diede uncontributo fondamentale alla nasci-ta della disciplina oggi nota come e-conomia comportamentale (behavio-ral economics). Alcuni anni più tar-di, Kahneman fu infatti contattato daDick Tahler, un giovane economistache divenne suo collaboratore e conil quale realizzarono quell’integrazio-

ne tra ricerca psicologica e scienzaeconomica che gli valse il premio No-bel.

I lavori sul giudizio umano condotticon Amos Tverski tentavano di ri-spondere alla domanda su come lepersone valutano la probabilità di e-venti incerti o il valore di una quanti-tà incerta. Un’accurata ricerca speri-mentale, dimostrò che giudizi si basa-no su un numero limitato di principieuristici. Tali principi riducono lacomplessità dei compiti ad operazionisemplici. L’euristica della rappresen-tatività si riferisce alla tendenza adincludere un oggetto o un evento inuna particolare categoria sulla basedella similarità dell’oggetto o dell’e-vento con i membri della categoria.Questa euristica produce errori si-stematici quando altri elementi ne-cessari (come ad esempio l’ampiez-za della categoria di riferimento) nonsono presi in considerazione ed ilgiudizio è basato esclusivamente sucriteri di somiglianza. L’euristica del-la disponibilità si riferisce invecealla tendenza a giudicare la probabili-tà di eventi sulla base degli esempiche sono presenti nella memoria.Poiché il ricordo è influenzato da fat-tori diversi come la familiarità, la sa-lienza o l’impatto emotivo, non sem-pre la memoria ci fornisce un cam-pione veramente rappresentativo.L’euristica dell’ancoraggio e adatta-mento si riferisce infine alla tenden-za a sovrastimare il valore iniziale dicose o eventi in un processo di com-binazione tra vecchie e nuove infor-mazioni. L’individuazione e la cono-scenza di tali euristiche e degli errorisistematici che ne derivano hannochiarito i processi che stanno alla ba-

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KAHNEMANLA PERSONAAL CENTROStefano Puglisi Allegra

LAUREA HONORIS CAUSAALLO PSICOLOGO

PREMIO NOBEL PER L’ECONOMIA

se delle predizioni e dei giudizi diprobabilità.

La teoria del prospetto sviluppatanel 1979 si configura invece comeuna teoria sulla scelta di rischi, cioèsull’attitudine a rischiare in deter-minate situazioni. In contrasto con ilpensiero economico formale, Tver-ski e Kahneman dimostrarono che ilcomportamento devia sistematica-mente da ciò che viene predetto dal-le “teorie dell’utilità attesa”. L’assun-zione analitica centrale della teoriadella predizione è che il valore dellesituazioni è definito sulla base deicambiamenti rispetto ad un punto diriferimento iniziale.

Gli individui tendono ad attribuiremaggiore rilevanza alle perdite ri-spetto al punto di riferimento che avincite comparabili, un fenomeno de-finito avversione alla perdita (loss a-version). Pertanto, si attribuiscequindi maggiore valore alle cose inproprio possesso rispetto a cose simi-li che non lo sono (endowment ef-fect). Ne consegue che c’è una dispo-sizione a prendere più rischi nellasperanza di evitare perdite (anchese questo comportamento può porta-re a perdite ancora maggiori), che diottenere delle vincite (quando cioèuna piccola vincita è sicura ed il ri-schio riguarda la possibilità di averevincite maggiori o di non avere nul-la).

Il risultato è un’avversione al ri-schio rispetto alle vincite ed un ac-cettazione del rischio rispetto alleperdite. Le implicazioni economichee politiche di queste scoperte sonoovvie, ed esse ci aiutano a compren-dere alcuni dei meccanismi attra-verso i quali la vita umana è organiz-zata all’interno delle “società del ri-

schio” (Beck, 2000).L’importanza delle ricerche di Da-

niel Kahneman dipende certamentedall’aver contaminato campi diversidel sapere umano. Dalla politica allapsicologia sociale, dalle neuroscien-ze all’economia, dalla psicologia delpensiero e della percezione al dirit-to. Il suo merito consiste non soltantonell’aver scoperto che il pensiero ele decisioni dipendono da processi dinatura intuitiva, in cui si mescolanofattori emotivi, attentivi, strategie co-gnitive ed esperienze ma anche e, so-prattutto, nell’essere riuscito a dimo-strare sperimentalmente con gran-dissimo rigore e meticolosità la veri-tà di queste idee, individuando alcu-ni processi intuitivi che guidano ilgiudizio umano.

È importante notare che l’uomotratteggiato dagli studi da Kahnemanrimane un “animale razionale”, ma lasua razionalità non è quella descrit-ta dalle logiche astratte delle teorieeconomiche (massimizzazione deibenefici e minimizzazione dei rischi).Se proprio si volesse astrarre un si-gnificato generale dalle teorie di Kah-neman, si potrebbe sostenere che lestrategie umane di elaborazione del-le informazioni sono fortemente in-fluenzate dalla limitatezza delle risor-se attentivo-cognitive e dall’impattodei fattori affettivo-emotivi sui siste-mi di memoria.

Il lavoro di Daniel Kahneman haportato allo sviluppo di alcune im-portanti aree di ricerca interessateallo studio dei fattori che sono allabase dei processi di giudizio. L’econo-mia comportamentale (behavioraleconomics) è un campo che utilizzale ricerche della psicologia cognitivaper modellare il processo di presa di

decisioni nell’uomo (Camerer, 2003,Kahneman, 2004). La bioeconomia(bioeconomics) si basa sulla biolo-gia e sulla psicologia evoluzionisticaper costruire modelli che prediconoil comportamento umano, Zak, 2002.Infine, la neuroeconomia (neuroe-conomics) studia dei substrati neu-rali dei processi cognitivi, attentivied emotivi alla base del processo dipresa di decisioni (“decision ma-king”) (Platt & Glimcher, 1999, Lee,2005, Ernst & Paulus, 2005, Kahne-man & Frederick, 2007).

Kahneman ha mostrato l’importan-za della Psicologia per le altre scien-ze ed in particolare l’importanza diuna prospettiva centrata sulla dimen-sione mentale individuale. Infatti, nelgiudizio come nelle predizioni, “og-getto di scelta e di valutazione sonosempre rappresentazioni mentali enon stati oggettivi del mondo” (Kah-neman, 2002).

Se una decisione si basa sulla rap-presentazione mentale delle alter-native in gioco, è all’interno di un’a-rea della psicologia, le neurosciencedel comportamento, che si attendo-no i progressi maggiori nella com-prensione dei processi attraverso iquali tali rappresentazioni si forma-no, del modo in cui vengono conno-tate affettivamente o possono esse-re controllate da cognizioni di ordi-ne superiore (Bechara et al., 2000,Knutson & Cooper, 2006, De Martinoet al., 2006, Knutson & Gibbs, 2007).Appare chiaro, così, come il contri-buto straordinario di Kahneman allaPsicologia sia paragonabile ad un ca-talizzatore che promuove processi dicrescita in varie direzioni e versocampi di ricerca nuovi all’interno diquesta nostra scienza.

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20 giugno 2007. L’Avvenire

INTERVISTANon solo economia: il benessere va

misurato sempre più con fattori psi-cologici; e la politica deve adeguarsi.Parla Kahneman

Quanto costa la felicità Il premio Nobel: “Siamo tutti dei

conservatori: chi ha qualcosa tendea difenderla, mentre chi non ha nien-te da perdere è più disposto a rischia-re”.

di Paola Springhetti

Ormai anche gli economisti hannoaccettato l’idea che, per valutare ilbenessere di un Paese, non è suffi-ciente lo sviluppo economico; occor-re valutare anche la felicità, ed usar-la all’interno delle politiche economi-che. La paternità degli studi che han-no dato scientificità a queste appa-rentemente semplici affermazioni èdi Daniel Kahneman, unico psicolo-go ad avere vinto un Nobel per l’e-conomia. Kahneman ha ricevuto ierila laurea honoris causa in Psicologiaalla Sapienza di Roma ed è interve-nuto al convegno (che si concludeoggi in Campidoglio) “Psicologia edeconomia della felicità: verso un cam-biamento dell’agire politico”, orga-nizzato dall’Università e dall’Ordinedegli psicologi del Lazio. La cui presi-dente Marialori Zaccaria così introdu-ce alle teorie del professore: “Kah-neman ha sovvertito il concetto di be-nessere, riportando l’attenzione sul-la persona, le sue relazioni, le emozio-ni. In quest’ottica vanno riviste le po-litiche sanitarie, ancora troppo punta-te sulla cura delle malattie più chesulla costruzione del benessere gene-

rale. Inoltre gli individui hanno biso-gno di ritrovare la dimensione dellacomunità, soprattutto ne hanno bi-sogno i giovani”.

Professor Kahneman, l’idea che lafelicità conti quanto o più del Pil èaffascinante; ma c’è un sistema og-gettivo e condiviso per misurarla?

“Sì. Ad esempio, l’istituto Gallupsta facendo una ricerca in 140 nazionied emerge chiaramente che esiste u-na correlazione tra il Pil e la soddisfa-zione di vita, ma anche che questa èfortemente correlata ad altri fattori,come la libertà e la fiducia. Le nazio-ni più felici sono quelle scandinave,e in particolare Svezia, Olanda masoprattutto Danimarca. Vi abitanopersone meno depresse, con più fidu-cia negli altri e più senso di amicizia”.

Ma perché le società ricche non rie-scono a garantire la felicità?

“Perché costringono le persone afare cose che esse non vorrebbero fa-re. Gli uomini ad esempio perdonomolto tempo nel traffico, spesso nonamano il lavoro che fanno, oppure la-vorano troppo”.

Resta il fatto che la percezione del-la propria felicità è influenzata damolti fattori. Tra l’altro, lei ha parla-to di “focusing illusion” per indicarecome, nel valutare benessere o ma-lessere, ci lasciamo influenzare da e-lementi illusori.

“Il nostro umore è determinato dal-le circostanze più immediate. Se so-no a cena con amici, sto bene; se so-no solo in mezzo al traffico, sto certa-mente peggio. Ma l’umore è condizio-nato anche da quello che accade, dal-le novità che possono influenzare an-che le circostanze immediate. L’eufo-ria perché ho appena vinto alla lotte-ria probabilmente mi aiuterà ad af-frontare anche il traffico; mentre se

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ho appena avuto un incidente e sonodiventato paraplegico, il dolore mi ro-vinerà anche la cena con gli amici. So-lo che le novità non durano: l’euforiaper la vincita a poco a poco cala e lostesso vale per il dolore dopo l’inci-dente. Dopo un po’ non sono più unvincitore o un paraplegico “a tempopieno”, sposto su altro l’attenzione. Ilfatto è che quando fissiamo la nostraattenzione su qualcosa, le diamo u-n’importanza eccessiva e questo è ilmotivo per cui molte persone deside-rano ardentemente qualcosa e poi,quando la ottengono, scoprono chenon sono affatto più felici”.

Forse il problema è anche che sia-mo un po’ pigri nella ricerca del be-nessere: penso alla sua teoria del “lossaversion”, in base alla quale gli indivi-dui hanno paura di perdere qualcosache hanno acquisito più di quanto gio-iscano a guadagnare qualcosa. Vuoldire che siamo tutti dei conservato-ri?

“Probabilmente sì. Chi ha qualchecosa tende a difenderla, mentre chinon ha niente da perdere è più dispo-sto a rischiare”.

C’è modo di misurare l’infelicità?“Abbiamo messo a punto un sistemache si chiama Indice U (come Unplea-sant), che permette di misurare lapercentuale di tempo in cui una per-sona si sente infelice in un giorno. Trale donne americane, ad esempio, que-sta percentuale è del 18%, fra quellefrancesi del 16%”.

E a cosa è dovuta questa differen-za?

“Non è facile dirlo: l’utilizzo del tem-po delle americane e delle francesi èsimile. Però, ad esempio, per le pri-me il tempo dedicato al cibo è utilizza-to anche per qualcos’altro (guidano,telefonano, lavorano), cosa che non

succede alle seconde. E le francesi a-mano stare con i bambini più delle a-mericane: magari perdono meno tem-po di queste ultime ad accompagnar-li di qua e di là, ma sono capaci di gu-stare il tempo passato con loro”.

Immagino che dietro queste statisti-che si nascondano, come sempre, del-le disuguaglianze.

“La distribuzione del dolore è for-temente ineguale: poche persone sof-frono molto, altre non soffrono quasiper niente. Queste statistiche dovreb-bero influenzare le politiche della sa-lute”.

Come?“Incentrandole più sul disagio men-

tale e sulle politiche dei tempi, in pra-tica sulla creazione di condizioni pervivere meglio”.

18 giugno. AdnkronosRoma, 18 giugno - Impegni romaniper Daniel Kahneman, studioso israe-lo-americano, l’unico psicologo ad a-vere ricevuto il premio Nobel, per a-vere studiato in particolare il ruolodei fattori psicologici nelle dinamicheeconomiche. Questa mattina, infatti,ha ricevuto all’università “La Sapien-za” di Roma la laurea honoris causain psicologia, mentre domani, dalle15.30 alle 20.00 parteciperà all’ultimasessione del convegno internaziona-le ‘Psicologia ed economia della feli-cità: verso un cambiamento dell’agi-re politico’, nella sala della Protomo-teca in Campidoglio. Un incontro pa-trocinato dal Comune di Roma, dallaProvincia di Roma, dalla Scuola dispecializzazione in psicologia della sa-lute e dal Dipartimento di psicologiasezione di neuroscienze della Sapien-za, dalla Sipsa e con la collaborazio-ne dell’Ordine degli psicologi del La-zio “L’Ordine degli psicologi del Lazio

- afferma la presidente Marialori Zac-caria - e l’intera comunità scientificaitaliana degli psicologi, sono pronti,accanto alle istituzioni e nella socie-tà, a mettere a disposizione le propriecompetenze per sostenere il necessa-rio cambiamento dell’agire politico,secondo le importanti intuizioni e ri-cerche di Kahneman. Vediamo soloalcuni segnali: la psicologia della sa-lute, per esempio, sta timidamente af-facciandosi nel campo della preven-zione, ma sappiamo che ce ne sareb-be bisogno ancora e molto di più. Ab-biamo voluto dare il nostro contribu-to alla realizzazione del convegno nel-la convinzione che possa servire dastimolo a tutti, perché si facciano an-cora passi avanti e il benessere tornial centro di ogni politica’’. Nei suoistudi Kahneman ha dimostrato comele scelte umane in condizioni di in-certezza possano discostarsi sistema-ticamente da quelle prevedibili sullabase della teoria economica classica,portando contributi scientifici inno-vativi anche negli studi sul benesse-re e la felicità.

18 giugno. AdnkronosIN CAMPIDOGLIO INCONTRO COL PREMIO NOBEL DANIEL KAHNEMAN: PRESENTIINOLTRE I RAPPRESENTANTI DELLA POLITICA ITALIANA.

Roma, 18 giugno domani alle 15.30presso la Sala della Protomoteca inCampidoglio, Daniel Kahneman, pre-mio Nobel per l’economia, parteciperàal convegno internazionale ‘Psicolo-gia ed economia della felicita’: versoun cambiamento dell’agire politico’,organizzato dalla scuola di specializza-zione in Psicologia della salute dellaSapienza e promosso dal Comune edalla Provincia di Roma.

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Sono previsti gli interventi del pre-mier Romano Prodi, della vice sinda-co della Capitale, Mariapia Garavagliae una tavola rotonda sul futuro dellapolitica moderata dal direttore de ‘IlRiformista’ Paolo Franchi alla qualeparteciperanno Gianni Alemanno, Pie-ro Fassino ed Ermete Realacci.

18 giugno. AdnkronosPOLITICA: PRODI, C’È BISOGNO DI‘PENSIERO POSITIVO’ Servono strumenti e per individuarei problemi e le aspettative dei citta-dini.

‘Per capirlo - spiega Prodi - la poli-tica ha bisogno del lavoro interdisci-plinare di economisti, psicologi e de-gli altri scienziati sociali. In primo luo-go, per individuare gli obbiettivi prio-ritari, a cui orientare la propria azio-ne e per tentare di misurare i risulta-ti non limitandosi al solo dato dellacrescita economica’. Servono, quindi,‘strumenti che aiutino a individuare iproblemi dei cittadini a cui ci si rivol-ge, le loro aspettative e anche le loropercezioni delle situazioni a volte di-verse (come indicano alcuni interes-santi rilevazioni dell’Istat) da quelledescritte dai dati quantitativi, ma u-gualmente importanti per progettaresoluzioni adeguate’.

Al convegno organizzato nella saladella Protomoteca, partecipa ancheDaniel Kahneman, psicologo e premioNobel in economia che ha ricevuto lalaurea ad honorem in psicologia pres-so l’università “La Sapienza” di Roma.‘Si tratta di un riconoscimento - scri-ve il premier - che premia ancora unavolta il suo lavoro e sottolinea l’im-portanza di ‘mettere insieme’ i nostridiversi approcci disciplinari di psico-logi ed economisti per capire le aspi-razioni e le difficoltà delle persone e

per arrivare ad una conoscenza scien-tificamente fondata dei problemi del-la societa’’.

Prodi si scusa di non essere presen-te al convegno perché impegnato alvertice tra governo e parti sociali sulDpef: “mi dispiace moltissimo di nonessere con voi, ma l’urgenza di alcu-ne decisioni, che speriamo possanoportare un po’ più di benessere, o difelicità, come dite nel vostro conve-gno, mi hanno trattenuto ad una en-nesima riunione a palazzo Chigi”.

17 giugno. AdnkronosROMA: PSICOLOGIA ED ECONOMIADELLA FELICITÀ, CONVEGNO INCAMPIDOGLIO

Si svolge domani e dopodomani,presso la Sala della Protomoteca inCampidoglio, a Roma, il Primo Conve-gno internazionale basato sull’influen-za della psiche sull’economia, ‘Psico-logia ed Economia della Felicità: ver-so un cambiamento dell’agire politi-co’, che approfondira’ tematiche qua-li la consapevolezza che, all’aumentodella ricchezza, almeno nei paesi adeconomia avanzata, non corrispondeun parallelo aumento del Ben-Esseresoggettivo. Ospite d’onore DanielKahneman, Premio Nobel ‘per averintegrato argomenti della ricerca psi-cologica con le scienze dell’economia,con particolare riguardo ai processidecisionali e di giudizio nelle incertez-ze’.

Dopo aver ricevuto la Laurea ad ho-norem, Kahneman, martedì dalle15.30 alle ore 20, parteciperà all’ulti-ma sessione del convegno. La sessio-ne sarà aperta dal messaggio di ben-venuto del Vice Sindaco di Roma Ma-riapia Garavaglia e dal saluto del Pre-sidente del Consiglio Romano Prodi.

Seguirà il saluto del Presidente del-l’Ordine degli Psicologi del Lazio Ma-rialori Zaccaria.

‘’L’Ordine degli Psicologi del Lazio- afferma Marialori Zaccaria - e l’inte-ra comunita’ scientifica italiana deglipsicologi, sono pronti, accanto alleIstituzioni e nella società, a metterea disposizione le proprie competen-ze, per sostenere il necessario cam-biamento dell’agire politico, secondole importanti intuizioni e ricerche diKahneman. Vediamo solo alcuni se-gnali: la psicologia della salute, per e-sempio, sta timidamente affacciando-si nel campo della prevenzione, masappiamo che ce ne sarebbe bisognoancora e molto di più. Abbiamo volu-to dare il nostro contributo alla realiz-zazione del Convegno nella convin-zione che possa servire da stimolo atutti, perché si facciano ancora passiavanti e il benessere torni al centrodi ogni politica’.

ROMA: PSICOLOGIA ED ECONOMIADELLA FELICITÀ, CONVEGNO INCAMPIDOGLIO (2)

Pio Ricci Bitti introdurrà gli inter-venti di Daniel Kahneman e di Seba-stiano Maffettone. Vi sarà poi la Ta-vola Rotonda ‘Il futuro della politica:quale spazio per la qualità della vita?’alla quale parteciperanno il Vice Sin-daco di Roma Mariapia Garavaglia, ilSegretario dei Ds Piero Fassino, il se-natore Dl Ermete Realacci e il depu-tato di An Gianni Alemanno. Conclu-derà i lavori il prof. Mario Bertini.

Il convegno è Patrocinato dal Co-mune di Roma, dalla Provincia di Ro-ma, dalla Scuola di Specializzazionein Psicologia della Salute e dal Dipar-timento di Psicologia Sezione di Neu-roscienze della Sapienza, dalla Sipsa

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e con la collaborazione dell’Ordine de-gli Psicologi del Lazio.

12 giugno. AnsaUn incontro interdisciplinare tra

economisti, psicologi e politici con loscopo di parlare del rapporto tra fe-licità ed economia, perchè non è det-to che all’aumento della ricchezza cor-risponda l’aumento del benessere del-l’individuo.

È il tema del convegno internazio-nale ‘Psicologia ed economia della fe-licità: verso un cambiamento dell’a-gire politico, che si svolgerà a Romail 18 e il 19 giugno con una serie di in-contri presso l’aula magna dell’univer-sità “La Sapienza”.

Interverranno esperti del settore,tra cui il nobel in economia e psicolo-go Daniel Kahneman.

Il convegno è stato organizzato dal-la Scuola in psicologia della salute del-la Sapienza, con la collaborazione del-l’Ordine degli Psicologi del Lazio, del-la Società italiana di Psicologia dellaSalute (Sipsa), con il patrocinio delComune e della Provincia di Roma.Lo scopo è di spostare l’attenzione deipolitici dal pil (prodotto interno lor-do) al bil (benessere interno lordo) eal fil (felicità interna lorda).

“È un’occasione - ha detto la vicesindaco di Roma, Maria Pia Garava-glia, alla presentazione dell’evento perfar parlare di felicità in modo scienti-ficamente fondato”.

“Il pil - ha aggiunto l’assessore pro-vinciale alle Attività produttive, Bru-no Manzi - misura i mezzi per arriva-re a qualcosa. Bisogna invece ripor-tare al centro dell’attenzione della po-litica la felicità”.

Martedì pomeriggio si terrà inoltrein Campidoglio una tavola rotonda sul‘Futuro della politicà a cui partecipe-ranno la vice sindaco di Roma, MariaPia Garavaglia, il coordinatore roma-no di An, Gianni Alemanno, il segre-tario dei Ds, Piero fassino, il senato-re della Margherita Ermete Relacci.

Presenti alla presentazione ancheil direttore della specializzazione inpsicologia della salute alla Sapienza,Mario Bertini, la Presidente dell’Or-dine degli Psicologi del Lazio, Maria-lori Zaccaria

12 giugno. OmniromaPOLITICI E NOBEL A CONVEGNOSU FELICITÀ

Tre giorni di incontri tra psicologi,politici e soprattutto con un premioNobel per l’economia, lo psicologo a-mericano Daniel Kahneman. Tema deidibattiti: la felicità analizzata in mo-do scientifico e il Fil (la felicità inter-na lorda) come indicatore del benes-sere della società, a cui i politici devo-no dare maggiore importanza. Si trat-ta del convegno nazionale “Psicologiaed economia della felicità verso uncambiamento dell’agire” che avrà luo-go lunedì 18 e martedì 19 a Roma.

L’evento è organizzato dalla scuolaPsicologia della Salute della Sapien-za (con la collaborazione dell’Ordinedegli Psicologi del Lazio e della So-cietà Italiana della Salute) e con il pa-trocinio del Comune e della Provin-cia di Roma. “È un’occasione unicaper parlare di felicità in manierascientifica e soprattutto con un pre-mio Nobel - ha detto il vicesindacoMaria Pia Garavaglia, durante la pre-sentazione dell’evento in Campidoglio- se in questo momento nel nostroPaese si vuole evitare il declino biso-gna sapere cosa fare e l’economia de-ve dare risposte ai bisogni dei citta-dini”.

Per l’assessore provinciale alle At-tività Produttive, Bruno Manzi, inter-venuto alla conferenza stampa: “Il Filmisura i mezzi per arrivare alla feli-cità. Bisogna riportare al centro del-l’attenzione della politica la felicità”.Il convegno inizierà lunedì 18 alle14.30 e proseguirà anche martedìmattina nell’Aula Magna della Sapien-za.

Martedì pomeriggio si sposterà nel-l’aula Protomoteca del Campidoglio esono previsti gli interventi, oltre delNobel Kahneman, anche del premierRomano Prodi, del segretario dei DsPiero Fassino, della vicesindaco Ma-riapia Garavaglia e del coordinatoreregionale di An Gianni Alemanno. So-no intervenuti stamani alla conferen-za stampa anche il direttore dellascuola di specializzazione in Psicolo-gia della Sapienza, Mario Bertini e lapresidente dell’Ordine degli psicolo-gi del Lazio, Marialori Zaccaria

12 giugno. Dire‘Psicologia positiva, poca televisio-

ne e genitori felici’. La sua formuladella felicità è diventata famosa in tut-to il mondo, come le sue teorie sulrapporto tra economia e felicità chegli hanno fatto guadagnare il premionobel per l’economia. È lo psicologodaniel Kahneman, che il 18 e il 19 giu-gno parteciperà al Convegno ‘Psico-logia ed Economia della felicità: ver-so un cambiamento dell’agire politi-co’, organizzato dalla Scuola di spe-cializzazione in Psicologia della Salu-te dell’università La Sapienza in col-laborazione con l’ordine degli Psicolo-gi del Lazio e con il patrocinio del Co-mune di Roma e della Provincia.

Il 19 giugno, il premio Nobel terràin Campidoglio una conferenza sul te-ma ‘Psicologia e politicà, alla quale se-guirà una tavola rootonda con Gian-ni Alemanno, Piero Fassino, Maria PiaGaravaglia e Ermete Realacci e di-scuteranno del ‘futuro della politicaquale spazio per la qualità della vita.

‘Si tratta di un’occasione unica - af-ferma il vicesindaco capitolino Gara-vaglia - per far parlare della felicitànon in maniera romantica o poetica,ma scientificamente fondata. Abbia-mo bisogno di sapere come evitare ildeclino del Paese e come organizza-re risposte ai bisogni veri delle per-sone’.

Non a caso, nell’ambito del conve-gno, agli esponenti politici sarà lancia-to un messaggio forte perchè, comesottolinea l’assessore provinciale alleAttività produttive, Bruno Manzi, ‘lafelicità deve tornare al centro dell’at-tenzione della politica’ .

‘Quando si parla del benessere -spiega Mario Bertini, direttore dellascuola di specializzazione in Psicolo-gia e Salute - tocchiamo una dimen-sione per lo più trascurata. Bisognainvertire la rotta di marcia e capireche la felicità non si misura con quan-ta ricchezza si riesce ad accumulare’.

Il Fil dunque, contro il Pil, ovverola felicità interna lorda contro il pro-dotto interno lordo.

‘Di fronte alla solitudine furibondache impera e alla disgregazione deltessuto sociale - dichiara MarialoriZaccaria, presidente dell’Ordine de-gli Psicologi del Lazio - c’è bisognodella psicologia per ricostruire le ra-dici che sono venute a mancare’.

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Il 20 novembre scorso, presso il Resi-dence Ripetta, l’Ordine ha organiz-zato una conferenza del Prof. Char-

les Webel sugli aspetti psicologici del ter-rorismo.

Webel ha insegnato scienze sociali aBerkeley ed è autore del libro di grandesuccesso Peace and Conflict Studies edel più recente Terror, Terrorism, andthe Human Condition. Ha conseguitoil PhD a Berkeley in Philosophy, Politi-cal and Social Thought, ed è ricercato-re nello Psychoanalytic Institute of Nor-thern California, e co-Fulbrizght GuestProfessor, assieme a David Barash, all’U-niversità di Heidelberg e Direttore delCenter for Peace Studies e professoreall’Università di Tromso in Norvegia.

Nella conferenza ha presentato l’ampiaprospettiva secondo la quale ha conside-rato la questione di cosa sia il terrorismoe di quali misure psicoterapeutiche, so-cioeconomiche, legali, politiche e diploma-tiche possono essere prese per aiutare levittime del terrorismo.

Webel ha aperto la conferenza con unriferimento un po’ provocatorio ricor-dando come uno dei primi atti terroristi-ci compiuti da uno stato moderno all’i-nizio del XX secolo sia stato il bombar-damento di Tripoli compito dagli italia-ni nel 1911.

Lo sforzo di Webel è stato di compren-dere la complessa dimensione del terro-re e del terrorismo, termine questo, cheha assunto diversi significati, spessocontrastanti, che ha dovuto chiarire ri-correndo a comparazioni fra contesti sto-rici differenti.

Webel affronta il tema del terrorismocon un approccio multidisciplinare com-prendente psicologia fenomenologica estudi sul trauma, teorie politiche e psi-coanalitiche, etnografia politica compa-rata e tradizioni riportate dalla storiaorale.

Suo punto di riferimento costante so-no anche le teorie non violente che sisono presentate in situazioni storiche

differenti e che forniscono strumenti per“affrontare sia le guerre terroristichefuori di noi che i terroristi dentro di noi”.

Facendo convergere i diversi punti divista utilizzati arriva ad una definizionedi cosa intende per terrorismo, focaliz-zandosi sugli “effetti terrificanti” delleazioni violente sulle loro vittime. “Il ter-rorismo è l’uso predeterminato, o la mi-naccia di far uso, della violenza, gene-ralmente per motivazioni politiche, al fi-ne di indurre uno stato di terrore in chine è immediatamente vittima, general-mente con lo scopo di influenzare un’al-tra categoria di persone che sono menoraggiungibili, come, per esempio, un go-verno.”

Il terrorismo è quindi soprattutto fi-nalizzato a determinare gli altri a farecose che altrimenti non farebbero. È unaintimidazione coercitiva, un modo diesercitare, o cercare di esercitare, unaforma di potere.

Webel ricorda anche una posizione pa-radossale che si è riproposta più voltenella storia: “Chi è un terrorista per qual-cuno, è, nello stesso momento, un com-battente per la libertà per un altro”. Que-sto lo porta a proporre una clas-sificazione che mette in evidenza aspetticruciali del terrorismo che possono ac-comunare sue manifestazioni assai di-versificate aiutandoci a coglierne aspet-ti essenziali.

Webel distingue il”Terrorismo dall’Al-to” che è messo in atto dagli stati visticome entità dotate di un riconoscimen-to come istituzioni definite dal dirittocostituzionale e internazionale, e il “Ter-rorismo dal Basso”, attuato da entitàsubnazionali, individui e gruppi più omeno organizzati.

Conseguenza di questa classificazio-ne è, tra l’altro, l’affermazione che “ogniatto che deliberatamente susciti terro-re è, più o meno, immorale (unhetical).Webel ricorda la decisione di Churchilldi bombardare la popolazione civile inGermania e quella di Truman di sgan-

ciare le bombe atomiche su Hiroshimae Nagasaki che non erano obbiettivi mi-litari.

In entrambi i casi le azioni compiutedagli stati si sono rivelate più immoralidi quelle compiute dal “Terrorismo dalBasso” perché hanno determinato dan-ni più gravi in termini di perdita di viteumane e perché non erano realmentenecessarie per ottenere i risultati chevolevano raggiungere. Questa non è, na-turalmente, per Webel, un’attenuanteper il “Terrorismo dal Basso”, ma sol-tanto un modo per cogliere le diversearticolazioni con cui il fenomeno del ter-rorismo di presenta. Ci sono fattori percui il Terrorismo dall’Alto è più immo-rale dell’altro: dimensioni del terroreprodotto e condizione di chi lo scatenada lontano con i suoi ordini e i suoi pia-ni di guerra, calcolati con totale indiffe-renza per la vita umana. Gli esempi enu-merati da Webel sono notevoli: Hitler,Stalin, Truman, Churchill, Pol Pot e L.B.Johnson.

Per altri versi i due tipi di terrorismosi equivalgono: strumentalizzazione del-le vittime, loro demonizzazione, uso del-la violenza di massa e di strumenti di di-struzione di massa, calcolo freddo sullaconvenienza dell’utilizzazione di mezziviolenti. Secondo Webel esiste inoltreoggi una progressiva erosione del con-fine fra guerra e terrorismo: il terrore ela “guerra psicologica” fanno ormai par-te degli strumenti a cui chi pianifica unapolitica di guerra sa di poter ricorrere.

Ma che cos’è allora, propriamente ilterrore? Questa è la parte della sua ri-cerca che è più propriamente psicologi-ca. Anche in questo caso è una defini-zione a riassumere la sua posizione: “Iltermine ‘terrore’ denota una esperienzafenomenologica di paralisi e di sopraffa-zione, una ineffabile angoscia mentale eanche, nello stesso momento, una ri-sposta comportamentale al pericolo diuna minaccia alla vita che sia reale, o siapercepita come tale”.

CHARLES WEBELANALISI DEL TERROREPaolo Cruciani

UN TEMADI GRANDE ATTUALITÀ

TRA DIMENSIONEPSICOLOGICA

E FATTORI POLITICI E SOCIALI

gli eventi

Webel ci ha poi riportato i risultati del-la sua indagine su 52 soggetti apparte-nenti a 13 nazioni, sopravvissuti a espe-rienze di “terrificante violenza politica”,intervistati anche 80 anni dopo le loroesperienze indimenticabili. L’effetto diun’esperienza terrificante è solitamen-te ricondotto, nel DSM IV, alla categoriadiagnostica del Disturbo Post-traumati-co da Stress.

La situazione terrificante è descrittacome soverchiante e accompagnata daun sentimento di totale infermità, è sen-tita come incontrollabile e suscita unsenso di completa perdita di autonomia.

Gli effetti dell’evento sono inconosci-bili e impossibili da prevedere, è pre-sente un’ansia acuta, un sentimento dipanico diffuso e un profondo disorien-tamento spazio temporale, unito alla per-cezione del proprio corpo come fossecongelato, immobilizzato e spesso, para-lizzato.

Infine, tratto particolarmente impres-sionante, tutti hanno sofferto per l’im-possibilità di trovare parole per descri-vere l’esperienza del terrore. Il terroreè vissuto come un’esperienza profonda-mente sensoriale, pre o post-verbale. Sipuò parlare di una vera e propria “ineffa-bilità” del terrore.

Webel si è poi posto la domanda diquale sia la più valida risposta all’uso delterrore. Quanto sta accadendo ci fa pen-sare che il futuro assomiglierà molto alpassato più prossimo ed al presente etutto ci fa temere che la violenza terrori-stica rischi di occupare uno spazio sem-pre più grande nella nostra vita.

Per contrastare questa tendenza We-bel vede una possibilità nel favorire epromuovere, in ogni modo, una culturadella non violenza, uno sforzo collettivoda parte delle istituzioni responsabili del-la formazione e della diffusione dellaidee a tutti i livelli, e delle forze politi-che, per diffondere la conoscenza, e lapratica, delle modalità non violente perla risoluzione dei conflitti.

L’analisi di Webel ci è sembrata estre-mamente importante da diversi punti divista.

Webel fornisce strumenti per definiree individuare con chiarezza alcuni aspet-ti centrali nel terrorismo, elementi chepossono essere colti, come abbiamo det-to, con un approccio multidisciplinare.Il suo lavoro, così come ce lo ha presen-tato sinteticamente nella sua conferen-za, è un esempio di come la compren-sione dei più complessi e rilevanti feno-meni sociali richieda una sofisticata in-tegrazione fra le teorie e gli strumentidi indagine della psicologia e quelli che

appartengono ad altre discipline. Unaimpostazione troppo strettamente ridu-zionistica implicherebbe il pericolo - èmeglio dire la certezza - di commetteregravissimi errori e di assumere posizio-ni unilaterali inaccettabili.

Queste considerazioni, di ordine me-todologico, implicano anche altre con-seguenze che le fondamentali ricerchedi Webel mettono in evidenza. Se la com-prensione del terrore e del terrorismorichiede l’utilizzazione di tanti strumentiche fanno parte dell’ambito disciplinaredella psicologia, le stessa ipotesi di We-bel evidenziano l’importanza della di-mensione economica, sociale e politica.È in relazione a questo punto che l’in-contro con lui, ci ha stimolato a propor-re alcune considerazioni.

La dimensione psicologica del terro-rismo è soprattutto determinata dalleforme politiche che la utilizzano proprioper ottenere quegli scopi che il “Terro-rismo dall’alto” e quello “dal Basso” vo-gliono produrre. Se ci si chiede, dunque,di spiegare il terrorismo e di ipotizzarecome arginarlo si è rimandati, pur man-tenendo tutta la rilevanza degli aspettipsicologici, alla centralità delle deter-minanti politiche.

La questione in gioco è quindi per noimolto importante. Le condizioni deter-minanti storico politiche - e quindi an-che economiche - possono plasmare edirezionare le dinamiche specificamen-te psicologiche, provocando fenomeniche possono certo “retroagire” su di es-se, ma che non debbono indurre genera-re confusione per quanto riguarda le ori-gini di un fenomeno grave come il terro-rismo. Il terrore produce una imponen-te onda d’urto che si propaga con la ve-locità che la psicologia sociale e di grup-po ben conoscono, e questa onda pro-duce quelle propensioni ad agire e quel-la omologazione delle opinioni e delleconseguenti azioni, e condotte politiche,che le classi dominanti possono poi uti-lizzare ai loro fini. Per questo motivo ri-teniamo che le condizioni politiche, e levolontà politiche, che hanno messo inmoto il “Terrorismo dall’alto” e il “Terro-rismo dal basso” debbono essere presein considerazione anche quando si vo-glia privilegiare l’ottica psicologica.

Questa è una responsabilità che coin-volge profondamente le nostra etica diprofessionisti e di ricercatori quale è de-finita dalle nostre tradizioni e anche dal-le nostre leggi istitutive. Noi psicologinon possiamo esimerci dalla compren-sione delle situazioni politiche, proprioper la stessa natura della nostra profes-sione che ci porta a confrontarci, quoti-

dianamente, con le condizioni che de-terminano i comportamenti umani. Ciòcomporta la nostra responsabilità nelprendere in considerazione i fattori chepossono esserci a monte dei comporta-menti individuali e collettivi anche quan-do tali fattori rientrino in ambiti che nonsono strettamente parte della nostre teo-rie. È qualcosa di simile a quello a cui ifisici si sono trovati davanti, quando leloro conoscenze si sono rivelate essen-ziali per la costruzione di armi che han-no rivoluzionato il modo di concepire leguerra, o i biologi, quando le loro ricer-che hanno reso possibile operare mani-polazioni sugli organismi che hanno ri-messo in discussione i confini di qualitrasformazioni sia lecito operare in unpatrimonio genetico. Abbiamo avuto oc-casione di confrontarci con analogheconsiderazioni anche in occasione del-l’incontro con Zimbardo come è riferitoin un’altra sezione del Notiziario.

Anche gli psicologi non possono piùlimitarsi al loro più specifico ambito diazione, in un mondo in cui ogni evento- e quelli collegati al terrorismo in par-ticolare - ha la possibilità di influenzarecon straordinaria rapidità la mente digrandi moltitudini. La conoscenza delledecisioni politiche, che sono la primafonte delle tensioni e delle strategie chescatenano il “Terrorismo dall’Alto e “dalBasso”, rimanda ad una analisi che ciporta dentro i meccanismi del potere edagli interessi che ne determinano le fina-lità e ne influenzano i progetti. La com-prensione delle responsabilità politiche,ed etiche, delle scelte che sono a mon-te delle varie forme di terrorismo ci ri-guarda quanto la conoscenza delle dina-miche psicologiche che ne costituisco-no una tragica conseguenza. Le iniziati-ve per la diffusione e l’affermazione diuna visione del mondo non violenta ri-schiano di rimanere delle pure utopie senon diventano parte di una azione poli-tica consapevole della gravità e dellaprofondità delle contraddizioni econo-miche, politiche e sociali che sono il ve-ro fondamento dei conflitti. Riteniamoche essere dei cittadini responsabili, edei veri soggetti politici, sia una irri-nunciabile precondizione per essere de-gli psicologi che rispettano la loro deon-tologia nello spirito oltre che nella let-tera.

Dobbiamo essere grati al lavoro pre-sentato da Webel per averci fornito, ac-canto ad un fondamentale contributosulla psicologia del terrorismo, ancheun’occasione per riflettere sulle implica-zioni più ampie del nostro lavoro.�

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charles webel

I LIBRI

LA PSICOLOGIA E IL MERCATO DEL LAVORO

i libri

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UNA PROFESSIONE DESTINATA AL PRECARIATO?

LE RICERCHEDELL’OSSERVATORIO MERCATO

DEL LAVORO: A CURA DI GIANLUCA PONZIO

IL LIBRO presenta l’esperienza,prima in Italia, in cui un Ordine Pro-fessionale della Psicologia - quello del-lo della Regione Lazio - e due FacoltàUniversitarie di Psicologia - la 1 e 2della Sapienza di Roma - hanno deci-so di affrontare insieme, in manieraintegrata e con finalità di caratterestrategico il tema del mercato del la-voro e del futuro della Professione Psi-cologica, incrociando dati regionali eletture nazionali di tendenza sulla Psi-cologia.

L’Osservatorio Mercato del Lavoroe le sue attività rappresentano perl’Ordine degli Psicologi del Lazio unamodalità innovativa di presidio delcampo professionale focalizzata sul-l’individuazione delle opportunità e li-nee di possibile sviluppo della pro-fessione, uno strumento per sottoli-neare eventuali criticità o aree pro-blematiche sulle quali è prioritario in-tervenire. Per l’Università rappresen-ta invece l’occasione di analizzare glieffetti dei risultati del processo for-mativo e di confrontarsi inoltre conaspettative e bisogni dell’utenza.

Questo libro racchiude l’esperienzadei primi due anni di lavoro dell’Osser-vatorio, una serie di riflessioni e di ri-cerche effettuate sia sul lato dell’offer-ta sia sul lato della domanda di psi-cologia.

Propone una visione integrata del-la dinamica domanda/offerta fornen-do dati per:

- analizzare il contesto attuale e letendenze del Mercato del lavorodella Psicologia nel Lazio, vincolie opportunità;

- analizzare e segmentare la doman-da di Psicologia in termini di quan-

tità e qualità dell’offerta;

- verificare il posizionamento dellaProfessione ed eventualmente pro-muovere “nuovi target e posizio-namenti”;

- contribuire alla verifica e ottimizza-zione del sistema formativo anchein relazione alla capacità di inter-cettare nuovi bisogni dell’utenza;

- individuare possibilità di nuovi“prodotti servizi” ;

- produrre dati e criteri per orienta-re i decisori istituzionali;

- promuovere immagine e orienta-re la comunicazione sulla profes-sione.

Con questo testo l’Ordine degli Psi-cologi del Lazio si rivolge ai suoi iscrit-ti con molteplici obiettivi

Si pone sicuramente come stru-mento di orientamento ai colleghi psi-cologi ed in questo senso si rivolgespecialmente ai più giovani, per per-

mettere loro di verificare le scelte fat-te ed il posizionamento e ripensarequindi l’appartenenza che stannostrutturando.

Si rivolge poi a tutti i colleghi chesono da tempo in professione per sen-sibilizzarli su alcuni temi rilevanti dipolitica professionale, per informarli,fornire loro criteri e chiavi di possibi-le lettura e sollecitarli alla partecipa-zione.

È indirizzato ovviamente ai prota-gonisti del sistema formativo universi-tario in quanto figure chiave in gradodi contribuire e influenzare la dinami-ca di sviluppo/stagnazione della pro-fessione.

Ed infine questo libro e l’esperien-za dell’Osservatorio vuole rivolgersi allegislatore e alla Politica che proprioin questo particolare momento stori-co si sta occupando della revisionedelle professioni e del riordino del si-stema formativo. In diverse parti dellibro, vengono infatti poste opzioni epunti di vista sulla regolamentazionedel sistema professionale e formativo.

In particolare su questo ultimo te-ma - la regolamentazione dei percor-si universitari - poco prima di andarein stampa giunge l’emanazione di unimportante decreto sugli indicatoriper la programmazione 2007-2009 del-le Università. Lo spirito ed il contenu-to del decreto converge in larga par-te su alcuni punti posti in questo te-sto come vere e proprie emergenzeda affrontare: tra cui il tema dell’effi-cacia del sistema universitario, dellasoddisfazione dell’utenza e dell’occu-pazione post laurea.�

La Psicologia ed il mercato del lavoro:

una professione destinata al precariato?

Le ricerche dell’osservatoriomercato del lavoro:

a cura di Gianluca Ponzio, con i contributi di:

Francesco Avallone, Claudio Bosio, Dario Romano,

Emanuele Morozzo della Rocca,Marialori Zaccaria,

Nicola Marietti per laFederConsumatori.

Edizioni Franco Angeli, Roma 2007

MODELLI, EFFICACIA, DIALOGO TRA RICERCATORI E CLINICI,

IMPATTO DELLE NEUROSCIENZE: RACCOLTA DI CONTRIBUTI

DI ANTONELLO COLLI,NINO DAZZI

E VITTORIO LINGIARDI

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PSICOTERAPIA, COME FUNZIONA?

Vittorio Lingiardi

FARE RICERCA IN PSICOTE-RAPIA significa porsi domande e fa-re ipotesi sui meccanismi della curapsicologica cercando di trovare rispo-ste empiriche, cioè verificabili e nonfrutto esclusivo di convinzioni arbitra-rie. Quali domande? Per esempio: sela psicoterapia come metodo di cura è“efficace” (ricerca sull’esito). Se i di-versi modelli terapeutici (psicoanaliti-co, cognitivo, sistemico, ecc.) posso-no essere considerati equivalenti (ef-ficacia comparata). Se e come certecaratteristiche del paziente (per esem-pio la diagnosi, l’età, alcuni tratti dipersonalità, ecc.) incidono sulla scel-ta e la riuscita del trattamento. E an-cora: quali aspetti dell’interazione clini-ca (tecnici o relazionali) possiamo con-siderare responsabili del cambiamen-to? Come “misurarli”? Negli ultimi cin-quant’anni, la ricerca in psicoterapia èriuscita a rispondere a molte di questee altre domande. Per esempio ha dimo-strato che, nel trattamento di molti di-sturbi, la psicoterapia è un metodo dicura efficace, più efficace dell’effettoplacebo e alla pari con le cure farmaco-logiche. E naturalmente, grazie alla ri-cerca in psicoterapia, si è potuto svi-luppare una riflessione empirica e con-cettuale su cosa si debba intendere per“efficacia” di un trattamento: la scom-parsa dei sintomi? Una maggior cono-scenza di sé? Maggiori capacità di adat-tamento all’ambiente? Uso miglioredelle proprie risorse? Riuscire a “tol-lerare” e contenere in una narrazioneautobiografica pregresse esperienzetraumatiche?

Un altro risultato della ricerca in psi-coterapia è la scoperta che la sua effi-cacia è più legata a fattori cosiddetti“aspecifici”, cioè trasversali ai vari mo-delli terapeutici, che “specifici”. E cheil fattore aspecifico per eccellenza è laqualità della relazione terapeutica co-me capacità di paziente e terapeuta di

costruire e mantenere un’ “alleanza”,cioè promuovere sforzi congiunti perraggiungere obiettivi comuni nel con-testo di una relazione che abbia carat-teristiche di sicurezza e fiducia. Inol-tre sappiamo che sono le capacità rela-zionali del terapeuta, indipendente-mente dal modello clinico di riferimen-to, ad essere in gran parte responsabi-li dell’efficacia dell’intervento. Ma sap-piamo anche che queste capacità, senon sono organizzate per mezzo di ele-menti tecnici e temporali, da sole nonbastano a garantire la riuscita del trat-tamento.

A partire da queste osservazioni, edall’intenzione di descrivere lo statodell’arte nel campo della ricerca, ab-biamo chiamato a raccolta, ma anchea confronto, i maggiori studiosi italia-ni. È nata così un’opera, unica nel pa-norama italiano, capace di orientare illettore (ricercatore o clinico che sia)

in questo complesso territorio, senzaperdere l’equilibrio tra l’enorme moledi dati e nuovi interrogativi.

Il volume, che nasce con il patroci-nio della Society for Psychotherapy Re-search, è organizzato in tre sezioni.Nella prima sono trattate tematichegenerali: evoluzione storica della ricer-ca in psicoterapia, problemi metodolo-gici più rilevanti, nodi del dibattito at-tuale, tra cui l’avvincente interazionetra psicoterapia e neuroscienze, ma an-che “come” vanno raccolti e studiati idati della psicoterapia.

Nella seconda parte viene fornita unarassegna dei principali costrutti (coni relativi strumenti di misura) indaga-ti nella ricerca in psicoterapia. Tra que-sti il transfert e il controtransfert, l’al-leanza terapeutica, la funzione rifles-siva, la metacognizione, l’attaccamen-to e i modelli operativi interni, la dia-gnosi di personalità. Qui, oltre ad unpanorama aggiornato, si fa un quadrodelle ricerche compiute, dei risultatiraggiunti e delle prospettive future.

Nella terza parte sono infine raccolticontributi che illustrano il rapporto trala ricerca in psicoterapia e i diversi mo-delli: psicoanalisi, terapia di gruppo, te-rapia familiare e terapia cognitiva.

Ma la vera scommessa di questo li-bro è quella di ridurre la distanza trapratica clinica e ricerca empirica. Permolti anni, infatti, la ricerca è sembrata(ai clinici) un esercizio accademico, ri-duttivo e lontano dalle reali problema-tiche dei pazienti e dei loro terapeuti.E la clinica è sembrata (ai ricercatori)un territorio ineffabile di soggettivitàe di diffidenza di fronte a qualunquetentativo empirico di verificare comefunziona e perché funziona un tratta-mento. Speriamo aver contribuito aldialogo tra due componenti necessa-rie e interdipendenti: clinica e ricerca.

(Tratto dal Supplemento Salute di “La Repubblica”)

“Una summa utile ai clinici”Il libro “La ricerca in psicotera-

pia”, è stato presentato dall’Ordinedegli Psicologi di Roma, nell’ambitodel nuovo ciclo dei Seminari del sa-bato, voluti dalla presidente Maria-lori Zaccaria. A proposito del lavo-ro curato da Dazzi, Lingiardi e Col-li, la presidente ha segnalato quan-to il libro abbia “confermato la con-vinzione di poter dare risposte cer-te e di non procedere con atti di fe-de. Siamo di fronte ad un grande la-voro - il primo svolto interamenteda studiosi italiani - che hanno rac-colto tutte le ricerche internaziona-li effettuate sino ad oggi al fine dicapire se la psicoterapia funziona.Anche dopo anni, spesso ci sfuggecosa può produrre un cambiamen-to in un paziente e questo volumepuò essere molto utile a ogni clini-co per riflettere sul suo lavoro”.

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IL 29 MARZO, PRESSO LA LI-BRERIA BIBLI, l’Ordine ha organiz-zato la presentazione di una ricerca -peraltro ancora in corso - condotta dalProf. Bertini e dai suoi collaboratori, icui risultati hanno consentito di for-mulare un programma di formazione,chiamato Skills for life, che può esse-re adottato nella scuola per ragazzi da-gli 11 ai 14 anni.

La finalità di questo programma -che è esposto in un testo pubblicatodalla Franco Angeli in cui sono ripor-tati anche i risultati di una lunga seriedi ricerche - è di fornire nella scuola,accanto al lavoro di formazione nellevarie conoscenze previste dai program-mi, lo sviluppo di capacità che vengo-no così definite: “Il termine di LifeSkills (LS) viene generalmente riferi-to ad una gamma di abilità cognitive,emotive e relazionali di base, che con-sentono alle persone di operare concompetenza sia sul piano individualeche sociale”. In questa prospettiva loscopo della scuola non è solo di con-sentire l’acquisizione di saperi, e di “sa-per fare”, ma anche di abilità e di“competenze sociali”.

Le ricerche, e il programma che neè derivato, rientrano nell’ampia temati-ca della psicologia della salute a cuinell’incontro con il Prof. Bertini, si èdato molto spazio.

È stato, infatti, importante ricorda-re che la psicologia della salute rappre-senta una fondamentale area di svilup-po della psicologia moderna, sul pianodella ricerca e, soprattutto delle mol-teplici applicazioni pratiche.

La psicologia ha sviluppato le suegrandi cornici teoriche “generali” po-nendosi, prima di tutto, l’esigenza didefinire i suoi oggetti specifici e i suoimetodi definendo la sua identità didisciplina scientifica autonoma, indi-

viduando i suoi ambiti di ricerca e do-tandosi di un “corpus” di modelli e dimetodologie affidabili di indagine e diverifica. La psicologia si è così guada-gnato, attraverso un cammino non fa-cile né lineare, un suo posto nell’oriz-zonte scientifico del XIX e poi del XXsecolo, concentrando in maniera pre-ponderante il suo impegno nella ri-cerca “pura” e privilegiando il suo va-lore come disciplina teorica che ac-quisiva un suo spazio nelle universitàe negli istituti di ricerca.

Si è contemporaneamente afferma-ta la tradizione della psicologia clinicache ha formulato i suoi paradigmi spe-cifici, distinti sempre di più da quellidella psichiatria, per affrontare, a livel-lo individuale e collettivo, la comples-sa dialettica fra sanità e sofferenza psi-chica delineando modelli di funziona-mento della mente e dello sviluppo emetodiche diagnostiche e terapeuti-che. La dimensione applicativa e l’im-pegno pratico nell’affrontare i proble-mi posti dal disagio sociale connota-vano decisamente questa disciplina an-che se ne prendevano in considerazio-ne, prevalentemente, un settore benpreciso, ponendo, necessariamentefuori del proprio raggio di applicazio-ne, molte delle pur pressanti esigenzeposte dalla vita “normale”.

La psicologia del lavoro e la psicolo-gia scolastica hanno, intanto, definitole loro teorie e metodologie ritaglian-do ambiti definiti in modo da cogliere,con precisione altri aspetti dell’espe-rienza di vita connotati da specificheproblematiche, costituendo proprietradizioni applicative, teoriche e di ri-cerca che esercitavano un influenzasempre più grande in settori centralie vitali della collettività. La psicologiastava dunque estendendo la sua in-fluenza su territori sempre più vastilasciando, tuttavia, senza risposta mol-

te richieste che, legittimamente, prove-nivano da una società che attraversa-va acuti momenti di crisi e di disorien-tamento determinati da repentini eprofondi cambiamenti nelle condizio-ni di esistenza.

Nessuna area della psicologia, pre-scindendo da inevitabili e momentaneitentativi “egemonici” compiuti, volta avolta, da questo o quel gruppo che nonpossono essere evitati in nessuna co-munità scientifica, ha mai potuto seria-mente pretendere di possedere la chia-ve per la comprensione esaustiva del-la totalità dei problemi della personaumana. Per questo motivo assistiamooggi alla nascita, e al più chiaro definir-si, di sempre nuove prospettive checonsentano di cogliere aspetti della vi-ta psichica che erano stati, in qualchemodo, sacrificati da metodologie che,in altri ambiti, si erano dimostrate, pe-raltro, assai vantaggiose.

È questo il caso della psicologia del-la salute e di programmi come quellopresentato dal gruppo del Prof. Berti-ni. Questo ambito disciplinare costi-tuisce un’applicazione delle sempre piùampie conoscenze sul funzionamentodella mente e sulle conoscenze acquisi-te in altre aree della psicologia, non al-la sola ricerca, né ad un intervento te-rapeutico in una situazione patologi-ca, ma al raggiungimento e al manteni-mento delle condizioni che consento-no una piena attivazione delle poten-zialità psicologiche di ogni essere uma-no in quella modalità che possiamoconsiderare la più completa manifesta-zione della sua salute.

Ciò che caratterizza una “abilità”(skill) è di essere una capacità, unaorganizzazione del comportamento,che è stata acquisita tramite una prati-ca ed un processo di apprendimentoche hanno attivato potenzialità pre-

IL MODELLO SKILLS FOR LIFE11-14 ANNI

Paolo Cruciani

IN UN LIBRO DELLA FRANCO ANGELI

I RISULTATI DI UN’IMPORTANTERICERCA CONDOTTA

DAL PROF. BERTINI E DAI SUOI COLLABORATORI

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senti nell’individuo, relative ad ognipossibile tipo di prestazione, dalle fun-zioni cognitive alle abilità che si mani-festano nelle relazioni sociali.

La ricerca sulle abilità è cominciata,come sappiamo dalla storia della psi-cologia, a partire dall’esigenza di cono-scere le condizioni per ottimizzare u-na qualche capacità. Una delle primeindagini sistematiche che si ricordino,fu intrapresa dell’astronomo FriedrichWilhelm Bessel, che nel 1820 studiò ledifficoltà di misurazione dei tempi nel-le osservazioni astronomiche, proble-ma che rimandava alla specifica abilitàdell’osservatore, alla sua “equazionepersonale”, divenuta un termine di am-pia ed anche “metaforica” applicazione,e alla possibilità di correggere erroridovuti alle differenti capacità dei sog-getti ricorrendo a particolari forme diaddestramento.

Le abilità di cui si occupa la ricercapresentata dal Prof. Bertini non sonoquelle che riguardano specifiche cono-scenze, ma l’insieme delle capacità chesono richieste per un buon inserimen-to nella società, per una positiva par-tecipazione alla vita collettiva in cuicondurre una esistenza individuale pie-na e soddisfacente: il conseguimentodella “salute”, appunto. Non si tratta diattuare misure di “prevenzione”, per-ché questo concetto è troppo stretta-mente dipendente da quello di “malat-tia”: in esso tutto è direzionato a con-trastare la patologia e finisce per esserecondizionato, inevitabilmente, da ciòche deve impedire. La psicologia dellasalute si pone, invece, nella prospettivadello sviluppo e della liberazione di po-tenzialità a cui, virtualmente, non vie-ne posto alcun limite, non è vincolatadall’esigenza di eliminare qualcosa, maè piuttosto orientata in senso “positi-vo” a promuovere uno sviluppo e a uti-lizzare una risorsa.

Le skills che devono essere acquisi-te dai giovani, come vere e propriecompetenze di vita, non sono suscet-tibili, naturalmente, di essere elenca-te in modo completo, ma rientrano inalcune categorie fondamentali. Sonocompetenze che rientrano nella “sfe-ra cognitiva”, attinenti alla “sfera del-la personalità e delle emozioni”, cheinclude l’autostima e la “capacità di ge-stire le emozioni e lo stress”, ed altreancora, “più orientate nel senso di un-apertura alla relazione sociale”, che in-clude la capacità di empatia e le “com-petenze comunicative”.

Il modo in cui, nel testo, è costruitauna scheda sugli stili di apprendimen-to può essere un esempio dell’approc-cio adottato da questo programma perinserirsi nei curricula scolastici faci-litando l’apprendimento delle variecompetenze, ma aggiungendo a que-sto il raggiungimento di suoi propriobiettivi formativi.

Le domande della scheda di lavoroinducono il ragazzo a riflettere sullestrategie che, a prescindere dallo spe-cifico tipo di conoscenza che si deveacquisire, portano l’attenzione sul me-todo usato per apprendere, invitano ariflettere su come si impara: “Descrivile principali strategie di apprendimentoche, per ciascun evento hai usato. Haianalizzato, copiato, fatto esercizi, me-morizzato, cercato connessioni… al-tro?”.

Particolarmente interessante risul-ta poi la parte della ricerca dedicata allavoro di gruppo, e in gruppo, che met-te in evidenza, come tutte le più impor-tanti attività che svolgiamo, nella vitasociale e di relazione, si esercitino sem-pre in un contesto gruppale: équipe,staff, organizzazioni che praticano spe-cifiche attività formative, di lavoro o disvago. La capacità di vivere nel grup-

po, articolare le proprie attività conquelle degli altri componenti, integra-re le risorse con quelle degli altri, è lacondizione per un autentico processodi sviluppo che non conduca all’omolo-gazione, esito dell’influenza di un grup-po che non funziona adeguatamente,ma alle forme più autentiche e matu-re di convivenza che consentono diraggiungere il senso della propria iden-tità e della propria matura autonomia.

Nella discussione con gli autori del-la ricerca sono stati ribaditi alcuni pun-ti che ci sembra importante sottolinea-re in questa sede. I temi della psicolo-gia della salute sono infatti ampiamen-te rappresentati nel modello delle Li-fe Skills.

Quanto è emerso dalla discussioneci induce a trarre ora qualche prov-visoria conclusione. Ci sono ormai lecondizioni, dato il livello di conoscen-ze che costituiscono oggi il patrimo-nio delle scienze psicologiche, con tut-te le loro differenze e specificità, maanche con gli indubitabili momenti diconvergenza e di integrazione, perchési possa guardare a progetti di inter-vento della psicologia nel contesto piùampio di un contributo alla collettivitàper venire incontro alle sue esigenzedi base avendo presente una visionedi insieme degli strumenti di indaginee di intervento di cui dispongono glipsicologi.

In questo senso un programma co-me quello delle Skills of life può inte-ressare non solo chi è coinvolto pro-fessionalmente nella formazione e neiproblemi della scuola o della psicolo-gia della salute, ma tutti gli psicologiche si interrogano su cosa la nostra di-sciplina - o complesso di discipline -potrà dare nel futuro per affrontare gliinterrogativi e le incertezze della no-stra epoca.�

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COMPETENZE PSICOLOGICHE NEL TERZO SETTORE

Autori e curatori:Ordine degli psicologi del Lazio, Fivol Contributi:Mario D’Aguanno, Simona Menna, Emanuele Morozzo Del-la Rocca, Giancarlo Tanucci Collana:Varie Argomenti:Psicologia clinica e psicoterapiaDati bibliografici:pp. 80, 1a edizione 2005 (Cod. 2000.1065)Tipologia:Edizione a stampa Prezzo: € 10,00Disponibilità: Buona Codice ISBN 10: 8846464214 Codice ISBN 13: 9788846464217

Presentazionedel volume:Il volume presenta i risultati di un lavoro di indagine

che è stata promossa dalla Commissione Promozione eSviluppo di Nuove Professionalità nel Terzo Settore e rea-lizzata dal Settore Studi Ricerche e Documentazione del-la Fivol (Fondazione Italiana per il Volontariato) che haaltresì cofinanziato la ricerca.

L’indagine, con una attenta ricognizione del terzo set-tore attivo sul territorio del Lazio e con una puntuale ana-lisi e scandaglio in ciascuna realtà individuata, ha rileva-to e quantificato la presenza di laureati in psicologia in-seriti lavorativamente in organizzazioni non profit a pre-scindere dall’iscrizione all’Ordine di categoria e dall’in-quadramento professionale.

Lo scopo finale del lavoro è stato quello di valorizzareil patrimonio di esperienze professionali della categoriaal fine di impostare percorsi formativi di livello avanzato,ampliare e consolidare spazi di intervento, oltre che for-nire importanti elementi di orientamento verso una scel-ta di lavoro sempre più consapevole per un inserimento

professionale corrispondente alle proprie aspettative; apri-re prospettive di sviluppo per gli psicologi attivi in que-sto nuovo e dinamico comparto lavorativo.

La ricerca inoltre ha colto gli aspetti più gratificanti nel-lo svolgimento del proprio lavoro, ma anche quelli più cri-tici e “spinosi” nonché le prospettive di sviluppo che glistessi soggetti raggiunti dall’indagine auspicano per la ca-tegoria degli psicologi nel terzo settore.

Indice:Mario D’Aguanno, Simona Menna, PrefazioneEmanuele Morozzo della Rocca, IntroduzioneGiancarlo Tanucci, Le competenze per la professionepsicologia (Un profilo generale delle competenze; La pro-fessione psicologica; Ambiti lavorativi degli psicologi)Simona Menna, Il terzo settore: un nuovo mercato dellavoro?(Verso una definizione del terzo settore; La legi-slazione del terzo settore: un panorama frammentato; Illavoro nel terzo settore) Simona Menna, La ricerca (Obiettivi, ricadute conosci-tive e propositive; Metodologia e conduzione della ricer-ca; Lo strumento di indagine; La rappresentatività deicampioni)Simona Menna, Caratteristiche delle organizzazioni edegli intervistati (Le organizzazioni; Gli intervistati)Simona Menna, Competenze psicologiche (Le attivitàsvolte; Caratteristiche di lavoro e sviluppo di nuove com-petenze)Simona Menna, Motivazione e soddisfazione (Una scel-ta consapevole?; Soddisfatti o insoddisfatti?)Simona Menna, Gratificazione e criticità nella profes-sione (Gli aspetti gratificanti; Gli aspetti critici) Simona Menna, Conclusioni.

GUIDA AI LIBRI DELL’ORDINE PUBBLICATIDALLA FRANCO ANGELI

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GLI PSICOLOGI E IL FISCO.INTERVISTA AL CONSULENTE

SUGLI ASPETTI FISCALI E PREVIDENZIALI

DELLA PROFESSIONE DI PSICOLOGO E DELL'ATTIVITÀ DI PSICOTERAPEUTA

Autori e curatori:Ordine degli psicologi del Lazio Contributi:Mario D’Aguanno, Emanuele Morozzo Della Rocca, Fla-vio Petitta Collana:Serie di psicologia Argomenti:Psicologia clinica e psicoterapia - Psicologia dello svilup-po e dell’educazione - Psicologia della famiglia e della cop-pia - Psicologia del lavoro e dell’organizzazioneDati bibliografici:pp. 144, 1a edizione 2006 (Cod.1240.276)

Tipologia:Edizione a stampa Prezzo:€ 15,00Disponibilità:Buona Codice ISBN 10: 8846472217 Codice ISBN 13: 9788846472212

Presentazionedel volume:Il volume si propone di approfondire e chiarire gli aspet-

ti fiscali inerenti l’attività professionale dello psicologo.L’intento che anima questo lavoro si colloca in una più am-pia cornice istituzionale, che traduce la necessità di in-formare e formare la conoscenza di un corretto agire, in-teso anche come un valore etico e deontologico. Il prin-cipio informatore è quindi quello di rendere accessibilel’informazione inerente gli aspetti tributari che regola-mentano la professione; di accompagnare il professioni-sta psicologo nel linguaggio dell’universo fiscale, per aiu-tarlo ad orientarsi e a decriptarne il significato. Questo la-

voro nasce da concrete esigenze, da domande elementa-ri e quotidiane, da dubbi e incertezze che gli psicologi pos-sono incontrare nell’esercizio della professione, che cihanno rivolto in questi anni e nei quali ciascuno può ri-conoscersi. La struttura del volume si articola in una se-rie di domande che incontrano risposte sintetiche e pra-tiche, che approfondiscono e, allo stesso tempo, esem-plificano concretamente gli aspetti legislativi, fiscali e pre-videnziali inerenti la professione di psicologo e di psico-terapeuta.

Il risultato è una sorta di vademecum di agile consulta-zione, tradotto in informazioni, suggerimenti, strategieapplicative.

Scritti di:Mario D’Aguanno e Flavio PetittaMario D’Aguanno, psicologo, psicoterapeuta, è tesorie-re e coordinatore della Commissione permanente per iContratti dell’Ordine degli Psicologi del Lazio.Flavio Petitta, è ragioniere commercialista e revisore con-tabile.

L’Ordine degli Psicologi del Lazio è stato istituito conla Legge 56 del 1989. Cura la tenuta dell’Albo, svolge azio-ne di tutela del professionista e del cittadino dall’eserci-zio abusivo della pro-fessione e dall’inosservanza del co-dice deontologico, promuove la psicologia e la qualità del-le sue prestazioni nei diversi ambiti della vita sociale. L’Or-dine degli Psicologi del Lazio (www.ordinepsicologilazio.it)attualmente conta circa 12.000 iscritti e ha sede a Roma,in Via Flaminia 79, tel. 0636002758.

Indice:Emanuele Morozzo della Rocca, PresentazioneMario D’Aguanno, Flavia Petitta, IntroduzioneL’attività professionale dello psicologo (Quali aspetti fi-scali e previdenziali della professione di psicologo deveconoscere chi decide di intraprendere l’esercizio della li-bera professione? Che cosa significano queste sigle? Do-ve occorre rivolgersi per chiedere l’attribuzione del nu-mero di partita Iva? Quali dati bisogna indicare nel mo-dello AA/9 oppure A-A/7; Quali adempimenti fiscali, a se-guito dell’attribuzione del numero di partita Iva, lo psico-logo deve rispettare? Vi sono particolari differenze ai finifiscali tra l’attività svolta in forma individuale e quella as-

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sociata? Prescindendo da ogni considerazione fiscale, qua-li sono i vantaggi ad esercitare la professione in for-ma as-sociata? Quali elementi occorre indicare nell’atto costi-tutivo di uno studio associato? Ci sono altri consigli pra-tici?)Iva: Imposta sul Valore Aggiunto (Lo psicologo esegue, prin-cipalmente, prestazioni di servizi. In quale circostanza siverifica una cessione di bene? Quando si verificano que-ste circostanze? Perché l’imposta si applica solo sulle ces-sioni di beni e prestazioni di servizi effettuate nel territo-rio dello Stato? In quali casi l’operazione si considera ef-fettuata nel territorio dello Stato? Cosa s’intende per eser-cizio di professione, o meglio quali atti che pone in esse-re lo psicologo rientrano tra i presupposti impositivi del-l’Iva? Chiariti i presupposti normativi dell’Iva, nell’aspet-to pratico quando bisogna emettere la fattura? Le fattu-re emesse dallo psicologo possono comprendere opera-zioni sia esenti, sia imponibili; Cosa rappresenta e comesi determina la base imponibile esposta in fattura? Unavolta determinata la base imponibile, nelle operazioni im-ponibili occorre calcolare ed esporre la relativa impostaa carico del cliente? In quali caso lo psicologo può detrarrel’imposta relativa alle spese professionali? Quali sono gliadempimenti fiscali conseguenti ai presupposti ed ai sog-getti passivi dell’impresa, alle prestazioni imponibili edesenti, alla base imponibile ed alla detrazione Iva sugli ac-quisti? Come si registrano le fatture emesse? Come si re-gistrano le fatture relative agli acquisti? Una volta com-piute le registrazioni, come si determina l’imposta da ver-sare? Oltre alle scadente indicate, sono previsti altri ver-samenti d’imposta? Che cosa sono le dichiarazioni annuali?Sono previsti casi di esonero dalla presentazione della di-chiarazione annuale? Cosa s’intende per operazione in-tracomunitaria? Esiste un elenco degli acquisti professio-nali con Iva detraibile?) Irpef/Ire: Imposta sul reddito del-le persone fisiche (Chi sono i soggetti passivi dell’impre-sa? Irpef/Ire riguarda tutti i redditi sopra elencati? In chemodo si determina il reddito complessivo? Qual è la defi-nizione del reddito di lavoro autonomo? Come si deter-mina il reddito di lavoro autonomo? Esistono deroghe aiprincipi generali analizzati? È possibile conoscere unaconcreta elencazione dei compensi e delle spese che inte-ressano l’attività professionale dello psicologo? Le dispo-sizioni sinora esaminate si applicano anche agli studi as-sociati?; Sono previsti casi d’esonero dalla presentazionedella dichiarazione dei redditi?; In che misura si applical’imposta?)Irap: Imposta Regionale sulle Attività Produttive (Che cosa siintende per attività autonomamente organizzata? Comesi determina la base imponibile Irap? È possibile cono-scere un elenco delle voci che interessano il valore dellaproduzione netta? Quali sono le spese professionali nondeducibili ai fini Irap? Occorre tenere appositi registri aifini Irap? Se l’attività professionale è organizzata in di-verse Regioni, occorre presentare più dichiarazioni an-nuali Irap?; Lo psicologo è quindi tenuto a presentare ladichiarazione Irap? È possibile ottenere il rimborso del-l’imposta?)

Scritture contabili(Il professionista deve tenere dei registri anche ai fini Ir-pef/Ire? Cosa occorre indicare nel registro dei beni am-mortizzabili? Come devono essere tenuti i registri fiscali?Quali adempimenti deve osservare lo psicologo che si av-vale di collaborazioni? Cosa comprende la dichiarazioneannuale del sostituto d’imposta? Lo psicologo è in gradodi soddisfare personalmente tutti questi adempimenti?) Regimi fiscali(Cosa s’intende per regime fiscale? Com’è svolta l’assi-stenza fiscale da parte dell’Amministrazione finanziaria?)Dichiarazione annuale unificata: Modello Unico (Tutte le dichiarazioni annuali sono comprese nel ModelloUnico? Il Modello Unico com’è composto? Come si pre-senta il Modello Unico? Per quanto tempo occorre con-servare la documentazione presente nel Modello Unico?;Quali sono, in sintesi, i termini di pagamento delle singo-le imposte? Le imposte dovute in base al Modello Unicosi possono versare in più rate? È possibile apportare del-le correzioni al Modello Unico già presentato?; In cosaconsiste il ravvedimento operoso?)Modello di pagamento unificato F24 (Con il Modello F24cosa si può pagare? Come si esegue il pagamento? Nellacompilazione del modello cosa occorre indicare? Come siesegue la compensazione? È possibile correggere errorirelativi alla compilazione del modello?)Parametri presuntivi di compensi. Studi di settore (Qua-le finalità hanno questi strumenti dell’Amministrazionefinanziaria? Continuano ad applicarsi i parametri presun-tivi di compensi?; Gli studi di settore rappresentano quin-di un metodo d’accertamento? Come si applica lo studiodi settore? Quali dati richiede il Modello TK20U? Sonopreviste cause di esclusione dall’applicazione dello studiodi settore? Lo psicologo che svolge più attività professio-nali quale studio di settore deve utilizzare? Quali effettiproduce lo studio di settore applicato in fase sperimen-tale? Qual è il loro contributo in merito agli studi di set-tore? È possibile difendersi dagli accertamenti basati suiparametri presuntivi di compensi e studi di settore?)Enpap: Ente Nazionale Previdenza Assistenza Psicologi(Qual è l’attività istituzionale dell’Ente? Chi sono i sog-getti obbligati all’iscrizione? Come si provvede all’iscri-zione? In che misura sono dovuti i contributi previden-ziali? Quali sono i singoli contributi annuali dovuti? In qua-li casi viene ridotta la misura del contributo soggettivominimo? In che misura sono dovuti i contributi se l’iscri-zione avviene nel corso dell’anno? Quali sono le scaden-ze dei versamenti? Cosa occorre indicare nella comuni-cazione annuale obbligatoria? Quali sono le prestazionicorrisposte dall’Ente?)Riferimenti normativiGlossario.

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PSICOLOGI DOC. UN MODELLO DI ACCREDITAMENTO

PROFESSIONALE VOLONTARIO

Autori e curatori:Ordine degli psicologi del Lazio, Marialori Zaccaria Contributi:Catina Balotta, Stefano A. Inglese, Emanuele MorozzoDella Rocca, Pierangelo Sardi Collana:Varie Argomenti:Psicologia clinica e psicoterapiaDati bibliografici:pp. 112, 1a edizione 2005(Cod.2000.1113)

Tipologia:Edizione a stampa Prezzo: € 12,00Disponibilità: Buona Codice ISBN 10: 8846470087 Codice ISBN 13: 9788846470089

Presentazione del volume:Il volume raccoglie e illustra diversi anni di lavoro del-

l’Ordine degli Psicologi del Lazio sull'accreditamento pro-fessionale volontario. Viene presente il prodotto finale -la check list - documentando tutte le fasi dell’attività rea-lizzata, fino alla sperimentazione che ha coinvolto più di400 professionisti psicologi della regione.

L’accreditamento dei professionisti è tema urgente inEuropa e vede l’Italia indietro nell’elaborazione di modelliche possano competere con quelli degli altri paesi. Il mo-dello qui riportato è originale ed unico, non presente sul-lo scenario delle professioni, e segna la volontà di una svol-ta per misurarsi con un problema, senza evitarlo perchédi difficile soluzione.

L’accreditamento dei professionisti è fonte di garanziaper i cittadini i clienti-utenti, i professionisti stessi, ri-spetto alla qualità delle prestazioni da formare/acquisire,da consigliare, da erogare e promuove il prestigio di unsistema professionale che lo esercita.

Sono stati individuati alcuni criteri dai quali desume-re/presumere la qualità di una prestazione professionalepsicologica e costruire standard di qualità. Il modello ela-borato vuole essere un’opportunità per il singolo professio-nista, attraverso la quale misurare la formazione e tararela propria presumibile efficacia professionale, essendo inciò supportato dalla comunità professionale. L’accredita-mento non può che essere volontario, essendo la qualitàun processo prima di tutto “culturale” che non può pre-scindere dall’adesione convinta di chi questa professioneesercita.

Marialori Zaccaria è vicepresidente dell’Ordine degliPsicologi del Lazio e coordina le Commissioni Sanità e Ac-creditamento e qualità. Nel 1974 è stata tra i soci fonda-tori del Centro Ricerche Psicoanalitiche di Gruppo “Il Pol-laiolo” di Roma di cui è stata presidente per due manda-ti. È membro ordinario didatta con funzioni di trainingdell’Istituto Italiano di Psicoanalisi di Gruppo associatoalla EFPP. È psicologo dirigente del Ssn da oltre vent’an-ni.

Catina Balotta è consulente specializzata sui temi del-la valutazione di sistemi sociali e sanitari, con particolaricompetenze di ricerca sociale di tipo qualitativo e quanti-tativo. Negli ultimi anni ha focalizzato la sua specializza-zione nella consulenza alla definizione e nel supporto al-l’implementazione di modelli di regolazione nel campo deiservizi alla persona. Collabora da anni con la Società Em-me&Erre.

Indice:

Emanuele Morozzo della Rocca, PresentazioneMarialori Zaccaria, IntroduzioneI testimonial del progetto di ricerca (Emanuele Moroz-zo della Rocca, Il prodotto-psicologia e la sua valutazio-ne; Pierangelo Sardi, Assunzione di responsabilità del-l’Ordine degli Psicologi verso gli utenti; Stefano A. In-glese, La centralità del cittadino come presupposto del-l’accreditamento professionale)Catina Balotta, Accreditamento professionale: alcuneconsiderazioni di metodo Le premesse teoriche (L’accreditamento professionale egli altri tipi di accreditamento) La prima fase di lavoro (Il modello di accreditamento dell’Ordine degli Psicologidel Lazio; Le fasi di lavoro che hanno portato alla defini-zione del modello; Il lavoro svolto nel 2002; I temi trattati) Il lavoro nel 2003-2004 (Il processo di accreditamento; Lasperimentazione e la definizio-ne degli standard)I risultati della sperimentazioneConclusioniTeam del progetto di ricercaGlossarioAccreditamento professionale degli psicologi della Re-gione Lazio - Check-list di riscontro

PSICOLOGIA VIARIA.GLI INTERVENTI DELLO PSICOLOGO

PER OTTIMIZZARE IL SISTEMA UOMO-VEICOLO-STRADA

Autori e curatori:Ordine degli psicologi del Lazio, Valerio Benincasa Contributi:Antonietta Albanese, Franco Amore, Francesco Avallone,Daniele Biondo, Sebastiana Bonaffini, Gianmichele Bo-narota, Paola Carbone, Giampaolo Centrone, Immacola-ta Ceparano, Maria D’Alessio, Nicola Alberto De Carlo, Ri-ta Di Iorio, Max Dorfer, Alessandra Falco, Fabio Ferlaz-zo, Maria Cristina Florini, Giu-seppe Folcheri, RobertoGiorgi, Franco Giori, Mario Giuli, Ales-sia Granà, FabioLucidi, Marco Magnanti, Francesca Maniscalco, Beniami-no Marchi, Paola Marinelli, Emanuele Morozzo Del-la Roc-ca, Magda Perassi, Roberto Quadalti, Paolo Rossi, GianMarco Sardi, Pierangelo Sardi, Stefano Trasei, ThomasWagenpfeil Collana:Varie Argomenti:Psicologia clinica e psicoterapiaDati bibliografici:pp. 256, 1a edizione 2005(Cod.2000.1097)

Tipologia:Edizione a stampa Prezzo: € 15,00Disponibilità: Buona Codice ISBN 10: 8846467000 Codice ISBN 13: 9788846467003

Presentazione del volume:È noto che la grande maggioranza degli incidenti stra-

dali è da riferire ad errori umani, più o meno consapevo-li. Tuttavia i dati in merito a numero e cause dei sinistrisono piuttosto inattendibili nell’individuare i conducentia rischio e le cause comportamentali degli stessi. Manca-no quindi le basi per impostare correttamente le azioni dicontrasto.

L’Italia, rispetto al resto dell’Europa, sconta un ritardonell’applicazione delle scienze psicologiche al contestoviario anche per la migrazione degli psicologi nel 1978 dal-l’ENPI, Ente Nazionale Prevenzione Infortuni, al ServizioSanitario Nazionale proprio nel periodo in cui i colleghidi analoghi istituti esteri si concentravano dagli inciden-ti sul lavoro a quelli stradali.

Oggi i “traffic psychologists” operano, sia nella preven-zione - primaria, secondaria e terziaria - dei sinistri, sianella formazione dei formatori che si occupano di educa-zione stradale, nella valutazione psicoattitudinale del per-sonale di guida, negli interventi ergonomici volti a miglio-rare il rapporto uomo-veicolo, negli studi sulla percezio-ne e comprensione della segnaletica stradale, nel suppor-to psicologico al personale di soccorso che interviene ineventi critici, nella modifica dei costumi sociali in quan-to a utilizzo di mezzi e spazi pubblici, nelle campagne dipubblicità sociale, etc. Vari dunque sono gli utenti (bam-bini, adolescenti, conducenti professionisti, insegnanti discuole ed autoscuole, forze dell’ordine, cittadinanze, etc.)e diversi i committenti: concessionarie autostradali, mi-nisteri, enti locali, ASL, ospedali, scuole ed autoscuole,assicurazioni, case automobilistiche, aziende costruttricidi segna-letica, centri studi e di ricerca, etc.

Il volume è indirizzato a psicologi, ma anche a coloroche operano in aziende, enti e istituzioni privati e pubbliciperché possano avvalersi della risorsa psicologica per mi-gliorare il “prodotto-sicurezza” sulle nostre strade.

Valerio Benincasa, psicologo con una formazione psi-coterapeutica ad indirizzo analitico, è Segretario dell’Or-dine degli Psicologi del Lazio. Membro dell’assemblea del-la Consulta per la Sicurezza della Provincia di Roma, è di-pendente di Autostrade per l’Italia S.p.A.

L’Ordine degli Psicologi è stato istituito con la Legge56 del 1989. Cura la tenuta dell’Albo, svolge azione di tu-tela del professionista e del cittadino dall’esercizio abusi-vo della professione e dall’inosservanza del codice deon-tologico, promuove la psicologia e la qualità delle sue pre-stazioni nei diversi ambiti della vita sociale. L’Ordine de-gli Psicologi del Lazio (www.ordinepsicologilazio.it) con-ta 11.000 iscritti e ha sede a Roma, in Via Flaminia 79, tel06.36.00.27.58.

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Indice:Emanuele Morozzo della Rocca, PrefazioneValerio Benincasa, Introduzione

Parte I. La comprensione delle cause comportamen-tali, l’individuazione dei soggetti a rischio e le azionidi contrastoVito Gamberale; Emanuele Morozzo della Rocca; Pie-rangelo Sardi; Mario Tassone; Claudio Gatti; Mauri-zio Coppo; Franco Taggi; Guenter Kroj; Walter Gerbi-no

Parte II. Beniamino Marchi, La psicologia della sicu-rezza stradale: l’intervento nella sanitàGian Marco Sardi, Anticipazioni su Sartre 3, Social At-titudes to Road Traffic Risks in EuropePaola Carbone, Approccio psicodinamico all’incidente inadolescenza: una ricerca-interventoMax Dorfer, Thomas Wagenpfeil, Il “driver improve-ment”: interventi terapeutico-riabilitativi nel caso di in-frazioniCristina Florini, Interventi di prevenzione primaria sul-la sicurezza stradale rivolti ai giovani: la formazione deiformatoriRoberto Quadalti, Il ruolo del Dipartimento di Sanità Pub-blica nel-la prevenzione degli incidenti stradali a Cese-naAlessia Granà, Trauma cranico: ruolo e intervento delneuropsico-logo

Parte III. Paola Marinelli, La psicologia della sicurez-za stradale: l’intervento nelle scuole e autoscuoleDaniele Biondo, Rita Di Iorio, Un modello di lavoro psi-cologico per l’educazione stradale dei bambini e degli ado-lescentiMaria D’Alessio, Stefano Trasei, Percezione e assun-zione di rischio nei bambiniSebastiana Bonaffini, Magda Perassi, Le ricerche e gliinterventi di educazione stradale nelle scuole secondarieFranco Giori, Il rischio di incidenti in motorino in ado-lescenza: una ricerca-intervento in gruppi classeRoberto Giorgi, Un contributo di ricerca sui comporta-menti a rischio negli adolescentiImmacolata Ceparano, “Salotto Caserta”: progetto dimarketing per la mobilità sostenibile

Parte IV. Marco Magnanti, La psicologia della sicu-rezza stradale: l’intervento nelle concessionarie au-tostradaliPierangelo Sardi, Il dialogo fra gestore ed utente me-diante i Pannelli a Messaggio VariabileMario Giuli, Autostrade S.p.A.: il miglioramento del pro-cesso informativo alla clientelaFrancesca Maniscalco, Le ricerche di Autostrade S.p.A.Giuseppe Folcheri, Analisi quantitativa sulla compren-sione della segnaletica stradale all’interno dello spazio cri-tico decisionaleGiampaolo Centrone, Autovie Venete S.p.A.Fabio Lucidi, Prevenzione degli incidenti stradali del sa-bato sera; cornice informativa e processi decisionali inambito di guida notturna

Parte V.Valerio Benincasa, La psicologia della sicu-rezza stradale: l’intervento con altri committentiFabio Ferlazzo, Le indagini del “Centro Interuniversita-rio di ricerca sulla sicurezza stradale”Antonietta Albanese, Sicurezza stradale e strategie diprevenzione e cambiamento: dalla ricerca all’interventoNicola Alberto De Carlo, Alessandra Falco, Prevenzio-ne e sicurezza stradale: linee d’intervento e strumenti de-rivati da una ricerca empirica svolta a livello nazionaleFranco Amore, Intervento dello psicologo ai sensi del-l’art. 324 del Regolamento di esecuzione del Nuovo Co-dice della Strada in merito alla valutazione psicoattitudi-nale del personale di guidaPaolo Rossi, L’intervento psicologico a supporto del ruo-lo della polizia municipaleGiammichele Bonarota, L’intervento dello psicologo nel-la sicurezza: l’esperienza dell’educazione stradale nellaPolizia Municipale di RomaFrancesco Avallone, Postfazione.

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LA SCUOLA COME CLIENTE - LA FUNZIONE DELLO PSICOLOGO

SCOLASTICO. I RISULTATI DEL LABORATORIO PILOTA,

DI SERGIO SALVATORE EDIZIONE FRANCO ANGELI,

ROMA 2001

Laboratorio Pilota è il nome della sperimentazione, rea-lizzata dall'Ordine degli Psicologi del Lazio, volta a indi-viduare linee di sviluppo della psicologia in ambito scola-stico.

È nella tradizione dell’Ordine promuovere iniziative sultema della psicologia scolastica. Tra i tanti cambiamentiorganizzativi e culturali che la scuola italiana sta attra-versando, si sta affacciando la possibilità che una leggedello Stato istituisca un servizio di psicologia a supportodel sistema scolastico e di chi, all’interno di esso, lavorae apprende. In rapporto a questo scenario, la professione

psicologica è sollecitata ad innovare l'offerta di servizi,adeguarla all’evoluzione della domanda del mondo scola-stico e dei suoi attori.

Lo sviluppo della psicologia in ambito scolastico passadunque per l’incremento della capacità di orientamentoal cliente della professione. Ma cosa significa assumere lascuola come cliente? Quale è la fattibilità ed efficacia ditale politica di sviluppo? Quale il suo rapporto con le cul-ture professionali degli psicologi? In quali modelli di pro-dotti-servizio si traduce? Il Laboratorio Pilota si è postoquesti interrogativi. I suoi risultati individuano, da un la-to, una scuola sempre più orientata a valorizzare l’Auto-nomia, dall’altro, un sistema psicologico che può trovareun terreno di confronto utile in alcuni criteri procedura-li e di riscontro delle prassi di intervento. L’Ordine e le al-tre agenzie della professione, anche sulla base dei risul-tati di questo lavoro, potranno operare alla costruzione diuna cultura dell'intervento psicologico che assuma la scuo-la come portatrice di specifici scopi, al servizio dei qualicollocarsi.

PSYCHARTICLES

È stata attivata la consultazione gratuita on line di un importante strumento di approfondimento e aggiornamento professionale

Psycarticles è una raccolta di oltre 32.000 articoli pubblicati dal 1987 ad oggi nelle 51 prestigiose riviste edite dall’American Psychological Association (APA) che rappresentano, nel complesso,

uno dei più significativi punti di riferimento per il confronto e il dibattito scientifico nei diversi settori della psicologia.

Gli iscritti possono effettuare ricerche consultare on line e stampare la versione completa degli articoli di loro interesse.

La consultazione del database è gratuita e riservata agli iscritti dell’Ordine degli Psicologi del Lazio.Si accede dall’area riservata del sito www.ordinepsicologilazio.it

Certi di offrire una significativa opportunità di interazione con la dimensione internazionale del dibattito scientifico eculturale all’interno della psicologia, auguriamo a tutti “buona navigazione”!

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I SEMINARI

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Venerdì 30 marzo 2007L’interazione come

“forma mentis” della mente:alcune riflessioni sulla traccia del contributo di D. J. Siegel

“La mente relazionale”Daniela De Robertis è epistemologo,psicologo, psicoanalista di traininge supervisore della SIPRE (SocietàItaliana di Psicoanalisi della Rela-zione), docente di EpistemologiaPsicoanalitica e di Teoria Freudia-na nella scuola di specializzazioneper psicoterapeuti della medesimasocietà.È membro dell’IFPS (InternationalFederation of Psychoanalitic Socie-ties). Ha pubblicato numerosi arti-coli di epistemologia psicoanaliticae di teoria clinica.

La traccia di fondo che percorre l’in-tervento consiste nel concepire la men-te nell’ottica delle teorie emergentiste,secondo le quali la mente è una pro-prietà emergente. Essa emerge comeproprietà globale dalla funzionalità delcervello (ricezione ed elaborazione de-gli input).

Ciò comporta concettualizzare lamente come un sistema complesso chesegue i principi organizzativi e le rego-le di funzionamento proposte dallaTeoria della Complessità (E. Prigogi-ne, E. Morin, L. Sander).

La mente è “relazionale” in quanto si“costituisce” attraverso la dimensioneinterattiva: gli input derivano essenzial-mente da esperienze interpersonali.

La mente si sviluppa attraverso il ri-specchiamento delle esperienze pri-marie con le altre menti. A questo pro-posito esiste già una lunga tradizionein ambito psicoanalitico sulle esperien-ze di condivisione che, a partire daipionieristici studi di Louis Sander, dai

contributi ormai storici di D. Stern sul-la sintonizzazione, dalle ricerche del-l’Infant Research sull’interattività del-le esperienze primarie, trova oggi am-pliamento e verifica negli studi speri-mentali di E. Z. Tronik sulla cocreazio-ne sociale dei significati personali. Nonda ultimo nell’ambito delle neuroscien-ze cognitive, la scoperta dei neuronispecchio e delle loro modalità di fun-zionamento (V. Gallese, G. Rizzolatti),comprova neuroscientificamente lapresenza di una disposizione empati-ca nella nostra specie, chiarendo ul-teriormente la morfologia “relaziona-le” della mente.

Lo sviluppo del cervello-mente è unprocesso esperienza-dipendente, quin-di contestuale.

Benché i processi siano genetica-mente programmati, poiché la pro-grammazione genetica non è rigida, maflessibile, il risultato è che corredo ge-netico e bagaglio esperenziale si inte-grano reciprocamente influenzando iprocessi di sviluppo del soggetto psi-chico. Certamente i geni contribuisco-no a determinare i comportamenti, maè ugualmente provato, soprattutto gra-zie oggi all’impiego delle tecniche di i-maging, che anche il comportamentoe le esperienze sociali effettuate eser-citano un’azione retroattiva sui circui-ti cerebrali, modificando tanto il fun-zionamento dei neuroni, quanto la stes-sa espressione genica (E.R. Kandel).

Se biologia ed esperienza si confer-mano come parametri agenti in termi-ni solidali e reciproci,con una causali-tà circolare, questa rilevanza attual-mente da luogo ad un approccio epi-stemico in cui natura e cultura non so-no termini che si pongono in modo dif-ferenziato, se non dicotomico, ma ter-mini solidali che agiscono lungo uncontinuum.

Si tratta di una posizione (C. P.Snow) che, superando i dualismi chehanno tradizionalmente caratterizza-to la cultura occidentale, propone unapproccio “integrato” nel concepire na-tura e ambiente, cervello e mente, so-ma e psiche come termini senza solu-zione di continuità.

Infine nel contesto del mentale le e-mozioni, superando il consueto paradi-gma che contrappone emozione a ra-gione (Damasio), vengono concepitecome processi cognitivi. Esse assolvo-no funzioni comunicazionali e interatti-ve e, in sinergia con le memorie, strut-turano costrutti di significato che co-stituiscono mappe di predittività e ri-cognizione rispetto alle esperienze inatto.

BibliografiaDe Robertis D.(2005) Le logiche dei Si-

stemi Complessi: un potenziale perla teoria e la clinica psicoanaliticain Ricerca Psicoanalitica, Anno XVI,n.3, 2005, pp. 319-330.

Morin E. (1982) Scienza con coscienzaFranco Angeli, Milano, 1984.

D. J. Siegel (1999) La mente relazionaleRaffaello Cortina, Milano, 2001.

CLASSICSGLI ABSTRACTSDEI SEMINARI DEL SABATODEDICATI AI GRANDI TEMI

DELLA PSICOLOGIA

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Sabato 21 aprile 2007Michael Argyle,

Psicologia della FelicitàRelatrice Giuliana Apicella, Psicolo-ga, psicoterapeuta

Nel tentativo di eliminare eventualiequivoci, mi preme sottolineare cheio sono psicoterapeuta.

Non sono una ricercatrice, per cuii punti che esporrò li condivido e miappartengono nella modalità esposi-tiva, ma sono il frutto di osservazio-ni ed esperimenti di autorevoli ri-cercatori che hanno dedicato anni edanni della loro vita su questo argo-mento.

Nel volume Psicologia della Feli-cità, M. Argyle riunisce gran partedelle scoperte sul tema della felicità,ricerche che hanno tentato di spie-gare non solo che cos’è la felicità, maanche come mai alcuni sono più fe-lici di altri. Le conclusioni sorpren-dono non poco e portano a rileggerecon attenzione le affermazioni di al-cuni filosofi dell’antichità.

La felicità è un senso di quiete in-teriore, dopo la tempesta. Una quie-te che si conquista nel corso della vi-ta con fatica ed intenzione, per quel-li che hanno vissuto la tempesta. Glialtri, quelli avvantaggiati, hanno ap-preso questa quiete in automatico.Così come hanno appreso a parlare,hanno appreso anche a vedere il bic-chiere mezzo pieno, hanno appresocome alleggerirsi la vita.

Fortunatamente, questo non di-pende dai geni. Questo viene appre-so. Come sintetizza Savater, ripe-scando l’indicazione da Aristotele:non possiamo deliberare sul porto dipartenza, (anche se è importante sa-pere quale sia), possiamo deliberaresolo sul porto di arrivo.

Essere accoppiati ed avere dei fi-gli, svolgere un lavoro soddisfacen-te, essere circondati dall’affetto diamici, mantenere un vivo interesseper molte attività, porsi obiettivi nonpretenziosi e a breve scadenza in col-laborazione con altri, ridurre al mi-nimo la discrepanza tra l’immaginedi sé e l’ideale di sé, sembrerebbeche tutto questo contribuisca allaconquista della felicità.

Conquistare non è un termineesclusivamente bellicoso. Il Diziona-

rio Devoto-Oli della Lingua Italianadefinisce “conquista” con “il raggiun-gimento di una meta mediante azio-ne condotta con grande impegno,sforzo e sacrificio”.

Dopo anni passati a condurre se-minari e corsi di formazione rivolti adiverse figure professionali tra lequali anche quella psicologica ma informazione, ora mi rivolgo a colleghi.Mi ritrovo nel covo degli psicologi!Questa occasione voglio coglierla perstimolare un confronto costruttivotra persone. Perché noi prima di es-sere psicologi, colleghi, siamo per-sone. Credo che ci sia differenza tra“deformazione professionale” e “ri-manere costantemente nel ruolo”.

Noi abbiamo la fortuna di parlaredi noi. Non studiamo libellule, mal’essere umano. E tutto ciò che stu-diamo possiamo sperimentarlo diret-tamente su noi stessi. Quindi, qualemigliore occasione per confrontarcisu questo tema: “Come si fa ad esse-re felici? Come faccio io ad essere fe-lice?”

L’obiettivo che vogliamo raggiunge-re è lo stato di quiete. È come direche il nostro obiettivo è raggiungereMilano. Gli avvantaggiati si trovanogià in città. Gli altri, non avendo il do-no dell’ubiquità, dopo aver individua-to il punto dal quale partire, potran-no stabilire dei passi che presi singo-larmente non corrispondono all’o-biettivo, ma necessari ognuno percontribuire al suo raggiungimento.

Aristotele ci suggerisce: “Nessunodecide alcun fine, ma i passi che con-ducono al fine. Voglio dire che nes-suno decide di essere in buona salu-te, ma di passeggiare o stare sedutoal fine di essere in buona salute, nédi essere felice, ma (…) affrontare irischi per essere felice; (…)”, (Ari-stotele, Etica Eudemia)

Sembrerebbe che per essere felicidobbiamo intervenire per costruireognuno la propria felicità. E per co-struirla dobbiamo proprio darci dafare. Se siamo infelici non possiamoincolpare il fato, lo Stato, la famigliad’origine o la sfortuna. Esiste un e-lenco di personaggi e scuole di pen-siero che intendono scuoterci urlan-do che la responsabilità della nostrainfelicità è solo nostra. Quindi signo-ri, se vogliamo essere felici è neces-

sario intraprendere il viaggio al finedi esserlo.

Non so voi, personalmente ho lasensazione di essere intrappolata o-gni volta che qualcuno tenta di inse-rirmi in una casella con la presun-zione di definirmi. E mi viene da sor-ridere dentro, quando qualcuno la e-sprime con ingenua superficialità. Latrappola del ruolo.

Se cammino lungo binari già se-gnati non è poi così complicato vive-re. Lo svantaggio è accettare tutti isintomi che mi comunicano la ribel-lione interiore. Ma se invece mi ritro-vo su un territorio percorribile a360°, caspita, sono obbligata a sce-gliere la direzione. Scegliere. Aristo-tele parla di “affrontare i rischi peressere felice”. E ogni volta che sce-gliamo, stiamo automaticamente ri-schiando. E non ci sarà mai nessunoa garantire che la scelta compiuta cicondurrà alla felicità.

Io sono…, perché scelgo di esse-re…, ma se mi sento obbligata ad es-sere…, per rispettare un ruolo o a-spettative di altri, sto fuggendo dal-la mia libertà (come direbbe Fromm).Ad una maggiore libertà corrispondeuna diminuzione di sicurezza. Si per-dono le garanzie ed aumentano le re-sponsabilità. È forse questo che fapaura? Ma come faccio ad orientar-mi nello scegliere la direzione? Equanto noi siamo liberi di scegliere?Come facciamo a liberarci dai con-dizionamenti ricevuti?

C’è differenza tra autonomia emo-tiva ed indipendenza economica: l’au-tonomia emotiva non si conquista au-tomaticamente con l’indipendenzaeconomica. Si può essere indipen-denti economicamente ma non perquesto si è liberi ed autonomi nellescelte. “Siamo ostaggio dei nostri ge-nitori fino a che la nostra strada è u-na qualsiasi purché non sia la loro”(Viorst “Distacchi”) o ci ritroviamoa percorrere la stessa strada senzaesserci domandati se è quella che vo-gliamo percorrere.

L’indipendenza economica garan-tisce il potere decisionale. Ma deci-dere autonomamente è un’altra co-sa. L’autonomia emotiva ci permettedi scegliere di fronte alle richiesteche la vita ci fa, in base ai propri va-lori e non agli pseudo-valori di origi-

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ne sociale. I propri valori, contraria-mente ai bisogni primari che sono in-nati, sono da scoprire e scegliere li-beramente. I propri valori indicanouna direzione di vita, sono una gui-da per la scelta della direzione. I va-lori sono la nostra bussola. Preven-tivare di adottare scelte sbagliate cipermette di perseverare nella ricer-ca della scelta più adatta a noi stes-si.

Ma questo diamolo per scontato,lo sappiamo. Va bene. E allora cosadetermina la differenza tra chi si rial-za ogni volta che sbatte la testa con-tro un vetro che credeva non ci fos-se e chi invece rimane tramortito aterra a lungo immobile? Perché qual-cuno sembra possedere una riservainesauribile di energia ed altri no?Esistono quelle candele di complean-no che dopo averle spente si riac-cendono senza l’intervento di nessu-no; ed esistono candele che si spen-gono definitivamente al primo soffio.Questa è l’immagine che ho. Dove stala differenza? Per quanto riguarda lecandele ci sarà una spiegazione, sul-la quale non mi soffermo. Ma per lepersone quale spiegazione potrà es-serci?

Come si fa a vedere il bicchieremezzo pieno a differenza di chi lo ve-de mezzo vuoto? La quantità nel bic-chiere è la stessa, quindi a parità diquello che si ha, c’è chi è felice e c’èchi non lo è. C’è chi è ottimista e c’èchi è pessimista. E parrebbe proprioche gli ottimisti se la passino meglio.

Per fortuna, qualcuno come meche si sente stretto nelle definizionicosì asfissianti, parlo di Seligman etutto il suo gruppo, ha lavorato perpiù di 25 anni per capire se fossepossibile rompere questi argini ed of-frire la possibilità ai pessimisti di tra-sformarsi in ottimisti, e agli ottimistisfegatati di raggiungere un ottimi-smo flessibile che tenga conto anchedel pessimismo, perché se esiste, a-vrà la sua funzione.

Il cambiamento, che spesso spa-venta, non è trasformarsi in quelloche non siamo e che non potremomai essere. Il cambiamento è trasfor-marsi nella versione migliore di quel-lo che già siamo, al fine di ridurre ladiscrepanza tra l’opinione che abbia-mo di noi stessi e quello che deside-

riamo essere. Il cambiamento è ag-giungere alla lista delle abilità, moda-lità e qualità che già ci appartengo-no, nuove abilità, modalità e qualità,per ampliare le possibilità di scelta.Ogni qualità è la sintesi di un elencodi azioni: se vogliamo acquisire unaqualità, possiamo includere nel ven-taglio dei nostri comportamenti quel-le azioni che definiscono la qualitàstessa.

I pessimisti possono apprenderenuove modalità cognitive e non sitratta di ripetersi quotidianamentedichiarazioni positive, del genere “so-no calmo, sono sicuro, sono deciso,non posso avere paura, voglio lotta-re, niente mi può condizionare”, per-ché i ricercatori hanno verificato chehanno effetto positivo, ma solo a bre-ve termine, e con questo si intendepoche ore.

È quello che pensiamo che fa la dif-ferenza. E se in noi regna un sensod’impotenza, il pensiero che ne con-segue di certo non alimenterà la pos-sibilità di essere felice.

Il senso d’impotenza è la radice delpessimismo. È quello stato psicolo-gico che immobilizza, che non fa agi-re perché si regge sulla convinzioneche qualunque azione non portereb-be alla soluzione di un problema, nonmodificherebbe la realtà.

Nasciamo completamente dipen-denti e quindi impotenti. Poi cre-scendo impariamo che possiamo in-tervenire per migliorare gli eventi.Per esempio, impariamo molto pre-sto che col pianto intenzionale au-menta la possibilità di ottenere l’at-tenzione e la vicinanza della mam-ma, o di chi si prende cura di noi. Ma,se nel corso della vita capita ripe-tutamente di vivere esperienze nel-le quali qualsiasi azione non incideràsull’evento, si apprenderà la futilitàdi agire. E si rimarrà inattivi anchelà dove si potrebbe intervenire permodificare la realtà. Sopravvalutarela nostra impotenza frantuma il talen-to e le capacità individuali.

Non esiste l’albero della felicità, néun mercato dove acquistarla. Sareb-be bello se fosse così. Ma il sarebbebello fa parte del mondo ideale cheper definizione non può essere rea-le. Ognuno dovrà incamminarsi nel-la ricerca, per trovarla dentro se stes-

so. Questa è un’ovvietà, ma noi psi-cologi sguazziamo nelle ovvietà, sia-mo abituati a ricevere questo tipo dicritica! (è ovvio premere un pulsan-te per illuminare una stanza, ma seci trovassimo su un’isola deserta sa-rebbe fondamentale sapere cosa de-termini questa ovvietà).

La formula è: se non ti apprezzi,non puoi essere felice; se non credinella possibilità del cambiamento,non puoi essere felice. Ma non solo.

La realtà che viviamo è il risultatodelle nostre percezioni. Siamo noiche attribuiamo significato a ciò cheviviamo. Se confondo una corda arro-tolata per terra con un serpente, lareazione che avrò sarà sicuramentediversa. Allo stesso modo, la pauradi essere vittima degli altri spesso ciimpone di scegliere azioni che produ-cono effetti negativi in noi, negli al-tri e nella relazione.

Ognuno di noi fa uno sforzo costan-te per essere felice. E se intervistas-simo tutte le persone di questo pia-neta non credo che riusciremmo atrovarne una che intenzionalmentesi muova per essere infelice. Siamoottimisti per natura, qualcuno più dialtri, ma di certo più di quanto siagiustificato dalla realtà. Se subiamoun danno grave o siamo vittime diuna disgrazia, in cuor nostro tendia-mo a dire “poteva capitarmi di peg-gio”. È questo che gli scampati riferi-scono. Probabilmente perché abbia-mo bisogno di ridurre al minimo lasensazione di sentirci vittima. Ca-diamo in depressione, più o menotemporanea, quando improvvisamen-te, di fronte ad una disgrazia, sentia-mo perdere lo scudo protettivo cheillusoriamente ci garantiva l’invulne-rabilità. La perdita di questo control-lo attacca l’autostima, che se è soli-da persisterà, magari vacillando unpo’. Ma se non lo è, sarà la depressio-ne a gestire la nostra vita.

Taylor ci ricorda che è stato dimo-strato che la depressione è caratte-rizzata, non da un pessimismo irrea-listico, ma da un realismo deprimen-te e dall’assenza di illusioni positive.Sarà l’ambiente circostante a fornir-ci informazioni, con segnali chiari, incaso di esagerate credenze illusoriesu noi stessi e sulle nostre percezio-ni.

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“Non è vero che le illusioni sono o-stacolo alla via dell’adattamento, del-la salute e del successo”. (…)

A parità di competenze, la convin-zione di poter riuscire costituisce unvantaggio significativo per l’effettivoraggiungimento del successo” (Ca-prara, G.V. “Le ragioni del succes-so” pag. 123).

I ricercatori hanno riscontrato cheun moderato irrealismo, come risul-tato di distorsioni positive, convinzio-ni parzialmente illusorie sulle pro-prie capacità e sulle prospettive futu-re, aumentano la probabilità di rag-giungere con successo gli obiettiviprefissati.

Per rivedere il nostro modo di per-cepire non conviene aspettare di vi-vere situazioni difficili. Se si osservacon attenzione, la vita è un bacino disuggerimenti: l’atleta si allena costan-temente in tranquillità, per esserepronto ad esprime il frutto della suafatica durante la gara. Non il contra-rio. Anche il marinaio ci insegna l’im-portanza di equipaggiarsi prima diuscire in mare in previsione di unatempesta, anche quando il cielo èlimpido e sereno. Ma l’osservazioneanche attenta non è sufficiente. Ari-stotele ci ricorda che “c’è bisogno diassorbire in sé la conoscenza e perquesto ci vuole tempo”.

BibliografiaArgyle M. “Psicologia della felicità” Raf-

faello Cortina EditoreTaylor S. “Illusioni” Giunti EditoreSeligman M. “Imparare l’ottimismo” Giun-

ti Editore

Sabato 5 maggio 2007S.H. Foulkes.Introduzione

alla Psicoterapia GruppoanaliticaA cura di Pietro Milazzo, Psicologoclinico, Psicoterapeuta, Formatore.Svolge attività privata di consulen-za e psicoterapia. Docente e trainerdi gruppo presso l’Istituto Terapeu-tico Romano (ITER) al Gemelli diRoma, è attualmente Vicepresidentedell’Associazione Italiana di Psico-terapia di Gruppo di Roma.

GLI ALBORI DELLAPSICOTERAPIA DI GRUPPO

La psicoterapia di gruppo, come am-bito di intervento e di studio affondale sue radici in esperienze temporal-mente quasi parallele alla nascita del-la psicoanalisi, tanto da potere recla-mare, formalmente, uno statuto indi-pendente dal punto di vista teorico.

La sua nascita potrebbe essere col-locata nel 1905, con il “metodo delleclassi” del dottor Pratt, appena 5 an-ni dopo la pubblicazione de “l’inter-pretazione dei sogni” di Freud e mol-to prima che quest’ultimo pubblichi la-vori in cui si occupa di psicologia intermini di piccole o grandi collettività.Nonostante ciò, lo sviluppo delle duediscipline si intreccerà tanto profonda-mente da rendere impossibile anchesolo pensare di concederne una tratta-zione separata.

Molte sono le figure che hanno par-tecipato alla creazione di uno sche-ma teorico globale di riferimento perla pratica gruppoanalitica, e non po-tendo citarli tutti procederemo pergrandi linee, approfondendo il pen-siero di quelli che hanno avuto unaparticolare importanza nella sua evo-luzione.

Il dott. Pratt, che aveva in cura diver-si soggetti affetti da tubercolosi, fu tal-mente impressionato dall’influenza chegli atteggiamenti mentali potevano ave-re sulla rapidità e sulla qualità della gua-rigione nelle malattie somatiche, dapensare di manipolarli in qualche mo-do per migliorare le capacità di gua-rigione dei malati. In particolare, que-ste esperienze, si rivolgevano alla curadi malati cronici con disturbi funzionalie in qualche modo resistenti al tratta-mento medico. Ben sapendo che gliatteggiamenti sono largamente influen-zati dall’ambiente sociale, egli scelse di

sfruttare appunto dei fattori sociali permodificarli e quindi il gruppo. Quelladel dott. Pratt, fu un’iniziativa unica nelsuo genere, perché il ricorso a un me-todo di gruppo non aveva precedentinella storia della medicina. Nei primicasi i gruppi erano molto numerosi, 100o più soggetti, e il processo terapeuti-co consisteva per lo più nello spiegarela natura della malattia e nel mettere imalati al corrente del significato e del-la portata delle misure terapeutiche aloro rivolte, con lo scopo di conformar-li meglio al trattamento. Come vedre-mo però, con l’identificazione dei fat-tori dinamici intervenienti, i gruppi di-vennero via via più piccoli e acquisiro-no una connotazione sempre più sepa-rata da quella della medicina tradizio-nale.

Nel 1936, appariva sulla scena il dott.Louis Wender e con lui il primo notevo-le progresso rispetto a Pratt, ossia adun radicale cambiamento di prospet-tiva: da medica a psicoterapeutica.

La clinica in cui Pratt lavorava era,infatti, una clinica psichiatrica e i suoipazienti erano psicotici, così che ilmetodo di gruppo si trasformava final-mente, da coadiuvante alla cura me-dica, a cura a tutti gli effetti, con pa-zienti specifici e specifica tecnica. Nel1929, lavorando con pazienti Border-line, Wender, si accorse che questi ri-spondevano meglio ad un trattamen-to di gruppo in ospedale che alle con-dizioni esterne, seguendo un tratta-mento individuale. Egli decise così diutilizzare il gruppo, dapprima, più chealtro, discutendo temi psicoanaliticicon i suoi pazienti, in seguito strut-turando un vero e proprio metodo dianalisi psicoanalitica all’interno delgruppo.

La tecnica era ancora molto sempli-ce, ricalcando per sommi capi il meto-do psicoanalitico, con l’aggiunta di al-cune concezioni mutuate da “Psicolo-gia delle Masse e Analisi dell’Io”, co-me contagio, identificazione, ispirazio-ne e suggestione, ma anticipava conbuona approssimazione la tecnica chearriverà ai giorni nostri con il nome di“Psicoterapia in Gruppo”.

Nel lavoro di Wender erano quattroi principali momenti dinamici implica-ti nella Terapia:

• Intellettualizzazione;• Transfert da malato a malato;• Catarsi;

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• Interazione di gruppo.Un lavoro molto simile fu portato a-

vanti da Paul Schilder, delle cui idee ciè rimasto molto poco a causa della suaprematura scomparsa. Utilizzando co-me Wender il metodo della discussio-ne libera su temi psicoanalitici, egli de-scrisse nel lavoro di gruppo un pro-cesso per il quale la “diminuzionedella sensazione di isolamento” ri-guardo al problema discusso, ne favori-va l’approfondimento e le possibilità disoluzione. La tecnica si rivolgeva a pa-zienti adulti, i gruppi erano compostida 4 o 5 pazienti per favorire tra le al-tre cose l’uso più elastico di libere asso-ciazioni e la discussione libera dei pro-blemi. Si discutevano in particolare iseguenti atteggiamenti fondamen-tali:

• Bisogno di amare ed essere amati.• Tendenza a soddisfare i propri bi-

sogni.• Tendenza a mantenere l’integrità

del proprio corpo. • Tendenza a mangiare, bere, acqui-

sire, conservare.• Tendenza ad espellere ciò che non

è utilizzabile o ciò che minaccia.• Tendenza a manipolare e distrug-

gere oggetti ed esseri umani percomprenderne la struttura.

La sua tecnica si rivolgeva a psicone-vrotici e sembrava avere abbastanzasuccesso.

Nel corso della seconda guerra mon-diale, a causa dei frequentissimi distur-bi mentali che comparivano nelle trup-pe alleate al fronte, obbligò due illustripsicoanalisti, Bion e Foulks a ricerca-re mezzi idonei a curare persone conpochi psicoterapeuti. Gli ambiti di in-tervento della gruppoanalisi vengonoabitualmente differenziati secondo tremodalità principali:1. analisi in Gruppo, metodo rotatorio

dove a rotazione ogni persona assu-me il ruolo di protagonista;

2. analisi di Gruppo, metodo collettivoin cui ogni verbalizzazione è espres-sione del gruppo;

3. analisi mediante il gruppo, metodorelazionale in cui l’attenzione non èposta solo sull’individuo o solo sulgruppo, ma sulle loro interazioni,sulle dinamiche relazionali inconsceche vengono mobilitate nel gruppo.

ANALISI IN GRUPPO Tra il 1930 e il 1940, prima della se-

conda guerra mondiale, si ebbe un ra-pido incremento della psicoterapia digruppo ad opera di L. Wendera, P.Schilder, A. Wolf e S. Slavson. Questiautori avvalendosi della competenzapsicoanalitica, applicarono al gruppo iprincipi della psicoanalisi così comeavviene nel setting individuale, inter-pretando i disturbi psichici mediantelapsus, libere associazioni, sogni, resi-stenze dei singoli individui, pur favo-rendo lo scambio tra i vari componen-ti del gruppo.

Alexander Wolf fu il primo a sistema-tizzare, anche con l’aiuto di Schwartz,la tecnica che prende il nome di “Psi-coterapia in Gruppo”.

Questa tecnica ricalca quasi comple-tamente quella della psicoanalisi indivi-duale, basandosi sull’analisi del singo-lo all’interno del gruppo e le principa-li differenze riguardano la peculiaritàdelle dinamiche che si manifestano ingruppo.

Interpretazione ed Elaborazione,conservano entrambe le caratteristi-che del metodo psicoanalitico classi-co. Le differenze principali interessa-no invece la peculiare manifestazionedel Transfert considerato da Wolf diminore intensità nel setting gruppale,a causa soprattutto della minore pro-fondità della regressione del paziente.Nonostante le pretese di ortodossia,anche questo metodo, come tutti quel-li di gruppo, presenta delle innovazio-ni teoriche e tecniche. Sono da citare:• La libera associazione sparsa, con-

sistente nel chiedere al paziente diverbalizzare tutto ciò che gli viene inmente sugli altri membri del gruppopresi come singoli che, alla possibi-lità di usare in gruppo le libere asso-ciazioni, aggiunge quella di valida-zione sociale per il soggetto in anali-si.

• L’analisi della resistenza che vie-ne molto agevolata dalle reazioni e-motive degli altri membri del grup-po alle resistenze individuali e quin-di spesso più facilmente contestua-lizzata e affrontata.

• L’azione personale cosciente ov-vero la comprensione del ruolo di a-nalista da parte del membro che ab-bia attraversato con successo l’ana-lisi degli investimenti transferali econtrotransferali su, e da parte di,tutti gli altri. Slavson si propose all’interno del fi-

lone della “Psicoterapia in Gruppo”, ri-manendo il più possibile fedele alla teo-ria psicoanalitica classica, ma creandouna serie di tecniche differenti, per-ché adeguate alle diverse età e patolo-gie. Slavson considerava che ci fosse-ro cinque “elementi comuni ad ognipsicoterapia seria”:

1. Transfert;2. Catarsi;3. Presa di coscienza e rinforzo del-

l’Io;4. Esame di realtà;5. Sublimazione;La presenza di tutti, o alcuni, di que-

sti elementi dinamici nelle differentiscuole di psicoterapia spiega, secondolui, i successi ottenuti con mezzi appa-rentemente diversi e anche antagonisti.“In tutte le migliori tecniche si tro-vano almeno i primi tre elementi”.

ANALISI DI GRUPPO Parallelamente allo sviluppo in Ame-

rica della terapia “in Gruppo”, pren-devano forma in Inghilterra due altreimportanti tecniche di Gruppoanalisi.Si tratta dell’analisi “di Gruppo”, tec-nica derivata dal lavoro di W. Bion edell’analisi “mediante il Gruppo”, do-vuta alle teorizzazioni di H. S. Foulkes.L’analisi di gruppo si riferisce, princi-palmente, al pensiero di Bion già cita-to precedentemente. In tali gruppichiamati “gruppi bioniani”, il terapeu-ta focalizza la propria attenzione sul-l’interpretazione del transfert in ter-mini gruppali. Secondo Bion, infatti,ogni gruppo, ma specificatamentequello che si riunisce per lavorare suse stesso, sviluppa tipici meccanismidi difesa collettivi. Essi si fondano suun’assimilazione psichica che passadall’uno all’altro dei componenti delgruppo, al punto da formare uno sfon-do indifferenziato chiamato sistemaprotomentale. A tale livello, si annida-no “fantasmi” angoscianti che il grup-po, specie all’inizio dei lavori non rie-sce a tollerare. Si verificano reazionidi fuga e negazione che, per il fatto diessere partecipate da più soggetti, as-sumono evidenza clinica. Si verificanoquindi tre processi difensivi:1. Il primo è quello della dipendenza:

il gruppo, o parte di esso, vive l’e-sperienza di una completa impoten-za, di fronte ad un pericolo sovra-stante ed immediato. In questo fran-gente, ognuno si sente privo di ini-ziativa e di possibilità di cavarsela

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da solo. Per contrapposto giganteg-gia la figura del leader del gruppocome la sola provvista di potere e dicapacità risolutrice di ogni difficoltà.

2. Il secondo processo difensivo, si haquando il gruppo ricerca la salvezzasu se stesso, indipendentemente dalsuo leader, e guarda a chi nel pro-prio ambito può essere in grado diguidarlo a combattere il nemico. Ladifesa è preparata in una tensionedi panico chiamata per questo at-tacco e fuga. Ciò che si cerca è qual-cuno che prenda in mano il coman-do, esprimendo il massimo dell’ag-gressività di cui il gruppo è deposi-tario e canalizzandola verso un soloobiettivo di vittoria.

3. Il terzo processo, sviluppato dalgruppo, è quello dell’accoppiamen-to. Esso si potrebbe definire, in pri-ma istanza, come una ricerca di al-leanze: ogni membro è convinto chesolo dalla sua unione con l’altro puòvenire la salvezza; tale unione si pre-senta come un fatto creativo quasicome una generazione di caratteresessuale.Dipendenza, attacco-fuga, e accop-

piamento sono, quindi, gli aspetti chepuò assumere un gruppo la cui dina-mica profonda sia stata messa allo sco-perto; in tale gruppo, l’espressione col-lettiva non si può scindere da quella ti-pica dell’uno o dell’altro dei suoi com-ponenti. Ognuno di questi livelli saràpresente nel gruppo in maniera diffe-renziata, a seconda delle caratteristi-che dominanti dei vari soggetti, manessuno di essi sarà di fatto assente. Icomponenti del gruppo si aspettanoda questo delle gratificazioni che ven-gono normalmente frustrate. Tale fru-strazione viene superata attraverso l’e-laborazione di ciò che Bion definisce“cultura di gruppo” ossia mediante l’or-ganizzazione da parte del gruppo deipropri obiettivi, delle proprie scelte,così da fronteggiare gli ostacoli che sipresentano al soddisfacimento dellenecessità individuali. L’intervento delterapeuta è sostanzialmente simile aquello dell’analisi individuale, anche sesono rispettate le condizioni dell’anali-si di gruppo per le dimensioni di set-ting: numero partecipanti, regolaritàdelle sedute, disposizione dei posti.

ANALISI MEDIANTE IL GRUPPOL’analisi mediante il gruppo, ha co-

me rappresentante principale Foulkes,

il quale tende a superare la dicotomiaindividuo-gruppo e si concentra sulprocesso comunicativo in cui assumo-no rilevanza tanto l’individuo che ilgruppo nel suo insieme. “Come si svol-ge l’analisi di gruppo? - scrive Foul-kes nel 1964 - Un piccolo gruppo dipazienti ritenuti adatti ad una tera-pia in comune, in numero preferi-bilmente di sette o otto, si riunisceregolarmente, di norma una voltala settimana, in ora e luogo presta-biliti. La stanza deve essere acco-gliente e sufficientemente spaziosa:è meglio che le sedie siano sposta-bili in modo da lasciare ai parteci-panti una certa libertà. Nella sceltadei posti e la possibilità di vedere eparlare con gli altri. Di regola imembri siedono in cerchio, la dura-ta di ciascuna seduta è di un’ora emezzo; il gruppo può essere forma-to da soli uomini o sole donne oppu-re da membri dei due sessi. Secon-do Foulkes il progetto terapeutico diuna gruppoanalisi è simile ad altre psi-coterapie quanto alla catarsi, al tran-fert, ai processi di identificazione econtroidentificazione, di differenziazio-ne e di proiezione, al ritorno alla co-scienza del rimosso mediante l’inter-pretazione analitica. Tuttavia, nella si-tuazione di gruppo, agiscono alcuni fat-tori terapeutici che si possono ritene-re specifici per un gruppo: “il pazienteintrodotto in una situazione socia-le nuova si sente più a suo agio, sisente compreso e mostra maggioredisponibilità. Egli è al pari di tuttigli altri membri del gruppo e ciò fa-vorisce la sua integrazione socialea scapito dello stato di isolamento.Le istanze di personalità: es, io, su-per-io, sono rappresentate nel grup-po attraverso scissioni, spostamen-ti, capri espiatori e favoritismi. Ilgruppo diviene simbolo di oggettiinterni (madri-padri-fratelli) o dioggetti esterni come il mondo e glialtri in generale. Il paziente si ren-de conto che altre persone soffronodi problemi, ansie, impulsi, similiai suoi. Questa consapevolezza glidà sollievo e favorisce l’attenuazio-ne dei suoi sensi di colpa”. (Foulkes1964).

Il materiale rimosso del paziente me-diante il fenomeno della reazione spe-culare, viene riconosciuto più facil-mente in altri, e ciò permette una di-scussione ed un analisi che, anche seriferite ad altri membri del gruppo, so-

no rivolte contemporaneamente a sestesso. La polarizzazione consente aivari membri del gruppo la rappresen-tazione di un fenomeno unico, attra-verso più persone; ciò significa che o-gni soggetto rappresenta un partico-lare aspetto di un problema ambiva-lente, sembrando così estremamenteeterogeneo, contrastante, estremizza-to. Tali reazioni si basano prevalente-mente sul fenomeno della risonanzae cioè sulla comunicazione inconsciatra due e più membri del gruppo. Unpartecipante può vivere intense emo-zioni, comportamenti e verbalizzazio-ne istintive nei confronti di un’altrapersona come se avesse percepito a li-vello inconscio le sue problematiche,anche se non le ha espresse verbal-mente.

L’azione di facilitazione e di stimoloviene esercitata dal gruppo, dai singo-li, poiché vengono elaborati dalle mol-teplici associazioni-interazioni, eviden-ziandone il significato in una forma diattivazione dell’inconscio collettivo.

Il gruppo costituisce una rete, unamatrice formata dalla riproduzione direlazioni simili al vissuto originario diognuno di essi. A questa matrice faran-no riferimento i vari membri del grup-po e di essa dovrà tenere conto lopsicoterapeuta.

Foulkes distingue tre tipi di matrici: a) la matrice personale: espressione

delle problematiche inconsce delpaziente;

b) la matrice dinamica: elemento fon-damentale e specifico della dinami-ca di gruppo che comprende i feno-meni descritti quali la reazione spe-culare, la polarizzazione, la risonan-za;

c) la matrice di base: che costituiscela comunanza dei codici di comuni-cazione relativi alla lingua, all’età, al-la condivisione di principi e normesociali e culturali. La matrice patologica personale si

modificherà solo mediante la comuni-cazione e la partecipazione emotiva diogni membro trasformando il gruppoiniziale in gruppo terapeutico. Il pas-saggio dal sintomo al conflitto avverrànella continua interazione con gli altrie il paziente agirà i suoi conflitti fonda-mentali modificandone gli aspetti com-portamentali, le risposte, le azioni, co-stituendo come dice lo stesso Foulkesun’educazione dell’io mediante l’azio-ne.

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Sabato 19 maggio 2007Walden Due:

attualità di un’utopiaDott. Francesco Grisorio, Psicologo -psicoterapeuta libero rofessionista

“Un atlante che non includa Uto-pia non merita neppure uno sguar-do, poiché lascia fuori l’unico pae-se che l’umanità ha sempre avutoquale suo approdo, e quando l’uma-nità vi approda, spinge oltre losguardo e, scorgendo un paese anco-ra migliore, alza la vela. La vecchialanda, la vecchia isola abbandona-ta ha perduto il suo nome di uto-pia”. (O. Wilde)

Rivoluzionari, riformisti, conserva-tori e reazionari hanno coltivato conalterne fortune il mito dell’Utopia.

Sarebbe piacevole ed intrigante leg-gere “Walden Due” come una filigra-na che possiamo vedere solo in contro-luce negli scritti di Skinner perché que-sta utopia ha animato la sfida princi-pale di Skinner: realizzare la libertànei, tra e con i condizionamenti.

Skinner ha intuito che coltivare eperseguire l’utopia di eliminare tutti icondizionamenti non avrebbe prodot-to la LIBERTÀ o una maggiore libertàper l’uomo ma avrebbe fatto evapora-re la libertà stessa e sarebbe dilagatala tirannia, come spesso la storia haraccontato con le sue atrocità ispiratee giustificate dall’utopia della libertàsenza condizionamenti.

Nel complesso l’utopia svolge trefunzioni fondamentali: suggerirci cheil reale non combacia con tutto il con-tingente attuale; stimolarci a sondaretutte le ipotesi concrete; incoraggiar-ci a tentare di trasformare il mondo at-tuale senza rifugiarci nel passato o fug-gire nel futuro. È vero che l’utopia è e-spansione intellettuale, pensiero per ilfuturo, programmazione, in una paro-la è immagine del futuro.

Paradossalmente l’utopia vuole in-segnarci a scoprire e valorizzare la ric-chezza del presente nonostante che leutopie spesso si siano rifugiate altro-ve: nel passato, nel futuro o in luoghiimmaginari.

È la realtà presente che dà originealle utopie, che rompono i confini perlasciare libera la realtà di svilupparsiin un nuovo ordine, mentre la trascen-denza dell’ideologia utopica ha unafunzione conservatrice e mistificatri-ce.

La tensione utopica è fatta di speran-za accompagnata dalla volontà, espres-sione dell’intelligenza creativa e proget-tuale, per evitare una chiusura totaleo una apertura completa al futuro, am-bedue pericolose per la stabilità socia-le.

L’utopia nel suo complesso è defini-ta dai valori, dalle aspirazioni e dagliinteressi, dai contenuti dei modelli, dal-la natura dei mezzi e dalle strategie in-dicate ed è comprensibile dentro il suocontesto teorico-pratico di riferimen-to. L’utopia mantiene sempre una fun-zione dinamica, mentre molti modelliutopici hanno un carattere di asfissian-te conformismo.

C’è una tensione continua che muo-ve l’uomo verso la Libertà contro il Po-tere, alla ricerca dell’Uguaglianza e Di-versità contro la Disuguaglianza ed U-niformità e Livellamento, mirando co-sì alla scelta della libertà per ottenerela massima garanzia della libertà discelta.

L’utopia è carica di una forza autono-ma di realizzazione perché è tutta nel-la natura dell’uomo, mentre contempo-raneamente è portatrice di una gran-de debolezza perché è tutta fuori del-la cultura dominante.

La visita (troppo pedagogica!) a“Walden Due” ci permette di scopri-re la persona con le proprie emozioni,le azioni ed il contesto. I tre principa-li componenti della realizzazione del-l’utopia: scegliere la libertà per otte-nere la garanzia massima di esse-re sempre liberi di scegliere.

“Walden Due” - città socializzata erazionale - riparte come alternativa ra-dicalmente diversa dal Walden - espe-rienza individualistica e misticheggian-te - di Henry David Thoreau (1854).

“Walden Due” chiama a raccolta tut-te le scienze interessate alla ricostru-zione della società umana per il rag-giungimento di una felicità intesa co-me realizzazione delle capacità com-presse o deviate nelle società attuali.

L’anticompetitività è una regola cheanima continuamente la complessivapianificazione della comunità e la stes-sa ingegneria culturale che determinae controlla le condizioni in cui si espli-ca la condotta umana.

La struttura socioeconomica di “Wal-den Due” è concepita in modo da evita-re che sorgano leaders e prenda vigo-re la spinta verso un arricchimentopersonale.

Il ruolo della famiglia viene ad esse-

re ridimensionato per far diminuire lafunzione di conservazione, egoismo ecompetitività verso gli altri.

Paradossalmente l’educazione, nonl’istruzione, svolge un ruolo forte e de-terminante nel forgiare la personalitàdel membro della comunità.

Formazione all’autocontrollo accom-pagnata dalla regola educativa dellagratificazione e dell’antipunizione.

Condizionamento e libertà. Paradosso apparente: per liberarsi

bisogna decondizionarsi con un nuovoanche se diverso condizionamento.

“È tutto quello che occorre. Date lo-ro un’opportunità, è tutto. Tempo libe-ro. Opportunità. Apprezzamento... Nonposso credere che possiate realmenteottenere spontaneità e libertà tramiteun sistema di controllo tirannico. Do-ve entra in gioco l’iniziativa? Quand’èche il bambino comincia a pensare ase stesso come ad un agente libero?Cos’è la libertà in un simile progetto?Il problema della libertà sorge quan-do c’è una restrizione o fisica o psi-cologica. Ma la restrizione è solouna forma di controllo, e la man-canza di restrizione non è libertà.Non è il controllo che manca quan-do uno si sente ‘libero’, ma il bia-simevole controllo dovuto alla for-za. Quando gli uomini lottano perla libertà, lottano contro le prigionie la polizia, o la loro minaccia, con-tro l’oppressione.

Non lottano mai contro forze chefanno sì che essi vogliano agire nelmodo in cui agiscono.

Non è la pianificazione in sé cheusurpa la libertà, ma quella piani-ficazione che si serve della forza”.(B.F. Skinner)

Bibliografia:B. F. Skinner, Walden due, La Nuova Ita-

lia, Firenze 1981B. F. Skinner, Oltre la libertà e la dignità,

Mondadori, Milano, 1973B. F. Skinner, La pianificazione del fu-

turo, Bulzoni, Roma, 1977

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Venerdì 25 maggio 2007L’importanza del vertice gruppale

nel pensiero W. R. BionDott. Allessandro Americo, Psicoana-lista didatta IIPG, psicoanalista SPI

In un lavoro del 1987 dal titolo: Per-ché non possiamo dirci bioniani, Par-thenope Bion espone, con lucidità, imotivi per cui il pensiero di W. R. Bion:“… non poteva, per sua stessa natura‘fare scuola’ - non possiamo dirci bio-niani, perché esserlo significa esserein primo luogo noi stessi, essere men-talmente liberi nei nostri viaggi di sco-perta - sempre, però, sulla base di unaferrea disciplina psicoanalitica persona-le, perché libertà ed anarchia non so-no sinonimi”.

Ella ci ricorda anche che Bion ave-va in mente gli psicoanalisti come prin-cipali destinatari dei suoi libri al pun-to di porre una esasperata attenzionenella scelta terminologica che si svilup-pò sempre più “…col passare degli an-ni sino a diventare il pressante bisognodi scrivere di psicoanalisi in modo ta-le da rendere presente l’oggetto del di-scorso analitico in tutta la sua pregnan-za”.

Il risultato è quello di uno stile mute-vole, ricco, difficile e sicuramente nonsintetizzabile al prezzo di snaturarneil senso più profondo.

Bion, sin dall’inizio della sua operasi è espresso con decisione sull’impor-tanza della pubblicizzazione dell’espe-rienza psicoanalitica. Al tempo stesso,egli era consapevole della difficoltà edei rischi impliciti nel tentativo di tra-smettere, a diversi livelli di astrazione,elementi che hanno le loro origini nelcampo della relazione analitica.

In Attenzione e interpretazione, te-sto del 1970, vengono sollevati dubbisulla possibilità di utilizzare la scrittu-ra come mezzo adeguato alla trasmis-sione del pensiero psicoanalitico: “Nonso se questo libro possa essere com-preso da non analisti, nonostante io ab-bia fatto del mio meglio per renderloaccessibile. Chiunque viva la praticapsicoanalitica può cogliere il significa-to del mio discorso; egli diversamenteda chi si limita a leggere o ad ascolta-re discorsi sulla psicoanalisi, ha la pos-sibilità di sperimentare direttamenteciò che io qui posso soltanto rappre-sentare per mezzo di parole e di formu-le verbali ideate per un fine diverso da

quello cui le applico e sviluppatesi sul-la base dell’esperienza sensuale (sen-suos). (…) Viene troppo spesso di-menticato che il linguaggio, il cui im-piego costituisce un fatto così centra-le, è stato elaborato non meno al finedi nascondere il pensiero per mezzodella dissimulazione e della bugia chea quello di chiarirlo o di comunicarlo”.

Bion è del resto insoddisfatto di unapura trasmissione diretta della psicoa-nalisi, quella che passa attraverso l’ana-lisi personale e le supervisioni, che laesporrebbe all’accusa di essere unapratica “esoterica” non pubblicizzabi-le altrimenti.

I metodi proposti per ovviare a talirischi sono essenzialmente due: l’esten-sione del metodo psicoalitico alla situa-zione di gruppo che se: “fatta senzamutilare il metodo analitico nel suo a-spetto fondamentale, inizierebbe il pas-saggio da una forma privata ad una for-ma pubblica di comunicazione” e l’affi-namento dell’uso della lingua corren-te attraverso una sua vivificazione. Illinguaggio tende ad usurarsi diventan-do distante da quel Linguaggio dell’ef-fettività che: “deriva non solo dall’espe-rienza sensuale, ma anche da impulsie disposizioni assai distanti da quelliche vengono comunemente associaticon la discussione scientifica”.

Come è noto le strade che Bion hatentato di percorrere sono quella dell’a-strazione matematica, un generoso fal-limento che trova il culmine in uno deisuoi testi più geniali, Trasformazioni equella dell’uso del linguaggio poeticoed onirico, che esiterà in quella sortadi testamento spirituale che è la trilo-gia Memoria del futuro. L’ammirazio-ne che Freud aveva per i poeti e per laloro capacità di “vedere” al di là del vi-sibile e di anticipare in modo profeti-co gli eventi umani è propria anche diBion che sottolinea quanto: “Le espres-sioni della poesia e della religione han-no reso possibile un certo grado di‘pubblicazione’ in quanto hanno assun-to forme durevoli ed estese. Per espri-merci in altri termini, il potere atti-vante della proposizione è stato este-so nel tempo e nello spazio”. Questeconsiderazioni portano però ad unasorta di cul de sac: gli analisti devonodiventare degli artisti per poter tra-smettere il proprio pensiero? Comesappiamo nessun tipo di training po-trà però produrre un artista. Bion cirassicura ricordando di nuovo l’impor-tanza del gruppo nell’ovviare ai limiti

dell’individuo: “Secondo me l’approc-cio psicoanalitico ai gruppi offre un a-nalogo vantaggio; è possibile sperareche la capacità dell’artista, anche se u-tile all’analista, non gli sia però essen-zialmente necessaria - anzi, essa puòcostituire uno svantaggio nella misurain cui consente di produrre, come Pla-tone temeva, un sostituto della verità”.

La ricerca di un linguaggio capace diapprossimarsi all’esperienza e l’atten-zione posta ai rischi propri della men-zogna e della razionalizzazione ha por-tato Bion a cercare il più possibile di vi-talizzare il proprio pensiero rinuncian-do a termini saturi o usurati, cercandopiuttosto di coniare termini-concettoprovvisori ed utilizzare incognite ver-bali da riempire di significato solo at-traverso lo sviluppo dell’esperienza.

Vien da sé che un autore così preoc-cupato delle semplificazioni fuorvian-ti sia stato spesso accusato di oscuritàe talvolta di misticismo.

Lo stesso Bion ne era consapevole.Ascoltiamo il dialogo tra Psicoanalistae Robin:

P.A: “Questi elementi primitivi delpensiero sono difficili da rappresenta-re con formulazioni verbali, perché dob-biamo affidarci ad un linguaggio che èstato elaborato successivamente per al-tri scopi. Quando ho cercato di impie-gare termini privi di significato - alfa ebeta sono esempi tipici -, ho trovato che‘i concetti senza intuizione che sonovuoti e le intuizioni senza concetti chesono cieche’ diventavano rapidamentedei buchi neri in cui si era infiltrata laturbolenza, e concetti vuoti inondati ditumultuante significato”.

Robin: “Davvero… ci rimprovera senon afferriamo quello di cui sta parlan-do?”

P.A: “No. Non sono sorpreso della vo-stra protesta; come attenuante ho tro-vato che, se dico ciò che intendo, nonè un buon linguaggio corrente; se scri-vo in un buon linguaggio corrente, leparole non dicono quello che intendo”.

Il successo incontrato dal pensierobioniano ha portato ad una sua divul-gazione e a dei tentativi di traduzionedei termini incognita ma ancora piùspesso all’acquisizione acritica dei suoiconcetti più affascinanti con il rischiodi utilizzarli come aforismi o, nel mi-gliore dei casi, esergo ai lavori scienti-fici.

In modo perspicuo, Anna Baruzzi,

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nella prefazione al secondo volume diMemoria del futuro, ci avverte del ri-schio che i preziosi concetti bionianisiano banalizzati e tradotti in slogans,sorta di spot televisivi buoni per tuttele stagioni.

A mio avviso i tentativi di sintetizza-re o spiegare il pensiero di Bion attra-verso una apparente semplificazionedelle questioni oggetto della sua rifles-sione o una traduzione dei termini ori-ginali propri del suo linguaggio nonpossono che essere deludenti e inap-propriati ma soprattutto antitetici aquella psicoanalisi che egli ha amato etentato di trasmetterci. È una psicoa-nalisi caratterizzata dal rispetto totaleper l’esperienza ineffabile dell’incon-tro tra due o più menti e quindi dallaricerca costante di un metodo e di unlinguaggio adeguati alla pubblicizzazio-ne di tale esperienza.

Per Bion la lettura di uno scritto psi-coanalitico ha soprattutto valore inquanto generatrice di un’esperienzaemotiva: “Le implicazioni del saggio diFreud sui due principi dell’accaderepsichico sono state ampiamente rico-nosciute in psicoanalisi: il che non si-gnifica che ogni psicoanalista ne hapreso atto. Il ricordo offre in questi ca-si, almeno in apparenza, la possibilitàdi avviare un certo evolversi nella men-te di chi legge. I commenti che ho fat-to sulle sedute analitiche possono ap-plicarsi, secondo me, tali e quali all’e-sperienza di chi legge un articolo dipsicoanalisi. Il saggio di Freud va let-to e poi “dimenticato”. Solo così è pos-sibile produrre le condizioni in cui,quando lo si tornerà a leggere, esso po-trà stimolare l’evolversi di un progres-so. Il tempo a nostra disposizione cipermette di agire così solo con gli scrit-ti migliori ma sono soltanto questi chesuscitano un tipo difensivo di lettura(dell’argomento di cui tratta l’artico-lo) come surrogato dell’esperienza del-lo scritto (in un mio libro ho chiamatoquesta sostituzione trasformazione ditipo K per distinguerla dalla trasforma-zione di tipo O). (…) Questa opinio-ne, secondo la quale gli articoli di psi-coanalisi vanno considerati alla stre-gua di esperienze che interferisconosullo sviluppo del lettore non sarà con-divisa da tutti gli analisti. Non voglionegare che rientri anche una sceltaconsapevole, determinata dagli orien-tamenti di chi legge: voglio solo direche vi sono dei libri, come alcune ope-re d’arte, che suscitano potenti sensa-

zioni e che stimolano molto fortemen-te la crescita di un individuo. Con Fre-ud, come ben sappiamo, era così”.

Aggiungerei che lo stesso vale conforza per i testi di Bion che rappresen-tano delle vere immersioni in un cam-po di esperienza vivo e capace di tra-sformazioni.

Note tratte dall’introduzione all’edizione italia-na del Dizionario dell’opera di W.R. Bion di Ra-fael Lopez Corvo, Borla, 2007.

Sabato 23 giugno 2007Nancy McWilliams,

“La diagnosi psicoanalitica”,Astrolabio, Roma 1999

(edizione originale:“Psychoanalytic Diagnosis”.

New York & London:The Guilford Press, 1994)

Andrea Castiello d’Antonio, Psicolo-go e psicoterapeuta

Il testo di Nancy McWilliams - che in-segna Teoria psicoanalitica e terapiaalla Graduate School of Applied andProfessional Psychology del New Jer-sey - è uno dei pochi lavori che si oc-cupano in modo completo, esplicito edampio della psicodiagnosi secondo laprospettiva psicoanalitica. La stessaautrice, introducendo il suo lavoro, faalcuni cenni sintetici ai volumi che, dalsuo punto di vista, possono affiancar-si al suo e tra quelli indicati, soltanto“The Psychiatric Interview in Cli-nical Practice”, di MacKinnon & Mi-chels (pubblicato nel 1971) è postosullo stesso piano - da notare che è ap-parsa recentemente l’edizione aggior-nata e riveduta di questo importantevolume sul quale hanno studiato inte-re generazioni di clinici nordamerica-ni. Altre opere sono da McWilliams giu-dicate datate, come il Trattato di psi-coanalisi delle nevrosi e delle psico-si di Fenichel (1945; trad. it.: Roma:Astrolabio, 1951), oppure di interes-se, però non centrate sull’oggetto spe-cifico, come il famoso lavoro di Sulli-van Il colloquio psichiatrico (1954;trad. it.: Milano: Feltrinelli, 1967) - mavedi la IV edizione del classico “Psy-chodynamic Psychiatry in ClinicalPractice”, di Glen O. Gabbard (Wa-shington D.C. & London: AmericanPsychiatric Publishing, 2005).

Il tema pone subito alcuni quesiti dibase: è lecita e/o opportuna la diagno-si psicologica in psicoanalisi - e, perestensione, nell’ambito delle psicote-rapie analitiche o dinamiche? Esisteuna conoscenza psicoanalitica suffi-cientemente sistematizzata da poterfare da sfondo al processo diagnosti-co? Quali sono le implicazioni positivee negative sul futuro della cura che unadiagnosi iniziale può innescare? Intro-ducendo il tema di questo seminariodel 23 giugno 2007 si deve innanzi tut-to porre la diagnosi nell’ambito delleoperazioni di assessment psicologicoimplicite e/o esplicite effettuate dai cli-nici, con l’obiettivo di ottenere un qua-

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dro della struttura e delle funzioni del-la personalità del soggetto. Tale è il fi-ne, e non potrebbe essere altrimenti,della diagnosi psicoanalitica: la valuta-zione della struttura della personalità.Molti e differenziati sono i paradigmiteorici che possono essere utilizzati al-lo scopo: la diagnosi analitica può es-sere posta sulla base dei differenti livel-li evolutivi di sviluppo-struttura dellapersonalità - tematica alla quale McWil-liams contribuisce con idee originali -e in considerazione del livello - ‘primiti-vo’ o ‘secondario’ - dei meccanismi didifesa dell’Io. In un’ottica più specifica,l’opera di McWilliams affronta i diver-si tipi di organizzazione del carat-tere, considerandone 7 aspetti:

• Le pulsioni, l’affettività ed il tem-peramento.

• Le operazioni di adattamento e didifesa dell’Io.

• I modelli di relazione oggettuale,interiorizzati.

• L’esperienza di sé e le modalità disostegno dell’auto-stima.

• Le conseguenze transferali e con-tro-transferali delle rappresenta-zioni di sé e degli altri.

• Le implicazioni per il trattamento.• Alcune considerazioni sulla dia-

gnosi differenziale.In tale prospettiva il concetto di dia-

gnosi psicoanalitica si declina come unvero e proprio tentativo di conosceree comprendere il paziente nel suo sta-to attuale e in vista del suo divenire al-l’interno del processo terapeutico.

Lo scopo del volume è triplice: mi-gliorare la pratica clinica dello psico-terapeuta-analista, evitare di entrarein modo massiccio nelle problematichee nelle dispute teoriche tra scuole, edutilizzare la terminologia psicoanaliti-ca tradizionale, ad esempio, prenden-do in esame nove paradigmatiche tipo-logie di organizzazione della personali-tà, enfatizzando i limiti del cambiamen-to umano ed i fattori situazionali. Inparticolare, nella prima parte del testosi chiarisce cosa vuole essere la diagno-si psicoanalitica di personalità in rife-rimento alle quattro, grandi imposta-zioni teorico-metodologiche che si so-no storicamente presentate: la classi-ca Teoria delle Pulsioni, la PsicologiaPsicoanalitica dell’Io, la Teoria delleRelazioni Oggettuali e la Psicologia delSé. In tale quadro sono presentatispunti interessanti circa la valutazio-ne di diverse aree della personalità,

dall’assetto difensivo agli affetti, dalleidentificazioni all’autostima. La lettu-ra e la discussione del testo di McWil-liams sollecitano la curiosità e l’interes-se di approfondire l’indagine sui dueconcetti portanti di diagnosi e di per-sonalità: la diagnosi, per come essa siè articolata nell’ambito delle concettua-lizzazione e delle esperienze in psicolo-gia clinica, psichiatria (il testo di McWilliams fa stretto riferimento al DSM)e psicoanalisi; la personalità, con tut-ti i suoi riferimenti storici ai concettidi temperamento e al concetto di ca-rattere.

Alla fine del testo è proposta una“Scheda del colloquio diagnostico”(v. Appendice).

È da segnalare un ulteriore lavoro diMcWilliams che integra e completa ciòche viene espresso ne “La diagnosi psi-coanalitica”, che tratta in modo specifi-co della formulazione dinamica del ca-so clinico (Nancy McWilliams, Il casoclinico. Dal colloquio alla diagnosi.Raffaello Cortina, Milano 2002. (Edi-zione originale: Psychoanalytic CaseFormulation. McWilliams, by arran-gement with the Guilford Press Inc.and Mark Peterson, 1999), dedicandoun intero capitolo al colloquio di psi-codiagnosi. Questo ultimo è propostoin modo vivido e trasparente, esponen-do l’Autrice le proprie modalità ope-rative di conduzione dei colloqui ini-ziali, anche attraverso esempi concre-ti. La dimensione della soggettività delconsultante e la relazione con il con-sultato divengono immediatamente idue termini di riferimento di base in-torno ai quali ruotano le considerazio-ni tecniche espresse nel testo, in ciòche è definito l’arte della clinica (uni-ta ad un atteggiamento compassio-nevole e caritatevole del terapeuta,precisazione sulla quale non tutti sa-ranno completamente in accordo). Lacapacità del terapeuta di comprende-re l’altro è vista come preminente ri-spetto alle conoscente teoriche e tecni-che possedute. Dalla stretta di manoiniziale (meglio: dalla risposta alla chia-mata telefonica del paziente), fino al-la definizione degli onorari, tutto è de-scritto concretamente e sinteticamen-te, con semplicità e chiarezza, fino almomento della formulazione della dia-gnosi: qui è esposto il punto di vistadell’Autrice fermamente basata sull’i-dea che sia “una questione di rispettodi base il fatto che il terapeuta condi-vida la diagnosi con il paziente, spie-

gandone le basi e chiarendo in che mo-do il trattamento raccomandato sia ap-propriato al caso” (p. 37). Talvolta ilprocesso diagnostico chiama il pazientein un vero e proprio riconoscersi in de-finizioni standard, ad esempio quellerelative alle categorie del DSM IV - co-sa che offre fin troppo concretamentel’idea di cosa possa voler dire condivi-dere la diagnosi.

In ultimo, parlando di diagnosi psi-coanalitica, non si può oggi prescin-dere dal consultare le oltre 800 pagi-ne del Manuale apparso sul finire del2006 negli U.S.A.: PDM Task Force,Psychodynamic Diagnostic Manual- PDM. (Silver Spring: Alliance of Psy-choanalytic Organizations, 2006), frut-to del lavoro congiunto di cinque orga-nizzazioni psicoanalitiche riunite a for-mare la PDM Task Force: l’Interna-tional Psychoanalytic Association,l’American Psychoanalytic Associa-tion, l’American Psychological Asso-ciation con la sua Division 39 - Psy-choanalysis, l’American Academyof Psychoanalysis and DynamicPsychiatry e il National MembershipCommittee on Psychoanalysis in Cli-nical Social Work. I trentasei mem-bri della PDM Task Force sono statiguidati da Stanley I. Greenspan, il qua-le, non casualmente, è stato assistitoproprio da Nancy McWilliams. Que-st’opera è da considerarsi il contrap-punto psicoanalitico ai Diagnosticand Statistical Manual of Mental Di-sorders - DSM, elaborati dall’Ameri-can Psychiatric Association, giuntiormai alla quarta edizione rivista (APA,2000) e di cui si attende la quinta edi-zione per l’anno 2011.

BibliografiaCastiello d’Antonio A. (2002), Nancy

McWilliams, Il caso clinico. Dal collo-quio alla diagnosi. Raffaello Cortinaeditore, Milano 2002. Recensione. Psi-coterapia e Scienze Umane, AnnoXXXVI, N. 4, 118-120.

Castiello d’Antonio A. (2005), Diagnosi dipersonalità e rispecchiamento delsoggetto. Giornale Italiano di Psicolo-gia, 4: 861-869.

Castiello d’Antonio A. (2006) Roger A.MacKinnon, Robert Michels, Peter J.Buckley, The Psychiatric Interviewin Clinical Practice. Second Edition.Washington & London: The AmericanPsychiatric Publishing, 2006. Recen-sione. Psicoterapia e Scienze Uma-ne, Anno XL, N. 4, 830-831.

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Appendice

Scheda del Colloquio Diagnostico Tratto da: Nancy McWilliams 1994

(Tr. it.: 1999, p. 374-376)

DATI DEMOGRAFICINome, età, sesso, retroterra etnico e razziale, orienta-

mento religioso, condizione relazionale, condizione geni-toriali, livello di istruzione, condizione lavorativa, prece-dente esperienza di psicoterapia, fonte dell’invio, infor-matori diversi dal cliente.

PROBLEMI ATTUALI E LORO INSORGENZA

Principali disagi e idee del paziente circa la loro origi-ne; storia di questi problemi; farmaci assunti; perché laterapia viene chiesta proprio ora.

STORIA PERSONALEDove è nato, dove è cresciuto, numero di figli nella fa-

miglia e collocazione del cliente tra di essi, importantitrasferimenti. Genitori e fratelli: ottenere dati oggettivi(se sono vivi, oppure causa e momento della morte) e da-ti soggettivi (personalità, natura della relazione con il pa-ziente). Problemi psicologici in famiglia (psicopatologiediagnosticate e altre condizioni, per esempio alcolismo).

Prima infanzia e fanciullezzaSe la nascita del paziente era voluta; condizioni della

famiglia dopo la sua nascita, qualunque cosa di insolitonelle tappe evolutive fondamentali; qualunque problemaprecoce (alimentazione, controllo degli intestini, linguag-gio, locomozione, enuresi, terrori notturni, sonnambuli-smo, mordersi le unghie, ecc), ricordi più precoci, sto-rielle o battute familiari sul cliente.

LatenzaProblemi di separazione, problemi sociali, problemi sco-

lastici, problemi comportamentali, crudeltà verso gli ani-mali; malattie, perdite, trasferimenti o tensioni familiariin questo periodo; violenza sessuale o fisica.

AdolescenzaEtà della pubertà, qualunque problema fisico con la ma-

turazione sessuale, preparazione alla sessualità da partedella famiglia, prime esperienze sessuali, preferenza ses-suale, fantasie masturbatorie; esperienza scolastica, dalpunto di vista sociale e dello studio; modelli autodistrut-tivi (disturbi dell’alimentazione, uso di droghe, giudiziosessuale dubbio, comportamenti eccessivamente rischiosi,impulsi suicidi, modelli antisociali; malattie, perdite, tra-sferimenti o tensioni familiari in questo periodo.

Età adultaStoria professionale; storia relazionale; adeguatezza del-

l’attuale relazione sentimentale; rapporto con i bambini,passatempi, attitudini, piaceri, aree di orgoglio e soddi-sfazione.

PRESENTAZIONE ATTUALE (STATO MENTALE)

Aspetto generale, stato affettivo, umore, qualità del lin-guaggio, adeguatezza dell’esame di realtà, valutazionedell’intelligenza, adeguatezza della memoria, valutazionedell’attendibilità delle informazioni. Effettuare ulterioriindagini in ognuna delle aree che suggeriscono problemi;per esempio, se l’umore è depresso, valutare le possibili-tà di suicidio.

Sogni: Vengono ricordati? Ce n’è qualcuno ricorrente?Esempio di un sogno recente.

Uso di sostanze, prescritte o altro, incluso l’alcol.

ARGOMENTI CONCLUSIVIChiedere al paziente se gli viene in mente qualche infor-

mazione importante su cui non gli è stata fatta nessunadomanda.

Chiedere al paziente se si trova a proprio agio con voie se ha qualcosa da chiedere.

DEDUZIONIPrincipali temi ricorrenti; aree di fissazione e conflitto;

difese preferite; individuazione di fantasie, desideri e pau-re inconsci; identificazioni centrali, controidentificazio-ni, perdite non elaborate; coesione del Sé e autostima.

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Sabato 3 marzo 2007Etica

della Relazione TerapeuticaAntonino Urso e DomenicassuntaCorsettiAntonino Urso (Pont. UniversitàSan Tommaso, Roma; CoordinatoreCommissione Deontologica OrdineRegionale degli Psicologi del Lazio)

Esistono molti tentativi di definire lapsicoterapia; noi siamo d’accordo conGrasso, Lombardo e Pinkus (1988)quando sostengono che tali definizio-ni presentano alcuni denominatori co-muni: la psicoterapia utilizza mezzi psi-cologici (verbali e non verbali) ed e-sclude invece strumenti fisici, chirur-gici o farmacologici; il fine della psico-terapia è quello di trattare problemi dinatura psichica, anche se a volte que-sti si esprimono con sintomi somatici;la psicoterapia consiste nello stabilireuna relazione in piena libertà tra duepersone (lo psicoterapeuta e il pazien-te); la psicoterapia è una relazione pro-fessionale: esistono cioè un professio-nista preparato a tal uopo (lo psicote-rapeuta) ed un aspetto contrattualedel rapporto (che non è né occasiona-le, come tra due conoscenti, né gra-tuito, come tra amici e parenti). An-che se ai primordi di questa disciplina(v. ad es. lo stesso Freud dei primi an-ni) si credeva che il successo di unapsicoterapia dipendesse dalle inter-pretazioni dello psicoterapeuta e dagliinsight del paziente, è ormai noto che:

• Interpretazioni diverse conduconospesso allo stesso risultato.

• L’insight non è sufficiente al fine diottenere una modifica profonda epermanente della condotta del sog-getto e la conseguente maturazio-ne della personalità.

Producono invece una maggiore in-

cidenza sul processo psicoterapico:• L’atteggiamento dello psicotera-

peuta, fortemente condizionatodalla personalità e dalle esperien-ze di precedenti interazioni (ivicompresa quella psicoterapica e/odi supervisione) più che dalla for-mazione teorica e tecnica ricevu-ta; infatti è proprio l’atteggiamen-to dello psicoterapeuta che per-mette al paziente di sperimentareuna nuova tipologia di interazione(psicoterapica) che, nel pieno ri-spetto del suo modo di essere, eglipuò successivamente generalizza-re ad altri tipi di rapporto inter-personale.

• Il tipo di apprendimento (emotivo,comportamentale e cognitivo) chederiva al paziente dalle nuove pre-se di coscienza e di abilità acquisi-te.

Ciò ha portato molti Autori ad affer-mare che l’efficacia della psicoterapiadipenda più dalla personalità dello psi-coterapeuta che dalla psicoterapia uti-lizzata. Il successo di un trattamentopsicoterapico sarebbe legato alla pos-sibilità che viene offerta al paziente diinteragire con una persona aperta, in-teressata, tollerante, coinvolta, com-prensiva, rispettosa, onesta. L’instau-rarsi di un rapporto ematico all’iniziodell’incontro psicoterapico è risultatoinfatti essere tra i migliori predittoridel successo di una psicoterapia: il te-rapeuta esperto sa che le sue miglioririsposte e i suoi più validi interventinon sono quelli che derivano da un at-teggiamento essenzialmente tecnico,ma quelli che risultano dall’integrazio-ne di tutte le sue potenzialità umanemesse pienamente, seriamente e ge-nuinamente al servizio del proprio pa-ziente.

L’utilizzo clinico del rapporto tera-peutico all’interno di una psicoterapia

si può schematizzare in due fasi (Ur-so, 1991):

1. La prima, che si ha già nel primostadio di ogni intervento, si carat-terizza come fiducia da parte delpaziente nel proprio terapeuta:nella sua voglia di aiutarlo e nellabontà degli strumenti che utiliz-zerà a tale scopo. La mancanza diquesta fiducia impedisce di fattouna psicoterapia ed è quindi unapremessa necessaria per passaredalla fase dell’assessment all’in-tervento vero e proprio.

2. Nella seconda fase (detta di tran-sfert) il lavoro riguarderà princi-palmente gli schemi di attacca-mento che sono, come amplia-mente dimostrato da Harlow, difondamentale importanza nellosviluppo dell’uomo, in quanto rap-presentano un bisogno primarioancor più basilare del cibo. La teo-ria dell’attaccamento, sviluppatada Bowlby, sostiene l’esistenza diuna predisposizione innata, che sisviluppa dal secondo semestre divita extrauterina, a creare legamidi attaccamento con altre perso-ne che si prendono cura di noi. Èquesta predisposizione innata cheguida la definizione degli schemicognitivi ed emotivi dell’attacca-mento e del repertorio comporta-mentale utilizzato per mantenereil contatto con le figure significa-tive. Come dimostrano alcuni stu-di longitudinali gli schemi prima-ri di attaccamento (il modo in cuici amiamo, amiamo gli altri e da-gli altri ci sentiamo amati) si svi-luppano e si modificano in fun-zione delle esperienze della vitama, una volta apprese nell’infan-zia, le loro caratteristiche basilaritendono a persistere immutate ne-gli anni; questo non solo perché il

ETHICSGLI ABSTRACTSDEI SEMINARI DEL SABATODEDICATI AI PUNTI CHIAVE

DELLA DEONTOLOGIAPROFESSIONALE

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comportamento genitoriale (chene è la causa principale) è stabilenel tempo, ma anche perché glischemi stessi hanno la tendenzaad autoperpetuarsi; così che il pa-ziente tenderà a riprodurre anchenella relazione con lo psicotera-peuta gli stessi schemi di attacca-mento utilizzati con le figure af-fettive di riferimento. A proposi-to della psicoterapia cognitiva, so-stengono Cionini e Mattei (1992)che “Nell’ambito specifico del set-ting, una volta che la relazione pa-ziente-terapeuta sia stata defini-ta all’interno delle categorie ac-cettazione, comprensione, impar-zialità, interesse, affidabilità, si-curezza, congruenza emotiva, lapossibilità di leggere ed analizza-re lo stile di attaccamento messoin atto dal paziente è facilitata siadalla disponibilità dell’hic et nuncdi tutti i dati necessari, che dallecaratteristiche di minor rischio -di situazione protetta - implicitein una relazione che è finalizzataalla crescita di uno dei suoi duemembri”.

In questa fase il lavoro dello psico-terapeuta cognitivo e dello psicoanali-sta acquisiscono chiaramente gli stes-si contorni, in quanto nella relazioneterapeutica avremo riprodotti uno peruno gli stadi dell’innamoramento (Ur-so, 1991):

1. “Un primo stadio in cui l’amanteidealizzerà l’amato (in questo ca-so il terapeuta) immaginando cheegli è una specie di eroe (cavalie-re senza macchia e senza paurasempre pronto ad aiutarlo) senzalimiti (che assomiglia così tantoallo stadio in cui il bambino idea-lizza i propri genitori) e che por-ta il paziente (come il bambino) asentirsi, viceversa, veramente in-significante al confronto con l’e-roe. In questa fase le difficoltà e,quindi l’impegno del paziente e lecapacità di aiutarlo del terapeuta,si presentano al momento di ac-cettare (riconoscere con se stes-si) e quindi comunicare (al tera-pista) il proprio sentimento d’a-more, dove è si spesso presenteanche un desiderio sessuale (co-me giustamente afferma la psi-coanalisi) ma ciò che è premi-nente è il desiderio di essere coc-

colato e protetto da tutto ciò chedal mondo esterno può far soffri-re (il paziente, come già il bambi-no col genitore, tende ad usare ilterapista alternativamente comedispensatore di rinforzi, come por-to sicuro dalle tempeste che si ve-rificano al di là del setting tera-peutico, nonché come consiglierea cui ricorrere davanti ad ogni de-cisione fonte di tensione). In que-sto stadio è importante che il te-rapista accetti pienamente (nonsolo razionalmente ma anche e so-prattutto affettivamente) il pa-ziente”. In questo stadio non man-cheranno le difficoltà nel percor-so psicoterapico; infatti “Un pa-ziente che ha avuto nella sua sto-ria evolutiva un legame con i pro-pri genitori caratterizzato da unbasso livello di cure o addiritturadi rifiuto, tenderà probabilmentea manifestare, anche nel setting,una difficoltà a fidarsi del tera-peuta, a lasciarsi andare com-pletamente in un investimento af-fettivo che pure, rispetto ad altriindicatori, risulta di fatto struttu-rato in maniera molto evidente.Un paziente con legami genitoria-li caratterizzati da iperprotezione,controllo del comportamentoesplorativo, intrusione ecc… puòtendere a definire un legame diestrema dipendenza dal terapeu-ta o viceversa a porsi in modo con-flittuale costruendo come costrit-tiva qualsiasi sua richiesta o pro-posta. Comunque, in qualsiasi mo-do si sia strutturato il rapporto nelsetting, è importante che egli rie-sca ad analizzarlo, a comprenderecome le sue caratteristiche pos-sano essere strettamente correla-te con quelle dei propri schemiprimari di attaccamento e a ri-conoscere le somiglianze fra le a-spettative costruita nei confrontidel comportamento dei genitori equelle attuali rispetto al terapista”(Cionini e Mattei, 1992). Come giàsostenuto (Urso, 1991): “… sen-tirsi accettato (affettivamente) co-me persona e nello stesso tempostimato (razionalmente) per leproprie qualità da parte dell’ama-to permetterà al paziente (chenon l’ha già fatto perché non si èsentito così nel rapporto con le fi-gure significative del suo passatoaffettivo) di imparare a sua volta

a stimarsi ed amarsi (stadio cosìdetto narcisistico): L’accettazionedell’altro (il terapista) e di se stes-so tipica di questo stadio è peròsolo di tipo idealistico (riguardasolo i pregi, siamo quindi davantiad un eroe fantastico e non in pre-senza di un individuo reale); il pa-ziente rispetta, per il momento,pienamente i propri desideri, manon fa altrettanto con la realtà edi suoi limiti”.

2. Nel secondo stadio (Urso, 1991):“… l’individuo (come già il bam-bino con i suoi genitori e gli altrisuoi eroi) si rende conto che il te-rapista non è l’eroe che egli im-maginava e che ha dei limiti postidalla realtà e dalla sua individua-lità, il primo limite del suo eroecon cui il paziente dovrà confron-tarsi è dato dal fatto che questinon sarà sempre a sua disposi-zione (suo uso e consumo) ma a-vrà altri interessi, impegni, e per-sone a cui è legato affettivamen-te… a cui dedicare tempo; cosìche i desideri del paziente non po-tranno sempre essere soddisfatti(così come il genitore non può enon vuole soddisfare tutti i desi-deri del bambino)… Se il terapi-sta è un buon terapista e non haquindi velleità e desideri propri dirivalsa sul mondo (complesso di-vino) non reciterà la parte del su-per eroe e mostrerà i propri limi-ti, a cominciare da quello di nonpossedere nessuna bacchetta ma-gica per i mali del paziente. Que-sto permetterà al paziente di co-gliere questi limiti ed odiare (siproprio odiare) oltre che amare ilproprio terapista (eroe) che hadeluso le sue aspettative: è la fa-se delle critiche e delle aggressioni(più o meno velate) da parte delpaziente al suo terapista (comegià il bambino con i suoi genitori).È questa una fase molto difficilesia per il paziente (se è difficile e-sprimere i propri sentimenti posi-tivi lo è ancora di più esprimerequelli negativi, specie se nel pas-sato si è stati duramente punitiper questo o più semplicementese questi sentimenti non sono sta-ti accettati dall’altro) che per il te-rapista (che deve essere veramen-te una persona sana psicologica-mente e con un’ottima auto-ac-

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cettazione affettiva per non viversimale e con sentimenti di rifiutodell’altro frustrante gli attacchi acui verrà continuamente sottopo-sto). …Il paziente può quindi e-sprimere se stesso (i propri desi-deri, le proprie qualità ma, so-prattutto, i propri limiti) senten-dosi, nel momento in cui lo fa,realmente accettato; non ci deveessere cioè in questo momento ilrifiuto affettivo (che invece è sta-to così spesso vissuto dal bambi-no nel rapporto con le figure signi-ficative per lui quando lo hannoscoperto con dei limiti) e nellostesso tempo deve essere presen-te nel terapista la capacità di fareda specchio al paziente per per-mettergli di valutare i propri limi-ti (disarmonie), per poter… ac-cettarli come proprie limitazioninella capacità di realizzazione deipropri desideri e trovare quindistrade alternative per realizzaregli stessi …Il paziente impareràcosì ad amare il terapista (comemodello) e, quindi se stesso con ipropri pregi ed i propri limiti (co-me persone reali insomma). Ma inquesto stadio farà ancora una di-stinzione tra realtà terapeutica erealtà esterna. Ci sarà quindi bi-sogno di generalizzare quanto ap-preso nel setting terapeutico aglialtri rapporti affettivi (passati epresenti) del paziente”.

3. In questo terzo stadio “Alla lucedelle nuove conoscenze acquisitesu di sé attraverso la relazione psi-coterapeutica, il paziente può es-sere quindi incoraggiato e facili-tato nella ricerca e riconsidera-zione dei propri ricordi d’infanzia,nella ricostruzione delle esperien-ze affettive con le figure di attac-camento e nella revisione dei pro-cessi attraverso i quali si è anda-ta strutturando nel tempo la co-struzione della sua immagine disé. In questo lavoro, come affer-ma Bowlby (1988), la relazionedeve rappresentare per il pazien-te una “base sicura”, una piat-taforma, da cui poter partire peresplorare e rivivere le esperienzepiù dolorose della propria vita edi sentimenti - talvolta mai confes-sati anche a se stesso - che le han-no accompagnate.” (Cionini eMattei, 1992). Come altrove soste-

nuto (Urso, 1991): “…bisogneràgradualmente rivivere, con gli oc-chi nuovi dati dall’esperienza deltransfert, i rapporti affettivi signi-ficativi del paziente. Bisogneràcioè dare un significato più realealle tante frustrazioni affettive vis-sute dal paziente (da bambini sivive come fortemente frustranteanche il semplice interesse mo-strato da un genitore per un fra-tello o un cugino), il quale impa-rerà a vederle e viverle nella lorogiusta dimensione (a non idealiz-zarle cioè, né generalizzandole, nédrammatizzandole). Qui le diffi-coltà saranno: per il terapista ac-cettare di non essere più per il pa-ziente né l’unica persona affetti-vamente significativa, né quellapiù importante (sarà quindi ne-cessario che egli non abbia deside-ri di questo tipo da soddisfare, chenon si senta cioè insoddisfatto af-fettivamente) e, per il paziente, ilcoraggio di uscire dal porto sicu-ro del setting terapeutico per af-frontare le incognite del mare a-perto (la vita fuori)

BibliografiaCionini L. e Mattei D.M. “Relazione tera-

peutica e cambiamento in psicote-rapia cognitiva”, Terapia del Com-portamento, 1992, 35/36, Bulzoni, Ro-ma, 55-64.

Grasso M., Lombardo G.P. e Pinkus L. Psi-cologia clinica, La Nuova Italia Scien-tifica, 1988.

Urso A. “La psicoterapia cognitivo-com-portamentale oggi”, Terapia del Com-portamento, 1991, 32, Bulzoni, Roma,7-36.

Sabato 31 marzo 2007Il prontuario

e le tariffe professionaliAntonino Urso, Pont. Università SanTommaso, Roma; CoordinatoreCommissione Deontologica OrdineRegionale degli Psicologi del LazioAvvocato Luca Lentini, Consulentelegale Ordine Psicologi del Lazio

I moderni “dottori dell’anima” (psi-chiatri e psicologi-psicoterapeuti) so-no spesso criticati e accusati di non fa-re molto di più di ciò che farebbe unbuon amico o un buon parroco, pron-ti anch’essi ad ascoltare ed a aiutare.Ma un amico o un sacerdote non si fan-no pagare per ascoltare e consigliare.Eppure l’A.P.A. (l’associazione che riu-nisce gli psicologi statunitensi), nel pri-mo significativo documento dedicatoall’etica professionale dello psicologo,-l’Ethical Standard of Psychologist(1953)- afferma già nella prefazioneche: “Lo psicologo crede nella dignitàe nel valore di ogni essere umano e sidedica ad accrescere la comprensioneche l’uomo ha di se stesso e degli altri.Mentre persegue questo scopo, egliprotegge il benessere di chiunque ri-chieda i suoi servizi o di chiunque, uo-mo o animale, sia oggetto dei suoi stu-di”. Tale affermazione sembra confer-mare che lo psicologo rientri nella ca-tegoria di quei professionisti che svol-gono un’attività ad alto contenuto so-ciale, che presuppone quindi in chi lasvolge una ferma volontà di aiutare l’al-tro: una specie di missione. Ma, comesostiene Spinsanti (1987), “La volontàdi aiutare non è una condizione suffi-ciente per giustificare l’intervento psi-coterapeutico. La morale individualea cui si aderisce può prevedere l’obbli-go di assistere, con le proprie risorsemateriali e spirituali, il prossimo in ne-cessità. Ma lo spirito missionario, an-che se espressione autentica di un es-sere umano che ha superato il narcisi-smo solipsistico per aprirsi alla dimen-sione della reciprocità, non conferiscedi per sé un diritto a entrare nello spa-zio psicologico dell’altro. La professio-ne psicoterapeutica non si può fonda-re sulla missionarietà”.

Del resto, come afferma Szazs, 1965:“L’analista non ha prodotti da vendere;non può curare una malattia, prescri-vere una medicina per alleviare l’ansiadel paziente o fornire una giustifica-zione medica per un impegno del pa-

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ziente. Egli può unicamente contrat-tare la vendita di tempo e di servizi...Il paziente, da parte sua, ha bisogno edesidera un aiuto psicoterapeutico; incambio offre al terapista denaro e unaresponsabile collaborazione nella tera-pia... Su questa base essi possono ne-goziare e contrattare tra loro in manie-ra significativa”. Paziente e psicotera-peuta negoziano il rapporto psicotera-pico che andranno a stabilire già dalloro primo incontro: ne contrattano itermini, stabiliscono ciò di cui hannobisogno e ciò che scambievolmente sioffrono; ma, sostiene ancora Szazs,1965, “Il negoziato è impossibile o ten-de a fallire ogniqualvolta c’è un ecces-sivo squilibrio tra la posizione di con-trattazione del paziente e quella del te-rapista”. Da tutto ciò deriva l’opinionegeneralmente condivisa tra gli psico-terapeuti che il fatto che i clienti paghi-no per il loro trattamento influisca po-sitivamente sul risultato della terapia.Sostengono infatti Kendall e Norton-Ford (1982) che: “Teorie terapeutichediverse affrontano il problema in mo-do alquanto diverso, ma la prospetti-va psicoanalitica costituisce un esem-pio chiarificatore. Da questo punto divista, il fatto che il cliente deve paga-re è considerato un impegno simbolicoalla terapia”. Szazs,1965, aggiunge:“Trovo quindi difficile immaginare co-me la terapia contrattuale possa fun-zionare senza che il paziente paghi l’o-norario all’analista, in quanto è il pa-gare l’analista che più di ogni altra co-sa mette il paziente in condizioni di es-sere parte negoziante responsabile inun contratto con lui…”.

Oggi la situazione torna di grande at-tualità; infatti da una parte assistiamoalla rinnovata attenzione della classepolitica nazionale ed internazionale cir-ca la necessità di offrire servizi psico-logici alla portata di tutti, ivi compre-si i soggetti appartenenti alle classi so-ciali economicamente più disagiate;dall’altra, quanti ne hanno la possibi-lità fanno ancor più ricorso a forme diassistenza assicurativa privata, spo-stando il rapporto economico all’ester-no della relazione terapeutica, sono in-fatti terze persone (le assicurazioni) aregolare l’onorario dello psicologo-psi-coterapeuta. Nel recente passato ciòha condotto:

• alla nascita di Servizi di Psicologianon solo presso i Servizi Sanitari(ASL ed Ospedali) ma anche inluoghi più capillari, quali ad es. le

scuole dell’obbligo; • all’avvio, ormai da diversi anni,

presso alcune università pubbliche,sia statali (come “La Sapienza” diRoma) che pontificie (quali la “SanTommaso” e la “Salesiana” di Ro-ma) di servizi di consulenza psico-logica gratuiti o semi-gratuiti pergli studenti del loro ateneo e di re-cente tali sevizi si stanno estenden-do agli studenti universitari in ge-nerale;

• all’attenzione di alcuni enti localiche hanno approvato specifiche di-sposizioni, ad esempio la legge isti-tutiva del Servizio di PsicologiaScolastica presso le scuole pubbli-che, approvata dalla Regione A-bruzzo, che prevede dei servizi dipsicologia gratuiti per tutti gli uten-ti della scuola;

• al riconoscimento dell’importanzadell’assistenza psicologica e psico-terapica da parte della stessa clas-se politica italiana che, già da mol-ti anni, ha previsto il rimborso tota-le delle spese per le prestazioni psi-cologiche e psicoterapiche soste-nute dai propri membri (Onorevo-li e Senatori) e dai loro familiari,indipendentemente da dove e dachi si siano rivolti per fruire dellapsicoterapia; si sta altresì tentan-do, pur se con notevoli difficoltà,di approvare leggi ad hoc che per-mettano di estendere tali beneficia tutti i cittadini o almeno a quellimeno abbienti - ad es. la propostadi legge presentata dal On. LuigiCancrini sulla psicoterapia in con-venzione;

• all’approvazione, da parte dell’at-tuale legislatura (si veda il Decre-to Legge Bersani sulle liberalizza-zioni) di articoli di legge che aboli-scono i minimi professionali per-mettendo di fatto l’apertura di ser-vizi che offrano prestazioni total-mente o parzialmente gratuite agliutenti.

Questo processo di offerta di servi-zi di psicologia a tutti i cittadini ha in-contrato non pochi ostacoli lungo il suopercorso; ci riferiamo soprattutto alleresistenze mostrate da:

• taluni politici, spaventati dai costieconomici preventivati per l’allar-gamento a tutti i cittadini del be-neficio del quale essi stessi godo-no da molti anni; e da alcune lobbysanitarie, spaventate dalla possibi-lità che una parte della spesa sani-

taria pubblica venga dirottata dal-la spesa farmaceutica e/o ospeda-liera verso la psicoterapia pubbli-ca o in convenzione. Tali resisten-ze si esprimono sotto forma di cri-tiche sull’efficacia della psicotera-pia stessa e/o come dubbi sul fat-to che il costo di una psicoterapiarisulterebbe molto superiore ad unequivalente trattamento medicopsichiatrico (farmaci e/o ricovero).

• Molti tra gli operatori della psiche,dubbiosi circa la partecipazione at-tiva alla psicoterapia da parte del-l’utente che non si sia previamen-te impegnato ad un congruo paga-mento di tale prestazione (si vedail dibattito precedentemente ac-cennato).

Risulta fin troppo facile risponderead entrambe queste obiezioni:1. Oggi abbiamo una copiosa letteratu-

ra scientifica circa la superiorità qua-litativa degli interventi psicofarma-cologici e psicoterapici - (specie secombinati tra loro) - rispetto al pla-cebo e, cosa ben più significativa, leinchieste sull’indice di soddisfazio-ne dei fruitori dei servizi di psichia-tria e psicoterapia offrono risultatimolto significativi. Un’indagine con-dotta in tal senso da Altroconsumonel 2003, su di un considerevole nu-mero di cittadini europei (14.000,dei quali 2.550 italiani) che a causadi problemi psichici aveva usufruitodi interventi per almeno sei mesi, hamostrato come il grado di soddisfa-zione personale rispetto alla sceltadi curarsi fosse molto alto: il 75% diquanti avevano scelto uno psichia-tra e il 74% di quanti avevano scel-to uno psicologo hanno infatti di-chiarato di aver constatato un mi-glioramento della loro salute psichi-ca; il 44% di quanti erano stati cu-rati dallo psichiatra e il 67% di quel-li curati da uno psicologo hanno ri-sposto di godere di più della vita gra-zie alla terapia; ancora, il 50% diquelli curati dallo psichiatra e il 73%di quanti curati dallo psicologo ve-devano accresciuta la fiducia in sestessi a seguito della terapia; il 67%dei curati dallo psichiatra e il 76%dei curati dallo psicologo hanno di-chiarato di aver imparato a conosce-re meglio se stessi durante il tratta-mento; infine, il 49% di quanti in cu-ra psichiatrica e il 63% di quelli incura psicologica hanno affermato di

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aver migliorato le loro relazioni colprossimo dopo la terapia. L’efficaciadei trattamenti psichiatrici e psicolo-gici è oggi ampiamente dimostrata:anche se sono sicuramente più nu-merosi gli studi effettuati sull’effi-cacia dei farmaci (studi per lo più fi-nanziati dalle case farmaceutiche),negli ultimi anni si è osservato ungrande fiorire di gruppi di ricercache, grazie ai finanziamenti pubbli-ci e/o agli studi svolti all’interno digrandi Università, hanno testato l’ef-ficacia della psicoterapia e in parti-colar modo della psicoanalisi e del-la psicoterapia cognitivo-comporta-mentale. Nel 1991 infatti 40 gruppidi ricercatori (29 nordamericani e11 europei) lavoravano per studia-re l’efficacia o meno della psicotera-pia (P. Migone, 1999); e già nel 1980Smith, Glass e Miller confrontando475 studi sull’efficacia della psico-terapia con la metodologia statisti-ca della meta-analisi conclusero chela psicoterapia produce un miglio-ramento nell’85% dei casi trattati ri-spetto al gruppo di controllo. Esisteinoltre un numero sempre più con-siderevole di studi sul confronto tral’efficacia di più psicoterapie e del-la sinergia tra psicoterapia e psico-farmaci; a proposito del confrontod’efficacia tra trattamento psicotera-pico e trattamento psicofarmacolo-gico meritano particolare attenzio-ne le ricerche svolte da Wexler eNelson (1993) sulla depressionemaggiore e da J Malgraf e S. Sch-neider (1995) sugli attacchi di pani-co. Il primo studio valutò la diversaefficacia della sola psicoterapia, delsolo intervento farmacologico o deidue interventi combinati nel tratta-mento della depressione maggiore:la psicoterapia risultò superiore aglipsicofarmaci (58% di miglioramen-ti contro il 46%), ma fu decisamen-te il trattamento combinato a darela migliore performace (64% di suc-cessi). Il secondo studio, una ricer-ca promossa dalla Società Tedescaper la Ricerca (atto numero MA1116/1) sul rapporto costi/beneficidi un trattamento psicoterapico nel-le sindromi di ansia caratterizzateda attacchi di panico, ha preso inconsiderazione 66 pazienti con unadurata media del disturbo ansiosodi 7 anni; con i quali era già statotentato un trattamento sanitario sen-za successo; tutti furono sottoposti

a psicoterapia cognitivo - comporta-mentale da psicologi - psicoterapeutie controllati per un periodo di quat-tro anni; il risultato fu che l’80% ven-nero curati con successo (percen-tuale in linea con le medie relativea questo tipo di psicoterapia); il da-to sicuramente più significativo peròriguarda il risparmio che ne è deri-vato alla Cassa Mutua dei pazienti:infatti, a fronte di una spesa di oltre8000 marchi per paziente per un pe-riodo medio di due anni (tra inter-venti medici, farmaci, ricoveri, ecc.)grazie alla psicoterapia i costi risul-tano scesi a circa 1.458 marchi. Sesi conteggiano poi i risparmi otte-nuti nei due anni successivi al trat-tamento, si arriva a scoprire che perogni marco speso per la psicotera-pia cognitivo - comportamentale so-no stati risparmiati circa 11 marchiin altri settori del sistema sanitario.Il dato è talmente rilevante che ri-teniamo debba far riflettere chi sioccupa di politica sanitaria, tanto piùche la sindrome di attacchi di pani-co, insieme all’agorafobia, sembra ri-guardare il 5% della popolazione. • Alla domanda “Se c’è qualcuno di

diverso dal paziente che paga l’o-norario, ciò può danneggiare la psi-coterapia?” hanno già rispostoKendall e Norton-Ford (1982), a-nalizzando le ricerche specifica-mente condotte in tal senso du-rante gli anni ‘70 negli Stati Unitied in molti Paesi europei, dove èormai un fatto consolidato chequalcun altro (assicurazioni o en-te pubblico) paghi la psicoterapiaal paziente, in particolare gli studidi Pope, Geller e Wilkinson (1975)e De Muth e Kamis (1980), i primihanno confrontato la variabile con-cernente il pagamento della psico-terapia individuale in 434 clientidivisi in cinque gruppi (nessun pa-gamento, pagamento tramite l’as-sistenza pubblica, tramite assicu-razione privata, rateale e per inte-ro); con diagnosi di psicosi, nevro-si, disturbi del carattere, disturbisituazionali transitori, ecc.; il ri-sultato fu che, quando gli effettidello stato socioeconomico e delladiagnosi risultano sotto controllo,il pagamento non è una variabile ingrado di influire sul risultato dellapsicoterapia; infatti l’unica varia-bile significativamente correlata alrisultato della psicoterapia risultò

essere la tipologia del problemapresentato; i secondi hanno affron-tato il rapporto fra fonte di paga-mento e utilizzazione dei servizinella psicoterapia trovando che ilrimborso tramite terzi non condu-ce ad alcun abuso dei servizi.

Tutto ciò fa concludere a Kendall eNorton-Ford (1982) che “In generale,la regolazione dell’onorario non appa-re correlata al risultato, quando si tie-ne conto della diagnosi e dello statosocio-economico”.

BibliografiaKendall P.C. e Norton-Ford J.D. Clinical

Psychology. Scientific and Profes-sional Dimensions, N.Y., John Wiley& Sons, 1982 (ed. Italiana: PsicologiaClinica, il Mulino, 1986).

Migone P. “Valutazione dei risultati te-rapeutici in psicoterapia” in P. Pan-cheri, G.B. Cassano e al. (a cura di)Trattato Italiano di Psichiatria (2

aed.),

Masson, vol. 3, 3148-3164.Spinsanti S. Etica biomedica, Paoline,

1987.Szazs T.S. The Ethics of Psychoanalysis.

Theory and Method of AutonomousPsychotherapy, Basic Book Inc. Pub-bl., ey York - London, 1965 (ed. it. L’eti-ca della psicoanalisi, Armando, 1979).

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AllegatoDECRETO LEGGE “BERSANI”:COMMENTO DELL’AVVOCATOLUCA LENTINI, CONSULENTELEGALE ORDINE PSICOLOGI DEL LAZIO

Il Decreto Legge 4-7-2006, n. 223 “Di-sposizioni urgenti per il rilancio eco-nomico e sociale, per il contenimen-to e la razionalizzazione della spesapubblica, nonché interventi in ma-teria di entrate e di contrasto all’e-vasione fiscale” (pubblicato nella Gaz-zetta Ufficiale 4 luglio 2006, n. 153),meglio noto come “Decreto Bersani” al-l’articolo 2 (“Disposizioni urgenti perla tutela della concorrenza nel setto-re dei servizi professionali”) così di-sponeva:

“1. In conformità al principio comu-nitario di libera concorrenza eda quello di libertà di circolazio-ne delle persone e dei servizi,nonché al fine di assicurare agliutenti un’effettiva facoltà di scel-ta nell’esercizio dei propri dirit-ti e di comparazione delle pre-stazioni offerte sul mercato, dal-la data di entrata in vigore delpresente decreto sono abrogate ledisposizioni legislative e regola-mentari che prevedono con rife-rimento alle attività libero pro-fessionali e intellettuali:

a) la fissazione di tariffe obbliga-torie fisse o minime ovvero il di-vieto di pattuire compensi pa-rametrati al raggiungimentodegli obiettivi perseguiti;

b) il divieto, anche parziale, dipubblicizzare i titoli e le specia-lizzazioni professionali, le ca-ratteristiche del servizio offertoe il prezzo delle prestazioni;

c) il divieto di fornire all’utenzaservizi professionali di tipo in-terdisciplinare da parte di so-cietà di persone o associazionitra professionisti, fermo restan-do che il medesimo professioni-sta non può partecipare a piùdi una società e che la specificaprestazione deve essere resa dauno o più professionisti previa-mente indicati, sotto la propriapersonale responsabilità.

2. Sono fatte salve le disposizioni ri-guardanti l’esercizio delle profes-

sioni reso nell’ambito del Serviziosanitario nazionale o in rapportoconvenzionale con lo stesso, non-ché le eventuali tariffe massimeprefissate in via generale a tuteladegli utenti”.Consultando, poi, la Legge 4-8-2006

n. 248, recante la “Conversione in leg-ge, con modificazioni, del D.L. 4 lu-glio 2006, n. 223, recante disposi-zioni urgenti per il rilancio econo-mico e sociale, per il contenimento ela razionalizzazione della spesa pub-blica, nonché interventi in materiadi entrate e di contrasto all’evasionefiscale” (pubblicata nella Gazzetta Uf-ficiale 11 agosto 2006, n. 186), si rin-viene la seguente nuova formulazionedell’articolo 2 (parimenti intitolato “Di-sposizioni urgenti per la tutela del-la concorrenza nel settore dei servi-zi professionali”):

“1. In conformità al principio co-munitario di libera concorrenzaed a quello di libertà di circola-zione delle persone e dei servizi,nonché al fine di assicurare agliutenti un’effettiva facoltà di scel-ta nell’esercizio dei propri dirit-ti e di comparazione delle pre-stazioni offerte sul mercato, dal-la data di entrata in vigore delpresente decreto sono abrogate ledisposizioni legislative e regola-mentari che prevedono con rife-rimento alle attività libero pro-fessionali e intellettuali:

a) l’obbligatorietà di tariffe fisse ominime ovvero il divieto di pat-tuire compensi parametrati alraggiungimento degli obiettiviperseguiti;

b) il divieto, anche parziale, disvolgere pubblicità informativacirca i titoli e le specializzazio-ni professionali, le caratteristi-che del servizio offerto, nonchéil prezzo e i costi complessividelle prestazioni secondo crite-ri di trasparenza e veridicitàdel messaggio il cui rispetto èverificato dall’ordine;

2. Sono fatte salve le disposizioni ri-guardanti l’esercizio delle profes-sioni reso nell’ambito del Serviziosanitario nazionale o in rapportoconvenzionale con lo stesso, non-ché le eventuali tariffe massimeprefissate in via generale a tuteladegli utenti. Il giudice provvede

alla liquidazione delle spese digiudizio e dei compensi profes-sionali, in caso di liquidazionegiudiziale e di gratuito patrocinio,sulla base della tariffa professio-nale. Nelle procedure ad eviden-za pubblica, le stazioni appaltan-ti possono utilizzare le tariffe, ovemotivatamente ritenute adeguate,quale criterio o base di riferimen-to per la determinazione dei com-pensi per attività professionali”.Dal raffronto delle due stesure della

norma emerge come il Legislatore, do-po più meditata ponderazione, abbia so-stituito al divieto di fissare tariffe pro-fessionali minime il divieto di renderevincolanti dette tariffe.

Pertanto, rientra tuttora tra i poteridegli Ordini professionali quello di as-segnare alle varie tipologie di prestazio-ni un valore economico minimo, da con-siderare come soglia identificativa diuno standard di qualità.

Anche la legge di conversione del De-creto Bersani mantiene ferma la possi-bilità per il singolo professionista di pat-tuire compensi parametrati al raggiun-gimento degli obiettivi perseguiti e in-troduce, rispetto alla decretazione d’ur-genza, l’ulteriore correttivo secondo cuiin caso di liquidazione giudiziale ilGiudice provvede a determinare icompensi professionali sulla basedella tariffa professionale, che perciòconserva ufficialmente la propria legit-timazione tra gli istituti della materiaordinistica.

Stante quanto sopra, ad oggi l’Ordi-ne professionale resta investito del po-tere di individuare un valore standardminimo di ciascuna prestazione. Peral-tro, attualmente l’ordinamento nonsembra dotare l’Ordine di un potere pu-nitivo nei confronti di un iscritto checoncordi con il cittadino compensi in-feriori, potendo l’Ordine semplicemen-te emettere, in proposito, raccoman-dazioni e favorire occasioni di incontroe di confronto volte a rafforzare la con-sapevolezza della valenza deontologicadella giusta valorizzazione economicadelle attività professionali erogate.

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Sabato 26 maggio 2007La disciplina del segreto

professionalea cura di Franca Mora, Psicologae Franco Morozzo della Rocca, Magi-strato

Il rapporto tra lo psicologo ed il suocliente si svolge nel tempo e, partico-larmente per le prestazioni di sostegnoo di terapia, esige, per lo sperato buonesito, fiducia e confidenza senza riser-ve. Il rispetto e la certezza del rispet-to del segreto in ordine alle notizieconfidenziali, che il professionista at-tinge dal rapporto, caratterizzano, dun-que, la sua prestazione e soddisfanol’interesse di entrambe le parti all’esat-to adempimento di essa. L’ordinamen-to giuridico garantisce e tutela diret-tamente l’interesse del cliente, sia sulpiano penale, sia su quello deontolo-gico, sia attraverso gli strumenti del di-ritto civile; quello dello psicologo re-sta, invece, un interesse di mero fattoe trova una limitata tutela solamentedi fronte alla pubblica Autorità, che in-contra alcuni limiti formali nell’eserci-zio dei suoi poteri di acquisizione di in-formazioni e di prove.

TUTELA DEL SEGRETO ART. 622 COD. PEN.

La tutela penale del segreto profes-sionale è data dall’art. 622 cod. pen,che ne punisce la violazione a titolo didelitto, con la reclusione fino ad un an-no o, alternativamente, con la multa:l’ordinamento considera che i sogget-ti, i quali abbiano necessità di assisten-za da parte del professionista (unicoabilitato a prestare quel tipo di aiuto),potrebbero essere indotti a rinunciar-vi per il timore di violazioni del segre-to in ordine alle loro comunicazioniconfidenziali.

“NOCUMENTO” Il diritto penale non pretende di co-

prire tutta l’area dell’interesse delcliente: l’art. 622 cod. pen. limita la pu-nibilità del fatto, subordinandola allacondizione che dalla violazione del se-greto possa derivare un “nocumento”;e ammette che la violazione possa tro-vare una sua causa giustificativa. Lanozione di “nocumento” è ampia, com-prensiva di un eventuale danno nonpatrimoniale; ed il fatto che il legislato-re faccia riferimento alla sola possibili-tà di esso evidenzia l’interesse alla re-

pressione indipendentemente dalla at-tualità di un danno, ma pur sempre neilimiti di un concreto interesse dellapersona offesa: alla cui querela è su-bordinata la promovibilità dell’azionepenale, per l’esigenza di lasciare all’in-teressato la valutazione della migliortutela del suo interesse leso.

GIUSTA CAUSA DI RIVELAZIONELa giusta causa di rivelazione, che

qui esclude la sussistenza stessa delreato, va individuata in un interesse al-la propalazione di pari o maggiore rile-vanza giuridica, tale che nel bilancia-mento tra interesse del cliente al se-greto e ragioni della sua rivelazionequeste debbano prevalere. Integrano,in pratica, giusta causa le situazionicorrispondenti alle comuni esimentinote al diritto penale ed al diritto civi-le: in particolare lo stato di necessità(art. 45 cod. pen; art. 2045 cod. civ.) el’esercizio di un diritto o l’adempimentodi un dovere (art. 51 cod. pen.). La vio-lazione è, del pari, esclusa dal consen-so del paziente, che priva la notizia deisuoi caratteri di riservatezza.

INDIVIDUAZIONE DELLA PERSONAOFFESA DAL SEGRETO

Comune al profilo penale ed a quel-lo deontologico è il problema della in-dividuazione della persona offesadalla violazione del segreto. È, infatti,possibile che la prestazione, partico-larmente negli interventi di sostegnoo di psicoterapia, sia resa a persona di-versa dal committente; ed è ipotizza-bile un conflitto tra i due soggetti, o-gnuno dei quali potrebbe essere diver-samente interessato al rispetto del se-greto od alla sua rimozione.

Nel caso, il diritto del committenteal rispetto del segreto trova la sua fon-te nel contratto; quello del paziente,destinatario della prestazione, è di ran-go poziore, perché trova la sua fonteprimaria nel diritto assoluto alla riser-vatezza in ordine a tutto ciò che si ri-ferisce alla sfera intima della persona-lità: è, cioè, un diritto tutelato dall’art.8 della Convenzione europea dei dirit-ti dell’uomo e, di conseguenza, in quan-to diritto inviolabile dell’uomo, dall’art.2 della nostra Costituzione.

TUTELA DEL DESTINATARIO DELLA PRESTAZIONE (SE DIVERSO DAL COMMITTENTE)

Il dovere dello psicologo di tutelare

prioritariamente, nel conflitto con ilcommittente, il destinatario della pre-stazione è espressamente sancito an-che dal codice deontologico all’art. 4,comma 4. L’interesse del committenteal superamento del segreto non può,dunque, prevalere sull’opposto inte-resse del paziente; e lo psicologo, neilimiti del prevalente interesse di que-sto, è tenuto alla sua osservanza anchenei confronti dello stesso committen-te. Ciò non significa, per contro, cheun eventuale interesse del committen-te all’osservanza del segreto, in contra-sto con una opposta volontà del pa-ziente, sia del tutto privo di tutela: an-che un tale conflitto deve essere risol-to in ragione della natura dei due inte-ressi, privilegiando quello di rango po-ziore, sempre tenendo conto del gio-vamento o del nocumento che ne puòderivare al paziente.

IL SEGRETO NEL CODICE DEONTOLOGICO

Il codice deontologico impone l’os-servanza del segreto in termini pres-soché assoluti, con riguardo non sola-mente alle informazioni confidenzialiacquisite nel corso del rapporto, maanche allo svolgimento stesso del rap-porto.

Per l’art. 11, infatti, lo psicologo èstrettamente tenuto al segreto pro-fessionale. Pertanto non rivela no-tizie, fatti o informazioni appresein ragione del suo rapporto profes-sionale, né informa circa le presta-zioni professionali effettuate o pro-grammate.

I successivi art. 12, 13, 15 e 16 ap-parentemente enunciano possibili de-roghe a tale obbligo di totale segre-tezza; in realtà limitano la operativitàdi talune cause, che altrimenti ne giu-stificherebbero il superamento.

Così l’art. 15 impone riservatezza ecautela anche in caso di interventi incollaborazione con altri soggetti purtenuti al segreto; e l’art. 16 enuncia unaspecifica cautela per la redazione dicomunicazioni scientifiche; il doveredi rendere testimonianza potrebbe giu-stificare una deroga, che l’art. 12 su-bordina, invece, al valido e dimostra-bile consenso del destinatario dellaprestazione; e l’art. 13 impone caute-le e limiti con riguardo a ciò che lo psi-cologo può esporre all’Autorità nell’a-dempimento dei suoi obblighi di re-ferto o di denuncia.

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RAPPORTI TRA PROFESSIONISTA E PUBBLICA AUTORITÀ

Sul fronte dei rapporti tra il profes-sionista e la pubblica Autorità la tute-la del segreto si giova delle previsionidegli art. 200, 256 e 362 cod. proc.pen.: lo psicologo, in quanto esercen-te una professione sanitaria, è esclusodall’obbligo di rendere testimonianzasui fatti appresi in ragione delle sueprestazioni di terapia o di sostegno, néè tenuto a consegnare atti e documenticoperti dal segreto professionale od afornire al riguardo informazioni al pub-blico ministero; le dette esenzioni val-gono anche per il processo civile in for-za dell’art. 249 cod. proc. civ., che peresse rinvia al codice di rito penale.

SEGRETO PROFESSIONALE NEL PROCESSO PENALE

Nel processo penale, tuttavia, il giu-dice ha il potere di verificare la veritàdell’invocato segreto; ed il segreto noncopre i fatti, per i quali il professioni-sta abbia obbligo di referto. È da sot-tolineare che, mentre le norme richia-mate consentono al professionista disottrarsi agli obblighi di rendere testi-monianza o di consegnare atti e docu-menti, la regola deontologica (art. 12)fa divieto allo psicologo di rendere te-stimonianza sui fatti coperti dal segre-to, a meno che non ricorra la duplicecondizione del consenso valido e dimo-strabile del destinatario delle sue pre-stazioni e della assenza di esigenze ditutela psicologica dello stesso destina-tario.

OBBLIGO DI REFERTOQuanto all’obbligo di referto va ri-

cordato che esso sussiste quando ilprofessionista abbia operato in casiaventi i caratteri di un delitto proce-dibile di ufficio e sempre che il refer-to non esponga la persona assistita alrischio di essere incriminato (art. 365cod. pen.); e che i dati e le informazio-ni da inserire nel referto sono tuttiquelli indicati dall’art. 334 cod. proc.pen. (identità della persona assistita,circostanze di tempo e di luogo del-l’intervento - non necessariamente in-cludenti dettagli concernenti la tera-pia - ed ogni notizia utile alla ricostru-zione del fatto reato e delle sue conse-guenze): l’art. 13, comma 1, cod. deont.non può essere, dunque, letto come li-mitativo della portata del citato art.334, ma solamente come un invito a

non inserire nel referto elementi su-perflui, al di là del dovere di legge.

DEROGHE ALLA ‘DOVEROSA RISERVATEZZA’

Lo stesso art. 13 cod.deont. preve-de al comma 2 una deroga alla dove-rosa riservatezza, se si prospettino gra-vi pericoli per la vita o per la salute psi-cofisica del soggetto o di terzi. La si-tuazione considerata corrisponde allafigura, civilisticamente e penalmenterilevante, dello stato di necessità. Spet-ta al professionista valutare in terminidi concretezza la gravità ed attualitàdel pericolo incombente sull’assistito,o su se stesso, o su altro soggetto, te-nendo ben conto che concretezza, gra-vità ed attualità di esso saranno poi og-getto di nuova valutazione in sede pe-nale ed in sede deontologica, se do-vesse porsi la questione della violazio-ne del segreto. Così il rilievo di una ge-nerica inclinazione del paziente allapedofilia non giustificherebbe il supe-ramento del segreto; ma la deroga edil dovere di derogarvi sussiste certa-mente in presenza di elementi rivela-tori di un concreto atto di pedofilia giàprogettato o, comunque, di probabile,imminente attuazione. In questo casoun pur cauto superamento del segre-to è doveroso e, oltre tutto, giova allostesso paziente, cui viene impedita lacommissione di un atto, le cui conse-guenze ricadrebbero su di lui.

IL SEGRETO PROFESSIONALE SULPIANO CIVILISTICO

Sul piano civilistico va rilevato chel’obbligo del segreto appartiene natu-raliter al contenuto del contratto diprestazione d’opera professionale e ca-ratterizza la prestazione promessa, perprevisione di legge e del codice deon-tologico; sicché, indipendentementeda una espressa pattuizione delle par-ti al riguardo, il segreto, nei limiti cheabbiamo visto, è dedotto in obbliga-zione e la sua violazione integra ipote-si di inadempimento o di inesattoadempimento del contratto d’operaprofessionale. La responsabilità delprofessionista per i danni cagionati dal-la violazione trova, dunque, la sua fon-te nell’inadempimento di una specifi-ca obbligazione contrattuale e può da-re luogo a responsabilità per tale tito-lo.

Nei confronti del destinatario dellaprestazione di sostegno o di psicote-

rapia la violazione, in quanto lesiva delsuo diritto inviolabile alla riservatezzaper ciò che attiene agli aspetti più in-timi della sua personalità, integra an-che un illecito extracontrattuale, indi-pendentemente dalla sua configura-zione come reato.

RISARCIBILITÀ DEL DANNO PER VIOLAZIONE DI SEGRETO PROFESSIONALE

Il destinatario della prestazione avrà,dunque, a sua disposizione sia l’azionecontrattuale di inadempimento e didanno, sia l’azione extracontrattualedi responsabilità civile; e potrà sce-gliere se esercitare l’una o l’altra, odanche perseguire con entrambe, cu-mulandole, l’unico obiettivo risarcito-rio, tenendo conto dei vantaggi che,secondo le circostanze, l’una o l’altraazione può offrirgli sul piano della pro-va, della liquidazione del danno, dellaprescrizione.

Il fatto che sia questione di lesionedi un diritto inviolabile dell’uomo co-perto da garanzia costituzionale im-porta che vi sia piena coincidenza tralesione ed evento di danno, con laconseguenza della risarcibilità anchedel danno non patrimoniale: qui il dan-no non patrimoniale si identifica, in-fatti, con la lesione patita ed è liqui-dabile in ragione della sua gravità, peril fatto stesso che una lesione del di-ritto vi è stata ed indipendentementedalle eventuali conseguenze ulteriori.

CASISTICA DEONTOLOGICALa casistica deontologica non è par-

ticolarmente ricca in materia di se-greto; i precedenti evidenziano so-prattutto una sorta di sovraesposizio-ne dello psicologo in vicende, nellequali è palese il tentativo del denun-ciante di coinvolgerlo in una sua si-tuazione conflittuale.

Sembra, perciò, utile segnalare chesono abbastanza frequenti, in caso digenitori separati con figli minori in te-rapia, le richieste di notizie rivolte di-rettamente al professionista da partedel genitore non affidatario. Il profes-sionista deve ben guardarsi dall'esau-dirle: il genitore affidatario cumula insé i ruoli di committente e di gestoredella potestà sul destinatario della pre-stazione; il genitore non affidatario hacertamente il diritto di essere infor-mato dello stato e dei problemi del fi-glio, ma può e deve esercitare questo

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diritto nei confronti del genitore affi-datario (e non dello psicologo), even-tualmente rivolgendosi al giudice.Problemi del tutto particolari si pos-sono porre per lo psicologo che operanell'ambito di una istituzione, cioè inun ambito nel quale non sempre è rav-visabile una volontà del paziente in or-dine alla instaurazione del rapportoprofessionale.

La tutela psicologica del soggetto de-stinatario dell’intervento è anche inquesto caso preminente: anche in ca-so di prestazione resa nell’ambito diuna struttura ed in forza di un rapportodi pubblico impiego, la prestazione re-sta di natura professionale, con i con-notati di autonomia e con la soggezio-ne alla deontologia che le sono propri.

LIMITI DELL’OBBLIGO DI SEGRETOI limiti dell’obbligo del segreto pos-

sono, tuttavia, variare in ragione del ti-po di rapporto. Fermo restando che lopsicologo non deve mai superarli indanno delle specifiche esigenze di cu-ra del paziente, gli altri limiti possonorisultare superabili in ragione dei do-veri imposti dalle regole del rapportodi servizio e dalle funzioni esercitatenella istituzione di appartenenza. Ob-bligo di referto, adempimento di un do-vere, necessità di collaborazione conaltri soggetti per la formulazione di unadiagnosi, per il sostegno o per la tera-pia, possono di volta in volta giustifi-care il detto superamento, ferma re-stando la necessità di rispettare le pre-minenti esigenze di tutela psicologicadel destinatario della prestazione.

È proprio questa esigenza che sem-pre segna il confine entro il quale lopsicologo deve muoversi e deve fare lesue valutazioni anche quanto al segre-to professionale, ai suoi limiti ed allaimportanza del suo doveroso rispetto.

Sabato 9 giugno 2007“Pubblicità

e siti internet” Avvocato Luca Lentini, Consulentelegale Ordine Psicologi del LazioDott. Antonino Urso, Pont. UniversitàSan Tommaso, Roma; CoordinatoreCommissione Deontologica OrdineRegionale degli Psicologi del Lazio

Il Decreto Legge 4-7-2006, n.223, in-titolato “Disposizioni urgenti per il ri-lancio economico e sociale, per il con-tenimento e la razionalizzazione dellaspesa pubblica, nonché interventi inmateria di entrate e di contrasto all’e-vasione fiscale” (pubblicato nella Gaz-zetta Ufficiale 4 luglio 2006, n. 153),meglio noto come “Decreto Bersani”,all’articolo 2, intitolato “Disposizioniurgenti per la tutela della concorren-za nel settore dei servizi professiona-li”, così disponeva: “1. In conformità al principio comuni-

tario di libera concorrenza ed aquello di libertà di circolazione del-le persone e dei servizi, nonché alfine di assicurare agli utenti un’ef-fettiva facoltà di scelta nell’eserci-zio dei propri diritti e di compara-zione delle prestazioni offerte sulmercato, dalla data di entrata in vi-gore del presente decreto sonoabrogate le disposizioni legislativee regolamentari che prevedono conriferimento alle attività libero pro-fessionali e intellettuali:

a) la fissazione di tariffe obbligato-rie fisse o minime ovvero il divie-to di pattuire compensi parame-trati al raggiungimento degli o-biettivi perseguiti;

b) il divieto, anche parziale, di pub-blicizzare i titoli e le specializza-zioni professionali, le caratteri-stiche del servizio offerto e ilprezzo delle prestazioni;

c) il divieto di fornire all’utenza ser-vizi professionali di tipo interdi-sciplinare da parte di società dipersone o associazioni tra profes-sionisti, fermo restando che il me-desimo professionista non puòpartecipare a più di una società eche la specifica prestazione deveessere resa da uno o più profes-sionisti previamente indicati, sot-to la propria personale responsa-bilità.

2. Sono fatte salve le disposizioni ri-guardanti l’esercizio delle profes-

sioni reso nell’ambito del Serviziosanitario nazionale o in rapportoconvenzionale con lo stesso, nonchéle eventuali tariffe massime prefis-sate in via generale a tutela degliutenti.”La Legge di conversione 4-8-2006,

n. 248, recante “Conversione..., conmodificazioni, del D.L. 4 luglio 2006,n. 223, recante disposizioni urgenti peril rilancio economico e sociale, per ilcontenimento e la razionalizzazionedella spesa pubblica, nonché interventiin materia di entrate e di contrasto al-l’evasione fiscale” (pubblicata nellaGazzetta Ufficiale 11 agosto 2006, n.186), reca la seguente nuova formula-zione dell’articolo 2, parimenti intito-lato “Disposizioni urgenti per la tute-la della concorrenza nel settore dei ser-vizi professionali”: “1. In conformità al principio comuni-

tario di libera concorrenza ed aquello di libertà di circolazione del-le persone e dei servizi, nonché alfine di assicurare agli utenti un’ef-fettiva facoltà di scelta nell’eserci-zio dei propri diritti e di compara-zione delle prestazioni offerte sulmercato, dalla data di entrata in vi-gore del presente decreto sonoabrogate le disposizioni legislativee regolamentari che prevedono conriferimento alle attività libero pro-fessionali e intellettuali:

a) l’obbligatorietà di tariffe fisse ominime ovvero il divieto di pattui-re compensi parametrati al rag-giungimento degli obiettivi perse-guiti;

b) il divieto, anche parziale, di svol-gere pubblicità informativa circai titoli e le specializzazioni pro-fessionali, le caratteristiche delservizio offerto, nonché il prezzoe i costi complessivi delle presta-zioni secondo criteri di trasparen-za e veridicità del messaggio il cuirispetto è verificato dall’ordine;

2. Sono fatte salve le disposizioni ri-guardanti l’esercizio delle profes-sioni reso nell’ambito del Serviziosanitario nazionale o in rapportoconvenzionale con lo stesso, nonchéle eventuali tariffe massime prefis-sate in via generale a tutela degli u-tenti. Il giudice provvede alla liqui-dazione delle spese di giudizio e deicompensi professionali, in caso di li-quidazione giudiziale e di gratuitopatrocinio, sulla base della tariffaprofessionale. Nelle procedure ad

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evidenza pubblica, le stazioni ap-paltanti possono utilizzare le tarif-fe, ove motivatamente ritenute ade-guate, quale criterio o base di rife-rimento per la determinazione deicompensi per attività professiona-li”. Tra il decreto legge e la legge di con-

versione sopra indicati si registra unasopravvenuta moderazione delle mi-sure adottate, pur permanendo l’otti-ca della cosiddetta “liberalizzazione”.

Mentre il decreto legge introducevarigidamente l’abolizione di ogni divie-to “anche parziale, di pubblicizzare ititoli e le specializzazioni professiona-li, le caratteristiche del servizio offer-to e il prezzo delle prestazioni”, la leg-ge di conversione, ferma restando l’e-lasticità formale dei mezzi pubblicita-ri utilizzabili, pone al centro della stes-sa attività pubblicitaria i “criteri di tra-sparenza e veridicità del messaggio” edemanda agli Ordini il compito di ve-rificare il rispetto di tali criteri.

Pertanto, anche sotto tale profilo, afronte di una prima tipologia di disci-plina improntata alla volontà di fare ta-bula rasa dei vincoli tradizionalmentefissati, nell’ambito delle professioni in-

tellettuali o “protette”, in materia diforme e contenuti della pubblicità, èstata adottata una soluzione implican-te un minor livello di discontinuità ri-spetto al passato.

Infatti, l’ordinamento vigente man-tiene espressamente fermo il pote-re/dovere degli Ordini di monitoraregli strumenti pubblicitari posti in esse-re dagli iscritti, quanto meno sotto ilprofilo della veridicità e della traspa-renza; si tratta di due concetti che im-plicano necessariamente l’osservanzadei principi del rispetto verso tutti icolleghi, del divieto di concorrenzasleale e del divieto dell’illecito acca-parramento di clientela.

Quale ulteriore corollario di tali con-siderazioni, si può sostenere che lapubblicità comparativa da parte deiprofessionisti resti vietata.

Del pari, permane censurabile la con-dotta del professionista che concedaavallo o patrocinio a iniziative promo-zionali a favore di aziende o istituzio-ni relativamente a prodotti sanitari ocommerciali.

In materia, gli Ordini, pur nei più ri-stretti limiti tracciati dalle nuove nor-me, conservano poteri di vigilanza e di

controllo che, secondo un’interpreta-zione oramai diffusa del testo “Bersa-ni”, dovrebbe essere successivo, ovve-ro di controllo a posteriori rispetto al-le iniziative pubblicitarie dei singoliiscritti. Fermo restando, naturalmen-te, il potere sanzionatorio in caso diviolazione dei principi deontologici.

La recente modificazione, mediantereferendum, del Codice deontologicodegli Psicologi italiani con inserimen-to di un obbligo di preventiva richie-sta di nulla osta per poter effettuarepubblicità, pare porsi in controten-denza rispetto al dettato normativo intema di liberalizzazione e pare sia og-getto d’esame da parte dell’AutoritàAntitrust.

Nel frattempo la Suprema Corte diCassazione ha sottolineato che le di-sposizioni “Bersani” hanno abrogato lalegge sulla pubblicità sanitaria n.175/92 ed il Comune di Roma ha, con-seguentemente, diramato in data 13-2-2007 un comunicato agli Ordini deiMedici e degli Psicologi in base al qua-le “...ritiene non necessaria l’autoriz-zazione del Sindaco inerente il mes-saggio pubblicitario relativo alle pro-fessioni sanitarie..”.�

visita il sito web dell’Ordine degli Psicologi del Lazio

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dal prossimo anno nuovi strumenti digitali e on line

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Sabato 10 marzo 2007L’applicazione dell’interventoCognitivo-Comportamentale

nella Terapia Interattiva Genitore-Bambino

Valeria Giamundo, Psicologa e psico-terapeuta del’’età evolutiva; docen-te presso la Scuola di PsicoterapiaCognitiva di Roma (SPC); Respon-sabile del Servizio di Diagnosi eTrattamento del Centro Provincia-le “Giorgio Fregasi-Tetto Azzurro”di RomaE-mail: [email protected]

L’ interesse della Scuola di Psicote-rapia Cognitiva di Roma (SPC) per lateoria dell’attaccamento e per le sueimplicazioni nel lavoro clinico in etàevolutiva; ha portato negli ultimi annialla realizzazione di una terapia breve,ad orientamento cognitivo-comporta-mentale, rivolta alla coppia genitore-bambino. L’intervento, indicato nellesituazioni in cui è evidenziabile una si-gnificativa alterazione o disturbo del-la relazione primaria genitore/bambi-no, è volto al recupero della genitoria-lità o al miglioramento della qualità del-la relazione interpersonale.

Le teorie che sono alla base del trat-tamento e che hanno orientato la strut-turazione della terapia genitore-bam-bino in fasi ed obiettivi specifici, sono:La Teoria dell’Attaccamento (1969), laTeoria della Mente (Uta Frith, Alan Le-slie e Simon Baron-Cohen 1985) si ba-sa sull’assunto che esista nella menteumana un modulo) e la Teoria dei Ci-cli Disfunzionali (Safran e Segal, 1990).

La formulazione di Bowlby enfatiz-za quanto i comportamenti specie-spe-cifici del bambino siano diretti alla ri-cerca della vicinanza e della protezio-ne, inducendo comportamenti respon-

sivi specie-specifici nel caregiver. Datale costrutto deriva che lo sviluppodell’attaccamento può essere alteratoda una distorsione, incapacità o limi-tazione del comportamento infantile,ma anche da condizioni che interferi-scono con la responsività genitoriale.Alcuni studi hanno dimostrato che seil problema è all’origine materno, per-ché la madre soffre di un disturbo psi-chiatrico o perché ingaggia il bambinoin una situazione di maltrattamento, ilbambino ha difficoltà a compensare lamancanza di responsività materna edè più vulnerabile a fallimenti evolutivi.Al contrario se il disturbo parte dalbambino le madri (sane e/o con attac-camento sicuro), sono generalmentecapaci di attivare strategie di compen-so nella relazione diadica e i bambinimantengono modalità sicure nell’at-taccamento. La mia esperienza clinicae di ricerca condotta su bambini conDisturbi dello Sviluppo (Disturbi del-la Regolazione, Ritardi Mentali, Distur-bi Pervasivi, Disturbi del linguaggio edaltri disturbi dello sviluppo) ha eviden-ziato, contrariamente a quanto detto,che i comportamenti di relazione sonomolto più ricchi e articolati e tanto piùcomplessi in relazione al disturbo e al-l’accrescimento delle competenze co-gnitive sociali e comunicative del bam-bino (vedi anche Fabrizi et al. 1992;1993; 2000). D’altro canto molti studihanno evidenziato già da tempo che leinterazioni tra genitori, bambino e am-biente contribuiscono allo sviluppo delbambino in modo dinamico e recipro-co (Sameroff e Chandler, 1975) e si ri-flettono sulle sue capacità di adatta-mento precoce.

La prima applicazione del trattamen-to breve genitore-bambino è stata ap-punto realizzata allo scopo di favorireil recupero del rapporto tra genitori e

figli con disturbi di Sviluppo; l’espe-rienza in tale ambito evidenziava qua-si sempre una crisi significativa nellarelazione interpersonale genitore- fi-glio, caratterizzante peraltro la tipolo-gia del disturbo.

In seguito l’intervento è stato este-so a tutte le condizioni di patologia re-lazionale non solo di tipo secondarioma anche di carattere primario, ovve-ro ai Disturbi della relazione propria-mente detti; ed oggi un importantecampo d’applicazione è rappresentatodalle patologie relazionali in situazio-ni di abuso e maltrattamento infanti-le. Da circa un anno di fatto il tratta-mento di coppia genitore-bambino adorientamento cognitivo-comportamen-tale è applicato negli interventi di re-cupero della genitorialità presso il Cen-tro Provinciale Giorgio Fregasi “TettoAzzurro” di Roma nelle situazioni di a-buso e maltrattamento.

Attualmente numerosi sono i riscon-tri clinici che sostengono la validità del-l’intervento, ma la limitata numerositàdel campione non consente ancora digeneralizzare i risultati delle prime ap-plicazioni e sono ancora in corso pro-grammi di ricerca sulla valutazione del-l’efficacia dell’intervento.

La terapia, ad orientamento cogniti-vo-comportamentale, è breve ed è so-stanzialmente articolata in 10 fasi chesi contraddistinguono per obiettivi estrumenti d’intervento (Giamundo2007).

Più specificamente la metodologia siarticola in: 1) da 2 a 3 colloqui di as-sessment con intervista semistruttu-rata sulle rappresentazioni genitoria-le, 2) da 2 a 3 sedute di gioco g-b vi-deoregistrate, 3) la valutazione del-l’interazione mediante la “griglia di va-lutazione dell’interazione genitore-bambino”(Fabrizi 1999), 4) la sommi-

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GLI ABSTRACTSDEI SEMINARI DEL SABATO

DEDICATI ALLE BUONE PRATICHE

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i seminari del sabato

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nistrazione dell’AAI, 5) la proceduradell’autocaratterizzazione (Kelly 1955),6) i colloqui mediante la tecnica del-l’ABC, 7) la visione congiunta delle vi-deoregistrazioni, 8) colloqui clinici, 9)videoregistrazione di chiusura, 10)chiusura e restituzione.

La sperimentazione clinica del trat-tamento evidenzia l’importanza dellarelazione tra processi cognitivi e pro-cessi interpersonali nello sviluppo enel mantenimento delle patologie re-lazionali. L’interazione patologica tragenitore e bambino, è caratterizzatada un set di schemi disadattivi che re-golano in modo patogeno l’elaborazio-ne dell’informazione e l’andamentostesso dello scambio interpersonale.La terapia è focalizzata pertanto sull’in-dividuazione dei meccanismi disfun-zionali che caratterizzano la relazionedinamica tra genitore e figlio, a parti-re dagli schemi interpersonali (“rap-presentazioni generiche di intera-zioni tra Sé e dell’altro ricavate dal-l’esperienza diretta”, secondo la de-finizione di Safran e Segal del 1990 )e dai bias di ragionamento; responsa-bili, i primi, del disfunzionamento, i se-condi, del mantenimento del disagio odel disturbo relazionale.

BibliografiaAinsworth, M.D.S., Behar, M.C., Waters, E.,

Wall, S. (1978). Patterns of attach-ment: A psychological study of theStrange Situation. Hillsdale, NJ: Erl-baum.

Bowlby, J. (1969) Attaccamento e perdi-ta: Vol. 1. L’attaccamento alla madre.Boringhieri, Torino.

Fabrizi A., D. Knauer, Levi G. (1996 ): Mo-delli di attaccamento nei Disturbidello Sviluppo. Psichiatria dell’in-fanzia e dell’adolescenza. Vol 63:29-39.

Fabrizi, A, .Giamundo, V., Setaro S. (2002).Responsività materna e modalità diattaccamento infantile nei toddlerscon disturbi dello sviluppo: un con-fronto tra disturbi pervasivi dello svi-luppo e disturbi specifici del lin-guaggio. Psichiatria ell’Infanzia e del-l’Adolescenza. Vol 69 n. 1. gen.-mar.

Fonagy P., Target M. (2201). Attaccamentoe funzione riflessiva. Ed Cortina

Giamundo V., Isola L., Fabrizi A. (2007).La tecnica video nel trattamento bre-ve genitore-bambino: un modello co-gnitivo-relazionale. In Psicoterapiacognitiva dell’infanzia e dell’adole-scenza. Ed. Franco Angeli.

Mancini F., (2003). I meccanismi ricor-sivi di mantenimento ed aggrava-

mento delle disfunzioni cognitive.In Psicoterapia cognitiva dell’in-fanzia e dell’adolescenza. L. Isola, F.Mancini. Ed Franco Angeli

Safran, J. D., Segal, Z. (1990). Il processointerpersonale nella terapia cogniti-va. Ed. Feltrinelli.

Venerdì 16 marzo 2007Le tecnologie del sé:

il coaching per migliorarel’efficacia di performance

e l’empowermentSilvana Dini, Management Consul-tant su progetti di start up e chan-ge management nell’area RisorseUmane, Organizzazione e Comuni-cazione interna; progetta, coordinae realizza progetti di Executive, Cor-porate Coaching e di DevelopmentCenter. Mail to: [email protected]

Il precetto di “prendersi cura di se stessi” era, per i greci, uno dei principi basilari

della vita nelle città, una delle regole fondamentali

della condotta sociale e personale e dell’arte del vivere… nei testi greci e romani

il precetto di conoscere te stesso è sempre associato

a quello della cura di sé ed era proprio questo bisogno di prendersi cura di sé

che rendeva operativa la massima delfica.

M. Foucault, Tecnologie del sé, 1982

I percorsi di Corporate Coaching so-no veri e propri programmi indivi-duali di allenamento finalizzati amigliorare l’efficacia di performan-ce.

Più frequentemente sono percorsidestinati ai manager delle nostre orga-nizzazioni e a coloro i quali ricopronoruoli chiave per i risultati dell’impre-sa.

La filosofia di fondo di tali percorsiè quella di potenziare il singolo, di fa-vorire una sua spinta in sicurezza di sé(confidence boost) e di autoconsape-volezza affinché la persona possa es-sere concretamente driver del proprioprocesso di sviluppo competenze (au-toresponsabilizzazione) e della propriaemployability.

Nelle nostre organizzazioni, l’attesanei confronti dei manager è che assi-curino i risultati di business in conte-sti di alta variabilità, bassa previsiona-lità, spesso in presenza di vincoli dibudget, tempo e risorse. Ciò che ser-ve oggi alle organizzazioni per vincerele sfide e ottenere il successo è che ilmanagement, gli uomini e le donne inruoli chiave creino commitment, ispiri-no le persone per motivarle, costrui-scano e consolidino nel tempo una re-te di rapporti fondati sulla fiducia.

In questo quadro si sviluppa la do-manda crescente di coaching.

Nell’elaborazione delle esperienzelegate a progetti realizzati nelle orga-

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nizzazioni, prende forma la distinzio-ne tra Executive e Corporate Coa-ching in relazione alla fascia di popola-zione coinvolta e dunque all’articolazio-ne dell’intervento.

Tra le foucaultiane tecnologie del sé(τεχνη: arte, opera, lavoro) oggi utiliz-zate nel mondo occidentale, ossia “letecnologie che permettono agli indivi-dui di eseguire coi propri mezzi o conl’aiuto degli altri un certo numero dioperazioni sul proprio corpo e sullapropria anima - dai pensieri, al com-portamento, al modo di essere - e direalizzare in tal modo una trasforma-zione di se stessi allo scopo di raggiun-gere uno stato caratterizzato da felici-tà, purezza, saggezza, perfezione”, pos-siamo distinguere tra coaching, coun-seling, mentoring, tutoring e psico-terapia. Le differenze riguardano gliobiettivi e i bisogni, il ruolo degli atto-ri, il setting.

CONTRIBUTO DISTINTIVO DELCOACHINGIl processo di coaching è un percor-so con e per il singolo nell’organiz-zazione.

Il perché e le motivazioni sono gui-dati dall’organizzazione che decide diinvestire in modo mirato sui suoi uo-mini e sulle sue donne, il cosa è guida-to dal coacher; muove da ciò che lapersona percepisce come esigenze,desideri, obiettivi nel contesto e nelruolo in cui opera; valorizza i diversimodi di apprendere, “sentire”, provare,rischiare; valorizza l’unicità e le diffe-renze di ciascuno.

Nel processo di coaching cade il ta-bù secondo il quale prendersi cura disé (επιµελεσται εαυτον), occuparsidelle proprie scelte, linee di azione,paure sia da confinare nella solitudinedella sfera privata, peraltro continua-mente deprivata di tempo e di energieda dedicarvi.

Il metodo è strutturato di conse-guenza: la relazione è 1to1, vige la con-fidenzialità, è centrale l’uso delle do-mande, ect.

Il processo di coaching supporta efacilita il coacher� nell’esplorare differenti letture del-

le situazioni e delle proprie risorsee bisogni

� nell’attivare, mobilitare, valorizza-re l’uso delle risorse migliori, rico-noscendo le emozioni alleate daquelle nemiche

� nel progettare e realizzare le suesoluzioni

� nel consentirne un uso più consa-pevole.

Il processo di coaching usa e valo-rizza come palestra le sfide e gli “ac-cidenti” di ogni giorno e nel quotidia-no facilita l’esplorazione di prospettivediverse, il potenziamento della perso-nale fiducia in sé, le possibilità di impa-rare dagli errori e di percepire che ilcontesto può essere fonte di benesse-re e non subito.

Nell’attività di coaching si realizzaun rapporto di partnership con il coa-chee per:� concentrare l’attenzione e non di-

sperdere energie� rendere chiari, consistenti ed alli-

neati (alla situazione e alle possibi-lità del coachee) gli obiettivi

� definire le strategie, trovare o in-ventare con consapevole creativitàle soluzioni, le azioni da intrapren-dere e i comportamenti da adotta-re

� aiutare a riconoscere le strategie dacambiare e modificare flessibilmen-te le azioni in corsa se la situazionelo richiede, valorizzando, capitaliz-zando i successi ma anche gli errori

� prendere decisioni, pianificare le a-zioni coerenti a realizzare i cam-biamenti voluti

Il processo di coaching è un per-corso di allenamento (ad lena), ilsuccesso è una maratona, non unosprint, un processo non un evento; nellinguaggio degli ingegneri, è la “ge-stione di un progetto” di sviluppo di sestessi; anche su questo aspetto il me-todo è articolato di conseguenza: scan-sione, durata degli incontri, il mecca-nismo delle review dei piani di azioneect.

Nell’attività di coaching il rapportodi partnership con il coachee promuo-ve:� l’utilizzazione dei feedback dei pa-

ri, dei collaboratori e dei capi� l’esperienza di “mettersi in gioco”,

di uscire dalla comfort zone � l’ identificazione di continui nuovi

fronti di miglioramento� l’atteggiamento di alzare progres-

sivamente lo standard della perfor-mance

VALORE AGGIUNTO DEIPROGRAMMI DI EXECUTIVE E CORPORATE COACHING… a breve termine� maggiore consapevolezza dei pro-

pri comportamenti, abilità, compe-tenze e compiti

� comprensione dell’impatto del pro-prio comportamento sui pari, col-laboratori, superiori

� ampliamento della gamma di com-portamenti utili

… a medio termine� maggiore comprensione e fiducia

in sé come persona e nel ruolo� costruzione di un piano di sviluppo

individuale, come strumento permiglioramento continuo

� crescente consapevolezza dell’im-portanza dei feedback regolari

Fasi del processo di coaching* I programmi di Executive e Corpo-

rate Coaching sono strutturati pro-gettando ad hoc un percorso che si ar-ticola in tre fasi

I Fase - Definizione del Piano diAutosviluppo e del Piano di azione

L’obiettivo di questa prima fase è fa-vorire e consolidare la personale con-sapevolezza mobilitando le energie delcoachee nella definizione di specificiobiettivi di miglioramento e nella co-struzione di un adeguato piano di azio-ne per realizzarli.

Gli output di fase sono:• il Piano di Autosviluppo (PAS) che

consente al coachee di descrivere ipropri obiettivi di miglioramento, imotivi che ne hanno determinato lascelta, le abilità da sviluppare ad es-si collegati, i criteri di valutazione edinfine l’individuazione, da parte delcoachee dei supporti interni/esterniall’unità di appartenenza;

• il Piano di Azione (PAZ), che facili-ta il coachee nell’individuazione del-le azioni da intraprendere, nella mes-sa a fuoco degli effetti attesi a fron-te di esse e, per confronto, consen-te una riflessione sui comportamen-ti abituali messi in atto e sugli effet-ti che essi generano.Le attività sviluppate in questa fa-

se sono:• Incontro di start up di progetto • Incontro HR e consulente coach con

il manager del coachee per racco-

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i seminari del sabato

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gliere il suo punto di vista sulle com-petenze chiave del ruolo e sulle at-tese di sviluppo del coachee

• Due incontri individuali tra coacheee consulente coach (pianificati a di-stanza di 15 giorni l’uno dall’altro,della durata di circa 1 ora e mezzaciascuno)

II Fase - Revisione Piano diAzione e Monitoraggio

L’obiettivo di questa seconda fase èfavorire e supportare il coachee nelprocesso di implementazione del Pia-no di Azione e dunque nel processo dimodifica dei comportamenti, di svilup-po di competenze e relativo rafforza-mento dell’efficacia di performance.Questa fase è centrale nel programmadi coaching, il coachee si allena attra-verso la auto valutazione e la rielabo-razione dei successi raggiunti e degliostacoli incontrati.

L’output di questa fase sono le siste-matiche revisioni del Piano di Azione,diretta conseguenza dei feedback edelle rielaborazioni rispetto alle azio-ni intraprese e alle soluzioni sperimen-tate.

Le attività sviluppate in questa fa-se sono:• Quattro incontri individuali tra coa-

chee e consulente coach (pianifica-ti a cadenza mensile, della durata dicirca 1 ora e mezza ciascuno)

III Fase - Bilancio e valutazionedei risultati

Gli obiettivi di questa terza fase so-no: • favorire e esplicitare il processo di

consolidamento del cambiamento• assicurare l’innesco di un processo

di miglioramento continuo in una parola mantenere il processo

di auto miglioramento innescato e at-tivo.

L’output di questa fase è il bilancioe la valutazione dei risultati dal puntodi vista del coachee, del line manage-ment, di HR.

Le attività sviluppate in questa fa-se sono:• Incontro di HR e consulente coach

con manager di riferimento per bi-lancio e analisi del gap tra attese erisultati

• Due incontri individuali di follow up(pianificati a distanza di tre mesi, acadenza mensile, di circa 1 ora e

mezza)• Incontro di bilancio e valutazione con

la committenza di progetto.

* da Coaching alle nuove sfide, S. Di-ni A. Cei, Guerini, Milano, 2004

Sabato 17 marzo 2007L’Infant Research

e la sua applicazione nei progetti scolastici

Dott.ssa Girolama Curreri. Socio fon-datore della Società Italiana di Vi-deomicroanalisi e di Psicoterapia(SIVIP). Psicoterapeuta. Dott. Homero Vigevani. Psicologo, psi-coterapeuta. Socio fondatore e coor-dinatore della SIVIP.

“L’infant Research” è quella brancadella psicologia che si occupa dellostudio e della ricerca sullo sviluppoinfantile. Le ricerche degli ultimi annihanno rivoluzionato il modo di vede-re il bambino e stanno provocando ungran riassestamento all’interno dei mo-delli psicologici (vedi Stern 1985, Li-chtenberg 1989, Stolorow e Atwood1992, Fivaz 2000, Beebe 2002). Infat-ti, ogni modello metapsicologico ha bi-sogno di una sua teoria dello sviluppoe le nuove conoscenze sullo sviluppoinfantile hanno messo in discussionebuona parte delle credenze che noipsicologi avevamo fino a poco tempofa.

Dalle ricerche è emerso un bambinoattivo ed impegnato, sin dai suoi primiistanti di vita, in uno scambio recipro-co con il suo caregiver, un neonato chepuò avviare o interrompere l’interazio-ne con le sue figure di accudimentoprincipali. Ciò ha messo in crisi concet-ti tradizionali come quelli di simbiosio di indifferenziazione primaria. È e-merso un bambino che sin dal secon-do mese di vita ha una relazione signi-ficativa e differenziata (triangolare)con il padre e la madre. È emerso chemolte capacità cognitive si sviluppanomolto più precocemente rispetto aquanto era teorizzato. Insomma stacambiando qualcosa nel mondo dellaPsicologia, molti modelli che erano lon-tani tra loro si sono avvicinati, moltimodelli pieni di certezze si sono am-morbiditi, il mondo della ricerca spe-rimentale e dell’attività clinica si sonoavvicinati.

È in questo quadro che, soprattuttonegli ultimi quindici anni, le nuove co-noscenze accademiche e sperimenta-li hanno cominciato a varcare le soglieuniversitarie per entrare nel mondodella clinica (persone come Beebe,Downing e Fivaz ne sono stati tra iprincipali promotori), cambiando il no-stro modo di vedere lo sviluppo del

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bambino e dandoci strumenti nuovi persostenere le interazioni tra genitori efigli.

In Italia, da otto anni, un gruppo, chefa riferimento a G. Downing, ha co-minciato ad incontrarsi e a sviluppareattività clinica con il metodo della vi-deomicroanalisiterapia trasportandoquesta metodologia dalle interazionifamiliari ad altri contesti quali le rela-zioni di coppia, la supervisione deglistaff di psicologi e d’altri operatoricoinvolti nelle relazioni d’aiuto e so-prattutto, per ciò che ci riguarda, l’os-servazione delle interazioni tra inse-gnanti e alunni. È di quest’ultimo am-bito che ci occuperemo, illustreremoin questa sede i temi che abbiamo ela-borato presso le istituzioni scolasticheal fine di migliorare la qualità della re-lazione educatore-bambino.

I nostri progetti si sono basati sullericerche dell’Infant Research. Da cir-ca trent’anni questa branca della psi-cologia utilizza la Videomicroanalisi,che consiste nella realizzazione di fil-mati d’interazioni genitore-bambino,dove tutto ciò che accade, sia sul pia-no corporeo sia su quello verbale, èanalizzato ad un livello “micro” (foto-gramma per fotogramma). Ciò che èemerso dalle ricerche è davvero straor-dinario, non solo per la maggiore co-noscenza che abbiamo sullo sviluppopsicologico dell’essere umano, ma so-prattutto perché possiamo interveni-re per migliorare, ampliare gli schemipositivi e modificare quelli negativi, fa-vorendo così il benessere psicofisicodel bambino.

Oggi quindi abbiamo importanti in-formazioni su come potenziare l’intera-zione tra adulto e bambino, sia al finedi prevenire future patologie, sia dalpunto di vista della promozione alla sa-lute in aree fondamentali per lo svi-luppo del bambino quali: l’alimenta-zione, la cura personale, l’immagine disé e la relazione con i coetanei.

Certi della fondamentale importan-za della prevenzione e dell’educazionealla salute abbiamo elaborato dei pro-getti d’aggiornamento e formazione perle scuole. L’obiettivo era sia di esplora-re ed intervenire in aree fondamenta-li dell’educazione e della formazionedei bambini, quali: il sostegno all’affet-tività e all’autonomia, il rispetto dei li-miti e delle regole, la strutturazionedel tempo e dello spazio scolastico, esia di dare agli insegnanti maggiori e

più attuali informazioni sullo sviluppodel bambino.

Il nostro intento è di fornire un am-pio spazio d’ascolto per le difficoltà chele maestre/i incontrano nel complessocompito di educare ed aiutare a cre-scere i bambini e i ragazzi. Per raggiun-gere tale scopo non siamo partiti da unmodello astratto e ideale al quale con-formarci, riteniamo viceversa molto piùutile e produttivo partire dalle realicondizioni nelle quali si trovano ad o-perare gli insegnanti, sostenerli e sti-molarli ad attivare le proprie risorse ecompetenze affinché siano loro a tro-vare le soluzioni ai problemi che quoti-dianamente incontrano in classe qua-li: la gestione del gruppo classe, il bam-bino difficile, il bambino portatore dihandicap, il bambino con difficoltàd’apprendimento, i bambini con distur-bo dell’attenzione, ed altri aspetti fon-damentali delle loro interazioni quoti-diane.

Per raggiungere questi risultati ci av-valiamo sia dello sfondo teorico dell’In-fant Research, sia dell’intervento coni video che ci permettono di entrare inuna dimensione più concreta dell’espe-rienza dei docenti. Ci permettono dilavorare, oltre che con la dimensionecognitiva, anche con quell’esperienzia-le, immaginativa, visuale, corporea, e-motiva, temporale e spaziale.

Dalla nostra esperienza nelle scuolesono emerse delle domande e delle ri-chieste tipiche da parte degli insegnan-ti che possono pressapoco essere rag-gruppate in quattro aree: la prima è dicapire, migliorare ed intervenire in unmodo più efficace nella relazione conil bambino; la seconda è di migliorarel’interazione tra i bambini ed i rappor-ti all’interno del gruppo classe; la ter-za riguarda il modo in cui proporre leregole ed i confini; l’ultima area riguar-da i problemi specifici quali i bambiniiperattivi, i “leader negativi”, i portato-ri di handicap ed altri.

Altre difficoltà rilevate dagli inse-gnanti riguardano sia le relazioni all’in-terno dello staff dei docenti, sia le lo-ro relazioni con i genitori. Di queste ul-time due aree non ci occupiamo nelpresente progetto, avendo elaboratodei corsi specifici ad esse dedicati, daattuare però in momenti diversi rispet-to all’intervento che stiamo descriven-do.

Al fine di rispondere alle esigenze

del corpo docente sopra riportate, du-rante i corsi ci soffermiamo su alcuniaspetti fondamentali della comunica-zione adulto-bambino, quali: ricono-scere e saper rispondere ai bisogni af-fettivi e relazionali del bambino, rico-noscere e sostenere i suoi bisogni d’au-tonomia, offrirgli un adeguato soste-gno psicofisico e avere una comunica-zione chiara (verbale e non).

Inoltre nei nostri progetti abbiamolavorato con il fine d’ampliare le se-guenti capacità dell’insegnante: la ca-pacità di creare un’atmosfera calda eaccogliente in classe, la capacità dimantenere alta l’attenzione del singo-lo bambino e del gruppo, la capacitàd’attenzione che si riesce a dare albambino, la capacità di dare attenzio-ne al bambino con difficoltà senza per-dere di vista il gruppo, la capacità disviluppare transizioni chiare, la capaci-tà di creare un’interazione positiva frai bambini, la capacità di strutturare leattività, la capacità di stabilire regolee confini, la capacità di dare confermee la capacità di cogliere messaggi nonverbali e di prestare una maggiore at-tenzione alla consapevolezza corporea.

BibliografiaDowning, G.: Discussion: Emotion, body,

and parent-Infant interaction. (inNadel J., Muir D.: Emotional Deve-lopment. Oxford, Oxford UniversityPress, 2005.)

Fivaz Depeursinge E., Corboz Warnery A.:Il Triangolo Primario. Milano, Raf-faello Cortina Editore, 2000.

Vigevani, H., Waldekranz, C.: “La video-microanalisi come strumento tera-peutico”. In Arti Terapie, Anno X,n°9/10, pag.7-8, 2004.

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Venerdì 23 marzo 2007Esperienze nello sviluppo

di alcuni strumenti di analisi organizzativa

(dalla cassetta degli attrezzi dello psicologo del lavoro)

Guglielmo Danzi, Analista di Orga-nizzazione

Si è scritto e detto molto sulla rela-zione consulente (psicologo) - com-mittente - cliente, sulla gestione delleaspettative, di strategie comunicativee condivisione di traguardi.

In questo caso l’intervento ha inte-so proporre la particolare esperienzadi relazione dello psicologo del lavorocon i propri committenti e clienti in-terni nelle diverse fasi del ciclo di vitadi un’impresa di telecomunicazioni, nelcontesto professionale dello sviluppoorganizzativo (descrizione e progetta-zione dei processi, dimensionamentodegli organici, valutazione dei ruoli,etc.).

Per far questo, è stata però utilizza-ta una prospettiva altra: non tanto l’e-sposizione di teorie sull’organizzazio-ne, né il rendiconto esaustivo di sin-goli episodi (casi aziendali), quantopiuttosto il proporre alcune tappe nelcostruire ed adattare strumenti di dia-gnosi/apprendimento della realtà azien-dale insieme agli altri due attori isti-tuzionali - sino alla condivisione dei ri-sultati - con l’ottica, in ogni caso, direalizzare soluzioni organizzative disupporto al cambiamento.

L’intervento ha inteso quindi rag-giungere un duplice scopo: da un ver-so, presentare alcune di quelle che so-no le “expertises” altre che lo psicolo-go del lavoro deve sviluppare per es-sere in grado di operare nei confrontidell’ambiente organizzativo (qualun-que esso sia); dall’altro, condividere lacomplessità delle relazioni professio-nali e istituzionali, in ogni caso sempreorientate a fornire una capacità pro-gettuale di supporto del cambiamen-to.

Gli strumenti presentati hanno fattoquindi riferimento a metodologie og-gettivamente distanti dalla prassi dellopsicologo, in quanto di diretta deriva-zione dalla sociologia, dall’economia,dall’ingegneria gestionale, dall’informa-tica: l’ottica non è così rivolta unica-mente verso l’oggetto in sé, quanto piut-tosto al relativo processo d’implemen-tazione e condivisione dei risultati.

Gli strumenti che sono stati propo-sti fanno quindi riferimento a:

• L’analisi Prodotti/ Servizi• L’analisi strutturata dei Processi

(SADT)• Il disegno dei processi attraverso il

Flow Chart• L’analisi dei Ruoli (Hay)• La definizione dei Profili Professio-

nali• La Mappatura delle Professioni • La metodologia per il Dimensiona-

mento delle risorse attraverso un’a-nalisi di Bench Marking Internazio-nale

L’analisi prodotti/servizi - primo efondamentale tra gli strumenti propo-sto - rappresenta un esempio di comeuna tecnica per definire e valutare laproduttività (pratica di diretta deriva-zione dell’approccio tempi & metodi ditayloriana memoria) venga ad esseretrasformata in un modello di comuni-cazione tra attori diversi (il Personalee la Rete, tra i tecnici e non tecnici, tral’oggetto del cambiamento e chi ne ga-rantisce le coerenze organizzative perla sua attuazione).

L’analisi strutturata dei processi(SADT) è stata proposta non tantoquanto metodologia per lo sviluppoinformatico per la gestione di proces-si organizzativi, quanto piuttosto co-me la patrimonializzazione di conte-nuti di un linguaggio comune tra cul-ture aziendali diverse, in una formacondivisa e progettualmente fruibile;

Il Flow Chart, strumento fondamen-tale di disegno e di diagnosi dei pro-cessi, è stato presentato come la basepiù adatta per razionalizzare le fasi/at-tività di un processo, associare a que-ste i risultati attesi, tempi e responsa-bilità definite (il PERT), e per artico-lare lo sviluppo di un progetto in im-pegni condivisi in un orizzonte tem-porale concordato (il GANTT);

Il metodo Hay per l’analisi e la va-lutazione dei ruoli, ha introdotto il te-ma della costruzione degli strumentiper la gestione e lo sviluppo delle per-sone all’interno di un’organizzazione.

Il metodo rappresenta forse il temapiù critico, in quanto - da un verso - ti-ra in gioco le aspettative delle perso-ne nei confronti dell’azienda e - dal-l’altro - mostra i criteri attraverso i qua-li l’azienda esprime la valutazione del-l’importanza dei ruoli (e delle risorse

che li ricoprono) sui quali essa è artico-lata, nonché - non da ultimo - mette inluce il riverbero di tale criticità sull’a-zione dell’analista di organizzazioneche ne gestisca il processo di valutazio-ne;

Il Profilo Professionale costituiscel’elemento di base per il sistema di ge-stione del personale.

È stata così proposta la metodologia(di diretta derivazione Hay e dell’ana-lisi dei processi) per la sua definizio-ne, in termini di:

• Collocazione organizzativa dellapersona;

• Suo spazio di azione;• Know how posseduto;• Attese dell’organizzazione nei suoi

confronti;• Abilità che deve mettere in campo

per l’efficacie/efficiente coperturadella posizione.

La Mappatura delle Professioni (etutte le loro derivazioni metodologi-che) costituisce lo strumento fonda-mentale per lo sviluppo delle risorseumane. In quanto raccordo di tutti iprofili professionali, questa trova la suavalidità nella coerenza con i processiorganizzativi e di conseguenza con lafase di business dell’azienda.

Tale strumento consente quindi diindividuare:

• I sentieri di mobilità orizzontale edi sviluppo di carriera;

• I sentieri formativi e i relativi ma-cro contenuti;

• Le posizioni professionali chiave.È stata proposta sia la metodologia

per la sua corretta elaborazione, chela rappresentazione sintetica di unapossibile articolazione professionale diun’azienda di telecomunicazioni.

Infine il modello del Bench MarkingInternazionale è stato ripercorso at-traverso l’esposizione delle fasi preli-minari di un progetto di dimensiona-mento delle risorse.

L’approccio sistemico che fu alla ba-se della metodologia a suo tempo adot-tata, ha consentito di dare un assettoa temi organizzativi (quali l’efficienza,il posizionamento competitivo, le bestpractices) come elementi di confron-to per una valutazione critica dei ri-sultati dell’azienda in termini di perfor-mance rispetto ai “best in class”.

Nello specifico, è stata presentata lametodologia per la costruzione di unmodello di interfaccia con le organiz-

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zazioni partecipanti al “forum” e i pri-mi risultati in termini di parametri didimensionamento delle risorse.

L’intervento nelle sue intenzioni nonsi rivolgeva quindi unicamente agli “ad-detti ai lavori” (gli psicologi del lavoroe/ o dell’organizzazione), quanto piut-tosto a tutti coloro che, sotto varia for-ma o natura, operassero in contesti i-stituzionali (ASL, imprese, ammini-strazione dello Stato…) e che dalle e-sperienze trattate potessero sviluppa-re spunti di riflessione. Era rivoltoaltresì a tutti quelli che si stanno avvici-nando alla psicologia del lavoro comeuna prima immersione nelle tematicheaziendali.

Sabato 24 marzo 2007La Ricerca psicologica

in AntartideDott.ssa Denise Giuliana Ferravante, Psi-cologa del lavoro presso la Direzio-ne Risorse Umane dell’ENEAProfessore a contratto presso la fa-coltà di Psicologia, Università “LaSapienza”

PREMESSALa ricerca psicologica in Antartide

nasce dall’esigenza di studiare l’esse-re umano in condizioni di vita e di la-voro particolari, per studiarne la mo-dalità di adattamento e le strategie dicoping, gli effetti sull’umore, le strate-gie di relazione, le dinamiche di grup-po, l’organizzazione del lavoro, la ge-stione della leadership.

Il continente antartico, infatti, rap-presenta uno dei luoghi più ostili del-la terra perché è il continente più fred-do, più alto, più ventoso, più arido, piùinesplorato del pianeta.

È vasto 52 volte l’Italia, una volta emezza l’Europa, ed è coperto per il98% da una coltre di ghiaccio, la tem-peratura varia da 0° in estate (gennaio)sulla costa, fino a sfiorare i 90° sottolo zero in inverno a 3000 metri di quo-ta. I venti possono superare i 200 Kmorari.

È stato calcolato che, in certe condi-zioni estreme, il tempo di sopravviven-za di un uomo, senza un abbigliamen-to adeguato, potrebbe non superare i20 minuti.

In queste condizioni si trovano ad o-perare ricercatori di tutto il mondo chesi occupano di tematiche che riguarda-no il passato e l’evoluzione del piane-ta ma anche di aree di ricerca che a-vranno importanza per il futuro qualilo studio dell’assottigliamento dellostrato di ozono, l’effetto serra, la conta-minazione a livello planetario. Le areedi ricerca spaziano nei campi che van-no dall’astronomia al geomagnetismo,dalla sismologia alla glaciologia e mol-to altro ancora.

Durante il periodo di permanenza inAntartide i ricercatori vivono pressostrutture, basi di ricerca, che rappre-sentano il trionfo della scienza e dellatecnologia, costruite per resistere a ta-li condizioni atmosferiche, dotate, perquanto possibile, di tutti i comfort.

L’Italia è presente in Antartide condue basi, la base Mario Zucchelli, sul-la costa a Baia Terra Nova e la base

Concordia, sul platau antartico, a 3300metri di altitudine.

Presso quest’ultima base alcuni ri-cercatori passano nove mesi comple-tamente isolati dal resto del mondo,con la consapevolezza di non avere lapossibilità di sottrarsi a questa situa-zione perché la base, in quel periodo,non è raggiungibile in nessun modo econ nessun mezzo. Infatti la tempera-tura scende anche a 80° sotto lo zero,nei lunghi mesi della notte antarticanon c’è l’alternanza del giorno e dellanotte per cui il buio è totale, l’unicocontatto con il resto del mondo è rap-presentato dal telefono satellitare edalla posta elettronica.

Queste condizioni di confinamentorendono l’Antartide il luogo più adat-to per la ricerca psicologica in un am-biente estremo e isolato, per molti ver-si simile a quello spaziale.

A questo proposito rivestono un par-ticolare interesse per l’Ente SpazialeEuropeo, le attività di ricerca svoltepresso la base Concordia, che è unabase italo-francese, dove operano astretto contatto ricercatori e persona-le di supporto italiani e francesi, e do-ve la permanenza presso la base si pro-lunga per un intero anno, in condizio-ni di totale isolamento.

SELEZIONE E ADDESTRAMENTOPER LA SPEDIZIONE

L’ambito della ricerca psicologica inAntartide è stato presidiato, dal suonascere nel 1985, fino allo scorso an-no dal Prof. Antonio Peri, autorevolepsichiatra che ha partecipato a nume-rose spedizioni e che ha fatto parte,anche con il ruolo di Responsabile, delgruppo internazionale che si occupadella ricerca in Antartide per l’area me-dico-psicologica.

Dallo scorso anno sono subentrataal Prof. Peri nello svolgimento dell’at-tività di ricerca per il PNRA (Program-ma Nazionale di Ricerche in Antarti-de) con cui, già da qualche anno, colla-boravo per la valutazione psicodiagno-stica dei candidati.

Infatti i partecipanti alle spedizioniin Antartide vengono selezionati accu-ratamente e poi partecipano ad un cor-so di addestramento, anch’esso valuta-tivo, di due settimane: una presso ilCentro ENEA del Brasimone, sull’Ap-pennino, focalizzata essenzialmentesulle misure di sicurezza e sulle reazio-ni da adottare in situazioni di emergen-

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za, la seconda settimana, a cura dellaScuola Militare Alpina di Aosta, si svol-ge in tenda sul ghiacciaio del MonteBianco, a più di 2000 metri di quota.

L’obiettivo è quello di sperimentarele proprie capacità di adattamento incondizioni simili a quelle antartiche edi acquisire nozioni legate all’uso di di-spositivi satellitari per l’orientamento,oltre che per abituarsi a camminare sulghiaccio, a muoversi in cordata, a calar-si nei crepacci, e molto altro ancora.

Infatti, le condizioni in cui il persona-le si trova ad operare, durante la spe-dizione, sono particolari a partire daimezzi di protezione che sono spessopoco confortevoli, ingombranti, pocopratici. I locali della base possono es-sere rumorosi a causa del funziona-mento degli impianti, dove la tempe-ratura e l’umidità possono essere dif-ficilmente controllabili.

A questi fattori si aggiungono la man-canza di alternanza di luce e buio (du-rante le missioni estive è sempre gior-no per 24 ore, durante il periodo in-vernale è sempre notte). Le basi sonoconfortevoli ma si ha sempre la con-sapevolezza che si vive una situazionedove l’emergenza è in agguato: c’è ri-schio di incendio (l’aria è molto seccae il materiale è per lo più sintetico apartire dall’abbigliamento), si può gua-stare qualche impianto (le basi sonodotate di complessi impianti che con-sentono di avere ambienti riscaldati econfortevoli, di avere l’acqua corren-te, di utilizzare docce e bagni), si puòalzare improvvisamente il vento cata-batico che soffia a 200 km l’ora.

Oltre a queste limitazioni, legate afattori ambientali, si aggiungono dellelimitazioni di natura psicologica, do-vute all’isolamento e al confinamento,ma anche di natura organizzativa do-vute alla convivenza forzata per 24 oreal giorno, alla suddivisione dei compi-ti, all’organizzazione delle attività.

Inoltre in ambienti isolati e confina-ti, quali le stazioni di ricerca antarti-che con personale permanente, puòverificarsi una situazione di ridotta sti-molazione ambientale (REST) che puòessere causa di effetti psicologici consi-stenti nel peggioramento delle presta-zioni, depressione, e ritiro dal gruppo,alterazioni della percezione dello spa-zio e del tempo.

PRINCIPALI RISULTATI DELLE RICERCHE: STRESS E FATTORI DI DISAGIO

Da ricerche effettuate che hanno mi-surato l’intensità e la frequenza con cuile cause di disagio o stress hanno inte-ressato il personale delle spedizioni an-tartiche italiane, effettuate nel corsodell’estate australe, emerge che le fon-ti di disagio più rilevanti si riferisconoall’area affettivo-relazionale (la separa-zione dalle persone care, l’assenza o larestrizione all’intimità personale) piùche a quella fisico-ambientale.

Il moderato livello di disagio prodottodai fattori stressanti non produce ef-fetti dannosi immediati, e ciò forse èdovuto alle notevoli risorse materialidisponibili nelle spedizioni ma anchealla rigorosa selezione e preparazione,anche sul piano psicologico, del perso-nale.

Si riscontra un diverso grado di sen-sibilità verso gli agenti stressanti se siconfronta la propria percezione del-l’intensità e della frequenza delle cau-se di disagio, con quella degli altri com-pagni di spedizione. Questi vengonogiudicati molto più sensibili al disagiodi quanto ciascuno voglia ammettereper se stesso e le tematiche propostesono sempre quelle dell’isolamento edel confinamento.

Risultano, invece, prive di effetti ne-gativi le seguenti fonti di disagio: ri-pensamenti sulla decisione di parteci-pare alla spedizione, sensazione di di-scriminazione nell’assegnazione degliincarichi, trasferimenti da e per la ba-se, adattamento al clima esterno, attivi-tà continua con lo stesso gruppo dipersone.

Le strategie, a livello cognitivo com-portamentale, più frequentemente im-piegate per gestire il disagio sono l’ac-cettazione della situazione e la sua ri-considerazione in termini positivi. In-fatti si tratta di una situazione in cuil’ambiente è scarsamente modificabi-le perciò l’approccio utilizzato è quel-lo centrato sulla persona piuttosto chesulla modificazione della situazioneproblematica.

PRINCIPALI RISULTATI DELLE RICERCHE: FATTORI PREDITTIVI E ADATTAMENTO

La ricerca psicosociale ha permessodi affinare i criteri di selezione e di pre-parazione psicologica del personale

delle spedizioni italiane, e di identifi-care gli elementi predittivi e le manife-stazioni comportamentali dell’adatta-mento.

Dalle ricerche effettuate in questosenso emerge che, sebbene il concet-to di adattamento sia differenziato subase individuale, le scelte confluisco-no intorno a un numero limitato di ma-nifestazioni comportamentali: solida-rietà, affidabilità e competenza pro-fessionale, particolarmente funzionaliin un ambiente ostile. Fra i comporta-menti ritenuti importanti per il suc-cesso delle spedizioni un posto di rilie-vo spetta al rispetto delle misure disicurezza che è nettamente superiore,per importanza, ad altri comportamen-ti. I comportamenti più frequentemen-te adottati implicano un atteggiamen-to di tolleranza e di rispetto interper-sonale, di valorizzazione dell’ambien-te sociale e dell’atmosfera socio-emo-tiva di gruppo accanto alla autorealiz-zazione lavorativa.

I comportamenti più frequentemen-te osservati nei responsabili sembranocaratterizzare una leadership efficaceanche se più attenta ai problemi di pro-duttività che a quelli interpersonali.Tutti i comportamenti rispecchianomolto i valori dei soggetti in particola-re la competenza professionale, da ciòemerge la centralità del sistema valo-riale nella costruzione del concetto diadattamento e nella sua attuazioneconcreta.

In sintesi il comportamento di unmembro di spedizione ben adattato èquello di una persona che dimostracompetenza nel proprio lavoro, si di-mostra affidabile in caso di bisogno, siadatta alle condizioni di stress fisico eambientale, sviluppa e mantiene buo-ni rapporti sociali, mostra tolleranzaverso i cambiamenti e gli imprevisti,dimostra stabilità emotiva e senso diresponsabilità, rispetta la privacy e siattiene alle norme di sicurezza.

PRINCIPALI RISULTATI DELLE RICERCHE: SPEDIZIONI INVERNALI

Per finire, un’area di ricerca inte-ressante è quella che riguarda le spe-dizioni invernali cioè il personale chepassa un anno in isolamento.

Al termine del periodo di isolamen-to viene effettuato un debriefing at-traverso un’intervista semistrutturatae schede di self assessment finalizza-

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te a valutare alcune dimensioni relati-ve all’adattamento e al benessere psi-cofisico nel corso dei diversi mesi dipermanenza presso la base, durante iquali viene chiesto loro di risponderea questionari e test specifici, riferendo-si sia al vissuto individuale che a quel-lo di gruppo.

L’intervista semi-strutturata è foca-lizzata sull’elaborazione dell’esperien-za vissuta durante l’inverno ed in parti-colare approfondisce quelle che sonostate le sensazioni e le emozioni pro-vate, le eventuali differenze rispettoalle aspettative, gli elementi piacevolie quelli spiacevoli e le relative motiva-zioni.

Inoltre vengono approfonditi aspet-ti afferenti alla sfera relazionale, in par-ticolare alla qualità delle relazioni all’in-terno del gruppo, all’eventuale presen-za di sottogruppi, alla relazione con ilresponsabile di spedizione, all’evolu-zione delle dinamiche intergruppo edintragruppo, alle eventuali differenzefra ricercatori e logistici, fra italiani efrancesi, fra uomini e donne.

Nel novembre 2006, ho partecipatoalla XXII spedizione in Antartide pereffettuare il debriefing con il persona-le italiano che aveva trascorso il secon-do inverno a Concordia.

Il debriefing ha avuto, fra gli altri sco-pi, dal punto di vista dei partecipantiquello di riflettere sull’esperienza vis-suta e di pervenire ad una prima elabo-razione.

Dal punto di vista dell’organizzazio-ne ha permesso di rilevare i problemie le criticità per apportare cambiamen-ti nel corso delle prossime missioni in-vernali.

Tutti si sono dimostrati molto dispo-nibili e collaborativi, lo stato emotivoe le condizioni psichiche generali de-gli intervistati sono apparse assoluta-mente soddisfacenti.

Dai risultati emersi finora è emersoche il gruppo degli invernanti si per-cepisce come un gruppo reale, che haobiettivi comuni, che si adopera anchepraticamente per rendere la base piùconfortevole.

Si è osservato che la strategia di a-dattamento è basata sulla riduzionedella reattività nei confronti del disa-gio, una sorta di “economizzazione”delle risorse.

Si è evidenziato che, nel tempo, gliindividui tendono a prendere le distan-ze dalla situazione, riducono gli sforzimentali e comportamentali, tendono a

procrastinare e a rinviare l’analisi e lagestione di eventuali problemi.

Attualmente la ricerca è ancora incorso dal momento che si sta effet-tuando la terza campagna invernaleper la stazione italo francese.

BibliografiaFerravante D. G.: Rapporto sulla campa-

gna antartica, Estate australe 2006-2007, XXII Spedizione, PNRA, 2007

AA.VV.: 1985-2005 Venti anni di ricer-che in Antartide, PNRA, 2006

Peri A., Barbarito M., Ruffini M.C. (2002):L’adattamento psicosociale nelle spe-dizioni Antartiche: studio degli in-dicatori comportamentali, Estrattoda “Il Polo”

Peri A., Barbarito M., Ciufo A., Ruffini M.C.(2002): Le cause di disagio nelle spe-dizioni antartiche italiane, Estrattoda “Giornale di Medicina Militare”

Sabato 31 marzo 2007“L’utente tipo

di un ambulatorio pubblico di psicologia”

S. Angeli, Psicologo dirigente UOSDSM ASL RMB, didatta Istituto Ita-liano di Psicoanalisi di Gruppo, se-gretario scientifico Centro RicerchePsicoanalitiche di Gruppo, RomaM.P. Favali, Assistente sociale DSMASL RMB, sociologa, docente Politi-ca Sociale Corso di Laurea in Ser-vizio Sociale Università “La Sa-pienza”F. De Luca, Studente Corso di spe-cializzazione di Psicologia dina-mica e clinica

Con l’apertura dei cancelli dell’O-spedale Psichiatrico, Franco Basagliaha permesso un passaggio dal fuori aldentro e dal dentro al fuori. Da un la-to molte pratiche cliniche, sociali e divita sono entrate nell’ospedale inte-grandosi con la psichiatria per fornireun intervento multidisciplinare ai ri-coverati, dall’altro la follia è uscita dalrecinto e si è ricollocata nella società,dalla quale proveniva, attraverso la di-missione degli ex reclusi e l’impossibi-lità di praticare nuovi ricoveri.

Una riforma come quella introdottadalla legge 180 ha promosso un cam-biamento non solo organizzativo maanche culturale e scientifico.

Chi lavora nel campo della salutementale (sia nel pubblico che nel priva-to) da più di trenta anni sa del cambia-mento profondo dell’utenza in questoperiodo. Se all’apertura dei Centri diIgiene Mentale negli anni settanta, latotalità delle diagnosi erano nell’ambi-to della psicosi, oggi più della metà deicasi seguiti negli attuali Dipartimentidi Salute Mentale presentano diagnosinel campo delle nevrosi.

Sono pochi gli studi su questo im-portante fenomeno, perché in Italia laricerca non trova finanziamenti e per-ché non sempre i vertici delle ASL so-no interessati a modificare la loro or-ganizzazione (e quindi l’establismentstesso) in relazione al mutamento incorso nella società. Uno studio euro-peo1, denominato ESEMeD WMH, cheè stato condotto in 6 paesi europei tracui l’Italia nel 2002-03, ha fornito in-teressanti dati sulla prevalenza dei co-siddetti disturbi mentali comuni, ossiai disturbi depressivi, d’ansia, e quelli

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relativi all’abuso/dipendenza da alcool.Lo studio è stato effettuato sulla popo-lazione in generale, confermando leprecedenti ricerche. In Italia è statointervistato un campione rappresenta-tivo della popolazione adulta pari a6.508 persone. Le persone del campio-ne sono state intervistate a domicilioda personale della DOXA appositamen-te addestrato, utilizzando un’intervi-sta strutturata CIDI che consente didiagnosticare un disturbo mentale intre diversi periodi, nell’ultimo mese,nell’ultimo anno e nel corso della vita.Da questo studio emerge che un sog-getto su 5 ha sofferto di un disturbomentale nel corso della vita. Inoltre vie-ne confermano il sottoutilizzo dei servi-zi sanitari e in particolare dei servizi disalute mentale da parte di coloro chesoffrono di disturbi mentali di tipo nonpsicotico.

È naturale che gli psicologi, siano trai professionisti maggiormente interes-sati da questo nuovo gruppo di utenti,sia perché spesso le patologie presen-tate trovano una soluzione efficace nel-le psicoterapie, sia perché la com-petenza dello psicologo nel campo è ri-conosciuta dall’opinione pubblica.

Nella ASL RM B è attivo da dieci an-ni un ambulatorio del Dipartimento diSalute Mentale (nel quale operano psi-cologi ed assistenti sociali) rivolto spe-cificamente agli adulti che fanno richie-sta di avere un incontro con lo psicolo-go. Si tratta di un ambulatorio che siqualifica semplicemente sulla richie-sta degli utenti (che da una ricerca sulcampo realizzata nel 1994 risultavacongrua in più del 90% dei casi).

Dieci anni di attività sono un temposufficiente per rodare un modello diintervento e realizzare uno studio epi-demiologico che possa dare alcune in-dicazioni su chi siano questi “nuovi u-tenti”.

L’episteme che sottintende l’attivitàsi fonda sul considerare con Freud che“la psicologia individuale è al tempostesso, fin dall’inizio, psicologia socia-le” e quindi nel puntare l’attenzione algruppo sia nel senso di luogo di vitadell’utente che come strumento di la-voro per gli operatori.

L’ambulatorio è situato nel X munici-pio Cinecittà a Roma, il quartiere è nelquadrante sud-est della città, è servi-to per una certa quota dalla metropo-litana, ma oltre questa parte centrale

esistono delle zone più periferiche, cheuna volta erano borgate.

In base ai dati dell’ufficio statisticodel comune di Roma le persone resi-denti nel territorio al 31.12.05 sonocirca 184.000, come una città di mediagrandezza quali Reggio Calabria o Biel-la; questo dato è pressoché stabile intutto il periodo considerato 1996-2005dalla nostra ricerca.

Il modello di lavoro che si svolge nel-l’ambulatorio è comprensibile attra-verso la descrizione di una delle varieattività che vi si svolge: il percorso chefa l’utente dal momento in cui preno-ta un incontro a quando viene preso incarico.

Lo indichiamo con un il disegno diun tronco di piramide rovesciato, unimbuto.

A fronte di 282 persone che chiedo-no un appuntamento, se ne presenta-no 234 (83%), concludono la consulta-zione 174 persone pari al 62%, a 106(38%) viene proposto un trattamentonell’ambulatorio e 66 (24%) lo inizia-no effettivamente.

La grande attenzione alla fase dellavalutazione diagnostica, realizzata inquattro incontri con il paziente e unariunione clinica sul caso, permette discremare, attraverso vari passaggi i po-chi utenti che hanno necessità di un in-tervento specifico, protratto nel tempo.

È un procedimento lungo e appa-rentemente complesso, se lo immagi-nato applicato su tutti i casi che si pre-sentano. Come per l’imbuto che cono-sciamo nella realtà, l’efficienza dipen-de dalla solidità delle superfici che de-vono sostenere la spinta di ciò che inesso viene immesso. Nel nostro lavoroqueste superfici sono rappresentatedall’equipe di lavoro che per svolgereadeguatamente il suo compito deve a-vere un tempo e una modalità specifi-ca di funzionamento e soprattutto de-ve poggiare su un modello democrati-co di gestione del potere.

Con questo modello di lavoro siamostati in grado di mantenerci costante-mente sotto il livello della saturazionedel tempo lavoro ed accogliere in die-ci anni 1876 utenti.

Oggi possiamo studiare questo grup-po di 1876 utenti con gli strumenti del-la epidemiologia e della statistica, co-sì da poter dire nel linguaggio corren-te “chi sono le persone che si rivolgo-

no ad uno psicologo in un servizio pub-blico”.

Il 68% del campione considerato èdi sesso femminile, tale dato risulta es-sere in linea con quanto emerso dallostudio europeo sulla prevalenza dei di-sturbi mentali comuni. Oltre il 50% delcampione è di età compresa tra i 25 ei 44 anni, va inoltre segnalato che cir-ca il 20 % ha meno di 25 anni. La metàdegli utenti risultano essere coniugatied occupati.

Pertanto attraverso la cluster analy-sis, considerando le variabili sesso, età,stato civile, titolo di studio, attività pre-valente e orientamento diagnostico e-mergono alcuni cluster, siamo cioè nel-la condizione di individuare gli utentitipo del servizio stesso.

Il concetto di tipo permette di preci-sare la forma esemplare cui si posso-no ricondurre i singoli, mettendo in re-lazione tra loro le varie caratteristichedel campione, in altre parole ci per-mette di definire quali sono gli utentiche si rivolgono al nostro servizio attra-verso le caratteristiche più significati-ve da un punto di vista statistico.

Per gli uomini ne emergono tre: � i celibi di età compresa tra i 25 e i

34 anni, occupati, con un titolo distudio di licenza media superiore edisturbi dell’area nevrotica;

� i coniugati con età compresa tra i35 e i 44 anni, anch’essi occupaticon titolo di studio di licenza me-dia superiore e disturbi dell’areanevrotica;

� i celibi di età compresa tra i 17 e i34 anni, con un titolo di studio siadi licenza media superiore sia infe-riore, che oltre ad avere come i pre-cedenti disturbi dell’area nevroti-ca, risultano essere o studenti o di-soccupati.

Per le donne invece ne emergonodue:� le nubili, di età compresa tra i 17 e

i 34 anni, con titolo di studio di li-cenza media superiore, occupate ostudentesse e con disturbi dell’areanevrotica;

� le coniugate con età tra i 25 e i 44anni, occupate con titolo di studiodi licenza media superiore e con di-sturbi dell’area nevrotica.

I dati forniscono indicazioni utili suun piano clinico e di organizzazione diservizi. La cosa certa è che con la chiu-

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sura dei manicomi le difficoltà, i di-sturbi psicologici sono meno stigmatiz-zati.

Emergono, quindi, prima e in formepiù affrontabili. Possiamo dire quindiche sono uno dei prodotti del viverecomune. I nostri utenti non vivono aimargini della nostra società, anzi nesono una degna rappresentazione.

1 AA.VV., Prevalenza dei disturbi mentali co-muni in Italia, fattori di rischio, stato di salu-te ed uso dei Servizi sanitari: il progetto ESE-MED-WMH, Epidemiologia e psichiatria so-ciale, monograph supplement 8, Il Pensieroscientifico Editore.

Venerdì 13 aprilePeculiarità del lavoro

con le famiglie nelle Comunità Terapeutiche:

strategie per il coinvolgimento efficace dei parenti

nei setting residenzialiFelice Damiano Torricelli, PsicologoPsicoterapeuta Direttore di Pro-gramma Comunità Reverie - Cape-na (Roma)

Gli interventi sulle famiglie sono og-gi considerati una componente essen-ziale, se non irrinunciabile, nel tratta-mento delle psicosi.

Se già gli “alienisti” del XIX secoloavevano intuito l’importanza delle re-lazioni familiari nel condizionare il de-corso della malattia mentale è però ne-gli anni ‘50 e ‘60, con l’inizio della dei-stituzionalizzazione in molti Paesi oc-cidentali, che la fine della segregazio-ne manicomiale comporta un incre-mento dei contatti dei pazienti con illoro ambiente di appartenenza ed inparticolare, ovviamente, con il nucleofamiliare.

In quel periodo negli Stati Uniti gua-dagnavano rilievo e diffusione le psi-coterapie, soprattutto la psicanalisi.Frieda Fromm-Reichmann aveva co-niato il termine di “madre schizofre-nogena”; Harold Searles scriveva, al-la fine degli anni ‘50, un articolo dal ti-tolo “Il tentativo di far impazzirel’altro partecipante al rapporto: unacomponente dell’eziologia e dellapsicoterapia della schizofrenia”, incui delineava le modalità attraverso lequali uno o più familiari mettono il pa-ziente in situazioni insostenibili, peruscire dalle quali l’unica strada di cuiquesti dispone è lo sviluppo di sinto-mi psicotici.

Assieme a questo clima culturale inambito psichiatrico determinante perla nascita della psicoterapia familiarefu poi la diffusione della teoria ciber-netica dei sistemi applicata alle scien-ze sociali e psicologiche, che portò unacrescente attenzione verso il contestoin cui l’individuo è inserito. I pionieridella terapia familiare consideravano isintomi, le difese, la struttura del ca-rattere e la personalità come espres-sioni che descrivono le interazioni ti-piche dell’individuo in risposta a unparticolare contesto interpersonale,anziché come entità intrapsichiche. L’i-dea di aver scoperto nella famiglia la

causa delle patologie portò i primi te-rapeuti della famiglia a mostrare ver-so le famiglie un atteggiamento com-battivo, sottilmente ostile. La premes-sa, comune a tutti, era che i pazientidovevano essere salvati, riscattati, e-mancipati dalle famiglie.

All’inizio della deistituzionalizzazio-ne in Inghilterra, poi, George Brownosservò che, contrariamente a quantoci si poteva attendere, i pazienti dimes-si dall’ospedale psichiatrico e tornati avivere nella loro famiglia (anziché dasoli o in altro tipo di convivenza) era-no quelli che andavano incontro piùfrequentemente a ricadute. Questamaggiore frequenza delle ricadute siverificava, tipicamente, in famiglie ca-ratterizzate da un particolare climaemotivo, in cui erano particolarmentefrequenti, nei confronti del paziente,l’ipercoinvolgimento emotivo, i com-menti critici, l’ostilità. Brown svi-luppò la teoria delle emozioni espres-se (Expressed Emotion, EE). Venne-ro quindi elaborati modelli di inter-vento, sulle famiglie che presentavanole caratteristiche descritte (ad AltaEmotività Espressa), che prevedeva-no fondamentalmente di fornire agruppi di familiari informazioni sullaschizofrenia con lo scopo di ridurre laloro emotività espressa. Per definirequesto tipo di interventi venne intro-dotto il termine “Psychoeducation”Psioeducazione.

Con la riforma psichiatrica in Italia,nel 1978, i familiari entrarono da pro-tagonisti sullo scenario dei nuovi ser-vizi. Pazienti con disturbi gravi che so-lo pochi anni prima avrebbero trovatorisposte più o meno definitive nel ma-nicomio vivevano ora nel loro ambien-te naturale, con la propria famiglia nu-cleare. L’approccio farmacologico nonera sufficiente ad aver ragione dellacomplessità che si andava delineando.In questo contesto l’esigenza degli ope-ratori di trovare altri sbocchi incontrònaturalmente il fermento che andavacrescendo intorno alla terapia familia-re, nata all’origine, proprio nel con-fronto con gravi casi di schizofrenia.

Negli anni ‘90, poi, è intervenuto nel-lo scenario italiano un nuovo elemen-to: le strutture intermedie, che sin dal-l’inizio si sono proposte per la gestio-ne intensiva dei casi gravi.

Nate nell’Inghilterra della secondaguerra mondiale dalla necessità di a-dattare i mezzi terapeutici della psi-chiatria alle ristrettezze e all’organiz-

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zazione bellica, le comunità terapeuti-che hanno costituito, assieme agli psi-cofarmaci, forse la più importante no-vità terapeutica in campo psichiatricodella seconda metà del XX secolo.

Fin dagli anni ‘50 le Comunità Tera-peutiche (CT) sono state oggetto distudio e di riflessione teorica, oltre checampo sperimentale di terapia psichi-ca. Per descriverne il funzionamento ela “quintessenza” terapeutica l’antro-pologo Rapoport, che per primo fu chia-mato a studiarle, propose i termini diDemocraticità, Tolleranza, Comu-nalismo e Confronto con la Realtà.Oggi sono state introdotte definizioniche, pur non differenziando sostanzial-mente il loro contenuto concettuale daquelle di Rapoport, sono più orientatea tener conto del fondamentale contri-buto della teoria dell’attaccamento al-la comprensione dello sviluppo dei pro-cessi psichici. I cinque principi sotto-stanti l’operato di una comunità tera-peutica secondo il collega R. Haigh - At-taccamento, Contenimento, Comu-nicazione, Partecipazione (Involv-ment) e Attività (Agency) - possonoaltresì considerarsi come una sequen-za semplificata del normale sviluppo delsenso di sé in relazione agli altri: dallavulnerabilità dell’attaccamento, agli a-spetti di sostegno (holding) materna epaterna del contenimento, alla socializ-zazione tramite la comunicazione ver-bale, alla lotta adolescenziale della par-tecipazione per sentirsi parte di un tut-to e trovare un posto tra gli altri indivi-dui, per giungere infine alla posizioneadulta del percepirsi come agente dicambiamento. Mentre attaccamento,contenimento e comunicazione sonoqualità che si trovano all’interno di tut-ti i setting psicoterapeutici, parteci-pazione (involvment) e attività (agen-cy) sono specifici della Comunità Te-rapeutica e si riferiscono al senso di mu-tua dipendenza, responsabilità reci-proca e consapevolezza profonda di sécome sede dell’autorità e del potere.

Ora, se in Inghilterra le CT si svi-luppano come approccio elettivo peril trattamento dei disturbi di persona-lità, in Italia esse si propongono e siimpongono come luogo di cura resi-denziale per le patologie dello spettropsicotico, che con la legge 180 nonhanno più la sponda manicomiale. InItalia le Comunità Terapeutiche resi-denziali giungono, alla fine degli anni‘90, ad essere oltre 1300 con circa17.000 pazienti.

Il contesto terapeutico delle strut-ture residenziali si impone per alcunecondizioni che ne caratterizzano for-temente la peculiarità e che sono po-tenzialmente collusive con la famiglia:la convivenza prolungata, la con-divisione della quotidianità e l’in-tensità degli affetti che si struttura-no nel rapporto tra utente e operato-re nella CTR, spesso portano a struttu-rare dinamiche conflittuali tra Comu-nità e famiglie intorno all’appartenen-za del paziente. L’allontanamento spa-ziale del paziente dalla sua famiglia el’adesione all’istituzione comunitaria -che si propone, più o meno esplicita-mente, come famiglia alternativa,buona, accogliente e sensibile - sem-bra sottolineare le manchevolezze del-la famiglia reale ancorando alla realtàfantasie di incapacità e colpa che ren-dono più complicato (a volte impossi-bile) il percorso di individuazione of-ferto al paziente. L’incapacità di leg-gere i comportamenti contraddittoridei familiari nei confronti della comu-nità come risultato di questo rimandoimplicito e la difficoltà a coinvolgerliattivamente nel percorso terapeutico-riabilitativo sono state spesso alla ba-se di fallimenti.

Le famiglie, cioè, tendono ad assu-mere una posizione apparentementedelegante segnalando la richiesta di unrapporto CT-paziente totalizzante.Contemporaneamente attuano, però,comportamenti che indicano la loronon adesione alla delega e alle regoledella CT proponendo un’ostilità di fon-do e una perseverante tendenza a cri-ticare negativamente a posteriori lestrategie terapeutiche offerte dalla CTal loro congiunto.

Alla luce di queste osservazioni,quindi, l’attenzione dei colleghi impe-gnati nel lavoro con le famiglie all’inter-no delle CT viene posta non sul “rom-pere i circuiti disfunzionali di invi-schiamento e appartenenze confusive”ma sull’“accettare” il tipo di legami chela famiglia presenta, per comprende-re assieme ad essa il significato che ta-li legami hanno rispetto all’espressio-ne dei bisogni dei suoi membri e alcontenimento di paure legate alla per-dita che accompagna ogni processo dicrescita. La famiglia, allora, oltre ad es-sere coinvolta in ogni scelta importanteriguardante il paziente, partecipa adincontri periodici congiunti con l’ope-ratore che segue il caso del loro pa-rente, il paziente stesso e uno psico-

terapeuta. Si cerca così di prevenirel’evocarsi di fantasmi di non so-pravvivenza collegati ad ansie di se-parazione, i cui aspetti più consapevolivengono connotati come risultato delgrande affetto che lega i membri del-la famiglia.

Particolare attenzione viene posta,più di recente, all’approccio di grup-po multifamiliare, proposto da J.G.Badaracco.

Il gruppo multifamiliare, che preve-de la partecipazione di più nuclei fa-miliari e degli operatori ad incontri ple-nari periodici, è il luogo in cui, secon-do Badaracco, da un lato si manifestanella forma più chiara la patologiamentale grave, dall’altro si vengono acostituire le condizioni migliori per lacura di questa patologia. Al suo inter-no i componenti dei diversi nuclei fa-miliari possono permettersi di verifi-care che la situazione che vivono nonè da nascondere, né a sé stessi né aglialtri, ma che è condivisibile e confron-tabile con quella di altre persone. Ciòconsente di costituire un clima di col-laborazione feconda tra tutti i presen-ti. Per gli operatori, poi, risulta possi-bile osservare all’opera le identifica-zioni patologiche e patogene che inter-corrono tra un paziente e un genitoree viceversa, meccanismi che Badarac-co identifica come le fondamentali en-tità patologiche che devono esser mes-se in discussione per permettere alpaziente di iniziare a costruire unanuova identità.

Bibliografia essenziale in italianoGarcia Badaracco J.E. (2003): Psicoana-

lisi multifamiliare. Gli altri in noi ela scoperta di noi stessi, edizione ita-liana a cura di Andrea Narracci. Bolla-ti Boringhieri, Torino, 2003;

Garcia Badaracco J.E (1997): La comu-nità terapeutica psicoanalitica distruttura multifamiliare, Milano,Franco Angeli;

Lombardo A. (2004): La comunità psi-coterapeutica: cultura, strumenti,tecnica, Milano, Franco Angeli;

Rapoport R.N. (1982): L’ideologia dell’u-nità in Lang M.: Strutture interme-die in psichiatria, Milano, RaffaelloCortina Editore;

Torricelli F.D. (1997): Lavorare con le fa-miglie nelle comunità terapeutichein Psicobiettivo, anno 15, n. 2.

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Sabato 14 aprile“Promuovere approcci innovativi

alla gestione delle personein azienda.

Il contributo dell'umorismo al management”

Dr. Stefano Greco, Psicologo, dal 1992lavora sul campo come Consulentedi Direzione aziendale nei proces-si di gestione e sviluppo delle Per-sone. Si occupa in particolare di As-sessment, Selezione, Formazionemanageriale e commerciale. Scrivesaggi ed articoli di Management,Psicologia, [email protected]

Qualcuno crede che il concetto di in-novazione riguardi soltanto i settoridell’Information and CommunicationTechnology e della Ricerca scientifica.

In realtà, ancora prima delle tecno-logie, l’innovazione vera e propria ri-guarda il pensiero dell’uomo e la suavisione della vita.

Aristotele, Gesù, Siddharta, Galileo,Copernico, Freud, Gandhi, Gorbaciov,rappresentano solo alcuni esempi dipersonaggi la cui leadership ha rivolu-zionato il modo di intendere ed inter-pretare gli eventi umani, cambiando difatto la storia del mondo.

Credo che oggi, nella dimensione delquotidiano, la sfida del diventare in-novativi riguardi molto coloro che ge-stiscono le persone sul lavoro, vale adire il Management delle organizzazio-ni.

In questo momento storico di abusodegli strumenti normativi sulla flessi-bilità, di mobbing, di eserciti di freelance e post manager alla rabbiosa con-quista del mercato, di pressioni sui ri-sultati da conseguire in tempi semprepiù brevi, di cambiamenti repentini espesso radicali, sorridere e far sorri-dere non è impresa facile.

Il contributo dell’umorismo, in que-sta prospettiva, può essere notevolema attenzione: non si tratta di sommi-nistrare con imprudenza e superficia-lità delle “pillole di buon umore” - co-me una forzata barzelletta nell’intro-durre un’importante riunione o un vol-gare gossip durante la pausa caffè -ma di arricchire lo stile di leadershipdi risorse psicologiche ed emotive ingrado di tirar fuori le persone e le or-ganizzazioni dalle pericolose sabbiemobili del pessimismo e dell’inerzia,ancorandole ad una prospettiva di fi-

ducia, di benessere e di motivazione.La “strana coppia” Umorismo e Ma-

nagement - questo ultimo termine in-teso sia come gestione delle persone -leadership - sia come gestione di sestessi e delle crisi emozionali che pos-sono verificarsi negli ambiti lavorativima anche personali - Self Management- si configura dunque come il nuovoparadigma di pensiero in grado di ap-portare un benefico ed auspicabilecambiamento delle culture organizza-tive, ancora troppo caratterizzate dal-la convinzione che “ridere sul lavoronon è indice di serietà, professionalitàe/o affidabilità…”.

Proprio a causa di tali impostazionie forme mentali rigide, questo nuovoparadigma si trova ancora nella sua fa-se“eroica”, per dirla con Thomas Khun,vale a dire nella fase in cui il “cambiodella metafora di riferimento” è appe-na iniziato.

In altre parole, diversi manager epolitici vivono ancora nel vecchio para-digma/schema della seriosità, del for-malismo burocratico e dell’eserciziodel potere fine a se stesso che spessofavoriscono atteggiamenti di presun-zione, arroganza e/o di finzione.

L’aspetto maggiormente evidente og-gi è che un numero considerevole dimanager dimostra grandi difficoltà nelriconoscere la propria inadeguatezzanel ricoprire il ruolo di comando so-prattutto dal punto di vista della ge-stione delle persone.

Questo succede perché, a volte, nonsanno come riconoscerlo - non hannole chiavi di lettura appropriate - men-tre in altri casi, fatto ancora più grave,perché non vogliono riconoscerlo equindi ammetterlo.

Le conseguenze di tale situazione so-no:

1. Il ruolo di capo viene esercitatocome una mera espressione di au-torità

2. Il clima psicologico all’interno deiteam degenera progressivamentein uno stato di negatività.

3. I costi emotivi, sostenuti dalle per-sone in termini di stress e “sop-portazione”, salgono a dismisura.

Tuttavia, “chi è innocente scagli laprima pietra” nel senso che è vero chele prime responsabilità di ogni organiz-zazione sono di chi le gestisce ma ognilavoratore deve assumersi la sua quo-ta parte di responsabilità nel vivere ilproprio contesto di lavoro in modo co-

struttivo. Tale considerazione pratica richia-

ma l’attuale necessità di “sentirsi citta-dino dell’impresa”, dove ognuno è chia-mato a dare il suo contributo in base aprecisi diritti e doveri, trasformando illagnoso lamento in una critica costrut-tiva o, ancora meglio, in una soluzioneefficace di cambiamento.

Molte persone vivono ancora oggi nel-lo schema, ormai stantio, del lavoro in-teso come sofferenza, rottura di scatoleo, nella “migliore” delle ipotesi, comemezzo per “arrivare alla fine del mese”.Ce ne accorgiamo dal linguaggio che ri-vela sempre, alla persona attente ed in-tuitiva, schemi di pensiero, atteggia-menti e convinzioni più o meno radica-te che poi danno vita a comportamen-ti tutt’altro che umoristici.

Un campanello d’allarme sta dunquegià suonando da tempo ed è quello del-la sofferenza attualmente diffusa al-l’interno delle organizzazioni e ancheall’esterno - per chi non trova lavoro,chi l’ha perso, chi ogni giorno devevendere sul mercato la propria compe-tenza come libero professionista.

Credo che sia urgente porsi delle do-mande, prima che fornire risposte.

Perché questo accade? Perché oggisempre più persone sono “disorienta-te” non solo rispetto al mercato del la-voro ma anche e soprattutto rispettoa se stesse? Perché sul lavoro semprepiù persone scaricano materiale porno-grafico da Internet, chattano, giocanocon i solitari al pc e diventano ognigiorno che passa sempre più ingrigitenell’animo?

Molto probabilmente, perché non c’ènessuno che le gestisca in modo “dif-ferente dal solito”, che si preoccupi di“animare” l’ambiente di lavoro con unostile di leadership in grado di porsi co-me antidoto efficace alla noia, alla ripe-tizione, alla “freddezza” di alcune attivi-tà lavorative.

La maggior parte dei problemi e del-le insoddisfazioni sul lavoro, infatti, nonnascono tanto dalla natura dei compi-ti da svolgere, quanto dalla natura…della natura umana!

Quello che molti libri di management“dimenticano” di scrivere è che le per-sone sono esseri umani continuamen-te bisognosi, vulnerabili ed “umorali”,pronti ad entusiasmarsi o a deprimer-si, esattamente così come lo sono a ca-sa od in altri contesti privati.

L’umorismo - la cui radice del termi-ne la dice lunga riguardo i suoi signifi-

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cati psicologici ed emotivi - è una ri-sorsa che stempera e trasforma gli u-mori negativi, contribuendo a riequili-brare persone e sistemi.

Tuttavia, nello stesso tempo, biso-gna fare attenzione a non cadere nell’e-stremo opposto del cosiddetto “Effet-to Circo Barnum”.

Un clima costantemente ridancianoe/o culture del lavoro troppo informa-li e disinvolte possono mettere in dif-ficoltà il capo nell’esercitare quella ne-cessaria disciplina che serve per svol-gere le attività e qualche collaborato-re poco responsabile, di conseguenza,può approfittarsi della situazione.

È importante sottolineare che que-sto nuovo paradigma di pensiero defi-nisce il concetto di umorismo come u-na “risorsa-competenza managerialecomplessa” impiegata su un triplice li-vello: comunicativo-relazionale-gestio-nale.

Possiamo dunque definire il mana-ger dotato di umorismo un “CompanyEnergizer”, un “personaggio” che sti-mola costruttivamente le persone sen-za stressarle, che sa bilanciare effica-cemente il momento dell’operativitàcon quello della distensione ed è con-sapevole del fatto che una sana risatarappresenta una momentanea vacan-za per tutti.

Se è vero che l’umorismo costituisceun efficace antidoto ai veleni della mo-sceria, dell’abulia, e della rassegnazio-ne, è altrettanto vero che l’abuso lo tra-sforma in un pericoloso “rumorismo difondo” che va ad inquinare l’ambientedi lavoro. Barzellette che non fanno ri-dere o percepite come fuori luogo, pet-tegolezzi irrispettosi, l’esprimersi at-traverso un uso eccessivo di metaforee/o citazioni, il pubblicizzare vignettepiù o meno “sataniche”, sortiscono e-sattamente l’effetto contrario a quellosperato, generando forte perplessità,stress ed anche situazioni di conflittua-lità.

L’umorismo deve essere sempre “sa-fe”, sicuro, e riconosciuto come parteintegrante - e non sostitutiva! - di unostile di leadership brillante ed orienta-to a valorizzare le persone con i fattie non con le chiacchiere.

Le persone, infatti, accettano e vi-vono “positivamente” solo l’umorismoproveniente da capi che stimano e chehanno provveduto prima a soddisfareesigenze di riconoscimento ed efficien-za sul lavoro, se non addirittura biso-gni primari di sicurezza economica.

La naturale conseguenza di un am-biente di lavoro gestito “ad arte” è chela motivazione delle persone a raggiun-gere i risultati richiesti diventa anco-ra più forte ed incisiva.

Un principio manageriale ci ricordainfatti che: “Diamo il meglio di noi stes-si quando ci divertiamo nel fare quel-la cosa, vale a dire troviamo stimoli im-portanti ed in un certo senso unici”.

In questa prospettiva, l’umorismoagisce da “catalizzatore di creatività”,favorendo nelle persone la capacità di“giocare” con le idee ed i pensieri persviluppare nuove connessioni ed as-sociazioni mentali. Tuttavia, l’umori-smo è una risorsa necessaria ma nonsufficiente. Bisogna ricordarsi, infatti,che il terreno dove nascono e cresco-no le soluzioni va prima arato con unatteggiamento fortemente orientato airisultati, poi fertilizzato con umorismoe creatività, infine innaffiato di com-petenze tecniche e manageriali.

E quando l’umorismo manca?Allora ci troviamo al triste cospetto

di “Ininspiring Leader” e “IninspiringOrganizations”, leader e organizzazio-ni senza ispirazione, con tutto quelloche tale situazione comporta in termi-ni di costi emotivi e psicologici.

Cosa fare, in sintesi, per sviluppareuna leadership innovativa attraversol’umorismo?

Prima di tutto, somministrarsi unabuona dose di autoironia perché, co-me sostiene Roberto Gervaso, “Nessunuomo è più serio di chi sa ridere di sestesso”.

In secondo luogo, bisogna lavorareconcretamente su se stessi ponendo-si alcune domande “scomode” del ti-po:

- Come vivono la mia presenza o lamia assenza (!) in ufficio i miei col-laboratori?

- Quando tengo una riunione, qual èil bilancio, tra sbadigli, sorrisi esguardi in cagnesco?

- In che modo sarò ricordato in fu-turo dai miei collaboratori?

- Li considero “risorse umane” o Per-sone?

- Da 1 (poco) a 10 (molto), quantoumorismo metto nel mio lavoro?

Le risposte, che naturalmente devo-no essere sincere, indirizzano il mana-ger verso una nuova consapevolezzadel suo modo di esprimere la leader-ship nei contesti organizzativi.

E chi non crede nell’importanza onella necessità di rinnovarsi?

Rischia che dietro le sue spalle i col-laboratori sussurrino:

“È portatore sano di umorismo, cel’ha ma non gli fa niente!”.

Riferimenti bibliograficiGreco Stefano, “Umorismo & Manage-

ment. Una leadership a colpi di sor-riso. Come sviluppare un approccioinnovativo nella gestione delle per-sone in azienda” Franco Angeli, Mi-lano, 2006

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Venerdì 27 aprile 2007Un protocollo sistemico

nella psicologia dello sport Come migliorare la Performance

di uno psicologo sportivoProf. Vincent Kenny, Psicologo, Psi-coterapeuta, già Professore pressol’University College Dublin - Pro-fessorial Unit, Dept. of Psychiatry,University College Dublin, Ireland.Direttore del programma di forma-zione in psicoterapia (il ‘Masters inMedical Science in Psychotherapy’),Direttore dell’Accademia Costrutti-vista di Terapia Sistemica a RomaE-mail: [email protected]

[email protected] Dott. Simone Forni, Psicologo dell’etàevolutiva, Psicoterapeuta indivi-duale e di gruppo, Psicologo delloSportE-mail: [email protected]

[email protected]

Da almeno 30 anni la preparazionepsicologica è entrata a far parte dell’al-lenamento svolto dagli atleti che si pre-parano a gareggiare nelle competizio-ni più importanti. La psicologia dellosport, che nasce da una specializzazio-ne della psicologia applicata e dellescienze motorie, ha avuto negli ultimianni un sempre più ampio spazio ap-plicativo. È dentro a questo nuovo sce-nario che lo psicologo diventa figuraindispensabile e fonte di risorse. Ciòche sappiamo da tempo è che l’attivitàdello psicologo deve necessariamenterispettare alcune importanti tappe del-la formazione ora più che mai specifi-ca e qualificata. Se è vero questo, è al-trettanto vero che debba conoscere ladisciplina sportiva in cui è chiamato adoperare, affinché il suo lavoro possaavere la possibilità di trasformare posi-tivamente, attraverso il suo interven-to, l’esperienza dell’atleta o del grup-po squadra. La questione, quindi, nonsi riferisce alle conoscenze relative al-le regole di quello sport e alle modali-tà di svolgimento della competizione,quanto piuttosto alle implicazionipsicologiche che ne derivano. Per ren-dere operativo e performante il suolavoro, lo psicologo deve saper dialoga-re con le diverse figure dell’ambientesportivo. L’allenatore, l’atleta o il grup-po squadra, così come i dirigenti dellasocietà sportiva rappresentano pas-saggi obbligati all’interno dei quali èpossibile apportare il proprio contribu-

to. Un programma di allenamento psi-cologico non può non nascere dall’inte-razione tra queste figure e da unaattenta osservazione dell’ambiente incui queste si trovano ad agire. Se è ve-ro, e lo è, che per un atleta il limite èuna possibilità è altrettanto vero consi-derare la nostra formazione come unpercorso, una continua implementa-zione. I limiti non sono confini o trin-cee ma occasioni per orientare la no-stra conoscenza.

Conoscere la motivazione, lo stress,l’ansia da prestazione o le diverse tec-niche di concentrazione, senza legar-le all’atleta, alla sua disciplina sporti-va e all’ambiente sportivo nel qualequeste hanno luogo, non ci aiuta di cer-to a capire dove siamo e cosa possia-mo fare. Lo psicologo deve conoscerequali sono i programmi dell’allenatore,deve sapere in quali ambiti l’atleta in-tende migliorare o potenziare le pro-prie abilità fisiche e mentali; così co-me quando si ha a che fare con ungruppo squadra si deve sapere comeorientare il gruppo perché questo di-venti sempre più consapevole delle suerisorse e delle sue potenzialità inter-ne. Insomma, se crediamo fermamen-te che una prestazione sportiva di al-to livello possa essere raggiunta soloattraverso un lento e sistematico lavo-ro fisico e tecnico dobbiamo credereche uno stato mentale debba neces-sariamente avere il suo spazio siste-matico nel quale sia possibile allena-re i pensieri. L’intervento dello psi-cologo sarà quello di portare l’atleta, oil gruppo squadra, a lavorare sul sé -sul sé emotivo, corporeo e gruppale-all’interno dello spazio creato dalla re-lazione. È all’interno di questa dimen-sione che sarà possibile scambiare pen-sieri e soprattutto emozioni. Un rap-porto così costituito permetterà all’a-tleta di completare il suo allenamento.

La psicologia dello sport sta diven-tando uno strumento visibile e neces-sario ad atleti e società. Le ricerche inambito sportivo ci aiutano a miglioraresempre di più il nostro lavoro sul men-tal training. Ma cosa fa uno psicologodi fronte al suo obiettivo? Quali risul-tati deve perseguire? Come può mi-gliorare la sua prestazione? Se una pre-stazione eccezionale dell’atleta nasceda una capacità di concentrazione suciò che in quel momento è in suo po-tere fare, qual è l’atteggiamento dellopsicologo rispetto al suo intervento?

Sempre più spesso siamo chiamati ainterventi sul giocatore, sulla squadrache non vince nonostante le sue poten-zialità. Siamo chiamati spesso a rispon-dere a quelle situazioni di empasse chesi vengono a creare tra l’allenatore el’atleta, o tra l’atleta e la sua presta-zione. Sempre più spesso la richiestaè di pozioni magiche e risoluzioni im-mediate. Richieste così fatte “nascon-dono” al loro all’interno l’origine delproblema, la concausa della non-per-formance. È in queste situazioni chelo psicologo deve saper osservare perpoi poter valutare il suo intervento al-l’interno della relazione.

Nasce allora l’esigenza di una forma-zione adeguata che sappia rispondereadeguatamente alle diverse situazioniproblematiche alle quali dobbiamo sa-per rispondere con sensibilità ma so-prattutto con una opportuna profes-sionalità. Leadership, coesione, moti-vazione, visualizzazione, self-talk, peak-performance, goal-setting, la fasi delgruppo e le sue peculiari dinamiche,lo sviluppo cognitivo ed emotivo del-l’atleta nelle diverse fasi della sua cre-scita, la capacità di far rientrare le di-verse attività sportive nelle giuste pro-porzioni ad ogni stato di sviluppo so-no solo alcuni dei temi che lo psicolo-go deve saper trasferire all’interno delsuo ambito lavorativo; deve offrirequello spazio nel quale è possibile ri-pensare e trasformare le proprie ed al-trui conoscenze.

BibliografiaVincent Kenny & Corrado Barazzutti

(1997). The Inner Force in Tennisand in Living : The Competitive Ed-ge of Top Tennis Players. [La Forza In-teriore nel Tennis e nella Vita] Societa`Stampa Sportiva : Roma.

Managing Performance Stress: Models andMethods (2006) by David Pargman

Rethinking Aggression and Violence inSport (2004) by John H. Kerr

Critical Moments During Competition: AMind-Body Model of Sport Perfor-mance When It Counts the Most(2004) By Roland A. Carlstedt

The Inner Game of Tennis: The ClassicGuide to the Mental Side of PeakPerformance (Paperback) by W.Ti-mothyGallwey (Author)

Winning Ugly: Mental Warfare in Tennis--Lessons from a Master (Paperback)by Brad Gilbert (Author), Steve Jami-son (Author)

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Sabato 28 aprileLa strategia della Riduzione del danno come intervento

terapeutico nelle tossicodipendenze

Dott. Vincenzo Palmieri, Psicologo epsicoterapeuta, Coordinatore deiProgetti Terapeutici della Fonda-zione Villa Maraini, già Coordina-tore dell’Unità di strada.

L’incontro ha cercato di analizzareuna strategia d’intervento nelle tossi-codipendenze che, anche se praticatada oltre quindici anni nel nostro paese,è fonte di discussione e dibattito all’in-terno dei servizi e delle Comunità peri tossicodipendenti.

Per molti anni l’interpretazione mini-malista e di antagonismo ai trattamen-ti residenziali non ha favorito una pra-tica di integrazione con le altre strate-gie; dopo molti anni è importante con-siderare il fenomeno con animo serenoe soprattutto con un’osservazione scien-tifica e metodologica che riprende glischemi degli interventi propriamenteterapeutici.

Tale strategia ha coinvolto diretta-mente o indirettamente gli psicologi im-pegnati nei vari servizi per le tossico-dipendenze, in questa occasione saràdato uno spazio per la discussione diqueste esperienze e riflessioni a tal pro-posito.

La terza via dunque è quella della ri-duzione del danno, a torto ritenuta daiproibizionisti vicina ad ipotesi di libe-ralizzazione o di legalizzazione delledroghe oppure vissuta da chi pensa chesia vitale disintossicare il “drogato” co-sti quel che costi e con ogni mezzo, co-me un mezzo di ripiego, di resa e di ri-dimensionamento delle ambizioni pro-fessionali salvifiche degli operatori delsettore.

Questa scelta di strategia terapeuti-ca, per quello che ha riguardato il la-voro svolto a Villa Maraini, proviene in-vece dalla nostra esperienza clinica diquesti anni che ci ha insegnato che ilpassare del tempo è un alleato e non unnemico della terapia, non fosse altroperché col tempo il fascino delle so-stanze nel singolo assuntore tende ine-vitabilmente a diminuire per assue-fazione, nel mentre crescono le proba-bilità di riscoperta di alternativa alladroga.

Chi abbia un minimo di confidenzacon i td sa che è ben diverso rapportar-

si con chi è preso dalla totalizzante e-saustività dell’eroina, che ama alla fol-lia in una luna di miele che non tolleraincomodi o disturbi dal proporre inve-ce stili di vita meno autodistruttivi a chiè giunto a maledire la sua condizionedi tossico ed il momento in cui ha co-minciato a drogarsi. Se la motivazionea smettere cresce spontaneamente edinevitabilmente col passare del tempo,accompagnandosi in modo proporzio-nale allo charme calante della droga, laterapia deve tenere conto di questarealtà, assecondandola senza tentare diforzare oltremodo la mano alla naturadelle cose un po’ come l’antica tecnicadello judo che utilizza l’energia dell’al-tro come spunto per un ribaltamento.

È vero che la motivazione a smette-re può essere essa stessa oggetto di u-na strategia terapeutica, ma non fino alpunto di pretendere l’impossibile, per-ché il prezzo che si paga può esseremolto elevato fino a mettere in discus-sione la sopravvivenza stesa del td.

Anche pretendere sempre e comun-que la disintossicazione come punto dipartenza di ogni intervento, vuol direnegare l’esistenza stessa della tossico-mania, della malattia, della sua manife-stazione sintomatica, cioè, di chi è in-capace di sopravvivere senza droga po-nendo così le basi dell’insuccesso e del-la successiva cosiddetta ricaduta.

Quanti genitori e quanti terapeuti sisono (a fin di bene?!) comportati comeaguzzini? Quanti hanno avuto chiaro ilconcetto che il td non è chi si droga, machi è incapace di sopravvivere senzadroga in una fase della sua esistenza?

Gli interventi di RDD inseriti nelcontesto generale della lotta alla dro-ga

La tossicodipendenza è stata defini-ta dall’OMS (Organizzazione Mondialedella Sanità) come malattia cronica re-cidivante, questa patologia però non èsempre uguale, si differenzia a secon-da delle fasi di sviluppo della sua sto-ria.

È importante capire che un proces-so patologico ha un prima, una situa-zione che ha favorito la maturazione dicomportamenti, atteggiamenti dinami-che sfociate poi nel quadro clinico checonosciamo, iniziando con una fase det-ta luna di miele con l’innamoramentodella sostanza e la conseguente refrat-tarietà ad ogni tipo di tentativo di cam-biamento.

Questo stadio può durare anche al-

cuni anni, qui nella visione di questomodello pragmatico entra prepotente-mente il fattore individuale e certe pre-disposizioni o familiarità a fenomeni didipendenza.

Il secondo stadio è denominato dellarefrattarietà o precontemplazione è ca-ratterizzato da una resistenza parzialein quanto il td comincia a rendersi con-to che l’uso di droghe può diventare unproblema ed a percepire la necessità ol’opportunità di un cambiamento nonstrutturando basi motivazionali a que-sto. In questa riflessione viene sicura-mente aiutato dalla pressione sociale efamiliare. La terza fase quella della con-templazione è caratterizzata dalla com-parsa di intenti con sviluppo di una ba-se motivazionale anche se non si ponecome una vera e propria richiesta diaiuto.

In questa fase troviamo vari tentati-vi messi in atto in maniera autonomadal td destinati puntualmente a fallireprovando frustrazione della propria ca-pacità nell’intento della risoluzione delproblema. Tali situazione permettonoun processo di “preparazione” del cam-biamento (quarta fase) attraverso pas-saggi cognitivi e infine comportamen-tali (quinta fase “l’azione”) con esplici-ta richiesta di aiuto ed adesione a pro-getti di intervento.

Non possiamo trascurare che dopoun positivo programma terapeutico lafase del reinserimento, sia sociale chefamiliare, abbia una valenza notevoleper scongiurare la recidiva che carat-terizza maledettamente tale patologia.

Ora ho descritto questo percorso perchiarire che ogni fase di tale camminonecessita un intervento che difficil-mente può essere lo stesso se non in si-nergia con gli altri. Per esempio la pre-venzione delle tossicodipendenze agi-sce o dovrebbe agire nella fase che an-ticipa la manifestazione del disagio, iSERT servizi pubblici che hanno rispo-sto e continuano nella maggior partedei casi a rispondere con modalità pret-tamente farmacologiche vengono uti-lizzati in massima parte da chi sta nel-la seconda e terza fase della sua car-riera tossicomania, le comunità tera-peutiche residenziali sono state da sem-pre e per molto tempo l’unica rispostaa chi era giunto nelle ultime fasi di que-sto cammino, anche se molti venivanocostretti ad andarci quando erano in lu-na di miele con la sostanza compro-mettendo il tentativo loro ed anche in-fluenzando negativamente altri com-

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pagni di comunità.Per molti, troppi anni non c’è stata

una risposta adeguata a chi era in unafase iniziale e/o non riusciva a trovareenergie e forze per programmare azio-ni di cambiamento. Parliamo poi di unafase che comporta forse i maggiori ri-schi per la persona perchè il suo assa-tanamento verso la sostanza gli fa met-tere in secondo piano tutto il resto,compromettendo così molte volte inmodo irrimediabile la sua vita familia-re (di origine o acquisita), sociale (la-vorativa e giuridica) e soprattutto fisi-ca con rischi di infezioni ed overdose.

Per troppo tempo in Italia si è di-scusso di legge sulla droga e non di in-terventi mentre la gente moriva per lestrade o negli ospedali per l’Aids.

Non c’è dubbio che gli interventi diriduzione del danno( RDD) trovino unterreno adatto proprio in questa fasesopra descritta dove l’intervento o nonc’è stato o addirittura si tendeva a nondarlo per compromettere maggiormen-te la situazione del td per “renderlo ar-rendevole” e portalo alla “ragione”, pur-troppo tale strategia ha invece portatotroppi giovani alla follia emarginante,alla morte sociale e alla morte fisica.

BibliografiaAA.VV: La riduzione del danno. A cura

di Pat O’Hare et al., Ed. Gruppo Abe-le, 1994

AA.VV. Hiv/Aids e droga. Manuale peroperatori di prevenzione. L’inter-vento in strada. A cura di SerpelloniG. e Rossi A. Ed. Leonard 1996.

AA.VV. Aids, il prezzo e il valore, a curadi M. L. Albera, Comunità Ed. Capo-darco di Fermo, 2000

M. Barra, V. Lelli, Droghe e drogati - Ia-nua, Roma 1990; V. Castaldi, Ombre -Fondazione Villa Maraini 1995;

Barra M., Palmieri V., Cataldi V., Villa Ma-raini, L’esperienza degli operatori distrada in Roma, in Hiv/Aids e dro-ga. Manuale per operatori di pre-venzione. L’intervento in strada. Acura di Serpelloni G. e Rossi A. Ed. Leo-nard 1996

C. Perucci for the Roman Harm ReductionGroup. “Harm Reduction in Rome”. InAtti della “VIII International Confe-rence on the Reduction of Drug Rela-ted Harm”. Paris, France, March 23-27,1997.

V. Palmieri, La strategia della Riduzionedel danno nell’intervento sulle tossi-codipendenze. Pagg. 41-54 in “I labi-rinti delle dipendenze” a cura di Mad-dalena Cialdella. Edizioni Kappa -2006

Sabato 28 aprile 2007Comunità Terapeutiche

per adolescenti:mission, peculiarità

e aspetti di complessitàClaudio Bencivenga, Università degliStudi di Parma; indirizzo terapeu-tico C.T. per adolescenti Eimì di Ro-ma

L’adolescenza si caratterizza com’ènoto come un periodo di crisi più o me-no prolungata per le pulsioni, trasfor-mazioni, gli alti e i bassi tipici della me-tamorfosi puberale; ciò del resto è daconsiderarsi sostanzialmente fisiologi-co. Tuttavia esistono situazioni in cuigli aspetti critici assumono una rilevan-za ed una ripetitività tali da farli fuoriu-scire dal normale, se pur turbolento,percorso di sviluppo, assumendo cosìforme marcatamente patologiche. In-fatti, se la gran parte delle difficoltàche man mano s’incontrano nella tran-sizione adolescenziale possono esseresuperate in modo costruttivo, quelleche invece restano non adeguatamen-te affrontate e risolte lasciano apertiproblemi di tipo intrapsichico, interper-sonale e d’inserimento sociale talvoltaparticolarmente gravi. È necessaria inquesti casi la presenza di una rete diservizi diversamente modulata in gra-do di rispondere in maniera specificae flessibile alle necessità variegate eproteiformi di questa fascia d’utenzache presenterà o non presenterà in etàadulta forme psicopatologiche più evi-denti e conclamate a seconda di quan-to, come e quando sarà stata ben se-guita. Di fatto, la carenza di strutturespecifiche e adeguate per la consulta-zione e la cura dell’adolescente con psi-copatologia grave, anche a causa di u-na certa “esasperazione” dell’ideologiaanti-istituzionale, ha spesso ritardatoo reso impossibile un intervento tera-peutico mirato.

L’intento primario di questa relazio-ne, è quello di trattare in maniera spe-cifica alcuni nodi cruciali dell’inter-vento comunitario: quando esso è in-dicato, quali variabili entrano in giocoe che possano avere valenza terapeu-tica, quali fattori fungano da spintapropulsiva o, al contrario, provochinouna stagnazione del processo terapeu-tico.

Le Istituzioni per adolescenti qualile Comunità Terapeutiche sono carat-

terizzate infatti da molteplici fattori dicomplessità che, se non vengono divolta in volta individuati, rischiano dimettere in forse la loro esistenza ed e-voluzione.

Gli elementi che entrano nella vitadi un Istituzione e che contribuisconoa renderne complessa la lettura, pos-sono essere “esterni”, legati e dipen-denti dal contesto normativo e socia-le, oppure “interni”, connessi e gene-rati dal gruppo staff. Entrambi gli ele-menti finiscono per autopotenziarsi eper colludere con le peculiari caratte-ristiche dei quadri clinici che presen-tano gli adolescenti ospiti di queste Co-munità.

Le capacità dell’équipe vengonomesse a dura prova anche dalla specifi-ca età dell’utenza. La non identità del-l’adolescente, le gestalt incompiute diquesta fascia di età, la confusione det-tata dall’irruenza e dalle tempeste e-mozionali - biochimiche - psichiche,entrano in risonanza con aspetti sopi-ti profondi degli operatori che si tro-vano sollecitati a rivedere e ripercor-rere i propri nodi adolescenziali, cosìcome le proprie “soluzioni” ed equili-bri rispetto a tematiche personali qua-li l’autonomia e la dipendenza, la ses-sualità, l’illusione e la disillusione, l’in-dividuazione, la responsabilità, i con-fini, il rapporto con l’autorità, ecc.

Pertanto nelle C.T. per adolescentifattori esterni, elementi interni lega-ti al gruppo staff (fantasie di cura on-nipotenti, crollo improvviso e repen-tino di aspetti illusori, nodi evolutivisopiti), elementi interni connessi al-la tipologia degli utenti ospitati, en-trano in risonanza e confluenza reci-proca creando collusioni, confusione,arresti regressivi e comunque feno-meni tali che la terapeuticità dell’in-tervento consiste proprio nel poterliindividuare, contattare, pensare, perpoterli trasformare ed incanalare in unprocesso evolutivo trasformativo. Com-pito dell’equipe è difatti preservarequella “cultura dell’indagine” necessa-ria per conoscere ed imparare a rico-noscere all’interno del gruppo di lavo-ro quali flussi difensivi, quali processiisomorfici permeano i canali di comu-nicazione di tutto il sistema comuni-tario.

La comunità terapeutica, proprio perla possibilità di effettuare interventi diuna certa durata, ha quello spazio equel tempo necessario - conditio si-ne qua non - per riflettere e “ferma-

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re” la repentinità degli agiti tipici del-la turbolenza adolescenziale potendoassumere la funzione di “messa in la-tenza” di quei vissuti puberali troppopersecutori, troppo distruttivi e trop-po traumatizzanti per essere in manie-ra immediata integrati psichicamentedagli utenti e dagli operatori stessi.

BibliografiaA. Correale, Il Campo Istituzionale, Bor-

la, 1991, Roma.A. Novelletto, Psichiatria Psicoanalitica

dell’adolescenza, Borla, 1986, Roma.C. Neri, A. Correale, P. Fadda, Letture bio-

niane, Borla, 1987, Roma.C. Neri, Il gruppo, Borla, 1993, Roma.K. Lewin, Principi di psicologia topolo-

gica, OS, 1970, Firenze.Rapoport, R.N., Community as Doctor.

New perspectives on a therapeuticcommunity, Londra, Tavistock, 1960;trad. it. Cap. 3 in Lang M. (a cura di),Strutture intermedie in psichiatria.Milano, Raffaello Cortina, 1982. pag 129-154.

Tönnies Ferdinand (1979), Comunità esocietà, Milano.

W. R. Bion, Attenzione e interpretazio-ne, Armando, 1973, Roma.

Venerdì 4 maggio 2007Psicoanalisi

ed esperienza cinematograficaAlberto Angelini, Psicoanalista (SPI),direttore della rivista Eidos: Cine-ma e Psiche. Ha insegnato nell’uni-versità “La Sapienza” e al CentroSperimentale di Cinematografia; èdocente presso l’United Nation In-terregional Crime and Research In-stitute (UNICRI) e in alcune scuoledi specializzazione.

È spesso nel buio delle sale cinema-tografiche che l’ideale schieramento diquelle forze della psiche chiamate af-fetti muta radicalmente il suo profilo.

Gli attori e le loro gesta evocano innoi potenti emozioni; ma è la situazio-ne cinematografica, in sé, che rende co-sì influenti queste vicende immagina-rie. Psicologicamente, lo schermo ci-nematografico, più del palcoscenico tea-trale, offre allo spettatore uno spaziofittizio che ha tutte le caratteristichedella realtà. Il cinema presenta, il tea-tro rappresenta. Si tratta di un senti-mento di realtà affettiva, non tangibile,che rammenta quella sperimentata neisogni.

Gli studi sulla percezione cinemato-grafica si sviluppano per tutto il Nove-cento, intrecciandosi con diverse di-scipline della psicologia. Le radici af-fondano nella scuola della Gestalt e nel-la psicoanalisi, per poi evolversi a tut-to campo. Viene studiato il problemapercettivo del movimento, le rappre-sentazioni cinematografiche del tempoe dello spazio, gli effetti delle in-quadrature e dei movimenti di macchi-na, i possibili significati delle tecnichedi montaggio, la psicodinamica dellospettatore, le implicazioni nell’ambitodella psicologia sociale e così via (An-gelini 1992). La psicologia fisiologicadella percezione cinematografica svol-ge attualmente ricerche che vanno dal-lo studio dei neuroni specializzati nel-l’analisi delle singole caratteristiche dimovimento degli stimoli visivi, fino al-la registrazione dei movimenti ocularidello spettatore. Per i ricercatori il filmè divenuto uno strumento scientificoper studiare la mente umana; come fe-cero numerosi grandi psicologi del pas-sato (Lorenz, Von Fritsch, Spitz, Pav-lov, Kohler, ecc.) che ricorsero al ci-nema sia per illustrare le loro scoper-te, sia per individuare i “dati” delle ri-cerche. La percezione cinematografica,

per molti aspetti, è un campo che pro-mette ancora interessanti contributi al-la ricerca. Le rappresentazioni cine-matografiche del tempo e dello spaziocollocano lo spettatore in un mondo im-maginario, fuori dalla realtà e dalla vi-ta umana. Gli sviluppi storici del lin-guaggio cinematografico (ritmo, tipo diinquadrature, montaggio, colore, sono-rizzazione, elettronica, ecc.) modifica-no, nel tempo, le abilità percettive del-lo spettatore. Il cervello di uno spetta-tore odierno è anatomicamente identi-co a quello di chi guardava, alla fine del-l’ottocento, le prime pellicole di Méliès;ma il contesto storico e tecnologico èdiverso, quindi è diverso il cinema. An-che le funzioni cerebrali preposte allapercezione cinematografica si stori-cizzano; gli spettatori contemporaneipossiedono delle abilità percettive, ali-mentate anche dalla televisione e dal-le nuove reti mediatiche, differenti dailoro predecessori e sono costretti a fre-quenti e faticosi adattamenti; mentre,per i nuovi nati, proprio in virtù dellastoricizzazione delle funzioni cerebra-li, il contesto percettivo, cinematogra-fico e non, diventa un dato accettato econsueto. È uno dei modi in cui il ci-nema modifica la storia umana. Sonostati soprattutto gli studi di AlexanderLuria e Lev Vygotskij ad alimentarequesto tipo di prospettiva teorica (An-gelini 1988; 2002). Vygotskij, in parti-colare, fu amico del grande regista Ser-gej Ejsenstejn, che ne fu influenzato sulpiano concettuale e realizzativo.

Il cinema, nel corso della sua storia edel suo sviluppo tecnologico e lingui-stico, ha mantenuto la straordinaria ca-pacità di collocarci emotivamente fuo-ri dal quotidiano e dal familiare. Volen-do, a tal proposito, suggerire una ele-mentare periodizzazione, individuiamo:il Cinema delle origini, quello dei Lu-mière e dei Méliès; era una macchinadelle meraviglie che emozionava sen-za dover proporre vicende con un veroe proprio sviluppo narrativo. Il Cinemaclassico, dagli anni Venti ai Cinquanta,anche con l’avvento del sonoro matu-ra, soprattutto Hollywoodianamente, ilpotere della narrazione. In questo pe-riodo il cinema si svincola da una im-magine sociale di tipo ludico, per qua-lificarsi come vera e propria arte (Arn-heim 1933-1938).

Il Cinema moderno dal dopoguerraagli anni Ottanta, propone, tramite mol-teplici tendenze, il primato della con-sapevolezza. È il trionfo del film d’au-

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tore e il pozzo senza fondo da cui, es-senzialmente la psicoanalisi amante delcinema, continua a estrarre tesori. Al-fred Hitchok e Orson Wells come padri-ni; poi il Neorealismo, la Nouvelle Va-gue e tutti i “Nuovi Cinema” degli anniSessanta e Settanta. Troppi i grandi au-tori, per citarli tutti; ma, dal versantepsicoanalitico, ricordiamo almeno per-sonaggi come Truffaut, Bergman, An-tonioni, Fellini, Tarkovskij, Allen, Ber-tolucci e così via. Il Cinema moderno,chiama lo spettatore ad assumere unimpegno mentale se non un atteg-giamento critico nei confronti del film.

Il Cinema contemporaneo, ovveroil primato delle sensazioni. Originatosinegli anni Ottanta, è un fenomeno an-cora in atto. È il cinema degli effettispeciali, delle grandi multisale, dellatecnologia che non ha bisogno di unarealtà da filmare per produrre un mon-do di immagini completamente auto-sufficiente. Trionfa la spettacolarità; ilfilm mira a colpire, ad impressionare;potremmo definirlo uno stile Neo-Ba-rocco.

Appartiene alla psicoanalisi l’iniziati-va storica di studiare gli aspetti emo-zionali del cinema. Cesare Musatti(1963) arrivò a descrivere il fenomenodegli “Attacchi di angoscia cinema-tografica”. Nella psicoanalisi è noto chel’angoscia può essere determinata, an-che in forma improvvisa, da conflitti in-consci. L’individuo, colpito da questapaura apparentemente immotivata, te-me addirittura di morire, o di impazzi-re. Fra coloro che soffrono di questi di-sturbi, c’è chi li avverte con maggior fre-quenza durante le proiezioni cinema-tografiche. Qualcuno sviluppa una ve-ra e propria fobia del cinema.

Sia nei casi limite, sia in tutti gli spet-tatori, la vicenda cinematografica rea-lizza la sua influenza psichica attraver-so due meccanismi fondamentali. Dauna parte la proiezione, ovvero quelprocesso per cui si attribuiscono agliattori idee e aspirazioni che sono no-stre, anche se non realizzate. D’altraparte la identificazione, con cui lospettatore assimila l’aspetto e i senti-menti dei protagonisti dello schermo.L’identificazione può essere così inten-sa da indurre gli spettatori, soprattut-to se in età evolutiva, a imitare, anchenella vita, gli atteggiamenti e l’abbiglia-mento dei loro idoli.

Gli effetti sul pubblico di questi mec-canismi psicodinamici sono essenzial-mente due: la catarsi e la suggestio-

ne. Il termine catarsi è una parola gre-ca che significa “purificazione”. In psi-coterapia, il metodo catartico persegue,appunto, l’effetto di una “purificazione”attraverso una adeguata scarica, oabreazione, degli affetti patogeni. Persuggestione si intende, invece, il pro-cesso mediante cui una persona vieneinfluenzata al punto da accettare altruiidee, credenze o modi di pensiero. Èstato osservato come l’elemento sug-gestivo sia una componente essenzialedel fenomeno ipnotico. La forza sugge-stiva del film viene esaltata dalla situa-zione della sala; al buio, come duranteil sonno, quando il contatto fisico conl’ambiente è limitato e la persona si tro-va in una situazione comoda e confor-tevole. Con l’attenzione concentrata sul-lo schermo, in virtù di molteplici pro-cessi fisici e mentali, lo spettatore si tro-va in una situazione di “rilassamentoparaonirico”; qualcosa di analogo, siapur lontanamente, a quello che speri-mentiamo nel sogno.

Il grande regista, Sergej M. Ejsenstejn(1949), fu tra i primi ad accostare la si-tuazione cinematografica ad uno statodi leggera ipnosi, quando la mente è piùricettiva ai messaggi provenienti dal-l’esterno. Egli, molto influenzato da Vy-gotskij (1925), giunse anche a parago-nare il linguaggio cinematografico alpensiero infantile e primitivo, che ten-de ad esprimersi per immagini. In ciònon allontanandosi dalla prospettivapsicoanalitica. Per essa infatti il pen-siero per immagini si differenzia dalpensiero realistico o concettuale, col-locandosi più vicino alle sorgenti pul-sionali dell’individuo. Tale pensiero,conseguentemente, è meno coerentecon il principio di realtà preposto al-l’attività dell’io cosciente e, parados-salmente, più reale sul piano emotivo.Nell’ambito dei fenomeni psicodinami-ci l’aspetto suggestivo induce lo spet-tatore ad accettare, più facilmente, glielementi violenti ed erotici proposti dal-lo schermo. Essi inducono l’effetto de-finito “catartico”; ovvero, una sorta diappagamento psichico. Sia il sogno, siail cinema rappresentano, infatti, delleforme di evasione dal mondo reale. En-trambe le situazioni, quella cinemato-grafica e quella onirica, consentono, al-meno parzialmente, di allentare la sor-veglianza che esercitiamo su noi stes-si. Avviene, in sostanza che, per l’effet-to catartico, lo spettatore sperimentaun appagamento psichico volto a rista-bilire quell’equilibrio che le inconsce

pulsioni insoddisfatte tendono ad alte-rare. D’altra parte, per l’effetto sugge-stivo, lo spettatore è anche indotto adaccettare più facilmente quegli elementiviolenti ed erotici proposti dallo scher-mo, la cui ricerca potrebbe conseguen-temente ritornare, in forme più o me-no accentuate, anche nella vita reale.Queste mobilitazioni affettive, evocatedal cinema, costituiscono, fin dai suoiesordi, un problema a cui la società hatentato di far fronte con l’istituto dellacensura. Va osservato che buona partedegli effetti che consentono la catarsi,possono promuovere contemporanea-mente la suggestione. Non c’è azionecatartica senza una profonda identifi-cazione; ma l’identificazione è anche al-la base dell’azione suggestiva. La va-lenza delle due diverse azioni va mes-sa in relazione alle differenti persona-lità degli spettatori.

I film che attirano più pubblico sono,generalmente, quelli in cui compaionoquei fattori nascosti che agiscono neglistrati profondi della nostra mente. Fat-tori che non possiamo o non vogliamosoddisfare nella vita reale, ma a cui nonriusciamo a rinunciare completamente.

Il film, entro certi limiti, consente diappagare, in forma innocua, quegli im-pulsi che la coscienza considera proi-biti. Sono soprattutto gli elementi pro-pri della vita istintuale ad essere mo-bilitati dal film. Ciò spiega perché, nel-la produzione cinematografica, l’eroti-smo e la violenza abbiano un così granspazio. Anche se non sempre siamo di-sposti a riconoscerlo, i temi erotici,quelli aggressivi e, in genere, le passio-ni ci interessano in modo particolare.

BibliografiaAngelini A. (1988), La psicoanalisi in

Russia, Napoli, Liguori.Angelini A. (1992, rist. 2005), Psicologia

del Cinema, Napoli, Liguori.Angelini A. (2002) Pionieri dell’incon-

scio in Russia (antologia), Napoli, Li-guori.

Arnheim R. (1933-1938), Film come ar-te, Il Saggiatore, Milano, 1960.

Ejsenstejn S. (1949), Forma e tecnica delfilm e lezioni di regia, Einaudi, Tori-no, 1964.

Musatti C. (1963), “Problemi psicologicidel cinema”, Cinestudio, n° 9.

Vygotskij L. (1925), Psicologia dell’arte,Editori Riuniti, Roma, 1972.

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Venerdì 11 maggio 2007Complementarietà tra diverse funzioni della personalità:alfa dell’individuo

e gamma del gruppoGiorgio Corrente, Psicologo/Psicote-rapeuta, Membro Ordinario dellaSocietà Psicoanalitica Italiana/IPA,Didatta e Presidente dell’Istituto Ita-liano di Psicoanalisi di Gruppo

In questo lavoro vengono propostepossibili interrelazioni e complemen-tarietà tra alcune delle più importantifunzioni mentali dell’individuo e deigruppi. Mi occuperò pertanto di pro-blemi e questioni che riguardano le ori-gini e lo sviluppo del pensiero, degliapparati e strutture individuali e grup-pali che sono la base di questi proces-si che dall’indifferenziato-con-fusio-nale, attraverso trasformazioni varie,possono evolvere verso forme di rap-presentazioni e simbolizzazioni. Tenen-do presente che quando questi proces-si si invertono o quando la costruzio-ne di queste strutture è deficitaria sipuò dar luogo a diverse forme psico-patologiche: nevrotiche, psicotiche, difanatismo ecc...

…La funzione alfa (Bion 1962) è unafunzione relazionale, nasce dal rappor-to madre-bambino. La madre elaborae trasforma le angosce e il terrore delsuo bambino attraverso un processo direverie, questo potrà poi reintroietta-re l’esperienza trasformata da sua ma-dre e in questo modo la funzione alfastessa. La madre a sua volta, in questoprocesso, acquisisce una capacità tra-sformativa di Alfa-reverie.

La funzione alfa diventa la capacitàdell’individuo per operare trasforma-zioni di elementi sensoriali in pensie-ri, in sogni, siano questi prodotti du-rante lo stato di veglia (lavoro del so-gno alfa, Bion 1959-1962), che duran-te il dormire. In questo modo le elabo-razioni alfa e i sogni creano ed alimen-tano costantemente l’inconscio e diconseguenza anche la coscienza (Bion1962, Riolo 1983).

La funzione alfa crea una barriera Al-fa, chiamata anche barriera di contat-to, con la finalità tra altre di differen-ziare il conscio dall’inconscio.

Le disfunzioni ed inversioni dellafunzione Alfa possono portare ad alte-razioni e disturbi del pensiero e di con-seguenza a diverse e gravi patologie.

F. Corrao (1981), propone una fun-zione gamma, che sarebbe per il grup-po l’analogo simmetrico della funzio-ne alfa dell’individuo.

La funzione gamma del gruppo po-trà elaborare gli elementi sensoriali edemotivi immessi nel gruppo, generan-do in questo modo elementi gammanecessari alla produzione di sogni e mi-ti di gruppo, allucinazioni di gruppo,memoria di gruppo ecc...”

“…Dal vertice del gruppo la funzio-ne gamma opera trasformazioni chealimentano costantemente la funzionealfa individuale, seppure questo pro-cesso si attivi mediante la sospensio-ne o meglio direi l’addormentamentomomentaneo della funzione Alfa.

Immaginiamo nel gruppo una gestaltnella quale le funzioni Alfa e Gammasi alternino in un intergioco figura-sfondo, la possibilità di passaggi di pri-mo piano di una o dell’altra funzione,nei quali “l’addormentamento momen-taneo” di Alfa permette l’emergenza dielaborazioni gamma in grado poi di po-tenziare la funzione alfa nei suoi mem-bri.

Un’adeguata oscillazione Gamma �Alfa permette lo strutturarsi di un cam-po dove potranno essere accolti gli e-venti e svilupparsi le trasformazioni a-nalitiche attraverso le quali approda-re alla costruzione di un contenitoregruppale adatto a ri-significare le espe-rienze vissute: quella storia unica eparticolare che ogni gruppo genera. Lostesso vale, a mio avviso, per quantoriguarda il setting individuale, ovvia-mente tenendo conto di tutte le diffe-renze, ci dovremmo in questo caso do-mandare in quale modo la funzioneGamma collabora nel processo di alfa-tizzazione della coppia al lavoro. Le ri-sposte sono da cercarsi non solo nel-l’equipaggiamento mentale individua-le, senz’altro anche in quello ambien-tale: all’interno, nel setting predispo-sto dall’analista per accogliere il pa-ziente ossia quelle caratteristiche pe-culiari dell’analista nel creare un am-biente significativamente buono ed a-deguato allo sviluppo della relazioneanalitica. All’esterno invece nelle fami-glie e nei gruppi di appartenenza checircondano entrambi i partecipanti al-l’analisi, il paziente e l’analista. Le fa-miglie, come ben sappiamo, soprat-tutto nei casi in cui il paziente è unbambino o un adolescente, sono fon-damentali nel determirare la continuitàstessa dell’esperienza analitica e cer-

tamente dal punto di vista qualitativonel sostenere con discrezione un pro-cesso così impegnativo e a volte“terremotante” che ovviamente finisceper coinvolgere anche l’intero gruppofamiliare in questione.

Penso che questo valga anche perl’analista che con il suo training e lasua esperienzia, conoscenza e padro-neggiamento dei processi transferali econtrotransferali, è di solito in gradodi fronteggiare e trasformare i “tumultiemotivi” legati al lavoro, ovviamente cipuò essere sempre qualcosa che sfug-ge, che non si è in grado di trasforma-re, che non si “vede” per lunghi perio-di, questo porta ad “accumuli” ed al-tro ancora che l’analista porta con sé,a casa, nella famiglia e nei diversi grup-pi sociali di appartenenza. In questi ca-si ben sappiamo quanto siano impor-tanti i gruppi istituzionali, le nostre isti-tuzioni, nell’accompagnare, sostenerescientificamente e umanamente i colle-ghi. Un sano equilibrio mentale e un’i-dentità che si evolve e si trasforma nel-l’analista dipende in gran parte dalgruppo istituzionale che dovrebbecreare e garantire le condizioni perchéciò accada.

Alcuni esempi negativi si sono veri-ficati in quelle istituzioni in cui domi-na una burocratizzazione ed una logi-ca piramidale che tende a perpetuareil potere più che a sviluppare la psico-analisi ed il pensiero creativo. In que-sti casi si possono creare sotto gruppiche si combattono con la scusa di pre-servare il sapere ma che in realtà nonfanno altro che spogliare di vitalità leteorie che diventano “lettera morta”.

Alcune situazioni gruppali richiedo-no un’elaborazione alfa, mentre alcu-ne situazioni individuali necessitano diuna elaborazione gamma.

Sono molte le situazione dove pos-siamo vedere l’importanza della com-plementarietà tra le funzioni alfa egamma: i casi di supervisione di grup-po, sia su casi individuali che di grup-po, i gruppi di studio tra colleghi: verie propri contenitori necessari alla bo-nifica delle troppe identificazioni pro-iettive violente ed eccesive accumula-te durante il lavoro quotidiano. Questigruppi funzionano come camere di de-compressione ed a loro volta come luo-ghi dove rigenerarsi. Oggi giorno sonosempre di più i pazienti gravi che ve-diamo in analisi, questo comporta unanecessità di “metterci in gruppo”, per-ché sono convinto sempre di più che

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le coppie paziente-analista hanno bi-sogno di un gruppo circostante chepossa sostenere ed aiutare il processodi alfatizzazione in gioco soprattuttoin quelle situazioni a rischio, quelle piùgravi, più difficili. Le TransformazioniGamma (Corrente, 1997), promuovo-no l’Alfatizzazione dei colleghi psicoa-nalisti che partecipano a questi grup-pi di lavoro.

È nel gruppo terapeutico dove piùfrequentemente l’analista-conduttoreviene sollecitato ad una immersionegamma, ed a dover emergere in alfa at-traverso una interpretazione o una a-deguata elaborazione di quelle singola-ri fenomenologìe che le dinamiche deigruppi ci propongono. In questi casipossiamo dire che Gamma prepara esollecita Alfa. Il caso contrario è giàstato definito nella concezione stessadella funzione Gamma, dove il proces-so gruppale in parte consiste nell’at-tenuare, sospendere o come vi ho pro-posto prima, addormentare la funzio-ne Alfa individuale con il fine di pro-muovere operazioni e transformazioniproprie delle situazioni di gruppo atti-vando la funzione Gamma gruppale…”

Bibliografia essenzialeBION W.R., (1962) “Apprendere

dall’esperienza” Armando 1979CORRAO F. (1981), “Struttura pìoliadi-

ca e funzione gamma”, in Gruppo eFunzione Analitica, Centro Ricerchedi Gruppo “Il Pollaiolo”, n° II - 2.

CORRENTE G. (1996) Percorsi del sognonel piccolo gruppo, Koinos - Gruppoe funzione analitica, Anno XVII, n° 1,Borla, Roma.

Venerdì 18 maggio 2007L’esperienza del Sé

nella relazione analitico-corporeaD.ssa Maria Rita Borrello PsicologaPsicoterapeuta Analista Bioenerge-tica Libera professionista in Romae Didatta della Scuola nei Corsi diFormazione per psicoterapeuti (ri-conosciuta dal M.I.U.R. con D.M.20.3.1998) tenuti dall’I.I.F.A.B.(Istituto Italiano di Formazione inAnalisi Bioenergetica) affiliato al-l’I.I.B.A.(International Institute ofBioenergetic Analysis di New Yorkfondatore Alexander Lowen).D.ssa Laura Salvi, Psicologa Psicote-rapeuta Analista Bioenergetica Di-rigente Psicologo della ASL RMB eDidatta nella Scuola di Formazio-ne per Psicoterapeuti (di cui sopra)

Scopo del seminario è quello di in-trodurre alcuni dei principi che sonoalla base del modello teorico-clinicodell’Analisi Bioenergetica, approcciopsicoterapeutico di matrice psico-cor-porea ideato da Alexander Lowen ne-gli anni 50’. In particolare si vuole evi-denziare come questo metodo psico-terapeutico, essendo fondato su unatradizione teorica, clinica e metodolo-gica in cui la dimensione mente-cor-po, intesa come inscindibile unità, hada sempre rappresentato il focus cen-trale, fornisca, tra l’altro, un contribu-to quanto mai attuale e significativonella comprensione di alcune fonda-mentali variabili, di cui molte ascrivi-bili alla sfera della comunicazione “im-plicita”, variabili fondamentali che ope-rano all’interno della relazione tera-peutica, e questo a prescindere dal mo-dello di riferimento.

Parliamo infatti di esperienza del Sénella relazione analitico-corporea pro-prio per porre l’accento sul fatto chein psicoterapia è il Sé, inteso come vi-sione unitaria e complessiva della per-sona, o, in altri termini, come insiemefunzionale risultante dalla co-integra-zione di diverse funzioni dell’individuo(energetica, sensoriale, motoria, emo-zionale, percettivo/rappresentaziona-le - Tonella, prof. Guy, Congr. Inter-nazionale di Analisi Bioenergetica- Siviglia 2007, ad essere al centrodell’osservazione, dell’analisi e dell’in-tervento.

Lavorare sul Sé a livello delle sue dif-ferenti funzioni significa, allorché sideve ad esempio intervenire su pro-

blematiche che hanno avuto originenel passato pre-verbale dell’individuo,poter lavorare non solo sul piano rap-presentazionale (prevalentemente ver-bale e simbolico) ma anche su livellifunzionali del Sé che si sviluppano inepoche precedenti e in cui la “corpo-reità” gioca un ruolo fondamentale. Ilbambino infatti, così come l’esperien-za clinica evidenzia e come le ricerchecondotte nell’area dell’Infant Resear-ch confermano, può cominciare ad uti-lizzare un registro rappresentazionaleintorno ai due anni. Prima che sia ac-cessibile alla rappresentazione il mon-do viene perciò incontrato attraversomodalità sensoriali ed emozionali e lamemoria di questi scambi è una me-moria “corporea”, di tipo proceduraleed episodico: ne consegue che la rela-zione è sostanzialmente modulata e at-tuata attraverso sguardi, posture, into-nazioni e ritmo della voce, contatto fisi-co.

Noi riteniamo da sempre che sianosoprattutto queste le modalità rela-zionali fondamentali che fanno la te-rapia, ma questo è ancor più vero se-condo noi quando lavoriamo su pro-blematiche con origini arcaiche. Bi-sogna comunque sottolineare che an-che quando ci si trova di fronte a pro-blematiche in cui riconosciamo origi-ni più recenti con questo metodo sicerca sempre di “connettere” le paro-le con il corpo, in un continuo sforzodi integrazione tra cognizioni, rappre-sentazioni, immagini, emozioni, sen-sazioni.

Particolarmente interessanti sono anostro avviso le implicazioni che daquesta impostazione ne conseguono,non solo dal punto di vista della meto-dologia e delle specifiche tecniche uti-lizzate in ambito clinico, ma anche dalpunto di vista del come deve essere in-tesa la relazione terapeutica stessa e,in particolare, il ruolo del terapeuta.Se è infatti vero che le modalità relazio-nali rappresentano gli elementi fonda-mentali che “fanno la terapia”, allo-ra la terapia stessa non può più esse-re intesa come intervento sul pa-ziente, ma diviene lavoro con il pa-ziente, in uno spazio che viene conti-nuamente co-creato. D’altro canto vo-gliamo ricordare come le problemati-che psichiche attuali si inseriscono consempre maggiore frequenza in quellepatologie che riguardano l’identità e ideficit del Sé, e che possono quindi es-ser fatte risalire a deficit nel legame

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di attaccamento primario, e moltomeno ai “conflitti” di un Io struttura-to, tipici dei primordi della psicoanali-si.

In questo senso la figura del terapeu-ta subisce una profonda evoluzione,anche confortata, vogliamo ricordare,da recenti scoperte scientifiche (si ve-dano ad esempio gli studi sui neuro-ni specchio, sulle zone di eccitazio-ne cerebrale, ecc.) e sostenuta da si-gnificativi contributi provenienti an-che dal mondo psicoanalitico.

In altri termini possiamo dire che èla dimensione intersoggettiva nelcampo terapeutico ad essere posta alcentro dell’attenzione e ad assumereun valore operativo: “È il Sé del tera-peuta che contiene, sente, pensa, e-sprime soggettivamente, che è tera-peutico e che il paziente interiorizza…Incontrandosi con l’altro il paziente svi-luppa le sue capacità a provare, conte-nere ed elaborare i suoi propri statisoggettivi. Ciascuno si sente provatoe pensato dall’altro, prova e pensa perse stesso” (G. Tonella, 2007 ibid.).

BibliografiaLowen A. Il linguaggio del corpo - Fel-

trinelliLowen A. Bioenergetica - Feltrinelli

Sabato 9 giugno 2007Istituzione di un servizio di consulenza psicologica

per giovani adultiVito Mirizio e Maria Antonietta Fenu

Il periodo fra i 18 ed i 25 anni è unpassaggio importante del ciclo vitale:i giovani si confrontano con il compi-to dello svincolo dalla famiglia, dellaconclusione della prima parte degli stu-di o dell’inserimento nel mondo del la-voro. Sono possibili momenti di inter-ruzione di tale percorso verso l’auto-nomia, o vere e proprie rotture del pro-cesso evolutivo con conseguenze piùo meno importanti sul funzionamentopsichico. Non a caso le maggiori psico-patologie hanno in questo periodo lafase di insorgenza.

I servizi sanitari sono organizzati inmodo da rendere poco agevole l’ac-cesso ai giovani, perché propongonouna divisione che cade proprio intor-no al 18° anno di età. Da una parte iservizi per i minori e dall’altra quelliper adulti, troppo connotati simboli-camente agli occhi di un giovane. Inol-tre i CSM sono organizzati per rispon-dere in modo indifferenziato ad ognifascia di età ed i giovani sono perciòsottorappresentati rispetto alla distri-buzione dei tassi per età della popo-lazione che usufruisce dei servizi. In-fine una consistente letteratura scien-tifica supporta la considerazione in-tuitiva che l’intervento precoce in sa-lute mentale è in grado di influenzareil decorso delle malattie e lo stato disalute di una popolazione. In partico-lare l’individuazione tempestiva di sta-ti mentali a rischio - una condizioneche precede in giovanissima età la psi-cosi - ed un intervento precoce ridu-cono sensibilmente la gravità sinto-matologica e le recidive.

Al fine di favorire l’intervento preco-ce appare perciò necessario facilitarela segnalazione dei primi stati di disa-gio giovanile, sia come autoriferimen-to che come segnalazione degli adulti,genitori o insegnanti, prima che essosi strutturi in disturbo vero e proprio.

Un servizio che si è rivelato utile perquesto scopo ha la forma di un centrodi facile accesso, non troppo caratteriz-zato come struttura sanitaria, compe-tente e specialistico nell’approccio aiproblemi giovanili.

Nel seminario vengono presentate lepremesse, gli obiettivi, le modalità ope-

rative manualizzate, ed i risultati di unservizio gestito da psicologi del DSMdella ASL RM A.

Viene illustrato un modello di servi-zio rivolto al disagio giovanile attra-verso un “manuale” costruito consen-sualmente dagli operatori e testato nel-la esperienza dei primi anni di lavoro.Eccone i punti salienti:� Un gruppo di lavoro formato da psi-

cologi psicoterapeuti, un consulen-te psichiatra, alcuni tirocinanti.

� Stile relazionale caratterizzato daattenzione partecipe ma neutrale emassima trasparenza. Si cerca di in-trodurre in maniera esplicita la prio-rità, nei colloqui, di valutare il mon-do degli affetti e della rappresenta-zione interna di essi. L’accento nonsi concentra tanto sulla ricerca diquanto “non funziona”, aspetto cheè valutato a fini diagnostici, mapiuttosto sulla evidenziazione del-le difficoltà e delle risorse. L’espe-rienza e la dimensione del “pensa-re insieme” sulla vita e sui senti-menti del giovane, funzionano co-me stimolo a riflettere su di sé e araggiungere una migliore rappre-sentazione delle proprie paure, deipropri desideri e dei propri obietti-vi (soggettivazione). Altrettanto va-le per il lavoro con i genitori neiquali spesso è più presente lapreoccupazione per i comporta-menti dei figli piuttosto che l’atti-tudine a pensare in termini di iden-tità, di coesione del sé e di mondoemotivo (riflessione sulle persona-li esperienze adolescenziali).

� Sede logisticamente separata daiservizi tradizionali, meno caratte-rizzata in senso medico-psichiatri-co e quindi con immagine più neu-tra, e atmosfera più riservata.

� Accesso facilitato il più possibile,anche per la scelta di sedi facil-mente raggiungibili con i mezzipubblici, con apertura dodici ore algiorno, sei il sabato. Non è previstanessuna pratica e nessun ticket, perla consultazione. Nella sede di ViaSalaria è in funzione l’accesso di-retto senza appuntamento in duegiorni della settimana.

� Il “manuale” esplicita anche le mo-dalità di conduzione dei primi con-tatti distinguendo le varie possibi-lità, per esempio se il giovane sipresenta da solo o la richiesta è fat-ta dai genitori, oppure consideran-

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do il modo utilizzato, p.e. per te-lefono o via e-mail. Indipendente-mente da come la richiesta vieneeffettuata, cioè di persona o per te-lefono, se si profila come richiestadi consulenza questa è offerta a tut-ti, chiarendo che in caso si eviden-zi la prospettiva di un trattamentoa lungo termine, se non c’è compe-tenza territoriale, saranno fornitele informazioni e l’assistenza perl’invio ad altre agenzie. Oppure sela richiesta si configura come mira-ta a un trattamento specifico si cer-ca di chiarire se la richiesta esplici-tata corrisponde a quanto ha vera-mente in mente l’interessato. Ad e-sempio alcuni chiedono una “ Psico-terapia”, intendendo in realtà sol-tanto qualche colloquio di definizio-ne del problema, perché non san-no esattamente in cosa consiste untrattamento, mentre altri possonochiedere formalmente un colloquiodando per scontato che possa se-guire automaticamente un tratta-mento. Per queste caratteristichedel pubblico sono chiarite le ragio-ni professionali che prediligono unpercorso preliminare di valutazio-ne, per poi decidere insieme l’ipo-tesi più rispondente ai bisogni e-mersi e al livello di trattabilità verifi-cato. In caso di richiesta consape-vole e chiara da parte di un sogget-to residente in altra circoscrizionesi forniscono le informazioni utilisul servizio territoriale di apparte-nenza.

� Riunione di servizio con frequenzasettimanale. In funzione della na-scita relativamente recente il Ser-vizio riesamina costantemente leprocedure per verificare le vie piùutili agli obiettivi e al pubblico, infunzione di un miglioramento co-stante della qualità del funziona-mento. Sono anche valutati progettinuovi, funzionali alla mission e allacreazione di una rete di relazionicon altre agenzie che possano ar-ricchire il ventaglio delle attività.La discussione clinica riguarda lenuove richieste e le eventuali mo-dalità atipiche che richiedono un’e-laborazione da parte del gruppo perarricchire l’esperienza e predispor-re ad una maggiore disinvoltura difronte ad eventuali imprevisti (ri-chieste disgiunte che riguardanopersone legate da vincoli tra loro,ambiguità sul territorio di apparte-

nenza, domande particolarmentecomplesse ecc.).

� L’organizzazione prevede la pre-senza di un supervisore esterno concui verificare, ridiscutere, affinaree aggiornare gli strumenti organiz-zativi, operativi e scientifici. In que-sto senso il supervisore assume an-che la funzione di Consulente delCentro come figura esterna ed e-sperta, indispensabile per reimpo-stare attraverso la discussione dicasi clinici in trattamento o di ar-gomenti monografici scelti di comu-ne accordo. Il consulente può aiu-tare il gruppo ad entrare nel meri-to di una verifica permanente delpercorso, in modo da mantenerecreativo il pensiero del gruppo.

Nella relazione sono poi illustrati i ri-sultati dei primi anni di lavoro che con-fermano soprattutto l’aspettativa ini-ziale che aprire un servizio rivolto aldisagio giovanile facesse aumentare ladomanda di giovani “first ever” (cioèpersone che non si erano mai rivoltead alcun servizio) nel territorio. Di que-sti, una considerevole quota appar-tiene a contesti familiari a rischio, cioècon forte conflittualità presente nel ci-clo vitale della famiglia e/o presenza dimembri portatori di disturbo mentale.La domanda cresce negli anni, compo-sta quasi totalmente dai “first ever”.Nello stesso modo la domanda di geni-tori si mantiene intorno ad un quintodi tutte le domande. Si tratta di richie-ste di consulenza sulle proprie compe-tenze genitoriali o segnalazioni di situa-zioni di gravità che, vista la denomi-nazione del nostro servizio che contra-sta l’effetto frenante del timore dellostigma, viene effettuata più precoce-mente rispetto ad un iter tradizionale.

Il gruppo di lavoro è impegnato an-che in una ricerca sulla correlazionefra disturbo della regolazione affettivae disagio/disturbo psicologico per mi-gliorare la valutazione e comprenderemeglio gli esiti del proprio intervento.

Sabato 16 giugno 2007Utilizzo del Focus Group:un intervento strutturato

in ambito psicosociale e sanitarioMaria Gabriella Manno

Premessa:• nell’ambito della collaborazione tra

l’Unità Operativa Screening dell’A-SP - Agenzia di Sanità Pubblica delLazio - e ANDOS - Associazione Na-zionale Donne Operate al seno - èstato convenuto di compiere una va-lutazione della comunicazione attua-ta nei programmi di screening mam-mografico

• Motivazioni: al momento dell’attiva-zione dei Programmi di Screening nelLazio non esistevano modelli comu-ni di comunicazioni Ogni Asl ha ela-borato propri processi, modelli di co-municazione e modulistica.

• Ipotesi di studio: verificare se una co-municazione corretta, sia sul pianodei contenuti che su quello formale,può aumentare l’efficacia dei Pro-grammi di Screening, aumentandol’adesione.

Obiettivi principali:• Analisi e valutazione della situazio-

ne attuale• Definizione di eventuali interventi

migliorativi

Fasi del progetto• I fase: Analisi di forma e contenu-

to delle comunicazioni scritte diprimo livello Obiettivo: Valutarela qualità delle lettere di I invi-to, degli opuscoli e delle comu-nicazioni di esito negativo - Stru-mento: Analisi del Contenuto

• II fase: Analisi dei “desiderata” ,delle aspettative e dei bisognidella popolazione bersaglio inmerito alla comunicazione -Strumento: Focus Group

Metodo:• Raccolta di tutto il materiale scritto

(lettere di I invito, lettere di esito ne-gativo ed opuscoli)

• Catalogazione secondo una griglia va-lidata (progetto europeo)

• Costituzione di un gruppo di esper-ti

• Analisi: attribuzione per ogni itemdella griglia un punteggio da 1 (= to-tale assenza dell’informazione ricer-cata) a 5 (= chiara espressione del-

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la stessa) prima individualmente epoi in gruppo,

• Realizzazione di 6 Focus Group

OBIETTIVO: FAR EMERGERE I REALI BISOGNI E L'IMPATTODELLA COMUNICAZIONE

Focus Group: lo studio della domanda inespressa• Il focus group è una tecnica di ri-

cerca che nasce negli Stati Uniti adopera di due sociologi degli anni‘40 del Novecento, K. Levin e R.Merton, al fine di focalizzare un ar-gomento e far emergere le relazio-ni tra i partecipanti.

Focus Group: metodologia• Durata: non meno di 90 minuti e

non oltre i 120 minuti. • Conduzione: due persone, un a-

nimatore che conduce la discussio-ne e un osservatore che esaminale dinamiche di relazione del grup-po.

• Partecipanti: almeno 6/7 e nonpiù di 12/13 persone, poiché un nu-mero inferiore potrebbe inficiarele dinamiche di gruppo, mentre unnumero superiore tende spesso acensurare l’intervento delle opinio-ni contrarie o deboli, non permet-tendo a tutti i partecipanti di espri-mere al meglio le proprie idee.

IL FOCUS GROUP SI COMPONE DIQUATTRO FASI PRINCIPALI:

Fasi di attuazione del Focus Group1. RISCALDAMENTO: è la fase più de-

licata in cui si determina l’esito delfocus group, poiché spesso condut-tore e osservatore sono percepiticon diffidenza, come intrusi e inda-gatori. Si inizia a strutturare la co-municazione sul contenuto, stimo-lando i partecipanti con un giro ditavolo o mediante la tecnica del me-taplan, invitandoli a riflettere su untema generico che deve essere sem-pre più specificato e indagato nelladirezione utile rispetto ai fini pre-posti, seguendo i ragionamenti e leparole dei partecipanti stessi e fa-cendone un’analisi semantica e delcontenuto per farne emergere le cri-ticità.

2. RELAZIONE: in questa fase si in-daga il clima del gruppo; è perciò op-portuno fare domande su tematichedi interesse comune e condiviso. È

possibile utilizzare diverse tecniche,anche quelle proiettive per stimolarele libere associazioni e favorire l’e-sposizione di tutti i partecipanti

3. CONSOLIDAMENTO: in questo mo-mento, di norma, emergono le pro-blematiche più sentite; è perciò im-portante, lasciare che il gruppo met-ta in evidenza le proprie criticità, inquesto modo si focalizzeranno gliaspetti più importanti e utili alla rac-colta di informazioni e alla map-patura dei bisogni.

4. DISTACCO: la quarta fase è quelladell’allontanamento: per evitare dideludere le aspettative dei parteci-panti, che, a questo punto, se la tec-nica di ricerca è stata condotta edutilizzata nel modo appropriato, so-no in piena sintonia con il condut-tore, in cui ripongono fiducia, è be-ne attuare un distacco graduale, la-sciando che il gruppo si sfaldi da sé,in modo naturale

CHE COS’È UNO SCREENINGONCOLOGICO

Il termine screening, è un anglici-smo utilizzato in medicina, per indica-re una strategia (protocollo) di inda-gini diagnostiche generalizzate, u-tilizzate per identificare una malattiain una popolazione standard, con unrischio medio di malattia, che si repu-ta sufficientemente elevato da giusti-ficare la spesa e lo stress di cercarla.A differenza dei test medici eseguitinella pratica diagnostico-clinica gene-rale, le procedure dello screening, pre-vedono che gli esami medici siano ese-guiti a tappeto su tutta la popolazione,anche quelli senza alcun sintomo, indi-cazione clinica di malattia o familiaritàper malattia.

Lo scopo dello screening è quello diidentificare le malattie presenti inuna comunità in una fase precoce,permettendo così di giungere ad inter-venti terapeutici tempestivi ed alla ge-stione standardizzata della terapia inmodo di ridurre sistematicamente lamortalità e le sofferenze derivate dal-le malattie più diffuse e facilmente dia-gnosticabili.

La Qualità di un Servizio si rende vi-sibile al cliente/utente attraverso di-versi Canali:� Le Comunicazioni Scritte� Le Comunicazioni Telefoniche� Le Comunicazioni Istituzionali

� Le Comunicazioni e/o comporta-menti vis a vis � Le Comunicazioni di MarketingLa Qualità delle Comunicazioni di un

Servizio realizza una MAGGIORE O MI-NORE SENSIBILITÀ delle donne aiProgrammi di Screening

La Qualità Percepita è tanto più ele-vata quanto più si riesce a garantire lasoddisfazione dell’utente/cliente BISOGNI CONCRETI

Percezione di:• competenza tecnica• consigli• soluzioni• indicazioni• informazioni

BISOGNI PSICOLOGICIPercezione di:• competenza relazionale• cortesia • attenzione• empatia

LA COMUNICAZIONE IN EPOCA“POST-MODERNA”� Riconosce un ruolo attivo, re-

sponsabile e consapevole all’uten-te del servizio - adesione parteci-pata

� Offre una informazione esaustivae attendibile sui rischi e sui bene-fici

� Accetta un rifiuto consapevole

CONCLUSIONI• Al termine dei 6 Focus Group (3

con donne operate e tre con don-ne non operate) sono state createdelle linee guida contenenti indica-zioni e suggerimenti per le Asl af-finchè possano realizzare il mate-riale informativo e di invito per loscreening mammografico tenendoconto delle risultanze della ricer-ca/intervento - questa attività si staconducendo in molte regioni ita-liane. (Si tenga comunque contoche le Asl non sono obbligate a uti-lizzare le indicazioni date)

• È emersa la necessità di coinvolge-re di più i medici di famiglia neiprocessi di screening - con forma-zione specifica e con strumenti diinformazione dedicati

• Parte del lavoro è ancora in via disviluppo poiché ora c’è la necessitàdi confrontarsi con quanto emer-gerà dall’applicazione, dalla messain opera delle nuove comunicazio-ni.

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i seminari del sabato

practices & research

Sabato 23 giugno 2007Un’esperienza/proposta di un lavoro congiunto

tra psicologo e medico di baseLuigi Solano, Docente di Psicosoma-tica, Facoltà di Psicologia 1 e Scuo-la di Specializzazione in Psicologiadella Salute, Università di Roma “LaSapienza”. Membro Società Psicoa-nalitica Italiana.

La proposta di uno Psicologo di Ba-se, da inserire nell’assistenza sanitariaprimaria accanto al Medico di Base, na-sce da una riflessione in aree diverse:

a) Differenziazione e necessità di inte-grazione tra medicina e psicologiaLe competenze di medici e psicolo-

gi appaiono sempre più specializzatee differenziate, oltre che sempre piùvaste e articolate. Anche i modelli diriferimento appaiono sempre più di-versificati, tra una Medicina semprepiù concentrata sugli aspetti biologicie genetici della patologia e una Psi-cologia volta ad esplorare il rapportotra l’individuo e il suo contesto, in u-n’ottica che valorizza soprattutto laspinta evolutiva e le risorse. Apparequindi sempre più anacronistico e ina-deguato un rapporto tra le due figureall’interno dei sistemi sanitari pubbli-ci e privati che ricalchi quello tra unmedico generico e uno specialista, checondividono competenze e modelli teo-rici, mentre si presenta come neces-saria una collaborazione di tipo oriz-zontale che preveda la possibilità di unpresa in carico congiunta del disagio.

b) Le notazioni della psicologia cli-nica sul ruolo dello psicologo nelcontesto sanitario

In estrema sintesi, la psicologia cli-nica (es. Carli e Paniccia, 1989) rico-nosce come l’intervento dello psicolo-go venga richiesto quando si verificatra paziente e medico un “fallimentodella collusione”, cioè il venir meno diuno dei presupposti “istituzionali” chefondano la relazione medico-paziente(come delineati ad esempio da Par-sons). Esempi comuni di queste situa-zioni sono le patologie difficilmentetrattabili (laddove fallisce la fantasiadel “curare” nel senso di Fornari) e dif-ficoltà nel rapporto medico/paziente,per venir meno (il paziente non è di-sponibile ad affidarsi interamente almedico, a seguirne le indicazioni; non

mostra “volontà di guarire” ecc.). Ingenere non viene richiesto un interven-to sulla relazione (che avrebbe un sen-so) ma sul paziente che spesso non èné motivato né in condizioni di utilizza-re questo tipo di aiuto.

Lo psicologo è invece quasi sem-pre escluso (perché non viene con-sultato) dalle situazioni in cui po-trebbe dare un contributo ben mag-giore, come nelle fasi iniziali del disa-gio, quale quello che viene propostoad esempio ad un medico di base o nelcaso di patologie organiche anche gra-vi ma ben definite, riconoscibili, percui sono disponibili trattamenti di unaqualche efficacia, nel momento cioèche i presupposti del rapporto collusi-vo medico/paziente sono ben presen-ti.

C’è inoltre da rilevare, anche in situa-zioni in cui l’indicazione per un inter-vento psicologico può apparire ade-guata, la discrepanza tra il modo di in-tendere un invio, che in Medicina vie-ne “prescritto”, mentre per uno psico-logo può essere solo una proposta, cuiil paziente deve aderire con una pro-pria motivazione. Ne deriva che lemodalità di invio ad uno Psicologo,anche in situazioni idonee, non ri-sultano sempre adeguate.

c) Le acquisizioni della Psicosomati-ca contemporanea e della Psico-logia della salute

I più recenti sviluppi in questo am-bito vedono qualunque tipo di disagio,somatico o psichico, come derivantedall’interazione tra fattori biologici, psi-cologici, sociali; ogni patologia me-rita quindi di essere affrontata sot-to diversi versanti.

Gli studi che hanno utilizzato il co-strutto dell’alessitimia (Taylor et al.,1997) hanno evidenziato come i pa-zienti con disturbi somatici mostranospesso uno stile di comunicazione inco-lore, di scarsa pregnanza emotiva. Pertali motivi raramente appaiono al me-dico meritevoli di invio ad uno psicolo-go. Rischiano quindi di non essereinviate proprio le persone che per leloro caratteristiche sono più portatead esprimere attraverso il corpo leproprie difficoltà nel rapporto con ilmondo.

d) Il lavoro pionieristico di MichaelBalint (1957)

Il percorso clinico successivo alla pri-ma richiesta (“offerta”) del paziente

viene visto una co-costruzione tra pa-ziente e medico. È quindi necessarioseguire questa co-costruzione, coglien-do quanto un disagio che si presentacome somatico sia connesso con la si-tuazione relazionale, intrapsichica, diciclo di vita del paziente. È inoltre ne-cessario tenere le fila del rapporto coni diversi specialisti, per evitare scissio-ni. La proposta di Balint di una forma-zione dei medici a questo tipo di ascol-to e di operatività appare oggi menoattuabile, per i motivi esposti al puntoa). Può apparire più realistico affida-re due tipi diversi di ascolto delladomanda di tutti i pazienti a duefigure professionali distinte.

e) La diversa posizione sociale dellaMedicina e della Psicologia, e deiloro utenti

Mentre la malattia fisica è conside-rata come qualcosa di oggettivo e ine-vitabile per tutti, tanto che maggiorparte dei paesi occidentali è previstal’assegnazione gratuita di un medicocurante fin dalla nascita, l’accesso alquale è considerato auspicabile per tut-ti, il disagio psichico è considerato tut-tora come qualcosa che riguarda sol-tanto alcune persone, confinato in ser-vizi specifici, cui si accede su richiestadegli interessati o di chi per loro. Que-sta situazione rende di fatto tuttoraben presente un forte stigma nei con-fronti di chi si rivolga ad un opera-tore della salute mentale, e fa sì chequesto tipo di richiesta venga formu-lato in genere come “ultima spiaggia”,quando cioè il disagio, dopo anni di sof-ferenza, ha prodotto modificazioni in-trapsichiche strutturate, croniche, re-lativamente indipendenti dalla situa-zione relazionale che le ha generate.

PERCHÉ LO PSICOLOGO DI BASELa presenza di uno Psicologo di Ba-

se, che operi congiuntamente al Me-dico di Base nel suo studio nell’acco-gliere la domanda di tutti i pazienti,può permettere quindi un accesso di-retto da parte di tutta la popolazione,in una fase iniziale del disagio senza ilrischio di essere etichettati come “ma-lati di mente”; di offrire un ascolto cheprenda in esame, oltre alla condizionebiologica, anche la situazione relazio-nale, intrapsichica, di ciclo di vita delpaziente. Un risultato importante diquesto intervento può essere quello dilimitare la spesa per analisi cliniche evisite specialistiche, nella misura in cui

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i seminari del sabato

practices & research

queste derivino da un tentativo di let-tura di ogni tipo di disagio all’internodi un modello esclusivamente biologi-co.

L’ESPERIENZA DI ORVIETOA partire da questi presupposti è sta-

ta proposta e realizzata dal 2000, a se-guito di un accordo tra la Scuola diSpecializzazione in Psicologia della Sa-lute dell’Università di Roma “La Sa-pienza”, sede di Orvieto, e il DistrettoSocio-Sanitario di Orvieto, la presen-za di alcuni Psicologi specializzandipresso lo studio di alcuni Medici di Ba-se, in alcuni orari di visita, allo scopodi raccogliere congiuntamente al me-dico la domanda dei pazienti (l’espe-rienza è riportata estesamente in To-massoni e Solano, 2003).

Il confronto tra medico e psicologosui casi esaminati ha permesso di in-quadrare il disagio anche somatico nel-l’ambito più ampio della situazione re-lazionale e del ciclo di vita dei diversisoggetti, e di attuare un intervento piùglobale. Si è giunti inoltre a definireuna casistica in cui proporre un collo-quio più formale con lo psicologo, al difuori dell’orario abituale di visita, uti-lizzando criteri concordati, tra cui: evi-dente inserimento del disagio somati-co nell’equilibrio individuale e nella re-te relazionale dell’individuo; ineffica-cia dell’intervento effettuato sul pianosomatico; comparsa di sintomi semprenuovi, nonostante l’efficacia di inter-venti effettuati sul piano somatico.

A 5 anni dall’avvio dell’iniziativa sipuò affermare che l’iniziativa è fattibi-le (pur richiedendo un periodo di “ro-daggio” di diversi mesi), che ha incon-trato il favore dei pazienti, che non haportato ad un incremento di carico dilavoro per i servizi specialistici di Sa-lute Mentale della zona. Tutti i parte-cipanti all’iniziativa sono convinti chela presenza e l’intervento dello Psico-logo abbia comportato una riduzionedella prescrizione di analisi, esami ra-diologici, farmaci; purtroppo non è sta-to ancora possibile effettuare una ve-rifica puntuale. Si auspica che l’inizia-tiva possa costituire l’avvio di una spe-rimentazione in misura più intensivaed ufficiale presso il S.S.N.

Un caso clinico

Fabrizio, studente universitario, si èrivolto al medico perché preoccupatoper delle extrasistoli che ha avuto per

la prima volta due/tre mesi fa. Ha fat-to tutti gli accertamenti diagnostici delcaso e sono state escluse “cause orga-niche”. Il medico ha prescritto Xanax(benzodiazepina) e Inderal (beta bloc-cante). Dopo un contatto iniziale si de-cide che Fabrizio venga visto separa-tamente dalla psicologa fuori dall’ora-rio di ambulatorio. Una volta attivatoun ascolto di tipo diverso, emerge unfatto importante, recente nella storiadi Fabrizio: alcuni suoi amici sono sta-ti arrestati perché coinvolti in un pic-colo giro di spaccio di compresse di ec-stasy, in cui era coinvolto anche lui, perfinanziare il proprio consumo: è sfug-gito all’arresto per puro caso. Forte-mente spaventato, ha immediatamen-te interrotto anche qualunque assun-zione di droghe.

Fabrizio ricorda che usava le drogheper sentirsi più forte, più sicuro con leragazze; per lui innamorarsi era unadebolezza da nascondere. Ricorda cheproprio in concomitanza con l’emer-gere del sintomo, una ragazza, dellaquale era profondamente innamoratoda un anno senza “averlo mai tiratofuori”, si era messa con un altro ragaz-zo; lui si era “tenuto tutto dentro” an-che in questo caso. Emerge così l’effet-to di copertura delle droghe verso tut-ta una serie di insicurezze, di debolezzeche si presentano soprattutto nel vi-vere da parte di Fabrizio il tentativo disvincolo dalla famiglia. Parlare delleproprie emozioni, dei propri disagi, lofarebbe sentire debole; Fabrizio usaspesso l’espressione “debole di cuore”e il racconto dell’arresto degli amici e-voca nella psicologa la sensazione diarresto cardiaco che caratterizza le ex-trasistoli.

La sospensione dell’uso delle drogheha fatto emergere in Fabrizio delle in-sicurezze per lui inaccettabili: è per luipiù semplice accettare un sintomo fi-sico, una debolezza cardiaca che nonuna debolezza di sè come persona. Ladebolezza intollerabile si è trasforma-ta o si manifesta attraverso una debo-lezza somatica che richiede altre so-stanze, questa volta legali, i farmaci.Un nuovo “coperchio” sulle vere de-bolezze di Fabrizio, quelle da non ve-dere.

È quindi necessario che Fabrizio tro-vi altri canali di espressione dei suoistati emotivi di modo che così possa-no prendere sempre meno le vie delcorpo. Per ora Fabrizio ha ancora biso-gno di un sintomo per poter affronta-

re i temi del suo disagio ma poi, pro-gressivamente nell’arco di sei mesi, Fa-brizio elabora nei suoi 12 incontri conla psicologa alcune di queste tema-tiche: lo svincolo, l’accettazione delleproprie “debolezze” ed il riconoscimen-to delle proprie risorse, la possibilitàdi riconoscere e verbalizzare le emozio-ni, un maggiore rispetto per sé comepersona e non solo per la sua immagi-ne. Ora può proseguire il suo percor-so di autonomia e quando ogni tanto isintomi si riaffacciano, sono meno spa-ventosi e più “gestibili”, fino a scompa-rire.

Ciò che desidero sottolineare è co-me in questo percorso l’obiettivo nonsia stato tanto quello di “trattare” ov-vero ottenere la scomparsa del sinto-mo somatico, quanto trovarne un sen-so, inserirlo nel contesto di vita del pa-ziente, di modo che, anche il disturbonon fosse scomparso, acquisisse il si-gnificato non di “malattia” ma di rea-zione ad una situazione di vita proble-matica. L’eventuale scomparsa del sin-tomo dipenderà a questo punto dallapossibilità di trovare - ove possibile -modalità di reazione più adeguate, pos-sibilmente cercando una soluzione aiproblemi, sul piano interno alla perso-na e della realtà esterna.

BibliografiaBALINT M. (1957): The doctor, his pa-

tient and the illness. Pitman MedicalPublishing Co. Ltd., London, trad. it.Medico, paziente e malattia, Feltri-nelli, Milano, 1961.

CARLI R, PANICCIA R.M. (1989): Psico-sociologia dell’Ospedale: riflessionisul ruolo dello psicologo clinico. Ri-vista di Psicologia Clinica, 148-160.

TAYLOR G.J., BAGBY R.M., PARKERJ.D.A. (1997): Disorders of affect re-gulation: alexithymia in medicaland psychiatric illness. CambridgeUniversity Press, Cambridge, trad. it.Disturbi della regolazione affettiva.Fioriti, Roma, 2000.

TOMASSONI M., SOLANO L.(2003): UnaBase più Sicura: esperienze di col-laborazione diretta tra medici epsicologi. Franco Angeli, Milano,2003.

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i seminari del sabato

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Sabato 7 luglio 2007La RET

(Rational Emotive Therapy) e il comportamento altruista

nei disastri:un paragone

tra il Messico e l’ItaliaDott.ssa Leticia Marin, Psicologa Cli-nica laureata nell’Universitá Na-zionale Autonoma dell’Messico e nel-l’Universitá “La Sapienza di Roma”.Partecipa come psicologa nel pro-gramma “Hola mi gente-Ciao ami-ci” de Radio Vaticana ed è coordi-natrice dei gruppi di Auto MutuoAiuto del Centro Italiano SviluppoPsicologia (CISP); ha ottenuto il ti-tolo di Primary nel “Albert Ellis In-stitute” ed è collaboratrice nel In-stitute for Rational Emotive Beha-viour Therapy (Italy).

INTRODUZIONE: Il 30- 50 % della popolazione espo-

sta ad un evento catastrofico presen-ta qualche forma di squilibrio o didisadattamento emotivo (Alvarez,2006).

Quali sono le caratteristiche del si-stema di pensiero e di convinzioni fun-zionali e disfunzionali in individui che,in situazioni di disastro, adottano uncomportamento altruista? Secondo lateoria cognitiva “le emozioni e i com-portamenti delle persone sono in-fluenzati dalla percezione degli avveni-menti e dal modo in cui viene inter-pretata tale situazione” (Beck, 1964;Ellis, 1962).

Riguardo al comportamento altrui-sta De Silvestri (1999) afferma che lasimpatia e la compassione impiegate,credendo di consolare le vittime, “nonfa altro che aggiungere la propria ‘ca-tastrofizzazione’ della situazione aquella che già sta facendo la vittima,e può rinforzare la sua naturale auto-commiserazione”.

Esistono alcuni studi teorici ed em-pirici sui Volontari Del Soccorso (SV),ma non esistono ricerche sui lorosistemi di convinzioni nella fase di “im-patto” e “post-impatto” di fronte a undisastro.

Il nostro obiettivo è conoscere que-sto sistema di convinzioni ed osservar-ne la relazione col comportamento al-truista.

METODO: È stato realizzato un colloquio se-

mi-strutturato con un gruppo messi-cano e due gruppi italiani di Volonta-ri del Soccorso (SV) ed è stato appli-cato l’Irrational Beliefs Test di Jones(IBT) basato sulle convinzioni di-sfunzionali postulate da Ellis. Il cam-pione messicano era formato da 21 vo-lontari, per la maggior parte di sessomaschile, e dall’età media di 31 anni.Il primo gruppo italiano era costitui-to da 32 volontari, per la maggior par-te donne, dall’età media di 30 anni. Ilsecondo gruppo italiano era costitui-to da 39 volontari, per la maggior par-te uomini, dall’età media di 49 anni.

RISULTATI: L’area emotiva si manifesta alterata

di fronte alla situazione di disastropresentando ansia, tristezza, rabbia eimpotenza - soprattutto nel campio-ne messicano. Nell’IBT si osserva chein tutti i campioni predomina la con-vinzione disfunzionale: “La mia infe-licità dipende da cause esterne e quin-di io posso fare poco o niente per cer-care di controllare le mie pene e i mieidisturbi”; in secondo luogo si osservala convinzione: “Se qualcuno ha qual-che problema o disturbo o sofferen-za, io mi devo tremendamente scon-volgere per questo motivo”.

Nelle convinzioni meno frequentitutti i campioni hanno manifestato laseguente: “Se qualcosa mi sembra dif-ficile, allora mi conviene evitarla piut-tosto che affrontarla”. Nel campionemessicano, diversamente dal campio-ne italiano, si osserva con bassa fre-quenza la convinzione: “Si deve pro-vare paura o angoscia di fronte a qual-siasi situazione sconosciuta, incerta opotenzialmente pericolosa”.

CONCLUSIONE E DISCUSSIONE: Quando gli SV sono turbati da cir-

costanze sgradevoli non presentanoalcun controllo su loro stessi né sulleloro emozioni. Un avvenimento ester-no può diventare orribile soltanto per-ché è così che lo percepiscono. Inrealtà l’effetto su di loro è lieve o ine-sistente, ma la sensazione di impo-tenza e ansia, e l’empatia verso le vit-time spiegano il perché del compor-tamento altruista anche in situazionidifficoltose.

Nel campione messicano la paura èstata una reazione nascosta o negata,e ha quindi avuto come conseguenzaatti eroici. Nella discussione dei ri-sultati si confrontano nei dettagli tut-ti i campioni.

Bibliografia e sitografiaAlvarez, J. Programma de Intervención

en crisis. UNAM, México, 2006.De Silvestri, C. Il mestiere dello psicote-

rapeuta. Astrolabio, Roma 1999.Marin, L. Terapia Razionale Emotiva.

www.psicoterapie.org

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Venerdì 2 marzo 2007Il test di stile attentivo

e interpersonale (TAIS) per losviluppo di prestazioni eccellenti

Dott. Alberto Cei, Università di TorVergata e di Cassino, Presidente So-cietà Italiana Psicologia dello [email protected]://www.ceiconsulting.ithttp://www.enhanced-performance.com

Perché si fallisceQuando si analizzano le cause per cui

individui anche esperti, come gli atle-ti di livello assoluto o i manager delleaziende, non raggiungono gli obiettiviche si erano prefissati oppure sottostress non forniscono le prestazioni dicui invece sono capaci, l’importanzadel fattore umano prende il soprav-vento rispetto al fattore tecnico e pro-fessionale. Alle olimpiadi di Sydney unatleta italiano campione del mondo incarica nella sua specialità e favoritoprincipale nella vittoria di una meda-glia ha fatto così male durante la pri-ma prova da precludersi immediata-mente la possibilità raggiungere il po-dio. Alle olimpiadi di Atlanta, un altroatleta che vinse poi la medaglia d’ar-gento, un’ora prima della finale si sen-tiva così “a terra e privo di energia” danon aver la forza di prepararsi a que-sto momento decisivo per la sua carrie-ra sportiva, riuscì a reagire ed a rag-giungere il suo obiettivo.

Queste storie raccontano di comenon basti la competenza tecnica peravere successo, è indispensabile perstare ad alto livello, ma da quel puntola differenza fra un vincente e un per-dente di una olimpiade o di un cam-pionato del mondo è determinata inlarga parte dal fattore psicologico.

Il successoLe olimpiadi del mondo del lavoro ri-

guardano la capacità di un’organizza-zione di stare sul mercato, di esserecompetitiva, di produrre ricchezza, disaper uscire dalle crisi o dai periodi direcessione.

La riuscita non dipende solo da fat-tori organizzativi e professionali ma pu-re dalla capacità di leadership del ma-nagement, dall’abilità nel trasmettereuna visione strategica e nel farla con-dividere e da molte altre competenzeche mettono in evidenza, analogamen-te allo sport di vertice, l’importanzadel fattore umano. Un esempio calzan-te riguarda l’attività di program mana-ger. Anche in questo caso si tratta dipersone professionalmente competentie per i quali la pianificazione è un ele-mento centrale della loro attività. E al-lora come mai è così frequente realiz-zare con loro un programma di auto-sviluppo proprio centrato sul miglio-ramento di questa componente? Per-chè anche la migliore progettazioneandrà incontro a forti ostacoli se il ma-nager non sarà altrettanto competen-te nel capire se, le urgenze poste daisuoi uomini, sono determinate dalle lo-ro ansie personali o sono veramenteimportanti, e ancora se devono essereaffrontate proprio in quel momento ose possono essere inserite in una pro-grammazione successiva. Queste sonodecisioni manageriali attinenti allecompetenze psicologiche e che ri-guardano in particolare l’abilità di sa-persi prendere del tempo prima di ri-spondere, quella di sapere negoziare itempi di un eventuale intervento o an-cora quella di sapere identificare rapi-damente i benefici e i costi determi-nati dall’interruzione dell’attività in cor-so per dedicarsi ad un’altra. Maggioreè la competenza del program managernella gestione complessiva del team edelle attività non programmate in pre-cedenza, maggiore sarà la valorizzazio-

ne delle sue competenze tecnico/pro-fessionali.

In sintesi, riportando il pensiero diRobert Nideffer, uno dei principali e-sperti della consulenza nell’ambito del-la peak performance: cos’hanno incomune i manager leader migliori congli atleti di élite e i corpi speciali dell’e-sercito? L’abilità a prestare attenzione,a non farsi distrarre e a rimanere foca-lizzati su un compito alla volta ma incontesti in cui bisogna sapere che mol-to spesso si sarà costretti a cambiareattività, spostando l’attenzione su unnuovo obiettivo e poi su un altro anco-ra, e così via per l’intero arco della gior-nata.

Attenzione e comunicazione Sia che tu sia un manager o un atle-

ta non potrai fornire prestazioni effi-caci se non sei concentrato. Quindi ilsapere organizzare la propria atten-zione è una delle componenti critichedel successo. Inoltre, siamo quotidiana-mente immersi in una rete di rapportisociali e professionali in cui svolgiamoun ruolo attivo e responsabile e, per-tanto, lo stile interpersonale diventaun’altra variabile cruciale del succes-so.

Robert Nideffer è lo psicologo ame-ricano che sin dagli anni ‘70 ha svilup-pato un sistema di autovalutazione del-lo stile attentivo e interpersonale: il Te-st of Attentional and Interpersonal Sty-le (TAIS). L’uso di un questionario diautovalutazione all’interno del processoconsulenziale sia esso orientato alla se-lezione di candidati per una posizioneaziendale, alla identificazione e svilup-po di giovani talenti o alla formazionemanageriale è utile per identificare ipunti di forza e di debolezza di ogni in-dividuo in relazione alla ruolo che do-vrebbe assumere o che già ricopre.

i seminari del sabato

TOOLSGLI ABSTRACTSDEI SEMINARI DEL SABATO

DEDICATI AGLI “STRUMENTI”

DELLA PROFESSIONE

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i seminari del sabato

tools

Test di Stile Attentivo eInterpersonale (TAIS)

Il TAIS consente di formulare delleipotesi sul grado in cui un individuo sidescrive competente nell’orientare lasua attenzione e i suoi processi deci-sionali nello svolgimento della sua at-tività e su come affronta e gestisce irapporti interpersonali. Ambedue que-sti aspetti sono determinanti nel favo-rire prestazioni efficaci e nell’orienta-re gli individui alla costruzione di pia-ni di miglioramento personali.

Il TAIS è un questionario di autova-lutazione composto da 144 item, rife-riti alla prestazione ed evidenzia unarelazione diretta fra dimensioni psico-logiche, attentive e le prestazioni. IlTAIS è stato costruito per aumentarel’abilità a comprendere, predire e con-trollare le azioni degli individui forte-mente efficaci. È l’unico questionariodi questo tipo che esiste al mondo.

In particolare dall’analisi delle sin-gole scale relative all’attenzione e aiprocessi decisionali si ottengono le se-guenti informazioni:

1. Percezione immediata dell’am-biente - Si evidenzia quanto un in-dividuo si ritiene abile nel com-prendere cosa sta accadendo o staper succedere nel suo ambientelavorativo e in che misura si per-cepisce consapevole di quali sonogli stati d’animo delle persone concui entra in contatto.

2. Abilità di analisi e ad avere un

pensiero strategico - Si eviden-zia quando un individuo si ritieneabile ad organizzare la propria at-tività e quella dei collaboratori, sela persona attribuisce responsa-bilità ai collaboratori e se verificacon regolarità e tempestività i ri-sultati in corso d’opera e finali.

3. Abilità a perseguire con effica-cia i propri compiti - Si eviden-zia quanto un individuo si ritieneabile a perseguire in modo accura-to gli obiettivi che si è posto o chegli sono stati forniti dall’azienda,agendo nel modo previsto.

Dall’analisi delle scale del TAIS rela-tive alle abilità interpersonali si otten-gono le seguenti informazioni:

1. Autostima e competitività - Indi-vidui che si definiscono fiduciosi ecompetitivi si percepiscono in gra-do affrontare con determinazioneanche le situazioni più difficili e cherichiedono un intenso dispendio dienergia psicologica.

2. Estroversione - Le persone che sidichiarano estroverse hanno mag-gior facilità e disponibilità a con-durre attività professionali a stret-to contatto con molti colleghi eclienti e a tollerare le aspettative elo stress psicologico che gli altri ri-volgono a loro.

3. Attention management - Una spe-cifica esigenza di ogni manager edella sua squadra è di lavorare pre-

valentemente su attività pianificate,che sono state identificate come ri-levanti, riducendo la frequenza del-le attività di pronto soccorso .

4. Supporto e confronto - Bisogna sa-per incoraggiare i propri colleghi e/ocollaboratori ma nel contempo è ne-cessario saper sostenere le proprieconvinzioni anche in ambienti chesembrano non accettarle o che lemettono in discussione. Ovvero bi-sogna riconoscere alle persone labuona qualità del loro lavoro ma an-che saper esprimere loro delle cri-tiche in maniera diretta e costrutti-va.

5. Rapidità decisionale - È necessa-rio essere consapevoli di quanto bi-sogna essere rapidi nell’assumereuna decisione, sapendo se nel no-stro ruolo o in quella situazione èprioritaria la velocità sull’accura-tezza o piuttosto qual è il grado ot-timale d’integrazione fra questi dueaspetti apparentemente opposti.

6. Controllo emotivo - Evidenzia l’a-bilità ad autoregolare il proprio li-vello emotivo in relazione alle ne-cessità dell’attività e del ruolo. Inparticolare è necessario controllarele ansie/preoccupazioni personali,la rabbia, l’autocritica eccessiva e lacritica distruttiva verso le altre per-sone; queste rappresentano moda-lità di comunicazione verso sé e glialtri che devono essere utilizzatemolto raramente.

LE SCALE DEL TAIS

ABILITÀ DI CONCENTRAZIONE ED ERRORIConsapevolezza Esterna Consapevolezza dell’ambiente esterno e abilità a comprendere i segnali non-verbali Analitico/Concettuale Abilità a integrare nuove informazioni e risolvere i problemiConcentrazione Focalizzata Abilità a prestare attenzione ai dettagli, seguendo i compiti assegnati Distraibilità Esterna Tendenza ad essere distratti dai rumori e dalle attivitàDistraibilità Interna Tendenza ad essere distratti dai propri pensieriFlessibilità Ridotta Tendenza a diventare rigidi, inflessibili e incapaci di vedere alternative

ABILITÀ INTERPERSONALIPreferenza per la Diversità Abilità a padroneggiare più compiti nello stesso tempoImpulsività Volontà di assumersi rischi e di non essere convenzionaliLeadership Bisogno di prendersi carico delle persone e degli eventiAutostima/Fiducia Convinzione di svolgere con efficacia il proprio lavoroCompetitività Desiderio di vincereProcessi Decisionali Velocità con cui vengono prese le decisioniEstroversione Bisogno di stare con le altre personeIntroversione Bisogno di spazi personali e di privacyEspressione delle Idee Volontà di condividere idee e pensieriEspressione della Critica Volontà di confrontare le idee e di stabilire dei limitiEspressione di Supporto Volontà di supportare e di collaborare con gli altriAutocritica Abilità di sapersi mettere in discussione in maniera positivaPrestazione sotto Pressione Abilità nel fornire ottime prestazioni nelle situazioni e nei momenti decisivi

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Sabato 3 marzo 2007La valutazione delle prestazioni:

dalla prestazione attesa alla comunicazione dei risultati

Rosaria Apreda, Risorse Umane e Or-ganizzazione Formez Centro di For-mazione Studi

La Valutazione delle Prestazioni delPersonale consente di valorizzare ilcontributo delle risorse umane e puòrappresentare un valido strumento asupporto dell’organizzazione per il rag-giungimento degli obiettivi aziendali.

Oggetto della valutazione è la pre-stazione professionale, cioè l’attivitàsvolta, in un periodo di tempo delimi-tato, per raggiungere i risultati quali-tativi e quantitativi attesi. Ciò che vie-ne valutato sono SOLO comportamentiosservabili e risultati concreti e NONle caratteristiche delle persone né larilevanza della funzione assegnata.

Tale sistema può presentare una se-rie di vantaggi per l’azienda e per tut-ti i soggetti coinvolti nella applicazio-ne dell’iter valutativo.

Quali sono i vantaggi per l’azienda:- raccogliere e tenere aggiornate le

informazioni sul patrimonio uma-no di cui dispone;

- conoscere il contributo prestato datutte le risorse al raggiungimentodegli obiettivi generali e specifici;

- responsabilizzare tutto il persona-le sugli obiettivi da raggiungere;

- orientare e valorizzare la presta-zione di ogni risorsa umana all’in-terno dell’organizzazione;

- identificare percorsi formativi perlo sviluppo professionale delle sin-gole persone;

per coloro che gestiscono risorse u-mane:

- avere un momento istituzionale incui esercitare le funzioni di coordi-namento, guida e sviluppo dei col-laboratori;

- verificare l’impatto del proprio sti-le di gestione attraverso il confron-to con il collaboratore;

- migliorare i rapporti capo/collabo-ratore, prevenendo o elaborandoeventuali incomprensioni o conflitti;

per il personale:- avere occasione di confrontarsi con

il proprio capo sui problemi attua-li e sui possibili programmi di svi-luppo dell’attività e della propriaformazione;

- avere un momento istituzionale per

affrontare ed elaborare eventualiconflitti o incomprensioni;

- conoscere il modo in cui il propriocontributo professionale si integracon quello delle altre figure all’in-terno dell’unità organizzativa;

Le tecniche di valutazione delleprestazioni

Capo - Collaboratore: è la più diffu-sa e prevede che i Valutatori siano i di-retti Superiori delle Risorse. La pre-stazione individuale è valutata dal Re-sponsabile dell’Unità Organizzativa alquale la risorsa è assegnata o dalla per-sona alla quale formalmente risponde(valutatore), in quanto responsabiledella prestazione del collaboratore.

Comitato di valutazione o panel diesperti: composto di solito da 3-5 per-sone di pari livello del capo diretto eclienti interni (colleghi di funzioni di-verse da quelle del valutato).

Nel panel possono essere inclusi e-sperti all’organizzazione specializzatinella valutazione delle prestazioni cheutilizzano strumenti specifici e perso-ne della funzione Risorse Umane chegiocano un ruolo di guida e indirizzo.

Auto-valutazione: viene utilizzata intermini di auto-diagnosi e auto-osser-vazione. Quando usata è ad integrazio-ne di valutazioni etero-dirette, con ilfine di coinvolgere il valutato nel pro-cesso e confrontare e controllare laconvergenza dei risultati tra le valuta-zioni dei superiori e quelle del singo-lo.

Valutazione 360°: pluralità di valuta-tori in grado di osservare i comporta-menti del valutato da posizioni diver-se (capi, collaboratori, pari grado,clienti interni, clienti e fornitori).

Gli strumenti per effettuare la va-lutazione delle prestazioni posso-no essere: � dei Profili Valutativi , anche diversi

dalla qualifica professionale; � un catalogo di Comportamenti

Organizzativi � Obiettivi, criteri di raggiungimen-

to e metodologia per la loro co-struzione;

� un modello di Scheda di Valuta-zione delle Prestazioni.

Quando il sistema di valutazione del-le prestazioni prevede un “mix” di in-dicatori fisici (gli obiettivi) e qualita-tivi (i comportamenti organizzativi) èconsigliabile ponderare il peso fra i due

elementi valutativi in funzione dellamaggiore responsabilità e complessitàagita all’interno del ruolo assegnato al-la risorsa valutata.

Si raccomanda di subordinare sem-pre l’assegnazione di obiettivi al siste-ma di monitoraggio che necessaria-mente deve essere attivato per unareale utilità ai fini della valutazione.

I Comportamenti Organizzativi sonoquelle “azioni/atteggiamenti concreti”considerati necessari per svolgere ade-guatamente le attività previste dal ruo-lo.

Ogni Comportamento Organizzativomisura i diversi aspetti della prestazio-ne necessaria ad interpretare effica-cemente il ruolo assegnato, anche inquesto caso è consigliabile ponderarefra i comportamenti oggetto di valuta-zione il peso che ognuno di loro avrànella valutazione complessiva.

Precauzioni d’usoIl processo di valutazione delle pre-

stazioni, soprattutto in Italia, ha vistoil proliferare di un’ampia casistica diusi impropri, spesso dettati più dallamoda del momento che non dalle spe-cifiche esigenze aziendali.

Il processo valutativo genera delle a-spettative che, se disattese creanospesso pericolosi effetti boomerangquali ad esempio:� perdita di senso di appartenenza

all’azienda� demotivazione (e conseguente ri-

duzione della performance)� abbandono dell’azienda (soprat-

tutto da parte delle persone amaggiore potenziale)

Indipendentemente dalle tecnicheutilizzate, la maggiore o minore effica-cia della valutazione dipende da quan-to la stessa sia stata accettata e consi-derata dal management dell’azienda.

Il processo valutativo in azienda do-vrebbe essere vissuto/visto nel suo in-sieme come:� momento atteso e non temuto� momento di rafforzamento del

senso di appartenenza� processo continuo di apprendi-

mento e crescita che si rinnova� elemento distintivo che punta al-

lo sviluppo dei suoi dipendenti.

Come facilitare l’accettazione e l’u-tilizzo del sistema di valutazione:� ridurre la soggettività della valuta-

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zione basando il giudizio su dei pa-rametri osservabili

� diffondere la conoscenza e l’utiliz-zo dei meccanismi di valutazione

� mostrare i benefici dall’utilizzo deirisultati della valutazione

� Rinnovare ogni 3-4 anni il proces-so di valutazione per evitare chediventi un rito annuale obsoletocollegandolo a una campagna/slo-gan per introdurre un progetto dimiglioramento nella gestione del-le risorse umane.

Un buon processo valutativo consen-te di gestire le leve su cui agire per so-stenere ed incrementare il valore gene-rabile (potenziale) e generato (perfor-mance) dalle persone all’interno del-l’organizzazione (posizione).

BibliografiaGiorgio Aiuto (a cura di), Gestire, retri-

buire, incentivare la performance.Le condizioni per garantire miglio-ri risultati sul lavoro, FrancoAngelicollana Risorse Umane delle Organiz-zazioni

Andrea Castello D’Antonio, Il colloquio divalutazione. Tecniche e metodi ope-rativi per condurre il colloquio va-lutativo tra capo e collaboratore,FrancoAngeli

Marco Fertonani, Le competenze mana-geriali. Dalla valutazione delle pre-stazioni e del potenziale alla valu-tazione delle competenze manage-riali, FrancoAngeli

Sabato 10 marzo 2007 Introduzione alla tecnica

del Social DreamingSimonetta Lanciani e Laura Selvaggi

Il Social Dreaming (“sogno socievo-le”) è una tecnica per sviluppare il pen-siero divergente (creativo) che si basasull’esplorazione in gruppo dei sogni.

La caratteristica fondamentale di que-sto metodo consiste nel modo assolu-tamente insolito di considerare i sogni:essi non sono interpretati come testi-monianze del mondo interno dei so-gnatori, ma piuttosto come contributoalla comprensione della realtà esternacondivisa.

L’ipotesi centrale è che i sogni con-tengano informazioni importanti sullarealtà sociale all’interno della quale lepersone vivono nel momento in cui so-gnano. Le informazioni che il SD rendedisponibili non coincidono con quelleche ciascuno può percepire attraversole ordinarie modalità di pensiero. Que-sta tecnica permette infatti di coglieree svelare aspetti impensati, imprevistio talvolta nascosti del funzionamentodel mondo circostante.

1. Note storiche: la “scoperta” delvalore sociale dei sogniPer un corretto inquadramento del-

la tecnica, è utile ricostruirne le origi-ni a partire dalle esperienze condotteda Gordon Lawrence agli inizi degli an-ni ‘80 nell’ambito della consulenza a-ziendale e istituzionale. Le fonti stori-che, antropologiche e psicologiche delSocial Dreaming, così come la forma-zione e l’impostazione teorica del suo“fondatore” risultano preziose per ca-ratterizzare un metodo che da un latopresenta una sostanziale innovazionerispetto alla prospettiva corrente sulsogno, dall’altro si ricollega con una co-noscenza ed una prassi antichissime etuttora in uso presso popolazioni pri-mitive.

2. Che cos’è il Social Dreaming:definizione di uno strumentoLa tecnica del Social Dreaming si ba-

sa su concetti e processi assolutamen-te specifici, che richiedono di esseredefiniti ed illustrati nel dettaglio.

I concetti di matrice (riunione in cuii partecipanti condividono i sogni) e ho-st (conduttore), i processi di libera as-sociazione, amplificazione tematica epensiero sistemico, nonché le regoleprocedurali (setting e compito prima-

rio) saranno presentati tanto nelle lo-ro origini e derivazioni teoriche, quan-to nel significato peculiare che assu-mono all’interno di questo metodo.

L’originalità della prospettiva del So-cial Dreaming sarà inoltre sottolineataattraverso il confronto sia con la psico-terapia in generale, sia con le teorie ele tecniche di gruppo.

3. Social Dreaming e piccologruppo a finalità analitica: ildifferente valore del sognoNell’ambito del confronto tra Social

Dreaming e psicoterapie di gruppo, ver-rà assegnato particolare rilievo all’uti-lizzo del sogno nel piccolo gruppo ana-litico, tecnica in cui lo strumento cen-trale non è il sogno, ma il gruppo stes-so. In questa prospettiva il sogno è so-lo uno dei possibili registri di linguag-gio utilizzabili dai partecipanti e dal con-duttore. È il gruppo il vertice privile-giato da cui osservare il qui ed ora del-la seduta, è il gruppo nel suo insiemeche esercita la funzione analitica e cherappresenta l’oggetto della terapia. Ver-rà proposto anche un breve riferimentoalla teoria analitica dei gruppi di W.R.Bion.

Utile sarà inoltre la specificazione del-le particolarità del setting utilizzato neidue contesti (gruppo a finalità analiti-ca e Social Dreaming) e del diverso ruo-lo del conduttore (attenzione alle di-namiche di gruppo e restituzione del la-voro del gruppo; attenzione “fluttuan-te” ai sogni e assenza di interpretazio-ni).

Queste premesse consentiranno diproporre anche alcune considerazionisui punti di contatto e i confini tra l’u-so del sogno sociale e il sogno nella te-rapia di gruppo psicoanalitica.4. Applicazioni: l’utilità del Social

Dreaming in differenti contestiVerrà proposta una panoramica del-

le esperienze condotte con questa tec-nica, a partire da quelle pionieristichenel campo della formazione aziendalefino alle esplorazioni più recenti in cam-po politico e sociale, con particolare ri-ferimento al contesto italiano.

Da questo vertice verranno inoltreesaminate le “ipotesi di lavoro” formu-late nel corso della pratica e tuttora incorso di validazione.5. Studio dei casi

Brevi sequenze di sogni e associazio-ni tratte da esperienze dirette verran-no proposte come esempio e offerte alcommento del gruppo dei partecipantial seminario.

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Sabato 17 marzo 2007La Psicologia Giuridica

Ruolo dello psicologo comeperito, ctu e ctp.

Metodologia di intervento

Paolo Capri, Psicologo, Psicotera-peuta, Presidente Istituto di Forma-zione CEIPA, Consiglio DirettivoAssociazione Italiana di PsicologiaGiuridica AIPG, Vice PresidenteAssociazione Italiana Rorschach

LA PSICOLOGIA GIURIDICALa psicologia giuridica in Italia ha ra-

dici molto antiche e forti tradizioni cherisalgono addirittura agli inizi del ‘900,epoca in cui illuminati studiosi comeU. Fiore (1909), S. G. Ferrari, A. Ren-da (1906) e S. De Sanctis (1913) giàsegnalavano, attraverso articoli e la-vori specifici, le varie direzioni in cuisi poteva sviluppare la materia. Ma sol-tanto nel 1925 con la pubblicazione diPsicologia Giudiziaria di Enrico Al-tavilla - giurista napoletano, docentedi Diritto e Procedura Penale - la psi-cologia giuridica ebbe una vera siste-matizzazione, riuscendo a cogliere lesfumature del Diritto e della Psicolo-gia, coniugandole all’interno del pro-cesso e nel contempo facendo mante-nere ad entrambe le discipline la loronecessaria autonomia.

Prendendo spunto da E. Ferri (E. Al-tavilla, 1925), possiamo suddividere lapsicologia giuridica in cinque differentisettori d’intervento:1) la psicologia criminale, che si oc-

cupa dello studio della personalitàdi un individuo in quanto autore diun reato, dei concetti di criminalitàe devianza, di devianza minorile, deimodelli di analisi e delle teorie in-terpretative;

2) la psicologia giudiziaria, che stu-dia la personalità dell’individuo inquanto imputato, nonché le perso-ne che partecipano al processo (giu-dici, testimoni, avvocati, parti lese).Analizza gli aspetti di responsabilitàpenale e pericolosità sociale, le stra-tegie e le tattiche in ambito pro-cessuale, la vittimologia e la psico-logia della testimonianza;

3) la psicologia penitenziaria, cheesamina i problemi psicologici rela-tivi alla detenzione, attraverso atti-vità di osservazione, sostegno e trat-tamento del condannato; che esami-na la personalità di un soggetto sot-toposto ad una pena, in riferimen-

to al nuovo ordinamento peniten-ziario (legge 26 luglio 1975 n. 354)sulle misure alternative alla deten-zione e sul trattamento individualiz-zato. In particolare l’individuazionedel trattamento comporta un’atten-ta considerazione dei bisogni di cia-scun individuo.

Per quanto riguarda l’esame dellapersonalità contemplato dall’art. 13, lopsicologo elabora una relazione sullostato di salute mentale e sulla persona-lità del soggetto che farà parte di una“relazione di sintesi” composta dal-l’osservazione degli altri specialisti al-l’interno del carcere. L’equipe di lavo-ro degli esperti fornirà, in tal modo, almagistrato di sorveglianza gli strumentiper decidere sulla individualizzazionedella pena e sulle eventuali misure al-ternative alla detenzione;4) la psicologia giuridica civile, che

valuta, attraverso consulenze tec-niche di affidamento minorile neicasi di separazione e divorzio, l’af-fidamento dei figli in relazione al-l’affidamento condiviso (art. 155c.c.) o esclusivo, quello eterofami-liare o quello alternato, ma ancheconsulenze per valutare la capacitàgenitoriale in relazione all’adozionenazionale e internazionale, nonchéconsulenze per accertare il dannobiologico-psichico e il mobbing.

5) la psicologia legale, che coordinale nozioni di psicologia esistenti al-l’interno del codice per contribuireal miglioramento delle leggi, natural-mente attraverso analisi delle cate-gorie giuridiche a rilevanza psico-logica.

PERITO CTU, CTPIl ruolo del perito d’ufficio, in ambi-

to penale, è regolato dagli articoli 220,221, 223, 224, 226, 227, 228, 229, 231del cpp (codice di procedura penale),mentre gli articoli 61, 62, 63, 64, 191,192, 193, 194, 195, 196 del cpc (codi-ce di procedura civile) si riferisconoall’attività del consulente tecnico d’uf-ficio (CTU), in ambito civile.

Il ruolo del consulente tecnico di par-te (CTP) viene regolamentato dall’arti-colo 201 del cpc in ambito civile e da-gli articoli 225, 230 e 359 del cpp inambito penale.

Il compito del Perito e del CTU èquello di rispondere a dei quesiti delmagistrato attraverso una relazionescritta.

Il perito, dunque in ambito penale,

dovrà valutare la capacità di intende-re e di volere (art. 85, 88, 89 c.p.) - in-fermità o seminfermità psichica - di unindividuo maggiorenne indagato perun reato; in ambito penale minorile do-vrà valutare sempre la capacità di in-tendere e di volere di un minore fra i14 e i 18 anni legata ad eventuale infer-mità mentale, ma in questo caso anchein relazione al concetto di maturità/im-maturità e alla comprensione del disva-lore delle proprie azioni (art. 98 c.p.).Sempre in penale, dovrà valutare la ca-pacità di rendere testimonianza di unminore in ipotesi di abuso sessuale.

Il CTU, in civile, dovrà effettuare del-le valutazioni rispetto l’ambito specifi-co, ovvero ad esempio nelle consulen-ze di affidamento e nelle consulenzedi adozione dovrà valutare le capacitàgenitoriali, nel primo caso suggerendoanche il tipo di affidamento e le moda-lità di frequentazione del minore conil genitore non convivente. Nelle con-sulenze sul danno psichico dovrà va-lutare se un eventuale trauma succes-sivo ad un atto illecito ha prodotto nel-l’individuo una grave modificazione divita o addirittura un disturbo di tipopsichico.

I CTP, sia in penale che in civile, han-no il compito di seguire le varie fasidella perizia/consulenza, di tutelare neilimiti etici della propria professione lapropria parte e di redigere alla fine del-le note psicologiche a supporto dellarelazione peritale d’ufficio o al contra-rio criticandone i contenuti.

In realtà, a parte la regolamentazio-ne normativa che chiarisce formalmen-te il ruolo e le competenze dello psico-logo all’interno delle perizie e delleconsulenze, molte sono le difficoltà cheincontra lo psicologo, a causa soprat-tutto della relazione con gli altri colle-ghi e con i vari operatori giuridici, av-vocati, magistrati, ecc.

Infatti, in relazione all’ambito appli-cativo uno dei problemi più attuali ecomplessi che lo psicologo giuridico sitrova ad affrontare nella sua praticaperitale è quello del rapporto profes-sionale fra consulenti, d’ufficio e di par-te, all’interno di una perizia o consulen-za tecnica.

Il ruolo del perito, del CTU o delCTP, i loro diritti e i loro doveri, i com-piti e le funzioni che attribuisce loro lanormativa vigente, il loro rapporto al-le volte di collaborazione, altre solo dicontrollo da parte del CTP sul lavoro

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svolto dal perito, sono soltanto alcune- anche se tra le più importanti - dellenumerose problematiche che investo-no l’ambito peritale.

Ma a monte, altre sono le difficoltàdello psicologo in questo ambito, diffi-coltà dalle quali parte la grande proble-matica del rapporto professionale fraperiti e CTP. Infatti, la difficoltà di col-legamento fra queste due figure nascespesso dalla non conoscenza dei ruolie delle reciproche competenze, dei lo-ro diritti e dei loro doveri. I problemi,dunque, nascono per la carenza di co-noscenze procedurali da parte degli e-sperti, ma anche per le numerose diffi-coltà che il perito incontra lungo la suastrada, difficoltà sia interne alla pro-pria personalità, essendo questa unamateria molto particolare e delicata,sia esterne legate alla complessità delsistema in cui si opera.

L’argomento trattato è a nostro avvi-so particolarmente delicato e difficile,in quanto i consulenti e i periti assu-mono sulle loro spalle enormi respon-sabilità, poiché entrano direttamente- anche se questo non sempre può ap-parire - nei destini delle persone, con-tribuendo in parte alla costruzione delloro futuro.

METODOLOGIAPer quanto riguarda la metodologia

psicologica in relazione all’esame psi-chico, ricordiamo che la complessitàdei processi mentali individuali ha por-tato la psicologia ad utilizzare tecnichesempre più raffinate al fine di amplia-re i dati conoscitivi relativi allo studiodello sviluppo della personalità.

L’esame della personalità, in ambitoforense, civile e penale, nell’età adul-ta e nell’età evolutiva, è ormai entratoa far parte delle valutazioni che qual-siasi consulente o perito deve fare, alpunto che, in base al contesto giuridi-co di riferimento, viene addirittura ri-chiesto e specificato nei quesiti postidal giudice.

In tutti i casi - nell’età adulta e nel-l’età evolutiva, in penale e in civile - or-mai può ritenersi acquisita l’integra-zione di più metodologie dell’esamepsichico, osservazione diretta, anam-nesi, colloqui liberi, tematici e test psi-cologici.

I test scientificamente condivisi, perricerche e pubblicazioni, possiedono,se correttamente utilizzati, quei requi-siti necessari e fondamentali per poterfornire in ambito forense, soprattutto

dal punto di vista qualitativo, informa-zioni approfondite sulla personalità,sulla sfera cognitiva, su quella affetti-va e sulla struttura dell’Io, sia nella fa-se di sviluppo dell’età evolutiva, sia nel-la fase più definita dell’età adulta.

Pertanto, la funzione operativa svol-ta da tali strumenti, proprio grazie al-la loro componente statistico-descritti-va, dovrebbe permettere una condivi-sione omogenea di vedute fra esperti,rendere possibile non solo il confron-to, ma anche la verifica del risultato.

A questo proposito non si può nega-re che i dati ricavati da un esame effet-tuato attraverso i test, nello specificoe a maggior ragione quelli proiettivi co-me ad esempio il Rorschach, a causadella loro complessità conseguente an-che alla teoria psicoanalitica che ne èalla base, richiedono una preparazio-ne psicologica da parte dell’esamina-tore che dovrebbe prevedere cono-scenze approfondite quantomeno del-le teorie dinamiche della personalità,nonché un’adeguata esperienza clini-ca, oltreché conoscenze specifiche de-gli indici e dei dati formali dei test.

Se tutto ciò non fosse possibile sicomprometterebbe gravemente lostraordinario apporto di queste prove,alimentando in tal modo le critiche aitest proiettivi, ingiuste ma comprensi-bili.

Riteniamo quindi che un uso distor-to dei test, rappresentato da affretta-te risposte psicodiagnostiche legateesclusivamente ad indici e dati estra-polati da un contesto ben più ampio egenerale o addirittura a un libero ar-bitrio interpretativo, possa portare l’e-saminatore a delle conclusioni perita-li che, se acquisite dal giudice, posso-no condurre quest’ultimo ad errate va-lutazioni con danni materiali e psico-logici conseguenti alle persone.

Un primo e sostanziale passo per de-finire confini finora solo delineati, puòessere l’utilizzo e l’applicazione delleLinee Guida Deontologiche dello Psi-cologo Forense, della Carta di Noto(Linee Guida specifiche per l’esamedel minore in caso di abuso sessuale)e le Linee Guida per l’utilizzo dei te-st psicologici in ambito forense chepresentano una serie di linee guida re-lative ai comportamenti dei consulen-ti, che, quantomeno a livello formalepuò orientare ad offrire pareri e valuta-zioni psicologiche su una base defini-ta.

Appare, però, necessario che gli e-

sperti che partecipano alla consulen-za abbiano lealtà alla propria etica e al-la propria disciplina e consapevolezzache alla base di ogni rapporto profes-sionale in campo psicologico deve es-serci la giusta distanza dall’altro, evi-tando contaminazioni senza confini incui i ruoli di ognuno non sono più rin-tracciabili nel percorso peritale.

Solo in questo modo sarà possibileun reale confronto fra consulenti e uncostruttivo rapporto di colleganza.

BibliografiaAltavilla E., “La Psicologia Giudiziaria”,

UTET, Torino, 1925Capri P., “Difficoltà e complessità d’ap-

proccio psicologico e metodologicoin contesti differenziati giuridici”,Articoli e pubblicazioni, www.ceipa.org

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Sabato 12 maggio 2007Gruppo virtuale dei pari.

Un modello clinico ispirato alle teorie di Wilfred R. Bion.

Relatore: Alessandro Bruni, Psicolo-go - Psicoterapeuta

Il seminario ha offerto ai colleghi unapresentazione della teoria di W.R. Bionsul funzionamento del piccolo gruppo,valorizzandone un aspetto peculiareche lo contraddistingue nettamentedagli altri modelli psicoanalitici di con-duzione di gruppo. Si tratta di una mo-dalità di stare in gruppo che ho de-nominato “gruppo virtuale dei pari” eche ha permesso a Bion, e poi a moltidi noi, di sviluppare una teoria checonsente ad un piccolo gruppo di per-sone di entrare in contatto con la par-te primitiva e collettiva della mente edi operare trasformazioni maturativead alta potenzialità euristica e terapeu-tica.

Dopo la rievocazione del primo in-tervento di Bion al Centro Ricerche diGruppo del Pollaiolo e delle risonanzeemotive e cognitive che da allora an-cora oggi conservano una notevole vi-talità, ho esposto una sintesi del mo-dello di gruppo che da più di 30 annianima la nostra ricerca teorica e la no-stra pratica clinica.

Ho inoltre evidenziato la problema-tica del rapporto tra psicoanalisi egruppo. Non ritengo che le due dimen-sioni siano riducibili reciprocamentel’una all’altra, ma possono essere inve-ce proficuamente intersecate. Anchein questa posizione, il modello deriva-to dalle teorie di Bion si discosta note-volmente da altri approcci che hannotentato essenzialmente di applicare edi trasferire la psicoanalisi al setting digruppo, come ad esempio le teorie chefanno riferimento a Foulkes, a Kaes ead Anzieu.

Se, seguendo l’approccio di Bion,proviamo ad evitare la tentazione di e-splorare il gruppo con le lenti colora-te della psicoanalisi duale, possiamoimparare ad intravedere quegli asset-ti primitivi, insieme strutturali e fan-tasmatici, che si attivano in un grup-po, senza che i singoli individui ne sem-brino immediatamente consapevoli ecompartecipi. Tali assetti appaiono avolte capaci di ostacolare ed interferi-re, spesso in modo molto grave, con la

capacità di pensiero di un gruppo e colraggiungimento dei suoi scopi, vale adire con quella funzione consapevoleche Bion denomina “gruppo di lavoro”e che ritiene analoga alla funzione del-l’“Io” nell’individuo.

Bion denomina tali assetti “assuntidi base”. Essi possono essere “visti” apartire da un ascolto analitico capacedi essere anche naive, non preconcet-to, all’interno di un piccolo gruppo afinalità analitica. Essi rendono contodella forza e dell’automatismo che unpiccolo gruppo è capace di produrre,non appena il suo campo mentale siastato attivato. La caratteristica di que-sto campo mentale è innanzitutto tran-s-personale, e dunque “ectopica” ed“eteroclita” rispetto all’individuo, allacoppia ed alla famiglia (Siracusano1986, Bruni 1996).

Gli assunti di base divengono “visi-bili”, dunque, se si è capaci di adotta-re nel gruppo una “visione binocula-re”, vale a dire se si sviluppa una capa-cità di osservare il materiale clinicocontemporaneamente con un verticeindividuale e con uno gruppale. Biso-gna imparare a vedere, retrospettiva-mente, che in “ogni” evento della sedu-ta di gruppo, anche a dispetto delle ap-parenze, l’individuo parla di sé attra-verso il gruppo e allo stesso tempo ilgruppo parla di sé attraverso l’indivi-duo. Per Bion gli assunti di base preco-stituiscono un sistema generale di di-fese contro le minacce di disintegra-zione psicotica, conseguenti alla capa-cità stessa del gruppo di “presentifica-re” i livelli primitivi della mente.

Il piccolo gruppo a funzione analiti-ca presenta, infatti, una situazione “ori-ginaria” del tutto peculiare che lo dif-ferenzia nettamente dalla poliade fa-miliare. Esso infatti ha alle sue spalleun “vuoto di storia”. I membri del grup-po non sono “vincolati” da relazioni diparentela e di conoscenza preesisten-ti. La portata di questa origine pecu-liare, che ho chiamato in un mio prece-dente lavoro “vuoto spinto originario”,non è stata a mio parere ancora com-presa in tutte le sue implicazioni. (Bru-ni 1993)

Nel modello bioniano è proprio que-sta ri-attivazione di elementi primitiviche rende conto del potenziale tera-peutico del gruppo, sempre che sia

condotto opportunamente, nei con-fronti di sintomatologie psicotiche, so-ma-psicotiche e psico-somatiche (Bru-ni 1990).

In seguito ho delineato gli elementidi teoria e di tecnica di conduzione,nonché di setting, di quello che hochiamato un “gruppo virtuale di pari”.Ed ho presentato alcune esemplifica-zioni cliniche. Ho quindi incoraggiatoil gruppo dei partecipanti a sperimen-tare la possibilità di pensare insieme,anche in un seminario teorico, le po-tenzialità creative del gruppo pensatoe messo in azione secondo questa mo-dellizzazione teorica.

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Sabato 12 maggio 2007Disturbi comportamentali

nell’anziano: percorsi diagnosticinell’invecchiamento

normale e patologicoRelatori: Ivana Buccione, Psicologa,Psicoterapeuta, PhD Laura Serra, Psicologa, Psicotera-peuta, PhD

Introduzione: È abituale pratica cli-nica per lo psicologo osservare nel pa-ziente anziano disturbi comportamen-tali quali depressione ansia, oppure a-patia, irritabilità, o aggressività che in-sorgono durante l’invecchiamento. Adun’attenta osservazione tali disturbinon sempre sono attribuibili ad un’e-sclusiva patologia psichiatrica ma pos-sono essere il primo segno di una pa-tologia neurodegenerativa. È eviden-te quindi la necessità di un percorsodiagnostico differenziale che consen-ta precocemente di valutare e discrimi-nare i pazienti affetti da una esclusivapatologia psichiatrica da quelli in cuiil disturbo del comportamento si inse-risce nel contesto di una demenza, alfine di strutturare interventi terapeu-tici mirati.

Obiettivo: Lo scopo del nostro semi-nario è quello di presentare un inqua-dramento teorico delle principali de-menze corticali e sottocorticali e deidiversi disturbi comportamentali soli-tamente rilevati nel paziente affetto dademenza e nel normale processo di in-vecchiamento. A tale scopo verrannoillustrati i metodi di valutazione clini-ca, neuropsicologica e comportamen-tale di competenza dello psicologo.

Il seminario sarà articolato nelle se-guenti sezioni.

I parte:Introduzione ai concetti di invec-

chiamento normale e patologico- aspetti cognitivi e psicologici del-

l’invecchiamento fisiologico

II parte:I disturbi comportamentali nel-

l’anziano- Inquadramento diagnostico- Strumenti di valutazione

III parte:L’invecchiamento patologico: le

demenze- Inquadramento clinico delle ma-

lattie degenerative

- Classificazione delle principali for-me di demenza tipiche dell’anzia-no

- Individuazione della fase pre-clini-ca della demenza

IV parte:Disturbi cognitivi nel paziente de-

mente- Decadimento cognitivo nel pazien-

te affetto da demenza- Strumenti di valutazione neuropsi-

cologica

V parte:Disturbi comportamentali nel pa-

ziente demente- Alterazione del comportamento nel

paziente affetto da demenza- Strumenti di valutazione dei di-

sturbi comportamentali e funzio-nali

VI parte:Esempi pratici di percorso dia-

gnostico differenziale- Casi clinici.

Venerdì 6 luglio 2007Il sogno come bussoladel processo di cura

Dott.ssa Patrizia PeressoPatrizia Peresso, psicologa analistalavora da circa trenta anni in con-testo pubblico e privato con coppie,famiglie,individui. Le riflessioni na-te da tale lavoro sono pubblicate invari contributi in libri e riviste spe-cializzate. Insegna in una scuola dispecializzazione post-universitariaad indirizzo psicodinamico Si in-teressa particolarmente alla ricer-ca sui fattori terapeutici, precisa-mente al sogno in ambito stretta-mente clinico e alla sua relazionecon fenomeni quali la poesia, ladanza, e l’architettura.

Jung, nel suo lavoro del 1934, ‘Ap-plicabilità pratica dell’analisi dei sogni’,affermò che: “L’essenza della psiche,nella storia della sua evoluzione… sirivela nel sogno (p. 171)[ed inoltre]che i sogni e in particolar modo sogniiniziali (ossia quelli che coincidono conl’inizio del trattamento) rivelano spes-so in forma indubbia il fattore etiolo-gico essenziale… [per cui] tratto il so-gno come un fatto che può essere uti-lizzato per la diagnosi ... [e che] puòfornire non…soltanto l’etiologia dellanevrosi, ma anche la prognosi… [inol-tre suo tramite] sappiamo esattamen-te su quale punto debba intervenire laterapia” (p. 152/54). L’originalità delpensiero junghiano è inoltre chiara-mente visibile nella discussione di al-tri aspetti del sogno, in particolare del-la funzione prospettica. In base a ciò ilmateriale onirico anticipa future azio-ni consce, emergenti dall’inconscio,manifestantesi in situazioni in cui l’at-teggiamento cosciente è inadeguatodal punto di vista soggettivo ed oggetti-vo. Esso, poi, costituisce un meccani-smo di informazione e di controllo del-la psiche con un valore finalistico (di-retto ad un fine) e compensatorio e-quilibratore. Grotstein (2000) si con-nette al tale visione dell’evento oniri-co sottolineando la tensione del sognoverso il futuro e chiamando in causagli archetipi come principio esplicati-vo del fenomeno in esame. Afferma in-fatti di considerare il sogno non solouna visione dell’esistenza durante ilpassaggio tra la vita passata e quellafutura, ma ritiene la narrazione oniri-

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i seminari del sabato

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ca il risultato dell’accesso della fun-zione alfa (funzione che già per Bionelabora i dati dell’esperienza - gli ele-menti beta - in modo che divenganomentalmente digeribili) alle precon-cezioni innate e acquisite, cioè agli ar-chetipi. Questo processo di trasfor-mazione degli elementi beta è men-zionato anche da Ogden (2001), il qua-le afferma che la frontiera del sogno èquello spazio metaforico della conver-sazione che abbiamo con noi stessi, lospazio in cui i dati dell’esperienza grez-za divengono un’esperienza consciamediata dalla simbolizzazione verbale.In questo spazio il testo onirico vienealla luce per Trevi sopra tutto o preva-lentemente come una narrazione (Tre-vi 2000).

Sintetizzando: l’idea che il sogno co-stituisca un’autentica ‘bussola’ del pro-cesso di cura si è andata formandograzie sia a lunghi anni di pratica cli-nica analiticamente orientata sia allateorizzazione del fenomeno onirico co-me particolare processo narrativo checonnette passato, presente e futuro eche delinea particolari itinerari oniri-ci del sonno. Vedremo ora come que-sti itinerari si intrecciano con quellidella veglia, creando differenti mappe.

La basilare importanza dell’oniricodurante la veglia è stata sottolineatain tempi assai lontani. Già Omero, in“Odissea”, parla dei” sogni che passa-no dalla porta di corno [come quelliche] verità incorona per il sognatoreche li vede” e W.Shakespeare, ne “Latempesta”, dice che “siamo fatti dellastessa sostanza dei sogni”. In ambitopsicodinamico Freud sostiene, nel suo“Il poeta e la Fantasia” (1907), che co-me i sogni notturni non sono altro cheimmaginazione, così le creazioni poe-tiche non sono altro che sogni ad oc-chi aperti: eteree creazioni dell’imma-

ginazione ondeggianti tra passato, pre-sente e futuro. Bion, nel 1959, teoriz-za la continuità dell’attività onirica an-che durante la veglia, nel senso che ilmateriale conscio deve essere sogget-to al lavoro onirico per divenire ade-guato alla selezione, archiviazione etrasformazione dalla posizione schizo-paranoidea a quella depressiva. Rial-lacciandosi alle idee di Bion, Ferroritiene che “il pensiero onirico della ve-glia rimane inaccessibile per noi, eccet-to che nelle reverie… o nei cosiddettiflash visivi (in cui un fotogramma del-la pellicola di pensiero onirico semprein formazione viene proiettato e ‘visto’all’esterno). Possiamo invece cono-scere i ‘derivati narrativi’ di tale pelli-cola di elementi alfa. Il narrativo è dun-que una derivazione comunicativa congradi minimi o massimi di distorsionedi quanto viene continuamente ‘pitto-grafato’ dalla mente in tempo reale”(Ferro, 2002, pag. 61). L’idea che l’at-tività onirica sia presente anche nellostato di veglia è condivisa anche daFordham, il quale afferma che “il tran-sfert è un modo di sognare in seduta”.

Per Jung ogni evento psichico è all’i-nizio un’immagine o un immaginare(1935) ed entrambi sono influenzatidal bisogno di creare. Questo bisognocome la fame, la sessualità l’attività ela riflessione è una delle cinque forzefondamentali tutte dirette verso l’indi-viduazione. Quest’ultima, intesa comeprospettiva per guardare al mondo, di-viene sinonimo di funzione simbolica.In tal senso la differenziazione tra sim-boli vivi e morti appare cruciale. Pieriafferma che Jung considera la coscien-za come nutrita da simboli morti: queisimboli che portano alla luce quello cheè reale attraverso la loro morte. L’in-conscio, o meglio la parte creativa diesso, d’altra parte, si esprime attra-

verso la costante tendenza a riconci-liare gli opposti che derivano dalla co-scienza. Pieri giunge alla conclusioneche, durante i sogni, la ‘cosiddetta im-maginazione inconscia’ produce simbo-li che per divenire fattori di cambia-mento necessitano di essere trasforma-ti dalla coscienza in simboli vivi: oppor-tunità generanti tensione creativa emutativa, (Pieri p. 679/680). Questisimboli, etimologicamente come fatto-ri per la rappresentazione di una realtàpiù vasta ed inoltre in quanto fenome-ni derivati dall’attività onirica del son-no e della veglia possono essere conce-piti come ‘processi narrativi insaturi’.Essi si possono esprimere in ‘trasfor-mati narrativi’ di tipo ‘letterario’ comeracconti, o resoconti di films, fatti va-ri, poesie,etc., oppure possono assume-re una forma ‘grafico-pittorica’, ‘ludi-ca’, ‘motoria’, sensoriale, architettoni-ca, etc..

Si può quindi dire che Jung, pur nonavendolo affermato in modo comple-tamente esplicito, concepisce una si-gnificativa continuità dell’attività oni-rica del sonno e della veglia nella cen-tralità rappresentata dalla vita simbo-lica. Quest’ultima costituisce un mododi dare significato alla vita attraversole innumerevoli manifestazioni dellacreatività favorendo, quindi, il pro-cesso di individuazione.

Ecco un breve squarcio clinico esem-plificativo di quanto affermato. Per ov-vi limiti si spazio, il materiale verrà ana-lizzato solo dal punto di vista degli iti-nerari del sonno e della veglia emer-genti. Il paziente è un uomo di 32 an-ni, inserito brillantemente nella carrie-ra universitaria e arrivato in terapia inseguito ad un recente e profondo sta-to depressivo con idee suicidarie. Que-sto ha provocato uno ‘stallo affetti-vo/cognitivo’ rendendo difficile le re-

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lazioni con la compagna, gli amici, lafamiglia e bloccando la stesura definiti-va di un importante libro la cui pubbli-cazione è necessaria per affrontare leprossime ineludibili tappe della carrie-ra scelta.

Questo il testo onirico della primaseduta:

“ Ero nella casa della mia infan-zia. Mi sforzavo di far rientrare dalgiardino la gattina perché sembra-va come se ci fossero presenze ne-gative, …ci riuscivo. Allora andavoin una chiesa lì vicino dove c’era-no,però, come delle entità vampire-sche. Io, con l’aiuto di una donna,riuscivo a fuggire. Mi accorgevo, inseguito, di aver lasciato lì propriole chiavi di casa e della macchina,quindi ritornavo… Vedevo che imiei amici e parenti rimasti inchiesa erano stati tutti contagiati:erano diventati vampiri anche lo-ro. Allora scappavo di nuovo e congrande s forzo riuscivo ad arrivaresalvo in una strada in cui avrei po-tuto avere un passaggio”.

Da questo sogno emerge un percor-so contrassegnato da precise fasi. Inprimo luogo il paziente si trova nel luo-go in cui sono iniziate dinamiche psico-patologiche (presenze negative nelgiardino associato a ricordi dolorosi).Egli cerca di proteggere la sua parteistintuale più vulnerabile (la sua gatti-na: l’unico essere che riferisce aversentito simile a lui e in grado di dargliaffetto incondizionato). C’è poi un ten-tativo di trovare conforto nella fede (lachiesa) che però si rivela fallimentare(il luogo è infestato dai vampiri), mal’uomo riesce a salvarsi tramite unadonna (l’analista, a suo dire). Tenta poidi tornare indietro, però, così facendosi accorge con chiarezza che, ripren-dendo le relazioni di prima, non avreb-

be scampo (i suoi amici e parenti so-no ormai diventati vampiri). Si decideallora ad abbandonare la vecchia stra-da e si dirige verso un’altra in cui sa dipoter avere un passaggio verso la vita.Tale itinerario ripercorre in modo ana-logo quello onirico della veglia, in par-ticolare le vicissitudini della dinamicatransfert-controtransfert. Una fase diiniziale entusiasmo per l’analisi è sta-ta seguita da profonda angoscia e distanziamento (malattie, dimenticanzedelle sedute), affrontati con un’accu-rata elaborazione delle resistenze. So-lo allora il paziente ha mostrato una di-minuzione dell’ambivalenza e un atteg-giamento di sufficiente fiducia (ripre-sa della frequenza adeguata alle sedu-te).

Dopo circa un anno di lavoro anali-tico, appare questo sogno:

“C’era un bambino di circa un an-no che gattonava. Era mio figlio. E-ra un bel bambino e pure molto sve-glio:… malandrino. Eravamo nellamia nuova casa, era tutto lumino-so”.

Questo è l’onirico del sogno; l’oniri-co della veglia sembra ripercorrere tap-pe analoghe. Dalle associazioni del pa-ziente così come dalla evoluzione del-la dinamica transfert-controtransfert(oltrechè dalla situazione affettivo-co-gnitiva extratransferale) si notano i se-guenti passaggi. Un anno fa (con l’ini-zio dell’analisi) è venuta alla luce unanuova vita: il Sé bambino del pazien-te. Questo essere è bello (il pazientesi riconosce con orgoglio in questo fi-glio, ma è pure malandrino. Egli infat-ti ammette di aver esperito molti tenta-tivi per eludere l’analisi: assenze, ri-tardi, etc…: ma oggi non può più farea meno di riconoscere che, non ce-dendo alle paure, è avvenuto qualco-sa di sorprendente: non si sente più

depresso, la vita di relazione è notevol-mente migliorata, ha finito la stesuradel suo scritto e, nonostante molte per-plessità iniziali, comincia ad avere nuo-va fiducia nella relazione analitica, pa-ragonandola ad un’esperienza ‘lumi-nosa’ come la sua ‘nuova casa onirica’).

Si è pertanto delineato in modo sin-tetico come il sogno, in particolare ‘l’o-nirico del sonno e l’onirico della veglia’,sia un duplice processo costituente ‘u-na bussola’ in grado di orientare quelcomplesso e straordinario processo chedenominiamo cura .

BibliografiaBion,W. R., (1959) “Analisi degli schizo-

frenici e metodo psicoanalitico”, Ar-mando, Roma, 1970.

Ferro, A, “Fattori di malattia, fattori diguarigione”, R., Cortina, Milano.

Grotstein, S., J.,(2000), “Chi è il sognato-re che sogna il sogno” Ma. Gi., Roma,2004.

Jung,C.,G.,(1934), “L’applicabilità prati-ca dei sogni”, in Opere, vol.XVI., B.Boringhieri, Torino, 1981.

Ogden, H.,T., (2001) “Ai confini del so-gno”, Astrolabio, Roma, 2003.

Pieri, P., F.,(1998), “Dizionario Jun-ghiano”, B. Boringhieri,Torino.

Trevi, M., Immacolati, M., (2000), “Ri-prendere Jung”, B. Boringhieri, Torino.

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i seminari del sabato

novembre 2007-febbraio 2008

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Venerdì 23 novembre h 13.00-15.00

Marina GiuseppiniValentina Tarsia

La pet-therapy: origini, efficacia, campi di applicazione

Simonetta Masiello

L’intervento psicologico clinico nel contesto penale minorile

Emanuela Fattorini

Il rischio psicosociale

Anna Maria Castignani

Uno psicologo in ospedale: tra bisogni fisici e psichici

Maria Giovanna Argese

Il concetto di empasse nella clinica psicoanalitica

Laura Ciotti

Employer Branding:una strategia di marketing per attrarre candidature interessanti nel processo di selezione

Gianluca Ponzio

La diagnosi organizzativa: modelli, tecniche e strumenti. Analisi di un caso

Giampiero Di Leo

Legge 180 (833): dalla riforma psichiatrica nuove opportunitàper l’operatività degli psicologi nella psichiatria residenziale “ex-traospedaliera”

Rosario Capo

Imagery with Rescripting. Una tecnica esperenziale di intervento sugli schemi centrali e sui temi di vita

Angelo Campora

Le crisi di panico: una comprensione psicoanalitica

Luigi De Marchi Antonello Filastro

Bioenergetica, psicofonetica e teatro

Gabriella Giordanella

Psicoterapia con la musica. Il metodo “guided imagery and music” di Helen Bonny

Flaminia Cordeschi

Teoria e clinica dei disordini del comportamento alimentare. Il trattamento istituzionale

Vincenzo Scala

Interventi a carattere psicosociale nel Dipartimento di Salute Mentale

Giacomo Bortone

Abilità socio-affettive nei bambinicon problematiche affettive: strategie di gestione cognitivo-comportamentali

Marco Pacelli

Intervento di prevenzione del disagio comportamentale in una rete di scuole

Alfredo LombardozziLucilla Ruberti

Gioco e trasformazioni narrativenell’esperienza di gruppo con bambini

Mauro Gatti

La psicologia dello sport e la prestazione d’alto livello:il cervello agonistico

Beate Gottwein

TCI (Interazione Centrata sul Tema) - un modello sistemico per lo studio e la conduzione di gruppi

Venerdì 23 novembre h 15.30-17.30

Sabato 1 dicembre h 11.30-13.30 Sabato 15 dicembre h 11.30-13.30

Venerdì 18 gennaio h 15.30-17.30

Sabato 15 dicembre h 9.00-11.00

Venerdì 18 gennaio h 13.00-15.00Sabato 24 novembre h 09.00-11.00

Venerdì 7 dicembre h 13.00-15.00

Sabato 19 gennaio h 9.00-11.00Venerdì 7 dicembre h 15.30-17.30

Venerdì 11 gennaio h 15.30-17.30

Sabato 24 novembre h 11.30-13.30

Venerdì 30 novembre h 13.00-15.00

Venerdì 14 dicembre h 13.00-15.00

Sabato 12 gennaio h 90.00-11.00

Marina Gasparini

Invecchiamento e scienze cognitive: expertise e saggezza nell’anziano

Venerdì 30 novembre h 15.30-17.30

Venerdì 14 dicembre h 15.30-17.30

Sabato 12 gennaio h 11.30-13.30

Antonella Rainone

Modello e trattamento cognitivo della depressione

Costanza Cipullo

Lo sportello psicologico a scuola: un aiuto concreto per alunni, docenti e genitori

Sabato 19 gennaio h 11.30-13.30

Riprendiamo gli appuntamenti con i “Seminari del Sabato”.Sulla scorta dell’esperienza maturata fin qui, questa edizioneè stata costruita con una nuova articolazione.

Gli incontri dureranno due ore anziché quattro, per consen-tire una maggiore agilità della trattazione e un incremento delnumero degli appuntamenti, in modo che la “vetrina” a dispo-sizione dei colleghi sia la più varia possibile, e che rifletta, conla flessibilità necessaria, tutti gli orizzonti della nostra pro-fessione.

Come vedrete, i temi trattati sono molti, e sono stati attenta-

mente strutturati tenendo conto dei capisaldi della professio-ne, delle nuove emergenze provenienti dal tessuto sociale, del-le linee di sviluppo della ricerca. In questo siamo stati fedeli al-la ormai consolidata tradizione dei seminari, e così pure nel ta-glio degli incontri, che privilegerà un’impostazione orientataalla pratica. L’auspicio è che anche questa edizione veda la par-tecipazione attiva ed entusiastica dei colleghi, per consolidarela buona prassi dello scambio edel confronto tra professionisti,in un autentico spirito di appartenenza alla comunità pro-fessionale.

Venerdì 11 gennaio h 13.00-15.00

Sabato 1 dicembre h 9.00-11.00

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i seminari del sabato

novembre 2007-febbraio 2008

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Rita Di IorioAngelo Napoli

La psicologia dell’emergenza: ambiti applicativi

Teresa Di Bonito

L’arte delle emozioni e le emozionidell’arte

Diego Polani

Mental training. Un’esperienza con un team di paracadutisti sportivi

Giovanna Ambrosio

L’incesto: il punto di vista psicodinamico

Giovanni MasciarelliAlessandra Zuliani

Neuropsicologia dell’età evolutiva: sviluppo del sistema nervoso centrale ed evoluzione di aspetti complessi del comportamento umano

Maria Prassede Capozio

Aspetti clinici sottovalutati nelle “dipendenze affettive femminili”

Mirella Benedetto Beatrice Iellamo

Gestire uno sportello di Psicologia in una scuola ubicata in un quartiere a rischio: due esperienze ultradecennali a confronto (Tor Bella Monaca e Laurentino 38)

Gabriela Tavazza

La parentalità tra fantasma e realtà

Luciana De Franco

Dal grande gruppo al gruppo multifamiliare. Contesti di trattamento per pazienti gravi

Lucio Russo

Il postulato dell’inconscio

Ivano Gagliardini

L’approccio cognitivo-comportamentale nell’attacco di panico: strumenti di intervento

Domenicassunta Corsetti Antonino Urso

Lo psicologo nella scuola. Principi di deontologia professionale

Stefania Marinelli

Gruppi omogenei e gruppi misti nella psicoterapia di gruppo

Maria Cecilia Santarsiero

Cultura e clima aziendale

Fabio AliverniniSara Manganelli

Tecniche e strumenti per l’analisi qualitativa computer assistita dei testi

Franca MoraLuca Lentini

Problematiche deontologiche nel-la selezione del personale

Patrizia Cupelloni

Le potenzialità del transfert

Francesco Burruni

Esperienze di trattamentopsicoterapeutico dell’adolescenteomicida nel carcere minorile

Gianni VaudoDaniela Stuto

La formazione e l’addestramento sul campo per gli psicologi dell’emergenza

Sabato 26 gennaio h 11.30-13.30

Venerdì 8 febbraio h 15.30-17.30

Sabato 16 febbraio h 11.30-13.30Sabato 26 gennaio h 9.00-11.00

Venerdì 8 febbraio h 13.00-15.00

Sabato 16 febbraio h 9.00-11.00

Sabato 9 febbraio h 9.00-11.00

Venerdì 22 febbraio h 13.00-15.00

Venerdì 1 febbraio h 15.30-17.30 Sabato 9 febbraio h 11.30-13.30

Venerdì 22 febbraio h 15.30-17.30

Venerdì 25 gennaio h 13.00-15.00

Sabato 2 febbraio h 9.00-11.00

Sabato 23 febbraio h 9.00-11.00

Venerdì 25 gennaio h 15.30-17.30

Sabato 2 febbraio h 11.30-13.30

Sabato 16 febbraio h 14.30-16.30

Sabato 23 febbraio h 11.30-13.30

PRENOTAZIONI

Per partecipare ai seminari, che sono riservati agli iscrittial nostro Ordine, è obbligatorio prenotarsi tramite l’appositomodulo elettronico presente sul sito internet: www.ordinepsi-cologilazio.it.

Raccomandiamo agli iscritti di leggere con attenzione le infor-mazioni relative alle modalità di prenotazione presenti sul si-to, prima di compilare il modulo. Si fa presente che ad ognu-

no sarà consentito di partecipare ad un massimo di due semi-nari. Possibili ampliamenti della disponibilità di posti per sin-goli seminari saranno comunicati attraverso il sito e la new-sletter dell’Ordine a ridosso dell’incontro.

Tutti i seminari prevedono un massimo di 50 partecipanti esi svolgeranno presso la sede dell’Ordine, in via Flaminia 79(cento metri dalla fermata Metro Roma Flaminio).

I seminari sono gratuiti. Su richiesta è possibile avere un at-testato di partecipazione.

Referente seminari:DAVID CARIANI

Segreteria organizzativa:

FEDERICA MAZZEO

Tel. 0636002758 Fax 0636002770

E-mail:[email protected]

Sito:www.ordinepsicologilazio.it

Venerdì 1 febbraio h 13.00-15.00

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aggiornamenti professionali

in psicologia giuridica

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Aggiornamenti professionaliin psicologia giuridica

Con questa iniziativa l’Ordine degli Psicologi delLazio intende continuare quanto intrapreso con ilconvegno Lo Psicologo nel Contesto Giudiziario te-nutosi nell’ottobre 2002 e con i Seminari del Sabatodedicati all’intervento dello psicologo in ambito giu-diziario.

Il filo conduttore di queste giornate di studio è am-pliare la riflessione sull’articolato rapporto che legail contesto giuridico e il contesto psicologico e fare sìche questo incontro possa arricchirsi della diversitàe della ricchezza di entrambi. In questo senso, da di-versi anni l’Ordine si sta impegnando per rendere piùcompetente l’azione dello psicologo nei contesti del-la giustizia, nella convinzione che sia necessario unelevato livello di formazione per affrontare in modoprofessionale la specificità di un contesto dove devo-no convivere diversi linguaggi, diverse modalità dioperare, diversi punti di vista.

La collaborazione con i Presidenti dei Tribunali haportato a costruire, negli anni, percorsi condivisi,puntando sull’interdisciplinarità della formazione esulla necessità di costanti aggiornamenti, sia teoriciche operativi. Coerentemente con questa impostazionedialettica, queste giornate di studio saranno costrui-te attraverso i contributi di esperti in psicologia giu-ridica, di magistrati, di avvocati del campo. E si svol-geranno, su esplicita richiesta dei loro Presidenti,proprio nel setting dei Tribunali, per dare un segna-le forte della convergenza e della condivisione di in-tenti e obiettivi.

Informazioni per la partecipazioneLe giornate di studio, che si svolgeranno presso le

sedi dei Tribunali, sono gratuite. La partecipazione è riservata agli iscritti dell’Or-

dine degli Psicologi del Lazio.Per partecipare è necessario prenotarsi tramite

l’apposito modulo presente sul sito www.ordinepsi-cologilazio.it. Sarà possibile prenotarsi a una solagiornata di studio, per dare a un maggior numero diiscritti la possibilità di partecipare.

Su richiesta sarà possibile avere un attestato dipartecipazione.

4 DICEMBRE 2007TRIBUNALE DI LATINA - AULA DI CORTE D’ASSISE

PIAZZA BRUNO BUOZZI, LATINA

La Consulenza Tecnica in Psicologia Giuridica

9.00Saluti ai partecipantiBruno Raponi (Presidente del Tribunale di Latina)Marialori Zaccaria (Presidente dell’Ordine degli Psicologidel Lazio)

Chairperson: Antonino Urso

9.30-10.15Aspetti normativi della consulenza tecnica, dei CTU edei CTPTommaso Sciascia

10.15-11.00Ruoli e funzioni dei CTU e CTP. Linee guida deontolo-giche dello psicologo forense e la Carta di NotoPaolo Capri

11.00-11.15 Pausa

11.15-12.00Tavola Rotonda: Bruno Raponi, Marialori Zaccaria, Tom-maso Sciascia, Paolo Capri

12.00-13.00 Dibattito con il pubblico

13.00-14.00 Pausa

Metodologia psicologico-giuridica

14.00-14.45Anamnesi e colloquio peritale Stefano Mariani

14.45-15.30I test in ambito forense e linee guida per il loro utiliz-zo Alessandro Crisi

15.30-15.45 Pausa

15.45-17.00Tavola Rotonda: Alessandro Crisi, Benedetto Gustini,Simona Leone, Stefano Mariani

Segreteria organizzativaFEDERICA MAZZEO

tel. 06/36.00.27.58 - Fax 06/36.00.27.70E-mail: [email protected]

Sito: www.ordinepsicologilazio.it

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