ANIEM · Gli effetti positivi del Jobs act: più posti stabili e più tutele ... intesa Ue-Fondo...
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ANIEM
Rassegna Stampa del 13/02/2017
INDICE
SCENARIO EDILIZIA
12/02/2017 Corriere della Sera - Milano 16
«Edificio fragile» Lavori d'urgenza per il Broletto
11/02/2017 Il Sole 24 Ore 18
A Rieti il secondo maxipolo Amazon
12/02/2017 La Stampa - Nazionale 19
Regione, sui conti la tegola trasporti*
13/02/2017 Il Messaggero - Civitavecchia 21
Case, avanti tutta con via Betti
12/02/2017 Il Messaggero - Abruzzo 22
Civitarese svela Nta e decreto sviluppo «Volumetrie certe e palazzi antisismici»
11/02/2017 ItaliaOggi 23
Edilizia, il legno per tutta la casa
11/02/2017 Il Manifesto - Nazionale 24
Il teorema delle Olimpiadi
13/02/2017 QN - Il Giorno - Nazionale 26
Dall'elettronica all'edilizia «Decisive le competenze»
13/02/2017 Il Gazzettino - Rovigo 27
Tre nuovi alloggi popolari
10/02/2017 Specchio Economico 28
VINCENZO GIBIINO UN OSSERVATORIO PARLAMENTARE TUTTO NUOVO
SCENARIO ECONOMIA
13/02/2017 Corriere della Sera - Nazionale 31
«Nessun regalo dall'Europa»
13/02/2017 Corriere della Sera - Nazionale 33
Gli effetti positivi del Jobs act: più posti stabili e più tutele
12/02/2017 Corriere della Sera - Nazionale 36
Cambiamo l'euro per salvarlo
12/02/2017 Corriere della Sera - Nazionale 38
«La flessibilità usata male»
12/02/2017 Corriere della Sera - Nazionale 40
Piano Alitalia, tre tariffe per i biglietti Stretta sui leasing per gli aerei
12/02/2017 Corriere della Sera - Nazionale 42
«Made in Italy», governo al lavoro Un marchio unico contro i falsi
11/02/2017 Corriere della Sera - Nazionale 44
L'attacco di Weidmann «deluso» dalle promesse italiane
11/02/2017 Corriere della Sera - Nazionale 45
Poletti: il malessere giovanile è un problema serio, ma sui voucher non ho colpe
11/02/2017 Corriere della Sera - Nazionale 48
Saint Nazaire, le elezioni in Francia non aiutano Fincantieri
13/02/2017 Corriere Economia 49
Dinastie Ferrero, Garrone, Prada nel club dei signori da mille miliardi
13/02/2017 Corriere Economia 52
La prossima guerra di Trump
13/02/2017 Corriere Economia 54
Come investire nei Pir
58 13/02/2017 Il Sole 24 Ore
Trattativa da 8 miliardi sui «premi» agli statali
12/02/2017 Il Sole 24 Ore 64
Decreto salva banche, il valore di una lista
12/02/2017 Il Sole 24 Ore 66
Nove milioni di outsider senza rete
12/02/2017 Il Sole 24 Ore 68
La «triplice» sfida ai bond di Stato
12/02/2017 Il Sole 24 Ore 71
Interessi sul debito, calo record di 17 miliardi sul 2012
12/02/2017 Il Sole 24 Ore 72
Fercam rinuncia ad Artoni
12/02/2017 Il Sole 24 Ore 73
Carige pronta a cedere Npl e a presentare il piano in Bce Prime ipotesi di aumento
12/02/2017 Il Sole 24 Ore 74
Fincantieri, missione francese di Bono per Stx
12/02/2017 Il Sole 24 Ore 75
Veneto Banca e Bpvi aprono il dossier Arca
12/02/2017 Il Sole 24 Ore 77
«Dieselgate? Sistema fuori controllo»
12/02/2017 Il Sole 24 Ore 78
Seat svolta nei suv e fa il pieno di utili
11/02/2017 Il Sole 24 Ore 79
L'onda lunga degli Npl e la sfida redditività
11/02/2017 Il Sole 24 Ore 80
Dimezzati i bond «sottozero»
11/02/2017 Il Sole 24 Ore 82
I risultati delle riforme «lunghe» (da completare)
11/02/2017 Il Sole 24 Ore 84
Produzione, a dicembre balzo del 6,6%
11/02/2017 Il Sole 24 Ore 86
Manifattura decisiva
87 11/02/2017 Il Sole 24 Ore
Grecia, intesa Ue-Fondo monetario
11/02/2017 Il Sole 24 Ore 89
Ilva, completato il quadro normativo per l'aggiudicazione
11/02/2017 Il Sole 24 Ore 91
Ubi in perdita per 830 milioni per le svalutazioni
11/02/2017 Il Sole 24 Ore 92
Carige chiude il 2016 in rosso di 297 milioni per l'effetto Npl
11/02/2017 Il Sole 24 Ore 93
Unipol, nel 2016 profitti in discesa Si lavora a un piano per la bad bank
11/02/2017 Il Sole 24 Ore 95
Private equity e private debt nuovo «motore» per le Pmi
11/02/2017 Il Sole 24 Ore 96
Banca Generali, raccolta +22% e commissioni in crescita del 7%
13/02/2017 La Repubblica - Nazionale 97
Manovra, Padoan pronto a rinunciare a nuove tasse
13/02/2017 La Repubblica - Nazionale 98
Cina Italia
12/02/2017 La Repubblica - Nazionale
Aziende partecipate il taglio della Madia è rimandato a luglio
101
12/02/2017 La Repubblica - Nazionale
Referendum, la Cgil parte dalle periferie
103
12/02/2017 La Repubblica - Nazionale
Tasse sulle sale giochi per obbedire all'Ue e accontentare Renzi
104
11/02/2017 La Repubblica - Nazionale
Il Tesoro spera nel rialzo del Pil per risparmiare sui conti
106
11/02/2017 La Repubblica - Nazionale
Dieselgate, Delrio all'attacco "Vw, Seat e Skoda irregolari"
107
11/02/2017 La Repubblica - Nazionale
Pace Ue -Fmi sulla Grecia: "Intesa possibile"
108
13/02/2017 La Repubblica - Affari Finanza
Carige un consiglio in tre atti per varare il nuovo piano
109
111 13/02/2017 La Repubblica - Affari Finanza
Tim, Vodafone, Netflix, Sky il boom della tv a banda larga
13/02/2017 La Repubblica - Affari Finanza
Bruxelles, la nuova mappa del potere l'Europa marcia dietro Angela Merkel
113
13/02/2017 La Repubblica - Affari Finanza
Spence: "L'Italia faccia pulizia nelle banche"
116
12/02/2017 L'Espresso
Deriva di Stato
118
12/02/2017 L'Espresso
Chissà se Merkel ci vuole in serie A
124
13/02/2017 La Stampa - Nazionale
La distribuzione di marca crea diecimila posti di lavoro
126
13/02/2017 La Stampa - Nazionale
La "Generazione Erasmus" festeggia i 30 anni a Roma
127
13/02/2017 La Stampa - Nazionale
Rendimenti sicuri senza costi, il ritorno dei conti deposito
128
13/02/2017 La Stampa - Nazionale
"Puntiamo su vento e sole con acquisizioni in Europa"
129
13/02/2017 Il Messaggero - Nazionale
Riparte l'economia Ue nodo debito per l'Italia
131
12/02/2017 Il Messaggero - Nazionale
Benzina più cara e tagli ai ministeri, ecco la manovrina
133
11/02/2017 Il Messaggero - Nazionale
Lavoratori precari salvo l'assegno di disoccupazione
135
11/02/2017 Il Messaggero - Nazionale
«Veicoli da lavoro il nostro orgoglio siamo leader fra i costruttori esteri»
136
SCENARIO PMI
13/02/2017 Corriere Economia
Energia Engie fa shopping e si allea con Google per la casa intelligente
139
13/02/2017 Corriere Economia
Web Tutti a sgomitare sulla nuvola
140
142 13/02/2017 Corriere Economia
Made in Italy La logistica? Può essere la carta vincente
13/02/2017 Il Sole 24 Ore
Il made in Italy «vola» in Cina
144
11/02/2017 Il Sole 24 Ore - PLUS 24
Refusi in Gazzetta e Fisco
146
11/02/2017 Il Sole 24 Ore - PLUS 24
«Bio On è un titolo molto promettente»
148
13/02/2017 La Repubblica - Affari Finanza
Merci, i privati guidano il ritorno del treno
151
13/02/2017 La Stampa - Nazionale
Il magazzino di Cassino diventa intelligente con i sistemi di Incas
153
12/02/2017 La Stampa - Cuneo
È l'ora di programmare il maquillage della casa
154
11/02/2017 Milano Finanza
I nuovi clienti private
155
13/02/2017 ItaliaOggi Sette
Crisi, uno scudo sui creditori
157
13/02/2017 Corriere del Mezzogiorno Economia
«Pronti ad aggiungere risorse per incentivare Industria 4.0.»
159
ANIEM WEB - Rassegna Stampa 13/02/2017
ANIEM WEB - Rassegna Stampa 13/02/2017
SCENARIO EDILIZIA
10 articoli
12/02/2017
Pag. 1 Ed. Milano
diffusione:238671
tiratura:333841
SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 13/02/2017 16
IL CANTIERE STANZIATI 830 MILA EURO
«Edificio fragile» Lavori d'urgenza per il Broletto
D'Amico
Lavori al Palazzo della Ragione: la giunta dà il via al restauro della copertura del Broletto. Il responso dei
tecnici, da mesi al capezzale del palazzo «fragile», non ha lasciato altra strada. Per «somma urgenza»
stanziati 830 mila euro: i cantieri dovranno concludersi entro agosto. Il Municipio 1 sollecita il bando per le
facciate.
a pagina 6
Per il Palazzo della Ragione, la giunta ha deciso un intervento di «somma urgenza». Il responso dei tecnici
non lascia alternative. La copertura è a rischio. Per i lavori sono stati stanziati 830 mila euro e la tempistica
prevede che si concludano entro agosto. Il Municipio Centro Storico chiede che parta al più presto anche il
bando per il restauro delle facciate e dei grandi finestroni ellittici. «Questo consentirebbe di ottimizzare l'uso
dei ponteggi». L'assessore ai Lavori Pubblici, Gabriele Rabaiotti, conferma: «È un problema di
coordinamento ed è uno dei nostri obiettivi». Intanto, sul palazzo «fragile» interviene anche il presidente
dell'Anpi provinciale: «Si pensi anche a come valorizzare i portici - dice Roberto Cenati - dove ci sono le
targhe con i nomi di 1739 milanesi, resistenti e deportati, che non sono più tornati dai lager nazisti. Questo
deve diventare uno dei luoghi della memoria nella città».
I lavori al Broletto riguarderanno copertura, sottogronda e fascia marcapiano, la riga di mattoni che segna la
divisione tra un piano e l'altro. Gli interventi si sono resi necessari dopo che, nei mesi scorsi, si erano
verificate cadute accidentali di materiale, perché le linee del colmo e della gronda «stanno subendo uno
scivolamento verso il basso, scalzando i coppi ed aprendo spazi ad infiltrazioni».
Da mesi il palazzo è sotto osservazione. I tecnici hanno avviato la perizia sulla copertura dopo l'estate. Il
risultato delle analisi ha ben chiarito la causa di quelle cadute accidentali di materiale, che hanno indotto il
Comune a transennare l'intera da mesi e a chiudere le sale espositive. La struttura portante del tetto ha in
buona parte qualche secolo di vita. «Il tetto è retto da una struttura in legno - spiega Rabaiotti -. Il colmo,
cioè la grande trave centrale che è anche la parte più alta su cui poggiano le due sezioni inclinate del tetto
(falde), a sua volta si appoggia a tredici capriate che, per dirla con parole semplici, si sono lasciate andare.
Negli anni' 80 erano già state rinforzate con tiranti ma è evidente che dopo quasi quarant'anni è necessario
rinforzare la struttura che deve trovare un nuovo punto di equilibrio». Le infiltrazioni hanno poi aggravato lo
stato di degrado delle vele di copertura interna, del sottogronda e dei muri perimetrali, nonché dei
serramenti in legno. Il progetto di restauro del (1978-1982) venne firmato da Marco Dezzi Bardeschi, un
teorico della conservazione architettonica, che poi disegnò e realizzò anche la scala in vetro e acciaio
costata all'epoca 500 milioni di lire, caduta nell'abbandono, perché non ottenne il via libera dai vigili del
fuoco. E questo è uno dei capitoli che il progetto di restauro dovrà affrontare. La costruzione del Broletto,
ovvero portico aperto per le assemblee, gli arbitraggi e le ordinanze, inizia in piena età comunale, nel 1228.
In piazza Mercanti, per secoli, fiorirà l'attività economica e commerciale della città. Questo era il vero centro
della vita del Comune. Il sopralzo, voluto da Maria Teresa d'Austria come sede dell'archivio notarile, è
datato 1771.
Paola D'Amico
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Procedura
Per garantire la sicurezza dopo i distacchi di materiale il Comune aveva transennato
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Pag. 1 Ed. Milano
diffusione:238671
tiratura:333841
SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 13/02/2017 17
gli spazi esterni Gli esami dei tecnici hanno confermato
la necessità
di lavori immediati I fondi sono stanziati con
la procedura
della «somma urgenza»
Foto: Transennato L'ingresso su piazza dei Mercanti ( Alberico )
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11/02/2017
Pag. 7
diffusione:105722
tiratura:156556
E•COMMERCE E LOGISTICA
A Rieti il secondo maxipolo Amazon
Alessandro Arona
u pagina 8 FARA SABINA (RIETI) pIl nuovo centro di distribuzione di Amazon in Italia, il secondo nel nostro
Paese, in costruzione a Passo Corese (comune di Fara in Sabina, Rieti), 30 chilometri a nord di Romaea
due km dall'autostrada A1, conferma tempie obiettivie traina lo sviluppo del polo logistico Roma Nord.
L'investimento ammonta a 150 milioni di euro, per 60mila metri quadrati di superificie utile (il pri• mo polo è
quello di Castel San Giovanni, Piacenza, nato nel 2011 e oggi grande 100mila mq). I cantieri sono partiti
nell'autunno scorso, e nel sopralluogo di ieri il vice presidente operations Europe di Amazon,
l'italo•americano Roy Perticucci, ha confermato che il centro sarà operativo entro l'autunno di quest'anno. I
150 milioni sono un investimento congiunto tra Amazon e lo sviluppatore immobiliare Vailog, big italiano
della logistica controllato al 90%, dal 2015, dal colosso britannico Segro Plc. «Il mercato dell'e•commerce in
Italia ha ancora piccoli numerispiega Perticucci• il 5•7% del tota• le rispetto al 15•20% di Francia e Germania,
ma l'Italia ha grande potenzialità di crescita, e il nuovo centro di Passo Corese è un importante passo
avanti nel nostro percorso di crescita». Dal suo ingresso in Italia nel 2010 Amazon ha investito piu di 450
milioni di euro e ha creato piu di 2.000 posti di lavoro. Alla presentazione anche il sindaco di Fara Sabina, il
34enne Davide Basilicata: «Sono orgoglioso di questa scelta• dice•è un grande progetto. Amazon non può
naturalmente garantirci nessuna quota di assunzioni, ma sappiamo che privilegiano chi abita vicino». La
selezione del personale per il nuovo centro (fino a 1.200 persone in tre anni) è già partita per i manager,
circa 30 posizioni (i dettagli su amazon.jobs). Dalla primavera partiranno le selezioni dei 1.200 operatori di
magazzino, tramite le società di lavoro interinale Gi Group, Manpower e Adecco. «L'investimento di
Amazon • ha detto il ministro delle Infrastrutture, Graziano Delrio• dimostra che abbassare le tasse alle
imprese aiuta gli investimenti. E dimostra che facciamo bene a investire di più nella logistica per il
commercio on line e nelle infrastrutture». «I 150 milioni per il centro di Passo Corese sono un investimento
congiunto di Amazone nostro», spiega il general manager di Vailog Erik Veron. «La proprietà della struttura
edilizia sarà nostra, e la affitteremo ad Amazon, mentre Amazon sarà proprietaria degli impianti
tecnologici». L'altro protagonista dell'operazione è il Consorzio per lo svi• luppo industriale di Rieti, che
aveva il compito di espropriare, urbanizzare e assegnare le aree, sulla base di un Prg approvato nel 2009.
La società operativa Polo della logistica Passo Coreseè controllata dal Gruppo Maccaferri di Bologna:
«Hanno investito circa 70 milioni di euro • spiega il presidente del Consorzio Andrea Ferroni• tutte risorse
private che si ripagano vendendo le aree in diritto di superficie agli operatori. Su 180 ettari del Polo, circa
60•70 sono opzionate o vendute (22 ettari sono Amazon e altri 8 un'altra operazione di Vailog), di cui tre
piccole imprese già operative».
MOTORE DI SVILUPPO
Dal suo ingresso in Italia nel 2010, la società americana ha investito più di 450 milioni e creato oltre
2mila posti di lavoro
SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 13/02/2017 19
12/02/2017
Pag. 38
diffusione:154324
tiratura:222715
Chiamparino in difficoltà con il bilancio, chiede al Pd e a Renzi «il congresso e un programma»
Regione, sui conti la tegola trasporti*
Nell'ultimo incontro con Roma deciso un altro taglio di 50 milioni, 6 per il Piemonte BEPPE MINELLO
Tra debiti da rifondere, una Regione da rilanciare e un partito, il Pd, fondamentalmente allo sbando ma al
quale fa riferimento il Governo che deve decidere come e dove investire e tagliare risorse, fare il presidente
della giunta piemontese è un mestiere pericolosissimo. Ecco perchè il Pd, per Sergio Chiamparino, deve
darsi una mossa, «fare uno sforzo per guardare al dopodomani; i problemi vanno valutati nel loro insieme,
solo così si fa un progetto politico. Altrimenti si è a rimorchio di quello che avviene, di ciò che sta
producendo una società anche incattivita. In questo contesto rischiamo di essere stritolati, di non riuscire a
governare». E quindi, come ha scritto in una lettera al Corriere della Sera e come ha ripetuto ieri al Circolo
dei Lettori dove ha dibattuto di conti pubblici con l'europarlamenare Daniele Viotti e la senatrice Magda
Zanoni, «si vada a congresso al più presto con una mozione politico programmatica che, se mi si chiede
un'opinione, deve riposizionare in parte il Pd. Poi, se ci sono altre posizioni, ci si confronta. Perché così si
capisce anche se c'è qualcuno che usa la parola congresso solo come scusa per logorare Renzi, sperando
che si impantani e si auto escluda. ma questo non fa gli interessi complessivi del Pd». Mire sui fondi
regionali La preoccupazione di Chiamparino non è solo per il suo partito, ma perché tutto si tiene. Anche il
difficile lavoro di presidente della giunta piemontese che deve fare i conti con le decisioni dell'Europa e di
Roma. Per dire, il 22 febbraio l'Italia a Bruxelles dovrà spiegare come intende recuperare i 3,4 miliardi per
restare dentro i parametri di Maastricht. «Su un paio di miliardi siamo già a buon punto» ha osservato
Magda Zanoni. Ma la paura di Chiamparino è che per trovare il rimanente miliardo e mezzo, il Governo e il
distratto Pd che lo guida, si rivolga alle Regioni. Giusto ieri, s'è scoperto che, poche ore prima, la
Conferenza Stato-Regioni s'era chiusa con un ulteriore taglio di 70 milioni al Fondo nazionale trasporti,
quello che fa girare, bus, tram e treni. Siccome il Piemonte nei conti pubblici pesa per circa l'8%, ciò
significa per l'assessore al Bilancio, Aldo Reschigna, trovare ulteriori 6 milioni per far quadrare i conti di un
bilancio di previsione che ha mosso i primi passi giusto l'altro giorno. Sei milioni che vanno ad aggiungersi
ad altri 42 milioni, la quota di tagli che toccano al Piemonte e decisi dalle Finanziarie del 2015 e del 2016.
Minori risorse per disabilità, diritto allo studio, sostegno agli affitti, all'edilizia sanitaria. Insomma, un totale di
47-48 milioni in parte (36 milioni) già prudentemente coperti rosicchiando qui e là. Ma quei 5-6 milioni
mancanti ora sono raddoppiati da ieri per colpa del taglio al Fondo trasporti. Che fare? «Credo dovrà
essere il Consiglio regionale, quando affronterà il bilancio - riflette Reschigna - visto che non credo si
potranno tagliare i fondi che destiniamo al nostro trasporto pubblico», vale a dire 530 milioni. Le incertezze
di Roma Ma le incertezze romane, e il pericolo che fondi dati per certi non arrivino o arrivino ridotti in
Piemonte, esiste. È il caso dei «Fondi coesione e sviluppo» che comprendono infrastrutture, ad esempio,
come la Metro2, il completamento del Servizio ferroviario regionale, la pedemontanina di Biella, il nodo di
Novara, i quasi 130 milioni per i progetti di ricerca legati alla Città della Salute e altri importanti progetti
inseriti nel Patto per il Piemonte ancora da sottoscrivere. Nonostante l'ottimismo di Reschigna («I progetti
infrastrutturali hanno già l'ok di Delrio e del Cipe»), Chiamparino è preoccupato: «Finchè non c'è la firma di
Roma non si può mai dire». c
220
milioni È la maxi rata che fino al 2025 la Regione deve pagare per rientrare del disavanzo ereditato dal
passato
64
milioni Dal 2025 al 2045, la rata per ripagare il disavanzo accumulato in passato scenderà da 220 a 64
milioni
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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 13/02/2017 20
12/02/2017
Pag. 38
diffusione:154324
tiratura:222715
30
anni Il tempo che la Regione impiegherà per pagare il disavanzo accumulato in passato
In bilico I fronti aperti col governo n Sono ancora da confermare i Fondi coesione e sviluppo per
infrastrutture e come la Metro2 o come il Nodo ferroviario di Novara o la pedemontanina Biella n Non è
ancora stato concordato dove verranno applicati i tagli (42 milioni) delle Finanziarie del 201516: si va dal
sostengo agli affitti all'edilizia sanitaria n I 6 milioni di minori risorse per i trasporti hanno messo in difficoltà
la Regione: la giunta chiede che i nuovi sacrifici vengano stabiliti dal Consiglio regionale quando voterà il
bilancio
Ha detto
Renzi presenti una mozione politica e di programma che in parte riposizioni il Pd
Congresso al più presto, lì vedremo chi usa questo tema solo per logorare Renzi Sergio Chiamparino
Foto: Il fondo per il trasporto pubblico piemontese vale 540 milioni, 483 dello Stato e il resto della
Regione
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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 13/02/2017 21
13/02/2017
Pag. 27 Ed. Civitavecchia
diffusione:115344
tiratura:158020
Case, avanti tutta con via Betti
EDILIZIA
Ater e Regione Lazio, sinergia preziosa su emergenza abitativa e valorizzazione del territorio. L'azienda per
l'edilizia residenziale pubblica continua a lavorare su più tavoli. I progetti di via Canova, viale Lazio e Pz4
sono in dirittura d'arrivo (soprattutto i primi due), ma si fanno passi in avanti anche sul complicato puzzle
che si deve incastrare per mandare in porto l'operazione di via Betti, vera e propria rigenerazione urbana di
un quartiere. Nel progetto infatti è previsto un aumento di volumetria stimato nel 35%, con la possibilità di
ricavare almeno ulteriori 30 alloggi rispetto ai 72 attuali. Per realizzare tale opera, però, serviranno diversi
milioni di euro. Da questo punto di vista, la sponda vincente potrebbe arrivare dalla Pisana. «Una fetta
consistente del finanziamento sarebbe garantita da Ater, ma anche la Regione farà la sua parte, nello
specifico nel settore dedicato all'edilizia popolare. Ringrazio soprattutto il consigliere regionale di Si-Sel
Gino De Paolis che sta facendo un gran lavoro - dichiara il commissario dell'Ater, Antonio Passerelli - a
brevissimo sarà pronto lo studio di fattibilità, speriamo di poter raggiungere la somma necessaria. Si tratta
comunque di un progetto ancora vivo».
I sei appartamenti di viale Lazio invece sono già pronti, manca il completamento di un'opera interna di un
immobile, poi i locali verranno assegnati. Sul Pz4 di San Gordiano si resta in attesa dei conteggi per le
opere di urbanizzazione. Passerelli inoltre conferma l'intenzione di investire sugli orti urbani, anche qui una
spinta in più arriva dalla Regione: «Grazie ad un emendamento approvato nell'ultimo bilancio della Pisana
ci sarà la possibilità di accedere a finanziamenti - spiega il commissario dell'azienda per l'edilizia
residenziale pubblica - tuttora abbiamo diverse aree che non sfruttiamo. In questa maniera si potrebbero
recuperare delle zone del territorio, penso soprattutto a quella di Torre d'Orlando. L'orto urbano è
un'opportunità che può unire il lavoro al sociale». Infine anche a Tolfa arriva una boccata d'ossigeno per
l'emergenza casa, è pronta infatti la convenzione relativa al progetto del Poggiarello che metterà a
disposizione otto appartamenti.
Pierluigi Cascianelli
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 13/02/2017 22
12/02/2017
Pag. 43 Ed. Abruzzo
diffusione:115344
tiratura:158020
Civitarese svela Nta e decreto sviluppo «Volumetrie certe e palazzi
antisismici»
I NODI DELL'EDILIZIA
Un indice volumetrico tutto compreso che consenta di avere certezze sul costruito e semplifichi il lavoro di
progettisti privati e dei tecnici comunali; eliminazione dell'h/2 nelle aree ad alta densità edificatoria: basterà
rispettare le distanze (5 metri dal confine a prescindere dall'altezza dell'edificio) a patto che si ricostruisca
applicando norme antisismiche e si realizzino edifici in classe energetica A per abbattere i consumi. Sono
alcune delle novità più importanti illustrate ieri all'Aurum dall'assessore all'Urbanistica, Stefano Civitarese,
riguardo alle nuove Nta del Prg e Decreto sviluppo. Norme che l'assessore ha definito «rivoluzionarie» per
un duplice obiettivo: rilanciare l'edilizia e semplificare le procedure. Altro tema forte è stato quello della
mobilità sostenibile. Confermate le tre aree strategiche di iniziativa pubblica: area di risulta, polo
universitario giudiziario e ambito fluviale. In edilizia si punta sulla città verticale. «Il calcolo della cubatura
dovrà comprendere l'intero edificio, senza recuperi da vani scala, sottotetti, piani interrati: si darà una
misura e quella dovrà essere realizzata. Questo perché l'indice del metro cubo su metro quadro ci ha
dimostrato che di fatto la cubatura si raddoppia in conseguenza di premialità e recuperi» ha spiegato
Civitarese. Per contro, sono state definite zone urbane di recupero in cui il Comune aumenta fino al 50% le
premialità con il decreto sviluppo, a patto che si rispettino determinate condizioni per rigenerare il tessuto
edilizio cittadino. «E' andata bene, sono soddisfatto» ha commentato l'assessore, annunciando altri incontri
e verifiche sul tema con le categorie e con gli ordini professionali, anche per mettere a punto nel dettaglio
cosa fare e come.
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A Verona la fi era del settore. Oltre tremila abitazioni costruite all'anno e giro d'affari da 700 mln
Edilizia, il legno per tutta la casa
Si punta su infi ssi, pavimenti, tetti e riscaldamento Pagina a cura DI GIOVANNI BUCCHI
Più di tremila nuove case costruite all'anno in Italia da 350 aziende (concentrate perlopiù in Trentino Aldo
Adige, Lombardia e Veneto), per un giro d'affari da quasi 700 milioni di euro. Una moda di abitare
consolidata al Nord ma che si sta espandendo in t u t t o i l Paese, coinvolgendo oltre al residenziale anche
gli edifici a destinazione produttiva e servizi. Una nicchia cresciuta in questi anni e in continuo aumento, in
controtendenza rispetto a ciò che accade nell'edilizia in generale. Ma anche un comparto dove alle luci f a n
n o d a contraltare alcune ombre evidenziate da un gruppo di professionisti. Parliamo dell'edilizia in legno,
settore che vede l'Italia come quarto produttore europeo (8,4% del mercato dopo Germania, Gran Bretagna
e Svezia), al centro della 10ª edizione di Legno&Edilizia, la manifestazione organizzata da Piemmeti
(società controllata da Veronafiere) e in programma fino a domani alla Fiera di Verona. Lì si incontrano tutti
gli attori della filiera, dai costruttori ai progettisti fino ai produttori delle macchine utensili per il taglio della
lavorazione del legno, con la presenza di aziende presenti a livello mondiale quali Cm Macchine, Essetre,
Hundegger, Scm Group e Sarmax. «Scegliere il legno conviene» è lo slogan di questa edizione della
kermesse biennale. E conviene, come ha spiegato alla presentazione dell'evento il direttore di Piemmeti
Raul Barbieri, per economicità, salubrità, comfort, sicurezza e bellezza. In questo senso, la tendenza che
va affermandosi riguarda la specializzazione nei macro settori. In altre parole, sempre più famiglie italiane e
un numero crescente di imprese vogliono portare il legno oltre i muri: non chiedono più soltanto di costruire
la propria casa o edificio in legno, ma di ricorrere a questo materiale anche per quanto riguarda infissi, tetti
e coperture, pavimenti e altro ancora. Non solo, c'è pure il riscaldamento a legna e pellet che prende
sempre più piede. A tal proposito, la manifestazione ha promosso uno specifico focus per fare conoscere i
vantaggi in termini di efficienza ed economicità dell'impiego di sistemi di riscaldamento a biomassa; sono
presenti in Fiera ditte specializzate e stamattina si terrà un convegno a cura di Aiel. © Riproduzione
riservata
Foto: Alcune immagini delle scorse edizioni di Legno&Edilizia ti. per il taglio della lavorazio-
Foto: Raul Barbieri
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Il teorema delle Olimpiadi
Il carattere rapace, speculativo, che celano i grandi eventi sportivi, esiste da tempo. Già da quelli durante l'esposizione universale di Parigi INTERVISTA » NEI FILM DI ENRICO MASI LE RIPERCUSSIONI SOCIALI DEI GIOCHI A LONDRA, RIO DE JANEIRO E SAN PAOLO PASQUALE COCCIA
Qual è il riflesso dei grandi eventi sportivi, dalle olimpiadi ai mondiali di calcio, sulle metropoli che li
ospitano? Quali conflitti abitativi hanno prodotto i cantieri olimpici di Londra 2012 e di Rio 2016? Enrico
Masi racconta le ripercussioni sociali e urbanistiche a Rio come a San Paolo, attraverso la trilogia brasiliana
Lepanto, Ultimo cangaceiro, Terra Sem Males , che rappresenta un ponte con The Golden Temple il
precedente film sulle olimpiadi di Londra. Enrico Masi, ha fondato con Stefano Migliore e Stefano Croci la
Società Cooperativa Caucaso, casa di produzione che opera nel cinema di ricerca. La presentazione dei
film, avverrà prossimamente a Modena il 22 febbraio Sala Truffaut, poi a Torino al Cinema Massimo,
Lecce, Bologna, Milano, Padova, Firenze, Prato, Perugia, Oppido Lucano, Genova. Perché hai scelto lo
sport, per raccontare il tema dell'impatto sociale dei grandi eventi? Ho praticato molto lo sport fino a 20
anni, in particolare la pallamano e il nuoto. Ho sempre visto una certa competizione, una sorta di ferocia,
non ho vissuto lo sport in maniera pacifica, lo vivevo come espressione di un malsano spirito di
competizione. Ho smesso quando ho capito che l'ambiente ti chiedeva di «fare sul serio», di curare il fisico,
essere molto forte. In squadra c'era un ragazzo croato molto forte fisicamente, che proveniva da una
situazione di violenza, era fuggito dalla dell'ex Jugoslavia, una condizione ben rappresentata dalla frase di
George Orwell «Sport is war minus the shooting», che Mike Wells cita in The Golden Temple . Non voglio
demonizzare lo sport, ma sottolineare una sua parte dura, oscura. Che cosa hai raccontato in «The Golden
Temple»? Ho raccontato la vita di un uomo, Mike, che è completamente cambiata in occasione dell'evento
olimpico. Viveva a Londra e con le olimpiadi ha visto stravolta la sua vita, a causa di un esproprio coatto e
della demolizione di una grande casa sociale, dove c'erano cooperative house, vivevano circa 400 persone,
che hanno ricevuto un indennizzo, ma si è perso una comunità importante dentro un quartiere laboratorio
dell'est di Londra. Gli esperti ci dicono che si «rimette in moto l'economia». È così o i cantieri olimpici
esprimono violenza? La violenza è stata oggettiva, vari comitati hanno sostenuto che a Londra
quell'architettura doveva essere salvaguardata. Nel film «In the Golden Temple», ho perimetrato
ossessivamente il sito olimpico, alla ricerca di storie marginali. Ho incontrato anche persone entusiaste
riguardo a quello che stava succedendo, un entusiasmo velato da un senso di demolizione, perché sono
cantieri talmente imponenti e invadenti che difficilmente nel giro di un anno o due si vedono i risultati
proposti dai piani urbanistici. Alcuni sociologi inglesi mi hanno detto di tornare dopo dieci anni, perché avrei
fatto sicuramente un nuovo film. Che cosa resta di quanto è stato costruito ? Londra non era una città
arretrata da un punto di vista delle infrastrutture e dei servizi, l'aeroporto era già lì, la metropolitana ha un
secolo di vita, il parco che è stato costruito, sembra che in parte ci fosse già, all'inizio dell'area olimpica di
nuovo hanno realizzato il più grande centro commerciale d'Europa. La novità è stato il modello di pensiero
che si è affermato alle spalle di una città come Londra, un modello di capitalismo sfrenato, di consumismo,
il modello urbanistico prevede che la gran parte dei viaggiatori che sbucano dalla metropolitana o dagli
autobus passi attraverso il più grande centro commerciale d'Europa, altri ritengono che il vecchio pub
inglese non abbia più un valore. Lepanto? Dopo i cantieri di Londra dovevo andare a Rio, avevo appena
iniziato il dottorato di ricerca e grazie a una borsa di studio e al sostegno della cooperativa Caucaso ho
potuto realizzare «Lepanto», assistito alla regia da Alessandra Lancellotti e Joao Pedro Amorim. Dopo
«The Golden Temple», Enrico Ghezzi mi disse: «Vai oltre». Ho rifiutato di percorrere la strada già battuta
del documentario, che si sta neutralizzando e irreggimentando. Sono partito per il Brasile e ho girato per
due mesi alla ricerca di una sorta di serialità dell'impatto del grande e v e n t o , t r o v a n d o l a i n u n ' a
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vventura umana tra Rio de Janeiro e San Paolo, che per me h a r a p p r e s e n t a t o u n o s h o c k
emotivo, perché sono entrato in contatto con delle realtà famigliari dentro questi cantieri immensi. Che cosa
ti ha colpito? A San Paolo, tra le più grandi città del mondo, il giorno in cui arrivai era crollata la torre del
cantiere dove si costruiva l'Arena Corinthians ed erano morti alcuni operai. Un sociologo brasiliano mi
diceva che era il nono stadio della città che stavano costruendo. Sono costruzioni che nessuno chiede, è
questo l'altro lato dei grandi eventi sportivi, di fianco a quello stadio ci sono delle comunità prive di acqua, le
scuole sono inesistenti o molto lontane o per i ricchi. Un personaggio di «Lepanto» dice che il 25% dei
terreni è stato riservato agli impianti sportivi, il 75% alla speculazione edilizia. Riguarda solo Rio o anche
altri grandi eventi sportivi? È un dato costante, che può variare di qualche percentuale minima tra le varie
olimpiadi, a partire da Roma 1960. Il carattere rapace, speculativo, che celano i grandi eventi sportivi,
esiste da tempo, già dalla seconda olimpiade moderna, quella del 1900, che si inserisce nell'esposizione
universale di Parigi, quelle a seguire sono sempre all'interno di un quadro finanziario. Alcuni appuntamenti
olimpici hanno fatto eccezione, come le olimpiadi di Stoccolma del 1912, di Helsinki del 1952, per aver
risposto ad alcuni problemi della città, su questo versante si collocano anche le olimpiadi invernali di Torino
del 2006, anche se la questione è dibattuta, il contrario di quello che è avvenuto a Sochi, in Russia, sono
state le olimpiadi più costose della storia, segno di supremazia del potere, non a caso l'appuntamento
olimpico ha consentito alla Russia di aumentare il controllo delle infrastrutture, come gli oleodotti, ai confini
con la Georgia. C'è un collegamento molto stretto tra lo sport e la violenza capitalista degli ultimi cento
anni, il secolo della modernità. I quartieri residenziali costruiti in nome dei grandi eventi sportivi, comportano
l'allontanamento dei vecchi abitanti? Questo è un'altro tema scottante, si instaura un processo di
gentrificazione, ovvero di trasformazione della composizione sociale in aree dove l'aumento dei servizi
determina la conseguente pressione immobiliare. In Brasile i cantieri sono stati aperti per sette anni, mi
aveva colpito un cartello che recitava «Le olimpiadi sono per gli atleti poi per voi» era rivolto ai futuri abitanti
che avrebbero comprato gli appartamenti del villaggio olimpico, il limite tra un'agenzia pubblicitaria e il ruolo
dello Stato si assottiglia enormemente. Una delle scene finali di «Lepanto» inquadra in controluce la
spiaggia di Ipanema, dove tanti piccoli gruppi di persone giocano a calcio, palleggiano, fanno passaggi.
Che cosa vuol dire? In quel caso il dato più rilevante è la spontaneità e l'autenticità del gioco, sottolineata
da un'altra scena in cui si riprendono tanti ragazzi che partecipano a un torneo autorganizzato a San Paolo
in occasione della Coppa. In Lepanto ci sono molte immagini che riguardano questo campo, che giace nel
centro storico di San Paolo, in una zona abbandonata, ho costruito una delle due porte del campo,
all'interno di un palazzo occupato che sorge lì vicino. Quella scena sulla spiaggia di Ipanema al tramonto è
un'esperienza collettiva con migliaia di persone che giocano a calcio e altre che fanno il saluto al sole, una
modalità pagana molto forte e rispettata. Tutti condividono il gioco in maniera spontanea e in un luogo
pubblico, un fenomeno ben descritto in Essere in gioco. Calcio e Cultura tra Brasile e Italia del semiotico
brasiliano Paolo Demuru. In Brasile esiste uno spirito di spontaneità legato allo sport trionfante e trionfale,
molto simile all'esuberanza tropicale che caratterizza i brasiliani.
Foto: In alto: Fotogramma da Torneo di San Paolo: Fronte di lotta per l'abitazione; sotto: Michael e Marie
(foto di Stefano Migliore) e Vila Autodromo (foto Simone Gambelli)
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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 13/02/2017 26
13/02/2017
Pag. 23
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MONZA
Dall'elettronica all'edilizia «Decisive le competenze»
Cosimo Firenzani MESTIERI in continua evoluzione per i quali sono necessarie competenze trasversali e
minimo tre anni di formazione professionale per ottenere la qualifica di operatore elettrico,
elettronico/informatico o edile. «Su queste professioni spesso c'è una visione un po' antica di un profilo
professionale basso - spiega Diego Sempio, direttore del settore elettrico dell'ente di formazione Galdus -.
Richiedono competenze trasversali e sono in continua evoluzione». Si diventa operatore elettrico,
elettronico/informatico, edile o, per esempio, operatore della lavorazione dei metalli con 990 ore di lezioni e
300 di stage fino alla qualifica professionale, ma si può decidere di proseguire con un quarto anno per
ottenere il diploma tecnico ed eventualmente anche con un quinto anno per ottenere il diploma di Stato per
l'accesso all'università. A questi percorsi si può accedere dai 14 anni, ma anche successivamente. Le
iscrizioni per i corsi in partenza a settembre sono in scadenza, ma resteranno aperte ancora qualche giorno
(tutte le informazioni su www.galdus.it). «L'approccio di questi percorsi è sicuramente quello di imparare
facendo - aggiunge Sempio - ma non vuol diLE IMPRESE CERCANO OPERATORI PREPARATI, IL
MODELLO FAI-DA-TE NON HA PIÙ MERCATO. GLI ESPERTI: «OCCORRE TEORIA E PRATICA» re che
pratica e teoria siano separate. C'è poi un altro pregiudizio culturale: che queste siano professioni solo
pratiche, invece le conoscenze sono fondamentali e sono necessarie capacità riflessive e logiche per
metterle in pratica». LA SCUOLA professionale Galdus organizza ogni anno a Milano (sedi in via Pompeo
Leoni e in via Piazzetta) corsi dal titolo «Elettricista: professione dell'innovazione» che prevede tra le
materie tecnica professionale ed elettrotecnica, elettronica applicata, illuminitecnica, programmazione,
automazione e domotica, esercitazioni pratiche in laboratorio o «Informatica/Elettronica al servizio di ogni
mestiere» con corsi di assistenza tecnica, programmazione, comunicazione digitale e web design,
elettrotecnica e tecnologia, elettronica ed esercitazioni con schede tipo «Arduino«, simulazione d'impresa
Gtech. Per quanto riguarda gli operatori edili il corso prevede ore di lezione in tecnologia edile, contabilità,
sicurezza sul lavoro, laboratorio edile ed elettrico, disegno tecnico: autocad 2D e 3D, Artlantis, Sketch up.
Infine, c'è il corso di operatore del metallo dal nome «Orafo: mestiere antico, design moderno» con corsi in
Storia dell'arte e del gioiello, gemmologia, disegno, Ryno e Photoshop, laboratorio di oreficeria: discipline
plastiche, modellazione della cera.
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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 13/02/2017 27
13/02/2017 Pag. 33 Ed. Rovigo
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Guido Fraccon
Tre nuovi alloggi popolari
Dopo l'Ater, anche l'amministrazione di palazzo Tassoni è pronta a fornire una importante risposta alla
fame di case popolari del territorio. Via libera ai lavori di recupero di tre alloggi comunali. La pubblica
amministrazione ha affidato la redazione del piano di sicurezza ed il coordinamento in fase di esecuzione
all'architetto Tonino Portesan di Rosolina per una somma complessiva di 5.506,59 euro. Due di questi
appartamenti sono ubicati a Borgo Dolomiti, uno in via Bolzano ed uno in via Merano. Il terzo si trova
invece a Borgo XXV.
Alcuni di questi immobili erano stati liberati nei mesi scorsi dopo che la pubblica amministrazione aveva
accertato situazioni di morosità molto importanti da parte degli inquilini ed aveva avviato nei loro confronti
delle azioni di sfratto. L'operazione, nell'ambito del programma di recupero e razionalizzazione di immobili e
alloggi di edilizia residenziale pubblica, è stata finanziata dalla Regione Veneto con 79.200 euro su una
spesa totale di 99 mila euro. Il finanziamento, invece, era stato ottenuto nel settembre di due anni fa dall'ex
assessore all'edilizia popolare David Busson. Sia infatti sotto la guida del suo predecessore Lorenzo
Maltarello che sotto la sua guida il referato all'edilizia popolare aveva registrato numeri importanti
nonostante la città non sia inserita dall'Istat tra le città ad alta tensione abitativa. La difficile congiuntura
economica comunque aveva fatto emergere situazioni di precarietà che fino a ieri riguardavano un numero
contenuto di famiglie.
Tra le novità introdotte in questo settore da Busson il premio per il radicamento nella comunità adriese.
L'esecutivo assegna, infatti, nella graduatoria degli alloggi popolari un punteggio maggiore agli adriesi di
denominazione di origine controllata e a chi risiede in città da almeno 25 anni. Per la cronaca, anche per
fare un confronto con la spesa per sistemare i tre appartamenti palazzo Tassoni incamera annualmente
dagli affitti dei suoi 34 alloggi di proprietà una cifra di oltre 25mila euro. È pari infatti a 25.270, 68 euro la
somma dei canoni di locazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica di proprietà comunale.
© riproduzione riservata
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FOCUS IMMOBILIARE
VINCENZO GIBIINO UN OSSERVATORIO PARLAMENTARE TUTTO
NUOVO
Osservatorio Parlamentare sul Mercato Immobiliare è un luogo di confronto, di idee e di sintesi, tra il mondo
della politica e quello delle associazioni di settore. Nato con l'obiettivo di monitorare il mercato, l'OPMI è
oggi soprattutto sinonimo di proposta, per contribuire a dare una soluzione fattiva ai tanti nodi che
attanagliano un comparto trainante della nostra economia, del sistema Italia, ed oggi in grave difficoltà. Se
la politica si interroga su come rilanciare l'edilizia, il settore delle costruzioni, l'organismo che mi onoro di
presiedere propone strategie, risposte, che sottoponiamo a chi il Paese lo amministra nella quotidianità,
governo nazionale in primis. Insieme ai parlamentari dei diversi schieramenti, dell'Osservatorio fanno parte
le associazioni più rappresentative di categoria, tra queste Fiaip, Confedilizia, Ance, Federalberghi, Finco,
Federcasa, Assoimmobiliare, fino al Consiglio nazionale dei centri commerciali» L'Osservatorio
Parlamentare sul Mercato Immobiliare è da fine 2015 nuovamente operativo grazie all'iniziativa del
senatore Vincenzo Gibiino, che lo presiede. Così la politica e le associazioni di categoria hanno modo di
collaborare in maniera più sinergica rispetto al passato, data la rinnovata veste assunta dall'Osservatorio.
Domanda. Come si configura questo «nuovo» Osservatorio? Risposta. L'Osservatorio Parlamentare sul
Mercato Immobiliare è un luogo di confronto, di idee e di sintesi, tra il mondo della politica e quello delle
associazioni di settore. Nato con l'obiettivo di monitorare il mercato, l'OPMI è oggi soprattutto sinonimo di
proposta, per contribuire a dare una soluzione fattiva ai tanti nodi che attanagliano un comparto trainante
della nostra economia, del sistema Italia, ed oggi in grave difficoltà. Se la politica si interroga su come
rilanciare l'edilizia, il settore delle costruzioni, l'organismo che mi onoro di presiedere propone strategie,
risposte, che sottoponiamo a chi il Paese lo amministra nella quotidianità, Governo nazionale in primis.
Insieme ai parlamentari dei diversi schieramenti, dell'Osservatorio fanno parte le associazioni più
rappresentative di categoria, tra queste Fiaip, Confedilizia, Ance, Federalberghi, Finco, Federcasa,
Assoimmobiliare, fino al Consiglio nazionale dei centri commerciali. D. Che forma ha assunto? R.
L'Osservatorio è oggi una realtà completa e articolata, la cui attività va ben oltre le semplici seppure
necessarie audizioni. Ci interfacciamo con l'esecutivo nazionale, con il mercato, con il mondo del credito.
Perché la pura analisi non basta più. L'OPMI è sinonimo di trasversalità, competenza ed obiettività, e
questo è per noi motivo d'orgoglio. D. Qual è stata in questo anno la vostra attività? R. Tra le numerose
emergenze affrontate mi preme ricordare di come l'Osservatorio sia intervenuto in maniera significativa e
fruttuosa nel recepimento della direttiva europea 2014/17, che prevedeva condizioni oltremodo punitive per
il mutuatario moroso. Abbiamo affrontato la problematica con i parlamentari di tutte le forze che siedono
alla Camera e al Senato, maggioranza in primis, evidenziando la necessità di rimodulare diversamente il
provvedimento e di tutelare il più possibile i cittadini che una volta acceso un mutuo si trovino in difficoltà.
Possiamo dire con soddisfazione che il risultato sia stato raggiunto. D . E oggi? R. Riteniamo sia
necessario riportare le lancette fiscali al 2008, quando fu abolita l'Ici sulla prima casa e la tassazione era di
10 miliardi di euro, e non di 30 come accade invece drammaticamente oggi. Pensiamo si debba altresì
fissare un limite temporale certo, entro il quale la tassazione non possa cambiare. Gli italiani, che hanno
sempre visto nel mattone un bene rifugio, e che oggi si sentono invece defraudati e presi in giro, devono
tornare ad avere fiducia. Il problema è infatti che chi compra la casa oggi, non sa quante tasse dovrà
pagare tra tre anni. Abbassando la pressione fiscale sulla casa, rendendola per così dire più umana, la
redditività dovrebbe ripartire, cosa che porterebbe il Pil del comparto a riavviarsi, l'indotto a tornare a
crescere e la riqualificazione urbana avviarsi. Il fatto che investire nel mattone sia oggi sinonimo di
incertezza ha danneggiato enormemente la nostra economia, quasi paralizzata. Abbiamo necessità di fare
delle scelte coraggiose. Rivitalizzando il mondo delle costruzioni, potremmo recuperare nel giro di qualche
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anno gli oltre 700 mila posti di lavoro svaniti nel nulla. D. A cosa vi state dedicando a livello normativo? R.
Ci stiamo concentrando su misure intermedie, che facilitino il risveglio del settore e stuzzichino l'appetito
del mercato. Nel Milleproroghe, ad esempio, chiederemo la riduzione dal 4 al 2 per cento dell'imposta Iva
pagata dagli acquirenti alle imprese, laddove questi acquistino immobili in classe energetica A e B. Si tratta
di una misura che dovrebbe spingere i costruttori ad edificare con standard energetici elevati. Una
facilitazione anche per colui che acquista, che si ritroverà a vivere in una casa più efficientate sia sul fronte
del riscaldamento che del raffreddamento. Altro tema particolarmente interessante riguarda la permuta
degli immobili, che potrebbe avvenire con le stesse modalità utilizzate per le auto. Considerando
l'abitazione un bene strumentale, potrebbe infatti essere cancellata l'imposta di trasferimento. Possiamo
ritenere che in Italia vi siano oggi 240 mila immobili invenduti a causa dello stallo dovuto alla crisi
economica, le misure da noi proposte potrebbero in tal senso essere risolutive. D. Grande attenzione
dell'Osservatorio anche al tema della rigenerazione urbana R. Le nostre città, nelle quali convivono una
storia gloriosa e un presente talvolta complesso, devono imparare a programmare sapientemente il
domani. Un domani che deve poggiare su due pilastri fondamentali: un recupero intelligente delle aree
dismesse e abbandonate, soprattutto nelle grandi città, e un utilizzo attento del territorio. Un'urbanistica
lungimirante e un profondo rispetto per l'ambiente sono elementi imprescindibili. D. Una sua opinione sui
recenti eventi sismici e sul progetto Casa Italia R. Casa Italia è un progetto ad oggi imprescindibile, che
deve consentirci di disegnare il futuro del nostro vivere e dell'abitare, un percorso che vada oltre i tempi
delle legislature. Dobbiamo affrontare le fragilità del territorio, interrogarci sui luoghi in cui costruire e su
come costruire. È necessario applicare le tecniche più moderne ad edifici storici e al vastissimo patrimonio
antisismico. Servono concretezza e consapevolezza, ma anche tempi certi e programmazione. D.
L'Osservatorio chiede al Governo uno shock finanziario. Cosa significa? R. Lo Stato deve necessariamente
fare uscire il settore dalle sabbie mobili, ma può farlo sono attraverso scelte coraggiose. A Roma sì è
intervenuto con importanti iniziative fiscali fissando la detrazione dell'85 per cento e creando credito
d'imposta, che il pensionato o le famiglie possono cedere alle imprese, ma che invece non può essere
ceduto alle banche, che non lo accettano. Ci troviamo di fronte ad un sistema che si interrompe, che non
riesce ad essere virtuoso, e che allontana il risultato ultimo. Solo la normalizzazione di una pressione
fiscale a dir poco eccessiva potrà dare una chance alla nostra edilizia. Mario Monti, il cui Governo triplicò la
tassazione degli immobili
Tra le numerose emergenze affrontate mi preme ricordare di come l'Osservatorio sia intervenuto in maniera
significativa e fruttuosa nel recepimento della direttiva europea 2014/17, che prevedeva condizioni
oltremodo punitive per il mutuatario moroso. Abbiamo affrontato la problematica con i parlamentari di tutte
le forze che siedono alla Camera e al Senato, maggioranza in primis, evidenziando la necessità di
rimodulare diversamente il provvedimento e di tutelare il più possibile i cittadini che una volta acceso un
mutuo si trovino in difficoltà. Possiamo dire con soddisfazione che il risultato sia stato raggiunto, ma lo
Stato deve necessariamente fare uscire il settore dalle sabbie mobili attraverso scelte coraggiose
Foto: Il senatore Vincenzo Gibiino, presidente
Foto: dell'Osservatorio Parlamentare sul Mercato Immobiliare
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SCENARIO ECONOMIA
57 articoli
13/02/2017
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tiratura:333841
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/02/2017 31
L'intervista
«Nessun regalo dall'Europa»
Gozi replica a monti Enrico Marro
«La flessibilità ottenuta da Renzi non è manna dal cielo, ma il frutto di un duro negoziato con la Ue». Il
sottosegretario Sandro Gozi replica a Mario Monti. a pagina 10
ROMA L'ex premier Mario Monti, con un'intervista al Corriere, ha rotto gli schemi affermando che la
flessibilità che il governo Renzi ha ottenuto dalla commissione europea non è stata una vittoria, ma ha fatto
più male che bene ai conti pubblici e all'economia.
«Non è così - replica Sandro Gozi (Pd), 48 anni, sottosegretario alle Politiche europee -. Cominciamo col
dire che la flessibilità ottenuta da Renzi non è una manna dal cielo, ma il frutto di un duro negoziato con la
Commissione europea. E non è servita a dare mance elettorali, ma per fare le riforme strutturali, dalla
pubblica amministrazione alla concorrenza, dalla giustizia al Jobs act , dalla scuola al fisco».
I 19 miliardi di euro di flessibilità sono stati usati per spesa corrente e bonus vari anziché per gli
investimenti, sottolinea Monti.
«Monti dimentica che il governo Renzi ha ottenuto una svolta sulla politica degli investimenti in Europa,
testimoniata dal piano Juncker del quale l'Italia è la principale utilizzatrice, con 12 miliardi di euro finora.
Forse Monti avrebbe preferito un approccio più rigorista, che però non avrebbe giovato agli italiani».
Fatto sta, secondo, l'ex premier, che l'Italia ha perso credibilità. Sono anni che promette la riduzione del
debito, che invece aumenta.
«È stupefacente che oggi si lamenti di ciò chi come Monti ha votato No al referendum sulla riforma della
Costituzione. Sapevamo benissimo che con la vittoria del No l'Italia sarebbe entrata in una fase di
incertezza politica. Il governo Renzi, a proposito di credibilità, ha fatto scendere le infrazioni europee verso
l'Italia da 119 a 70 e le frodi sui fondi comunitari del 62%. Nessuno ha fatto meglio di noi».
Rischiamo però l'apertura della procedura d'infrazione. Tanto che il ministro Padoan, sta preparando la
manovrina chiesta da Bruxelles.
«Direi di farla finita con queste drammatizzazioni sul negoziato con la Commissione europea e sulla
eventuale procedura. Non mi sembra che la Francia abbia subìto una diminuzione della sua sovranità dopo
la procedura. È vero che noi dobbiamo ridurre il debito, ma le misure che prenderemo non devono incidere
su crescita e potere d'acquisto».
Quindi è contrario all'aumento delle accise?
«Penso si debba proseguire sulla via della diminuzione delle tasse e spero quindi si possano trovare altre
misure».
Torniamo a Monti. Flessibilità e bonus non sono serviti neppure a farvi guadagnare consensi, osserva.
«Il modo in cui Renzi si è mosso in Europa è la cosa che gli italiani hanno apprezzato di più. Ha ottenuto la
flessibilità e ha chiesto all'Europa di uscire dallo status quo. Abbiamo presentato proposte importanti: per
un nuovo governo dell'euro; per una politica degli investimenti; per un sussidio europeo di disoccupazione.
E abbiamo posto il tema del Fiscal compact da rivedere. Ma vorrei dire a Monti che accanto a queste
abbiamo messo in campo proposte che toccano valori e visione politica dell'Europa: dallo stato di diritto in
Paesi come la Polonia al fatto che ora la questione libica è riconosciuta come un problema che riguarda
l'Unione».
Unione che sembra disgregarsi. Merkel ha già in mente l'Europa a più velocità.
«Anche questo è un tema che abbiamo proposto noi, non è un'invenzione della Cancelliera. I Paesi che
hanno una più forte volontà, e l'Italia è tra questi, devono andare avanti nel processo di integrazione. L'Italia
ha le caratteristiche per stare nel gruppo di testa».
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Anche se viviamo questa instabilità politica? Non si sa neppure se Renzi si dimetterà da segretario del Pd.
«Vediamo cosa dirà nella direzione del Pd. Penso che non si possa andare avanti con questo stillicidio di
richieste della minoranza, che una volta vuole il congresso, una volta le primarie, una volta non si sa cosa.
Basta con questo gioco al massacro su Renzi».
Voto subito o nel 2018?
«Credo che prima sia necessario fare la legge elettorale, Non mi rassegno a questa deriva
proporzionalistica».
Senta, ammesso che gli italiani, come dice lei, abbiano apprezzato l'azione di Renzi in Europa, avrete pur
sbagliato qualcosa se il rottamatore rischia di essere rottamato.
«Sì, c'è una grande voglia di restaurazione. Contro questo ritorno all' ancien régime dobbiamo batterci, ma
riflettere anche sugli errori fatti. In particolare, dobbiamo riconnetterci col mondo giovanile».
Enrico Marro
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Foto: Europa
Sandro Gozi
sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega agli Affari europei
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IL BILANCIO
Gli effetti positivi del Jobs act: più posti stabili e più tutele
Maurizio Ferrera
Il Jobs act può essere considerato la «via italiana» verso il modello europeo
di flexicurity , regole flessibili per assunzioni e licenziamenti e tutele robuste in caso di disoccupazione.
Ma in Italia il provvedimento incassa solo critiche.
Eppure, dal punto di vista concreto, il Jobs act ha favorito l'occupazione stabile, con un significativo
aumento dei contratti a tempo indeterminato, estendendo anche gli ammortizzatori sociali a tutti i lavoratori.
a pagina 11
Sul Jobs act è in atto un vero e proprio tiro al piccione. Eccettuati (alcuni) esperti, gli unici a parlarne bene
sono ormai i commentatori stranieri. Dal dibattito politico nazionale solo critiche. In parte si tratta di mosse
tattiche in vista delle scadenze elettorali. Ma questa spirale di rimproveri riflette anche un tratto profondo
della cultura politica nazionale: l'eccesso di aspettative nei confronti delle norme di legge, l'intolleranza dei
limiti che la realtà inevitabilmente impone, il conseguenze disfattismo, secondo cui ci sarebbe voluto «ben
altro» per risolvere i problemi. Una sindrome auto-lesionista, che non ci consente di cogliere i progressi
lenti e graduali, svaluta il pragmatismo e alimenta la sfiducia dei cittadini.
Modello «flexicurity»
Il Jobs act merita invece una discussione seria. Valutarlo non è facile: i suoi effetti si dispiegano lentamente
nel tempo. Per catturarli bisogna avere dati precisi e utilizzare metodi controfattuali: che cosa sarebbe
successo se non fossero cambiate le regole? Prima ancora di procedere su questa strada, è bene però
riflettere sul provvedimento in sé: i suoi obiettivi generali erano in linea con le sfide sul tappeto?
Negli ultimi due decenni, la maggior parte dei Paesi europei ha riorientato le politiche del lavoro verso la
cosiddetta flexicurity , un modello sviluppato dai Paesi nordici e basato su regole flessibili per assunzioni e
licenziamenti e tutele robuste (compresi i servizi) in caso di disoccupazione.
Il Jobs act può essere considerato la «via italiana» verso quel modello. Un percorso di cui si iniziò a parlare
già negli anni Novanta, ma mai seriamente imboccato. Con il risultato che il mercato occupazionale italiano
è diventato uno fra più segmentati della Ue: posti di lavoro permanenti con ammortizzatori molto generosi,
da un lato, e contratti a termine o «atipici» (come i co.co.co.) praticamente privi di protezioni, dall'altro. A
seguito di un'enorme espansione dei secondi, soprattutto per i giovani, il nostro Paese aveva inaugurato un
modello perverso che Stefano Sacchi e Fabio Berton hanno definito flex-insecurity : precarietà senza tutele.
Su questo sfondo, il Jobs act si è posto due obiettivi: ridurre rigidità e dualismi, offrendo più opportunità di
occupazione stabile e al tempo stesso maggiore flessibilità alle imprese; superare la polarizzazione fra
garantiti e non garantiti in termini di protezione sociale. I vari strumenti della riforma potevano essere
disegnati meglio? Certamente, soprattutto col senno di poi. Lo stile comunicativo di Renzi ha alimentato
l'eccesso di aspettative? D'accordo, nessuno è senza colpe. Ma il Jobs act va contato fra le non molte
riforme strutturali che il nostro Paese è riuscito a produrre nell'ultimo venticinquennio, nel tentativo di
avvicinarsi agli standard europei sul piano dell'efficienza e dell'equità.
Le valutazioni
Cosa si può dire degli effetti concreti? Le valutazioni più affidabili segnalano che il Jobs act ha inciso
positivamente sull'occupazione stabile: dopo la sua introduzione vi è stato un significativo aumento dei
contratti a tempo indeterminato, sia rispetto al passato (prima tabella) sia rispetto ad altri Paesi, come
Spagna o Francia (seconda tabella). In base a dati provvisori, sembra che la tendenza sia continuata anche
nel 2016.
I critici sostengono che si sia trattato di un incremento «drogato» dalla decontribuzione, ma trascurano due
aspetti. Tutti i paesi Ue hanno investito grosse somme in sussidi alle nuove assunzioni nell'ultimo triennio.
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Inoltre, all'estero gli oneri sociali sono strutturalmente più bassi. L'esperimento della decontribuzione
conferma che il nostro costo del lavoro è troppo alto e disincentiva le assunzioni. Occorre riflettere su come
redistribuire il finanziamento del welfare fra i vari tipi di reddito.
Il Jobs act ha avuto effetti positivi anche sulla sicurezza economica di chi perde il lavoro. Alla Naspi
possono oggi accedere praticamente tutti i lavoratori dipendenti, compresi gli «atipici» (tabella 3), con
importi e durate fra le più alte in Europa. Rispetto agli altri Paesi, il welfare italiano ha sempre avuto buchi
enormi in questo settore. Nessuno lo sottolinea, mai il Jobs act ci ha fatto fare un salto di qualità in termini
di cittadinanza sociale: le nuove prestazioni sono infatti diritti soggettivi, che non dipendono più da
mediazioni politico-sindacali. La Cassa integrazione è stata finalmente ricondotta alla sua funzione
fisiologica di risposta alle crisi temporanee.
Debolezze storiche
L'aspetto più problematico del Jobs act riguarda le politiche attive. L'attuazione di questa parte della riforma
è in grave ritardo. Qui scontiamo debolezze davvero storiche, che riguardano in generale l'efficienza e la
mentalità della nostra pubblica amministrazione, nonché la frammentazione regionale. Ma il governo
avrebbe potuto fare di più. I servizi per l'impiego sono l'architrave della flexicurity. Su questo aspetto, le
critiche colgono nel segno. Il Jobs act non è riuscito a dispiegare il suo potenziale per incidere non solo
sulle forme, ma anche sui livelli e la qualità dell'occupazione, soprattutto giovanile. Il lavoro dei giovani
resta purtroppo un'emergenza nazionale. Ricordiamo però due cose. L'Italia ha un'incapacità strutturale di
creare posti di lavoro che si porta dietro dagli anni Cinquanta e che è stata esacerbata dalla grande
recessione. Inoltre, i livelli occupazionali dipendono da moltissimi fattori (autonome decisioni delle imprese,
congiuntura, investimenti, capitale umano e così via), solo in parte controllabili per via legislativa.
Dall'estate 2014 alla fine del 2016 gli occupati sono comunque aumentati di circa 700 mila unità (Istat).
Con le luci e le ombre che sempre accompagnano ogni riforma, il Jobs act ha segnato una svolta positiva.
Fermiamo il tiro al piccione e avviamo una pacata discussione su come colmarne le lacune e potenziarne
gli effetti positivi. Elaborando nuove proposte per le tante sfide che esulano dal perimetro di attenzione e di
azione del Jobs act e che richiedono ulteriori e incisivi provvedimenti.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
CALL CENTER. FOTO OLYCOM Disoccupazione e politiche attive Fonte: Eurostat 2016 su dati 2014
C.d.S. Paese % Disoccupati di lungo periodo % Partecipanti a politiche attive (2014) ITALIA Francia
Germania Spagna Danimarca 7,5% 4% 2,5% 12,5% 1,5% 11% 38% 32% 23% 43% Effetti del Jobs act
(2015) C.d.S. Fonte: M. Centra, V. Gualtieri, INAPP su dati SISCO Ministero del Lavoro. Valutazione
controfattuale Tempo indeterminato Nuovi contratti 929.000 959.000 +714.000 1.673.000 anno 2014 2015
(senza Jobs act) Effetto Jobs Act Esclusione da sussidi di disoccupazione C.d.S. Fonte: *R. Quaranta e S.
Sacchi dati Inps (2012-14) **S.Sacchi e G. Santoro dati 2014 Tipo contratto Esclusi preFornero* Esclusi
postFornero* Esclusi dopo il Jobs act** 16,5% T. indeterminato T. determinato Apprendistato
Somministrazione 10% 38% 79% 48% 4,5% 2% 17% 10% 22% 2,8% 1% 10% 6% 11% Tot. dipenden
ccupazione temporanea e transizioni *% sul totale degli occupati **% sul tot. contratti temporanei Paese %
Occupaz. temporanea* (2015) % Transizioni** (da temporaneo a stabile, 2014-15) ITALIA Francia
Germania Spagna Danimarca
Le tappe
Con l'espressione Jobs act si indica la riforma del lavoro attuata dal governo Renzi Il primo provvedimento
legislativo è stato la legge 183 del 2014 con cui è stata data delega al governo su numerose materie Tutte
le deleghe sono state attuate nel corso del 2015. Hanno riguardato, in particolare: riordino degli
ammortizzatori sociali, norme sul licenzia-mento, eliminazione dei contratti a progetto, modifica delle
mansioni, controlli a distanza Il Jobs act ha anche stabilito la nascita dell'Ispettorato nazionale del Lavoro e
dell'Anpal, l'agenzia nazionale per le politiche attive che ha il compito di attuare l'assegno di ricollocazione
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/02/2017 36
Una svolta politica
Cambiamo l'euro per salvarlo
Lucrezia Reichlin
L'Europa - la sua agenda politica e il suo futuro economico - è al centro delle campagne elettorali in corso
nei maggiori Paesi dell'Unione. Sul fronte europeista, Angela Merkel ha parlato di modulo a «più velocità»,
Emmanuel Macron ha insistito sulla necessità di una maggiore integrazione; Matteo Renzi ed altri hanno
dichiarato di volere un'Europa diversa e Paolo Gentiloni ha riconosciuto l'esigenza di accettare diversi gradi
di ambizioni tra i partner.
È evidente che si tratti di una questione centrale per tutti ed è altrettanto evidente che le agende nazionali -
a dispetto della demagogia sulla sovranità - si intreccino con l'agenda sul destino dell'Unione.
Cosa non si afferma con sufficiente chiarezza, però, è che il tema centrale per il futuro dell'Ue è l'euro.
L'indebolimento dei Ventotto - svelato in tutta la sua drammaticità dal voto in Gran Bretagna a favore della
Brexit - è legato alla crisi del debito che ha imbrigliato i Paesi dell'eurozona (quei diciannove, per intenderci,
che hanno adottato la moneta unica) in un lungo periodo di stagnazione economica, mettendo
alle corde il modello di federalismo imperfetto che li governa. Il problema di credibilità e la conseguente
incertezza strategica che vive l'Unione sono il prodotto indiretto di quella crisi.
È vero, la ripresa economica è finalmente arrivata - cresciamo, in media, più degli Stati Uniti -, ma portiamo
i segni profondi di questi anni di crisi.
I costi sociali sono stati enormi, molti degli Stati membri dell'Unione monetaria sono ancora appesantiti dal
debito pubblico e/o da quello privato. Per questo - anche in Paesi con performance migliori delle nostre -
l'euro ha perso popolarità. Tanto più in Italia, eterno malato dell'Unione.
L'euro non si tocca, assicurano Mario Draghi e Angela Merkel, ma la governance della moneta unica così
come è ora - nonostante i progressi fatti negli ultimi anni - non funziona. Una dichiarazione, quindi, non del
tutto credibile.
Durante la crisi abbiamo visto come la vulnerabilità anche di piccoli Paesi abbia reso instabile l'intera
regione e sperimentato l'impossibilità dell'Europa ad agire poiché ogni intervento avrebbe comportato
trasferimenti di risorse da un Paese all'altro, cosa non legittimata da una democrazia politica a livello
europeo. In questi anni la Banca centrale europea - sola istituzione federale con un reale potere di
intervento - ha evitato il peggio e ci ha portato lentamente verso la ripresa. Oggi, quel periodo di instabilità
finanziaria è ben lontano, ma l'euro non è al sicuro. In parte - e forse soprattutto - per la fragilità dell'Italia.
Con il normalizzarsi dell'economia, la politica monetaria della Bce dovrà gradualmente riassorbire lo stimolo
prodotto dall'acquisto sul mercato dei titoli sovrani. L'Italia perderà, quindi, il vantaggio di tassi d'interesse
eccezionalmente bassi e ritornerà sotto pressione. Le prime avvisaglie sono evidenti: il mercato ha
ricominciato a prezzare il maggior rischio del debito italiano. L'Italia potrebbe diventare di nuovo un fattore
di instabilità dell'euro.
Soluzioni tecniche ci sono ma tutte comportano una forma di condivisione del rischio tra Paesi e sono
quindi impossibili senza un salto di democrazia politica europea. È credibile che questo avvenga oggi,
quando una gran parte sempre più agguerrita dell'elettorato europeo chiede esattamente il contrario, più
sovranità nazionale e meno Europa? E se non è possibile, qual è la strategia al di là di interminabili
negoziati tra le capitali dell'Unione e Bruxelles, negoziati che stanno erodendo la credibilità dell'Unione e
che potrebbero comportare incidenti di percorso e una generale crisi di fiducia?
L'Europa non è una prigione ma - potenzialmente - uno straordinario strumento di progresso per i suoi
cittadini e per l'economia globale. Chi oggi pensa questo deve avere il coraggio di affrontare il problema
dell'euro e ammettere la necessità di ripensarne l'architettura non solo economica ma anche politica. Il
successo di Martin Schulz in Germania e di Emmanuel Macron in Francia fa sperare che questa non sia
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solo una posizione velleitaria.
Tuttavia, per l'Italia sarà difficile essere protagonista di un'evoluzione politica del genere. Realisticamente
qualsiasi riforma dell'euro che vada nella direzione di una progressiva integrazione delle politiche di bilancio
dovrà necessariamente comportare trasferimenti a favore del nostro Paese e probabilmente una parziale
mutualizzazione del suo debito. Non solo questo richiederà contropartite, ma ci renderà politicamente
deboli. Tuttavia, lo spazio per far sentire la nostra voce esiste. È legato a due cose. In primo luogo bisogna
chiarire la nostra posizione sulla questione del governo della moneta unica.
Qual è l'alternativa all'impianto di Maastricht a cui vogliamo aspirare? Il generico lamento sull'Europa
dell'austerità è vacuo, inutile, controproducente. In secondo luogo è necessario rendere credibile e chiara la
nostra agenda nazionale. Questo impone gambe politiche per farla avanzare, ma soprattutto stabilire le
priorità e l'orizzonte entro cui realizzarle. Sarebbe bello sentirne parlare in questa stagione pre-elettorale.
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/02/2017 38
intervista con mario monti
«La flessibilità usata male»
Federico Fubini
Le parole di Merkel sull'Europa a più velocità non vanno prese alla lettera. Ma il tema c'è, spiega Mario
Monti, e per l'Italia ci sono due parametri da rispettare: credibilità e affidabilità. a pagina 6
M ario Monti è già passato di qua. Al senatore a vita - già commissario Ue a Bruxelles e premier a Roma -
le tensioni sui rendimenti dei titoli di Stato, e il rischio che l'Italia scivoli in una seconda divisione europea o
subisca procedure sul deficit suonano familiari. Pochi come lui ne conoscono i risvolti.
La Commissione Ue per ora non accelera verso una procedura per deficit eccessivo sull'Italia, ma tiene alta
la pressione. Che ne pensa?
«La Commissione Juncker si è caratterizzata dall'inizio per una gestione più flessibile delle regole sui
bilanci pubblici. Il governo italiano è stato tra quelli che più hanno incoraggiato Juncker in questa direzione.
Con alcuni problemi, tuttavia. Uno per la stessa Italia, che si è avvalsa per ben 19 miliardi della flessibilità
che ha contribuito a promuovere. Siccome il maggiore disavanzo è andato a finanziare spesa corrente e
trasferimenti (i vari bonus) più che investimenti e non ha giovato alla crescita, la politica della "flessibilità"
non raccoglie più molta stima in Europa. In Italia e nelle posizioni degli europarlamentari italiani la si
considera tuttora una "vittoria", ma questo rivela la mentalità antica della politica italiana, secondo la quale
è cosa buona e giusta far gravare le spese di oggi sugli italiani di domani, anche quando non lasciamo loro
maggiori investimenti capaci di fare crescere il Paese».
Vuole dire che la «flessibilità», vista da Bruxelles, somiglia sempre più a un esperimento riuscito male?
«La Commissione è sempre più imbarazzata per l'uso generoso della flessibilità che ha consentito all'Italia
e a qualche altro Paese. Generoso appunto verso i governi, ai quali sono state tolte alcune castagne dal
fuoco, anche se a danno dei loro cittadini in futuro. La sua credibilità come arbitro che vigila sul rispetto
delle regole si è gradualmente erosa. Non può permettersi di andare oltre. Neppure all'Italia gioverebbe una
Commissione che, nel "favorirci" molto, perdesse la propria capacità di esigere da altri Paesi l'osservanza
di regole europee, la cui violazione potrebbe danneggiare proprio il nostro Paese o le sue imprese».
Non dirà che le regole erano perfette e tutto sarebbe andato bene se solo le si fossero rispettate.
«Dico che la linea della flessibilità ad oltranza ha consentito di eludere il nodo urgente di una riforma
sostanziale del policy framework , del modello di politica economica europea, non ha condotto l'Italia a una
maggiore crescita e non ha giovato neppure al consenso verso chi l'ha promossa e cavalcata. Perseverare
sarebbe davvero diabolico. Soprattutto quando si avvicina l'eventualità che la Commissione, per salvare la
sua reputazione, sottoponga l'Italia alla procedura per disavanzo eccessivo. Il nostro Paese, assoggettato a
tale procedura dall'autunno 2009, era riuscito a liberarsene nella primavera 2013. Sarebbe paradossale e -
come ha sottolineato il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan - nocivo per la nostra immagine, per il
credito del Paese, per i tassi di interesse, per il sistema bancario e perfino per il grado di sovranità
economica dell'Italia se, dopo quattro anni in cui il contesto internazionale è stato particolarmente
favorevole, dovessimo ripiombare in una condizione dalla quale eravamo riusciti a sollevarci quando il
contesto era ben più problematico».
La cancelliera Angela Merkel a Malta aveva accennato a un'Europa a «diverse velocità». La sorprende?
«Perfino la Merkel, che è il capo di governo non solo più autorevole ma anche più stabile e che meno lascia
all'improvvisazione, può a volte dire cose che non vanno prese alla lettera né considerate irreversibili.
Comunque, il tema delle diverse velocità c'è. È nel dibattito sul futuro della Ue, così come è da tempo nella
Ue che esiste sul terreno. Non tutti i Paesi fanno parte di Schengen, non tutti hanno l'euro, non tutti sono
membri della Nato».
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/02/2017 39
In Italia quelle parole hanno subito risvegliato lo spettro della «serie B».
«L'Italia deve prendere seriamente queste discussioni e magari cercare di guidarle, come ha ricordato il
presidente del Consiglio Paolo Gentiloni. E dovrebbero, il governo ma anche tutti coloro che hanno
responsabilità pubbliche e private, riflettere sul tema delle «velocità» dell'Europa in modo disgiunto: euro a
due velocità o no; come e quanto libero movimento delle persone; con chi e con quali obiettivi l'Europa
della difesa. E così via. Perché ogni tematica presenta opportunità, vincoli, interessi differenti».
Ma lei pensa che l'esclusione dell'Italia dal nucleo di testa sia realistica?
«Dovrebbero anche e sempre di più interrogarsi sulle "velocità" dell'Europa in modo congiunto. A lungo
andare, la possibilità per un Paese di stare nella Ue in modo corretto e maturo, da protagonista rispettato e
incisivo, dipende dalla sua volontà e capacità di far parte il più possibile della "prima" velocità dei diversi
ambiti, osservando le condizioni richieste. Ma dipende ancor più da alcuni fattori meno misurabili del
disavanzo, del debito, dell'efficienza dei controlli alle frontiere esterne».
Può essere più preciso?
«Dipende da due "parametri" che - forse per fortuna! - non possono essere quantificati. E neppure possono
essere oggetto di esplicite valutazioni qualitative, se non si vuole compromettere una convivenza serena.
Quei due "parametri" sono la "credibilità" e l'"affidabilità". Indicano, in modo impalpabile ma insieme
concreto come una pietra se di un Paese, di un governo, delle imprese, dei cittadini di quel Paese ci si
possa "fidare"». Questo aspetto è essenziale. Richiede consapevolezza delle capacità e delle virtù del
Paese e del popolo al quale si appartiene, così come dei suoi limiti e dei suoi tratti meno virtuosi. Anche per
gestire il rapporto complesso con le istituzioni europee, con l'opinione pubblica europea, che non vota in
Italia ma può influire sul nostro destino come noi influenziamo il loro, occorre questa matura e misurata
consapevolezza».
E dell'Italia ci si può fidare?
«Per risponderle, non trovo parole migliori di quelle con cui Giorgio Napolitano conclude sulla Stamp a di
ieri il suo intervento: "Non sorvoliamo sulle debolezze dell'Italia emerse nel rapporto di decenni con le
istituzioni e con i partner europei: l'instabilità di governo e la vulnerabilità finanziaria determinata
dall'accumularsi e trascinarsi di un pesantissimo debito pubblico. Mostrarsi capaci di liberarsi da queste
debolezze, e non ricadervi ora, è imperativo ineludibile. E a ciò dovrebbe accompagnarsi una nuova fase di
capacità critica e propositiva dell'Italia per l'Europa, piuttosto che perderci nella denuncia dei pregiudizi nei
nostri confronti o in brusche polemiche particolaristiche verso Bruxelles"».
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Debito e spread 100 120 140 160 180 200 Agosto Settembre Ottobre Novembre Dicembre Gennaio
Febbraio Venerdì 10 febbraio 193 punti 2 0 1 6 2 0 1 7 IL RAPPORTO DEBITO / PIL Previsioni del
governo, valori espressi in % L'ANDAMENTO DELLO SPREAD NEGLI ULTIMI MESI 132,8 132,5 130,1
126,6 2016 2017 2018 2019 120 125 130 135 CdS
Foto: L'ex presidente del Consiglio Mario Monti Procedura Come ha detto il ministro Pier Carlo Padoan,
una procedura per disavanzo eccessivo sarebbe nociva per il nostro Paese Due velocità Perfino la Merkel,
che è
il capo di governo più autorevole, può a volte dire cose che non vanno prese alla lettera
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/02/2017 40
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Piano Alitalia, tre tariffe per i biglietti Stretta sui leasing per gli aerei
Verso un modello ibrido stile Aer Lingus: low cost, ma servizi a pagamento Il progetto al governo entro dieci giorni. Gli sprechi nell'assistenza alla clientela Fabio Savelli
Il modello di riferimento sarebbe quello dell'irlandese Aer Lingus. Tre tariffe. Quella che potremmo definire
«basic» ad un prezzo «nudo». Si paga soltanto il costo della tratta. Il carburante, i diritti di volo sugli scali, le
tasse applicate al biglietto e un modestissimo margine per la compagnia. L'intermedia, con una serie di
servizi correlati, definiti in gergo «ancillary», a pagamento: il sedile più confortevole, il bagaglio extra nella
stiva, la corsia preferenziale per i controlli di polizia (il fast-track), l'ingresso nelle lounge degli aeroporti, la
vendita di prodotti a bordo. Da qui il management spera di ricavare 150 milioni di euro all'anno,
raddoppiando i ricavi da ancillary dagli attuali 6 euro per passeggero. La tariffa «tutto incluso». Seduti in
classe business. Corsia preferenziale per salire sull'aereo.
Nel piano industriale che entro una decina di giorni Alitalia presenterà agli azionisti, al governo e ai
sindacati c'è una rivisitazione delle tariffe attraverso un modello «ibrido», che nei fatti implica uno
sdoppiamento della compagnia tra un segmento low cost e un altro premium. Poi il fronte dei costi. Per
comprendere che non è solo la spesa per il personale il tema decisivo nel rilancio di Alitalia conviene partire
da un dato. La compagnia presenta dei costi industriali per quasi 3,6 miliardi di euro all'anno (dati di
bilancio 2015). La spesa per i 12 mila dipendenti è di 593 milioni (anno 2015). Calcola l'esperto di trasporti
Ugo Arrigo sia assolutamente in linea con le altre compagnie tradizionali, solo al di sopra di Ryanair ed
Easyjet, che non hanno personale di terra perché i servizi sono esternalizzati alle società di gestione
aeroportuale, con i quali la dialettica è molto serrata sulle tariffe per gli scali. Ryanair ha un contratto del
lavoro di diritto irlandese destinato al personale navigante. Un contratto sotto osservazione da parte
dell'Agenzia delle Entrate sul fronte fiscale. Indagine che non ha portato alcunché. Ecco perché Cramer
Ball, con la consulenza di Roland Berger, sa di dover incidere maggiormente su un'altra voce inserita a
bilancio: «Costi per servizi comperati da terzi». Che ha inciso nel 2015 per due miliardi di euro. Un salasso.
Perché i 419 milioni di euro perdite riportate nell'ultimo bilancio denotano che qui si annidano gli sprechi. In
primis il costo per il leasing degli aerei. Le «locazioni operative per la flotta» sono costate ad Alitalia nel
2015 circa 388 milioni di euro. A cui vanno aggiunti 171 milioni di euro per non ben identificati «noleggi
passivi». Solo per questi contratti di fornitura, alcuni stipulati anni fa, Ball spera di risparmiare a regime 250
milioni. Il costo di ammortamento per gli aerei di proprietà, invece, non è così elevato: 73 milioni di euro.
D'altronde Alitalia ha una flotta di 120 velivoli. Pochi, appena 27, sono quelli per i viaggi intercontinentali.
«Le compagnie che possono permetterselo gli aerei li comprano - spiega Arrigo -. E anche in grandi
quantità, in modo da risparmiare di quasi la metà sul prezzo di listino». Un esempio? Ryanair ha oltre il
90% di aerei di proprietà. Cifra che sta man mano salendo comportando la progressiva eliminazione dei
contratti di leasing.
Interessante anche il dato relativo ai costi di vendita e post-vendita sui biglietti. Alitalia spende tra
provvigioni, pubblicità, servizi di prenotazione e assistenza alla clientela oltre 216 milioni di euro all'anno.
Ventinove milioni soltanto per le provvigioni.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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Foto: In alto il presidente
di Alitalia Luca Montezemolo
e il ceo
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/02/2017 42
Lo scenario
«Made in Italy», governo al lavoro Un marchio unico contro i falsi
Salumi e formaggi, l'industria alle prese con la rivoluzione salutista Dario Di Vico
MILANO Un brand unico del made in Italy da apporre sulla confezione dei prodotti alimentari nazionali per
combattere la contraffazione. Il progetto è in fase di studio (avanzato) tra i ministeri interessati e il
Poligrafico dello Stato, inizierà dal food, potrebbe anche essere esteso ad altri settori e nelle intenzioni dei
promotori serve ad attestare che «l'ultima trasformazione sostanziale» del prodotto è avvenuta in Italia. Il
marchio è solo una delle iniziative sulle quali si poggiano le speranze dell'industria alimentare di far fronte a
una fase del tutto nuova nella quale non basta combattere all'estero l' italian sounding e tentare di
aumentare l'export ma si deve anche rispondere ai profondi mutamenti dei gusti e delle aspettative del
consumatore. Non stiamo parlando di un trend solo italiano, anzi come attesta il dimezzamento degli utili
Coca-Cola annunciato proprio in questi giorni la «rivoluzione salutista» promette di riscrivere le gerarchie
interne al settore colpendo innanzitutto i prodotti accusati di generare l'obesità o malattie ancora peggiori.
Di questi temi si è discusso in questi giorni grazie ad Apertamente , un'iniziativa voluta dal presidente della
Federalimentare Luigi Scordamaglia, che ha organizzato un tour per la stampa in alcune aziende del Nord
che hanno accettato di aprire le fabbriche e i reparti di produzione. Dalla Ibis Salumi di Busseto al
Caseificio Mauri di Lecco, dalle distillerie Branca di Milano al birrificio Poretti/Carlsberg di Varese. In
comune le aziende visitate hanno di appartenere al novero delle eccellenze italiane e al tempo stesso di
interpretare il «made in Italy» non come una rendita di posizione ma come una continua ricerca della
qualità e dell'innovazione.
Del resto un po' tutta l'industria italiana, seppur partita con qualche ritardo, sta facendo i conti con
l'evoluzione dei consumatori. Si sta tagliando fino al 30% di sale nei formaggi (stracchino, taleggio e
gorgonzola), si modificano ricette per ridurre i grassi addirittura nei salami, si sostituiscono i conservanti
chimici con quelli di origine vegetale così come si taglia il glutine. Nel caso di Guido Barilla si è arrivati a
sostenere che bisogna «mangiare di meno, mangiare meglio e mangiare tutti». Dopo le contraddizioni
esibite sulla complessa vicenda dell'olio di palma l'industria italiana quindi pare aver capito: la sfida diventa
eliminare gli ingredienti contestati senza alterare il gusto e senza perdere il primato della qualità italiana. In
qualche caso si tratta di un rompicapo (il prosciutto crudo ha bisogno del sale per la conservazione), in altri
tutto sommato i primi passi autorizzano più di qualche speranza, anche se occorre essere consapevoli che
alla fine di questo match sul terreno resteranno morti e feriti. Non ultimo, bisognerà avere la capacità di
comunicare tutto ciò al web che chiede con veemenza una tracciabilità pressoché assoluta. È una partita
che si aggiunge a quelle già in agenda per il food italiano che esporta meno della Germania e vede le sue
varie componenti (dalla Coldiretti all'industria, dal sistema fieristico alla ristorazione per finire agli chef)
agire in maniera non coordinata e in vari casi in conflitto tra loro .
@dariodivico
© RIPRODUZIONE RISERVATA
L'industria alimentare Fonte: Federalimentare Corriere della Sera 2° settore manifatturiero del Paese 132
miliardi fatturato nel 2015 230 miliardi consumi alimentari 16 miliardi di sola Iva +6,7 Export +1,4 Import
+22,9 Bilancia commerciale +0,0 Totale consumi alimentari -0,6 Produzione 1.800 laureati assunti all'anno
7% Amministrazione e finanza 9% Logistica 19% Commerciale 22% Qualità e sicurezza 43% Produzione
12% fatturato prodotto dal settore manifatturiero italiano 385 mila posti di lavoro L'industria alimentare
italiana (in %, dati 2015) Le nuove professioni più richieste Nutrizionisti Analisti del gusto Manager della
sostenibilità Affinatori +0,0 Fatturato
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12/02/2017
Pag. 31
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/02/2017 43
Foto: Da sinistra
il ceo di Coca-Cola Muhtar Kent, Guido Barilla e Luigi Scordamaglia
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/02/2017 44
11/02/2017
Pag. 43
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Il presidente della Bundesbank
L'attacco di Weidmann «deluso» dalle promesse italiane
Danilo Taino
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
BERLINO Inaspettatamente duro dal punto di vista politico, difficile da contestare nel merito. Ieri, il
presidente della Bundesbank Jens Weidmann ha parlato di Italia. E non è stato leggero. Era ad Amburgo,
nella sede locale della banca centrale tedesca, per porgere il saluto a un alto funzionario dell'istituzione che
in passato fu distaccato a Roma, presso l'ambasciata della Germania, Arno Bäcker. Ne ha approfittato per
dire qualcosa sull'economia italiana: «Aspettative deluse». «In un rapporto dell'ambasciata del 2000 - ha
detto Weidmann rivolgendosi a Bäcker - lei si chiedeva se il ritmo delle riforme nel Paese sarebbe stato
sufficiente per riguadagnare il terreno perduto nella competitività internazionale e per affrontare le sfide
economiche del futuro. Il fatto che ancora oggi discutiamo della bassa dinamica di crescita dell'Italia è la
risposta alla sua domanda». L'analisi del presidente della Bundesbank è quella difficilmente contestabile
che fa ogni economista. Dai primi anni Duemila, «i deficit di bilancio italiani hanno ricominciato a salire e
sono rimasti a lungo sopra la soglia del 3%». E l'indebitamento «ha addirittura superato nettamente la
soglia del 130% del Pil, dove si trova da anni». Mentre avrebbe dovuto tendere al 60%. Le quasi inesistenti
riforme economiche, la mancata riduzione della spesa pubblica anche con tassi d'interesse bassi, la poca
stabilità politica hanno spinto il Paese in una situazione nella quale non avrebbe dovuto essere, sapendo
che l'adesione all'euro alla fine del secolo scorso avrebbe obbligato a diventare efficienti e a migliorare i
conti pubblici. E' difficile sostenere che l'analisi di Weidmann non sia fondata, per quanto spiacevole da
sentire. C'è da domandarsi perché abbia voluto, in questo momento, usare il saluto a un funzionario della
Bundesbank per dare un calcio, quasi a freddo, negli stinchi all'Italia. Fondamentalmente perché la
situazione italiana preoccupa non solo la Bundesbank ma un po' tutti nella politica e sui mercati. Il rinvio
continuo delle riforme economiche allibisce. In termini un po' brutali, e in forma molto tedesca, Weidmann
ha voluto sottolinearlo.
@danilotaino
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Chi è
Jens Weidmann, 48 anni, presidente della Bundesbank
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/02/2017 45
11/02/2017
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Il ministro Intervista
Poletti: il malessere giovanile è un problema serio, ma sui voucher non
ho colpe
L'ipotesi decreto Non escludo un decreto sui voucher, ma cerchiamo un'intesa con il Parlamento Enrico Marro
ROMA Ministro, il governo non ha ancora fissato la data dei referendum su voucher e appalti? Paura del
voto?
«Assolutamente no - risponde il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti -, la data sarà fissata. Ma chiariamo
una cosa. I voucher non c'entrano niente con il Jobs act e con Poletti. Da quando i buoni lavoro furono
istituiti, nel 2003, tutti i governi ne hanno ampliato l'utilizzabilità. Noi invece lavoriamo per tenerli sotto
controllo. Abbiamo vietato i voucher negli appalti e introdotto il monitoraggio dei buoni, e prepariamo nuove
misure per circoscriverli al lavoro occasionale, come era in origine».
Con un decreto legge?
«Non lo escludo. Cerchiamo però un'intesa col Parlamento che sta esaminando varie proposte di legge.
Decideremo insieme quale è lo strumento legislativo migliore. Per il governo una cosa è chiara: si potrà
continuare a usare i voucher solo per attività realmente occasionali e mai per sostituire contratti di lavoro».
Ne parlerà con i sindacati il 21 febbraio?
«Ho convocato i segretari generali di Cgil, Cisl e Uil per aprire la discussione sulla fase due della riforma
previdenziale e ad affrontare i temi delle pensioni dei giovani lavoratori, in particolare quelli con carriere
discontinue».
Ma ci sarà tempo per la fase due? Lei è favorevole a votare subito o alla scadenza naturale, nel 2018?
«Penso che il Parlamento dovrebbe approvare una legge elettorale che favorisca la governabilità, come
richiesto anche dalla Consulta, e subito dopo sia meglio andare al voto. Peraltro, la legislatura va verso la
sua conclusione».
Non a giugno, se prima ci vuole la legge elettorale.
«Dipende dalle forze politiche e dal Parlamento».
Ministro, la questione giovanile riguarda molto da vicino il suo dicastero. C'è il rischio di pensioni
insufficienti domani mentre oggi i giovani faticano a trovare un lavoro, soprattutto stabile. Che cos'è che
non funziona?
«Il problema è molto serio. I giovani sono stati colpiti duramente dalla crisi economica, dal blocco del turn
over nel pubblico impiego, dalla riforma Fornero che ha alzato l'età per la pensione. Per invertire la
tendenza c'è bisogno di crescita dell'economia e di introdurre la flessibilità in uscita sulle pensioni, come il
governo sta facendo, e di favorire l'alternanza scuola lavoro. Qui abbiamo ottenuto un buon risultato: ci
sono già 600 mila ragazzi coinvolti e in tre anni saranno un milione e mezzo gli studenti che faranno
un'esperienza lavorativa».
Che effetto le ha fatto leggere la lettera del giovane di Udine che si è suicidato e ha tirato in ballo anche lei
per il fatto di non aver mai trovato un lavoro stabile, e forse per quella frase infelice sui giovani italiani
all'estero?
«Quella di Michele è una vicenda molto dolorosa. Davanti a un gesto drammatico come questo tutti
dobbiamo interrogarci. Credo sia fondamentale evitare che giovani come Michele restino e si sentano soli.
Anche il ministro del Lavoro sente una responsabilità in più perché crescano le opportunità di impegno e di
lavoro per i nostri giovani».
Torniamo alle pensioni. A maggio partirà l'Ape, l'anticipo pensionistico. Ci sono spinte per ampliare la
platea dell'Ape agevolata, includendovi per esempio gli invalidi civili col 60% di invalidità anziché il 74%.
Sarà possibile?
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/02/2017 46
11/02/2017
Pag. 43
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«Noi dobbiamo applicare la legge con un decreto che sarà emanato entro i primi di marzo. Le categorie
ammesse all'Ape agevolata sono definite dalla legge, così come la percentuale per l'invalidità civile. Non
possiamo modificare queste cose con un provvedimento applicativo. Le soluzioni che abbiamo trovato,
d'intesa coi sindacati, sono un punto di equilibrio tra equità, flessibilità e vincoli di bilancio».
Un gruppo di lavoratori precoci, che per andare in pensione devono raggiungere 41 anni di contributi, le ha
scritto chiedendole perché invece il governo ha stanziato 650 milioni per mandare in pensione con 7 anni di
anticipo i bancari.
«Il governo ha cercato di fare un'operazione larga, inclusiva. C'è l'Ape, ma anche l'uscita anticipata per i
precoci, la 14esima, la no tax area, il cumulo gratuito. Il tutto cercando di non mettere determinate categorie
di lavoratori contro altre. Peraltro, la spesa per i dipendenti delle banche è spalmata su cinque anni».
Il reddito d'inclusione per contrastare la povertà, annunciato due anni fa, non si sa ancora quando partirà.
«Mi auguro che il Senato approvi presto la legge delega. Subito dopo avremo i decreti attuativi. Che però
dovranno andare anche questi in Parlamento per i previsti pareri. Per ora andiamo avanti con il Sia, il
sostegno all'inclusione attiva. Quest'anno abbiamo a disposizione 1,6 miliardi di euro. Potremo raggiungere
430mila famiglie con minori per un totale di circa 1,7 milioni di persone che poi continueranno col reddito
d'inclusione».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Fonte: INPS - elaborazione al 10 Gennaio 2016 Così cambia il lavoro L'esplosione dei voucher Variazione
tendenziale dei rapporti di lavoro attivati 68.518.986 108.049.073 133.827.843 2014 2015 2106 -400.000 -
200.000 200.000 400.000 600.000 800.000 0 gen feb mar apr mag giu lug ago set ott nov dic gen feb mar
apr mag giu lug ago set nov ott 2015 2016 Tempo indeterminato Tempo determinato Totale 0 30.000
60.000 90.000 120.000 150.000 40,1% disoccupazione giovanile a dicembre 2016
La vicenda
Dopo la pronuncia
della Corte Costituzionale il dibattito si sta concentrando
sui due quesiti referendari
che hanno ottenuto il via libera della Consulta: la cancellazione dei voucher
e la reintroduzione della piena responsabilità solidale in tema di appalti I cittadini, secondo l'attuale legge
sui referendum, saranno chiamati alle urne in una domenica
tra il 15 aprile
e il 15 giugno prossimi.
Salvo eventuali elezioni anticipate che congelereb-bero di un anno la consultazione popolare Il governo non
ha ancora scelto una data. È allo studio un decreto legge sui voucher, ma l'esecutivo sta cercando un
accordo con il Parlamento
Chi è
Giuliano Poletti, 65 anni, ministro
del Lavoro
e delle Politiche sociali Ha ricoperto il ruolo di presidente della Lega
delle cooperative
1
Foto: I voucher lavoro servono a retribuire il cosiddetto lavoro accessorio, quello cioè che non è
riconducibile a un contratto. Si tratta di buoni da 10 euro ciascuno per un'ora di lavoro. Di questi, 7,5
entrano nelle tasche del lavoratore e il resto serve a pagare i contributi. Per evitare abusi il governo ha
introdotto la tracciabilità dei voucher. Ma la Cgil ne chiede l'abolizione con un referendum.
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/02/2017 47
11/02/2017
Pag. 43
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Foto: L'alternanza scuola-lavoro è pratica consolidata negli istituti tecnici e professionali. Nei licei invece è
stata introdotta dal 2013 con la legge del governo Renzi sulla Buona scuola. I vari istituti stanno mettendo a
punto i percorsi che per tutti prevedono 200 ore nell'ultimo triennio e, alla fine dei progetti, la valutazione di
un tutor. Il governo punta a 1,5 milioni di ragazzi coinvolti in tre anni.
3
Foto: Il reddito di inclusione proposto dal governo andrebbe a supporto delle famiglie più in difficoltà e
sarebbe collegato a un percorso di inserimento sociale e lavorativo. Nell'attesa che il parlamento approvi la
legge delega, si continua con il Sia, il sostegno all'inclusione attiva. Quest'anno a disposizione 1,6 miliardi
di euro per aiutare 430 mila famiglie pari a 1,7 milioni di persone.
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/02/2017 48
11/02/2017
Pag. 47
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Sussurri & Grida
Saint Nazaire, le elezioni in Francia non aiutano Fincantieri
( f. sav. ) La trattativa si sarebbe incartata. Il governo francese si starebbe mettendo di traverso
nell'acquisizione del controllo dei cantieri di Saint-Nazaire da parte di Fincantieri. Il gruppo guidato da
Giuseppe Bono ha ottenuto il via libera da parte del tribunale di Seul che ha ritenuto congrua la sua offerta
per il 66,67% di STX France, la holding di controllo dei cantieri della Loira finiti in pegno per la fallimento di
una società sudcoreana. Peccato che ora il governo francese, a pochi mesi dalle elezioni politiche, sembra
non voglia cedere. Appellandosi a una legge che permette di conservare il controllo se un'azienda è
ritenuta strategica. Fonti Fincantieri confermano che la trattativa sulla governance è molto serrata.
Sorprende però questo ostracismo. I coreani avevano il controllo di Saint-Nazaire e nessuno aveva storto il
naso .
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Dimissioni in Daimler
( b.car. ) Il gruppo tedesco Daimler ha comunicato che il capo della divisione Daimler Trucks e Buses,
Wolfgang Bernhard (foto), si è dimesso dal cda un anno prima della scadenza del contratto. La sua carica
verrà temporaneamente presa dal ceo Dieter Zetsche. La strada si fa scorrevole per Ola Källenius, svedese
di 47 anni, attuale membro del cda di Daimler AG (dove dovrebbe rimanere sino al 2022), che potrebbe
diventare il prossimo ceo quando Zetsche lascerà il suo incarico, nel 2019. Le ragioni della risoluzione del
rapporto potrebbero essere ricercate proprio nel prolungamento del contratto di Zetsche. Bernhard (57
anni) era considerato il suo erede ma non ha forse gradito l'allungamento dell'attesa .
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Patto della fabbrica avanti piano
( ri.que. ) Continua il confronto per il «patto della fabbrica» tra Confindustria e sindacati. Viale
dell'Astronomia ha le idee chiare: primo pilastro dell'accordo non può che essere un contratto ad hoc per i
servizi 4.0. Poi va accelerata l'attuazione dell'accordo del gennaio 2014 sulla rappresentanza. Ora tocca
all'Inps mettere assieme i dati .
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Ookla premia la rete Tim
( f.d.r. ) L a corsa alla banda ultralarga ha già un primo vincitore. Ookla, la società internazionale a cui è
affidata la misurazione della velocità di trasmissione, ha eletto quella di Tim la rete con standard 4G più
efficiente d'Italia. Dalle rilevazioni effettuate a dicembre, sulla base dei testi effettuati dagli utenti, è risultata
quella con la maggior velocità in download (38,3 mega al secondo) e di latenza (35 millisecondi). Il timbro di
Ookla sigilla anche il sorpasso su Vodafone, che era stata in testa alla classifica ad ottobre e novembre,
sempre seguita a breve distanza da Tim .
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Assolombarda, saggi in campo
( ri.que. ) S ono l'ad di Accenture Fabio Benasso, il senior advisor Pirelli Antonio Calabrò e Massimo
Giovanardi, ceo dell'azienda omonima, i saggi che porteranno il 12 aprile alla designazione del presidente
di Assolombarda. Pronti a candidarsi Andrea Dell'Orto e Carlo Bonomi.
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/02/2017 49
13/02/2017
Pag. 1 N.6 - 13 febbraio 2017
Classifiche Holding e family office europei
Dinastie Ferrero, Garrone, Prada nel club dei signori da mille miliardi
daniela polizzi
Sul podio c'è sempre Leonardo Del Vecchio, con un patrimonio stimato in 20 miliardi. Ma al suo fianco
spuntano anche Giorgio Armani, i Benetton, i Barilla, i Perfetti e i De Agostini. Ecco la mappa europea delle
holding e dei family office . I patrimoni delle grandi famiglie valgono almeno mille miliardi, metà del nostro
Pil.
A pagina 5
M ille miliardi. Quanto vale la metà del Pil italiano, l'intera economia europea del cloud, oppure il fardello dei
non performing loan che grava sulle banche dell'Ue. È il tesoretto custodito nelle casseforti di circa 5mila
famiglie in Europa, in larga parte dinastie dell'industria e della finanza, spesso arrivate alla terza e quarta
generazione. Sfugge a radiografie e classifiche perché in buona parte è investito in asset non quotati gestiti
dai family office in tutta Europa. Tra questi sul podio in Italia c'è la famiglia di Leonardo Del Vecchio,
accreditata di un portafoglio del valore di circa 20 miliardi, tra le quote nella Luxottica, nelle Generali e nelle
attività immobiliari di Foncière des Régions quotate a Parigi. Poco sotto ci sono le famiglie del lusso
Bertelli-Prada e Armani (fino a 15 miliardi). Terzi in classifica compaiono i Ferrero che tra le attività mondiali
nel cioccolato e gli investimenti di famiglia conterebbero su un patrimonio di circa 8 miliardi, in base alle
informazioni emerse quando il gruppo di Alba lanciò l'offerta pubblica per comprare a Londra i cioccolatini
della Thorntons. In Lussemburgo hanno una struttura con tre family office che fanno capo a ciascuno dei
rami familiari eredi del capostipite Michele. I valori non sono distanti da quelli della dinastia dei Benetton, tra
le quote in Atlantia, Autogrill, gli investimenti finanziari e la liquidità. Ma anche da quelli della famiglia
Perfetti che in 70 anni di storia ha costruito il gruppo dolciario tra i più grandi del Continente.
Ecco la mappa elaborata da Corriere Economia su dati di mercato dalla quale emerge anche la grande
ricchezza degli omologhi europei. Con qualche sorpresa. In Austria, c'è una grande concentrazione di
liquidità. Tra i patrimoni più grandi c'è quello di Dietrich Mateschitz, l'imprenditore che ha fondato la Red
Bull, accreditato di una fortuna pari a 9.9 miliardi di euro. In Francia molti dei re di denari sono concentrati
sul lusso. Il più ricco di tutti è François Pinault con la sua Kering (Gucci, Bottega Veneta, Saint Laurent), le
cui attività sono valutate 13,5 miliardi.
Il tratto comune è un processo di trasformazione profonda innescato dai tassi bassi e quindi dai rendimenti.
Come dire che, se fino a qualche anno fa si potevano attendere ritorni lordi anche superiori al 10%
investendo la liquidità senza troppi rischi, oggi le cose sono cambiate.
Caccia ai rendimenti
«In buona sostanza, gli scrigni di famiglia si devono dare da fare e andare a caccia di rendimenti. Ma
questo significa assumersi più rischi, investendo in asset alternativi. Da qui l'ingaggio nei family office della
figura del risk manager», spiega Georg Stillhart che segue gli investimenti delle dinastie in Credit Suisse.
Un dato per tutti: i più aggressivi si considerano fortunati se ottengono un rendimento lordo tra il 6 e il 7%.
Mentre quelli che puntano a preservare il capitale riescono a coprire l'inflazione.
Il punto d'arrivo sono le società, nella maggior parte dei casi quotate, del Nord dell'Europa. Qui le holding
hanno da tempo abdicato al ruolo di mera cassaforte che custodisce le quote delle attività industriali avviate
anche vari secoli fa, per assumere un profilo da investitore istituzionale. Più assimilabile a quello dei
sovereign fund, di grandi fondi pensione o dei private equity. Hanno una governance che esprime manager
esterni e assegna ai membri della famiglia il ruolo di beneficiari di cedole e che quindi sorvegliano
soprattutto i redimenti. Hanno imboccato questa strada i Benetton dando una nuova governance a Edizione
affidando a Fabio Cerchiai la presidenza e a Marco Patuano la guida operativa.
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Pag. 1 N.6 - 13 febbraio 2017
Cambiano pelle
«Acquisizioni e mercato dei capitali sono i principali strumenti a disposizione di queste holding per
l'internazionalizzazione. Negli ultimi anni UniCredit ha già sostenuto famiglie, non solo italiane, in importanti
deal di sviluppo sottoscrivendo anche operazioni di financing», sostiene Davide Mereghetti, già senior
banker di UniCredit e ora alla guida del Global Family Office, parte della divisione Corporate e Investment
Banking che da gennaio è operativa a supporto delle grandi dinastie imprenditoriali in Italia e all'estero. La
squadra include anche Roberto Biraghi e Giaime Cardi, recente assunzione da Credit Suisse.
Vale per tutti quanto ha fatto Leonardo Del Vecchio che ha aggregato la sua Luxottica alla francese
Essilor, rafforzando la posizione di campione mondiale nella produzione di occhiali e assicurando continuità
all'azienda. Una strada peraltro già battuta dai De Agostini che hanno allestito la maxi acquisizione della
società Usa di giochi Igt proiettando Lottomatica sui mercati globali, tanto che oggi le attività tradizionali nei
media rappresentano solo il 17% del gross asset value. Ma ci sono altri cambiamenti in corso nelle strutture
delle casseforti. E non solo dettate dalla battaglia per sconfiggere i tassi bassi.
«Negli ultimi mesi abbiamo visto molti family office e holding spostare le strutture da Londra e Zurigo al
Lussemburgo, già hub europeo dove si concentreranno gli interessi delle grandi dinastie internazionali. La
Brexit è stata un acceleratore di questa migrazione», conclude Mereghetti.
Alla terza e alla quarta generazione delle dinastie è richiesto più impegno, e più idee, per far fruttare il
patrimonio. Nel Regno Unito, i Barclay e gli Schroder hanno infatti in portafoglio alberghi e media. E sono
ormai molto lontani dalle banche che hanno fatto ricchi i nonni.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
RE DI DENARI Le partecipazioni quotate delle famiglie in Europa Include le partecipazioni quotate e non.
Dati in miliardi di euro LE CASSEFORTI IN ITALIA... 300 FAMIGLIE Quota posseduta Valore in milioni di
euro Luxottica Generali Tenaris Prada Exor Atlantia Autogrill Mediobanca Salvatore Ferragamo Recordati
Campari Brembo Buzzi De Longhi Mediaset Mediolanum I.m.a. Diasorin Tod's Moncler Sias Astm Amplifon
66,5% 0,9% 60,5% 80% 54,9% 30,3% 50,1% 2,2% 66,9% 51,3% 51% 56,5% 56,7% 62% 38,3% 29,6%
57,3% 44,1% 60,7% 26,8% 69,7% 59,1% 50,3% 15.924 209 11.482 7.702 5.703 5.369 1.046 144 2.955
2.881 2.804 2.289 2.141 2.114 1.722 1.551 1.463 1.386 1.308 1.190 1.180 613 1.111 SAN FAUSTIN-
ROCCA BERTELLI GIOVANNI AGNELLI E C. SAPA FERRAGAMO FIN.-FERRAGAMO FIMEI FIN. IND.
MOB. IMM. RECORDATI ALICROS-GARAVOGLIA NUOVA FOUR-BOMBASSEI FIMEDI-BUZZI THE
LONG TRUST-DE LONGHI SILVIO BERLUSCONI ENNIO DORIS SO.FI.MA.-VACCHI FINDE-DE NEGRI
DELLA VALLE FAMILY RUFFINI PARTEC.-REMO RUFFINI AMPLITER-FORMIGGINI ... E ALL'ESTERO
Red Bull Billa L'occitane en Provence 9.900 3.818 1.409 DIETRICH MATESCHITZ KARL WLASCHEK
REINOLD GEIGER AUSTRIA 500 FAMIGLIE Merck Finck, Allianz, Hochtief, Löwenbräu, Mövenpick 7.000
AUGUST VON FINCK, JR. Aldi Süd 19.364 BEATE HEISTER & KARL ALBRECHT JR. Phoenix
Pharmahandel, Ratiopharm, Heidelbergcement LUDWIG MERCKLE 4.091 Jab Holding Company, Reckitt
Benckiser WOLFGANG REIMANN 3.636 GERMANIA 1.300 FAMIGLIE Boehringer Mannheim, Otto Group
3.364 16.455 TRAUDL ENGELHORN MICHAEL OTTO Finanza e alberghi 3.182 DAVID AND FREDERICK
BARCLAY Partecipazioni finanziarie, banche BRUNO SCHRODER 4.450 GRAN BRETAGNA 1.000
FAMIGLIE Graff Diamonds Private equity 4.364 9.634 LAURENCE GRAFF DAVID AND SIMON REUBEN
Kering Chanel Lactalis-Parmalat Adecco Bouygues Gruppo Decathlon Hermès Dassault 13.545 8.636
6.455 2.455 3.273 2.364 1.818 13.909 FRANÇOIS PINAULT GERARD WERTHEIMER EMMANUEL
BESNIER PHILIPPE FORIEL-DESTEZET MARTIN ET OLIVIER BOUYGUES MICHEL LECLERCQ
NICOLAS PUECH SERGE DASSAULT FRANCIA 400 FAMIGLIE Inditex Mercadona Ferrovial 58.636
4.909 2.000 AMANCIO ORTEGA JUAN ROIG RAFAEL DEL PINO SPAGNA 200 FAMIGLIE Il valore dei
patrimoni DELFIN-DEL VECCHIO EDIZIONE-BENETTON AURELIA-GAVIO Valore in milioni di euro
Valore in milioni di euro FERRERO 8 BENETTON 8,4 DEL VECCHIO 20 BARILLA 5 BERTELLI PRADA
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/02/2017 51
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10/15 ARMANI 12/15 GARRONE 5 DE AGOSTINI 5 s.F. Fonte: elaborazione Corriere Economia su dati di
mercato
Foto: Leadership Giovanni Ferrero
Foto: Timone Giovanni Ferrero guida il gruppo di Alba Petrolio e rinnovabili Edoardo Garrone (Erg) Made in
Italy L'imprenditrice Miuccia Prada
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/02/2017 52
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Poteri Dopo la lettera con cui ha chiesto anche alla Banca centrale di essere «American First»
La prossima guerra di Trump
La Fed è la sola istituzione non controllata dai repubblicani Yellen scade tra un anno. Ma adesso Donald dovrà fare tre nomine... FEDERICO FUBINI
A quanto sembra Donald Trump, durante una delle sue notti insonni nella Casa Bianca, di recente, ha
telefonato al suo consigliere per la sicurezza nazionale Michael Flynn. Erano le tre, secondo le
indiscrezioni. Il presidente telefonava per confessare che si sentiva «confuso riguardo al dollaro», e aveva
una domanda: «Una moneta forte è positiva per l'economia americana? Oppure è meglio una moneta
debole?».
L'indiscrezione viene da S. V. Date e da Christina Wilkie dello Huffington Post, edizione degli Stati Uniti, e
nessuno l'ha mai smentita. Flynn avrebbe risposto al suo presidente ammettendo con onestà di non avere
la risposta giusta ai suoi dubbi. «Forse dovrebbe chiedere a un economista», avrebbe detto al presidente.
In ogni caso, a conferma di quanto profondamente avverta il suo dilemma, Trump stesso ha poi riferito
l'aneddoto a un numero abbastanza ampio di interlocutori da permettere l'ennesima fuga di notizie in uscita
dalla sua Casa Bianca.
Quel che il presidente non ha confessato, è che forse la domanda non aveva risposta perché era quella
sbagliata: Trump prima di tutto avrebbe dovuto chiedere se lui e la sua amministrazione controllano
realmente tutto il potere che credono di avere sul dollaro. Se poi non fosse così, se il presidente in realtà
avesse davvero un'influenza limitata, allora Trump avrebbe dovuto cercare di informarsi su chi altri conti per
la posizione del biglietto verde. Chi altri, naturalmente, oltre ai milioni di persone che ogni giorno vendono e
comprano valuta statunitense ogni giorno in tutto il mondo.
Contropotere
La risposta di qualunque consigliere politico sarebbe stata di quelle che a Trump non fanno piacere: l'altra
forza istituzionale dietro il dollaro è situata nel solo organismo di governo federale che il partito del
presidente non controlla. Si tratta della Federal Reserve, naturalmente. Ma non solo perché la banca
centrale americana è indipendente in base alla legge.
Dal punto di vista del presidente, c'è anche un'altra ragione che la rende poco controllabile: è l'ultima ridotta
del sistema federale statunitense che il partito repubblicano non controlla neppure in modo indiretto, dato
che gran parte dei componenti del suo organo di vertice sono tecnici indipendenti sì, ma democratici
nominati da un'amministrazione democratica. Se la Casa Bianca e i due rami del Congresso sono
saldamente nelle mani dei repubblicani e la Corte suprema è dominata da una maggioranza di giudici
conservatori, per la Fed la situazione è diversa. Molti dei suoi dirigenti sono democratici selezionati da
Barack Obama.
È così senz'altro per Janet Yellen, il cui mandato come presidente della Fed scade tuttavia fra solo un
anno; è così anche per il vicepresidente Stanley Fischer, il cui mandato scade tuttavia fra meno di un anno
e mezzo; ed è così per esempio per Daniel Tarullo, il responsabile della regolazione dei servizi finanziari
nel consiglio dei governatori della Fed che a sorpresa si è dimesso venerdì scorso, sembra per evitare
contrasti con Trump sulla supervisione bancaria.
Attacchi
Data la struttura di vertice della banca centrale americana, e vista la psicologia del presidente, è
praticamente inevitabile che questi diffidi di quello. Del resto alcuni sintomi di una strisciante guerra politico-
istituzionale attorno alla Fed sono già emersi.
Il 31 gennaio Patrick McHenry, vicepresidente (repubblicano) del comitato Servizi finanziari della Camera
dei rappresentanti ha inviato a Yellen una lettera che, nello stile e nella sostanza, riflette lo spirito del tempo
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/02/2017 53
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di Trump. McHenry si richiama esplicitamente al principio «America First» indicato dal presidente nel suo
discorso inaugurale e passa ad attaccare la Fed. Definisce «inaccettabile» che la banca centrale «continui
a negoziare standard regolatori internazionali fra burocrati globali in Paesi stranieri». Chiede alla Fed di
sospendere ogni attività di questo tipo «finché il presidente Trump non abbia avuto la possibilità di
nominare dirigenti ( della banca centrale, ndr ) che danno la priorità all'interesse americano».
Ufficialmente non si conosce una risposta di Yellen a questo attacco così virulento. Sembrerebbe però che
la presidente abbia fatto circolare in questi ultimi giorni un memo interno allo staff della Fed. Il suo
messaggio, come nello stile di questa economista ebrea di Brooklyn, era attento e conciliante: Yellen
riconosce che la banca centrale si trova in una situazione complicata, ma esistono le condizioni perché
possa continuare a svolgere il suo lavoro in piena indipendenza.
Così la presidente della Fed fa capire che i tassi d'interesse potrebbero salire due o tre volte nel 2017, se la
situazione dell'economia davvero lo richiederà. Poco importa se ciò dovesse continuare a mettere una
pressione al rialzo sul dollaro, che Trump non apprezza affatto. La banca centrale resta un organismo
tecnico che non distribuisce né favori né dispetti alle amministrazioni di volta in volta al potere.
C'è però poi un ulteriore risvolto, richiamato nella lettera di McHenry: i vertici della Fed stanno per
cambiare, soprattutto nell'organismo centrale di Washington se non anche nelle banche centrali dei singoli
Stati federali rappresentati nel comitato di politica monetaria. Trump avrà già l'opportunità al più presto nel
2017 di fare tre nomine nei posti vacanti del Consiglio dei governatori, quindi di indicare il successore di
Yellen già in estate e il successore di Stan Fischer fra circa un anno. La Fed sarà forse, secondo il
presidente, l'ultima ridotta democratica di Washington. Ma chiaramente non per molto tempo ancora.
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I DUELLANTI Rendicontazione delle decisioni della Fed di fronte al Congresso Più stimoli monetari nel
breve termine, se necessario Maggior libertà d'azione per le banche Più liberalizzazione del mercato dei
mutui Meno sanzioni per il sistema bancario in caso di frodi Più indipendenza della Fed dal Congresso
Maggiore vigilanza sulle banche più grandi Più sorveglianza sulle società finanziarie non bancarie Graduale
normalizzazione dei tassi d'interesse La visione di Donald Trump... ... e quella di Janet Yellen Fonte:
elaborazione CorrierEconomia Più protezione per consumatori e correntisti
Foto: Duello Donald Trump, presidente degli Usa, e Janet Yellen, alla guida della Federal Reserve. Trump
vorrebbe il sostegno della Fed per le sue promesse agli elettori, Yellen deve rispettare i vincoli del suo
mandato, alzando i tassi d'interesse se l'economia si mostra in salute
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Strategie I primi sono già partiti. Entro il primo trimestre l'offerta si arricchirà. Il confronto con l'estero
Come investire nei Pir
Sei domande e sei risposte per capire i nuovi prodotti in arrivo: sono una scommessa sul Made in Italy esentasse. Ma il rischio.... A CURA DI pieremilio gadda
È ancora presto per stabilire se i piani individuali di risparmio faranno bene al sistema e ai privati cittadini,
disposti a correre un rischio Italia in cambio di un azzeramento delle tasse. Sulla carta, lo strumento istituito
con la Legge di Stabilità 2017 per promuovere l'investimento a lungo termine attraverso incentivi fiscali,
convogliando nuovi flussi di capitale a favore dell'economia reale della Penisola, ha alcuni meriti
indiscutibili. Offre alle imprese tricolori un canale di finanziamento alternativo a quello bancario, ingessato
dallo smaltimento dei crediti deteriorati. Richiama l'attenzione su un comparto azionario e obbligazionario -
quello delle società a piccola e media capitalizzazione - trascurato dai risparmiatori. E concede in cambio, a
determinate condizioni, il risparmio delle tasse. Rimangono, però, alcuni nodi: le piccole imprese meno
strutturate saranno di fatto escluse. Inoltre, dato che i Pir saranno declinati in proposte commerciali
dall'industria del risparmio, gli investitori dovranno prestare attenzione al costo dei prodotti, per evitare che i
benefici fiscali vengano prosciugati dalle commissioni. In ogni caso, non sono adatti a tutte le tasche: con
una forte concentrazione di rischio sull'Italia, possono infatti trovare spazio solo in portafogli
sufficientemente diversificati. Alcuni punti del provvedimento, comunque, restano da chiarire. É assodato
che ogni risparmiatore possa sottoscrivere un solo Pir, e ciascun piano debba avere un unico intestatario.
Ma non si sa se sarà possibile fare operazioni di switch (trasferimento) tra fondi e comparti. In molti casi gli
intermediari non sono ancora pronti a distribuirli perché devono prima fare alcuni aggiustamenti al loro
sistema per adeguarlo alle nuove regole sulla fiscalità. Alcuni Pir, però, sono già in vetrina. E, nei prossimi
mesi, almeno 20 operatori lanceranno una proposta ad hoc .
Le previsioni contenute nella relazione tecnica al provvedimento legislativo indicano un obiettivo di raccolta
crescente, da 1,8 miliardi nel 2017, a 5,4 miliardi nel 2021: si calcola un totale di 18 miliardi di euro e 1,2
milioni di sottoscrittori in cinque anni, con un importo medio di 15.000 euro a persona. «Sono stime molto
prudenti - osserva Enrico Filippi, analista di Banca Akros -. Ipotizzando un ulteriore investimento di 5.000
euro l'anno per ogni sottoscrittore e una performance lorda annua del 2,2%, si ottiene una cifra
complessiva superiore ai 22 miliardi».
Insomma le premesse sono interessanti. Ma occorre essere preparati. Ecco cosa bisogna sapere prima di
sottoscrivere un Pir.
@gaddap
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Che cosa sono? Quanti soldi
si possono investire nei Pir?
Come funzionano?
Il primo Pir italiano è stato lanciato da Anima il 9 gennaio. Ad oggi sono sei gli strumenti che hanno tutti i
requisiti per essere commercializzati come piani individuali di risparmio, compresi i due fondi proposti da
Zenit Sgr a partire dal 13 febbraio. Secondo un'indagine realizzata da Corriere Economia , entro metà anno
gli investitori avranno a disposizione almeno 30 prodotti, proposti da una ventina di operatori (vedi tabella ).
In larga parte si tratta di fondi comuni d'investimento, bilanciati o azionari: alcuni sono freschi di lancio, altri,
sul mercato già da tempo, otterranno il bollino di Pir a seguito di una modifica al regolamento. C'è anche la
linea azionaria di una gestione patrimoniale, proposta da Fia am (Gruppo Farad). Al momento, non sono
invece disponibili contratti assicurativi ad hoc. In base a quanto riferisce l'Aiba (Associazione italiana broker
assicurativi), le compagnie si stanno orientano a strutturare l'offerta dei nuovi piani tramite polizze di ramo
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/02/2017 55
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III (unit linked). Le polizze di ramo I (gestioni separate), infatti, caratterizzate tipicamente da un approccio
prudente all'investimento e con la garanzia del capitale, non si prestano a fungere da contenitore
assicurativo per i nuovi piani. Un discorso più articolato vale per il deposito titoli. Sulla carta, sono tra le
soluzioni percorribili dai risparmiatori che vogliano costruire un piano individuale di risparmio «fai da te».
Tuttavia, lo sviluppo di servizi ad hoc da parte di banche e altri operatori richiederà un po' di tempo: sarà
necessario predisporre un deposito separato da eventuali altri dossier titoli e, visto che l'intermediario è
sostituto d'imposta, dovrà attrezzarsi per monitorare e gestire la posizione fiscale del cliente, verificando il
rispetto dei criteri d'investimento stabiliti dal legislatore e applicando la tassazione (senza sanzioni) ai
rendimenti passati, in caso di eventuali violazioni. Un calcolo non semplice, che richiede un adeguamento
dei sistemi informativi. Parrebbe comunque una strada praticabile, come sembra emergere da uno studio di
fattibilità ancora in fase di approfondimento, avviato da alcuni operatori. Tra questi, in base a quanto
Corriere Economia è in grado di ricostruire, ci sarebbe anche Fineco. Gli intermediari che fossero
interessati a proporre questo servizio dovranno comunque mettere a punto le procedure. Nella migliore
delle ipotesi ci vorrà un paio di trimestri.
p. gad.
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I Piani individuali di risparmio (Pir) sono un «contenitore fiscale» che permette al risparmiatore privato
(persona fisica) di accedere a rilevanti benefici in tema di tassazione sulle rendite finanziarie e imposte di
successione, a patto che vengano rispettate alcune condizioni: l'investimento deve essere mantenuto per
almeno 5 anni (è sempre possibile uscire, ma si perde l'agevolazione); almeno il 70% del patrimonio
conferito nel Pir deve essere destinato ad azioni o titoli di debito emessi da società italiane o radicate in
Italia; nell'ambito di questa quota, il 30% (equivalente al 21% del portafoglio complessivo del piano) deve
essere investito in strumenti finanziari emessi da imprese diverse da quelle inserite nell'indice Ftse Mib di
Borsa italiana o in indici equivalenti di altri mercati regolamentati. Il focus è, quindi, sulle società a piccola e
media capitalizzazione. Infine, il peso di ciascun emittente - sommando azioni e bond - non potrà superare
il 10% del portafoglio complessivo, in ottica di diversificazione. Il regolatore ha fissato a 30.000 euro l'anno
la soglia massima d'investimento per ogni risparmiatore, pari a un tetto di 150.000 nel quinquennio. Gli
strumenti finanziari idonei ad assumere le vesti di piani individuali di risparmio sono i fondi comuni, le
gestioni patrimoniali, i dossier titoli e le polizze assicurative.
p. gad.
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Qualioperatori sono già pronti? Quali sono le alternative per chi vuole sceglierli?
Se la detassazione rappresenta uno dei principali punti di forza di questi strumenti, è fondamentale che le
spese siano contenute, per evitare che erodano completamente i benefici fiscali. Come regola generale,
occorre verificare che le commissioni di gestione siano in linea con quelle previste in media sui prodotti
della stessa tipologia: secondo un'indagine realizzata da Fida, le spese di gestione equivalgono in media
all'1,67% per i fondi azionari, allo 0,87% per gli obbligazionari e all'1,42% per i bilanciati. Per le classi
distribuite alla clientela al dettaglio, ci si può aspettare un costo annuo tra l'1,00% ed il 2,50%, a seconda
della tipologia dell'investimento. Con molta probabilità, verranno applicate commissioni di ingresso di entità
anche rilevante», avverte Piermattia Menon, analista di Consultique. Se si vuole evitare che il risparmio
legato ai benefici fiscali svanisca, è necessario assicurarsi che il prodotto non preveda fee di ingresso e
uscita. Anche nel caso delle gestioni patrimoniali, occorrerà prestare attenzione: i fondi verranno inseriti
nella gestione probabilmente con una classe istituzionale, che prevede in genere commissioni di gestione
dimezzate rispetto alla classe retail. «Ma è verosimile che il risparmio sulle fee annue sia più che
compensato dal costo della linea di gestione, che si aggira, facilmente, attorno all'1-1,5% e su cui si paga
l'Iva al 22%. Un discorso analogo vale per le polizze d'investimento - precisa Menon -. Alle spese dei fondi
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/02/2017 56
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Pag. 1.22 N.6 - 13 febbraio 2017
interni si sovrapporranno i caricamenti applicati dalle compagnie assicurative». L'auspicio è che qualche
emittente di Etf possa prendere parte al mercato, offrendo prodotti a costi inferiori - vicini allo 0,5% - e
senza commissioni d'ingresso. A Piazza Affari, è quotato un solo Etf a replica dell'indice Ftse Mib Cap, che
rispetta i criteri d'investimento stabiliti: è commercializzato da Lyxor. Sarebbe necessaria una semplice
modifica dei regolamenti del fondo per essere ammesso nel recinto dei Pir. Al momento, però, la società
non si sbilancia.
p. gad.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Qual è il livello di commissioni accettabile per un Pir?
Quali spese vanno monitorate?
Chi sottoscrive un piano individuale di risparmio e mantiene l'investimento per almeno cinque anni, non
paga le tasse sulle rendite finanziarie - ovvero su cedole, dividendi e guadagni in conto capitale sui 150
mila euro massimi versati nel quinquennio - e ottiene l'esenzione dall'imposta di successione in caso di
trasferimento mortis causa degli strumenti detenuti nel piano (ma secondo alcuni esperti rimane invece un
dubbio interpretativo sulla tassa di donazione). Trascorsi i cinque anni, i benefici fiscali permangono e
all'uscita dall'investimento non si pagheranno in ogni caso le imposte. Quindi se io resto investito nel Pir
oltre i cinque anni con tutte le tranche continuerò ad accumulare eventuali risultati esentasse. E in caso di
perdite? I Pir, almeno quelli che sono fondi a tutti gli effetti, godono delle regole per la compensazione
fiscale delle minusvalenze che si applicano al risparmio gestito. L'unica tassa che resta anche in caso di Pir
è la «patrimonialina», il 2 per mille sul capitale. Quanto può valere il risparmio fiscale? Corriere Economia
ha fatto i conti, ipotizzando un investimento di 150 mila euro sull'indice Ftse Mid Cap, fatto in cinque
tranche, attraverso versamenti di 30 mila euro l'anno, tra il dicembre 2011 e il dicembre 2015. Il guadagno
lordo ottenuto investendo sull'indice di Borsa specializzato sulle società a media capitalizzazione italiane
ammonterebbe a 70.035 euro, ovvero 51.826 al netto delle trattenute fiscali. Se l'investimento fosse
avvenuto tramite un Pir e mantenuto per cinque anni, si sarebbero potuti risparmiare 18.209 euro di tasse (
vedi tabella ). A queste agevolazioni potrebbe sovrapporsi un altro vantaggio: tra i titoli investibili nei piani ci
sono anche molte società quotate al segmento Aim di Borsa Italiana, che potrebbero essere iscritte nel
registro delle piccole e medie imprese innovative. E, secondo i dettami dell'ultima Legge di Stabilità
investendo in società che ottengono il patentino di pmi innovative, si ottiene un interessante detrazione
dall'Irpef (30%).
P. GAD..
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Quanto vale lo sconto del Fisco? Che cosa bisogna fare
per averne diritto?
Nonostante i benefici fiscali facciano indiscutibilmente gola, i Pir non sono adatti a tutti i profili di rischio. Si
tratta di un investimento caratterizzato da una forte esposizione all'Italia, in cui almeno un quinto del
portafoglio è destinato ad azioni e debito emessi da società a media e piccola capitalizzazione della
Penisola, che potrebbero essere soggette ad ampie oscillazioni e a un rischio liquidità superiore rispetto
alle blue chip. Secondo gli esperti, quindi, i Piani individuali di risparmio si prestano a rivestire un ruolo
satellite - non superiore al 10% del portafoglio - in patrimoni di una certa entità, per garantire un livello
sufficiente di diversificazione. «Il solo vantaggio fiscale non giustifica di per sé l'investimento nei Pir.
Potrebbero esporre i risparmiatori a un rischio eccessivo se collocati indiscriminatamente fino a
rappresentare la parte preponderante del portafoglio. Non vorremmo che ai risparmiatori fosse proposto
l'ennesimo investimento rischioso con il pretesto del risparmio sulle imposte. Ovviamente - precisa
Piermattia Menon, analista di Consultique - può risultare adatto a chi è alla ricerca di un'esposizione alle
piccole e medie imprese italiane e oggi ha l'opportunità di sfruttare le agevolazioni». In ogni caso, la scelta
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/02/2017 57
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dei titoli da acquistare richiede le competenze di un investitore professionale, specialmente nella selezione
delle società. Il «fai da te» - ovvero l'opzione dei futuri Pir in deposito amministrato - è fortemente
sconsigliato ai risparmiatori inesperti.
p. gad.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
A chi sono adatti? Quali risparmiatori possono usarli? Chi farà meglio a evitarli?
Le esperienze di Francia e Regno Unito, da cui è mutuata la via italiana ai piani individuali di risparmio, può
aiutare a comprendere i potenziali fattori di successo e i punti di debolezza della soluzione predisposta dal
governo italiano. Gli antenati britannici dei nostri Pir, si chiamano Individual saving account (Isa) e sono
stati introdotti nel 1999. Oggi gestiscono 518 miliardi di sterline, di cui 160 raccolti negli ultimi due anni, a un
ritmo di 26 milioni di sottoscrizioni in 24 mesi. «Quello inglese è lo schema più avanzato - osserva Enrico
Filippi, Banca Akros -. Consente di investire anche in strumenti innovativi ed offre maggiore flessibilità: è
possibile, infatti, uscire e rientrare dall'investimento senza rinunciare all'agevolazione fiscale. La soluzione
italiana è più simile ai Plan d'épargne en actions (Pea) d'Oltralpe». I cugini francesi dei Pir, sono nati nel
1992 e oggi gestiscono secondo le stime, circa 100/120 miliardi di euro. Il successo iniziale è andato però
scemando nell'ultimo decennio: se nel 2003, 11 anni dopo la loro introduzione, i piani di risparmio francesi
contavano 7,5 milioni di sottoscrittori, nell'aprile del 2013, data alla quale risalgono gli ultimi numeri ufficiali,
l'allora ministro dell'Economia, Pierre Moscovici, dichiarò un numero prossimo a 5 milioni (-33%). «Questo
calo - spiega Filippi - si spiega probabilmente con la performance negativa dei mercati durante la crisi
finanziaria, che ha portato gli investitori a perdere fiducia nei listini azionari come investimento di lungo
termine». Parimenti, anche l'andamento del mercato italiano è destinato a influenzare - è inevitabile - il
successo dei Pir made in Italy.
P. GAD.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Come sono andati i Pir degli altri? Che accoglienza hanno avuto
in Gran Bretagna e Francia? Anima Pioneer Symphonia Zenit Arca Ersel Sella Gestioni Kairos Fia am
(Gruppo Farad) AcomeA Banca Generali Ubi Pramerica Mediolanum Amundi Azimut Anthilia Eurizon 9
gen. 2017 prossimi mesi Bilanciato Azionario Anima Crescita Italia Anima Iniziativa Italia 31 gen. 2017
entro giugno Bilanciato Azionario Pioneer Risparmio Italia nd entro primi mesi '17 entro primi mesi '17
Azionario Bilancia nima Iniziativa Italia 31 gen. 2017 entro giugno Bilanciato Azionario Pioneer Risparmio
Italia nd entro primi mesi '17 entro primi mesi '17 Azionario Bilanciato Symphonia Azionario Small Cap Italia
nd 13 feb. 2017 13 feb. 2017 Azionario Bilanciato Pianeta Italia Zenit Obbligazionario 26 gen. 2017 nd
Bilanciato Azionario Arca Economia Reale Bilanciato Italia Arca Economia Reale Equity Italia 13 mar. 2017
prossimi mesi Azionario Flessibile Fondersel PMI Globersel PMI HD entro marzo entro marzo Azionario
Bilanciato Investimenti Azionari Italia Investimenti Bilanciati Italia feb.-mar. 2017 feb.-mar. 2017 Azionario
Bilanciato nd nd 2 feb. 2017 Gestione patrimoniale (linea azionaria) Pir Expert Bilanciato nd entro marzo nd
nd entro giugno Bilanciato Sviluppo Italia inizio marzo entro metà marzo Bilanciato nd aprilemaggio
Bilanciato nd Azionario nd entro marzo Bilanciati entro marzo 4 nd Bnp Paribas Bilanciato nd entro marzo
Prodotti 1 5 Schroders Azionario Schroder ISF Italian Equity maggio In tabella sono indicate le società che
hanno avviato la commercializzazione di Piani individuali di risparmio o si apprestano a farlo, elencati in
base alle tempistiche di lancio entro marzo entro marzo Bilanciato Bilanciato Ubi Pramerica Mito 252 Ubi
Pramerica Mito 503 In fase di valutazione il lancio di un Pir bilanciato; 2) Esposizione azionaria dal 10 al
40%; 3) Esposizione azionaria dal 30 al 70%; 4) Componente azionaria crescente, rispettivamente 20%,
40%, 70%; 5) Probabilmente si affiancherà un Pir azionario. Franchino
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/02/2017 58
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Oggi il confronto tra governo e sindacati per la riforma delle regole sul pubblico impiego
Trattativa da 8 miliardi sui «premi» agli statali
Le parti variabili pesano in media 2.300 euro a busta paga Gianni Trovati
pIn calendario oggi alle 12 il confronto fra governoe sindacati sul nuovo decreto del pubblico impiego, che
potrebbe arrivare già in settimana al primo via libera in consiglio dei ministri. Tra i nodi al centro della
trattativa ci sono le nuove regole sui «premi di produttività» per i dipendenti pubblici: una partita da 8
miliardi di euro, che pesa in media 2.300 euro a busta paga. Si discute su come legare davvero gli incentivi
alla valutazione. u pagine 2 e 3 pSi gioca intorno agli otto miliardi di euro che ogni anno alimentano le parti
"variabili" dello stipendio la partita decisiva sul futuro economico dei dipendenti pubblici, nei due tempi
rappresentati dal decreto in arrivo che riscrive il testo unico del pubblico impiegoe dalle trattative per il
rinnovo contrattuale, che andranno avviate subito dopo. Il tema è al centro del confronto di oggi con i
sindacati sul decreto attuativo della riforma Madia atteso al primo via libera in consiglio dei ministri,e non
poteva che essere così. Per far ripartire la macchina contrattuale bloccata da sette anni • da riavviare come
imposto ormai 19 mesi fa dalla sentenza 178/2015 della Corte costituzionale • sindacati e governo hanno
convenuto sulla necessità di smontare le griglie rigide scritte nel 2009 (ma mai attuate) dalla riforma
Brunetta, che imponeva di concentrare sulla produttività la «quota prevalente» del salario accessorio e di
azzerare i premi per un quarto del personale. Il tema è delicato perché le indennità variabili, al cui interno la
produttivitàè protagonista, valgono in media 2.300 euro a dipendente, superano i 3mila euro pro capite
nelle agenzie fi• scali fino al picco da 11mila euro negli enti pubblici non economici (Inps, Inail, Aci eccetera):
cifre in ogni caso parecchio superioria quelle che un rinnovo contrattuale può offrire sulla parte fissa. La
parola d'ordine, allora, è stata la restituzione della materia ai contratti nazionali, ridando alle "relazioni
industriali" della Pubblica amministrazione i compiti che la riforma del 2009 aveva tolto alle trattative
fissandoli nella legge. Condivisa l'idea, le distanze fra governoe sindacati si sono però subito allargate sulle
scelte concrete per muovere di nuovo questo pendolo fra legge e contratti. Gli obiettivi, infatti, non
coincidono. Il governo preme per tentare in ogni caso la via della "selettività" nel riconoscimento dei premi,
anche per evitare di far passare l'idea di un cedimento alla distribuzione indifferenziata delle risorse; i
sindacati, ovviamente, vogliono evitare il più possibile effetti collaterali in busta paga, tanto più dopo che i
lunghi anni di blocco contrattuale hanno alleggerito sia il potere d'acquisto delle buste paga (in media del
6,2% annuo rispetto al 2011, come riportato sul Sole 24 Ore del 30 gennaio) sia il ruolo politico dei
sindacati. Per questa ragione la battaglia si è accesa sul tentativo del go• verno di fissare comunque nella
legge un parametro fisso, che avrebbe chiesto di concentrare il 50% dei premi sul 25% dei dipendenti,
lasciando agli altri il resto. Un criterio decisamente meno rigido di quello del 2009, che chiedeva di negare i
premi a un dipendente su quattro, ma sufficiente a scatenare l'opposizione sindacale su un punto che nel
testo finale del decreto non trova spazio. Sul tema, le ultime bozze chiedono ai contratti nazionali di
garantire la «significativa differenziazione» nelle valutazioni a cui deve corrispondere «un'effettiva
diversificazione» dei premi. La mossa può essere letta come "vittoria" politica per i sindacati, ma non è
decisiva. Prima di tutto c'è da decidere quanto peso dare alla performance collettiva, dell'ufficio,ea quella
individuale. Insieme ai correttivia Testo unicoe riforma Brunetta, che dopo il primo via libera in consiglio dei
ministri dovranno ottenere i pareri di Parlamentoe Consiglio di Stato e l'intesa con gli enti territoriali prima
del varo finale entro aprile, per fare i contratti servono poi gli atti di indirizzo, che la Funzione pubblica dovrà
fornire all'Aran (l'agenzia che rappresenta lo Stato come "datore di lavoro") per i quattro nuovi comparti in
cuiè di• visa la Pa. E lì, c'è da scommetterci, il tema della selettività nella distribuzione dei premi tornerà ad
accendere la discussione insieme alla "piramide degli aumenti" che secondo le pluriannunciate intenzioni
governative dovrebbero concentrarsi sulle fasce di reddito più basse. Per passare dalle battaglie
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ideologiche agli incentivi pratici, però, occorre mettere in funzione una serie di indicatori per misurare
davvero la produttività di uffici e dipendenti, senza i quali l'idea stessa di "premiare il merito" si svuota. Sul
punto, l'idea cardine del nuovo decreto è quella di fissare due livelli di obiettivi da misurare: quelli generali,
indicati dal governo in una sorta di identikit degli uffici pubblici virtuosi (per esempio quelli che pagano in
tempo i fornitori, hanno bassi tassi di assenteismo, sfruttano al meglioi sistemi di e•government e così via) e
quelli "specifici", tagliati su misura delle singole amministrazioni e fissati dai vertici amministrativi.
Dipenderà da questo, più che dai dibattiti politici sul "merito", la possibilità di cominciare davvero a misurare
la produttività della pubblica amministrazione.
La composizione della spesa per il personale
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83,7
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15,7 INDENNITÀ miliardi miliardi di euro (*) Il dato comprende gli straordinari La spesa per gli stipendi dei
dipendenti pubblici articolata tra componente fissa, indennità e produttività STIPENDI* miliardi
PRODUTTIVITÀ miliardi Fonte: elaborazione del Sole 24 Ore su dati Ragioneria generale dello Stato
ITALIA
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113.521 LA MAPPA REGIONALE La distribuzione dei dipendenti pubblici V. d'Aosta Piemonte Sardegna
7.530 11.519 Toscana Umbria
(*) Il dato comprende gli straordinari Lombardia 38.661 39.683 Lazio Campania Basilicata Sicilia 49.242
P.A. Bolzano P.A. Trento Friuli V.G. Veneto Emilia R. 18.425 33.747 Marche Abruzzo Molise Puglia
Calabria
I COSTI COMPLESSIVI
La spesa pubblica per gli stipendi dei dipendenti pubblici articolata per le voci principali
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83.745,4 Produttività Indennità Stipendi* Scala cromatica in miliardi 1 - 5 Agenzie fiscali Autorità
indipendenti Carriera diplomatica Carriera penitenziaria Carriera prefettizia Corpi di polizia Enti di ricerca
Enti pubblici non economici Forze armate Ist. Formazione artistico/musicale Magistratura Ministeri
Presidenza consiglio ministri Regioni a statuto speciale Regioni ed autonomie locali Scuola Servizio
sanitario nazionale Università Vigili del fuoco 9 + Stipendi* I COSTI COMPLESSIVI - Dati in milioni di euro
Indennità Produttività, voci accessorie Totale % voci accessorie 0 10 20 30 40 50 9,7% 10,6% 45,1% 1,9%
1,4% 9,2% 2,5% 29,8% 7,9% 1,3% 0,2% 10,2% 32,5% 6,3% 8,7% 3,1% 9,0% 2,9% 8,1% Stipendi* LA
BUSTA PAGA - Dati in euro Indennità fisse Produttività, voci accessorie Retribuzione complessiva
Fonte: elaborazione Il Sole 24 Ore su dati Ragioneria generale dello Stato
Foto: UMBERTO GRATI
Foto: Le cifre Le indennità variabili valgono in media 2.300 euro per ciascun dipendente: negli enti pubblici
non economici si raggiunge il picco di 11mila euro Il calendario Oggi il confronto ufficiale sul testo con i
sindacati, prima del via libera preliminare in Consiglio dei ministri che può arrivare a fine settimana
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ALLA LUCE DEL SOLE
Decreto salva banche, il valore di una lista
Luigi Zingales
Questa settimana la Commissione Finanze del Senato ha rigettato la proposta del senatore leghista
Roberto Calderoli di introdurre nel decreto salva banche una norma che richiedeva agli istituti di credito
beneficiari di un intervento dello Stato di pubblicare i nomi dei principali debitori insolventi. Il rifiuto è stato
motivato con il desiderio di evitare una gogna mediatica a danno dei debitori. Ma la pubblicazione di simili
liste non serve a scaricare la colpa dei fallimenti bancari sui debitori. In un Paese dove il Pil reale è sceso
del 9% in quattro anni, non deve essere fonte di imbarazzo se un'impresa, che si è comportata
onestamente, non è più in grado di far fronte ai debiti. Non esiste impresa senza rischio e il rischio implica
anche la possibilità di fallimento, specialmente quando l'economia nel suo complesso va male. Continua u
pagina 18 La pubblicazione degli elenchi serve soprattutto a gettare luce sulla politica del credito delle
banche in difficoltà e sull'efficacia della vigilanza bancaria. Da simili elenchi si possono estrarre molte
informazioni utili. Quanto concentrate sono le sofferenze di una banca? Si tratta di un fenomeno diffuso su
tutte le categorie o concentrato principalmente sui grandi crediti, quelli dove il consiglio di amministrazione
esercita la sua discrezionalità? Le sofferenze nascono da prestiti effettuati a imprese che erano solide o da
prestiti a imprese che ex ante non erano degne di credito, ma erano possedute da amici e parenti? Se il
secondo caso fosse vero, dove era la vigilanza bancaria? In un mondo digitale è relativamente facile per un
supervisore accorgersi quando una banca ha una politica del credito sconsiderata. Basta guardare alcuni
parametri chiari, per esempio, quale è il rapporto tra posizione finanziaria netta di una società e il suo
margine operativo lordo. Questo indice ci dice in quanti anni un'impresa riesce a ripagare i propri debiti con
il flusso di cassa che genera. Il supervisore ha chiuso gli occhi o sapeva e non poteva intervenire? La
risposta a questo quesito è fondamentale per evitare che un simile disastro si ripeta in futuro. Ma è
possibile ottenere tutte queste informazioni da una semplice lista? Per dimostrare che la risposta è
affermativa, utilizzo la lista dei primi 30 debitori insolventi di Banca Popolare di Vicenza (BPVi) resi pubblici
da Enrico Mentana su La7. Innanzitutto i 30 più grandi debitori insolventi di BPVi rappresentano il 29% delle
sofferenze a bilancio a fine 2015. Quindi esiste un'enorme concentrazione delle sofferenze bancarie, come
anche confermato dalle statistiche di Banca d'Italia. Le famiglie pagano, le piccole imprese per lo più
pagano, le grandissime imprese raramente falliscono, sono le medie imprese quelle che hanno prodotto le
principali perdite. Il secondo aspetto interessante è la concentrazione settoriale. Su banche dati sono
riuscito a trovare le informazioni di bilancio per 20 dei 30 debitori insolventi. Per il 62% delle imprese si
tratta di imprese del settore immobiliare, divise equamente tra imprese di costruzione in senso proprio e
imprese immobiliari in senso lato. Si noti che l'Italia non ha subito una bolla immobiliare come quella
spagnola o irlandese. Dal picco del 2008 i prezzi delle case sono scesi solo del 16.5%. Ma le informazioni
più interessanti si trovano guardando ai bilanci. Al 31 12 2008, ovvero prima che la crisi abbia un vero
impatto sui bilanci, il 35% delle imprese affidate dalla BPVi e poi diventate insolventi ha un margine
operativo lordo negativo o un patrimonio netto negativo (o entrambi). Quando il margine operativo lordo è
positivo, il rapporto tra Posizione Finanziaria Netta e Margine Operativo Lordo di queste imprese nel 2008
era in media di 55 (con una mediana di 20), molto al di sopra di 6•7, ritenuto il livello massimo a cui una
banca può ragionevolmente estendere il credito ad un'impresa. Solo due imprese avevano un livello di 6.
Questo non è vero solo per le imprese di costruzioni. L'Hotel Dolomiti aveva un rapporto Posizione
Finanziaria Netta•Margine Operativo lordo di 444 e l'Istituto Scolastico Cardinal Baronio di 35. Solo la
Magistratura potrà determinare se esistano dei potenziali conflitti di interesse in questi prestiti. Ma non
occorre un giudice per capire che i vertici della BPVi non hanno usato una politica del credito prudente. Né
occorre un'indagine parlamentare per capire che, se io sono riuscito in modo artigianale a raccogliere
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queste informazioni, a maggior ragione potevano essere raccolte da chi fa vigilanza bancaria. Delle due: o
Banca d'Italia non aveva gli strumenti per intervenire o non è voluta intervenire. Perché il Senato non vuole
metterci nelle condizioni di porre questa domanda? u Continua da pagina 1
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Nove milioni di outsider senza rete
Marco Mariani
La figura dell'"outsider" racchiude due destini opposti. Il primo ha il volto dello sconosciuto che irrompe
all'improvviso in una competizione, nello sport come in politica, spariglia il campo degli avversari più titolati e
diventa protagonista di un'avventura vincente. Il secondo è quello di chi vive ai margini dal circuito del
successo, senza reti di sicurezzae opportunità di risalita. Chi viene da fuori, incarnando un messaggio di
fiducia.E chi resta fuori, arretrando sotto il peso della disillusione. Nell'affresco dell'Italia tracciato nel
rapporto della Fondazione Hume, non c'è traccia del "buon" outsider e della sua promessa di riscatto che si
avvera. Tutta la ribaltaè occupata da chi è imbrigliato in una condizione "out" e dal suo sogno infranto sulle
macerie di un progresso che, per buona parte della popolazione, da tempo siè arrestato. Tra fuori e dentro, è
soprattutto il mercato del lavoro a marcare oggi il confine della disuguaglianza. Come spiega l'analisi, il
fenomeno centrale del nostro tempo, per il nostro Paese in particolare, è infatti «la formazione di un nuovo
segmento sociale che, pur facendo parte della popolazione potenzialmente attiva in quanto disponibile a
lavorare, vive una condizione di grave e radicale esclusione dal circuito del lavoro regolare». La spinta della
grande crisi La nuova Italia che avanza è la Terza società, l'esercito degli esclusi: disoccupati, lavoratori in
nero e persone inattive perché non vedono più un contesto propizio per cercare un'occupazione. Si
contrappone alla Prima, quella dei garantiti (personale pubblico e dipendenti regolari di aziende
medio•grandi).E alla Seconda, quella di chiè esposto alle incertezze del mercato (operaie impiegati di
piccole aziendee lavoratori autonomi senza ammortizzatori sociali). La Terza società avanza perché, nel
vortice della grande crisi che non sembra passare mai, le sue fila si sono rapidamente affollate. In sette
anni, dal 2007 al 2014, la sua incidenza sul totale della forza lavoro è balzata, infatti, dal 22,5% al
29,9%,inghiottendo2 milionie 600mila nuove persone. La lieve flessione registrata negli ultimi due anni
(28,7% nel 2016)non è sufficiente ad allontanare in modo netto il numero degli esclusi da quota9 milioni,
praticamente un terzo della forza lavoro. Questo segmento sociale si concentra soprattutto nel
Mezzogiorno, dove la sua incidenza nel 2014 era del 45,8% soprattutto per la forte diffusione degli inattivi
disponibili a lavorare. Nel Nord•Est, invece, sonoi lavoratori irregolari la parte più consistente degli esclusi,
mentre nel Nord•Ovest pesa la disoccupazione. La politica sotto scacco Un'Italia divisa in tre mondi,
ciascuno dei quali non se la sta passando bene. Se quello emergente• la Terza società•è portatore di un
segnale di acuto malessere, gli altri due vedono assottigliarsii ranghie indebolirsi il loro ruolo sociale. Sia
con l'erosione di protezioni di lunga data. Sia con la perdita di forza economica. La Prima società ha visto
uscire circa mezzo milione di persone tra il 2008e il 2014. Il personale della Pa, che ancora nel 2014
contava oltre 3 milioni di individui, sta registrando un declino lento, dall'11,8% della forza lavoro nel 2001 al
10,1% nel 2014.E ancora, sotto la spinta della crisi,i dipendenti privati tutelati dallo Statuto sono scesi dal
26,5% del 2007 al 23,9 per cento. Quanto alla Seconda società, la sua componente più estesaè
rappresentata dal lavoro autonomo: conta più di5 milioni, circa il 17% delle forze lavoro. Ebbene, sono
bastati dieci anni,dal 2004 al 2014, perché la sua consistenza si riducesse del 7,2% con una perdita di oltre
410mila unità. Ciò che più conta, tra il 2009 e il 2014i redditi di lavoro autonomo sono scesi del 28% circa,
molto di più di quello cheè avvenuto per quello dipendente (•8%). Questi numeri si riverberano nella politica.
L'Italia smarrita della Terza società diffida fortemente dei partiti di sistema, come Pde Forza Italia che
raccolgono rispettivamente il 14,4% e il 7,4% dei consensi. Quasi la metà degli esclusi (45,1%) si dice,
invece, intenzionata a votare il Movimento Cinque Stelle.
I tre mondi a confronto
L'IDENTIKIT Pr ima, Seconda e Terza società in Italia Pr ima Società È la società dei garantiti o del posto
fisso. È formata dagli impiegati pubblici e dai dipendenti delle medie-grandi aziende protetti da un contratto
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di lavoro stabile, dallo Statuto dei lavoratori e dalla stessa dimensione aziendale. Nonostante la maggiore
flessibilità introdotta con gli anni, la loro posizione occupazionale resta forte e garantita Seconda Società È
la società del r ischio, dei lavoratori più esposti alle incertezze del mercato. Vi r ientrano gli operai e gli
impiegati delle piccole aziende con un basso livello di protezione dell'impiego. Ci sono anche i propr ietari
delle piccole imprese e i lavoratori autonomi che non possono contare su un generoso sistema di
ammortizzatori sociali Terza Società Questo segmento sociale è composto da chi, pur facendo parte della
popolazione attiva in quanto disponibile a lavorare, vive una condizione di radicale esclusione dal circuito
del lavoro regolare. È la società degli esclusi: comprende disoccupati, lavoratori in nero e persone che si
metterebbero in cerca del lavoro se ce ne fosse l'occasione. Tante donne. Molti outsider al Sud Fonte:
Elaborazioni Fondazione Huma per Il Sole 24 Ore su dati Istat-RCFL, Contabilità Nazionale e Aran I NUOVI
EQUILIBRI Percentuale sulle forze di lavoro allargate 40 38 36 34 32 30 28 26 24 22 20 35,4 34,9 29,7
Seconda società Pr ima società Terza società 35,6 23,1 39,3 37,5 22,5 37,1 1995 '96 '97 '98 '99 2000 '01
'02 '03 '04 '05 '06 '07 '08 '09 2010 '11 '12 '13 '14 '15 2016
La Terza società
Fratture. Si contrappone alla Prima (i protetti) e alla Seconda (chi rischia). Comprende disoccupati,
precari e non lavoratori
FONDAZIONE HUME•IL SOLE 24 ORE
CHI SONO Dati in milioni
La radiografia del malessere
Prima Società
Seconda Società
Terza Società 7,2 Dipendenti stabili imprese medio-grandi Personale stabile nella Pa 3,0 Lavoratori
autonomi regolari 5,3 Dip. regolari stabili in piccole imprese 3,8 Dipendenti temporanei regolari 1,8 Inattivi
disponibili non occupati in nero 3,0 Inattivi disponibili occupati in nero 0,4 Inattivi non disponibili occupati in
nero 1,2 Disoccupati che lavorano in nero 0,4 Disoccupati veri 2,8 Occupati irregolari 1,2 COME STANNO
CAMBIANDO I dipendenti stabili di aziende sopra i 15 dipendenti. Dati in % delle forze lavoro allargate 22,0
22,5 23,0 23,5 24,0 24,5 25,0 25,5 26,0 26,5 27,0 110 105 100 95 90 85 80 75 13 12 11 10 23,1 Reddito
da lavoro dipendente Reddito da lavoro autonomo 2003 2004 2005 Lavoratori in nero Disoccupati (non
occupati in nero) Inattivi disponibili (non occupati in nero) 2006 2007 2008 2009 26,5 1995 '96 '97 '98 '99
'00 '01 '02 '03 '04 '05 '06 '07 '08 '09 '10 '11 '12 '13 2014 Reddito familiare (compresi gli affitti figurativi).
Valori a prezzi costanti - base 2003=100 70 65 2010 2011 I tre grandi segmenti della Terza società.
Percentuale sulle forze di lavoro allargate 9 8 7 6 5 4 2012 1995 '96 '97 '98 '99 '00 '01 '02 '03 '04 '05 '06 '07
'08 '09 '10 '11 '12 '13 2014Fonte: Fondazione Hume per Il Sole 24 Ore su dati Istat-RCFL e Contabilità
nazionale L'EUROPA DEGLI ESCLUSI Percentuale sulle forze di lavoro allargate Dati 2014 Grecia Spagna
Croazia ITALIA Portogallo Polonia Irlanda Ungheria Belgio Finlandia Francia Svezia Paesi Bassi Regno
Unito Germania 23,2 Media Ocse
Fonte: Elaborazioni Fondazione Hume per Il Sole 24 Ore su dati Eurostat 36,2 34,2 32,4 32,1 26,9 25,3
23,8 22,6 19,4 18,8 18,3 16,6 16,4 15,4 14,3 I LAVORATORI IN NERO Pr imi 15 Paesi Ocse con la più alta
incidenza percentuale sulle forze lavoro allargate - Dati 2014 Messico Corea Turchia Israele Cile Portogallo
Estonia Lettonia Polonia Slovenia ITALIA Grecia Ungheria Rep. Ceca Belgio 9,7 Media Ocse Fonte:
Elaborazioni Fondazione Hume per Il Sole 24 Ore su dati Ocse e Eurostat 24,6 21,1 17,0 16,8 16,7 16,4
16,2 15,8 14,7 14,2 13,0 12,6 12,5
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MERCATI E TENSIONI POLITICHE
La «triplice» sfida ai bond di Stato
Vittorio Carlini
Gli spread in Europa sono, nelle ultime sedute, un po' rientrati. E, tuttavia, l'avanzata della Le Pen in
Francia innervosisce i mercati. Così come, da un lato, la storia «infinita» della Grecia crea timori tra gli
operatori. E, dall'altro, la politica di Donald Trump resta ancora indecifrabile. u pagina 2, con l'analisi di Vito
Lops pGli spread sul Bund, dopo la fiammata in avvio della settimana scorsa, un po' sono rientrati. Non
solo: l'ipotesi dell'euro a due velocità è, almeno per adesso, messa in disparte. Infine: i tassi nell'asta dei
BoT sono rimasti sui minimi.Tutto rose fiori, quindi, per il mondo obbligazionario? Evidentemente no. Le
tensioni sul mercato dei bond restano. In particolare in Europa. Il trend dei capitali La riprova la fornisce
l'andamento dei flussi di capitale sui fondi obbligazionari globali monitorato da Fbr Global. La società di
ricerca rileva che, da inizio anno ad oggi, la dinamica netta verso l'obbligazionario europeo (sia corporate
che governativo) siè fermataa 1, 38 miliardi di dollari. Un valore inferiore, da un lato,a quello riconducibile ai
Paesi emergenti (7,068 miliardi); e, dall'altro, lontano «anni luce» rispetto a flussi netti sugli Usa che hanno
superato i 35,5 miliardi di dollari. Insomma: l'attuale distacco degli investitori rispetto ai bond «made in
Europe»è nei numeri. Al che viene da domandare: quali le motivazioni di questa situazione? La rispostaè
articolata. Il Pil del Vecchio Continente In primis va ricordato la dinamica di fondo: il rialzo dei tassi legato al
miglioramento della congiuntura e, quindi, dell'inflazione.I prezzi al consumo nell'Eurozona, seppurea
macchia di leopardo, sono saliti. In gennaio la media si è attestata all'1,8%, in netto rialzo rispetto all'1,1%
di dicembre e al di sopra del consensus che stimava l'1,6%. A fronte di un simile contesto gli operatori
hanno venduto, ad esempio, i titoli di Stato. Una componente del loro rendimento, infatti, è rappresentata
proprio dall'inflazione. Se questa saleè ovvio che si riducano i bond in portafoglio in attesa delle nuove
emissioni che dovrebbero garantire uno yield maggiore. La politica monetaria Ma non è solamente
questione di fondamentali macroeconomici. Altre carte sono sul tavolo dei titoli obbligazionari. Tra queste il
futuro del Qe della Bce. In Aprile, è noto, la Banca centrale europea ridurrà gli acquisti mensili di asset da
80 a 60 miliardi di euro. Al di là però di questo passaggio, già scontato dal mercato,è l'intero meccanismo
del Quantitative easing ad essere in discussione. L'azionista di maggioranza dell'Eurozona, la Germania,
forte dello rialzo dell'inflazione vuole un cambiamento di rotta. Il che porterebbe non solo l'ulteriore salita dei
tassi. Ma, soprattutto, maggiore instabilità. In particolare peri Paesi dell'Europeriferia. Mario Draghi ne è
consapevole e punta a mantenere la barra dritta. Anche perchè, analizzando l'inflazione prevista tra5 anni
sul quinquennio successivo (un indicatore molto seguito dalla Bce) l'aumento stesso dei prezzi al consumo
non è così consolidato. Quindi, è il ragionamento dell'Eurogovernatore, non è il momento di parlare di
mutamenti drastici nella politica monetaria. La variabile Ue del voto Ciò detto, sul tavolo obbligazionario, c'è
un'altra importante carta. Quella che,a tortooa ragione, maggiormente preoccupa i mercati: l'instabilità
politica legata alle molte prossime elezioni in Europa. Siano esse già in calendario oppure solo probabili
(come in Italia). Ebbene su questo fronte il focus degli esperti è sulla seconda economia dell'Unione: la
Francia. Proprio ad inizio della scorsa settimana, anche e soprattutto in scia alla notizia che i sondaggi
stimano il Front National in testa al primo turno delle presidenziali, gli spread sono balzati all'insù. E l'onda
lunga della tensione è comunque rimasta. La differenza di rendimento tra il decennale di Parigi e quello di
Berlino è passata da 66,7 punti base (venerdì3 febbraio) alla quota di 74,4 della settimana dopo. Certo: il
rendimento del governativo francese nonè aumentato. E, però, è tornato a scendere quello tedesco: dallo
0,4% è passato allo 0,3%. Il segno, inequivocabile, del continuo «fly to quality» messo in atto dal mercato. Il
motivo? La paura generalizzata che l'eventuale avanzata delle forze anti•euro possa dare la picconata
definitiva ad Eurolandia. In tal senso non è un caso che, lo scorso lunedì, il tasso del BTp decennale (come
quello del Bonos spagnolo) sia balzato all'insù. È vero: la notizia dell'avanzata del Front National riguarda la
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Francia e l'eventuale «Frexit». E, tuttavia, l'effetto domino siè immediatamente esteso al Belpaese. Il quale,
oltrea dovere gestire un debito intorno al 130% del Pil, ha due nuovi rischi: la possibile procedura
d'infrazione da parte dell'Ue sui conti pubblicie le elezioni anticipate. Oltre a ciò si aggiunge un'altra
variabile: il perenne riaffiorare del fiume carsico del caso•Grecia. Venerdì pareva che le trattative per
sbloccare i prestiti fossero ben avviate. Ieri, però, la situazione è tornata complessa. In un simile contesto
ben si capisce il perchè del nervosismo sui titoli di Stato di Eurolandia (eccezion fatta per il Bund). Il
Treasurye Trump Fin qui alcune indicazioni sul Vecchio continente. Tuttavia, sull'altra sponda dell' Atlantico
le novità non mancano. Il presidente Usa Donald Trump, sfruttando essenzialmente la retorica, ha
parecchio influenzato i mercati. Dal giorno della sua elezione il tasso del Treasury decennale è passato da
circa l'1,8% al massimo del 2,6% (15/12/2016). I motivi? Semplici: in primis l'attesa per l'accelerazione
dell'economia promessa dallo stesso Trump. Poi: la scommessa che, nonostante la volontà della Casa
Bianca di indebolire il dollaro, la Fed ritoccherà ancora all'insù il costo del denaro. «Un'impostazione •
spiega Antonio Cesarano, economista di Mps Capital Services• "certificata" dal rapporto tra le posizioni
speculative al rialzo e al ribasso legate al future sul Treasury». Ebbene: attualmente il saldo è «fortemente
negativo. Il che vuole dire, al di là dei movimenti tecnici, che gli operatori si attendono l'ulteriore stretta».
Già, l'ulteriore stretta. L'eventuale mossa,a ben vedere, impatterebbe soprattutto sugli investitori domestici.
Secondo i più recenti dati, infatti, la quota di Treasury in mano agli stranieri è scesa nel novembre scorso
sotto il 30% (la prima volta dal 2009). La dinamica, a detta degli esperti, deriva da un cocktail di fattori. Il
primo è la ritirata,a causa dei bassi tassi, dei fondi pensione. Poi, di quelli sovrani. Infine delle strategie
delle banche centrali. Così il pensiero corre alla People Bank of China (Pboc). Questa, nell'intento di
contrastare il rialzo dello yuan verso il dollaro, ha dismesso parte delle sue riserve in dollari. Valea dire: ha
venduto Treasury. Con il che viene, però, da domandarsi: comè possibile, allora, il flusso di capitali verso
gli Usa indicato da Epfr Global? La risposta è duplice: dapprima l'appetito degli operatori si è focalizzato sui
bond emessi dalle aziende. E, poi, i dati sugli investitori stranieri risalgono a novembre. In realtà, come
mostra il calo del tasso del Treasury da metà gennaio in poi, l'appeal del bond americanoè risalito.
FLUSSI DI CAPITALI
Per Epfr Global, da inizio anno, il valore netto sui fondi obbligazionari statunitensi è arrivatoa 35,5
miliardi di$ Quello sull'Uea 1,38 miliardi
LA PAROLA CHIAVE
Spread 7 Con questo vocabolo si intende la differenza tra due rendimenti di asset. Di recente è molto usato
con riferimento ai tassi dei titoli di Stato. In particolare quelli del BTp decennale e del Bund (sempre
decennale). Qui è la differenza tra il tasso d'interesse pagato dai titoli di Stato italiani (i BTp) e quelli
tedeschi (i Bund). Più un titolo di Stato viene percepito dagli investitori rischioso, più è costretto ad offrire
tassi d'interesse elevati per attrarre acquirenti.
Spread, flussi sui fondi obbligazionari e rendimenti
195
138
74
3.485,7
1.380,2
0,315
1,044
+6,5
+0,7
115
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36
209.786,1
37.812,0
35.565,3
7.068,3
2,407
1,252
1,680
2,255
+9,8
+7,5
+1,2
+1,1
Differenziale dei rendimenti dei titoli di Stato decennali rispetto al Bund. Dati in punti base LO SPREAD
Spagna Italia Francia 35 D N O S A L G M A M F 2016 FLUSSI NETTI SUI FONDI OBBLIGAZIONARI Dati
in milioni di dollari All Emerging Markets-FF-Bond 2016 Fonte: FBR Global Stati Uniti DA INIZIO ANNO
(2017) Italia Usa-North America-Bond 2016 I TITOLI DI STATO A 10 ANNI Rendimento in percentuale e
variazione in punti base Spagna DA INIZIO ANNO (2017) Regno Unito '17 Western Europe-FF-Bond 2016
Francia Italia Spagna Francia 10 febbraio DA INIZIO ANNO (2017) Germania
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Mercati globali I risparmi dalla riduzione dei tassi Nel 2016 spesa a 66,5 miliardi contro gli 83,5 di 4 anni prima. Risparmi cumulati per 47,6 mld La manovra Sui 3,4 miliardi indicati da Bruxelles, 1,5 attesi dalle accise Ma un aiuto potrebbe arrivare dalla revisione del Pil 2016 CONTI PUBBLICI E TRATTATIVA CON LA UE
Interessi sul debito, calo record di 17 miliardi sul 2012
Governo al bivio sul ricorso alle tasse sulla benzina per la correzione dei conti pubblici chiesta dalla Ue Davide Colombo Marco Rogari
ROMA pNon ci sono soloi 19 miliardi di maggiori entrate garantiti dal programma di contrasto all'evasione
fiscale. A consolidare i saldi di finanza pubblica del 2016 concorre anche un ottimo risultato sul fronte della
spesa per interessi sul debito. Secondo le prime stime queste uscite, contabilizzate per competenza, si
sono fermate a 66,5 miliardi, facendo così realizzare al Tesoro un risparmio di 17 miliardi rispetto al livello
raggiunto nel 2012 e di 47,5 miliardi in termini cumulati nel quadriennio in questione. Nel "Rapporto sui
fattori rilevanti" che influenzano la dinamica del debito pubblico inviato a Bruxelles il 1° febbraio scorso
insieme con la lettera del ministro Pier Carlo Padoan al vicepresidente Valdis Dombrovskis e al
commissario Pierre Moscovici, si indicava un calo del 4% degli oneri per interessi tra il 2015 e il 2016 (dal
3,20% al 3,06%) e una ancor più significativa riduzione del costo marginale all'emissione, caduto del 21%
dallo 0,7% nel 2015 allo 0.55% nel 2016, una differente velocità di riduzione spiegata dalla struttura del
nostro debito, caratterizzato da una presenza significativa di titolo di lunga durata (la vita media è di 6,7
anni). Sia in quel documento sia nelle Linee guida per la gestione del debito nel 2017, pubblicate il 23
dicembre scorso, si sottolineava come l'allungamento della vita media del debito sia riuscito ad attutire gli
impatti di un innalzamento anche repentino della curva dei tassie come, per un altro verso, anche grazie al
Quantitative easing annunciato dalla Bce nel gennaio del 2015 il peso degli oneri per interessi si sia via via
attenuato. L'Italia come gli altri paesi dell'Eurozona, continua a beneficiare degli effetti del Qe, che prevede
acquisti mensili per 80 miliardi fino a marzo per poi scendere a 60 miliardi. La dinamica della minor spesa
per interessi fa ben sperare in prospettiva, visto che quest'anno le esigenze di finanziamento saranno
superiori. Le scadenze 2017 sono pari, infatti, a poco meno di 216 miliardi di euro (escludendo i BoT), ossia
oltre 30 miliardi in più del 2016, di cui circa 3,3 miliardi derivanti dal programma estero. Intanto i tecnici del
Governo continuano a lavorare al menù delle misure per la manovrina correttiva da 0,2 punti di Pil (circa
3,4 miliardi) chiesta dalla Ue. Tra le opzioni c'è quella del varo di un decreto entro la fine di febbraio per
recuperare almeno 1,6•2 miliardi: 1,5 miliardi arriverebbero da un aumento delle accise su carburanti (fino a
2 centesimi) e tabacchi e da una primo "antipasto" di tagli alla spesa. Secondo questo schema tecnico, che
sarebbe gradito a Bruxelles, le altre misure dovrebbe essere presentate entro la fine di aprile. Il pacchetto
comprenderebbe l'altra fetta di tagli semi•lineari alla spesa, che complessivamente dovrebbero garantire
8•900 milioni insieme a una prima mini•potatura di crediti d'imposta considerati inefficaci,e gli interventi per
circa 1 miliardo di contrasto all'evasione Iva. A partire dalla proroga e dal rafforzamento dello split payment.
Ma in questa fase più che tecnica la partita è politica. Il leader del Pd, Matteo Renzi, non gradisce la tabella
di marcia abbozzata dal ministro Pier Carlo Padoan e, soprattutto, è nettamente contrarioa qualsiasi
aumento delle accise e delle tasse in genere. Nona caso la questione sarà affrontata domani nel corso
della direzione del Pd, alla quale parteciperà anche Padoan. Un appuntamento sul quale ha già puntato i
suoi riflettori Bruxelles.
Oneri sul debito in calo
83.566 GLI INTERESSI PASSIVI L'andamento degli interessi passivi pagati dallo Stato sul debito pubblico
è calato dal 2012, anno del picco massimo con quasi 84 miliardi pagati dal Tesoro, anche per effetto della
politica della Bce che nel marzo del 2015 è culminata nel programma di quantitative easing 90 80 70 60 -
5.998 77.568 -9.229 74.337 -15.350 68.216 -17.088 66.478 -47.665 Risparmi cumulati 2013-16 su 2012
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Logistica. Accordo azzerato dopo la mancata intesa sui 180 esuberi del gruppo
Fercam rinuncia ad Artoni
Ilaria Vesentini
REGGIO EMILIA Sono saltate le nozze tra Fercam e Artoni, annunciate lo scorso 10 gennaio, che
avrebbero dato vita al big italiano della logistica da 900 milioni di fatturato e 2.200 dipendenti. La
multinazionale bolzanina di trasporti ha azzerato gli accordi (e l'offerta da 60 milioni di euro) per rilevare la
storica azienda reggiana, da due anni in grave affanno finanziario, a causa della mancata intesa sugli
esuberi. La condizione dirimente posta dal presidente del gruppo Fercam, Thomas Baumgartner, per
finalizzare il contratto di affitto e successivo acquisto di Artoni • la firma dal notaio era in programma per
domani, lunedì 13 febbraio • era infatti l'ok dei sindacati al passaggio di soli 400 addetti, sui circa 570 totali
di Artoni, nella nuova società FercamArtoni Srl. «Erano previste anche clausole come la tenuta dei livelli di
fatturato e il mantenimento di figure apicali in Artoni - precisa Baumgartner - chei fatti di queste settimane
stanno smentendo, perché le attività stanno crollando ed è in atto un fuggi fuggi di manager. Motivo per cui
ho anticipato di 15 giorni la data dell'atto notarile prevista il 1° marzo, per arginare l'emorragia. Ma il no dei
sindacati alla nostra offerta di assorbire i due terzi del personale, definendo il perimetro in Italia delle 39
sedi Artoni da salvare,è inaccettabile. Peri 170 esuberi ho offerto di raddoppiare il sussidio di
disoccupazione, portandolo da 900a 1.800€ al mese». Massima disponibilitàa riprendere il dialogo,
replicano i sindacati che da mesi sperano in un cavaliere bianco per Artoni, «ma noi siamo chiamati a
svolgere una funzione all'interno di percorsi normati dalla legge- spiega Danilo Morini, della segreteria
nazionale Filt Cgil - e il dimensionamento degli organici si discute partendo da un piano industrialee
trovando gli strumenti più idonei a risolvere la crisi nel modo meno traumaticoe più propedeutico alla
riqualificazione delle persone. Fossimo usciti da quel percorso, accettando ex ante un out•out, avremmo
creato un precedente pericoloso per il nostro ruolo di tutela sociale». «Non ci possiamo permettere picchetti
e scioperi in azienda che paralizzano l'attivitàchiude il presidente Fercam - dobbiamo salvaguardare i nostri
1.779 dipendenti,i 2.300 collaboratorie la sostenibilità del business».
2.500 L'indotto di Artoni Lavoratori che si sommano ai 570 addetti diretti del gruppo reggiano
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/02/2017 73
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Riassetti. Avanza la cessione di sofferenze
Carige pronta a cedere Npl e a presentare il piano in Bce Prime ipotesi di
aumento
Raoul de Forcade
GENOVA pSull'onda dei risultati di bilancio 2016 presentati venerdì, che hanno messo in evidenza un
risultato netto negativo per oltre 297 milioni, Carige prosegue la marcia per la cessione dei non performing
loans (Npl), in attesa di consegnare un nuovo piano industriale alla Banca centrale europea (il precedente
risaliva a luglio). Francoforte lo attende per il 28 febbraioei vertici dell'istituto stanno lavorando alla messa a
punto definitiva del progetto, che potrebbe comprendere anche un aumento di capitale. Un argomento del
quale si discuterà anche durante la prossima assemblea degli azionisti di Carige, cheè fissata il 28 marzo
dopo la presentazione del piando industriale. L'orientamento della banca, in caso di necessità di
ricapitalizzazione (che appare molto probabile), sarebbe, secondo fonti finanziarie, di affidare agli azionisti
l'impegno di far fronte ai fabbisogni di capitale dell'istituto, che potrebbero essere coperti senza utilizzare
risorse dello Stato ma con emissioni di convertibili o con un aumento di capitale sottoscritto dai privati. Tra
l'altro, nei giorni scorsi, è emersa la possibilità che Generali sia disponibile a convertire, in parte,i bond
subordinati "Perpetual subordinated fixed/floating rate notes" di Banca Carige che ha in portafoglio.
L'importo complessivo dell'emissione, che risale al 2008 è pari a 160 milioni, la metà dei quali è in mano a
Generali. La conversione di circa 80 milioni, dunque, porterebbe Generalia diventare un azionista di peso
nella banca controllata dalla famiglia Malacalza (che detiene il 17,58% delle quote) e amministrata dall'ad
Guido Bastianini. Per quanto attiene agli Npl, la banca sarebbe orientataa cederne2 miliardi entro il 2017.
"La cessione con cartolarizzazione tramite i Gacs • ha sottolineato lo stesso Bastianini parlando con gli
analisti finanziari - richiede tempi lunghi ed è probabile che non si concluda prima di aprile". Prelios credit
servicing a fine gennaio ha portato a termine la due diligence sul pacchetto di Npl da cedere per primo e si
attende ora che si esprimano in merito le società di rating (in pista ci sono Moody's, Standard & Poor'se
Dbrs). L'obiettivo è di accelerare le dismissioni dei crediti deteriorati per ottemperare alle indicazioni di
Francoforte che ne chiede la cessione per 3,4 miliardi entro il 2019. Intanto prosegue il riassetto della
banca, a partire dal management. Da un paio di mesi Arturo Betunio è stato chiamato a ricoprire l'incarico
di Cfo e general counsuel di Carige. Mentre da poche settimane è approdato all'istituto genovese Gianluca
Guaitani, come chief commercial officer (Cco), dopo 26 anni trascorsi nella rete operativa di Unicredit. Si
tratta di manager che avranno il compito di favorire il nuovo modello di business della banca che sarà al
centro del nuovo piano industriale. L'istituto, a quanto trapela, lavorerà per metterea punto un approccio più
moderno con la clientela, puntando a sviluppare il digitale,i call center (ne è stato appena aperto uno in
Romagna)ei punti di consulenza specializzati, che sostituiranno alcune filiali. Su questo fronte, in
particolare, con il rientro in Carige, appena avvenuto, di Carige Italia, sono stati chiusi 40 sportelli in Italiae
altri 40 saranno ora dismessi, soprattutto in Liguriae in bassa Toscana. Sta proseguendo, poi, il riassetto
del settore private banking, con la controllata Banca Ponti che tratterà i clienti sopra i 500mila euro, mentre
quelli che hanno patrimoni finoa 500mila saranno indirizzati al servizio private di Carige.
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/02/2017 74
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Crocieristica. L'ad del gruppo atteso a Parigi per un incontro con il ministro dell'Industria, Christophe Sirugue • Sabato prossimo tappa a Sidney per la maxi•commessa australiana
Fincantieri, missione francese di Bono per Stx
Celestina Dominelli
pL'appuntamento tra l'ad di Fincantieri, Giuseppe Bono, e il ministro dell'Industria transalpino, Christophe
Sirugue, titolare del dossier, era in agenda da un po', per la verità. Insieme al possibile incontro del ceo del
gruppo triestino con il comitato d'impresa di Stx France alle prese con il parere non vincolante
sull'operazione secondo la procedura prevista dalla legge transalpina. La missione di Bo• no oltreconfine si
giocherà lungo due assi, dunque. Tra mercoledì e giovedì, l'ad dovrebbe quindi volare in Francia, forte
dell'appoggio del governo che non ha mancato di far trapelare tutto il suo malcontento davanti alla volontà
di Parigi di non concedere agli italiani la maggioranza assoluta di Stx France. Obiettivo: ribadire, nel faccia
a faccia con Sirugue, che il gruppo non intende entrare in partita senza arrivare a gestire in concreto i
cantieri di Saint•Nazaire. Nessuno ha interesse a far saltare il banco. Non Fincantieri, che trarrebbe enormi
vantaggi dal deal acquisendo di fatto la possibilità di realizzare anche le maxi•navi grazie all'enorme bacino
di carenaggio di Saint•Nazaire. E nemmeno Parigi, che, già nel 2006, bloccò l'iniziativa di Bono
preferendogli i coreani che avrebbero portato quei cantieri sull'orlo del baratro se non fossero giunte le
maxi•commesse di Msce Royal Caribbean. Il governo francese si muove dunque sulle sabbie mobili, stretto
tra l'esigenza di chiudere prima delle presidenziali di fine aprile per evitarei possibili sconquassi della
campagna elettorale • in cui si è già distinta la fiammata nazionalista della candidata Marine Le Pen che
spinge affinché lo Stato salga al 51% • e la necessità di non far fuggire l'unico acquirente finora emerso
gettando il futuro dei cantieri nell'incertezza. «Noi lanciamo le ideee abbiamo la determinazione per
seguirle. Poi siamo anche coscienti che non tutte le cose riescono, ma abbiamo anche altre strategie di
riserva», ha detto qualche giorno fa Bono. Lasciando intendere che Fincantieri vuole sì giocarsi tutte le sue
chance sulla Francia, ma che Stx è solo un tassello del percorso di internazionalizzazione già solido e che
l'instancabile manager calabrese vuole continuare a implementare. A cominciare dall'Australia, doveè in
ballo una maxi•gara da 25 miliardi di euro e dove il gruppo intende schierare un progetto che ha come base
la fregata multimissione Carabiniere della Marina Militare, approdata nei giorni scorsi sulle coste
australiane. Per questo motivo, sabato prossimo il ceo dovrebbe arrivare a Sidney, penultima tappa
australiana della campagna navale della Carabiniere, per spingere la candidatura italiana (in corsa ci sono
anche Navantiae Bae Systems). E, negli stessi giorni,è atteso anche il ministro della Difesa, Roberta
Pinotti, che incontrerà l'omologo australiano, Christopher Pyne, e altri membri del governo e, domenica
prossima, visiterà la fregata.
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/02/2017 75
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Risparmio. Avviati alcuni colloqui informali per capire se il mercato è interessato a rilevare il 40% dell'sgr in mano alle due banche
Veneto Banca e Bpvi aprono il dossier Arca
Bper in pole position: primi contatti ufficiosi - Il nodo chiave della valutazione dell'asset Luca Davi Laura Galvagni
pVeneto Bancae Popolare di Vicenza riaprono il dossier Arca. I due istituti, impegnati in un complesso
piano di rilancio che passerà da una nuova ricapitalizzazione che potrebbe aggirarsi tra 2,5e3 miliardi di
euro ma il cui ammontareè oggetto di confronto con la Bce, avrebbero avviato alcuni colloqui informali per
sondare l'interesse del mercato a rilevare le rispettive quote del 19,9% nella società di gestione del
risparmio. I candidati naturali ad acquistare la partecipazione, complessivamente pari a poco meno del
40%, sono evidentemente i soci già presenti nell'assetto azionario della società, che peraltro possono
anche vantare una sorta di diritto di gradimento in caso di cessionea terzi delle quote. Il riferimentoè
ovviamente a Bper, oltre che a Popolare di Sondrio. Giusto qualche giorno fa, il ceo della popolare
emiliana, Alessandro Vandelli non ha fatto mistero dell'interesse che la banca ha verso l'asset: «Per noi è
strategica• ha spiegato il manager • Siamo il maggiore distributore di prodotti Arcae il principale azionista con
una partecipazione del 32,7%. Ne consegue che spero di avere l'opportunità per analizzare il potenziale
deal in futuro». Il futuro, peraltro, potrebbe non essere neppure tanto lontano. Le parti hanno già avuto
modo di confrontarsi, sebbene in maniera ufficiosa, e, se tuttii tasselli dovessero finire al posto giusto,
l'operazione potrebbe vedere la luce entro un mese. Nodo chiave, naturalmente, è la valutazione dell'asset.
E in questo caso, come spesso accade, le esigenze potrebbero non essere per• fettamente coincidenti.
Obiettivo di Bper, scontato dirlo, è trovare la corretta stima della partecipazione delle due venete, due
banche la cui debolezza rappresenta pur sempre un'incognita rispetto alla capacità futura di distribuzione
dei prodotti della sgr. L'acquisto da parte della banca modenese sarebbe invece coerente con un
rafforzamento sul fronte del risparmio gestito e potrebbe trovare spazio anche nel piano industriale che
l'a.d. Alessandro Vandelli punta a presentare entro l'estate. Ma l'operazione non verrebbe fatta a ogni
costo. Allo stesso modo, Popolare Vicenza e Veneto Banca sono interessate al deal (che fa parte di una
più ampia revisione delle partecipazioni) e vedono la stessa Bper come interlocutore naturale. Tuttavia, non
hanno alcuna urgenza di cedere la partecipazione, tanto più considerata la fase assai impegnativa che le
attende. Come detto, il vertice delle due banche è costantemente impegnatoa Francoforte per trovare la
quadra rispetto alle nuove necessità di capitale e la pulizia degli Npl. Di conseguenza, visto il momento
assai delicato, in mancanza di accordo con le parti, difficilmente Veneto e Vicenza andranno a incaponirsi
su un dossier secondario come può essere la cessione delle quote di Arca. Detto ciò, per restare in tema di
prezzo, merita vengano ricordati almeno due passaggi che hanno interessato l'assetto societario della
società di gestione del risparmio.A novembre 2015 il Banco Popolare ha ceduto il proprio 19,9% a Bper e
Popolare di Sondrio per 95,5 milioni. Successivamente, a inizio 2016, complice l'interesse di alcuni fondi di
private equity, siè aperta una sor• ta di gara per rilevare il controllo della sgr. All'epoca arrivarono sul tavolo
degli advisor diverse proposte. La prima a muovere le acque fu l'americana Atlas Merchant Capital,
presieduta da Bob Diamond, che per il 100% arrivò a mettere sul piatto 1 miliardo di euro. Poi toccò ad
Anima che presentò un'offerta non vincolante compresa tra 700 e 800 milioni, e infine il fondo di private
equity inglese Centerbridge cercò di opzionare il 40% della società con una proposta compresa tra i 300 e i
400 milioni. Tutte somme decisamente più rotonde rispetto a quella della transazione chiusa tra il Banco,
Bper e Sondrio. Complice, probabilmente, il riconoscimento di un premio di controllo. Così, per provarea
fare chiarezza in questo caos di cifre potrebbe risultare utile verificare quanto trattano in Borsai competitor
diretti di Arca. Anima, per esempio, quota poco sopra 16 volte gli utili mentre all'estero, stando a
un'elaborazione di Bloomberg, il valore medio può essere prossimo a 20. Applicando gli stessi parametri ad
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/02/2017 76
12/02/2017
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Arca,e tenendo conto dei profitti paria poco meno di 30 milioni registrati nel 2015, potrebbe emergere una
valutazione complessiva compresa tra 480e 600 milioni. A questo punto, molto dipenderà da come si
svilupperà la trattativa e se interverranno o meno soggetti terzi disposti a rilevare il 40% della sgr. Sul
mercato si rincorrono vocinon confermate• di un interesse da parte di fondi di investimentoe della stessa
Anima. Ma resta da capire quale possa essere la ratio di un acquisto di una partecipazione minoritaria della
sgr.
Soci e conto economico di Arca Sgr
90.156
27.844
42.397
-194.837
287.320
92.483 Dati in percentuale I GRANDI SOCI Bper 32,752 50% Popolare Valsabbina 1,511 2% Commissioni
attive 2014 253.427 2015 0 0 Popolare Sondrio 21,137 50% Popolare Valconca Dati in migliaia di euro IL
CONTO ECONOMICO 0,620 2% Commissioni passive 2014 -167.424 2015 0 Popolare Vicenza 19,999
50% Banca Agricola Pop. di Ragusa 0 0,320 2% Commissioni nette 2014 86.004 2015 0 Veneto Banca
19,999 50% Banca di Piacenza 0 0,256 2% Margine di intermediazione 2014 83.611 2015 0 Popolare
Lazio 1,804 2014 50% Banca Pop. di Fondi 0 0,006 39.582 2015 2% Risultato gest. operativa Banca Pop.
Sanfelice 1893 0 1,536 Utile di esercizio 2014 26.225 2015
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/02/2017 77
12/02/2017
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Fca. Marchionne: «Le Autorità nazionali non rispettano gli accordi presi con la Ue»
«Dieselgate? Sistema fuori controllo»
pIl numero uno di Fca, Sergio Marchionne, torna sul caso dieselgate e sulla difficile gestione del tema
emissioni in Europa: «Questo è un sistema che è andato fuori controllo ha detto ieri il manager • , ormai
abbiamo le autorità nazionali che non rispettano nemmeno gli accordi presi con la comunità europea».
Marchionne, a margine di un evento a Balocco, ha sottolineato che «se non riusciamo a rimetterle tutti
insieme per cercare di gestire questo problema diventa un incubo perché dobbiamo andare in venti Paesi a
cercare di giustificare quello che abbiamo fatto». Notizie positive giungono invece per il polo torinese del
lusso di Fca, tra Mirafiori e Grugliasco, su cui tra fine 2018e inizio 2019 potrebbe arrivare la produzione di
una nuova Maserati. Mirafiori, ha tetto ieri Marchionne, «era l'ultimo pez• zo di un lavoro molto dettagliato di
ricostruzione della rete industriale italiana. Alfredo (Altavilla, ndr) e io continuiamo a parlare di questoe della
prossima vettura per la Maserati di Torino nell'insieme tra Grugliasco e Mirafiori». «La macchina arriverà, è
questione di tempo • ha aggiunto il manager • L'abbiamo disegnata, arriverà alla fine del 2018, inizio 2019».
Dichiarazioni che hanno avuto una prima accoglienza positiva da parte dei sindacati. «Le indicazioni dell'ad
Sergio Marchionne, secondo cui Fca sta lavorando a un nuovo modello Maserati per il polo
MirafioriGrugliasco, sono molto positive, poiché con una nuova vettura si avrà finalmente la saturazione del
polo torinese, in continuità con la missione dell'Italia di produrre vetture di alta gamma• ha detto Gianluca
Ficco, segretario nazionale Uilm • Confidiamo che la salita produttiva avvenga entro la fine del 2018, così da
non incappare nel nuovo limite di utilizzo degli ammortizzatori sociali imposto dal Jobs Act».
Fca Andamento del titolo a Milano 10,5 10,0 9,5 9,0 8,5 10,15 10/01 10,15 10/02
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/02/2017 78
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Auto. Da brand di secondo piano della Volkswagen, la casa spagnola è tornata a generare profitti
Seat svolta nei suv e fa il pieno di utili
Mario Cianflone
pDa brand di secondo piano a stella del gruppo Volkswagen. Il marchio spagnolo dallo scorso anno è in
utile per la prima volta dal 2008 e ha archiviato un 2016 in netto progresso. Dall'altro ha chiuso il 2016 con
un rialzo delle vendite del 2,6% oltre quota 410mila vetture ed è il miglior dato dal 2007 e che evidenzia una
crescita dal 2012, anno dell'inizio della svolta del marchio pari a quasi il 28 per cento. La casa di Martorell
sta iniziando a beneficiare del scelta di sbarcare nel segmento dei suv di fascia media. L'Ateca, primo sport
utility del brand iberico con 24.200 unità vendute da luglio ha infatti contributo al rialzo delle vendite che nel
secondo semestre, proprio in concomitanza con l'arrivo del nuovo modello dell'anno sono cresciute infatti
del 5,3 per cento. Ora la sfida si chiama Ibiza. Seat infatti ha svelato in questi giorni la nuova compatta che
si troverà a competere in un momento di rilancio del segmento B con il lancio di mostri sacri del settore
come Ford Fiesta e Nissan Micra. Ed è proprio in occasione del debutto della nuova Ibiza che Luca De
Meo, amministratore delegato di Seat, ha confermato i piani per l'elettrificazione. Per vedere su strada una
Seat a zero emissioni si dovrà attendere il 2019. «Guido da qualche mese un prototipo elettrico e nel 2019
usciremo con la prima auto elettrica» ha sottolineato l'ad di Seat. Nello stesso periodo arriverà anche una
versione ibrida, molto probabilmente in abbinamento alla nuova generazione di Leon. Oltre all'introduzione
di nuove alimentazioni, un punto fondamentale per la crescita di Seat è la percezione da parte della
clientela. E qui il marchio deve migliorare la sua immagine e ha molto lavoro da fare. «Abbiamo un livello di
qualità molto elevato ma il mercato non lo ancora capito - ha ricordato De Meo - e la strada giusta è
proporre modelli come l'Ateca. Non vogliamo fare proclami ma proporre modelli che conquistino gli
automobilisti». Altro aspetto interessante riguarda l'età media dei clienti Seat, 10 anni più giovane rispetto
alla media europea pari a 54 anni, ed una percentuale di conquista molto alta (6 su 10 sono nuovi)
caratteristica che rende Seat come il marchio più appetibile per accedere al gruppo Volkswagen. «questo
non vuol dire essere un marchio cheap, ma fare auto in grado di attrarre nuovi clienti che successivamente
punteranno ad esempio su Audi». In questo processo di sostegno al valore del marchio, Seat punta sulla
tecnologia. Tra due settimane non a caso sarà presente al Mobile World Congress di Barcellona, a ribadire
il ruolo della connettività nell'automotive e per fare leva su una clientela più giovane impone che impone al
marchio precise scelte in fatto di soluzioni di integrazione tra smartphone e vetture. E la nuova generazione
di Ibiza fa appunto leva sull'hi•tech. Nel futuro del marchio c'è un secondo suv, più compatto, battezzato
Arona mentre fra gli obiettivi non ancora raggiunti l'espansione in nuovi mercati, a partire dal bacino del
Mediterraneo e dal Nord Africa. Sul tema caldo, e largamente esasperato della guida autonoma, il ceo di
Seat invece "frena" e sta con i piedi, anzi le ruote per terra: «Non vedo una Seat -dice• in grado di guidare
da sola ma siamo focalizzati sulla sicurezza e sui sistemi di ausilio alla guida. Potremmo beneficiare delle
tecnologie del gruppo e montarle sui futuri modelli in arrivo».
EMISSIONI ZERO
Il numero uno De Meo: «Guido da qualche mese un prototipo elettrico e nel 2019 usciremo con la
prima auto elettrica»
Foto: Luca De Meo
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/02/2017 79
11/02/2017
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FOCUS BANCHE
L'onda lunga degli Npl e la sfida redditività
Fabio Pavesi
Per le banche italiane, a livello di risultati di bilancio, le lancette dell'orologio sono tornate indietro. Il 2016
ha visto infatti una caduta pesante della redditività netta. Le perdite per quasi 15 miliardi cumulate dalle
principali banche annullano in un colpo solo, quel rimbalzo del 2015 quando il sistema bancario era riuscito
nel suo insieme a recuperare profitti netti per quasi 6 miliardi. Il brusco stop deve la sua genesi ancora una
volta al problema principe delle nostre banche che era, ed è, quello delle sofferenze. Per il futuro molti
sperano che i tassi in rialzo a livello globale aiutino un recupero dei margini d'interesse. u pagine 17•19 Per
le banche italiane, a livello di risultati di bilancio, le lancette dell'orologio sono tornate indietro
drammaticamente a un'epoca che sembrava definitivamente alle spalle. Il 2016 ha visto infatti una caduta
pesante della redditività netta. Le perdite per quasi 15 miliardi cumulate dalle principali banche annullano in
un colpo solo, quel rimbalzo (rivelatosi oggi effimero) del 2015 quando il sistema bancario era riuscito nel
suo insieme a recuperare profitti netti per quasi 6 miliardi. Era apparso a tutti cone un segno di svolta, dopo
il quadriennio horribilis della crisi più nera, quello dal 2011 al 2014, che aveva visto cumulare perdite per
l'universo bancario di oltre 52 miliardi di euro. Un bagno di sangue che aveva costretto gli istituti alle
massicce ricapitalizzazioni di quegli anni. Si torna punto e a capo? Ci si inoltra di nuovo in un tunnel buio di
redditività azzerata? Difficile dirlo. Il brusco stop deve la sua genesi ancora una volta al problema principe
delle nostre banche che era, ed è, quello delle sofferenze. Ancora una volta sono le perdite sui crediti in
default ad aver affossato l'ultima riga di bilancio. In molti casi soprattutto tra le banche malate le sole
rettifiche sulle sofferenze e incagli hanno finito per mangiarsi l'intera torta dei ricavi. Quando è così, difficile
trovare contromisure adeguate ad evitare il bagno delle perdite. Si dirà che hanno concorso alla nuova
stagione in "rosso" anche la contrazione dei margini di interesse che ha investito tutte le banche, dati i tassi
a zero. Ma è una verità parziale. Continua u pagina 19 La caduta dei ricavi dall'intermediazione di denaroè
stata in realtà negli ultimi anni compensata dal buon andamento dei ricavi da commissioni e trading.I
guadagni sui BTpe sulle fee di ogni tipo hanno di fatto tenuto ferma la linea dei ricavi totali. Da un annoa
questo partee per il futuro quella benzina ha cominciato a venire meno. I guadagni sul trading di titoli di
Stato sono dietro le spalle così come non si può esten• dere all'infinito gli introiti da commissioni e servizi.
Per il futuro molti sperano chei tassi in rialzoa livello globale aiutino un recupero dei margini d'interesse. Ma
la staffetta nella linea dei ricavi può fare ben poco se la coda lunga delle sofferenze e degli incagli
continuerà a tormentare i sonni dei banchieri.I tassi di copertura degli accantonamenti sono aumentati un
po' ovunque, ma resta il fatto che l'Italia resta in Europa, tra i Grandi Paesi, quello con il livello di crediti
malati più alto. Quel 18% di crediti deteriorati lordi sugli impieghi (e quel 10% al netto delle svalutazioni già
operate) ci pone tuttora su livelli più che doppi rispetto agli altri. Se si dovesse allineare il datoa valori meno
patologici gli analisti stimano un fabbisogno di nuovo capitale tra i 40 e i 55 miliardi nelle ipotesi più
aggressive. Ovvio che quel processo di smaltimento non può avere tempi troppi stringenti pena vendere a
prezzo di sconto le sofferenze con ulteriori perdite. Vero anche che non si può procrastinare troppo a lungo,
dato che quella zavorra immobilizza capitale e non libera spazi per nuovo credito. Il fallimento ormai palese
di Atlante a fare da mercato di equilibrio per gli Npl getta più di un'ombra sul futuro. È vero che c'è lo scudo
di Stato da 20 miliardi, ma nonè detto che basti. Non tanto a salvare le banche in odore di crac, maa
restituire fiducia al mercato che guarda alle banche italiane con quel Roe ancoraa zeroe si chiede se
investirei propri denari su di loro.
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/02/2017 80
11/02/2017
Pag. 1
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TRUMP, PETROLIO E CRESCITA
Dimezzati i bond «sottozero»
Vito Lops
Un po' per Trump, un altro po' per il petrolio, certo è che l'universo dei tassi globaliè profondamente
cambiato nel giro di qualche mese. Continua u pagina 2 pLo scorso agosto l'ammontare dei bond globali
che viaggiavaa tassi negativi (per cui i possessori pagavano un interesse anziché riceverlo del debitore)
aveva raggiunto la soglia paradossale di 13mila miliardi di dollari. A fine novembre• quando si fermano le
rilevazioni Bloomberg in tal senso • l'ammontare si è ridimensionatoa 7,6 miliardi di dollari. Ed è molto
probabile, considerato che oggi il rendimento medio globale dei bond • sintetizzato dal Bloomberg Barclays
globalagg total return index• viaggia sui livelli di fine novembre, ovvero intorno all'1,6%, che l'ammontare dei
bond negativi sia tuttora intorno ai 7mila miliardi. Oltre il 40% in meno rispetto alla scorsa estate. Cosaè
cambiato nel frattempo? Cosa ha spinto circa 6mila miliardi di bond sottozero a tornare a esprimere tassi
positivi? Cosa ha spinto il tasso medio dei bond globali a passare dall'1,1% estivo all'1,6% invernale? Il
fattore scatenante è legato al cambio di marcia della politica monetaria globale. La prima a modificare la
strategiaè stata la Bank of Japan che il 21 settembre ha introdot• to il "Qqe", affiancando alla "Q" di
"quantitative" la "Q" di "qualitative", easing. Una politica sempre espansiva ma con acquisti mirati sulla
parte lunga della curva dei tassi, con l'obiettivo di riportaa zero il tasso del decennale. Detto fatto.A poche
ore dall'an• nuncio, quello nipponico è stato il primo bond decennale ad uscire dalle sabbie mobili della
negatività. Un mese dopo ci hanno pensato la vittoria di Trumpe le forti politiche fiscali espansive promesse
dal 45esimo presidente degli Usa a fare il resto. Gli investitori hanno compreso il movimento di staffetta in
corso tra banche centrali (prontea chiuderei rubinetti)e governi (pronti a riaprirli attraverso politiche fiscali
più morbide) e hanno agito di conseguenza, vendendo un'ampia fetta di bonda tassi negativi tenuti
artificialmente così bassi in precedenza proprio dalle larghe politiche delle banche centrali. Così anche il
Bund tedesco decennale è tornato sopra la parità (oggi quota 0,3% mentre ad agosto eraa •0,1%). Stesso
discorso peri titoli di Olanda (oggi allo 0,5%) e Austria (oggi allo 0,4%) che per qualche giorno la scorsa
estate erano finiti sottozero. Nella curvaa 10 anni l'unico "superstite" sottozero è il bond governativo
svizzero che oggi esprime un rendimento paria •0,12%. Ma va detto che anche in Svizzera • dove la Banca
centrale mantiene il costo del denaro ampiamente sottozeroe cioèa •0,75% • il movimento generale di rialzo
dei tassi degli ultimi mesi si è fatto sentire.A ottobre perfino il titoloa 50 anni (scadenza 2064) del Paese
elvetico viaggiava a tassi negativi. Mentre oggi la curva del debito resta sottozero "solo" fino a 10 anni (le
altre scadenze, dai 15 ai 50 anni sono tornate sopra la parità). Anchei tassi dei bond danesi decennali sono
tornati positivi, per quanto la Banca centrale mantenga il costo del denaro a •0,65%. E questo si spiega
attraverso l'altro grande motivo che sta spingendo al rialzoi tassi globali: il processo di reflazione stimolato
dall'impennata del prezzo del petrolio (+85% in 12 mesi). Anche in Danimarca è tornata l'inflazione: a
gennaio allo 0,9% su base annua, come non ac• cadeva dal 2013. Nell'area euro il livello dei prezzi è salito
dell'1,8%, un balzo quantico se si considera chea maggio 2016 si parlava ancora di deflazione. Negli Usa
l'inflazione si attesta ora al 2,1% (come in Cina), come non accadeva dal 2014. Il mercato dei bond non può
che adeguare i rendimenti a questo scenario mutato di "reflazione". Va però detto che, come il colesterolo,
c'è un'inflazione buona (stimolata dall'aumento dei salari) e una cattiva (innescata dall'aumento dei prezzi
delle materie prime).E che per orai bond sono stati trascinati solo da quella cattiva che però ha breve
respiro (non è possibile immaginare che ogni anno il prezzo del petrolio cresca). Pertanto, prezzando
anche nei rendimenti a medio•lunga scadenza una ripartenza dell'inflazione, gli investitori stanno puntando
che in futuro anche l'inflazione buona (oggi ferma nell'Eurozona intorno allo 0,9%) si normalizzerà. Ma è
giusto sapere che al momento è solo una scommessa.
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/02/2017 81
11/02/2017
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LA GRANDE SVOLTA
A far risalire i tassi d'interesse le aspettative globali su inflazione e crescita: ora l'unico decennale
superstite sottozero è quello svizzero
LA PAROLA CHIAVE
Reflazione 7 Il termine reflazione indica un moderato ritorno all'inflazione dopo un periodo di deflazione. A
scatenare la reflazione può essere l'iniezione di una maggior quantità di moneta da parte delle banche
centrali e una ripresa economica. Questo è proprio lo scenario attuale: dopo una lunga fase di disinflazione
o di deflazione, a livello globale il costo della vita è tornato a salire. I motivi sono vari. Gioca a favore della
reflazione il rincaro del prezzo del petrolio, ma anche l'aspettativa di ripresa economica guidata da politiche
fiscali più espansive.
Il rialzo dei rendimenti Dati in percentuale AMERICHE Usa Canada Brasile Messico Argentina EMEA
Regno Unito Francia Germania Italia Spagna Portogallo Svezia Olanda Svizzera Grecia Danimarca Austria
ASIA/PACIFICO Giappone Australia Nuova Zelanda Corea del Sud Rendimenti a 10 anni Il 10/02/2017 Il
10/08/2016 2,4198 1,704 10,410 7,400 1,980 1,272 1,050 0,329 2,266 1,696 4,105 0,645 0,521 -0,127
7,391 0,384 0,606 0,084 2,714 3,225 2,150 1,509 0,992 11,820 5,870 2,700 0,529 0,106 -0,107 1,076
0,947 2,749 0,068 -0,012 -0,535 8,356 0,060 0,052 -0,099 1,880 2,180 1,390
Foto: .@vitolops
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/02/2017 82
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CRESCITA E MANOVRA
I risultati delle riforme «lunghe» (da completare)
Giorgio Santilli
Il buon dato della produzione industriale di dicembre (+6,6%) conferma che la congiuntura di fine 2016 va
meglio e potrebbe spingere il Pil dello scorso anno oltre la previsione dello 0,8%: uno 0,9%o addirittura un
1%• lo capiremo martedì prossimo con la previsione Istat del quarto trimestre • avrebbero effetti positivi di
trascinamento sul 2017e aiuterebbero ad avvicinare le posizioni di Roma e Bruxelles sulla discussione della
manovrabis correttiva, riducendone l'importo in valori assoluti sotto i 3,4 miliardi inizialmente richiesti. Un
altro dato positivo di questi giorni è quello della lotta all'evasione che nel 2016 ha consentito di recuperare
19 miliardi. Il risultato è il frutto di un'azione di lungo corso che ha via via migliorato il trend e • al netto delle
una tantum • ha stabilizzato e rafforzato un'azione di governo fondamentale per allargare la base imponibile
e ridurre le tasse a chi le paga regolarmente. Ancora: qualche giorno fa la Consip ha chiuso la prima gara
nazionale per l'acquisto di siringhe. Abbiamo un prezzo nazionale della siringa, è un risultato magari
simbolico ma a suo modo straordinario di come pratiche che per anni hanno alimentato spesa pubblica
improduttiva possono essere drasticamente cambiate. Per tutti questi obiettivi di politica economica • una
crescita più robusta, la lotta all'evasione, la spending review • l'azione indotta dalle riforme avviate, la
continuità dei programmi di governo oltre il breve periodo, la stabilità politica hanno giocato un ruolo
fondamentale in questi ultimi tre anni. È interesse di chi questa azione ha promosso e avviato lasciare che
si distenda ancora avanti nel tempo per raccogliere tutti i frutti potenziali del circolo virtuoso introdotto.
Bisogna completare un lavoro • si pensi anche al settore bancario • e sarebbe bene riconsegnare al Paese
un sistema economico risanato e riavviato. Se però queste condizioni di stabilità si interrompono, anziché
riscuotere ulteriori risultati dal trend virtuoso, c'è da credere che torneremo ad arretrare. A questi segnali di
miglioramento si contrappone un'atmosfera di sospensione che non fa affatto bene. Continua u pagina 14 u
Continua da pagina1 Una sospensione alimentata da una grande incertezza politica, da un clima elettorale
che portaa preferire slogan ideologici alla considerazione dei fatti.È la sospensione del giudizio di Bruxelles
che in queste ore conferma la volontà di tendere una mano all'Italiaa condizione che assuma impegni serie
li traduca in misure.È la sospensione del giudizio dei mercati, molto nervosi: lo spread crescee seè vero
che l'origine sta nella fragilità europea complessivae nel calendario elettorale anzitutto francese,è
altrettanto vero che le tensioni sul mercato dei titoli di Stato colpisconoi Paesi con un debito più alto, Italia in
testa. Come ha spiegato il ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, il danno reputazionale che l'Italia
subirebbe da una procedura di infrazione Ue si tradurrebbe in aumento del costo degli interessi sul debito.
Basterà ricordarea chi nega la necessità di qualunque manovra•bis che nel 2016 abbiamo pagato interessi
sul debito inferiori di 17 miliardia quanto pagammo nel 2013. Nel triennio 2014•2016 si arrivaa 45 miliardi di
risparmi, non confrontabili coni 3,4 miliardi della manovra correttiva di cui si sta parlando. Anche questo
datoè il frutto di una continuità della politica economica degli ultimi tre anni che si può intestarea Padoane
Renzie ha sempre percorso• con abilità nella trattativa con Bruxelles, con pragmatismoe con la "bandiera"
delle riforme strutturali• il sentiero strettissimo fra una crescita debolee un muro del debito altissimo. Questa
politica affronta oggi una strettoia congiunturale che può creare danni seri all'Italia se le decisioni di fareo
non fare vengono prese sulla base dell'ideologia più che sui dati. La riduzione delle tasse, per esempio, è
stata una delle linee•guida di questa politica economica edè giusto rivendicarlo. Non c'è dubbio che quella
deve continuarea essere la direzione di marciae quando si dice che anche le prossime correzioni ai conti si
dovranno inserire nel quadro definito dal Def si intende dire che gli obiettivi di lungo periodo restano
fondamentali. Per centrare questi obiettivi• riduzione del debitoe riduzione strutturale delle tasse• l'Italia ha
bisogno di non interrompere, e anzi rafforzare, il cammino della crescita. Anche l'obiettivo di cambiare la
politica economica Ue per orientarla alla crescita sarà più percorribile se si tiene alta la credibilità italiana. Il
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/02/2017 83
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punto è allora, rispetto alla strettoia della manovra correttiva chiesta da Bruxelles, non ragionare tanto per
slogan elettorali ma valutare con calma quale sia il mix di misure in manovra che crea meno dannie
consenta di rimettersi in carreggiata per raggiungere gli obiettivi fondamentali di lungo periodo che il
governo ha perseguito in questi anni. In altre parole, quale sia il mix di interventi che meno impatta sulla
crescita. Tagli alla spesa? In astratto sì, ma intervenire sui tagli di spesaa marzoo aprile significa avere
grande difficoltàa tagliare la spesa corrente improduttivae concentrarsi sulla spesa per investimenti.
Tagliare gli investimentiè la scelta più recessiva che si possa fare, quella che più frenerebbe la crescita,
considerando anche che per gli investimenti• pubblicie privati• vale quanto siè già detto per gli altri obiettivi di
politica economica: il risveglio attuale nasce da un'azione faticosissimae costante che dura da annie ha
creato un ambiente fiscale, finanziario, amministrativo più favorevole. C'è ancora molto da fare ma
interrompere oggi quell'azione significherebbe interrompere questo processo. Aumentare le accise su
benzinae tabacchi suona molto manovra da Prima Repubblica,è vero, ma oggi quel che bisogna fareè
valutare pragmaticamente quale sia il male minore sulla crescita. Anche l'Ufficio parlamentare di bilancio ha
detto che il mix di misure studiate dal Tesoro per la manovra•bis ha un impatto sulla crescita
sostanzialmente nullo. Lunedì Padoan sarà alla direzione Pd, invitato da Renzi. C'è da sperare in un
confronto serio. C'è forse ancora uno spazio per una soluzione che faccia il bene dell'Italia.
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/02/2017 84
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Crescita oltre le attese: è il risultato più alto da agosto 2011, meglio di Germania, Francia e Gb
Produzione, a dicembre balzo del 6,6%
Possibile impatto sul Pil 2016 con un rialzo dallo 0,9% all'1% Luca Orlando
PBalzo della produzione a dicembre, con un aumento (oltre le attese) del 6,6% su base annua e dell'1,4%
sul mese precedente: la performance più alta da agosto 2011, meglio di Germania, Franciae Gb.I dati
potrebbero far rivedere al rialzo le stime sul Pil (dallo 0,9% atteso, all'1%). Luca Orlando u pagina 4
MILANO pLa crescita della produzione industriale oltre le attese, un balzo del 6,6% su base annua a
dicembre, potrebbe avere un impatto anche sulla traiettoria prevista del Pil 2016 (martedì il responso Istat),
con l'ipotesi di un progresso dall'0,9 atteso all'1%, oltre le stime del Governo. Il dato Istat, che vede per
l'output su base mensile una crescita dell'1,4%, è largamente superiore rispetto alle stime precedenti del
mercato e rappresenta la miglior performance tra i big continentali, un risultato che supera ampiamente
quanto realizzato da Germania (•0,7), Spagna (+1,9%), Gran Bretagna (+4,3%) e Francia (•0,9% nel dato
mensile). Un progresso in termini percentuali che in queste dimensioni non si vedeva da agosto 2011 e che
migliora in modo significativo il risultato dell'intero anno, con effetti possibili anche sulle stime del Pil
nell'ultimo trimestre. Per trovare un dato migliore (+1,6% tra gennaio e dicembre) occorre tornare al
progresso di oltre sei punti del 2010, rimbalzo tuttavia allora quasi fisiologico dopo il crollo vicino al 20%
realizzato l'anno precedente. Il quinto progresso tendenziale consecutivo mensile (il più robusto dell'anno) è
rassicurante soprattutto perché corale, risultato di miglioramenti che abbracciano tutti i macro•comparti.
Vero è che un contributo rilevante arriva dalla produzione di energia (+11,9%, per effetti climatici e picchi
straordinari in uscita verso la Francia),a cui si affiancano però performance significative anche da parte di
beni intermedi e strumentali, entrambi in progresso di oltre il 7%. Segnale, quest'ultimo, corroborato anche
da uno scatto record del creditoa medio•lungo termine, con nuove operazioni tre 1•5 annie oltrei cinque anni
triplicate a dicembre rispetto allo stesso mese dell'anno precedente , "spia" possibile di una ripresa nel ciclo
degli investimenti (si veda altro articolo in pagina). «Siamo sulla strada del recupero • commenta il ministro
dello Sviluppo economico, Carlo Calenda • ma è un recupero lungo, si consolida un processo di ripresa del
paese e del manifatturiero, un processo che è stato sostenuto molto dal governo lo scorso anno e che
viene sostenuto fortissimamente dalla finan• ziaria per quest'anno». L'area meno brillante nell'output dei
macro•settori è quella dei beni di consumo, anche se l'aumento mensile del 2,3% è almeno sufficiente a
riportare in pareggio il bilancio dell'intero anno. Tra i singoli settori monitorati dall'Istat gli unici a finire in
rosso sono tessile•abbigliamentoe raffinazione di greggio mentre altrove ci sono soltanto segni positivi, in
più di un caso (mezzi di trasporto, metallurgia e computer) anche a doppia cifra. Solo gli apparati elettrici
(+0,7%) galleggiano attorno alla parità mentre per le filiere dell'alimentare, della componentistica e della
meccanica i progressi sono corali e significativi. Rialzo della produzione (+3,4% il dato grezzo di dicembre ,
rivisto al rialzo al 6,6% dall'Istat per tenere conto del calendario meno favorevole) legato probabilmente
anche ad una ripresa dei volumi diretti verso l'estero, come testimoniato dagli ultimi dati sul commercio
extra•Ue, tornato da un paio di mesi in terreno positivo (+4,1% a dicembre) dopo un avvio d'anno disastroso.
Con lo scatto di dicembre, inoltre, l'indice dell'output industriale in Italia riesce a proseguire nel faticoso
trend rialzista avviato a ottobre portandosi a quota 96,5: per trovare un livello superiore (il 100 di riferimento
è il 2010) occorre tornare al lontano dicembre del 2011, un balzo indietro di ben cinque anni. Nel confronto
di lungo periodo i settori paiono muoversi in ordine sparso, con alcuni comparti arrivati già oltre la soglia del
2010, altri quasi in pareggio, altri ancora in deficit pesante. Le difficoltà maggiori sono per
tessile•abbigliamento, legnocarta e apparati elettrici, distanti ancora 20•25 punti dai livelli 2010. A fare da
locomotiva sono invece farmaceutica (113,7), macchinari (104,4) e soprattutto mezzi di trasporto, arrivatia
quota 113,4. Determinante a questo riguardo la ripresa dei volumi produttivi di Fca in Italia, con un output di
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/02/2017 85
11/02/2017
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autoveicoli arrivato a quota 136,6, praticamente il doppio rispetto ai periodo più cupo di fine 2012•inizio
2013. Nel confronto trimestrale, tra ottobre e dicembre la produzione è lievitata dell'1,3% rispetto al periodo
precedente, confermando l'ipotesi di un contributo positivo al valore aggiunto da parte dell'industria anche
nei mesi autunnali. Il che potrebbe essere determinante per spostare verso la parte alta delle previsioni
(+0,2•0,3%) la performance del Pil italiano nell'ultimo trimestre. Sorpresa non trascurabile anche in funzione
del negoziato in corso con Bruxelles, perché al lievitare del denominatore (il Pil), a parità di altre condizioni
per l'Italia migliorano i rapporti che riguardano deficit e debito. Paolo Mameli, senior economist di Intesa
Sanpaolo, per l'intero 2016 ipotizza ora una forchetta di crescita tra lo 0,9 e l'1%, dati rivisti al rialzo anche
oltre le stime del Governo. A questo • spiega Mameli • si aggiunge un effetto positivo di trascinamento per i
primi mesi del 2017, coerente con l'idea di una velocità di crociere di circa l'1% per la nostra economia.
Riviste verso l'alto anche le previsioni di Prometeia, con l'economista Stefania Tomasini e prevedere per
l'intero 2016 una crescita dell'1% e un abbrivio positivo oltre le attese per l'inizio del 2017.
La ripresa dell'industria Dati corretti per gli effetti di calendar io, var iazioni tendenziali %. Dati 2016/2015
Dic Gen Feb Mar Apr Mag Giu Lug Ago Sett Ott Nov 1,1 6,6 1,8 0,5 4,4 1,9 3,3 -0,9 -0,6 -0,3 1,3 3,8
NOI E GLI ALTRI
È il risultato migliore dall'agosto 2011 e surclassa le performance di Germania (•0,7%), Francia (•0,9%) e
Gran Bretagna (+4,3%)
LA PAROLA CHIAVE
Dati destagionalizzati 7 Dati depurati, mediante apposite tecniche statistiche, dalle fluttuazioni attribuibili
alla componente stagionale (dovute a fattori metereologici, consuetudinari, legislativi) e, se significativi,
dagli effetti calendario. Questa trasformazione dei dati è la più idonea a cogliere l'evoluzione congiunturale
di un indicatore
La dinamica della produzione industriale
1,4%
6,6%
2,4%
3,8%
Dati destagionalizzati, var iazioni congiunturali percentuali. Dati 2016 L'INCREMENTO SUL MESE 2,5 2,0
0,5 -0,5 -1,0 -0,8 1,1 0,1 Gen Feb Mar Apr Mag Giu Lug Ago Sett Ott Dati corretti per gli effetti di calendar
io, var iazioni tendenziali percentuali. Dati 2016/2015 L'INCREMENTO SULL'ANNO Gen Feb Mar Apr Mag
Giu Lug Ago Sett ANDAMENTO DEI SETTORI/1 0,5 Dati corretti per gli effetti di calendario. Dic 2016-Dic
2015 Fornitura energia elettrica, gas Fabbricazione di mezzi di trasporto Computer, elettronica Metallurgia
Articoli in gomma e materie plastiche Prodotti farmaceutici Alimentari, bevande, tabacco Altre industrie
manifatturiere Attività manifatturiere Legno, carta e stampa Macchinari e attrezzature Prodotti chimici
Attività estrattiva Coke e prodotti petroliferi Tessili, abbigliamento Fonte: Istat 0,6 1,8 -0,5 -0,2 -0,9 -0,6
+14,9% +12,2% +11,9% +10,8% +9,6% +6,9% +6,0% +5,9% +5,5% +4,9% +4,7% +3,8% +2,1%
Apparecchiature elettriche uso domestico +0,7% -0,6% -4,1% 0,8 -0,3 1,9 4,4 -0,7 1,9 0,1 1,3 1,3 Ott 0,8
3,3 ANDAMENTO DEI SETTORI/2 Nov Nov Dic Dic Dati corretti per gli effetti di calendario. Gen-Dic 2016-
Gen-Dic 2015 Mezzi di trasporto Metallurgia Macchinari e attrezzature Computer, elettronica Altre industrie
manifatturiere Prodotti farmaceutici Articoli in gomma e materie plastiche Attività manifatturiere Prodotti
chimici Fornitura energia elettrica, gas Tessili, abbigliamento Legno, carta e stampa Apparecchiature
elettriche uso domestico Tessili, abbigliamento Tessili, abbigliamento Coke e prodotti petroliferi Attività
estrattiva +5,1% +3,6% +3,6% +3,3% +2,6% +2,2% +2,1% +1,9% +1,4% +1,3% +1,1% -0,9% -1,1% -1,8%
-2,0% -6,2%
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/02/2017 86
11/02/2017
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Manifattura decisiva
Paolo Bricco
pagina 4 Una carta - non trascendentale, ma inattesa e favorevole - da giocare con Bruxelles. Una carta,
naturalmente, manifatturiera. Nella dura partita con l'Unione europea, la dinamica vitale della produzione
industriale di fine anno potrebbe migliorare - di un decimo o di due decimi di punto • il computo finale del Pil
del 2016, con effetti positivi nel rapporto con il debito e il deficit. Fornendo, così, un filo di ossigeno a un
giocatore - l'Italia - che, al tavolo del poker nei negoziati comunitari sulle finanze pubbliche, è in ansia e in
affanno. Il miglioramento della produzione industriale di dicembre - +6,6%, in termini tendenziali - è l'ultima
tappa di una roadmap iniziata lo scorso 25 ottobre quando l'Istat annunciò che, nell'agosto del 2016, il
fatturato totale dell'industria italiana - corretto per gli effetti del calendario - era aumentato anno su anno del
6,8%, con un incremento del 7,9% sul mercato interno e del 4,8% su quello estero. Da allora, una serie di
altri tasselli - per esempio, il saldo consolidato dell'export extra Ue nel 2016 a un soffio dai 40 miliardi di
euro - ha delineato il mosaico coerente di un tessuto produttivo che, nonostante la violenza della crisi
iniziata nel 2008, ha sperimentato nelle sue componenti più virtuose una selezione che, adesso, si sta •
forse propagando all'intero tessuto produttivo. Lo abbiamo scritto molte volte: l'industria italiana è
inchiodata al binomio 20•80, il 20% delle aziende sviluppa l'80% del valore aggiunto nazionale e ad esso si
deve l'80% dell'export. La novità dei dati diffusi ieri dall'Istat abbozza la promessa di una evoluzione
sistemica: nei dati tendenziali corretti per gli effetti di calendario, infatti, l'incremento della produzione
industriale è a vasto raggio e copre tutti i segmenti, dai beni di consumo durevoli e non durevoli (+2,3%) ai
beni strumentali (+7,3%), fino ai beni intermedi (+7,8%). Vedremo se, nei prossimi mesi, questa onda
crescerà ancora aumentando la sua intensità e la sua forza, così da consentire al sistema industriale nel
suo complesso di recuperare posizioni, di consolidarsi e soprattutto di attivare un effetto di trascinamento
che coinvolga anche la maggioranza delle aziende oggi spiaggiata sulla battigia del mercato interno. Il
nostro Paese non riesce a creare lavoro. Le élite sono boccheggianti. L'unica cosa veramente organizzata
sembra la criminalità. Non esiste alcun equilibrio • nella ripartizione delle risorse pubbliche • fra i vecchi e i
giovani. Di sicuro, mentre i mercati tornano ad alimentare lo spread e il rischio politico diventa il principale
sottostante del futuro economico di una Unione europea messa in discussione dai populismi e dagli
interessi nazionali, l'Italia ha questo da offrire,di sano e di stabilizzatore: un sistema industriale che, con tutti
i suoi limiti, è l'addendo sempre presente dell'equazione - spesso irrisolta - della creazione della ricchezza
nazionale. È poco? È molto? Nello sfacelo italiano, è qualcosa.
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/02/2017 87
11/02/2017
Pag. 3
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Mercati globali LA CRISI GRECA Le misure chieste Tagli pari al 2%del Pil per sbloccare i prestiti per pagare sei miliardi di bond in scadenza Le prossime tappe I creditori andranno ad Atene la settimana prossima, il 20 febbraio si terrà l'Eurogruppo
Grecia, intesa Ue-Fondo monetario
I creditori presentano una proposta di compromesso, ma Atene per il momento non la accetta Beda Romano
BRUXELLES. Dal nostro corrispondente pLa Grecia, oggetto di un terzo pacchetto di aiuti finanziari, sta
continuando a tenere sul chi vive i propri creditori. Che ieri hanno incontrato il ministro delle Finanze greco
Euclides Tsakalotos per trovare un accordo con cui chiudere la seconda verifica dell'attuale piano di
aggiustamento, e sborsare nuovi prestiti. L'incontro straordinario è stato definito «costruttivo»; «progressi
sostanziosi» sono stati fatti, ma i nodi principali non sono stati sciolti. Il presidente dell'Eurogruppo Jeroen
Dijsselbloem si è incontrato qui a Bruxelles con il ministro Tsakalotos e i rappresentanti delle organizzazioni
internazionali che stanno monito• rando l'andamento dell'economia greca.I creditori del Paese si sono
accordati per chiedere ad Atene nuove misure di risanamento che tengano conto anche dell'impatto
negativo sull'economia della richiesta di una ulteriore stretta al bilancio. Per ora la richiesta, che include
tagli alle pensioni, non è stata accettata dal governo greco. L'obiettivo dei creditori è assicurare un avanzo
primario del 3,5% del prodotto interno lordo in modo che tra le altre cose il Fondo monetario internazionale
possa tornare a partecipare al programma di aggiustamento economico. Nell'agosto del 2015
l'organizzazione internazionale si era voluta cauta perché convinta che il debito del Paese - circa il 180%
del Pil - fosse troppo elevato. Aveva quindi chiesto una ristrutturazione del passivo o un aumento delle
misure anti•deficit. Poiché i Paesi creditori sono contrari alla ristrutturazione d'emblée del debito, si sono
accordati su nuove forme di risanamento (pari al 2% del Pil greco), che verrebbero pre•adottate per
assicurare che l'obiettivo di surplus primario sia effettivamente raggiunto. In ballo c'è la seconda verifica
dell'attuale programma (2015•2018) da 86 miliardi di euro e quindi un nuovo esborso di prestiti, prima che in
luglio vengano a scadere obbligazioni pubbliche per un totale di sei miliardi di euro. In un breve comunicato
ieri sera, il portavoce del presidente Dijsselbloem ha spiegato: «Vi è chiaro accordo sul fatto che una
tempestiva finalizzazione della seconda verifica è nell'interesse di tutti. Abbiamo fatto progressi sostanziosi
e siamo vicini a un terreno comune». L'Eurogruppo torneràa occuparsi della questione nella sua riunione
del 20 febbraio, nella speranza che entro allora le parti abbiano trovato una intesa. La trattativa avviene
mentre ad Atene le tensioni politiche si toccano con mano. Il governo del primo ministro Alexis Tsipras è
drammaticamente diviso sulla strada da percorrere. Alcuni esponenti governativi, tra cui il ministro
Tsakalotos, sono probabilmente convinti che il risanamento chiesto dai creditori sia il male minore pur di
calmare l'andamento dei mercati, e contribuire a una riduzione dei rendimenti obbligazionari a due anni che
dinanzi alle tensioni tra la Grecia e i suoi partner sono saliti ai massimi da cinque mesi, poco sotto il 9%.
Altri membri del governo non vogliono sottostare alle richieste dei creditori per paura di subire la
contro•reazione degli elettori greci, e minacciano elezioni anticipate in modo da ricattare i partner europei.
L'incertezza politica in Grecia non è da meno rispetto a quella che si vive in alcuni Paesi della zona euro. I
ministri delle Finanze dell'Unione monetaria vogliono chiudere il negoziato con Atene alla prossima riunione
ministeriale, prima di delicate elezioni politiche in Olanda, Francia e Germania. La partita si giocherà la
prossima settimana quando una missione dei creditori si recherà in Grecia per trovare un accordo sulla
seconda verifica del terzo programma economico. Spiegava ieri sera, alla fine della riunione, un
negoziatore: «L'Fmi è oggi pienamente coinvolto nelle discussioni. Se il governo greco dovesse accettare il
pacchetto proposto dai creditori, vi sono buone possibilità perché il Fondo torni a partecipare pienamente al
programma di aggiustamento economico», come voluto da molti Paesi.
TRA OTTIMISMO E CAUTELA
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/02/2017 88
11/02/2017
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Il portavoce del presidente dell'Eurogruppo Dijsselbloem parla di «progressi sostanziosi» verso un
terreno comune, restano molti nodi
LA PAROLA CHIAVE
Avanzo primario 7 Per avanzo primario si intende il saldo contabile che si registra quando il totale delle
entrate del bilancio pubblico risulta superiore al totale delle spese, al netto degli interessi da pagare sul
debito pubblico. Nel caso greco, in base all'accordo raggiunto nel luglio del 2015 con i creditori
internazionali, Atene si è impegnata a raggiungere un avanzo primario del 3,5% entro il 2018. Il Fondo
monetario internazionale ritiene che tale obiettivo sia difficile da rispettare.
Il quadro macroeconomico greco 200 180 160 140 120 100 L'AVAN ZO P RI MA RIO In % del Pil - 3,0 -
1,4 0,4 0 0,2 0,9 1,0 2011 2012 2013 2014 2015 2016* 2017* IL DEBI TO P UBBLI CO In % del Pil 172,1
159,6 177,9 180,9 179,4 183,9 180,8 2011 2012 2013 2014 2015 2016* 2017* (*) sti me 4 2 0 -2 -4 -6 -8 -
10 30 25 20 15 10 5 0 LA CRESCI TA V ar. % annua del Pil - 9,1 - 7,3 - 3,2 - 0,2 0,4 0,4 2,7 2011 2012
2013 2014 2015 2016* 2017* LA DI SOCCUPA ZI ONE In % della f orza l av oro 17,9 24,4 27,5 26,5 24,9
23,2 21,3 2011 2012 2013 2014 2015 2016* 2017* Fonte: Fmi
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Siderurgia. Il 3 marzo il termine per presentare le offerte PUGLIA
Ilva, completato il quadro normativo per l'aggiudicazione
Entro il 30 settembre la chiusura della gara Matteo Meneghello
MILANO pSlitta al 3 marzo la data di presentazione delle offerte definitive per rilevare gli asset dell'Ilva. La
scelta della data ha una ragione precisa, edè legata all'approvazione del decreto Milleproroghe (prevista il
28 febbraio), all'interno del quale troveranno spazio una serie di modifiche al Decreto Ilva, necessarie per
avere certezza normativa dell'approvazione del piano ambientale, armonizzandolo con le esigenze del
processo di vendita e con la richiesta di proroga avanzata dai potenziali interessati agli asset del gruppo
siderurgico (AcciaItalia e Am Investco Italy) nei giorni scorsi. Prima di procedere al ricevimento delle offerte
era necessario avere un quadro normativo certo, e il più possibile vincolante, per mettere in sicurezza
soprattutto il piano ambientale. Per questo motivo, la prima modifica riguarda la necessità di inserire anche
all'interno del decreto l'indicazione già espressa dai commissari di Ilva agli investitori nella lettera con cui, le
scorse settimane, sono stati accolti i piani ambientali e sono state indicate le necessarie modifiche
individuate dal comitato di esperti di nomina ministeriale che ha analizzato gli stessi. In particolare, si legge
nell'emendamento proposto, saranno «esclusi dalla procedura gli offerenti che non accettino tutte le
risultanze del parere, ovvero non conformino o aggiornino di conseguenza l'offerta presentata,
adeguandola, in particolare, alle prescrizioni relative alla realizzazione di specifici interventi recate nel
medesimo parere, da attuarsi entro la scadenza dell'autorizzazione integrata ambientale in corso di
validità». L'altra modifica di rilievo riguarda, come detto, la scansione temporale legata alla presentazione
delle offerte e, a cascata, alle conseguenti richieste di modifica all'Aia,e al decreto della presidenza del
Consiglio dei ministri che deve approvare le modifiche. A oggi il termine stabilito dal decreto per la
scadenza del piano ambientale, prorogabile di diciotto mesi, era fissato al 30 giugno di quest'anno. Con lo
slittamento delle offerte (necessario per permettere agli investitori una proposta ponderata, conforme alle
modifiche richieste dal comitato degli esperti sul piano ambientale), la richiesta di proroga di diciotto mesi
su istanza dell'aggiudicatario, che diviene efficace solo con l'emanazione del Dpcm sul piano ambientale,
rischiava di cadere oltre il 30 giugno. Il rischio di una corsa contro il tempo o, peggio, di un "limbo"
normativo, è scongiurato dalla proroga della scadenza di tre mesi: dal 30 giugno al 30 settembre. Alla
scadenza dell'Aia sono di conseguenza adeguati gli obblighi: in questo modo si ottiene il risultato di
allineare il recente parere del ministero dell'Ambiente (che prevede prescrizioni significative, con tempi di
attuazione che rischiano di andare oltre la data del 31 dicembre 2018) con la normativa vigente (quindi 18
mesi dopo il Dpcm, che a questo punto può essere emesso entro il 30 settembre), per permetterne
un'applicazione pienae rigorosa. Sempre in questo ambito, il legislatore ha deciso di rendere più cogente
l'operazione di modifica: dal «può presentare» precedente si passaa «presenta entro 30 giorni», per evitare
ulteriori slittamenti. L'ultima modifica, infine, smina il campo da eventuali polemiche legate allo scudo
giudiziario di cui godranno i soggetti che rileveranno gli asset dell'Ilva. Lo strumento ha una scadenza
precisa, fissata dall'ultimo decreto al 30 dicembre 2018. La preoccupazione del Governo è relativa al fatto
che per talune prescrizioni ambientali possa essere chiesto un differimento; in questo caso non è
comunque prorogabile la copertura giudiziaria: nell'emendamento al Milleproroghe si precisa che un
eventuale allungamento dei termini delle prescrizioni non trascina anche lo scudo, che copre fino al 31
dicembre 2018, vale a dire diciotto mesi dall'emanazione del Dpcm (al massimo 31 marzo 2019,
considerata la proroga trimestrale stabilita dagli emendamenti in corso di approvazione. Alle pagine 17 e 21
ArcelorMittal in utile, interesse per Ilva
TERMINE ULTIMO
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Lo scudo giudiziaro che tutela il soggetto che rileverà gli asset dell'acciaieria scadrà il 30 dicembre
LA PAROLA CHIAVE
Autorizzazione Aia 7 Le regole Ue permettono di esercire un impianto con l'Autorizzazione integrata
ambientale. Comprende le autorizzazioni industrialie ambientali. L'Aiaè rilasciata dal ministero
dell'Ambienteo (impianti minori) dalla Regione. È un documento negoziale in cuii miglioramenti produttivie
ambientali sono discussi da azienda e pubblica amministrazione anche dopo il rilascio.
I big della siderurgia
70.8
78.6
95.6
68.6
+7,4%
-0,3%
-0,1%
-1,6%
23.3
21.6
30.2
24.2
+6,0%
+5,5%
+0,8%
-9,2%
104.8
808.4
+1,2%
-0,3%
42.1
33.2
+5,2%
-1,4% I PIÙ GRANDI PRODUTTORI DI ACCIAIO Classifica per Paese produttore 2016. In milioni di
tonnellate e var.% sul 2015 Cina Germania Fonte: Worldsteel Giappone Turchia India Brasile Stati Uniti
Ucraina Russia Italia Sud Corea Taiwan
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CONFERMATO IL DIVIDENDO
Ubi in perdita per 830 milioni per le svalutazioni
Paolo Paronetto
Ubi Banca ha chiuso il 2016 con una perdita di 830,2 milioni, anche in seguito alla contabilizzazione
integrale anticipata degli 850 milioni circa di costi previsti per il piano industriale, ma la buona notizia è che
sui credit i deter iorat i sembra ormai vicina la f ine del tunnel. Continua u pagina 19
Lo scorso esercizio, ha annunciato il consigliere delegato Victor Massiah, è stato infatti
«un anno di svolta per quanto riguarda il credito». «Abbiamo assistito a una radicale
r iduz ione del f lusso di en t ra ta dai c red i t i per formant i nei non per forming loan», ha
aggiunto, notando che il livello registrato nel 2016, pari a 1,3 miliardi «è molto simile» agli 1,25
miliardi del 2007. «Siamo tornati sostanzialmente al livello pre•crisi», ha chiosato il banchiere,
che si è detto quindi ottimista sulla possibilità di centrare l'obiettivo di un costo del credito a 50 punti
base nel 2020. I lavori del piano, intanto, procedono in anticipo rispetto alla tabella di marcia e
l ' incorporazione delle ult ime cinque banche rete (Banca Popolare di Bergamo, Banco di
Brescia, Banca di Valle Camonica, Banca Popolare di Ancona e Banca Carime) potrà essere
completata il 20 febbraio, dando così vita alla Banca Unica del gruppo. Progressi che lasciano
p revedere , ha so t t o l i nea t o Mass iah , u n a «c r esc i t a s os t anz ia le » de l l ' u t i l e ne t t o
normalizzato nel 2017, anno in cui è visto in aumento «il trend complessivo del reddito operativo,
g raz i e a l l ' e f f e t t o comb ina t o » de l p rog ress o di marg in e di i n t e ress e e comm is s ion i .
Sui numeri 2016, del resto, pesano anche altre poste straordinarie, a partire dalla svalutazione
del l ' invest imento nel fondo At lante , " tagl ia to" del 45 per cento. Nel det tagl io , il valore
della partecipazione è stato ridotto di 73 milioni lordi (52,9 netti) a fronte dei 162 milioni
circa effettivamente versati ad Atlante (su un impegno massimo di 200 milioni). Nonostante
l'ultima riga di bilancio in rosso, il cda dell'istituto proporrà la conferma del dividendo rispetto allo scorso
esercizio: la cedola sarà quindi di 0,11 euro per azione. Tornando al conto economico, i
proventi operativi sono scesi del 7,5% a 3,1 miliardi, con margine di interesse giù dell'8,2% a
1,5 miliardi e commissioni nette a 1,3 mil iardi (+2,7%). Gli oneri operat iv i sono scesi
dell'1% a 2,2 miliardi, per un rapporto cost/income salito al 69 per cento. Quanto alla solidità patrimoniale,
il coefficiente Cet1 fully loaded è all'11,22% (da 11,28% in settembre) e non include ancora l'effetto
della deducibilità f iscale delle maggiori rettif iche su crediti (+40 punti base). Al netto
delle poste straordinarie, il 2016 si sarebbe chiuso con un utile di 111,6 milioni (116,8 milioni
il r i su l ta to contab i le del 2015) . Nel corso de l la conference ca l l di p resentaz ione del
b i lanc io è anche emerso che nel corso del 2016 Ubi ha r idot to di o l t re 5 m i l ia rd i
(•28%)l'esposizione ai titoli di Stato italiani, scesi al 73,8% del portafoglio complessivo di asset
f inanziari dal 90,6% di f ine 2015. Procede intanto senza intoppi l 'acquisizione di tre delle
quattro "good bank" (Banca Marche, Etruria e Carichieti), per cui «le condizioni di preclosing
si s tanno rea l izzando secondo le modal i tà prev is te». Se l ' i t e r sarà comple ta to in
tempo, Ubi è quindi pronta a presentare l 'aumento di capita le da 400 milioni che sarà
lanciato nell'ambito dell'operazione all'assemblea annuale di bilancio. A Piazza Affari, intanto,
in una g iornata d i f f ic i le per l ' in tero set tore bancar io , gli invest i tor i hanno venduto il
t itolo Ubi, sceso del 5,73 per cento. I risultati del quarto trimestre (chiuso con 76 milioni
di perdita), hanno commentato gli analisti di Equita Sim, sono stati peggiori delle attese a
causa di «oneri straordinari e rettif iche su crediti».
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/02/2017 92
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IL MOL AUMENTA DEL 9,9%
Carige chiude il 2016 in rosso di 297 milioni per l'effetto Npl
Raoul de Forcade
pBanca Carige chiude l'esercizio del 2016 con un risultato netto negativo per 297,3 milioni, dopo aver
contabilizzato rettifiche di valore su crediti per 467,9 milioni. La banca registra però anche un Margine
operativo lordo a +9,9% e un Cet 1 ratio all'11,3% a fronte di una richiesta della Bce dell'11,25 per cento. u
pagina 19 pBanca Carige chiude l'esercizio del 2016 con un risultato netto negativo per 297,3 milioni, dopo
aver contabilizzato rettifiche di valore su crediti per 467,9 milioni. La banca registra però anche un Mola
+9,9%e un Cet1 ratio all'11,3% a fronte di una richiesta della Bce dell'11,25% Le perdite nette dell'istituto
genovese, al cui vertice siede Guido Bastianini, risultano maggiori rispetto al 2015, che ha registrato un
•130,1 milioni. Dato che emerge dopo una rideterminazione del risultato economico operata dalla banca in
base alle disposizioni Ias 8 e che mette in evidenza per il 2015 un rosso superiore di 25,9 milioni a quello in
precedenza comunicato. La rideterminazione dei saldi patrimoniali ha portato, inoltre, a una riduzione
complessiva del patrimonio netto di 24,1 milioni all'1 gennaio 2015 e di 50 milioni al 31 dicembre 2015. Nel
bilancio 2016 il margine di interesse (299,4 milioni) mostra una flessione del 9,5% rispetto all'esercizio
2015, «influenzato • spiegauna nota della banca • dal persistente contesto di tassi di mercato in conti• nuo
calo e dalla contrazione dei volumi intermediati»; calano anche le commissioni nette (241,1 milioni; •8,6%)
per «la contrazione dell'intermediazione ed il contesto di mercato». In discesa poi «l'aggregato complessivo
della raccolta diretta» ,che «si attestaa 19,6 miliardi al 31 dicembre 2016 (23,5 miliardia fine 2015)». In
particolare la raccolta da cliente• la privata scende dai 18,1 miliardi del 2015 ai 15,8 del 2016e la
componente institutional si attesta a 1,8 miliardi nel 2016 e segna una diminuzione di 1,5 miliardi, «anche in
relazione al rimborso di 1.180 milioni di obbligazioni bancarie garantite scadutea novembre». Il risultato
netto negativo del 2016 include, tra l'altro, la contabilizzazione di accantonamenti ai fondi rischi e oneri per
21,2 mi• lioni, rettifiche di valore su avviamenti per 19,9 milionie 70 milioni lordi (50,5 netti) tra canone
deferred tax asset (27,7 milioni lordi), tributi ed altri oneri di sistema. Tra questi figurano rettifiche di valore
riguardanti Atlante e lo schema volontario del Fondo interbancario di tutela dei depositi per 6,7 milioni. La
banca, peraltro, ha operato una marcata riduzione degli oneri di gestione, totalizzando risparmi per 80,4
milioni, pari a una riduzione sul 2015 del 13,2%. Nella conference con gli analisti Bastianini ha ricorddato
che il Cet 1 di Carige, «a fine 2016 e dell'11,3% (nel 2015 era a 12,2%, ndr) e si confronta con una richiesta
dell'11,25%» di Bce. Inoltre per il 2017 «il requisito di capitale complessivo (Tcr, ndr) per Carige è del
12,5%»e attualmente la banca totalizza il 13,8% (nel 2015 era a 14,9%) . Bastianini ha anche confermato
che la Carige è in fase avanzata nella strutturazione della cartolarizzazione di un primo portafoglio di
sofferenze, operazione compresa nelle indicazioni del piano 2016•20. Piano presentato a luglio e per il
quale , ha ricordato l'ad, «non è prevista approvazione formale» della Bce, la quale ha inviato solo «una
lettera di commento». Il 28 febbraio, però, Carige dovrà presentare a Francoforte un nuovo progetto
industriale.
GLI ALTRI DATI DI BILANCIO
Il Mol aumenta del 9,9% e il Cet1 ratio sale all'11,3% (11,25% la richesta della Bce) Il margine di
interesse evidenzia un calo del 9,5%
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/02/2017 93
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Polizze. L'utile cala nel confronto con il 2015 perché non beneficia più di poste straordinarie
Unipol, nel 2016 profitti in discesa Si lavora a un piano per la bad bank
Laura Galvagni
pUnipolSai chiude il 2016 con un utile netto in forte discesa (•28,6%), complice il minor contributo di partite
straordinarie.I profitti sono comunque superiori alle attese del mercato, più 6% rispetto al consensus,
graziea un mix combinato di fattori: un tax rate più basso (è stato registrato un effetto positivo di 35 milioni
derivante dall'utilizzo delle perdite che aveva Premafin quando è stata incorporata), un maggiore apporto
dal settore vitae minori accantonamenti sul segmento bancario (questo va• le per Unipol Gruppo). E proprio
attorno alla banca, la capogruppo starebbe meditando nuove mosse: «Non è escluso • ha dichiarato Carlo
Cimbri, ceo del Gruppo Unipol • che potremmo provvedere anche a uno scorporo societario, creando una
banca in bonis e una bad bank, sempre sotto il controllo di Ugf». L'obiettivo di tutto questo è,
evidentemente, creare «una banca stabile che non dia problemi al gruppo» per poter poi procedere a una
«aggregazione» dell'istituto con altre realtà bancarie: «Non abbiamo ancora discussioni con nessuno ma
stiamo preparando la banca per renderla adatta a questo tipo di strategia», ha detto Cimbri. Quanto all'idea
della bad bank, il progettoè «ampioe voltoa separaree rendere più efficiente il recupero dei crediti con una
società specializzata». Piano che già nel 2016 ha dato i primi risultati: lo stock dei deteriorati è sceso di 160
milioni per effetto dell'incasso di 270 milioni tra cessioni e recuperi e il passaggioa crediti problematici di
100 milioni prima in bonis (240 milioni l'anno precedente). Continua u pagina 18 pA fronte di tutto ciò la
Banca ha chiuso con un utile di 7 milioni prima delle tasse (6 milioni nel 2015).E per restare in tema di
numeri, nel 2016 UnipolSai ha registrato un risultato netto di 527 milioni, in calo dai 738 milioni del 2015
che avevano però beneficiato di 648 milioni plusvalenze controi 59 milioni del passato esercizio. In aggiunta
nel 2016 hanno pesato 81 milioni di svalutazioni sul mattone, in gran parte funzionalia realizzare entro il
primo semestre 2017 la cessione di un consistente pacchetto immobiliare del valore superiore ai 100
milioni. La raccolta diretta assicurativa si è attestata a 12,5 miliardi, in calo del 10,6%, di cui 7,2 miliardi dal
danni (•1,6%) e 5,3 miliardi dal vita (•20,6%). Nel danni il combined ratioè risultato pari al 96,5% rispetto al
94,6% del 2015. E proprio sulla redditività del dannie in particolare del segmento Rc auto si è concentrata
l'attenzione degli analisti. A fronte di un expense ratio pressoché stabile, il loss ratioè aumentato dal 66,4%
al 68%. Un'ascesa che il presidente di UnipolSai Cimbri ha attribuito di fatto alla costante pressione sulle
tariffe con il premio medio di portafoglio cheè diminuito del 4,8%. Diversamente, nel vita, nonostante il calo
dei premi, l'utile ha raggiunto quota 250 milioni contro i 237 milioni del• l'anno precedente e il rendimento
delle gestioni separateè stato pari al 3,3% rispetto al 3,4% del 2015. Il margine individuale di Solvency IIè
stato pari al 240%, mentre il margine di solvibilità consolidato Solvency II basato sul capitale economicoè
stato del 209%. All'interno di questo scenario, il cda ha deciso di proporre all'assemblea la distribuzione di
un dividendo pari a 0,125 euro per azione, con un pay out di circa il 77%, contro gli 0,15 euro nel 2015. Il
gruppo Unipol ha invece registrato nel 2016 un utile netto di 535 milioni, in calo rispetto ai 579 milioni del
2015 che anche in questo caso avevano beneficiato in modo straordinario della gestione finanziaria. La
raccolta diretta assicurativa si è attestataa 14,8 miliardi, con un combined ratio nel danni in peggioramento
al 95,6% dal 93,9% del 2015. Il risultato ante imposte del settore immobiliareè stato negativo per 22 milioni,
ma in miglioramento rispetto alla perdita di 95 milioni del 2015. In questo caso l'ipotesi di cedolaè di 0,18
euro per azione, come nel 2015, con un pay out di circa l'80%. Più in generale, meritano una segnalazione
le performance positive delle compagnie specializzate, con Unisalute che ha visto crescere la raccolta del
12% e Linear del 3,3%. Positiva,inoltre, la redditività degli investimenti pari al 3,5% per Unipol Gruppoe al
3,7% per UnipolSai. Per il futuro, nonostante il quadro generale resti complesso sia per il settore danni che
per il vita, il gruppo conta di rispettare gli obiettivi d ìel piano strategico, grazie anche alla prudente e
accorta politica di riservazione condotta negli ultimi anni. Infine, sulla questione bancassurancee sugli
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/02/2017 94
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accordi in essere Cimbri ha chiarito che la compagnia mantiene «aperta» ogni strada, incluso l'esercizio
della put prevista dall'accordo con il Banco Popolare su Popolare Vita, in attesa di capire se entro il 30
giugno sarà possibile ridefinire una nuova intesa. Il ceo di Banco Bpm, Giuseppe Castagna, ieri ha
ribattuto: «Abbiamo molta voglia di continuarea fare business insiemee quindi ci siamo dati sei mesi per
valutare tutte le opportunità».Con Bper si sta invece discutendo su come prolungare la partnership mentre
con UniCredit si vuol provare a «rivitalizzare» la joint venture Incontra.
I NUMERI
Per la compagnia pay out al 77% e una raccolta diretta di 12,5 miliardi . Entro l'estate la cessione di
un pacchetto di immobili da 100 milioni
I numeri di Unipol
14.257
-9.974
-3
-532
-13.576
527
497
11.558
426
-10.191
681
527 Conto economico consolidato preconsuntivo al 2016. Dati in mln di €
Premi netti 2015 13.095 2016 Importi pagati 2015 -11.804 2016 Utile esercizio ante imposte 2015 1.044
2016 Fonte: Dati societari Altri ricavi 2015 505 2016 Oneri derivanti partecipazioni 2015 -8 2016 Utile
esercizio netto imposte 2015 738 2016 Tot. ricavi e proventi 2015 16.459 2016 strumenti fin. 2015 -628
2016 consolidato 2015 738 2016 Oneri netti relativi ai sinistri Utile 2015 -11.585 2016 Totale costi e oneri
2015 -15.416 2016 di pertinenza 2015 711 2016
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/02/2017 95
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INVESTIMENTI
Private equity e private debt nuovo «motore» per le Pmi
Isabella Bufacchi
pIl private equity è decollato, lentamente ma infine ha preso il volo e il private debt è in pronto
in rampa di lancio: sono questi gli strumenti finanziari del futuro che, aiutati da leggi ed agevolazioni
fiscali ad hoc, e supportati da un numero crescente di operatori specializzati, consentiranno
di canal izzare sempre più una grande r isorsa del l ' I tal ia , il r isparmio, verso l 'economia
reale italiana. Soprattutto verso quelle piccole e medie imprese che, sopravvissute alla Grande
Crisi, intendono innovarsi, modernizzarsi, crescere in dimensioni e volumi disintermediando
il sistema bancario per ricorrere al mercato dei capitali, al private equity e al private debt
sulla scia di un'evoluzione che all'estero è già molto avanzata. E' questo il messaggio positivo,
forte e chiaro, emerso ieri dal convegno che si è tenuto alla Luiss sulle asset class alternative
per gli investitori istituzionali. Con una raccomandazione di fondo: si può fare di più, alzando
la soglia della quota del private equity consentito nei grandi portafogli di fondi pensione,
casse di previdenza e compagnie di assicurazione ed estendendo le agevolazioni fiscali anche
al private debt, ora escluso. Marcella Panucci, direttore generale di Confindustria, ha
esordito sottolineando la "rivoluzione industriale" che il paese e le imprese stanno attraversando
dopo la crisi. La strada maestra è quella della produzione ad alto valore aggiunto che richiederà maggiori
i n ves t im en t i e u n a c omponen t e f i nanz ia r i ach e n o n s pe t t e r à p i ù a l l e banche . Al
credit crunch, che continua nonostante i bassi tassi, le Pmi dovranno rispondere con una buona
governance, una migliore cultura finanziaria e l'approdo al mercato dei capitali, al private
equity e al private debt. Fabrizio Pagani, capo segreteria tecnica del ministero dell'Economia e
delle Finanzce ha sottolineato che il governo è consapevole dell'importanza degli investimenti
e della "finanza per la crescita"; in questo quadro si inseriscono le iniziative come la creazione
dei mini bond, Ace (aiuto alla crescita economica), la nuova governance con le azioni con
voto plurimo, e le recenti agevolazioni per invogliare l'ingresso dei grandi investitori istituzionali
(fondi pensione e companie di assicurazione) e dei risparmiatori (Piani individuali di risparmio
a lungo termine Pir) nel private equity e private debt. Il monitoraggio dei nuovi strumenti
messi in campo dal governo sarà però fondamentale per perfezionarli e garantirne la piena
i m p l e m e n t a z i o n e . I n n o c e n z o C i p o l l e t t a , p r e s i d e n t e d e l l ' A I F I e d e l l F I I S G R , ha
confermato che il risparmio si sta avvicinando all'economia reale. «Non abbiamo bisogno di
più norme ma che si cambino i comportamenti»: per esempio, le autorizzazioni alle nuove SGR
sono lente e vanno accelerate. Giovanni Maggi, presidente di Assofondipensione e comitato
welfare di Confindustria si è detto fiducioso in un ruolo crescente dei fondi pensioni per aiutare
le Pmi a disintermediare le banche. Andrea Battista, amministratore delegato di Eurovita assicurazioni,
ha r i co rda t o i v inco l i impost i da So lvency2 sui r equ is i t i di cap i t a le , un "d r i ve r
fondamentale" e si è augurato che i nuovi fondi di private equity mantengano le promesse sui
rendimenti attesi per consentire il decollo di questi prodotti un contesto di dinamiche patrimoniali
sempre più s t r ingent i . Rober to Ippo l i to , manag ing par tner di RiverRock I ta l ian hybr id
capital fund e Alessandro Germani, partner GDC corporate tax, hanno presentato in occasione
del convegno, come coautori, il libro "Private equity e Private debt per le Pmi italiane", un importante
contributo al cammino della cultura finanziaria. uno dei requisiti indispensabili per affermare e consolidare
lo sviluppo delle asset class alternative. I.B
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/02/2017 96
11/02/2017
Pag. 17
diffusione:105722
tiratura:156556
RISPARMIO GESTITO
Banca Generali, raccolta +22% e commissioni in crescita del 7%
Isabella Della Valle
u pagina 18 pVia libera ai conti di Banca Generali. Il consiglio di amministrazione ha infatti approvato ierii
risultati preliminari di bilancio al 31 dicembre 2016. Ecco, in sintesi, i numeri che hanno caratterizzato
l'andamento della rete guidata dal direttore generale Gian Maria Mossa. Tra i dati più positivi c'è quello
della raccolta complessiva, che ha registrato un progresso del 22% rispetto allo scorso anno incassando
5,7 miliardi, e quello delle masse totali, salite a 47,5 miliardi (+ 14% rispetto al 2015). Il principale contributo
a questo risultatoè arrivato nuovamente dal segmento del risparmio gestito che ha portato in dote 36
miliardie pesa per il 76% del totale. In termini di nuovi flussi, invece, sono stati determinanti i numeri dei
cosiddetti prodotti contenitore, vale a dire la polizza multiramo Bg Stile Liberoe la gestione patrimoniale Bg
Solution attraversoi quali sono stati incassati 1,3 miliardi ciascuno. Questi due strumenti di punta della rete
rappresentanto il 66% dei prodotti gestiti e assicurativie il 46% del saldo totale. Non è andata altrettanto
bene, invece, alle soluzioni assicurative tradizionali che hanno registrato un ridimensionamento rispetto
all'esercizio precedente. Dal fronte dei ratio patrimoniali, anche per il 2016 sono stati ampiamente superati i
minimi stabiliti da Bankitalia (un minimo del 7% per il Common equity tier 1 e del 10,4% del total capital
ratio): il Cet 1 è stato pari al 16,7% (+240 punti base) e il Total Capital Ratio si è attestato al 18,4% (+250
punti base). Inversione di marcia, invece, per l'utile netto, sceso a 156 milioni dai 204 milioni dell'anno
precedente (•23%), complice il mancato apporto delle performance fee soprattutto nel primo trimestre
dell'anno (circa 60 milioni in meno). «L'utile nettoè sceso per il dimezzamento delle componenti più volatili -
ha commentato il dg Gian Maria Mossa -, ma a sostenere il conto economico sono soprattutto le
management fee, che invece sono salite». Le commissioni di gestione sono salite del 7%a 492 milioni,
confermando un trend di crescita che dura da 20 trimestri consecutivi. In calo, invece, il margine di
intermediazione, passato da 466 milioni dello scorso esercizio ai 403 attuali. Anche in questo caso,
determinante il mancato apporto delle commissioni di performance. I costi operativi sono saliti del 3,8% a
182,3 milioni, mentre il cost income ha registrato una diminuzione passando dallo 0,40% dello scorso
esercizio all'attuale 0,37% sulle masse totali. L'aumento del patrimonio netto consolidato (da 637 del 2015
a 646,4 milioni del 2016) ha poi favorito la decisione di proporre un dividendo per azione paria 1,07 euro
con un rendimento implicito del 4,6%. «Il fatto di aver aumentato il dividendo - ha proseguito Mossa - è
un'ulteriore dimostrazione di solidità della banca che riesce ad autofinanziare la propria crescita,
mantenendo sotto controllo i costi. Ora il nostro focus rimane l'Italiae l'impegno di continuarea sviluppare il
wealth management attraverso la figura del consulente finanziario». Focalizzando l'attenzione sul quarto
trimestre, da segnalare che l'utile è stato pari a 37,3 milioni, in linea con lo stesso periodo del 2015. Da
segnalare, infine, che da inizio annoa oggi Banca Generali ha arruolato 20 nuovi professionisti.
Banca Generali Andamento del titolo a Milano 26 25 24 23 22 22,79 10/01
23,85 10/02
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/02/2017 97
13/02/2017
Pag. 1.7
diffusione:239605
tiratura:340745
IL CASO. IL MINISTRO SARÀ ALLA RIUNIONE DEM DOPO LE FRIZIONI CON GLI UOMINI DEL SEGRETARIO SULL'IPOTESI DI AUMENTARE LE ACCISE SULLA BENZINA
Manovra, Padoan pronto a rinunciare a nuove tasse
ROSARIA AMATO
ROMA. Non è detto che la nuova manovra da 3,4 miliardi di euro chiesta dalla Commissione Europea
debba passare dall'aumento delle accise. Al ministero dell'Economia, dove pure si era prospettata questa
strada prima dello stop di Matteo Renzi, la parola d'ordine è quella di evitare battaglie di principio. Così,
mentre oggi il ministro Pier Carlo Padoan parteciperà alla direzione del Pd a cui è stato invitato dal
segretario ed ormai ex premier, anche l'ipotesi di una «stretta» fiscale sulle sale giochi è tra quelle che
potrebbero essere considerate.
Il problema è che la manovra aggiuntiva non può reggersi tutta sui tagli alla spesa per varie ragioni. La
prima è che Padoan nell'ultima lettera inviata a Bruxelles si è impegnato a realizzare la manovra per tre
quarti sul fronte delle entrate e solo per la quota rimanente su quello delle tasse. Inoltre è difficile trovare un
accordo in tempi stretti sul contenimento delle spese, mentre Bruxelles ha chiesto indicazioni precise entro
il 22 febbraio. E infine nuovi tagli troppo drastici rischierebbero di frenare gli investimenti pubblici e quindi di
rallentare la crescita. Invece una crescita più corposa rappresenta la speranza di limitare i futuri
aggiustamenti al bilancio. Oggi le nuove previsioni economiche Ue daranno sicuramente indicazioni utili sul
fronte della crescita e dell'inflazione fino al 2018.
L'invito a Padoan al direttivo Pd può essere letto come una sorta di "conciliazione" dopo l'altolà alle nuove
tasse della mozione Fanucci. Ma è anche la dimostrazione di un'apertura del governo a ogni soluzione
ragionevole per la manovra che possa sostituire del tutto o in parte l'aumento delle accise. Quale sia però è
ancora da vedere. Una parte dell'esecutivo spinge per una nuova tassa sulle sale giochi, ma - sebbene non
ci siano chiusure pregiudiziali - questa spinta è in contrasto con la trattativa avviata da tempo dal ministero
dell'Economia con gli enti locali per una fortissima riduzione dell'offerta. L'obiettivo finale è quello del
dimezzamento del numero delle sale giochi e della riduzione del 30% delle slot machine: se si taglia
sull'offerta, poi è difficile pensare di aumentare le entrate dello Stato attraverso una nuova tassa.
Il confronto sulla composizione della manovra rimane aperto dunque sia con Bruxelles che tra le forze di
governo. «Abbiamo definito le dimensioni dell'intervento ma bisogna ancora definire le scelte da fare»,
conferma il viceministro dell'Economia Enrico Morando, precisando che «con la Ue abbiamo aperto un
confronto sulle misure di contrasto all'elusione e all'evasione fiscale che daranno risultati importanti per la
correzione». Del resto il confronto non si ferma alla manovra imminente. Già a marzo il governo punterà
all'individuazione dei tagli di spesa per il 2018 che, spiega ancora Morando, «potrebbero subentrare a
quelle maggiori entrate che sono necessarie nel 2017 per la manovra». L'auspicio è che per il 2018 i
risparmi aumentino, e le maggiori entrate possano invece «essere utilizzate per ridurre la pressione fiscale
sul lavoro e sull'impresa».
2
3 1LA VICENDA LA NUOVA MANOVRA Una parte consistente della manovra da 3,4 miliardi imposta dalla
Ue all'Italia poggia su un aumento delle accise su benzina e tabacchi e di altre imposte indirette per circa
1.530 milioni di euro. LO STOP DEI RENZIANI L'ipotesi aumento accise piace però pochissimo ai deputati
renziani, che hanno inviato al governo una lettera con 38 firme per chiedere che non ci siano nuove tasse
nella prossima manovra L'IPOTESI SALE GIOCHI Il governo non intende a tutti i costi aumentare le accise,
ma va trovata comunque una soluzione alternativa. Si discute di una tassa sulle sale giochi, ma è una
soluzione complicata.
Al vaglio altre ipotesi
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/02/2017 98
13/02/2017
Pag. 1.12.13
diffusione:239605
tiratura:340745
Il presidente Mattarella incontrerà Xi Jinping a Pechino il 22 febbraio. Un viaggio che è un'opportunità per le nostre imprese dopo un calo nell'interscambio dei Paesi della Ue
Cina Italia
Missione per rilanciare business e diplomazia Il deficit commerciale italiano è in calo di un miliardo. L'export è in ripresa, sostenuto da macchinari e moda DAL NOSTRO CORRISPONDENTE ANGELO AQUARO
PECHINO. Cinque come gli archi della porta di Tiananmen che conduce alla Città Proibita, 5 come il
numero dell'Imperatore: 5 giorni pieni pieni, al netto ovviamente di partenze, ritorni e rimbalzi di fuso orario.
Cinque, qui, è considerato numero fortunato, e infatti ogni 5 anni si (auto) rinnova la leadership. Per questo
a Pechino non sarà sfuggita la coincidenza dell'imminente visita di Stato del presidente Sergio Mattarella: 5
giorni come i 5 miliardi di euro di fatturato delle nostre quasi 2mila imprese presenti in Cina che producono
60mila posti di lavoro. O i 5 settori del made in Italy nella "Road to Fifty" verso il 50esimo anniversario dei
rapporti diplomatici che si festeggiano nel 2020: sanità, agroalimentare, urbanizzazione, ambiente e
aerospazio. O, ancora, il 5% del volume dei nostri scambi internazionali che si muovono sull'asse Roma-
Pechino: e che fa della Cina il nostro quinto, et voilà, partner commerciale. Certo che ancora non basta:
soprattutto dopo il campanello d'allarme che Eurostat lancia facendo i conti dell'anno appena chiuso. Il
valore dell'interscambio Cina-Ue in flessione. Le esportazioni europee verso Pechino in perdita di 4 miliardi
per la frenata di Inghilterra e Francia: che insieme alla locomotiva Germania sono il terzetto piazzato
proprio davanti all'Italia. D'altronde anche a questo servono le visite di Stato: a riaffermare presenza e
immagine. E a ribadire un legame economico che al momento può essere potenzialmente rilanciato dai
miliardi di dollari che i cinesi hanno messo sul piatto della nuova Via della Seta, quel gigantesco piano di
infrastrutture conosciuto anche come One Belt One Road che è la traduzione in pratica della visione Sì
Global, e anche un po' sinocentrica, che il presidente Xi Jinping ha rispolverato a Davos. Il cinese più
potente dai tempi di Mao e Deng riceverà ora il presidente Mattarella mercoledì 22 febbraio. Due
appuntamenti in agenda: l'incontro che segnerà il via ufficiale della spedizione, partita dall'Italia il giorno 20,
e poi il pranzo di Stato dove, si sa, vengono apparecchiate le questioni più delicate. Basta del resto dare
un'occhiata al calendario che il Quirinale ha pubblicato sul suo sito per individuare in ogni tappa un
obiettivo. Subito a Pechino, capitale dell'impero, per volare poi a Shanghai, la capitale finanziaria, ma
anche a Chongqing, la "nuova frontiera" dell'automotive e dell'hi-tech, fino a quella Xian dei Guerrieri di
Terracotta che è il manifesto culturale di qui.
La visita cade in un momento strategico: è la prima dell'anno di un capo di Stato - e per Pechino anche
questi numeri contano - e arriva alla vigilia del G7 italiano. Sarà anche una sincronicità fortuita ma premia il
Sistema Italia di quaggiù che tra ambasciata, rete consolare, Ice e camera di commercio, ma anche tante
imprese, associazioni o singoli sintonizzati sul progetto, lavora da tempo per rafforzare un'amicizia,
riscaldata oggi dalla febbre del pallone, che è naturalmente anche un'opportunità per entrambi. E le buone
notizie arrivate alla vigilia sono almeno due. La prima: malgrado il calo dell'interscambio e lo squilibrio su
investimenti e import-export, il deficit italiano è comunque in contrazione di un miliardo. La seconda: se
continuiamo a esportare soprattutto macchinari (34.6%, + 0.47%) e moda (15.8%, - 1.19%), il business in
cui cresciamo a due cifre, grazie anche all'e-commerce e a un accordo con Alibaba, è quello tipicamente
italiano del vino (+11,8%). E le potenzialità lì sono enormi visto che nel mercato più grande del mondo
abbiamo finora patito dietro Francia, Cile, Australia e Spagna. Naturalmente quando si parla di investimenti
il discorso è sempre reciproco. E qui i numeri non sono fortunati per niente. I cinesi in Italia comprano
sempre meno. Tre anni fa avevano saggiato il terreno mettendo un po' di soldini dentro Fca, Telecom, Eni,
Enel, Generali, Terna, versando 400 milioni in Ansaldo Energia e la bellezza di 2,81 miliardi nella Cassa
Depositi e Prestiti nonché bevendosi pure l'olio di Filippo Berio.
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/02/2017 99
13/02/2017
Pag. 1.12.13
diffusione:239605
tiratura:340745
Nel 2015 il boom, con gli 8,8 miliardi pagati da ChemChina per Pirelli. Poi, l'anno scorso, niente. Che
succede? «Bisogna essere pratici su queste cose», dice Michele Geraci, ex allievo del Mit che dopo avere
affilato gli artigli in Merrill Lynch e altri big di Wall Street oggi insegna tra Nyu, Nottingham e Zhejiang
University: «Io chiedo sempre senza girarci intorno: che cosa vogliamo venderci? Che progetto abbiamo?».
Le occasioni per richiamare l'attenzione di Pechino non mancano. Qui, per esempio, si parla da troppo
tempo dell'ultimo miglio della cosiddetta via della seta marittima: i cinesi, sì, si sono già comprati il Pireo,
ma davvero l'Italia non può offrire nessuna alternativa lungo il suo Adriatico? Non è un caso che il
presidente sarà accompagnato, insieme al responsabile della Farnesina Angelino Alfano, dal ministro delle
infrastrutture Graziano Delrio, che rappresenta dopo il premier Paolo Gentiloni quella continuità così
preziosa per Pechino tra questo governo e l'esecutivo di Matteo Renzi, l'unico premier occidentale a essersi
incontrato due volte in tre mesi con Xi. Spetterà adesso al Business Forum presieduto da Marco Tronchetti
Provera e al Forum Culturale di Francesco Rutelli squadernare i tanti affari da discutere quaggiù. E la
presenza di Ivan Scalfarotto, il sottosegretario al commercio internazionale ormai alla sua quinta missione
in Cina, lascia pensare che il governo sia anche pronto a metterci le firme: per una volta, si spera, anche
più di cinque.
Interscambio commerciale con l'Italia
39.569 (5,8%)
37.398 (44,0%)
34.005 (-14,1%)
29.574 (2,7%)
30.039 (7,4%) 25.963 (-13,6%)
32.914 (-3,2%)
28.789 (48,9%)
25.006 (-15,4%)
23.071 (-7,7%)
23.606 (8,8%)
19.334 (-18,1%)
9.843 (9,4%)
9.996 (16,1%)
8.609 (29,9%)
6.432 (2,3%)
6.629 (3,1%)
8.999 (-10,0%) (valore in milioni di euro) 2008 2009 2010 2011 2012 2013 * per la Cina i dati di
interscambio dell'Italia sono disponibili fino a Dicembre 2016
I PERSONAGGI SERGIO MATTARELLA 75 anni, presidente italiano dal febbraio 2015 sarà in Cina in
visita ufficiale che inizierà il 20 febbraio XI JINPING Presidente della Cina dal 2013, 63 anni, riceverà
Mattarella a Pechino il 22 febbraio per il pranzo di Stato GLI AFFARI +11,8% 68% IMPORTAZIONI VINO
2016 DALL'ITALIA Pechino ne ha importato l'11,8% in più rispetto al 2015 LA MODA Gli acquisti dei turisti
cinesi in Italia sono spesso abiti firmati 900.000 23% I TURISTI CINESI IN ITALIA Nel 2011 erano 220mila,
l'anno scorso quasi 1 milione, si stima GIOIELLERIA ITALIA Il 23% dei cinesi compra gioielli in Italia, un
trend in crescita
(classificazione utilizzata: Ateco 2007 a 3 cifre) dati in milioni di euro
Principali prodotti italiani esportati in Cina
Principali prodotti della Cina importati in Italia
38.645 (8,6%)
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13/02/2017
Pag. 1.12.13
diffusione:239605
tiratura:340745
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/02/2017 100
1.013
1.898
38.352 (-0,8%)
28.232 (12,6%)
1.274
27.272 (-3,4%)
1.127
1.075
11.079 (6,4%)
1.539
1.003
10.413 (-0,8%)
60
951
741
678
543
447
430 2015 2016* Interscambio in Italia variazione % rispetto al periodo precedente Import Italia variazione %
rispetto al periodo precedente Export Italia variazione % rispetto al periodo precedente
Periodo: Gennaio- ottobre 2016* Altre macchine per impieghi speciali (industria pesante) Macchine di
impiego generale (grande industria) Autoveicoli Altre macchine di impiego generale (piccola industria)
Medicinali e preparati farmaceutici Articoli di abbigliamento, escluso l'abbigliamento in pelliccia *i dati del
2016 sono provvisori (11,3%) (8,3%) (7,6%) (6,1%) (5,0%) (4,8%) (...) percentuale export totale in Cina (...)
percentuale import totale in Italia (stima al 31/12/2015) il numero delle imprese italiane in Cina 5miliardi di
euro fatturato totale mila posti di lavoro creati (classificazione utilizzata: Ateco 2007 a 3 cifre) Periodo:
Gennaio- ottobre 2016* Articoli di abbigliamento, escluso l'abbigliamento in pelliccia Apparecchiature per le
telecomunicazioni Altre macchine di impiego generale Macchine di impiego generale Computer e unità
periferiche Prodotti della siderurgia Fonte: elaborazioni Osservatorio Economico su dati Istat (5,5%) (4,9%)
(4,6%) (4,3%) (4,1%) (8,2%) ©RIPRODUZIONE RISERVATA
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12/02/2017
Pag. 22
diffusione:239605
tiratura:340745
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/02/2017 101
Aziende partecipate il taglio della Madia è rimandato a luglio
Le regioni avranno tre mesi in più per preparare l'elenco delle società da sforbiciare, così vuole la Consulta che chiede scelte condivise Per evitare la chiusura le imprese dovranno garantire un fatturato medio di un milione l'anno ROSARIA AMATO
ROMA. Più tempo agli enti locali per individuare le partecipate da tagliare. È il compromesso tra il governo
e le Regioni sul decreto taglia-partecipate, bloccato da alcuni mesi dopo la sentenza della Corte
Costituzionale. I giudici hanno imposto allo Stato l'obbligo di trovare un'intesa con gli enti locali, mentre
l'esecutivo si era limitato a richiedere un parere. E dunque la versione definitiva del decreto, che verrà
presentata al prossimo Consiglio dei Ministri, allunga di tre mesi, dal 23 marzo al 23 giugno, il termine per
stilare l'elenco delle partecipate pubbliche da sopprimere.
Mentre sembra destinato a rimanere fermo il tetto di un milione per il fatturato medio nell'arco dell'ultimo
triennio delle aziende: prima in Parlamento, e poi negli incontri con la Conferenza delle Regioni, era stato
chiesto di scendere a 500.000 euro. Una modifica che permetterebbe a molte società di "salvarsi", ma che
vanificherebbe probabilmente l'obiettivo sbandierato dall'inizio per il decreto: passare dalle attuali 8.000
partecipate a 1.000. Tuttavia non è ancora detta l'ultima parola: si tratta fino all'ultimo giorno utile, e quindi il
tetto potrebbe ancora abbassarsi a 500.000 o comunque al di sotto di un milione.
La proroga riguarda naturalmente tutte le scadenze che erano state inizialmente fissate per il 23 marzo, a
cominciare dalla compilazione della lista degli eventuali esuberi conseguenti alla chiusura delle società: il
testo originario del decreto stabiliva che gli elenchi del personale in eccedenza sarebbero stati trasmessi
prima alle Regioni e, nel caso di mancato ricollocamento entro sei mesi, all'Anpal, la nuova Agenzia per le
politiche attive del lavoro. La procedura per l'entrata in vigore del decreto non si concluderà tuttavia la
prossima settimana in Consiglio dei Ministri: il nuovo testo dovrà infatti riacquisire i pareri, compresi quelli
parlamentari, e poi tornare in Cdm per il via libera definitivo. Intanto però il governo sta già preparando la
cabina di regìa che sarà collocata presso il ministero dell'Economia e avrà il compito di monitorare la
soppressione delle partecipate inutili («le scatole vuote, le società inattive, le micro e quelle che non
producono servizi indispensabili», aveva spiegato presentando il provvedimento l'anno scorso Palazzo
Chigi).
Il decreto taglia-partecipate non arriverà da solo al prossimo Consiglio dei Ministri, ma con gli altri due
decreti "rallentati" dalla sentenza della Corte Costituzionale del 25 novembre scorso, e cioè quello sul
licenziamento lampo degli assenteisti e sulla riforma della dirigenza delle Asl. E potrebbe anche arrivare la
riforma della Pubblica Amministrazione, il testo unico che domani verrà presentato dal ministro della
Pubblica Amministrazione Marianna Madia ai sindacati: tra le norme le nuove regole sulle assunzioni, il
piano straordinario per i precari storici, nuovi meccanismi di valutazione che dovrebbero dare maggiore
spazio alla meritocrazia e ai giudizi dei cittadini, le sanzioni e le novità in materia di visita fiscale.
La galassia partecipate
7.684
233
220
293
789
2.439
1.984
Fondazione 586
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Pag. 22
diffusione:239605
tiratura:340745
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/02/2017 102
2.762
87
224
1.951
957
Istituzione 183
2.660 Per forma giuridica Azienda speciale Società a responsabilità limitata Mista prevalenza Società
consortile Non dichiarata TOTALE Per tipo di partecipazione Consorzio Mista prevalenza pubblica Società
cooperative Paritaria pubblica privata Altre forme Società per azioni Totalmente pubblica
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Pag. 22
diffusione:239605
tiratura:340745
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/02/2017 103
Referendum, la Cgil parte dalle periferie
Al via la campagna contro i voucher, ma a Roma resta freddo il quartiere di "Jeeg Robot" Ieri 280 manifestazioni in tutta Italia. Susanna Camusso a Tor Bella Monaca , fra i redditi più bassi della capitale "Fino ad ora ci siamo difesi ma adesso difendersi non basta nel Paese la ricchezza è sempre più concentrata" BARBARA ARDÙ
ROMA. Una signora in vestaglia si affaccia al balcone. Fuma una sigaretta e guarda dritta davanti a sé. C'è
folla.
Quella del mercato rionale che sta sotto le sue finestre. E quella che si accalca nel prato più in là. Guarda
le bandiere rosse della Cgil, i palloncini che si alzano nel cielo, a mezzogiorno. Scuote la testa.
Molti guardano, ma in pochi del quartiere si avvicinano. Tor Bella Monaca, periferia est di Roma, dove i
Cinque Stelle hanno trionfato alle elezioni capitoline, pezzi di campagna e il cemento dei palazzoni grigi. È
da qui, da un grande prato (forse lo stesso, chissà, dove quest'estate i bambini del quartiere hanno filmato i
topi che scorrazzavano liberi, invadendo le strade), che la Cgil ha deciso di rilanciare la lotta per i diritti di
chi lavora e i due referendum su voucher e appalti. E da Tor Bella Monaca, ma anche da altre 280 piazze
italiane che inizia la campagna referendaria.
C'è il sole, che spezza il grigio dei palazzi, dove qualcuno sussurra che la polizia abbia schierato qualche
tiratore scelto. Sul prato non c'è un vero e proprio palco, ma una pedana. Salgono uno dopo l'altro alcuni
lavoratori che raccontano le loro storie di diritti negati. Un'infermiera, un licenziato di Almaviva, un operaio
ormai vicino alla pensione.
Ripartire dalle periferie, questo è il messaggio della Cgil. Anche se, spiega Susanna Camusso, segretaria
della Cgil che chiude la manifestazione, «noi nelle periferie ci stiamo da sempre, con i patronati dove si
riversano i problemi di tutti i giorni». Ed è vero. Poco più in là, c'è una loro sede, segnalata anche da
Google map. E spiega Camusso perché è necessario ripartire da chi vive ai margini. «Fino a oggi - dice - ci
siamo difesi, ma ora difendersi non basta più. È stata la frantumazione del mercato del lavoro che ci ha
condotto a questo». Ora la risposta dev'essere un'altra. «Basta - attacca - isolare le singole vertenze». È il
lavoro in toto che va difeso. Gente c'è n'è ad ascoltarla, ma di giovani pochi. Ci sono i pensionati dello Spi,
otto i pullman della Cgil parcheggiati, una delegazione di Almaviva, che insiste, «la Camusso ci ha
promesso che ci avrebbe incontrato» e ora la cerca. C'è tutta la Cgil romana e del Lazio. Una sfida per la
Cgil atterrare a Tor Bella Monaca, dove il reddito medio è il più basso della città. È il quartiere del film Jeeg
Robot e del palazzetto dello Sport incompiuto. Lo specchio perfetto di quanto è scritto nel Rapporto Tecné
presentato ieri dalla Fondazione di Vittorio, che Susanna Camusso presenta così. «Ne emerge - spiega - la
fotografia di un Paese in cui la ricchezza tende sempre di più a concentrarsi» e in cui le persone vedono
sempre più difficile uscire da una situazione di difficoltà». Ecco perché è « sempre più evidente - avverte il
segretario della Cgil - la necessità di cambiare rotta rispetto le politiche economiche e sociali». Un
lavoratore chiede che si torni sull'articolo 18, con il referendum. «È inutile, arriveremmo al 2020», ma la
battaglia «continuerà nelle aule giudiziarie». Al governo chiede di indicare una data certa per i referendum,
«magari da fissare insieme alle amministrative». E all'Inps fa una domanda precisa. «Perché non ci dà i
nomi delle aziende che usano i voucher?».
Foto: IL LAVORO IN PIAZZA Susanna Camusso ha avviato la campagna referendaria riguardo ai voucher
e agli appalti parlando a Tor Bella Monaca, quartiere nella periferia Est della capitale
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/02/2017 104
12/02/2017
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I nodi del bilancio
Tasse sulle sale giochi per obbedire all'Ue e accontentare Renzi
Così il governo non aumenterebbe benzina e sigarette Ma il decreto arriverà solo in aprile, a ridosso del Def La misura riguarderebbe circa 100 mila esercizi e dovrebbe dare un gettito di 1,5 miliardi Ma entro il 22 febbraio, quando la Commissione vuole misure,ci saranno solamente indicazioni ROBERTO PETRINI
R OMA. Colpire il gioco d'azzardo invece degli automobilisti. È questa la carta che sta preparando il
governo per trovare la quadra della manovra-bis da 3,4 miliardi che Bruxelles ci chiede con insistenza e
che il gruppo no-tax dei renziani vorrebbe senza toccare le accise su benzina e tabacchi. La soluzione di
mediazione, frutto di intensi colloqui nelle ultime ore tra Palazzo Chigi, Tesoro ed esponenti della
maggioranza, offrirebbe la possibilità di limitare, se non di annullare del tutto, l'intervento sulle accise che
nella seconda lettera di Padoan a Bruxelles dei giorni scorsi era quantificato in 1,5 miliardi. Il piano del
governo prevede di introdurre una tassa secca sui circa 96 mila punti vendita (69 mila bar e tabacchi e
29.600 sale di vario genere dedicate al gioco d'azzardo).
La mossa, che potrebbe fornire un gettito consistente, tirerebbe fuori anche il governo dalla impasse sulla
riforma dei giochi: l'intervento doveva infatti essere inserito nella legge di Bilancio 2017, poi nel
Milleproroghe e infine in altri provvedimenti, ma è costantemente slittato. In realtà per un contrasto tra gli
enti locali, che vogliono inserire una sorta di zone no-slot in prossimità di scuole e altri punti sensibili, e il
governo che ha approntato un piano di riduzione del 30 per cento delle macchinette in modo omogeno sul
territorio. La tassa unica sulle sale servirebbe da deterrente allo sviluppo del gioco, porterebbe molti
esercizi a rinunciare e sarebbe un freno alla ludopatia.
Del resto il fenomeno del gioco d'azzardo in Italia è in costante crescita: la raccolta nel 2016 ha raggiunto i
95,9 miliardi (quasi raddoppiando in dieci anni), le perdite nette degli italiani sono state di 19,1 miliardi e gli
incassi per l'erario hanno raggiunto i 9,2 miliardi.
Il decreto che interviene con la tassa speciale sulle sale gioco dovrebbe essere varato, nelle intenzioni del
governo, in aprile, in prossimità del varo del Def, il Documento di economia e finanza. Tuttavia già dai
prossimi giorni, e prima del 22 febbraio, data di pubblicazione del rapporto sul debito dell'Italia e data
ultimativa espressa da Bruxelles per il varo di una parte della manovra-bis, il Tesoro invierà alla
Commissione una bozza del provvedimento, con l'indicazione dei titoli delle misure e dell'entità dei singoli
interventi. La partita dunque si riapre, soprattutto dopo la sortita no-tax dei renziani, che fa ballare la posta
da 1,5 miliardi destinata a benzina e sigarette. Mentre dovrebbero rimanere immutate le altre misure che
indicano circa 1 miliardo di lotta all'evasione e 850 milioni di tagli alle spese.
Resta aperta anche un'altra variabile, rispetto a quanto prevedono gli impegni dell'Italia nelle due lettere di
Padoan a Bruxelles, quella dell'entità complessiva della manovra-bis: se martedì prossimo l'Istat dovesse
certificare che la crescita del 2016 è vicina all'1 per cento (invece dello 0,8 previsto) ci sarebbero più risorse
e di conseguenza l'intervento potrebbe inferiore di 300-500 milioni.
Gli occhi sono comunque tutti puntati sulla cruciale giornata di domani quando Padoan parteciperà alla
direzione del Pd, come invitato in quanto non è iscritto né membro dell'organismo. In mattinata la
Comissione europea diffonderà le stime su crescita e deficit: per l'Italia le cifre della manovra (con la
discesa del deficit al 2,1 del Pil) saranno segnalate solo in una nota e non contabilizzate in tabella. In attesa
di sviluppi.
98.600
E' il numero complessivo dei punti gioco in Italia, tra bar tabacchi e sale
Valori in milioni di euro
I numeri della manovra bis nel progetto di Padoan
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/02/2017 105
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850
TAGLI DI SPESE di cui
AUMENTO ENTRATE
TOTALE
170
680
2.550
1.020
1.530
3.400 taglio consumi intermedi riduzione crediti d'imposta di cui Lotta all'evasione Aumento accise e altre
indirette ©RIPRODUZIONE RISERVATA
I NUMERI
95,9 mld
E' la raccolta complessiva del settore giochi durante il 2016
19,2 mld
E' la cifra delle perdite nette degli italiani che giocano
9,2 mld
E' il gettito complessivo che l'erario ha incassato nel 2016 dal settore giochi
Foto: IL TESORO DELLE SLOT Nelle sale giochi come quella nella foto a destra gli italiani hanno speso
nel 2016 circa 95 miliardi di euro. Per l'Erario l'incasso dai giochi è stato di 9,2 miliardi
Foto: FOTO: ©FOTOGRAMMA
Foto: Il ministro dell'Economia Padoan
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/02/2017 106
11/02/2017
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I DATI ISTAT. POSSIBILE UN CONSUNTIVO 2016 MIGLIORE DELLE PREVISIONI, COSÌ LA CORREZIONE DEI CONTI POTREBBE CALARE A QUOTA 3 MILIARDI
Il Tesoro spera nel rialzo del Pil per risparmiare sui conti
ROBERTO PETRINI
ROMA. Pier Carlo Padoan parteciperà alla riunione della direzione del Pd di lunedì con un foglietto in tasca:
l'anticipazione dei dati sulla crescita del 2016 che verranno diffusi ufficialmente dall'Istat il giorno
successivo. Se, come tutto fa sperare, saranno migliori delle attese, si potranno risparmiare sulla manovra,
Bruxelles permettendo, dai 300 ai 500 milioni. Niente di più.
Il ministro del Tesoro ieri ha fatto sapere che accetta l'invito di Renzi e che parteciperà alla riunione. Ma al
tempo stesso è sembrato prendere abbondantemente le distanze dall'iniziativa «no tax» dei fedeli dell'ex
premier: «Non entriamo nelle dinamiche parlamentari», hanno fatto sapere con distacco fonti del Tesoro.Ed
è soprattutto il timore di mancare agli impegni presi con Bruxelles negli ultimi sofferti dieci giorni ad
imbarazzare Via Venti Settembre. Stretto tra l'Europa che si fa sempre più incalzante e la rivolta anti-accise
dei renziani, il Tesoro rivendica il contenuto delle due lettere (del 1° e del 7 febbraio) spedite alla
Commissione con tanto di trascrizione dell'intervento al Senato del ministro del 2 febbraio.
Nell'insieme dei tre documenti, tutti stilati in piena sintonia con il premier Gentiloni, emerge l'impegno per
una manovra aggiuntiva da adottare per decreto prima di aprile, e comunque prima della presentazione del
Def, il documento di economia e finanza. La seconda lettera di Padoan alla coppia Dombrovskis-Moscovici
spiega anche nel dettaglio le intenzioni dell'Italia: dei 3,4 miliardi da 850 milioni saranno di tagli alle spese,
1 miliardo di lotta all'evasione e 1,5 miliardi di aumenti di accise e imposte indirette. L'idea, implicita, è
quella di intervenire su benzina e sigarette tant'è che in un'altra audizione al Senato Padoan ha sentito il
bisogno di annunciare che, a fronte di un eventuale aumento dei carburanti, si cercherà di non pesare
sull'autotrasporto.
Forse qualche limatura, ma marce indietro non sembrano ipotizzabili. Padoan ha già definito "allarmante"
una eventuale procedura d'infrazione nei confronti dell'Italia. Dunque l'unica carta che il ministro ha in
mano, se vuole limitare l'intervento sulle accise, oltre al record nella lotta all'evasione che ha portato nelle
casse dello Stato 19 miliardi nel 2016 (2 più del previsto), è quella di contare su una revisione al rialzo della
crescita del Pil dello scorso anno. Decisivi saranno i dati di San Valentino sull'andamento del quarto
trimestre del 2016: un balzo in avanti tale da portare la crescita del Pil dallo 0,8 previsto dal governo a circa
l'1 per cento potrebbe dare maggiori entrate e nuove risorse. Segnali positivi sono giunti proprio ieri dallo
scatto della produzione industriale di dicembre (+1,4 per cento al top da sei anni). Comunque vadano le
cose, a sedare gli animi, ci sono le stime dell'Upb sull'effetto complessivo della manovra-bis, da 3,4 miliardi,
accise comprese. L'effetto sul Pil sarà quasi nullo, anzi positivo sul Pil nominale di 0,077 punti.
I NUMERI
300-500 EFFETTO CRESCITA PIÙ ELEVATA Se il Pil 2016 sarà certificato in rialzo sulle attese, la
manovra correttiva potrebbe alleggerirsi: ma non più di 300-500 milioni
1,4% PRODUZIONE AL TOP DA SEI ANNI Ieri l'Istat ha diffuso il dato della produzione industriale di
dicembre: l'1,4% è lo "scatto" più robusto degli ultimi sei anni
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/02/2017 107
11/02/2017
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IL CASO/ IL MINISTRO HA SCRITTO AL COLLEGA TEDESCO PER BLOCCARE LE OMOLOGAZIONI
Dieselgate, Delrio all'attacco "Vw, Seat e Skoda irregolari"
PAOLO GRISERI
TORINO. È scoppiata la guerra delle omologazioni. Il ministero dei Trasporti italiano ha scritto al ministero
tedesco per chiedere conto delle irregolarità nelle emissioni di alcune auto del gruppo Volkswagen. E
questo perché, a quanto risulta dalle prove di laboratorio svolte dal ministero italiano, ben tre modelli del
gruppo tedesco, la Volkswagen Caddie, la Skoda Yeti e la Seat Ibiza, sarebbero fuori legge: «Su questi
veicoli - ha dichiarato nei giorni scorsi il ministro Graziano Delrio durante un'audizione in Parlamento - sono
state registrate elevate emissioni di NOx al di fuori del limite di omologazione, anche nel corso della prova
di laboratorio». In sostanza l'Italia ha fatto con la Germania quel che la Germania aveva provato a fare
portando sul banco degli imputati alcuni modelli di Fca. Infatti il ministero ha chiesto «alle autorità di
omologazione interessate, in questo caso Germania, Inghilterra e Spagna, di assumere le necessarie
misure per verificare la conformità del prodotto al tipo omologato e per ripristinarla eventualmente». Oltre al
ministero dei Trasporti tedesco, sono coinvolti anche il ministero spagnolo (per la Seat Ibiza) e quello
inglese per la Skoda Yeti.
Il governo italiano aveva avviato all'inizio del 2016, all'indomani del dieselgate, una campagna di analisi
sulle auto in circolazione. Tra queste 7 modelli Fca e altrettanti della Volkswagen. A luglio dello scorso
anno il ministero aveva prodotto un primo report nel quale mancavano però i risultati di 3 dei 7 modelli Fca.
Circostanza che ha sollevato i dubbi di forze politiche e associazioni ambientaliste che hanno accusato il
ministero di aver trattato Fca con troppo riguardo. Delrio ha negato spiegando che il report definitivo con i
dati Fca sarà pronto entro fine febbraio.
Non saranno invece presenti in quel dossier i dati del gruppo Volkswagen perché i risultati delle analisi sui
modelli di Wolfsburg sono secretati per l'indagine della procura di Verona sugli effetti italiani del dieselgate.
Ciononostante, il ministero italiano ha scelto di segnalare le irregolarità nelle emissioni emerse nelle prove
di laboratorio realizzate a Torino e Napoli, nei centri autorizzati dalla motorizzazione (quello di Torino è in
realtà la pista di Balocco di proprietà della Fca che viene di norma messa a disposizione del ministero per
le omologazioni). «A differenza della Germania noi non vogliamo fare polemica - ha detto Delrio in
Parlamento - e stiamo nelle regole scritte per tutti. Non voglio polemizzare con Volkswagen ma vorrei
capire perché abbiamo questi risultati». La guerra continua o scoppierà davvero la pace?
Foto: ALLA GUIDA Il ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture Graziano Delrio
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/02/2017 108
11/02/2017
Pag. 26
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La giornata
Pace Ue -Fmi sulla Grecia: "Intesa possibile"
Senza l'accordo immediato all'Eurogruppo, la trattativa potrebbe risentire delle elezioni in Francia e Olanda ETTORE LIVINI
MILANO. La Grecia e i creditori provano a salvare in zona Cesarini il programma di salvataggio del Paese e
a gettare le basi per un accordo da chiudere all'Eurogruppo del 20 febbraio. Jeroen Dijsselbloem,
presidente dell'Eurogruppo, ha convocato ieri a sorpresa un incontro "tecnico" tra le parti a Bruxelles.
Sul tavolo una proposta congiunta ad Atene di Ue e Fmi - che avrebbero trovato una posizione comune
dopo le polemiche dei giorni scorsi - per provare a sbloccare l'impasse. «Abbiamo fatto progressi - ha detto
Dijsselbloem al termine del summit -. È chiaro a tutti come convenga chiudere in tempi stretti la fase due
del piano di aiuti. E ci sono le basi per un rientro dei tecnici ad Atene per finalizzare un'intesa».
La vera novità è però la "pace" - chissà quanto duratura - tra Washington e Bruxelles. Nei giorni scorsi il
Fondo aveva messo all'angolo la Ue, sostenendo che gli obiettivi imposti alla Grecia sono irrealistici in
assenza di un netto taglio al debito, ipotesi tabù per Berlino almeno fino alle elezioni. Le due parti si sono
però probabilmente incontrate a metà strada.
Il Vecchio continente potrebbe fare qualche piccola concessione sul piano per ristrutturare l'esposizione
ellenica, arrivata al 183% del Pil, facendo un importante regalo ad Alexis Tsipras, in netto calo di consenso
nel paese. Il premier del Partenone dovrebbe però impegnarsi ad approvare qualche taglio ulteriore rispetto
a quelli già concordati.
Specie sulle pensioni e sulle soglie di esenzione fiscale.
Trovare la quadra non sarà facile, ma almeno ieri si è sbloccata la situazione ed è partito un percorso. I
tempi però restano stretti.
L'Eurogruppo è alle porte. Quello successivo potrebbe arrivare solo a maggio dopo le elezioni in Olanda e
Francia e alla vigilia di quelle tedesche. Senza un'intesa l'ex-Troika non può sborsare nuovi aiuti. E Atene
deve rimborsare a luglio 7 miliardi di bond (quasi tutti a Bce e Fmi) se vuole evitare il crac. Il rischio è che a
quel punto - magari con qualche risultato a sorpresa dalle urneriuscire a mettere a posto tutti i tasselli del
caso Grecia potrebbe essere molto più difficile.
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-27%
+2,7% La crisi greca Previsione di crescita del Pil nel 2017 Il crollo del Pil greco da inizio austerity miliardi
I debiti del Paese pari al 183% del Pil
183% LIVELLO DI GUARDIA Il rapporto debito/Pil della Grecia è risalito al 183%, serve un nuovo via libera
agli aiuti internazionali prima di luglio
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/02/2017 109
13/02/2017
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finanza e borsa
Carige un consiglio in tre atti per varare il nuovo piano
Massimo Minella Vittoria Puledda
Minella e Puledda a pagina 15 Milano L'ora delle scelte si avvicina. E infatti in venti giorni Carige ha messo
in calendario ben tre consigli: dopo il primo, che ha incassato il via libera ai conti preliminari del 2016 (chiusi
con un rosso di 297 milioni), il board della banca genovese tornerà a riunirsi il 21 e il 28 febbraio, per
chiudere la più delicata delle sue partite, quella dei crediti deteriorati, con cui punta a vendere la prima
tranche da un miliardo di euro attraverso la cartolarizzazione, con l'obiettivo di incassare attorno al 30% del
valore lordo dei crediti ceduti. Si comincia quindi il 21, con un passaggio intermedio sulla strada che
conduce a fine mese. Ufficialmente, all'ordine del giorno è prevista una delibera tecnica sulle tematiche
relative ai criteri di convocazione delle assemblee. In realtà l'ad Guido Bastianini aggiornerà i consiglieri
sulle ultime decisioni valutate insieme al consulente Prelios e relative agli Npl (i Non performing loans), quei
crediti deteriorati che schiacciano i conti dell'istituto, gli impediscono di ripartire e, soprattutto, che Bce
vuole veder scendere in modo sostanziale. Il verdetto arriverà da lì a pochi giorni, il 28, quando si
procederà con l'approvazione di due distinti documenti. Il percorso è infatti mutato e ha preso una doppia
direzione, anche se l'obiettivo resta unico, vale a dire la cessione della prima tranche di Npl. Il cda, secondo
quanto risulta a Repubblica , si pronuncerà sul piano operativo per gli Npl e, subito dopo,
sull'aggiornamento del piano industriale. Appena il tempo di congedarsi, e tutta la documentazione sarà
spedita a Francoforte per essere vagliata dai vertici della Bce. Sul piano non sono attesi particolari
stravolgimenti, semmai si può parlare di rifiniture, a eccezione della parte legata ai crediti deteriorati che va
a incidere sul patrimonio. Tutti puntano il dito sulla necessità di recuperare il rapporto con il territorio (forse
trascurato negli anni passati, a favore delle grandi operazioni "corporate") mentre qualche analista
sottolinea la scarsa redditività della rete in regioni come Piemonte e Lombardia, dove la concorrenza dei
giganti è più agguerrita. Il giudizio della Bce sarà come sempre vincolante. Il nodo, come è noto, resta
quello legato alle «misure sul capitale», per usare un termine caro a Francoforte. Insomma, rafforzamento
patrimoniale attraverso denaro fresco, ipotesi che Carige non ha mai scartato ma ha sempre considerato
come ultima opzione, nel caso quanto previsto dal piano non dovesse realizzarsi o comunque non
incontrasse il gradimento della Bce: difficile che Carige riesca a sfuggire all'aumento di capitale, secondo gli
analisti. Ma i conti si faranno alla fine. Chi li conosce bene dice che i Malacalza non siano tipi da gettare la
spugna ma certo le ferite bruciano non poco: dal primo pacchetto acquistato, nel marzo 2015, la famiglia
genovese ha investito in tutto circa 250 milioni nella banca fino ad arrivare al 17,58% del capitale; oggi la
capitalizzazione complessiva di Carige in Borsa è pari a 284 milioni, il prezzo dell'azione è a 33 centesimi
mentre il prezzo medio di carico per Malacalza è di 1,7 euro. E che la situazione della banca ligure sia
ancora complessa e i conti non brillanti è un dato di fatto, anche se l'obiettivo, attraverso il rilancio della rete
e la riduzione dei costi, è quello di ritornare all'utile già alla fine del 2018. Proprio da queste riflessioni,
comunque, prende vita un piano che si concretizzerà già fra poche settimane, quando si annuncerà la
vendita della prima tranche di Npl. Il piano attuale prevede 1,8 miliardi di Npl da cedere entro la fine del
2018, divisi in due tranche. Prelios ha completato la due diligence sull'intero pacchetto, ora toccherà alla
banca individuare il perimetro esatto di quanto vuol cedere con la prima tranche (probabilmente pari ad un
miliardo). I titoli saranno assistiti dalla garanzia statale, la Gacs: da un punto di vista tecnico, tutto è pronto
per partire entro 2,5-3 mesi (il collocamento dei titoli viene curato da Banca Imi). Poi sarà la banca a
decidere (è probabile che la cartolarizzazione parta subito dopo l'assemblea di approvazione del bilancio).
Poi si dovrà procedere con tutto il resto, tenendo conto che la Bce ha indicato anche nuovi target sugli Npl
che Carige deve rimodulare, perché nel piano precedente i numeri erano più bassi. Del resto, l'urgenza di
alleggerire il peso degli crediti in difficoltà è nei numeri: al 30 settembre scorso l'esposizione lorda dei
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/02/2017 110
13/02/2017
Pag. 1 N.6 - 13 FEBBRAIO 2017
diffusione:400000
crediti non performing (la cosiddetta Non performing exposure ) era pari al 31,6% degli impieghi. A titolo di
raffronto Unicredit alla stessa data (e quindi prima dell'operazione "Fino", con la cessione di 17 miliardi di
crediti in difficoltà) aveva un indice pari al 15,1% mentre la prima della classe, Intesa, punta ad avere un
Npe ratio lordo intorno al 10% nel 2020. s. di meo
I PROTAGONISTI Guido Bastianini (1), amministratore delegato di Banca Carige e Vittorio Malacalza (2),
rappresentante della famiglia che detiene la quota maggiore del capitale dell'istituto
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/02/2017 111
13/02/2017
Pag. 1 N.6 - 13 FEBBRAIO 2017
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Tim, Vodafone, Netflix, Sky il boom della tv a banda larga
Stefano Carli
Tutti in sala: lo spettacolo sta per cominciare, anzi i titoli di testa sono già sullo schermo. La tv on demand
ha finalmente messo in moto la banda larga e soprattutto quella ultralarga, che significa fibra ottica. Gli
utenti crescono, la domanda preme anche in Italia, risolvendo l'annoso dilemma se si debba prima costruire
le nuove reti ultraveloci o aspettare il crescere dell'offerta. In numeri: oggi in Italia ci sono 1,7 milioni di
utenti di video on demand. Sono utenti che guardano meno tv tradizionale, quella dei palinsesti e dei tasti
del telecomando e che invece sempre più di frequente cercano quello che vogliono vedere su cataloghi
online. segue a pagina 4 con un articolo di Sara Bennewitz segue dalla prima Crescono non perché ci
siano in giro più smartphone o tavolette, ma perché ora sempre più film, serie tv, grandi eventi e sport
arrivano con ottima qualità sui televisori di casa: siano smart tv, ossia tv a cui, oltre il cavo d'antenna si
connette anche il cavo verso il modem a banda larga domestico (o un wi-fi) oppure grazie ai set-top-box,
(più facile chiamarli decoder) che abilitano anche i vecchi apparecchi attraverso la porta Hdmi: da Timvision
a Vodafone Tv, da Now.tv di Sky a Infintiy e, tra qualche mese, anche al nuovo decoder di Fastweb che sta
ultimando i suoi trial tecnici per adattare alla rete italiana il decoder usato in Svizzera dalla sua controllante
Swisscom. Un milione e 700 mila utenti che cresceranno rapidamente. "A fine 2019 ne stimiamo quasi 4,2
milioni", spiega Augusto Preta, direttore di ItMedia Consulting, che all'esplosione del Vod, il video on
demand, in Europa e in Italia ha dedicato un rapporto uscito appena un paio di mesi fa. "L'Italia sta
iniziando a recuperare il gap che la ha finora seperata da resto del mercato europeo: la nostra analisi infatti
- continua Preta - stima che mentre l'Europa continuerà a crescere nei prossimi tre anni a tassi tra il 20% di
quest'anno il 14% del 2019, i ricavi del settore in Italia aumenteranno del 72% quest'anno e di quasi il 55%
tra tre anni". Che il mercato ci creda si vede nei fatti. All'estero, ovviamente, prima di tutto, con le ultime
operazioni. At&t che acquisisce prima Direct Tv (la maggiore pay tv satellitare Usa) e poi Time Warner
(anche se l'operazione deve ottenere anche ora il via libera dell'Antitrust Usa), a cui risponde Verizon con
l'acquisizione di Yahoo. Ma ance in Italia, dove le cose si anno muovendo rapidamente. Telecom ha
rilanciato Timvision, Vodafone lancia Vodafone Tv e Fastweb, come anticipato più sopra, sta rientrando nel
settore da cui era uscito alcuni anni fa con lo spinoff di Chili Tv. La proposta Vodafone Quanto a Vodafone,
si sa della sua offerta, del valore di circa 10 euro al mese. I contenuti sono in via di definizione con
potenziali alleati come Sky, Discovery, Viacom. Di certo ci sono già tra le opzioni Netflix e Chili, con
pagamento a parte, ma con un'offerta iniziale che comprende sei mesi di Netflilx e 6 film di Chili. Per ora è
in vendita in una trentina di negozi Vodafone ma si arriverà presto a regime. D'altra parte l'offerta del
gruppo guidato da Aldo Bisio è legata a filo doppio allo sviluppo della rete ottica di Open Fiber, la joint
venture Enel e Cdp con cui Vodafone ha un accordo operativo. Timvision, l'offerta di tv in streaming di
Telecom Italia, è sugli scudi: presentando i conti del gruppo per il 2016, la scorsa settimana, l'ad Flavio
Cattaneo ha detto chiaramente che è dai servizi a valore aggiunto sulla fibra, e in particolare dalla tv, che il
gruppo si aspetta di tornare a veder crescere ricavi e margini. E si sta muovendo di conseguenza: accelera
sulle nuove reti, con 120 mila nuove case passate ogni settimana, ha societarizzato Timvision, prima una
divisione della capogruppo, ha firmato un accordo con Rai per venti film prodotti da RaiCinema in esclusiva.
Una cosa, quest'ultima, che ha fatto anche storcere qualche naso a Viale Mazzini dove è stata da poco
rinnovata l'offerta di RaiPlay, la catch-up tv, gratuita ma con pubblicità dove si può rivedere online e on
demand la programmazione degli ultimi sette giorni, oltre le dirette streaming di tutti i dieci canali Rai. Il lato
dell'offerta Se il fronte delle telco è in fermento, anche dall'altra parte, quella dell'offerta, ci sono movimenti.
Broadcaster, major e produttori di contenuti hanno intuito che il momento è positivo e spingono
sull'acceleratore. Con il risultato che il mercato, colpito da questo aumento di offerta, reagisce e cresce ed
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/02/2017 112
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oggi gli utenti italiani possono scegliere in un panorama di una ventina di offerte diverse, tra abbonamenti e
pay-per-view, tra cataloghi specializzati e anche motori di ricerca. I quasi 2 milioni di utenti italiani erano un
miraggio solo dodici mesi fa. C'è che è un mercato in cui i protagonisti non si sbottonano e cifre ufficiali non
ci sono. Si possono solo citare quelle che addetti ai lavori e operatori ammettono a mezza bocca. Secondo
queste indiscrezioni il primo operatore sarebbe oggi Timvision, con circa 400 mila utenti, compresa però
una quota di utenti registrati ma che non hanno ancora attivato il servizio. Cifre ad alta oscillazione quelle
relative a Netflix che secondo alcune stime potrebbe avvicinarsi ai 400 mila utenti (compresi quelli nel
periodo gratuito) e secondo altre valutazioni arriverebbe a malapena a 300 mila. Risultato non disprezzabile
ma comunque sotto le attese (si parlava di un milione entro il primo anno, e Netflix è partita nell'ottobre
2015). A rallentare la corsa del gruppo di Reed Hastings sarebbero ancora una ridotta offerta di contenuti in
italiano e la scarsa abitudine del pubblico nostrano ai film sottotitolati. Senza contare che i titoli di punta
prodotti dal gruppo, a partire da House of Cards, in Italia sono stati acquistati dai concorrenti, Sky in testa.
La crescita di Chili Chili vanta in Italia 650 mila utenti registrati, il 90% dei quali ha anche registrato un
metodo di pagamento, e cresce di 20 mila nuove registrazioni al mese. Ma Chili ha un modello di business
diverso dagli altri: niente abbonamento ma si paga volta per volta quello che si vede. Chili non ha un suo
decoder ma si affida, come Netflix, d'altronde, alla presenza sui set-top-box degli altri, da Timvision a
Vodafone, alla presenza della sua icona nelle tv connesse di Samsung e Lg e alla possibilità di connettere il
proprio smartphone o la propria tavoletta al televisore tramite le "chiavette" Hdmi come Chromecast di
Google o Amazon Fire. Anche per Sky non si hanno numeri precisi. Sui 100 mila dovrebbero essere gli
utenti che vedono l'intero bouquet della pay tv guidata da Andrea Zappia tramite la fibra ottica e con
l'apposito decoder sviluppato da Sky con Telecom Italia per replicare tutte le funzionalità del ricevitore
satellitare. Più del doppio, forse sui 250 mila, invece, gli utenti di Now.tv, la versione "low cost" di Sky che
viaggia esclusivamente via web. Situazione in stallo in casa Mediaset, viste le note vicende societarie: su
Premium Online non ci sono numeri. E su Infinity, in pratica la Netflix del Biscione, film e serie tv, lanciata
proprio anche per non lasciare strada libera a Netflix, si parla di una forbice compresa tra i 100 mila e i 200
mila utenti. E ancora indietro è Amazon Prime Video, che dal 14 dicembre scorso, giorno del lancio
ufficiale, in Italia ma assieme ad altri 200 mercati, è praticamente appannaggio gratuito di tutti gli utenti di
Amazon Prime. Amazon non rilascia numeri su quanti siano gli utenti in Italia e tanto meno su quante siano
le eventuali attivazioni del servizio. L'utilizzo è comunque ridotto dalla esiguità del catalogo, per ora, con
pochi film doppiati. Forse le cose miglioreranno in primavera, quando dovrebbe arrivare anche in Italia
"Crisis in 6 Scenes", la serie tv firmata da Woody Allen. E poi c'è il resto: dalla Play Station Video di Sony,
ad iTunes di Apple e Google Play, che non prevedendo pagamenti fissi ma acquisti a catalogo e sfuggono
ancora di più ad ogni rilevazione, fino a portali come Mubi, Vimeo o l'italiana MyMovies che propongono
selezioni mensili o settimanali di contenuti: una specie di ritorno a una forma di palinsesto NETFLIX,
VIMEO, INFINITY, AMAZON, ITUNES, MUBII PROTAGONISTI
Sono 16 i maggiori protagonisti della streaming tv in Italia elencati nella tabella sotto il titolo. Un'offerta che
cresce con il diffondersi della fibra ottica. Gli utenti in fibra di Telecom Italia sono circa un milione e sono
raddoppiati nel corso del 2016
Foto: I grafici in queste pagine sono tratti dal report "Il video on demand in Europa: 2015-2018" appena
realizzato da ItMedia Consulting
Foto: Aldo Bisio (1) ad di Vodafone Italia, che ha da poco lanciato Vodafone Tv Andrea Zappia (2) ad di
Sky Italia Giorgio Tacchia (3) ad di Chili
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/02/2017 113
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Bruxelles, la nuova mappa del potere l'Europa marcia dietro Angela
Merkel
Andrea Bonanni
LA GERMANIA HA PIAZZATO I SUOI RAPPRESENTANTI, O QUELLI DI NAZIONI AD ESSA VICINE, IN
TUTTI I GANGLI FONDAMENTALI DELLE ISTITUZIONI COMUNITARIE. E STRIZZA L'OCCHIO ALLA
BCE, DOPO LE POLEMICHE CON DRAGHI SUL QUANTITATIVE EASING Perdere tante battaglie, ma
vincere la guerra. La strategia della Germania in Europa ribalta un secolo di storia e di luoghi comuni. Per
fortuna non si tratta più delle battaglie cruente che hanno insanguinato il Continente nel secolo passato, ma
delle mille prove di forza che costellano quotidianamente la vita comunitaria. Anche in questo campo,
comunque, Berlino ha da tempo rinunciato al vecchio assioma, secondo cui «il Cancelliere tedesco non
deve mai essere messo in minoranza a Bruxelles». segue a pagina 2 segue dalla prima Una regola che
veniva osservata scrupolosamente ai tempi di Kohl, quando i complessi di inferiorità post-bellici non erano
del tutto assorbiti. E che è stata pagata con decenni di basso profilo e di subalternità alla grandeur
francese. Quei tempi sono finiti. Oggi la Germania incassa senza battere ciglio rifiuti e sconfitte. Ma la sua
autorità, culturale ancora prima che politica, la sua egemonia sugli affari europei non è mai stata così forte
come ora. È bastata una frasetta sull'Europa a più velocità, pronunciata da Angela Merkel all'ultimo vertice
di Malta, per dare il segno di quello che sarà lo sviluppo futuro dell'Unione post-Brexit, di cui i capi di
governo discuteranno a Roma nel sessantesimo anniversario dei Trattati. L'Italia lavora per preparare
quell'appuntamento da più di un anno. Ma è la Cancelliera a dettarne l'agenda. Strumento flessibile Eppure,
se la si guarda con gli occhi di Berlino, l'Europa non va certo nella direzione che la Germania
auspicherebbe. Il presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker, nominato perchè capolista dei
popolari alle elezioni europee e inizialmente poco gradito ad Angela Merkel, ha trasformato il Patto di
Stabilità in uno strumento flessibile, il che per i tedeschi è quasi un sacrilegio. Francia, Italia, Spagna e
Portogallo ne hanno usufruito abbondantemente e la Germania ha dovuto abbozzare, sia pure con molti
mugugni. Il presidente della Bce, Mario Draghi, ha varato con il Quantitative easing una politica monetaria
espansiva che aiuta i Paesi indebitati ma penalizza i risparmiatori tedeschi. E anche qui la Cancelliera ha
dovuto fare buon viso a cattivo gioco, mettendo la sordina alle proteste del suo ministro delle Finanze e del
presidente della Bundesbank. La Grecia è rimasta nell'euro, nonostante il governo tedesco avesse
proposto di metterla fuori. La strategia di redistribuzione obbligatoria dei rifugiati, importantissima per la
Merkel che ne ha accolti più di un milione, è rimasta lettera morta a causa del veto dei Paesi dell'Est e della
scarsa collaborazione degli altri partner. L'ultima, piccola, battaglia che Berlino sembra destinata a perdere
è quella per la sostituzione della vicepresidente della Commissione, la bulgara Kristalina Georgieva, andata
alla World Bank. In un primo momento sembrava che la vicepresidenza dovesse passare al commissario
tedesco Gunther Oettinger. Ma poi una serie di gaffe dell'esponente politico cristiano-democratico,
considerato molto vicino alla Cancelliera, hanno messo in crisi la sua candidatura. Il leader del Ppe al
Parlamento europeo, il tedesco Manfred Weber, avrebbe preso l'impegno di appoggiare per la
vicepresidenza della Commissione la liberale danese Margrethe Vestager, potente commissaria alla
concorrenza, per cementare l'alleanza tra popolari e liberali che ha soppiantato quella tra popolari e
socialisti. Ma anche questa mossa, per il momento, resta bloccata. Il capo di gabinetto Anche se non
diventerà vicepresidente, Oettinger ha ereditato i portafogli cruciali che erano di Georgieva: il bilancio e il
personale della Commissione, dove i tedeschi occupano molti posti chiave alla guida delle direzioni
generali. E soprattutto, con il potentissimo Martin Selmayr, capo di gabinetto di Juncker, controllano il
processo decisionale in seno al collegio dei commissari. C'è poi il segretario generale della Commissione,
l'olandese Alexander Italianer, che della filosofia tedesca in materia di rigore è un convinto discepolo.
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Anche al Parlamento europeo il segretario generale è un tedesco, Klaus Welle, selezionato tra le file del
Ppe. Tedesco pure il suo vice, Markus Winkler, socialista e già assistente di Martin Schulz. Oltre al leader
del gruppo Ppe, Manfred Weber, la Germania conta in Parlamento anche su altre personalità autorevoli,
come il presidente della Commissione affari esteri Elmar Brok, o la presidente dell'influente Commissione di
controllo del Bilancio, Ingeborg Graessle. Ma è al Consiglio, cioè tra i rappresentanti dei governi nazionali,
che l'egemonia tedesca è pressochè totale. Il presidente, il polacco Donald Tusk (Ppe), è in aperta rottura
con il governo ultrareazionario del suo Paese e affida le speranze di riconferma al benvolere della
Cancelliera. Il presidente dell'Eurogruppo, che riunisce i ministri finanziari dell'eurozona, è il
socialdemocratico olandese Jeroen Dijsselbloem, quasi sempre in sintonia con il Finanzminister tedesco
Wolfgang Schaeuble. Il capolavoro di Angela Merkel è però nella gestione degli equilibri politici tra i
governi, dove è riuscita a creare attorno a sè maggioranze diversificate. È una riedizione della politica dei
due forni andreottiana trasportata a Bruxelles. Ma che, come accadeva nell'Italia degli anni '70, ha il difetto
di essere lenta, laboriosa e spesso poco conclusiva. Così, sui temi dell'austerità e della politica di bilancio,
la Cancelliera può contare su una vasta maggioranza che allinea Olanda, Svezia, Danimarca, Austria, i
baltici e la quasi totalità dei Paesi dell'Est europeo, che hanno debiti pubblici ridotti. Sulla politica estera, la
Francia resta il partner indispensabile, insieme agli altri grandi Paesi come l'Italia e la Spagna. Nelle
strategie commerciali Berlino può giocarsi facilmente gli ultraliberisti del Nord Europa, che non hanno
industrie da difendere, contro le tendenze protezioniste di francesi e italiani, favorendo gli uni o gli altri in
funzione del proprio interesse. Sulla gestione migratoria invece la Germania è più allineata con l'Italia e con
i Paesi mediterranei contro il blocco dell'Europa centro-orientale. Maggioranze variabili A seconda dei temi
le maggioranze possono cambiare. Ma Berlino resta comunque il fulcro di qualsiasi schieramento
dominante. Fino ad oggi questa leadership riluttante della Germania si traduceva in una prudente,
minuziosa ed estenuante mediazione continua, a immagine e somiglianza della Cancelliera. Ora siamo di
fronte ad un cambiamento di passo, che potrebbe segnare l'evoluzione di una egemonia pragmatica,
fattuale, in un'egemonia politica. Prima la Brexit poi l'elezione di Trump hanno messo l'Europa con le spalle
al muro, lanciando ai Ventisette una sfida identitaria senza precedenti. In questo frangente l'unica in grado
di trovare le parole, la misura e le proposte per far fronte alle nuove crisi si è rivelata la Merkel. È stata lei a
dettare la linea di intransigenza sulla indivisibilità delle quattro libertà, che ha costretto i britannici ad
affrontare i negoziati di uscita rinunciando al mercato unico, che ha identificato correttamente nei valori
liberaldemocratici il terreno su cui misurare i futuri rapporti euro-americani. Ed è sempre la Merkel a
lanciare, con la proposta di un'Europa a velocità differenziate, un progetto che potrebbe consentire alla Ue
di uscire dalla paralisi. Nessuno, finora, tra i suoi 26 eterogenei partner europei, ha trovato nulla da
obiettare alle sue parole. Dopo molte sconfitte e troppe esitazioni, la guerra per la leadership europea si
può finalmente considerare conclusa. KLAUS WELLE, DONAL TUSK, KLAUS REGLING,PETER PRAET,
ELKE KONIG, SABINE LAUTENSCHLAGER, JEROEN DIJSSELBLOEM, JEAN CLAUDE JUNCKERLA
SCHEDA Il fattore D Mario Draghi conserva l'indipendenza dell'Eurotower
Malgrado la Banca Centrale Europea sia stata istituita ad immagine e somiglianza della Bundesbank - non
a caso la sede è a Francoforte a poca distanza della stessa Buba - non parla affatto tedesco. La Germania
ha due rappresentanti nel board e diversi altri nei vari comitati, fra cui il potente Jens Weidmann,
governatore della Buba. La settimana scorsa Draghi è andato a incontrare la Merkel a Berlino per ribadire
insieme che indietro dall'euro non si torna. Ma il contrasto resta: il quantitative easing e i bassi tassi, che
favoriscono i Paesi ad alto debito come l'Italia e danneggiano quelli ad alto risparmio come la Germania,
continuano ad incontrare la più ferma opposizione tedesca. Eppure Draghi prosegue per la sua strada.
Sarà un caso ma la Germania non ha mai avuto un presidente: il primo fu l'olandese Duisemberg, seguì il
francese Trichet e infine Draghi. In questio anni spesso i rappresentanti tedeschi si sono trovati in
disaccordo con il board della Bce, al punto che nel 2011 di fronte alla decisione di acquistare i titoli dei
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paesi periferici si sono dimessi prima il presidente della Bundesbank Weber e poi il rappresentante nel
board Stark. Tutto potrebbe cambiare drasticamente alla scadenza di Draghi, il 31 ottobre 2019. Chi è il più
accreditato successore? Proprio Weidmann. Mario Draghi, presidente della Bce
Foto: A fianco Angela Merkel; nei grafici i personaggi più vicini a Berlino nelle istituzioni Ue e i Paesi
considerati "satelliti" della Germania
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/02/2017 116
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INTERVISTA DOSSIER INVESTIMENTI
Spence: "L'Italia faccia pulizia nelle banche"
IL PREMIO NOBEL ALL'ECONOMIA 2001 ANALIZZA E VALUTA L'AUMENTO DEGLI SPREAD NELLE ULTIME SETTIMANE CHE STA RIPORTANDO IL BELPAESE NEL RUOLO DI GRANDE MALATO DELL'EUROZONA. MA QUALCOSA È STATO FATTO Luigi dell'Olio
Milano «L'Italia ha fatto dei progressi importanti in termini di riforme economiche e per affrontare l'urgenza
dei crediti deteriorati che pesano sui bilanci da bancari. Tuttavia da sola può poco: occorre che il tema della
crescita venga avvertito come prioritario da tutta l'Europa». È il messaggio lanciato dal premio Nobel
all'Economia 2001, Michael Spence, intervistato a margine della Gam Insights Conference, che si è tenuta
nei giorni scorsi a Milano. L'aumento degli spread nelle ultime settimane sta riportando l'Italia nel ruolo di
grande malata dell'Eurozona. Qual è la sua view sul nostro Paese? «Non credo che sia messo peggio di
altri. Certo, c'è il peso dell'enorme debito pubblico e c'è il problema delle banche, ancora piene di crediti
deteriorati. Ma non dimentichiamo che siete un Paese con una grande propensione al risparmio da parte
dei privati e con un robusto sostegno delle famiglie. Detto questo non vedo altra strada che continuare con
le riforme per rendere più flessibile il mercato, combattere gli sprechi e generare efficienza. Quanto al
risanamento delle banche, se i privati non ce la fanno, tocca allo Stato intervenire. Istituti sani e pienamente
operativi sono indispensabili per sostenere la crescita». La presa di coscienza dei problemi c'è, ma non
sempre è facile spuntare flessibilità dall'Europa. Anche se ultimamente le convinzioni sull'austerity
cominciano a traballare anche tra i grandi assertori di questo approccio. Che idea si è fatto? «L'Europa è
davanti a un bivio cruciale. Di fronte a eventi come le politiche protezionistiche di Trump e la Brexit, può
rinnegare l'approccio seguito fin qui e far emergere lo spirito di integrazione rispetto all'egoismo dei singoli
Stati. Se invece continua sulla strada fin qui seguita, a mio avviso si schianterà». Qual è a suo parere lo
sbocco più probabile? «Vedo il 50% di possibilità per ciascuna delle due direzioni». Allargando l'orizzonte,
lo scena rio globale vede da una parte il consolidamento della crescita in termini di Pil e dall'altro un
crescente malcontento tra le popolazioni occidentali. Come si spiega questa contraddizione? «È vero che il
Pil continua a salire, ma questo avviene soprattutto per la spinta che arriva dalla politica monetaria messa
in atto dalle banche centrali che ha contribuito a creare domanda aggregata. Il tutto a fronte di una
crescente esposizione debitoria dei Paesi e delle famiglie e con crescenti disuguaglianze sociali. Senza
una classe media numerosa e ottimista sul futuro, le dinamiche dei consumi e degli investimenti sono
destinate a restare deboli». Dunque bisogna concludere che le politiche economiche in atto sono errate?
«Sicuramente ci sono stati degli errori, in particolare in Europa dove, a fronte di un'azione decisa da parte
della Bce, si assiste a un dominio dell'austerity che colpisce soprattutto le fasce più deboli della
popolazione. Ma occorre considerare anche i fattori strutturali: la rivoluzione digitale porta con sé la
scomparsa di molti posti di lavoro. Basti pensare alla logistica: nei giorni scorsi ho visitato una struttura che
fino a poco fa occupava 300 persone e ora ne ha una sola, che si limita a controllare che il lavoro dei robot
proceda senza intoppi. Questo crea un problema gigantesco, nella misura in cui si fatica a trovare nuova
occupazione in altri settori». Quindi andiamo verso un mondo «senza lavoro» per usare un'espressione
molto in voga di questi tempi tra alcuni economisti? «Una prospettiva di questo tipo è irrealizzabile. Di certo
c'è che siamo in una fase di transizione profonda, come tante nel passato. In attesa di trovare un nuovo
motore capace di creare occupazione su larga scala, occorre mettere in campo misure di riqualificazione
del personale. Le faccio un esempio: la Danimarca destina circa il 2% del proprio Pil a programmi di
ricollocamento del personale che ha perso il lavoro affinché acquisti competenze in linea con l'evoluzione
dell'economia, mentre negli Stati Uniti siamo fermi allo 0,01%. Questo approccio contribuisce ad acuire le
diseguaglianze. È illuminante quanto detto nei giorni scorsi da Jack Ma agli americani». Cosa ha detto il
fondatore di Alibaba? «Il fondatore di Alibaba, intervistato a proposito delle ricadute della globalizzazione,
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/02/2017 117
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Pag. 33 N.6 - 13 FEBBRAIO 2017
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ha citato una serie di dati che dimostrano come gli Usa abbiano tratto enormi benefici dalla produzione a
basso costo nei Paesi emergenti. Il problema è relativo al fatto che non hanno poi distribuito questa
ricchezza». E la Cina? Si iscrive alla schiera di quanti sono preoccupati dalla situazione della seconda
economia mondiale o vede ancora spazi di crescita? «Le statistiche ufficiali indicano la crescita cinese
ancora intorno al 6-7% annuo. Mettiamo che la realtà sia un punto in meno...parliamo comunque di un ritmo
di progresso che ci sogniamo alle nostre latitudini. Ogni anno ci sono dai 13 ai 18 milioni di cinesi che
abbandonano le campagne per andare a vivere nelle città e questo crea una domanda gigantesca di
investimenti infrastrutturali e per la mobilità. Detto questo, in Cina ci sono problemi legati alla fragilità del
sistema bancario, ancora troppo in mano agli operatori pubblici, che non adottano sempre logiche
puramente di mercato. Le criticità non mancano, ma non vedo crisi all'orizzonte». S. DI MEO
Foto: Michael Spence , premio Nobel per l'economia 2001 è venuto a Milano per il convengo "Gam Insights
Conference"
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/02/2017 118
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Pag. 1.20.21 N.7 - 12 febbraio 2017
diffusione:302020
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Prima pagina Esclusivo
Deriva di Stato
I derivati segreti che hanno svenduto l'Italia alle banche. Il governo li ha sempre nascosti. L'Espresso ora li rivela LUCA PIANA
Deriva di Stato IL LINGUAGGIO È L'INGLESE STANDARD delle banche d'affari. I termini utilizzati sono
spesso tecnici, com'è naturale quando si tratta di strumenti fnanziari complessi. Le cifre in gioco appaiono
astronomiche, un miliardo di dollari, un miliardo e mezzo di sterline: tre miliardi di euro. Soprattutto, però, ci
sono tutti gli elementi per ricostruire un suicidio fnanziario a cui l'Italia si è sottoposta, accettando di
incassare alcune decine di milioni di euro come contropartita di contratti che, nel giro di pochi anni, l'hanno
poi costretta a sborsare trenta volte tanto. Si presenta così, in un fascicolo di quasi 300 pagine, la solu
zione a uno dei misteri meglio custoditi d'Italia: gli strumenti derivati sottoscritti dal Tesoro con alcune
banche internazionali che, anno dopo anno, stanno costando alle casse pubbliche un fusso ininterrotto di
perdite miliardarie. Per la prima volta, infatti, l'Espresso è in grado di pubblicare i contenuti di un pacchetto
di contratti che nei primi giorni del 2012 misero il governo di Mario Monti con le spalle al muro,
costringendolo a versare 3,1 miliardi di euro nelle casse della banca americana Morgan Stanley. Quando la
notizia trapelò, a dispetto dei tentativi del Tesoro di far passare l'operazione sotto silenzio, la questione dei
derivati esplose con virulenza, determinando indagini parlamentari, inchieste da parte della magistratura e
dando il via a un accertamento da parte della Corte dei Conti, che sta valutando una richiesta danni
miliardaria. Nonostante il pressing dell'opinione pubblica, però, fno a oggi i contratti siglati dallo Stato con
Morgan Stanley o con le altre banche internazionali non hanno mai passato la barriera di riservatezza
eretta dal Tesoro. Il governo e le istituzioni re spingono le richieste che arrivano da più parti per poterli
visionare, al fne di capire come ha fatto il ministero a impelagarsi in una serie di operazioni fnanziarie che
diversi osservatori giudicano eccessivamente rischiose. I derivati, infatti, sono strumenti che permettono a
chi li sottoscrive di muovere cifre enormi, impegnando un capitale iniziale ridotto. Possono avere una loro
utilità, se concepiti per proteggersi dagli scosso ni dei mercati. Ma possono anche rivelarsi estremamente
rischiosi, se utilizzati con un fne speculativo. Di qui gli interrogativi che sono nati sull'operato del Tesoro:
soltanto nel quinquennio dal 2011 al 2015, stando agli ultimi dati noti, i derivati hanno avuto un impatto
negativo sui conti pubblici di 23,5 miliardi di euro, fra interessi netti pagati alle banche e altri oneri connessi.
E ancora: gli ultimi conteggi disponibili dicono che gli strumenti tuttora in essere nel portafoglio del Tesoro
presentano perdite potenziali per ulteriori 36 miliardi di euro. Fatti due conti si può dedurre che al governo
di Paolo Gentiloni basterebbe non avere questa zavorra per evitare la manovra di aggiustamento da 3,4
miliardi di euro che l'Unio ne europea ha chiesto all'Italia. Alla luce di questi numeri, in molti hanno provato
a capire che cos'è davvero successo in questa zona segreta dell'attività dello Stato. Con un'azione pilota, il
giornalista Guido Romeo, fondatore della onlus "Diritto di sapere", ha chiesto di accede re ai contratti prima
al Tesoro, poi al Tar del Lazio, infne al Consiglio di Stato. Niente da fare, su tutti e tre i fronti. Nel 2015 la
Commissione Finanze della Camera ha condotto un'indagi ne conoscitiva sul fenomeno, senza ottenere i
documenti. Infne un gruppo di parlamentari del Movimento 5 Stelle si è rivolto alla Commissione che a
Palazzo Chigi regola l'accesso agli atti della pubblica amministrazione. Zero risultati. Oggi, fnalmente,
eccoli. Quando Morgan Stanley bussò alla porta del neo-premier Mario Monti, nelle ultime settimane del
2011, era un periodo già di per sé diffcile: la crisi dello spread stava mettendo a dura prova i conti pubblici e
molti paventavano un default dell'Italia. Il maxi esborso da 3,1 mi liardi di euro fece sensazione ma, da quel
momento, le preoccupazioni non sono diminuite, viste le nuove perdite che sono andate materializzandosi
su altri derivati. Le banche coinvolte in questo genere di operazioni sono diciannove, da J.P. Morgan a Ubs,
da Deutsche Bank a Goldman Sachs, stando a una lista diffusa qualche tempo fa dal ministero. Ma al di là
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/02/2017 119
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Pag. 1.20.21 N.7 - 12 febbraio 2017
diffusione:302020
tiratura:413507
dei nudi nomi, poco si sa. Non sono note le posizioni del Tesoro con ognuno degli istituti interessati, con
quali ci sta guadagnando e con quali perdendo, quali motivi hanno determinato la scel ta di frmare alcuni
specifci contratti e quali analisi di rischio sono state condotte prima di farlo. Ecco perché il caso Morgan
Stanley, al di là del tempo trascorso, resta di grandissima attualità. Quei derivati ormai chiusi rappresentano
infatti la punta di un iceberg costituito da decine e decine di contratti per ora ignoti, che i vari governi hanno
sempre voluto mantenere il più possibile sotto il pelo dell'acqua. «La divulgazione», è la posizione espressa
da Pier Carlo Padoan, ministro dell'Economia, «avrebbe rifessi pre giudizievoli che determinerebbero uno
svantaggio competitivo» dell'Italia rispetto alle banche e agli «altri Stati che fanno uso di questi strumenti».
Tuttavia, anche senza rivelare i particolari più minuti, nel faldone di documenti che hanno portato al maxi
esborso del 2012 balzano agli occhi alcuni aspetti che meriterebbero risposte più precise. I contratti che
hanno determinato il maxi salasso di cinque anni fa sono principalmente quattro. Due sono di un genere
chiamato "interest rate swap", spesso indicato con le iniziali "Irs"; gli altri due nel gergo fnanziario vengono
invece defni ti "swaption". L'Irs è un accordo che vincola le due parti a scambiarsi un fusso d'interessi, a
scadenze e tassi prefssati. Nel più tipico dei casi, il Tesoro si impegna una volta l'anno a versare alla banca
un tasso fsso pari, ad esempio, al 4 per cento di una cifra indicata come riferimento (tipo un miliardo di
euro); la banca al contrario versa al Tesoro un tasso variabile, ad esempio l'Euribor. Se l'Euribor vale più
del 4 per cento, ci gua dagna lo Stato; se vale meno, la banca. A questa struttura, le swaption aggiungono
un tassello. Si tratta di opzioni che il Tesoro ha venduto alle banche e che, in un momento successi vo,
permetteranno loro di entrare in un Irs o in un altro genere di swap, a tassi defniti già in partenza.
Ovviamente, quando l'opzione sarà esercitabile, la banca lo farà solo se le condizioni di mercato saranno a
lei favorevoli. I documenti che l'Espresso ha potuto consultare, in realtà, mostrano che le operazioni
intraprese con Morgan Stanley non sono state fssate una volta e mai più toccate. I contratti sono infatti stati
ridiscussi a più riprese, in alcuni casi quando la versione precedente aveva poche settimane di vita. È
quindi più corretto parlare di quattro "famiglie" di derivati, incatenati l'uno all'altro. Anche qui il lessico della
fnanza prevede una parola ad hoc: si dice che i contratti vengono "ristrutturati", cioè che le condizioni
vengono modifcate cambiando l'entità degli interessi, piuttosto che la durata. Perché in alcuni casi questo
sia avvenuto nel giro di pochissimo tempo, accrescendo in misura sensibile i rischi a cui il Tesoro si
sottoponeva, è uno dei misteri che la semplice lettura degli atti non chiarisce. UNA SORPRESA PER
MONTI Per inquadrare bene i fatti, bisogna partire dalla fne, e cioè dai drammatici giorni di metà novembre
2011 in cui stava cadendo l'ultimo governo di Silvio Berlusconi. Con i mercati in subbuglio e il fato dei
grandi organismi internazionali sul collo del successore Monti, Morgan Stanley invia al Tesoro una serie di
sei memorandum «strettamente privati e confdenziali» nei quali affronta una discussione delicata. Il primo è
datato 14 novembre, il giorno stesso dell'incarico di governo a Mon ti, l'ultimo risale invece al 20 dicembre.
In quei documenti la banca americana sottopone ai dirigenti del ministero dell'Economia la decisione di
esercitare una clausola presente in un vecchio accordo di 18 anni prima, datato 10 gennaio 1994,
chiudendo anticipatamente tutti i contratti derivati sottoscritti da allora con il Tesoro e incassando
sull'unghia svariati miliardi di dollari. Che cosa diceva quella clausola? La risposta si trova nel documento
originale del 1994, anzi in un allegato del cosiddetto "Isda master agreement", una specie di accordo
quadro frmato quando il direttore generale del Tesoro era Mario Draghi, oggi presidente della Banca cen
trale europea. A pagina 7 dell'allegato è esplicitato quello che viene definito "Exposure Limit". Semplifcando
al massimo, il senso è questo: se il valore di mercato dei derivati sotto scritti con il Tesoro è favorevole a
Morgan Stanley e supera la soglia di 50 milioni di dollari, la banca può decidere di chiudere in anticipo tutti i
contratti, esigendo dal governo il pagamento dell'intera cifra. Per inquadrare bene il peso specifco di questa
clausola, bisogna capire che cos'è il valore di mercato di un derivato, detto anche "mark to market". Come
abbiamo visto in precedenza, questo genere di strumenti prevede uno scambio di quattrini fra le due parti. Il
valore di mercato del contratto, dunque, è la stima del fusso netto dei pagamenti che avverranno fra il
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Tesoro e la banca per l'intera durata del derivato, calcolato in base alle attuali condizioni di mercato.
Quando si dice che il "mark to market" dei derivati del Tesoro è negativo per 36 miliardi, signifca che, con le
correnti condizioni dei tassi, il governo durante la vita residua dei contratti pagherà alle banche 36 miliardi
in più di quanto riceverà da loro in termini di interes si. Le condizioni di mercato naturalmente variano, e il
Tesoro ha sempre sostenuto che parlare di perdite future è fuorviante, perché la situazione potrebbe
migliorare. Vero, come però è altrettanto vero che gran parte di quelle perdite sono attese verifcarsi negli
anni più prossimi, quando la probabilità che effettivamente si concretizzino è più elevata. Ecco il punto:
quando Morgan Stanley si rivolge al Tesoro, nel novembre 2011, il valore di mercato dei derivati supera già
in maniera abnorme la soglia di 50 milioni di dollari de fnita nel 1994. Il dettaglio viene messo nero su
bianco in uno dei rari documenti scritti in italiano nella corrispondenza fra le due parti, un memorandum
datato 22 novembre 2011. In questo appunto vengono elencati sei contratti che la banca intende chiudere
o trasferire a altre controparti, il cui valore di mercato è negativo per il Tesoro per 3,5 miliardi di dollari,
settanta volte il livello d'allarme di 50 milioni indicato nel "master agreement"di 18 anni prima. Date le sue
dimensioni, è del tutto evidente che quel "buco" non si era formato nel giro di pochi giorni, ma in un periodo
ben più lungo, e che quota 50 milioni era stata superata già da diversi anni. Perché allora la banca
americana ha aspettato così tanto tempo per presentarsi all'incasso? E perché il Tesoro ha lasciato che il
"mark to market" dei derivati sottoscritti con Morgan Stanley si gonfasse fno a un livello così insostenibile
ma nel frattempo, come vedremo più avanti, non ha smesso di fare nuovi contratti con l'istituto? L'ENFASI
MANCATA Nei documenti della banca americana una risposta alla prima domanda si rintraccia in una
lettera spedita a cose fatte a Maria Cannata, responsabile della direzione debito pubblico del Tesoro, nella
quale Morgan Stanley sostiene che le autorità degli Stati Uniti e della Gran Bretagna avevano acceso un
faro sui rischi presenti nel suo portafoglio, di fatto chiedendo all'i stituto di esercitare la clausola per mettere
al sicuro i proftti maturati. La lettera, inviata su richiesta della stessa Cannata, si chiude con una frase che
suona come un atto di disponibilità, dopo una vicenda che al Tesoro doveva essere rimasta sullo stomaco:
«Speriamo di lavorare con voi per raggiungere una soluzione accettabile per entrambi». Più diffcile da
digerire rischia di essere la risposta alla do manda sul perché il Tesoro non aveva smesso di fare derivati
con l'istituto, quando già erano state superate le condizioni della clausola che metteva Morgan Stanley in
una posizione di forza. Si tratta di un fatto importante, perché invalida qualsia si motivazione tecnica
potessero avere i contratti: che senso ha stipulare un accordo che dovrebbe, ad esempio, garantire il
Tesoro da un'evoluzione indesiderata dei tassi o dei cambi, se già al momento della frma la banca è nelle
condizioni di chiu dere il contratto e esigere il pagamento del valore di mercato? Per spiegare ciò che
sembra apparentemente inspiegabile, bisogna ricorrere a un documento diverso dai contratti e dalle lettere
della banca. Si tratta di una perizia scritta all'inizio del 2015 per la procura di Roma da un professore
dell'Università di Tor Vergata, Ugo Pomante. I magistrati della capitale aveva no avviato un'indagine nei
confronti di Monti e Padoan sul caso Morgan Stanley, sollecitati dalle denunce presentate da due
associazioni dei consumatori, Adusbef e Federconsumatori. L'indagine si è conclusa con una richiesta di
archiviazione, accolta dal Tribunale dei ministri, ma la perizia presenta lo stesso alcuni passaggi di grande
interesse, che fanno nascere un dubbio: al Tesoro non tutti erano a conoscenza della clausola incriminata.
E chi doveva occuparsene, forse non ne ha valu tato le conseguenze con la necessaria attenzione. Nella
sua perizia Pomante non esclude che, al momento del master agreement del 1994, la clausola avesse una
sua legittimità. Osserva però che una soglia così bassa com'erano i 50 milioni di dollari rendeva necessario
come minimo un monitoraggio costante della situazione dei contratti, al fne di essere coscienti dei rischi
che si correvano. E sostiene che, una volta avvicinata la soglia, il Tesoro avrebbe dovuto «evitare di
stipulare nuovi contratti con Morgan Stanley, in quanto ciò avrebbe accresciuto il valore nominale
complessivo dell'esposizione in derivati, accrescendo di conseguenza il rischio di allontanarsi ulteriormente
dalla soglia stessa». Il problema, dice il perito, è che, in base alla documentazione esaminata, nessuno
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/02/2017 121
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sembra aver preso in considerazione le possibili conseguenze del con tratto. «È lecito ipotizzare che tale
indifferenza sia fglia del fatto che il Ministero dell'Economia ignorasse l'esistenza della suddetta clausola»,
scrive Pomante, citando una testimonianza di Maria Cannata, nella quale la dirigente sostiene di «non aver
avuto conoscenza di tale clausola sino al momento in cui il Tesoro ha dovuto assorbire il pacchetto di
contratti della ex Infrastrutture Spa», e cioè nel luglio 2007. A conferma di una mancata valutazione che si è
rivelata fatale, Pomante cita anche una e-mail inviata alla stessa Cannata da un altro funzionario del
Tesoro, Fabrizio Tesseri: «Ritengo doveroso sottolineare come ci si sia ritrovati in questa "diffcile"
situazione per l'esi stenza stessa della clausola (...) per la mancata enfasi posta dalla controparte
sull'importanza della stessa fno a pochissimo tempo fa», scrive Tesseri nel documento, sottolineando - con
tanto di punto esclamativo fnale - come «con altre contropar ti abbiamo lavorato anni per l'eliminazione di
clausole ben meno importanti!». Dopo gli appartamenti e le polizze vita a insaputa dei benefciari, scopriamo
così che in Italia esistono anche i contratti con clausole ignote a chi dovrebbe gestirli. Da altre
testimonianze già emerse in precedenza, si sa che il Tesoro si è sempre detto convinto che quella clausola
non sarebbe stata esercitata e che la soglia di 50 milioni di dollari era già stata superata «da almeno dieci
anni», come ha avuto modo di raccontare Maria Cannata. Mettendo insieme questi elementi con quelli che
emergono ora dai documenti esaminati dall'Espresso, dunque, il problema è che gran parte del salasso di
3,1 miliardi subìto dal Tesoro nei primi giorni del 2012 è dovuta a derivati stipu lati o rinegoziati in anni in cui
la clausola era, per così dire, già "attivata". E avrebbe dovuto, di conseguenza, sconsigliare la frma di nuovi
accordi con la banca americana. Nel dicembre 2003, ad esempio, viene rinegoziata una swap tion venduta
a Morgan Stanley nel 1999. Anche qui è necessario semplifcare un po', perché si tratta di accordi 12
febbraio 2017 molto complessi. Il vecchio contratto permetteva alla banca di entrare, a partire dal 2014, in
un Irs del tipo classico: se lo avesse esercitato, Morgan Stanley per i successivi 25 anni avrebbe pagato al
Tesoro un tasso variabile pari al Libor a 6 mesi su un valore nominale di un miliardo di sterline, incassan do
in cambio un fsso pari al 5 per cento. Quando dopo quattro anni il contratto viene rinegoziato, il Tesoro
sembra fare una scommessa ancora più impegnativa su un futuro andamento rialzista dei tassi. Posticipa al
2028 la data in cui Morgan Stan ley potrà esercitare la swaption; allunga la durata dello swap che ne
nascerebbe di altri cinque anni, portandola a complessivi trent'anni; e soprattutto gonfa da 1 a 1,5 miliardi di
sterline il valore nominale a cui si applicano i tassi per determinare i pagamenti che ne verrebbero. Una
serie di rinegoziazioni caratterizza anche un'altra swaption, venduta dal Tesoro nel 2002, modifcata
leggermente nel settembre 2006 e in maniera più radicale appena due anni più tardi, nell'agosto 2008.
Anch'essa verrà chiusa, esattamente come la precedente, con l'accordo di fne 2011, con un pesan te
esborso per il Tesoro. Dalla lettura dei contratti e dalle considerazioni di Pomante emerge una possibile
ragione di questi due contratti. Entrambi sono collegati a altri derivati, degli swap sulle valute. Vendere le
opzioni a Morgan Stanley, una mossa che il perito defnisce «poco prudente», aveva come contropartita una
riduzione degli oneri che il Tesoro pagava su questi ulteriori swap. Sta di fatto che, come abbiamo visto dal
memorandum del 22 novembre 2011, tutti e quattro i contrat ti alla fne presentavano valori di mercato
fortemente negativi per il Tesoro (in totale: oltre 2 miliardi di dollari), che è stato costretto a sborsare cifre
consistenti per chiudere entrambe le swaption e rimodulare i contratti sulle valute. Insomma, in cambio di
un benefcio di cassa immediato, il ministero ha accettato di caricarsi di rischi che, al dunque, gli si sono
scate nati contro. Certamente poteva andare diversamente ma, come osserva Pomante, per coprirsi dai
rischi le opzioni andrebbero comprate, non vendute. BASTEREBBE UNA MOZIONE Questa strategia
traspare in maniera ancora più evidente dal più pesante dei contratti che Morgan Stanley ha deciso di
chiudere in quelle prime, durissime settimane del governo Monti. L'operazione nasce il 12 luglio 2004,
quattro giorni prima che l'allora premier Berlusconi promuovesse ministro dell'Economia il professore
torinese Domenico Siniscalco, che conserverà insieme alla nuova carica quella di direttore gene rale del
Tesoro, dove l'aveva portato Giulio Tremonti. Visti a posteriori, i termini dell'operazione mettono i brividi. Il
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/02/2017 122
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Tesoro vende all'istituto americano una swaption che potrà essere esercitata appena un anno più tardi, il
26 agosto 2005. Passano poche settimane e il 28 ottobre l'opzione viene rinegoziata, cambiando in parte i
termini dell'Irs che Morgan Stanley potrà imporre esercitandola. Se con il primo contratto il valore nominale
a cui applicare i tassi era pari a 2 miliardi di euro, con il secondo sale a 3 miliardi. Questo signifca che au
menteranno in maniera cospicua i fussi d'interessi che le due parti si scambieranno ma è chiaro che la
banca ha il coltello dalla parte del manico: eserciterà la swaption soltanto se i tassi saranno a sua favore,
dando vita a un contratto che legherà le due parti fno al 2035. Ma perché il Tesoro si è invischiato in
un'operazione del genere? Forse per i premi che ha incassato: 29 milioni con la vendita della prima
opzione, più altri 18 con la rinegoziazione. Il totale fa 47 milioni. Purtroppo l'estate successiva i nodi
vengono al pettine: Morgan Stanley esercita la swaption, entra in un Irs che al Tesoro costa moltissimo: alla
fne del 2011 il suo valore sarà negativo per 1,57 miliardi di dollari. Per chiuderlo la banca americana
esigerà l'intera cifra, incassando 1,35 miliardi di euro. Quale poteva essere la ratio di una simile
operazione? Il professor Pomante tenta un'interpretazione: «Può essere una strategia di gestione del
debito pubblico in grado di defnire, in ipotesi di esercizio dell'opzione, un tetto massimo all'indebitamento a
tasso fsso in euro». Una sottigliezza che si scontra con un conto più ba nale ma, forse, non meno vero: nel
2004 il Tesoro ha voluto incassare 47 milioni di euro, puntando sul fatto che i tassi sarebbero saliti. Non è
successo, e la scommessa gli è costata una perdita pari a 33 volte tanto. La lettura dei contratti originali,
dunque, fa nascere molti interrogativi. Uno di questi riguarda la natura della riservatezza che il Tesoro ha
imposto sui derivati. Il ministro Padoan, che dalla sua ha il merito di aver rinunciato a questo genere di stru
menti, limitandosi a ristrutturare quelli che i predecessori gli hanno lasciato in scomoda eredità, ha
certamente le sue ragioni per motivare il rifuto. Ma resta forte il sospetto che qualcosa, negli anni della
fnanza creativa, non abbia funzionato. E per scardinare il segreto un suggerimento potrebbe venire proprio
dalla clausola di riservatezza presente nel già citato allegato del "master agreement" del 1994. Dice che i
contenuti dell'accordo possono essere divulgati solo con l'autorizzazione di Morgan Stanley. Ma che la
"parte B", ovvero il Tesoro, può divulgarli se a chiederli sono alcune istituzioni, fra le quali è citato un
"order" di un "legislative body". Forse, dunque, basterebbe una mozio ne del parlamento per iniziare a fare
chiarezza. Chissà se una simile clausola è presente in tutti i contratti, anche quelli sottoscritti con le altre
banche.
Carte riservate I derivati con Morgan Stanley ricadevano sotto un accordo quadro detto "Isda master
agreement", il cui frontespizio è riportato a pagina 20. Qui sopra c'è la clausola in cui si stabilisce che solo
la banca può autorizzare la diffusione dei contenuti, a meno che l'ordine non arrivi da una corte o da altre
istituzioni
Una clausola ignorata dal Tesoro ha obbligato il governo a versare più di 3 miliardi a Morgan
Stanley
L'opzione peggiore Qui a fianco è riportato un dettaglio del contratto dell'ottobre 2004 che modifica una
swaption firmata appena due mesi prima. Morgan Stanley esercitò l'opzione prevista dal contratto nel 2005,
entrando in uno swap molto svantaggioso per il Tesoro, che per chiuderlo dovette versare 1,35 miliardi di
euro
Voragine nei conti pubblici dati in miliardi di euro Anno 2011 2012 2013 2014 2015 Flusso degli interessi
dei derivati dello Stato -2,1 -3,8 -2,7 -3,6 -3,1 Altri effetti di aggiustamento Totale effetti negativi sul debito
2011-2015 I dati della tabella fotografano due diversi effetti che i derivati hanno sul bilancio pubblico. La
prima colonna quantifica il flusso degli interessi versati alle banche ogni anno, al netto degli interessi
incassati dalle stesse. Il fatto che i numeri siano negativi significa quindi che il Tesoro ha pagato più
interessi di quanti ne abbia incassati. La seconda colonna, invece, riporta altri effetti legati alle operazioni in
derivati, come ad esempio le passività generate dal riacquisto di swaption, la cancellazione di contratti o la
loro ristrutturazione. Fonte: Elaborazioni su dati Istat -0,2 -1,6 -0,8 -1,8 -3,5 Totale Annuo* -2,4 -5,5 -3,5 -
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/02/2017 123
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5,4 -6,7 -23,5 * Le somme riportate sono calcolate con i numeri originali delle prime due colonne, non
troncati dopo la prima cifra decimale. Per tale motivo alcune cifre possono sembrare leggermente
disallineate rispetto a quelle della prima e della seconda colonna
Una swaption fu modificata a tempo record per incassare un premio. Ma la scommessa si rivelò
disastrosa
Foto: Illustrazione di Daniele Zendroni
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/02/2017 124
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Pag. 36 N.7 - 12 febbraio 2017
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Politica Giochi di palazzo
Chissà se Merkel ci vuole in serie A
Bruno Manfellotto
ORA SI TRATTA di capire a che velocità voglia farci correre Angela Merkel. Cioè che cosa pensa di noi, e
cosa si aspetta dall'Italietta dell'ot timismo inconcludente, dell'eterno disordine, del caos politico eretto a
sistema. Non è una questioncella da poco. Quale che sia il prescelto che dopo il voto (a giugno? a
febbraio?) percorrerà i saloni di Palazzo Chigi, è a queste domande che dovrà trovare risposta. E adeguarsi
di conseguenza rifettendo fnalmente su crescita asfttica, debito pubblico oppri mente, lavoro scarso, sorte
dell'euro. Un anno intero, l'ultimo, è stato invece dedicato solo al referendum, occasione di salvifca
palingenesi secondo Renzi, simbolo di pericolosa involuzione per i suoi oppositori. L'esito fnale è il caos
attuale. Per un altro anno, questo, si parlerà prima di data delle elezioni, ingenuamente evocate come
panacea di tutti i mali, poi - senza una legge eletto rale adeguata - delle alleanze necessarie per formare un
governo e magari, dinanzi a un eventuale fallimento, di nuovo di elezioni. Dimenticando i guai di cui sopra.
Solo che stavolta non sarà più possibile implorare la clemenza della Corte: ora la Cancelliera ci obbliga a
decidere se nell'Europa a più velocità che ha in mente lei, l'Italia voglia corre re in testa o accodarsi al
gruppone degli inseguitori. Perché l'una o l'altra via impone scelte dolorose. Su economia, immigrazione,
sicurezza, difesa. Per tre anni Renzi ha speso ogni ener gia per convincere Bruxelles che solo diluendo nel
tempo la riduzione del debito pubblico sarebbe stato possibile rimettere in moto l'economia, grazie anche a
qualche bonus e a un pacchetto di riforme. Merkel, Schäuble il falco e i commissari europei hanno chiuso
un occhio e detto sì. E l'Italia ha portato a casa via via 19 miliardi di fessibilità, cioè uno sconto di un punto
e rotti di pil sui parametri concordati. Però le cose non sono poi andate come Renzi spera va, e l'Ue ha
presentato il conto. A Paolo Gentiloni: mancano all'appello 3,4 miliardi. Impensabile strappare ora ulteriore
benevolenza, e non solo perché la campagna elettorale in Germania sconsiglia a Merkel segni di
cedimento nei confronti di un paese, l'Italia, lassù considerato più o meno irrecuperabile. Insomma la verità
è che molti tedeschi, e non solo loro, non riescono proprio a immaginarci capaci di una svolta. Non solo per
i trascorsi non edifcanti: nessu no può sapere quanto durerà il governo Gentiloni e che cosa possa fare da
qui a giugno, o pure a febbraio; né che cosa possa succedere dopo le elezioni. Si teme che trascorra
invano un altro anno. Intanto, alla vigilia del sessantesimo compleanno dell'Unione e dopo lo choc della
Brexit e l'attacco di Trump alla moneta unica, Merkel lancia l'idea di un'Europa a più velocità. Non è la
prima volta che se ne parla. Le "diver se velocità" piacevano molto a Mitterrand, ma rimasero lettera morta.
Poi toccò ai "cerchi concentrici" e più avanti è stata consacrata nei trattati una "cooperazione rafforzata". Il
sen so è sempre quello: restare uniti, non fermarsi, non rallentare, pur accettando diversi gradi di
appartenenza. Ma la condizione perché un sistema così fuido funzioni è che la pattuglia di testa sia forte e
coesa. E l'Italia deve decidere se farne parte. Ce la faremo? Dobbiamo farcela, anche se i numeri fanno
venire forti dubbi, e non solo a Merkel: la crescita economica è inchiodata allo zero vir gola; la
disoccupazione giovanile ha superato quota 40; il debito non cala (2228 miliardi) ed è del 32 per cento
superiore al pil; i divari di produttività tra l'Italia e i big europei sono siderali; lo spread ha ricominciato a
correre e le Borse sono cadute dopo le parole di Marine Le Pen sull'uscita della Francia dalla Nato e sulla
fne dell'euro, primo assaggio di cosa potrebbe succedere in caso di vittoria del Front National. Davvero
arduo restare in serie A. Anche perché bisognerebbe capire quale Europa abbia in mente Angela Merkel,
se una Unione guidata da un nucleo più piccolo di padri fondatori che accetti l'integrazione di tutti pur se
differenziata, o un'Europa a doppia moneta (se n'è parlato tante volte): da una parte i più forti, e dall'altra i
più deboli costretti a una drastica ristrut turazione del debito. A leggere Mario Draghi in difesa dell'euro,
viene il sospetto che pensasse non solo a Trump, ma anche a Schäuble. Insomma, la sfda è decisiva. E tra
un po' bisognerà fare i conti con la manovra 2018. Forse occorrerebbe uno choc, la con sapevolezza delle
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/02/2017 125
12/02/2017
Pag. 36 N.7 - 12 febbraio 2017
diffusione:302020
tiratura:413507
diffcoltà, un grande sforzo nazionale. Ma con questi chiari di luna, non si vede in giro chi abbia la forza di
promuoverlo, attuarlo, sostenerlo.
Foto: Questa settimana www.lespresso.it - @bmanfellotto
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/02/2017 126
13/02/2017
Pag. 18
diffusione:154324
tiratura:222715
[W. P.]
La distribuzione di marca crea diecimila posti di lavoro
Il Rapporto Confimprese per quest'anno prevede più di 1150 aperture
Il 2017 sarà un anno di soddisfazioni per la distribuzione commerciale di marca che non rinuncia ad aprire
nuovi esercizi commerciali diretti e in franchising, né a sperimentare canali di vendita alternativi ai centri
storici e ai centri commerciali, come il «travel retail» (punti vendita in aeroporti, stazioni ferroviarie
eccetera). «Nel 2017 prevediamo di replicare i numeri del 2016 ed arrivare a oltre 1150 aperture e 10mila
posti di lavoro», afferma Mario Resca, presidente Confimprese (300 marchi commerciali, 3 0 m i l a p u n t i
v e n d i t a , 600mila addetti con un fatturato pari a 900 miliardi di euro). Alimentari e abbigliamento insieme
rappresentano oltre la metà delle aperture con una ricaduta occupazionale di oltre 6.800 addetti. Alimentare
e ristorazione vincono la palma d'onore con 318 nuove aperture e 4.749 addetti totali. Tra le imprese al
primo posto troviamo il gruppo Cigierre (48 punti vendita a marchio Old Wild West, Shi's, Wiener Haus,
Pizzikotto e Romeo con una media di 25 persone a punto vendita per un totale di 1.344 addetti). Non è da
meno il gruppo Cremonini che, con i due marchi Chef Express e Roadhouse Restaurant, aprirà 60 locali
con 1250 assunti. Continua a funzionare bene il «fast casual food» in cui tutto è preparato al momento con
ingredienti freschi. Esempio è il colosso del cibo pronto da portare via Kfc (14 aperture e 500 assunzioni).
Vanno citati anche i piani di La Piadineria (30 locali con oltre 150 nuovi posti di lavoro). Buoni i piani di
America Graffiti, che porta la tradizione americana in due formati di ristorazione in franchising, l'«american
diner» e il fast food (aprirà 15 locali con 300 persone in totale). Per Caffè Vergnano le aperture saranno 15
per un totale di 75 neoassunti. Il gruppo torinese approderà anche al Molo E di Fiumicino in partnership con
My Chef. L'azienda spagnola 100 Montaditos continuerà l'espansione in Italia con 25-30 aperture e un
numero di dipendenti compreso tra i 12 e 14 a locale per un totale di circa 400 persone. L'abbigliamento
metterà a segno quest'anno 311 aperture con l'occupazione di oltre 2mila persone. Tra i gruppi più attivi
Pianoforte Holding che, con i suoi marchi Yamamay, Carpisa e Jaked, totalizzerà 90 nuovi esercizi
commerciali con una ricaduta occupazionale di 450 persone. Camomilla Italia prevede 30 nuovi store per
un totale di 120 assunzioni. Per Piazza Italia sono in programma 28 punti vendita con 184 assunti. Per
Primadonna le aperture saranno 60 con 300 persone totali. Il gruppo Pittarosso apre 30 nuovi negozi con
360 assunti. Il gruppo francese Kiabi concentra lo sviluppo sui centri commerciali dotati di un buon rating:
sei i negozi con 30 addetti ciascuno (che fa in totale 180 assunzioni). Nei casalinghi si distingue Kasanova,
tra i maggiori player italiani che ha 345 negozi e 1900 dipendenti, che ha programmato 50 aperture con per
un totale di 450 persone. Nell'elettronica di consumo il gruppo Unieuro apre 25 negozi con 125 nuovi
addetti e punta su un nuovo format di vicinato, i cosiddetti Unieuro City. Tecnocasa ha in programma
l'apertura di 220 agenzie con un totale di 880 persone. Per i piani delle singole aziende vedi
www.confimprese.it.
Foto: «Travel retail» Un settore in grande espansione sono i negozi che vendono nei luoghi di transito dei
viaggiatori come aeroporti e stazioni ferroviarie
Foto: IMAGOECONOMICA
Foto: REPORTERS
Foto: Alimentare e moda Creeranno circa la metà delle nuove occasioni di lavoro nel settore della
distribuzione di marca
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/02/2017 127
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STATI GENERALI NELLA CAPITALE IL 24 FEBBRAIO La storia
La "Generazione Erasmus" festeggia i 30 anni a Roma
[W. P.]
Inumeri parlano chiaro: sono 4 milioni gli studenti italiani che hanno realizzato questa esperienza e la
portano orgogliosamente nel proprio bagaglio a mano, facendone un vero e proprio biglietto da visita. Solo
lo scorso anno dall'Italia ne sono partiti 30.875, e hanno scelto le mete preferenziali di Spagna, Germania,
Francia e Portogallo. Il nostro paese ha ospitato dall'estero 20.942 studenti stranieri. Il programma
Erasmus in questi 30 anni ha dato prova del suo funzionamento e della sua efficacia. Sono cifre che danno
un'idea non solo sulla qualità organizzativa del programma, ma che indicano che i tempi sono maturi per
permettere a più persone di viaggiare e lavorare in Europa, e sono un antidoto al dilagante populismo
antieuropeo. Da queste basi prenderanno avvio il prossimo 24 febbraio 2017 gli Stati Generali della
Generazione Erasmus, primo consiglio italiano. L'evento promosso da Indire, Miur e presidenza del
Consiglio, sarà un'occasione per fare il punto della situazione, coinvolgere i decisori politici, lanciare le basi
per nuovi finanziamenti e aprire le porte a futuri progetti. Nato da un'idea della pedagogista italiana Sofia
Corradi, il programma Erasmus vide la luce nel 1987 generando una nuova classe di studenti, che ha fatto
della mobilità una chiave di successo non solo per la propria formazione, ma per cambiare in meglio il
proprio destino e quello dell'Europa. Nel suo futuro l'ErasmusPlus prevede finanziamenti per i tirocini in
aziende europee, per la mobilità degli insegnanti, ma anche gemellaggi tra portali online, tra le diverse
scuole e partnership con paesi come Iran, Iraq e Yemen. Nonostante i tentativi di chiusura, la società
attuale è sempre più proiettata verso un'ottica di mobilità, vista come un valore positivo che aggiunge
esperienza, che forma i nuovi cittadini. Gli studenti Erasmus hanno in media 23 anni, sei su 10 sono
ragazze; studiano, sperimentano pratiche innovative, usufruiscono di servizi, acquisiscono nuove
competenze. Si tratta di un patrimonio che non può andare perduto. Per questo sono nate anche nuove
associazioni, come Garage Erasmus, che ambiscono a unire gli ex Erasmus, con l'obiettivo di creare
legami e conservare il frutto delle loro esperienze. Il prossimo 24 febbraio presso la Sala della Protomoteca
in Campidoglio si svolgerà quindi l'incontro degli Stati Generali, organizzato dall'Agenzia nazionale
Erasmus+/Indire con la collaborazione della Fondazione Garage Erasmus e Erasmus Student Newtork.
All'evento parteciperanno 150 studenti e 50 ex studenti selezionati, con un'esperienza di mobilità Erasmus,
per discutere su tematiche di interesse per l'Europa dei giovani. Un'opportunità di ascolto, di dibattito e per
esprimere pareri. Nel corso dell'evento si inizierà anche la raccolta di suggerimenti da inserire nella Carta
Generazione Erasmus, che sarà consegnata ai decisori politici il prossimo 9 maggio 2017 a Palazzo
Vecchio, a Firenze in occasione del Festival d'Europa. I partecipanti dovranno conoscere e avere avuto
rapporti con l'associazione di volontari Esn, Erasmus Student, e con la fondazione Garage Erasmus,
nonché avere buona conoscenza delle istituzioni europee.
Foto: REPORTERS
Foto: Studentesse di Erasmus
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/02/2017 128
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Rendimenti sicuri senza costi, il ritorno dei conti deposito
Le banche offrono ai risparmiatori tassi fino al 3% lordo SANDRA RICCIO MILANO
Un parcheggio per la liquidità che torna di attualità nei momenti di incertezza alle stelle sui mercati. I conti
deposito, offerti da banche online e da istituti tradizionali, tornando di nuovo di interesse. Offrono stabilità e
remunerazioni intorno all'1% netto sui vincoli a 12 mesi. Senza costi e senza rischi, in tempi di inflazione
quasi a zero vuol dire un guadagno reale non trascurabile. Qualche nuova proposta inizia a offrire di più e
avanza con tassi ad alto rendimento anche del 3% lordo annuo. È il caso di Conto Esagon da poco lanciato
sul mercato da Credito Fondiario. La formula è allettante tuttavia i tassi più interessanti sono legati a durate
sopra i 24 mesi. Il 3% è pagato sul parcheggio di cinque anni, a tre anni si ottiene il 2,50% lordo. Sui due
anni il guadagno è del 2,25% lordo. È la strategia a tempo adottata dalla gran parte dei conti sul mercato e
che caratterizza queste nuove forme di risparmio ormai da anni. Più lungo è il vincolo e più alta è la
remunerazione. Per aumentare il tasso, gli istituti hanno allungato sempre di più la durata del parcheggio. È
il caso, per esempio, di SIConto di Banca Sistema che a chi deposita i suoi soldi per un lunghissimo
periodo di dieci anni, offre una remunerazione del 3% annuo lordo. Scendendo di durata, sui cinque anni
SIConto arriva al 2,70% annuo lordo, Rendimax di Banca Ifis riconosce un tasso lordo del 2,60%, Conto
Progetto di Banca Progetto è al 2,50% sui cinque anni. Occorre farsi bene i conti. Alcuni depositi offrono,
infatti, extra-promozioni che fanno aumentare, anche se di poco, la remunerazione finale. Alcuni istituti, per
rubare clienti alla concorrenza, si accollano alcune spese che competono al cliente come il bollo
progressivo, o mini patrimoniale, dello 0,20%. Nel caso di Esagon, a pagare questa somma è la banca e
non il cliente. Anche altri istituti come Banca Ifis, Banca Sistema e Conto Progetto, offrono questa
opportunità. Fatti i conti, diventa un modo per alzare il rendimento complessivo. Alcuni conti, inoltre,
pagano gli interessi prima dello scadere dell'anno e quindi è possibile incassare cedole periodiche ogni tre
mesi oppure ogni sei mesi. È il caso di Banca Privata Leasing che liquida i guadagni maturati ogni sei mesi.
In questo modo è possibile avere a disposizione le somme maturate prima del tempo. Quanto è sicuro il
deposito? I così detti salvadanai elettronici, al pari dei conti correnti, sono garantiti dal Fondo Interbancario
fino a 100 mila euro. In caso di gravissimi dissesti e quindi di bail-in sono a rischio soltanto le somme sopra
la soglia dei 100mila euro. c
Foto: Incertezza In una fase del mercato di difficile lettura torna d'attualità per i risparmi la ricerca di un
parcheggio con pochi rischi
Foto: ANSA
Foto: Esagon Lanciato sul mercato dal Credito Fondiario paga il 3 per cento di interesse lordo sul
parcheggio di cinque anni, mentre a tre anni offre il 2,50% lordo
Foto: Meno spese Alcuni istituti si accollano alcune spese che competono al cliente come il bollo
progressivo, o mini patrimoniale, dello 0,20%
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/02/2017 129
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FALCK RENEWABLES
"Puntiamo su vento e sole con acquisizioni in Europa"
L'ad Volpe: "Italia all'avanguardia, può essere leader Cresceremo anche nei servizi, dalla consulenza alla gestione" FRANCESCO SPINI MILANO
Tra prezzi in calo, «ai minimi da che esiste la Borsa elettrica in Italia», un ricalcolo dei certificati verdi e il
salto nel buio della Brexit, vista l'alta esposizione in Gran Bretagna, il 2016 di Falck Renewables è stato
«un anno non facile sul fronte dei ricavi», avverte l'ad Toni Volpe. Ma grazie a una serie di efficienze,
«abbiamo realizzato un buon recupero: quelli che pubblicheremo a inizio marzo saranno risultati
soddisfacenti». Nel frattempo è in corso di esecuzione il piano industriale, a cui il manager ha lavorato fin
dal suo arrivo in azienda, a marzo, «pensando a una strategia un po' diversa rispetto all'ultima che risaliva
ormai al 2013». E già si pensa al piano energetico del governo, «in cui l'Italia può osare di più, in tema di
rinnovabili». Ingegner Volpe, quali sono i punti chiave della vostra strategia? «Falck Renewables torna a
fare il mestiere che l'ha caratterizzata fin dall'inizio nelle energie rinnovabili: in cinque anni aumenteremo la
capacità installata del 60%, focalizzandoci su eolico (80%) e solare (20%). Siamo un operatore industriale,
che non fa solo finanza per comprare impianti fatti da altri. Il nostro obiettivo è sviluppare gli impianti da
zero o riconvertire quelli ormai obsoleti, gestendoli per la loro vita utile». Dove contate di svilupparvi? «Il
nostro è un piano fortemente europeo: il 90% di quello che andiamo a fare lo faremo nei Paesi dove siamo
storicamente presenti come Italia e Regno Unito, oltre a Spagna, Francia, Olanda, Paesi Scandinavi,
Irlanda. Per diversificare puntiamo per la prima volta anche sul Nord America, dove ci limiteremo al 10%
delle nostre attività». Non vi preoccupa la politica pro fonti fossili di Trump? «Il solare americano è un
mercato da 10-11 gigawatt all'anno, noi vogliamo fare 60 megawatt in cinque anni: l'ambizione è contenuta.
Trump di certo sarà meno propenso a sviluppare normative nate contro il riscaldamento globale e che -
sulla scia di Cop21 - puntano a una forte riduzione delle emissioni delle centrali a carbone. Ma lo sviluppo
delle rinnovabili in America è sempre stato scollegato dalle politiche sulle emissioni ed è sempre stato
incentivato dagli Stati e dal Congresso, che non cambieranno idea». Al di là della geografia, in che settori
volete svilupparvi? «Accanto all'aspetto industriale vero e proprio, vogliamo crescere nel mondo dei
servizi». Di che tipo? «A chi come noi possiede impianti fotovoltaici o eolici offriamo tutto quanto possa
servire in fase di sviluppo e di costruzione con la consulenza ingegneristica, ad esempio. Fino alla gestione,
contabilità e reportistica. Ecco, andremo oltre». Può fare degli esempi? «Daremo consulenza nell'efficienza
energetica per aziende industriali consumatrici ma anche nell'ambito del settore pubblico, dove
ultimamente è cresciuta molto l'esigenza di risparmiare nell'illuminazione». Quanto inciderà nei conti la
parte relativa ai servizi? «Circa il 4% dell'utile di qui alla fine del nostro piano quinquennale. Il disegno del
sistema elettrico, tra "smart grid" e batterie, sta cambiando rapidamente: per noi ci possono essere
opportunità di estendere le competenze dalla produzione alla consulenza, coprendo quindi tutta la catena
del valore». La stagione è stata caratterizzata dalla battaglia per Alerion, contesa tra Edison e FriEl. Perché
non avete partecipato? «A noi non sembrava che potesse convenire entrare in una lotta che avrebbe
portato a una crescita significativa del prezzo, come poi è avvenuto. In più non abbiamo ravvisato sinergie
che valessero la spesa». Escludete acquisizioni? «Tutt'altro, anche se il nostro è un piano di crescita
organica. In Europa l'eolico ha un installato da 150 gigawatt, il solare tra 80 e 90: valuteremo opportunità
ma dovranno essere coerenti con le linee del piano. Come azienda siamo più europei che italiani: non
vogliamo iniziare ora a concentrarci sull'Italia, tanto più con affari che, come avvenuto per Alerion, non
reputiamo vantaggiosi». Cosa farete in tema di dividendi? «Confermo quanto detto nel piano: cresceranno
dell'8,5% ogni esercizio nei prossimi tre anni. In seguito valuteremo se considerare un livello minimo di
payout». In primavera arriva la nuova strategia energetica nazionale: cosa suggerireste al governo?
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/02/2017 130
13/02/2017
Pag. 17.20
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«L'Italia si è distinta nelle rinnovabili fin dall'inizio, grazie all'idroelettrico. Oggi abbiamo già raggiunto
l'obiettivo - che preoccupa Paesi come Francia e Olanda - di avere una quota del 20% di energia da
rinnovabili entro il 2020. Anche l'obiettivo del 27% pare poco sfidante. Credo che, come Paese, il nostro
obiettivo debba essere guidare l'Europa verso un'ambizione più alta, quella che aveva qualche anno fa,
prima che la Cina ci superasse. L'Italia può avere un ruolo forte, tanto più oggi che le rinnovabili hanno
costi comparabili con le altre fonti e non penalizzano più la bolletta». c
I conti e il piano industriale Falck Renewables si appresta a pubblicare a inizio marzo dati di bilancio che
anticipa come «soddisfacenti», nonostante prezzi dell'energia ai minimi da quando esiste la Borsa elettrica
Il piano industriale triennale punta su una forte crescita
20
per cento La quota di energia rinnovabile che l'Ue si è impegnata a raggiungere entro il 2020
80
per cento La quota del mix energetico dei suoi impianti che Falck Renewables vuole destinare all'eolico
L'azienda in cifre
270
4
2002
822
31 Anno di fondazione (col nome di Actelios) Capacità installata di generazione MegaWatt Impianti Ricavi
(2015) milioni di euro ecnologie Eolico, Fotovoltaico, Termovalorizzazione rifiuti, biomasse Paesi - LA
STAMPA
Foto: Primo giorno L'inaugurazio ne di un impianto eolico in Scozia Nonostante la Brexit, Falck Renewables
crede ancora nelle prospettive di sviluppo delle energie alternative nel Regno Unito, dove il gruppo è molto
presente da anni
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/02/2017 131
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Il rapporto LA CONGIUNTURA
Riparte l'economia Ue nodo debito per l'Italia
Oggi le previsioni della Commissione con un quadro complessivo positivo Il Pil della zona euro verrà rivisto al rialzo: +1,6 % . Bene anche il 2018 IL 22 FEBBRAIO VERRÀ DIFFUSO LO STUDIO SUL NOSTRO INDEBITAMENTO CHE HA GIÀ SFONDATO IL 130% Michele Di Branco
P A R I G I Gli analisti francesi sono più o meno tutti d'accordo: per uscire dalla situazione attuale, «l'Italia
dovrà ricorrere alla sua proverbiale creatività», perché non sembrano esserci ricette pronte per spezzare «il
pericoloso circolo vizioso», di crescita debole, debito in grande forma e richieste di manovre correttive da
parte della Commissione. Anche se la Francia non se la passa certo troppo meglio (l'unico problema che il
paese non aveva era lo spread, ma lo spauracchio Le Pen ha cominciato a muovere anche quello), i
riflettori sono per ora puntati sull'economia italiana che vive il suo febbraio più difficile. IL DILEMMA Con le
previsioni economiche d'inverno pubblicate questa mattina dalla Commissione, comincia un calendario
serrato e difficile per il governo Gentiloni. Le cifre di oggi sulla zona euro, e dei singoli paesi diranno con
ogni probabilità che la congiuntura, pur restando sempre convalescente, mostra segni di ripresa migliori del
previsto. Le correzioni rispetto alle stime precedenti sono minime ma almeno hanno il segno positivo. Nella
zona euro l'esecutivo comunitario prevede per il 2017 una crescita dell'1,6 per cento, in aumento dello 0,1
rispetto alle stime autunnali. Meglio, anche se si parla sempre di decimali, anche le previsioni per il 2018: si
dovrebbe crescere nell'Eurozona dell'1,8 per cento contro l'1,7 annunciato a novembre. Le buone (o
almeno non cattive) notizie per l'Unione monetaria potrebbero però tradursi in notizie meno buone per
l'Italia. L'ottimismo generale rafforzerà infatti le pretese dei più severi guardiani dei criteri del patto di
stabilità (vedi i vicepresidenti Dombrovskis e Katainen) ad esigere dall'Italia un intervento «tempestivo e
incisivo» per riportare in carreggiata le finanze pubbliche e dare serie garanzie sul controllo del debito che
ormai da quattro anni vola sopra al 130 per cento del Pil. Come già annunciato, nelle previsioni pubblicate
oggi non ci saranno le misure correttive promesse da Padoan per rientrare nei parametri su deficit e debito.
La Commissione ha già promosso le misure, non resta adesso che vedere la manovra che le renderà più
concrete. E qui il tempo stringe. Il 22 uscirà il rapporto sull'evoluzione del debito pubblico italiano, a quel
punto, anche se le due cose non saranno necessariamente contemporanee, Bruxelles dovrà decidere se
aprire o meno una procedura per debito eccessivo. La correzione richiesta al governo italiano, ormai è
noto, corrisponde a poco più di tre miliardi di euro, ovvero un aggiustamento dello 0,2 per cento di Pil. Il
Commissario economico Pierre Moscovici e il presidente Jean-Claude Juncker stanno facendo pressione
per una manovra - anche parziale - da mettere sul tavolo entro il fatidico 22 febbraio, in modo da
accontentare almeno in parte i più rigorosi. Del resto in questa fase così turbolenta è difficile che si vada
allo scontro. PORTA STRETTA L'idea, secondo diverse fonti a Bruxelles, è che «il caso italiano» sia chiuso
entro la fine del mese, in modo da alleggerire un calendario già abbastanza pieno, tra crisi greca più che
mai aperta e le elezioni in Olanda, Francia e Germania, fonti di ulteriori e gravi incertezze. A ispirare la
«creatività» italiana potrebbero essere gli ultimi dati su inflazione (1 per cento) e produzione industriale
(+1,4 per cento) che mostrano una certa ritrovata vivacità dell'economia e che soprattutto potrebbero
aiutare il governo a ridurre l'entità dello sforzo richiesto dalla Commissione. Certa resta il nodo del debito
pubblico fuori dai parametri, ma che il governo vuole portare sotto controllo senza varare manovre in grado
di affossare la lenta ripresa dell'economia. Sul punto il premier Paolo Gentiloni non è disposto a trattare.
Anche perchè anche la Germania non rispetta da tempo le regole europee con il suo enorme surplus
commerciale. Francesca Pierantozzi
Il debito pubblico prima e dopo la grande crisi Dati in % del Pil Ue Euroarea Belgio Bulgaria Repubblica
ceca Danimarca Germania Irlanda Grecia Spagna Francia Croazia ITALIA 57,5 65,0 87,0 16,3 27,8 27,3
63,7 23,9 103,1 35,5 64,3 37,7 99,8 2007 85,0 90,4 105,8 26,0 40,3 40,4 71,2 78,6 177,4 99,8 96,2 86,7
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132,3 2015 Lettonia Lituania Lussemburgo Ungheria Paesi Bassi Austria Polonia Por togallo Romania
Slovenia Finlandia Svezia Regno Unito 8,4 15,9 7,8 65,6 42,7 65,1 44,2 68,4 12,7 22,8 34,0 39,0 42,0 2007
36,3 42,7 22,1 74,7 65,1 85,5 51,1 129 37,9 83,1 63,6 43,9 89,1
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/02/2017 133
12/02/2017
Pag. 1,6
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La trattativa con la Ue IL DEFICIT
Benzina più cara e tagli ai ministeri, ecco la manovrina
Pronte le misure del Tesoro: per i carburanti aumento di 2 centesimi Bruxelles assicura: nessun ultimatum, abbiamo piena fiducia nell'Italia I RISPARMI NEI DICASTERI RIGUARDERANNO SOPRATTUTTO SANITÀ, DIFESA E INFRASTRUTTURE CIRCA 1,5 MILIARDI ARRIVERANNO DALL'ESTENSIONE DEL PAGAMENTO ANTICIPATO DELL'IVA ALLE AZIENDE PUBBLICHE Alessandro Cardini Michele Di Branco
B R U X E L L E S Mentre a Roma il Tesoro sta definendo i dettagli della manovra aggiuntiva per evitare la
procedura Ue per violazione della regola di riduzione del debito, la Commissione resta in attesa che si
concretizzi l'impegno assunto dal ministro dell'Economia. E cioè che prima di aprile, mese in cui il governo
varerà il documento di economia e finanza, sia adottata una parte delle misure necessarie per ridurre di 3,4
miliardi il deficit. Misure ormai delineate: 2,5 miliardi di maggiori entrate (con aumento di 2 centesimi della
benzina) e 800 milioni di tagli di spesa ai ministeri. Fonti comunitarie indicano che non c'è alcun tipo di
ultimatum per l'Italia: il vicepresidente Dombrovskis, responsabile dell'euro, e il commissario agli affari
economici Moscovici hanno preso atto degli impegni di Padoan, nei confronti del quale c'è piena fiducia, e
aspettano decisioni conseguenti. Certamente ai piani alti di Palazzo Berlaymont le discussioni politiche
italiane, specialmente quelle all'interno del Pd, vengono seguite quotidianamente. La preoccupazione è
direttamente proporzionale ai segni di fibrillazione della maggioranza che sostiene il governo. Ciò che fa
fede per i due esponenti comunitari e per il presidente Juncker sono gli impegni di Padoan e del premier
Gentiloni. IL DIALOGO Il ragionamento di Dombrovskis e Moscovici è questo: quanti più elementi precisi e
con effetti quantificabili sui conti il governo fornirà entro febbraio meglio è per l'Italia. Perché la scadenza di
fine mese è nota da tempo: Bruxelles ha annunciato un rapporto specifico sul rispetto della regola del
debito, e per concludere che non è il caso di aprire una procedura di infrazione, la Commissione ha bisogno
che una parte della manovra sia messa nero su bianco. Il 22 febbraio è il giorno in cui l'esecutivo Ue
pubblicherà le relazioni sugli squilibri macro-economici e non è detto che il rapporto sul debito italiano sarà
pubblicato in quella occasione. Intanto domani saranno rese note le nuove stime economiche: ci si aspetta
che Moscovici ribadisca la necessità che l'Italia indichi ciò che intende fare nelle prossime due settimane e
ad aprile. Senza ultimatum, ma avendo bene in mente che il caso debito va chiuso a febbraio. Come detto,
il pacchetto di interventi, nelle sue linee generali, è ormai pronto. La manovra dovrebbe pesare per 3,3
miliardi e, coerentemente con quanto indicato nelle scorse settimane da Padoan, sarà composta per tre
quarti da entrate e per un quarto da un intervento sulla spesa pubblica. In Via XX Settembre, in queste ore,
ribadiscono che restano esclusi interventi sulle aliquote Iva, sulle agevolazioni fiscali, un ampliamento della
voluntary disclosure. Il pezzo forte della correzione fiscale poggerà sull'estensione dello split payment alle
società pubbliche. In pratica nei rapporti interni alla Pa, come già avviene con le società private, l'Iva sarà
versata direttamente da chi paga la prestazione in modo da evitare che l'imposta sul valore aggiunto si
perda nei passaggi successivi sgonfiando le entrate. Da questa operazione, che è in attesa del via libera
dell'Europa, si punta a incamerare 1,4-1,5 miliardi. Nonostante una forte dialettica interna al governo
sull'opportunità di procedere, trova conferma l'ipotesi di un aumento delle accise sui carburanti. Si ipotizza
un aumento dell'aliquota di 2 centesimi che assicurerebbe un aumento del gettito di circa 700 milioni. Non
viene escluso che parte del peso delle accise potrebbe essere spostato sulle sigarette. Altri 3-400 milioni
arriverebbero dall'aumento della tassazione su bolli e imposte di registro. GLI INTERVENTI Quanto al
capitolo spesa, fonti del governo respingono l'espressione "tagli" accennando a razionalizzazioni e
contenimento dei flussi in uscita per un totale di 800 milioni. Nel mirino ci sono comunque le spese dei
ministeri. Esclusi tagli lineari, si opereranno interventi selettivi. Tre dicasteri sotto la lente d'ingrandimento
dei tecnici: Infrastrutture, Difesa e Sanità. Per quest'ultima in particolare, si punta ad accelerare con le
operazioni che, attraverso la supervisione di Consip, permettono di fissare un prezzo standard per
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/02/2017 134
12/02/2017
Pag. 1,6
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tiratura:158020
l'acquisto di beni e servizi. Il primo risultato è stato raggiunto con le siringhe, altri 12 prodotti medico-sanitari
attendono di conoscere il loro costo di riferimento per evitare gli sprechi praticati da alcune regioni negli
ultimi anni.
Le accise sulla benzina Anno Lire € cent Motivo storico 1935 1,9 0,1 1956 14 0,7 1963 10 0,5 1966 10 0,5
Per la guerra di Abissinia Per la crisi di Suez Per il disastro del Vajont Per l'alluvione di Firenze 1968 10 0,5
1976 99 5,1 1980 75 3,9 1983 205 10,6 Per il terremoto del Belice Per il terremoto del Friuli Per il terremoto
dell' Irpinia Per la missione in Libano 1996 22 1,1 2004 39 2,0 2005 10 0,5 Per la missione in Bosnia
Rinnovo contratto autoferrotranvieri Acquisto di bus ecologici 2011 (marzo) 14 0,73 Fondi per la cultura
2011 (giugno) 80 4,0 2011 (novembre) 17 0,89 2011 (dicembre) 160 8,2 2012 39 2,0 Emergenza immigrati
per crisi libica Alluvione in Liguria e Toscana Decreto "Salva Italia" Per il terremoto in Emilia
La manovrina allo studio
miliardi
milioni
1,4/1,5
800
ENTRATE
2,5 miliardi
circa
300/400
milioni
milioni circa
800 dall'estensione alle aziende pubbliche del pagamento anticipato dell'Iva verso la Pubblica
amministrazione I tagli attraverso inter venti mirati sulla spesa dei ministeri: in par ticolare Sanità,
Infrastrutture e Difesa da aumento di 2 centesimi delle accise sulla benzina da aumento bolli e imposte di
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/02/2017 135
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Col Milleproroghe
Lavoratori precari salvo l'assegno di disoccupazione
Andrea Bassi
Una palla di neve che stava per trasformarsi in una valanga. Ieri l'Inps ha annunciato che avrebbe sospeso
il pagamento dell'assegno di disoccupazione dei lavoratori Co.coco.co. Il governo è corso ai ripari. A pag.
15 Una palla di neve che stava per trasformarsi in una valanga. Con il governo obbligato a correre in fretta
e furia ai ripari. Ieri mattina l'Inps ha annunciato che avrebbe sospeso il pagamento della «DisColl»,
l'assegno di disoccupazione dei lavoratori con contratti di collaborazione coordinata e continuativa o a
progetto. Un'indennità istituita nel 2015 con il Jobs act per dare un sostegno nel pieno della crisi soprattutto
ai giovani lavoratori precari. La prestazione era pari al 75% del reddito medio mensile se inferiore
all'importo di 1.195 euro e veniva corrisposta per la metà dei mesi di contribuzione compresi tra il primo
gennaio dell'anno precedente e la cessazione del rapporto di lavoro. In ogni caso l'importo dell'indennità
non poteva superare la misura massima mensile di 1.300 euro. La misura tuttavia, era stata finanziata,
attraverso una proroga, soltanto fino alla fine del 2016. Il governo Renzi, in realtà, aveva intenzione di
trovare con la legge finanziaria le risorse necessarie per allungare anche al 2017 la DisColl, ma la
bocciatura del referendum costituzionale e la caduta dell'esecutivo guidato dall'ex sindaco di Firenze,
avevano portato all'approvazione di una manovra "blindata" senza la possibilità di introdurre nuove norme
attraverso gli emendamenti. Così, nella mattinata di ieri, l'Inps ha fatto
sapere che nessuna indennità sarebbe stata erogata a seguito delle cessazioni involontarie di contratti di
collaborazione coordinata e continuativa dall'inizio del 2017.
LA REAZIONE La nota dell'Istituto di previdenza ha subito scatenato una reazione furiosa da parte dei
sindacati. Cgil, Cisl e Uil hanno immediatamente inviato una lettera al ministro del lavoro Giuliano Poletti,
nella quale hanno sottolineato come la questione fosse nota da mesi, chiedendo immediatamente una
proroga per il 2017 della DisColl e una norma per rendere strutturale l'assegno di disoccupazione. Subito
dopo il consiglio dei ministri che si è tenuto ieri mattina, Poletti ha provato a gettare acqua sul fuoco,
annunciando l'intenzione del governo di intervenire con una doppia misura. Innanzitutto con un
emendamento al decreto milleproroghe, in discussione al Senato, per garantire la continuità dell'erogazione
della DisColl anche per il 2017. E dall'altro lato, una norma da inserire nel disegno di legge sul lavoro
autonomo all'esame della Camera, con cui rendere strutturale l'intervento. In realtà era stato proprio il
governo, come ha ricordato il deputato Pd Antonio Boccuzzi, a bocciare non più tardi di due giorni fa, un
emendamento al milleproroghe per allungare la durata della DisColl per «carenza di risorse». Stessa sorte
toccata anche ad un emendamento del Partito democratico, presentato alla Camera al disegno di legge sul
lavoro autonomo. «È grave e la questione va risolta», ha ammonito il presidente della Commissione lavoro
Cesare Damiano. Un appello, come detto, colto dal ministro Poletti, ma confermato anche dal ministro per i
rapporti con il Parlamento Anna Finocchiaro, che ha assicurato che sul tema il governo lavorerà a stretto
contatto con la Camera e il Senato. «L'ipotesi allo studio», ha spiegato la Finocchiaro, «è rivolta a garantire
l'erogazione della DisColl anche per chi ne faccia richiesta oltre i termini già scaduti del 31 dicembre 2016.
Ciò potrà avvenire, in prima battuta, già in sede di conversione in legge del decreto milleproroghe,
scongiurando gli allarmi delle ultime ore. Quindi», ha concluso il ministro, «si interverrà in maniera
strutturale, attraverso il disegno di legge delega sul lavoro autonomo non imprenditoriale». L'emendamento
al milleproroghe è stato poi depositato nella serata di ieri da Anna Maria Parente del Pd.
Foto: Sarà confermata l'indennità di disoccupazione per i precari SPUNTA ANCHE L'IPOTESI DI UNA
NORMA PER STABILIZZARE L'AIUTO DA INSERIRE NEL DISEGNO DI LEGGE SUGLI AUTONOMI
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/02/2017 136
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L'intervista Domenico Chianese
«Veicoli da lavoro il nostro orgoglio siamo leader fra i costruttori esteri»
Il presidente di Ford Italia evidenzia le performance dell'azienda: «Nel 2016 abbiamo venduto circa 20 mila commerciali, l'11,4 % di quota. Il Ranger è primo fra i pick up» Giorgio Ursicino
Il mercato dell'auto corre, quello dei veicoli da lavoro vola. Non c'è alcuno dubbio che il mondo dei motori in
Italia stia attraversando un buon momento. Nel 2016 le vendite di vetture sono aumentate del 16%, quelle
dei "commerciali" del 49%, quelle degli industriali del 52%, con un picco addirittura a tre cifre (153%)
nell'ultimo mese dell'anno. Quando salgono le richieste dei giganti della strada, di solito, l'economia sta per
ripartire. In questo particolare caso, però, il merito sembra più del superammortamento introdotto dal
governo. Sia come sia, i costruttori hanno spinto la ripresa con intriganti offerte e poi l'hanno cavalcata, in
modo diverso, sfruttando al meglio le loro gamme e la potenza di fuoco dei loro concessionari. Abbiamo
parlato del nuovo scenario con Domenico Chianese, presidente e amministratore delegato di Ford Italia, un
brand che ha ottenuto risultati di grande rilievo in particolare nei veicoli commerciali. Presidente come
spiega la vostra forte crescita nel settore dei mezzi da lavoro? «In realtà siamo molto soddisfatti anche di
come sono andate le cose nelle auto. Il 2016 è stato un anno in cui il mercato ha dato forti segnali di
ripresa, le immatricolazioni di vetture sono aumentate di oltre il 15%, quelle dei veicoli commerciali di quasi
il 50%. Nelle vetture la crescita di Ford si è avvicinata a quella media del mercato, risultato che invece
abbiamo centrato in pieno nelle vendite ai privati. In questo canale siamo import leader in un periodo in cui
Ka e Fiesta, due modelli che si inseriscono in una fascia che vale la metà delle richieste totali, sono in fase
di sostituzione». Andate bene nelle vendite ai privati, ma non è la quota delle vetture aziendali ad essere in
crescita? «Nel mercato aziendale puro, cioè quello del noleggio a lungo termine e delle vetture intestate a
società, abbiamo avuto un ritmo di crescita superiore al mercato». Nei commerciali avete quasi raddoppiato
le vendite, una performance sorprendente anche in un mercato in notevole salute. Quale è stato il segreto?
«Abbiamo sfruttato due opportunità. Da una parte la richiesta in forte aumento, dall'altra una gamma tutta
nuova e molto completa. Quasi tutti i nostri modelli sono stati lanciati da poco ed è possibile scegliere fra
numerose opportunità: forme di carrozzeria, portata, lunghezza del passo, motori benzina o diesel, fino alla
possibilità di avere la trazione integrale». Anche dei pick up vi ritenete soddisfatti? «Molto. Il Ranger è il
primo assoluto della sua classe». Come è attualmente lo scenario nel settore dei veicoli da lavoro fino a 35
tonnellate? Chi sono i protagonisti? «Il costruttore nazionale, cioè Fiat e Iveco insieme, rappresentano la
metà delle vendite, poi c'è Ford con una quota che sfiora l'11,5%». Quali sono le conseguenze di questa
notevole performance nel business di Ford Italia? «I commerciali spingono in alto il nostro fatturato, il
Transit ha un prezzo medio che è intorno ai 20 mila euro». Come è articolata attualmente la vostra offerta?
«Abbiamo sei diversi modelli, tutti molto recenti, la metà dei quali è disponibile anche in versione trasporto
persone. Si parte dalla Fiesta Van, poi c'è il Courier quindi il Connect; più in alto ci sono il Custom e il
Transit. Il Ranger è il nostro pick up. Courier, Connect e Custom sono disponibili anche con il brand
Tourneo, la versione cioè riservata al trasporto passeggeri, da cinque a nove posti». Oltre al binomio novità
di prodotto-ripresa del mercato c'è qualche altro elemento che vi ha aiutato a fare la differenza? «La rete,
senza dubbio la rete. Un network in parte diverso da quello delle vetture e più complesso. Nel settore dei
mezzi da lavoro, infatti, il cliente esige una consulenza sia nell'acquisto che nel periodo di utilizzo. E questa
è stata una bella opportunità per far fare un salto di qualità ai nostri concessionari e lo sarà ancora di più in
futuro. Anche lo scorso anno la rete Ford è stata premiata per il più elevato livello di soddisfazione che i
dealer hanno nei confronti della casa madre». Quali sono i vostri obiettivi nel breve? «Il nostro rivale più
vicino in classifica è abbastanza staccato, vogliamo ulteriormente rafforzare questa posizione». I veicoli di
elevata qualità arrivano dalle fabbriche estere, quale è stato il merito della squadra italiana? «Oltre ad
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/02/2017 137
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accompagnare e gestire la crescita dei dealer, siamo stato bravi a leggere l'evoluzione della domanda, a
prevedere la crescita e quando è servito abbiamo avuto disponibilità di prodotto. Dobbiamo riconoscere che
il brand Transit è molto forte, giustifica un premium price, ma abbiamo anche formulato soluzioni finanziare
adeguate.Ci sono già 50 Transit Center su 89 dealer e vogliamo crescere ancora. Oltre alla trazione
integrale e al cambio automatico ora è disponibile un nuovo propulsore 2.0 EcoBlu». Con tutte queste armi
quanti di questi veicoli avete venduto nel corso del 2016? «Circa ventimila commerciali ai quali vanno
aggiunti i circa cinquemila Tourneo per il trasporto persone».
Foto: QUESTI MEZZI SPINGONO IN ALTO IL FATTURATO MEDIO CHE PER IL TRANSIT È INTORNO
AI 20 MILA EURO
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SCENARIO PMI
12 articoli
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Pag. 14 N.6 - 13 febbraio 2017
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 13/02/2017 139
I piani del big francese, ex Gdf Suez, per il nostro Paese
Energia Engie fa shopping e si allea con Google per la casa intelligente
L'amministratore delegato per le attività italiane Olivier Jacquier e le sfide del mercato libero: puntiamo a due milioni di clienti su luce e gas Francesca Basso
Due milioni di clienti. È l'obiettivo per l'Italia di Engie, l'ex Gdf Suez che nel 2015 ha cambiato nome e logo
per segnare la svolta verso le rinnovabili. «Vogliamo raddoppiare la base clienti su 3-5 anni» spiega
l'amministratore delegato per le attività italiane del colosso francese, Olivier Jacquier: «Ora abbiamo un
milione di clienti finali per la fornitura di gas e di elettricità. Con il termine della maggior tutela e il passaggio
per tutti al mercato libero nel 2018 si apriranno nuove opportunità». Il gruppo vuole crescere nel nostro
Paese, in cui è presente da 15 anni con un parco di produzione di energia elettrica diversificato tra fonti
rinnovabili (fotovoltaico ed eolico) e tradizionali. Engie è anche presente in Acea attraverso Suez
Environnement, la società francese con il core business nell'ambiente e nell'acqua. La multiutility della
Capitale ha come socio di maggioranza al 51% il Comune di Roma e come primo azionista privato con il
23% Suez, di cui Engie possiede il 33,6%.
Cosa sta accadendo nel mondo dell'energia?
«Stiamo vivendo una fase di transizione che ci porterà dall'uso di fonti fossili all'uso più efficiente di energia
da fonti rinnovabili. I servizi e l'efficienza energetica avranno un peso sempre più crescente e noi siamo forti
su questo fronte grazie alla nostra controllata Cofely. Gestiamo oltre 7 mila edifici pubblici e privati. Adesso
il nostro focus sono i clienti finali, anche se in Italia abbiamo ancora centrali termoelettriche e di
cogenerazione. Siamo presenti in tutta la catena dell'energia, tranne la distribuzione. L'energia del futuro
sarà decentralizzata, decarbonizzata e digitale».
Come intendete conquistare nuovi clienti?
«Su 30 milioni di consumatori, solo 10 milioni sono sul mercato libero mentre 20 milioni sono ancora in
maggior tutela. Numeri non sufficienti per proporre offerte davvero convenienti. Ma nel 2018 tutti dovranno
passare al mercato libero e questo cambierà lo scenario, come è accaduto nelle telecomunicazioni: la
maggiore concorrenza porterà a costi più bassi e servizi migliori. Per ora contiamo di crescere basandoci
sulle nostre nuove offerte. Ad esempio siamo noi che porteremo in Italia i termostati e gli altri dispositivi per
la casa intelligente di Google Nest. E poi siamo aperti a nuove acquisizioni. A fine 2016 abbiamo preso due
piccole società. Oggi ci sono 350 operatori quindi è ipotizzabile un consolidamento del mercato».
Come sta andando la Tutela simile, l'iniziativa istituita dall'Authority dell'energia a partire dallo scorso
gennaio?
«Siamo stati l'operatore con l'offerta migliore: abbiamo proposto alle famiglie uno sconto di 115 euro sulla
bolletta di un anno. E finora abbiamo stipulato circa 500 contratti sui 100 mila messi a disposizione. Ma il
meccanismo ideato dall'Autorità dell'energia per aiutare consumatori domestici e piccole imprese che sono
in maggior tutela ad abituarsi al mercato libero non è ancora molto conosciuto. Non sarà la Tutela simile a
farci fare il salto sui clienti, ma è comunque un servizio importante».
Avete risolto i problemi in Tirreno Power?
«La società, di cui possediamo il 50%, ha deciso di chiudere l'impianto a carbone e la scelta è in linea con
la nostra strategia internazionale. Ora stiamo gestendo il piano di mobilità. Comunque il 2016 è stato chiuso
con cassa positiva. Il calo del flusso di energia proveniente dalla Francia per la manutenzione degli impianti
nucleari ha fatto risalire i prezzi del gas e dell'elettricità».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Foto: Engie Italia Olivier Jacquier, ad
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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 13/02/2017 140
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Affari Il gruppo di Nadella fornisce servizi a un miliardo di clienti e tallona Bezos . Per Pichai il 2017 sarà un «anno formidabile»
Web Tutti a sgomitare sulla nuvola
Non solo Amazon. Anche Microsoft e Google moltiplicano i profitti sul cloud Merito degli smartphone. Con il boom dei salvataggi sulla Rete di foto e video CHIARA SOTTOCORONA
Per decenni Microsoft ha misurato la taglia del suo business sulla base dei pc su cui girava il suo software.
Ma questo era il passato. «Oggi ci misuriamo in base alle capacità di consumo del nostro cloud», ha detto
Satya Nadella agli analisti commentando i risultati dell'ultimo trimestre chiuso a fine gennaio. Microsoft vola
grazie alla Nuvola. I profitti salgono del 3,6% e il fatturato degli ultimi tre mesi arriva a 26,1 miliardi di dollari.
Un contributo fondamentale viene dalla divisione «Intelligent Cloud» che ha generato 6,9 miliardi di dollari.
I servizi di Azure cloud computing hanno compiuto un balzo del 95 per cento. E il nuovo modello di
software online introdotto con Office365, rivolto ad aziende e consumatori, si è rivelato vincente: più 51 per
cento.
La competizione
La filosofia «Cloud first, Mobile first» (prima di tutto la nuvola di archiviazione su Internet e i dispositivi
mobili) introdotta da Nadella da quando è diventato amministratore delegato (febbraio 2014) ha trasformato
il core business e sta dando risultati. Microsoft oggi fornisce servizi cloud a oltre 1 miliardo di clienti e 20
milioni di imprese. E ormai tallona direttamente Amazon, finora leader nel mercato del cloud pubblico. Gli
Amazon Web Services controllano un terzo delle infrastrutture e servizi cloud a livello mondiale secondo
Synergy Research Group. Ma il business degli sfidanti cresce di più e ne insidia la posizione. A partire da
Microsoft, che è passata da una quota di mercato del 9 all'11% e ha raddoppiato i guadagni sulla Nuvola.
Anche Google, per ora quarta sul mercato del cloud, cresce più del doppio di Amazon. Il 26 gennaio
Alphabet ha annunciato i risultati dell'ultimo trimestre 2016: un fatturato di 26,06 miliardi di dollari e una
crescita del 22 per cento. La maggior parte del reddito come al solito viene dalla pubblicità sul mobile
search e YouTube, ma non manca il contributo delle attività cloud, che secondo gli analisti pesano per 3,4
miliardi di dollari.
Sundar Pichai, amministratore delegato di Google, aveva indicato il cloud a inizio 2016 come «area
primaria di investimento». E rivolto agli investitori, commentando gli ultimi risultati finanziari, ha avvertito:
«Nel Cloud il 2017 sarà un anno formidabile». Che cosa sta cambiando?
«Il cloud contribuisce fortemente a creare il tessuto connettivo per le evoluzioni di tecnologie, modelli di vita
e processi aziendali. È un fattore abilitante dell'economia digitale», dice Fabio Rizzotto, direttore ricerca di
Idc Italia. Il mercato dei servizi Public Cloud passerà dai 99 miliardi di dollari del 2016 fino a oltre 204
miliardi nel 2020, con un tasso di crescita annuo di circa il 22%, prevede Idc. In Italia per il 2017 si stima un
valore oltre un miliardo di euro: +24 per cento.
«Anche in Italia stiamo andando verso un cloud più maturo: dall'offerta di infrastrutture a servizi applicativi,
che permettono un nuovo modo di lavorare o di consumare - osserva Alessandro Piva, direttore
dell'Osservatorio Cloud del Politecnico di Milano. -. E le società che vengono dal software, come Microsoft
e Google, creano più valore aggiunto, innescando dinamiche forti». Un' offerta che si adatta a un ampio
raggio di aziende, dalle startup alle Pmi, fino alle multinazionali.
Non solo. Con Google Drive (15 Gb gratuiti o mille Gb per 9,9 euro al mese) l'uso del cloud si diffonde
anche tra i consumatori e lo stesso propone Microsoft con OneDrive (installato su Windows 10 e
sincronizzato con Windows Phone).
La spinta del «mobile»
Una forte spinta viene dai dispositivi mobili e porta una larghissima base di utenti. Mettiamo tutto nella
Nuvola: i video preferiti, le foto delle vacanze, documenti e libri, la musica che ascoltiamo. E dato che i
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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 13/02/2017 141
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sistemi operativi, da Android al MacOs, sono sempre più legati al cloud, anche dal cellulare possiamo avere
accesso ai dati memorizzati su data center lontani.
Il cloud computing è la base poi di tutti i nuovi servizi digitali on-demand , dall'intrattenimento allo shopping.
«Oltre al mercato consumer, ci sono tre linee di sviluppo del cloud per prossimi anni: nelle imprese l'uso
degli analytic , nei nuovi business l'Internet delle cose e in diversi settori le applicazioni create con
l'intelligenza artificiale», avverte Piva. «Stiamo preparando un'altra rivoluzione con la tecnologia intelligente
- dice Paola Cavallero, direttore marketing di Microsoft Italia -. Abbiamo raggiunto un punto di svolta, reso
possibile dall'accesso a grandi quantità di dati e da una potenza di calcolo nel cloud sufficiente a consentire
alle macchine la comprensione e l'apprendimento. La tecnologia intelligente cambierà il modo di fare affari
e di interagire con i clienti».
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CHI GUADAGNA DI PIÙ Dati secondo trimestre 2016 Fonte: Sinergy Research Group Pparra Fatturato
(miliardi di dollari) 26,1 (2° trim. 2017) 25,8 (2° trim. 2016) 26,06 (4° trim. 2016) 21,3 (4° trim. 2015) 43,7 (1°
trim. 2017) 35,8 (1° trim. 2016) MICROSOFT ALPHABET (Google) AMAZONSatya Nadella Sundar Pichai
Jeff BezoAmazon +53% Microsoft +100% Ibm +57% Alphabet (Google) +162% CFonte: Sinergy Research
GroupSatya Nadella Jeff Bezos Sundar Pichai
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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 13/02/2017 142
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Prospettive Dai trasporti al mega corridoio che coinvolgerà 63 Paesi
Made in Italy La logistica? Può essere la carta vincente
Il settore vale 200 miliardi (il 13% del Pil), ma soffre di ritardi strutturali e deve dialogare di più con l'industria Isidoro trovato
L'industria globale detta le sue regole: servizi e logistica possono fare la differenza in qualsiasi settore e su
qualsiasi mercato internazionale. Con 200 miliardi di fatturato (che rappresentano il 13% del Pil italiano) e
circa un milione di occupati, la logistica è un elemento trainante dell'economia italiana.
Per questo è fondamentale per il nostro Paese sviluppare un'efficace politica industriale per le imprese
logistiche, che sia in grado di sostenere le aziende nella sfida della competizione globale. Proprio il tema
del rapporto tra logistica e industria è stato al centro di una due giorni milanese («Shipping,
Forwarding&Logistics meet Industry») promossa da The International Propeller Clubs of Milan, Federazione
del Mare, Alsea, Assologistica e Assolombarda. «La logistica è un esempio di industria made in Italy che
deve dialogare di più con la produzione e deve essere regolata da strumenti normativi moderni - afferma
Riccardo Fuochi presidente del The International Propeller Port Club of Milan - per competere sugli scenari
internazionali che oggi vedono cambiamenti sempre più veloci e repentini fra cui ad esempio l'ingresso nel
mercato dei grandi operatori dell'ecommerce e il progetto Obor (One Belt One Road): un'iniziativa dal peso
enorme che prevede il coinvolgimento di 63 Paesi per integrare il corridoio terrestre e quello marittimo. È
chiaro che un progetto di simile portata è in grado di stimolare l'intera economia europea perché gli
investimenti, o la realizzazione delle opere, poi saranno affidati alle aziende e società di tutto il mondo».
Il piano continentale
Bisognerà però combattere le inefficienze che, secondo recenti stime, costano al sistema della produzione
industriale circa 13 miliardi l'anno. «Il mancato coordinamento tra gli enti preposti al controllo all'interno
della filiera trans logistica - osserva Irene Rizzoli, product development manager e titolare di Delicius -
rischia di offuscare e talvolta ingessare la competitività dei nostri prodotti e del nostro sistema Paese, che si
ritrova ad essere meno competitivo nel confronto internazionale nonostante una posizione geografica
eccezionale. Serve una presa di responsabilità da parte di chi è preposto a livello centrale a fornire direttive
di indirizzo chiare in merito all'uniformità di procedura tra dogana e dogana, aperture e chiusure degli uffici
doganali in linea con le esigenze del mercato e ammodernamento delle infrastrutture, per lo più inadeguate
e inefficienti». L'anello di congiunzione essenziale tra industria e mercati per rendere più competitivo il
nostro sistema industriale. «Il nostro sistema logistico - ricorda Rosario Bifulco, vicepresidente di
Assolombarda Confindustria Milano Monza e Brianza - è chiamato a esprimere servizi altamente efficienti
per aumentare la competitività delle imprese. L'Italia, infatti, è una delle principali porte d'accesso
all'economia europea e del Medio Oriente. Per questo è fondamentale per il nostro Paese sviluppare
un'efficace politica industriale per le imprese logistiche, che sia in grado di sostenere le aziende italiane
nella sfida della competizione globale».
Il cluster del mare
Oggi la flotta di bandiera italiana è tra le principali al mondo (la terza dei grandi Paesi riuniti nel G20) e
raggiunge circa i 17 milioni di tonnellate di stazza, con posizioni di assoluto rilievo nei settori più sofisticati.
Le dolenti note arrivano invece dal sistema portuale italiano che negli ultimi anni ha fatto segnare un
arretramento dal 1° al 3° posto in Europa per importazioni ed esportazioni di merci via mare. «Eppure il
cluster marittimo è cruciale per la nostra economia - ricorda Paolo d'Amico, presidente della Federazione
del Mare - si tratta di un comparto che va oltre gli aspetti più strettamente legati alla dimensione
trasportistica e coinvolge direttamente anche i settori produttivi, manifatturieri e terziari, dell'economia. Il
cluster marittimo industriale spende infatti annualmente quasi 20 miliardi di euro in acquisti di beni e
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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 13/02/2017 143
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Pag. 20 N.6 - 13 febbraio 2017
servizi».
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Miliardi di euro II fatturato della Contract Logistics (logistica conto terzi) 200 80 Circa 1 milione di occupati
Sempre maggiore il ricorso da parte delle aziende all'outsourcing dei servizi di logistica Un settore che
innova ed è proiettato nel futuro (Internet of things, Ecommerce, le amministrazioni e il digitale)Fonte: Srm
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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 13/02/2017 144
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tiratura:156556
AEROSPAZIO IMPRESA& TERRITORI
Il made in Italy «vola» in Cina
Rita Fatiguso
L'Italia può fare la sua parte nella strategia cinese che punta a rafforzare l'aviazione e l'aerospazio. Entro il
2020 la Cina spenderà 153 miliardi di dollari per lo sviluppo del settore, un maxi•budget che include la
costruzione di nuovi aeroporti, che in totale dovrebbero arrivare a 500. In prima fila non ci sono solo le
grandi imprese italiane del settore, ma anche un consorzio di Pmi. u pagina 8 PECHINO. Dal nostro
corrispondente pL'Italia può fare la sua parte nella strategia cinese che punta a rafforzare l'aviazione. Entro
il 2020 la Cina spenderà un trilione di yuan (153 miliardi di dollari) per lo sviluppo del settore, un
maxi•budget che include la costruzione di nuovi aeroporti, in totale dovrebbero arrivare a 500, mentre il
numero degli aeromobili (inclusi elicotteri e jet privati) supererà quota 5mila. A fine 2015 la Cina aveva
1.874 aeromobili (508 per il training) e 300 aeroporti. Le ore di volo censite erano state 779.300, il 15,5% in
più rispetto all'anno precedente. In ogni caso la crescita cinese, in questo campo, non sarà solo numerica,
ma anche qualitativa. Sulla formazione nella sicurezza aerea, infatti, Europa e Cina hanno in corso un
programma di collaborazione partito un anno fae gestito dalla Camera di commercio europea, con una dote
di 10 milioni di euro. Le aziende cinesi già certificate nel settore sono 281, ma l'apertura dello spazio aereo
all'aviazione civile creerà altre opportunità. Il Piano "Made in China 2025", infine, che vuol incentivare la
trasformazione del Paese da fabbrica del mondo a laboratorio d'eccellenza, farà leva su tutti i settori
tecnologicamente più avanzati: robotica, cantieristica navale, informatica, automotive e, ovviamente,
aerospazio. Per queste ragioni il settore rappresenta un tassello importante nel futuro di Paesi come l'Italia,
che già tre anni fa, in occasione della visita dell'allora primo ministro Matteo Renzi a Pechino l'11 giugno
2014 e contestualmente al lancio del Business Forum Italia Cina, favorì la collaborazione bilaterale con un
pacchetto di misure ad hoc sul presupposto che le tecnologie italiane potessero sostenere lo svilup• po
dell'industria aerospaziale cinese. Un anno dopo, in occasione della riunione della Commissione mista a
Pechino, si auspicò la realizzazione degli impegni già assunti, per esempio quello tra AgustaWestland
(allora Gruppo Finmeccanica, oggi Leonardo) e Beijing General Aviation Co. (Gruppo Baic). L'ambasciata a
Pechino sostiene attivamente i lavori del gruppo dedicato a questo comparto, ma non ci sono soloi grandi,
in prima fila. Gli ambiti di collaborazione sono ampi e l'Italia vanta numerose imprese di medio calibro molto
interessanti. In Cina si è creato anche un consorzio di pmi, l'Italian Aerospace Network (Ian), guidato da
Andrea Spiriti, attivo nell'industria dell'aviazione e dell'aerospazio. Ian ha firmato, tra l'altro, un Memo of
strategic cooperation (Moc) con Xixian Airp o r t N e w C i t y ( A n c ) , l'aeroporto di Xi'an . La Loncin Motor
di Chongqing ha appena acquisito il 67% nell'italiana Cmd (Costruzioni motori diesel), presieduta da
Salvatore De Biasio, per 44,1 milioni di dollari, una mossa necessariaa espandere il business nel campo
dei motori dell'aviazione. Cmd, nel tempo,è diventata uno dei più importanti player nella realizzazione di
macchine ad alta precisione per motori ed è un partner strategico per Fca, Mv Agusta, Isotta Fraschini.
Mariano Negri. Il suo ceo è un manager di lungo corso, che ha lavorato in Alenia, Aermacchi e
Finmeccanica. «Loncin ha assicurato che la partnership servirà non come puro e semplice strumento di
export - afferma Mariano Negri •, ma come strumento di crescita nel mercato europeo. Il fatto di aver
raggiunto un accordo così importante con un gruppo che è un gigante può solo sortire effetti positivi. Siamo
all'inizio di un grande processo di sinergia e di cammino insieme». Anche la napoletana Protom guarda alla
Cina. «L'opportunità più rilevante che ci spingea intessere relazioni con le imprese aeronautiche cinesi -
spiega il fondatore Fabio De Felice • è legata soprattutto alle collaborazioni scientifico•tecnologiche, come il
Clean Sky 2, il programma più ambizioso mai lanciato sulla ricerca aeronautica in Europa, caratterizzato da
un partenariato europeo pubblico•privato nato per incentivare innovativitàe sostenibilità del trasporto aereo».
L'Advanced Engineering di Protom, potenziata nel 2013 con l'acquisizione di un ramo d'azienda della
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Piaggio Aero Industries, ha tra i suoi clienti Leonardo, Fca, Superjet, Piaggio Aerospace, Atr, Hitachi e
Airbus. «Punto di forza riconosciuto a livello internazionale alla business unit è la capacità di coprire l'intero
ciclo di progettazione di un aereo - conclude De Felice -: abbiamo riportato all'interno del gruppo di lavoro
quelle competenze aeronautiche che ci rendono capaci di seguire l'intera filiera».
LA PAROLA CHIAVE
Pacchetto aerospazio 7 Tre anni fa la cooperazione bilaterale Italia•Cina si è arricchita di cinque direttrici di
intervento corrispondenti ad altrettanti «pacchetti» con interventi concreti. L'aerospazio, ultimo in ordine di
tempo, si sta rivelando un filone promettente.
153 Miliardi di dollari Investimento complessivo previsto fino al 2020 per lo sviluppo del settore
dell'aviazione in Cina
mila Numero di aeromobili In quattro anni Pechino intende dotarsi di oltre 5mila aeromobili (inclusi elicotteri
e jet privati): oggi sono poco più di 1.800
Foto: Infrastrutture al decollo. In quattro anni il governo cinese intende costruire 200 aeroporti (nella foto,
aeromobili sulla pista dello scalo di Pechino) con l'obiettivo di arrivare a un numero complessivo di 500
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LA LEGGE SUI PIR
Refusi in Gazzetta e Fisco
Federica Pezzatti
Refusi in Gazzetta e Fisco pagina 22 + C'è un granello di sabbia che frena l'ingranaggio dei Pir. Un refuso
nella legge di Bilancio 2017 che li ha istituiti sta dando filo da torcere ai tecnici che devono realizzare un
documento normativo applicativo (l'attesa circolare di chiarimento dell'agenzia delle entrate che forse
arriverà a marzo, non a febbraio come previsto). Per un errore materiale, un rimando a un comma
sbagliato, o il Pir investe solo in azioni oppure non gode dei benefici fiscali previsti dalle persone fisiche che
lo detengono da oltre un anno. Stiamo parlando dei Piani Individuali di Risparmio, oggetto anche
dell'inchiesta di copertina di Plus24 dello scorso 14 gennaio, che sono stati anche oggetto di un primo
seminario di approfondimento organizzato lo scorso 7 febbraio dallo Studio Nctm e dall'istituto Iside. «Sono
strumenti concepiti per incentivare fiscalmente il risparmio canalizzandolo verso gli strumenti finanziari di
imprese industriali e commerciali italiane ed europee radicate sul territorio italiano. L'idea sottostante è
creare un circolo virtuoso che possa portare la crescita del sistema imprenditoriale italiano», come ha fatto
notare Ilario Scafati, dirigente dell'Ufficio Fiscalità Finanziaria del Dipartimento delle Finanze. E il tema sarà
anche oggetto del prossimo convegno di Assogestioni organizzato per il prossimo 22 febbraio nella
speranza che nel frattempo si sia trovato un rimedio al guaio legislativo (magari inserendo qualche
emendamento correttivo a una legge di prossima approvazione, come il mille proroghe). Ma veniamo
all'errore che, se non modificato, rende impossibile realizzare i Pir come desiderato e come auspicato
dall'industria. Come più volte ricordato, anche dalla copertina di Plus del 14 gennaio, i Pir (nell'intenzione
del legislatore e come comunicato in diversi documenti tecnici pubblicati anche da questo giornale) «per
avere la detassazione dei capital gain realizzati per chi permane nell'investimento almeno cinque anni,
dovrebbero investire almeno il 70% delle somme deve essere investito in «strumenti finanziari» , anche non
negoziati nei mercati regolamentati o nei sistemi multilaterali di negoziazione, emessi o stipulati con
imprese che svolgono attività non immobiliare residenti nel territorio dello Stato, in Stati membri Ue o in
Stati SEE con stabile organizzazione in Italia. Almeno il 30% di tale quota (ossia il 21%) deve essere
investita in strumenti finanziari di imprese diverse da quelle inserite nell'indice Ftse Mib della Borsa italiana
o in indici equivalenti di altri mercati regolamentati», come ricorda anche Barbara Aloisi dello studio Nctm.
In realtà purtroppo la Legge di Bilancio 232/2016 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale contiene un refuso e
stando a quanto scritto nero su bianco, e diventato legge, in realtà i Pir per avere l'esenzione dovrebbero
investire solo in azioni. L'articolo 1 comma 100 e seguenti della Legge di Bilancio 2017 introduce infatti nel
nostro ordinamento i Pir. Al comma 101 nell'individuare gli investimenti cui destinare le somme rinvia «agli
investimenti qualificati indicati al comma 90»: ebbene il comma 90 parla di tassazione dei redditi derivanti
dagli investimenti degli enti di previdenza individuati nel comma 89. Questi investimenti sono azioni o quote
di imprese ovvero quote di Oicr. C'è quindi un refuso in quanto al posto del comma 90 si sarebbe dovuto
richiamare il 102. Ma l'errore non è l'unico. Se andiamo a leggere anche l'atto Senato 2611 che ha dato
origine alla norma laddove viene illustrata la legge di bilancio in approvazione si legge «investimenti
qualificati (indicati nel comma 90 rectius 89 )» . Quindi anche in quella sede si era rilevato un imperfetto
rinvio normativo. La realtà il corretto rinvio avrebbe dovuto essere appunto al comma 102 sempre dell'art. 1
della Legge di bilancio laddove si possono investire le somme " in strumenti finanziari". Detto in altre parole
il rinvio al comma 90 o 89 restringe l'investimento agevolato solo ad azioni mentre il 102 ricomprende tutti
gli strumenti finanziari. Non si tratta di un problema secondario in quanto il non rispetto, alla lettera, del
dettato normativo fa decadere dal beneficio fiscale e quindi non si può sottovalutare il refuso che andrà
rettificato. Il fine che li ha previsti è nobile. Incentivare le quotazioni e incrementare il segmento delle pmi:
«Non va dimenticato che secondo un recente studio per larga parte delle imprese italiane (il 55,3% del
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panel) la quotazione rappresenta ancora un costo elevato, come ha ricordato Lukas Plattner, legale di Nctm
secondo cui le imprese debbono considerare la quotazione come un investimento per accelerare la crescita
e competere al meglio sl mercato domestico e in campo internazionale. «È molto probabile che il mercato si
orienterà verso la gestione standardizzata dei Pir da realizzarsi oltre che tramite fondi di fondi, polizze vita
(ramo I e III), contratti di capitalizzazione - spiega Dario Loiacono organizzatore dell'evento Nctm - resta da
chiarire quale sarà il ruolo delle gestioni in fondi».
punti chiariti e non minusvalenze Secondo quanto emerso dal seminario di confronto con l'Agenzia delle
Entrate per esempio le minusvalenze realizzate da un Pir saranno compensabili con altre plus sia in un
rapporto di risparmio amministrato sia in dichiarazione. vale il codice fiscale Chiarimento anche su
l'intestario dei Pir che non possono avere più di un intestatario e un soggetto non può avere più di un Pir.
Sui dubbi circa la possibilità di aprire diversi Pir intestandoli ai diversi componenti di una stessa famiglia: fa
fede il codice fiscale del singolo. rispamio gestito favorito Non mancano le voci che fanno notare come in
realtà il risparmio gestito sia favorito da questa legge. Mentre infatti chi apre un Pir sotto forma conto
individuale o una gestione patrimonale deve mantenere i singoli titoli in portafoglio per almeno cinque anni
un Pir realizzato tramite fondi o polizze può vendere e comprare i titoli facendo trading. switch proibiti
Mentre sarà possibile cambiare intermediario in un conto individuale o gestione non sarà possibile
cambiare gestore pena perdita delle agevolazioni.
la legge ai raggi x il refuso in gazzetta Al comma 101 (legge di bilancio 2017) nell'individuare gli
investimenti si rinvia al comma 90 che parla di tassazione dei redditi derivanti dagli investimenti degli enti di
previdenza individuati nel comma 89. Sostanzialmente azioni. Al posto del comma 90 si sarebbe dovuto
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«Bio On è un titolo molto promettente»
La società è quotata all'Aim e ha raddoppiato il suo valore dalla data di quotazione Isabella Della Valle
+ Sono molte le variabili, soprattutto politiche, all'orizzonte dei Paesi europei. Quale posizione e quali
aspettative avete sui listini del vecchio continente per i prossimi mesi? Le incertezze politiche sono molte,
considerando i prossimi appuntamenti elettorali in Olanda, Francia, Germania e Italia, nei quali è previsto
una crescita dei consensi delle forze anti-europeiste, nonché le ricadute dei negoziati per la Brexit; tuttavia,
da un punto di vista dei fondamentali, i primi segnali di ripresa si vedono e molte aziende hanno valutazioni,
multipli e prospettive interessanti, anche avvantaggiate dalla discesa del cambio dell'euro contro dollaro.
Perciò siamo sostanzialmente fiduciosi per questo semestre sull'andamento dei listini azionari europei, ove
molti titoli sono rimasti indietro rispetto al loro potenziale. Trovate interessante il mercato azionario
americano? Dal lato dei fondamentali economici gli Stati Uniti sono il Paese che esprime le migliori
condizioni, di crescita e di produttività; ma proprio per questo i suoi indici di borsa sono saliti molto negli
ultimi anni e si trovano a livelli storici massimi, in un contesto di ciclo economico oramai probabilmente
maturo. Molti titoli hanno P/e elevati e potrebbero aver esaurito la spinta a salire. Il mercato inoltre ha
sinora accolto molto favorevolmente alcune azioni annunciate dal neo presidente Trump; in particolare la
riduzione delle imposte e la deregulation a favore delle imprese, scontando effetti potenzialmente positivi
che però solo in futuro si riuscirà a quantificare davvero. D'altro lato una politica monetaria più restrittiva e
un dollaro più forte potrebbero compensare gli effetti reflazionistici delle suddette misure. Resta poi
l'incognita a medio termine delle conseguenze derivanti dalle politiche protezionistiche paventate e dalla
revisione dei rapporti commerciali con gli altri principali Paesi. Anche i tradizionali equilibri di politica estera
sono messi in discussione. In generale quindi siamo piuttosto cauti sul mercato azionario americano, anche
se pure qui permangono storie interessanti. E sull'Italia che posizione avete? Gli indici azionari del nostro
Paese hanno sofferto in particolare l'esposizione prevalente su titoli finanziari e bancari, penalizzati dai
crediti non performing (Npl) e dalla contrazione del margine d'interesse legata all'eccezionale contesto di
tassi bassi che stiamo vivendo. Queste criticità tuttavia dovrebbero ridimensionarsi in presenza di una
ripresa economica, di cui iniziano a vedersi i segnali e ciò dovrebbe giovare ai titoli di questi settori, che in
molti casi attualmente offrono valutazioni interessanti rispetto ai loro valori storici. Inoltre i titoli dei settori
industriali legati all'esportazione beneficeranno della forza del dollaro. D'altro canto lo scenario politico resta
incerto e il rafforzarsi nell'elettorato di sentimenti anti-euro potrebbe far venire meno la fiducia degli
investitori nei confronti dell'Italia, la cui fragilità è determinata dal suo debito pubblico elevato e dalle
conseguenti possibili difficoltà a rifinanziarlo. Quali sono i settori più attraenti e quali, invece, quelli sui quali
siete cauti? Dipende appunto dai Paesi ma in generale siamo maggiormente positivi sui titoli appartenenti
ai settori ciclici quali industriali e finanziari e con alti dividendi, ovvero quelli che esprimono meglio le loro
potenzialità in fase di ripresa economica. Più cauti su utilities e difensivi. La politica della Bce prevede tassi
bassi ancora a lungo. Con quali riflessi quindi sui mercati? Le politiche monetarie ultra espansive attuate
dalla Bce hanno evitato la deflazione agevolando la crescita economica, ma hanno anche portato i tassi dei
titoli governativi in territorio addirittura negativo su molte scadenze, favorendo da un lato l'accesso al
credito e il rifinanziamento dei debiti pubblici ma dall'altro riducendo ai minimi storici i rendimenti offerti agli
investitori in obbligazioni, a fronte di rischi sempre più elevati (maggior duration). Ciò contribuisce a
spostare flussi d'investimento a favore dei titoli azionari. L'efficacia e gli spazi di manovra della politica
monetaria però si sono ridotti e occorrerà modulare con attenzione l'uscita dal QE nel 2018. Intanto a inizio
anno abbiamo ridotto la duration dei portafogli. Che ruolo rivestono le materie prime nella vostra strategia
d'investimento? È una classe di attività che guardiamo con attenzione specie in ottica di ripresa inflattiva.
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Gestiamo anche un fondo Inflation linked della Sicav New Millennium che prevede infatti questa asset class
tra i suoi investimenti. Occorre tuttavia "maneggiarla" con attenzione perché il suo andamento è molto
volatile. Come gestite la variabile valutaria? I nostri clienti sono euro based quindi gli investimenti in divise
diverse dall'euro, aperti al rischio cambio, sono effettuati in ottica di diversificazione o quando ravvisiamo
delle opportunità particolari. In questa fase suggeriamo un posizionamento su asset denominati in dollari
Usa intorno al 10%, per cogliere i maggiori rendimenti offerti dalle obbligazioni americane, specie high yield
e convertibili. Quali sono le azioni che guardate con maggior interesse? Oltre quanto detto prima in merito
ai titoli large cap e high dividend dei settori più attraenti aggiungo che ci piacciono le aziende innovative,
small cap, capaci di creare nel tempo valore aggiunto. Come Banca da tempo seguiamo le piccole imprese
italiane, alcune delle quali abbiamo accompagnato a quotarsi sul mercato Aim e che hanno dato grandi
soddisfazioni a chi ci ha investito. Alcune di queste, eccellenze anche in campo "ecologico", hanno più che
raddoppiato il loro valore dalla quotazione: Bio On (plastica biodegradabile) e Smre (motori elettrici).
Riteniamo che una parte marginale del portafoglio debba considerare anche le small cap, seppur in modo
molto selettivo. Anche questo è "fare sistema Paese". il gestore della settimana emanuele bonabello banca
finnat Direttore investimenti Emanuele Bonabello, 51 anni, è direttore investimenti di Banca Finnat.
Diplomato presso la Scuola Navale Morosini, si è laureato nel 1990 in Economia all'niversità La Sapienza di
Roma. Dal 1991 al 1999 ha lavorato nella direzione finanza della Bnl a Roma, Milano e Londra. Nel 2000 in
Meliorbanca è stato responsabile del portafoglio di proprietà. In Banca Finnat dal 2001 ha guidato gli uffici
mercati primari, investment advisory, investitori istituzionali e asset management. Attualmente è membro di
vari comitati nonché del CdA della New Millennium Sicav Lux. Socio Assiom Forex. Bio On andamento e
volumi Borsa di Milano. prezzo 18,0 16,0 14,0 12,0 10,0 5/2/2016 Volumi in migliaia Il titolo Bio On, quotato
all'Aim, ha registrato nelle ultime settimane un balzo violento. Da fine dicembre a febbraio l'azione è
passata da 12 a 16 euro dopo una prolungatissima fase laterale. Per tutto il 2016 infatti l'azione si è mossa
testando più volte il supporto intorno agli 11 euro e mettendo a segno dei rimbalzi, senza per questo
mettere a segno un vero movimento rialzista che si volumi 7/2/2017 240 180 120 0 0 è concretizzato solo
nelle ultime settimane. Gli scambi sull'azione non sono troppo elevati e questo espone a un rischio di
maggiore volatilità rispetto ai titoli più liquidi. La tenuta di quota 16 euro è strategica per tentare l'attacco ai
precedenti massimi in area 20 euro. Tecnicamente l'azione torna a indebolirsi con alcune chiusure sotto i
15 euro. (A cura di Andrea Gennai) l'identikit società Bio•On (*) ricavi (*) Valori in migliaia di euro al
30/6/2016 ebitda L'azienda bolognese Bio•On è quotata al mercato Aim, riservato alle piccole e medie
imprese, dal 24 ottobre 2014. Opera nel settore delle bioplastiche e dispone in particolare di un processo
innovativo per la produzione di biopolimeri PHAs, al 100% naturali e biodegradabili, derivanti da
sottoprodotti agroindustriali tra cui i residui della produzione di zucchero di canna e da barbabietola. Nel
primo semestre 2016, a fronte di ricavi pari a circa 1,1 milioni di euro, Bio•On ha evidenziato margini
reddituali negativi sostanzialmente per lo slittamento di una licenza indicativamente prevista per il mese ebit
risultato netto liquidità netta 1.168,70 •876,6 •1.029,0 •1.117,1 6.728 fonte: elaborazione Analisi Mercati
Finanziari di maggio 2016. A fine anno è stato siglato un contratto multi•licenza con una multinazionale (non
resa nota) del valore complessivo di 55 milioni per le varie attività previste nell'arco di 24 - 36 mesi. Il piano
industriale 2017 - 2020 di Bio•On prevede nel 2020 il raggiungimento di un fatturato di circa 140 milioni e un
ebitda di 85 milioni, oltre a una generazione di cassa totale superiore a 60 milioni. È prevista anche la
costruzione di uno stabilimento a Castel San Pietro (BO), con l'avvio nel 2018 della produzione di
microperline in bioplastica destinate a sostituire i polimeri artificiali all'interno dei cosmetici. Il confronto
Andamento del titolo rispetto al mercato italiano e all'indice di settore. Base 24/10/2014=100 500 400 300
200 100 24/10/2014 bio-on spa ftse italia all-share chemicals index ftse italia all-share chemicals index ftse
aim italia index 8/2/2017 flash Una realtà le cui origini risalgono al 1898 Banca Finnat è specializzata nei
servizi di investimento per clienti istituzionali, privati e aziende. Le origini della Banca sono legate alla
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famiglia Nattino e risalgono al 1898. Banca Finnat e le altre società del gruppo offrono prodotti e servizi
finanziari che spaziano tra risparmio gestito, intermediazione, servizi fiduciari, corporate finance, gestione di
fondi Immobiliari. Banca Finnat è il primo Azionista di InvestiRE Sgr, che gestisce un patrimonio
immobiliare di oltre 7 mld € distribuito su 34 fondi immobiliari nonché della Management Company
Lussemburghese Natam, cui fa capo la sicav New Millennium, lanciata nel 1999 e oggi composta da 15
comparti.
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Merci, i privati guidano il ritorno del treno
DA CFI A DB CARGO, DA GTS A RAIL ONE , LE IMPRESE RACCOLTE IN FERCARGO HANNO VISTO CRESCERE I TRAFFICI DEL 25%, IL QUADRUPLO DELLA MEDIA DEL MERCATO. MA ANCHE FS SI È RIMESSA IN MOVIMENTO CON NUOVI INVESTIMENTI Christian Benna
Le merci tornano a correre sui binari. Salgono sui treni di Compagnia Ferroviaria Italiana i polimeri di
LyondellBasell: carico a Brindisi, dove la multinazionale chimica ha un impianto, e scarico a Fiorenzuola,
dove si dirigono fino al cliente finale su strada o a bordo di altri convogli. Db Cargo spedisce silos di grano
da Verona verso Lubiana e ritorna con bisarche cariche di auto, smistate nell'hub di Monfalcone. Dinazzano
Po regola il traffico di piastrelle dirette verso i mercati esteri, da Sassuolo e Reggio Emilia fino la porto di
Ravenna. E Mercitalia Rail, società del gruppo Fs, fa parte del gruppo di imprese che ha inaugurato la
prima piattaforma intermodale sulla direttrice Trieste-Goteborg-Kiel. Questi sono solo alcuni esempi del
dinamismo che si respira negli ultimi mesi lungo le rotaie del treno merci del made in Italy, la cenerentola
del trasporto fino a ieri, appena il 9% del totale del traffico, ma che ora prova a prendersi la sua rivincita.
Nel 2016, dice Fercargo, l'associazione che riunisce le società "indipendenti", ovvero quelle, e sono più di
una dozzina, che non fanno capo all'ex monopolista ma sono le consociate italiane di ferrovie estere o Pmi
italiane, il cargo ferroviario è complessivamente cresciuto del 6% per volumi. Ma si tratta di uno sviluppo a
doppia cifra (+25%) se prendiamo in esame i soci Fercargo che infatti sono arrivati a ritagliarsi una quota di
mercato pari al 45%, mentre il resto è ancora in mano al gruppo Fs. «La cura del ferro sta facendo effetto
anche se il paziente non è ancora guarito», spiega Giancarlo Laguzzi, il presidente di Fercargo,
sottolineando che i progetti di «adeguamento delle infrastrutture ferroviarie stanno riportando gli operatori a
investire e le aziende industriali, grazie al miglioramento della rete, tornano puntare sulla rotaia anziché
sulla gomma. Se si continuerà a respirare un clima positivo per il settore, è prevista l'assunzione di «400
macchinisti per il prossimo triennio e investimenti ingenti in acquisto o noleggio di materiale rotabile che
andranno a impattare su tutto l'indotto ferroviario». Basti pensare alle iniziative più recenti: Gts Rail, gruppo
pugliese di logistica ferroviaria, ha appena inaugurato un nuovo polo di manutenzione a Bari, dopo aver
acquisito locomotori da Bombardier, prodotti a Vado Ligure. A fine 2015 Compagnia Ferroviaria Italiana ha
rilevato gli asset merci di Rail One, il braccio ferroviario del gruppo di Carlo Toto. I tedeschi di Db Cargo
moltiplicano le tratte: Verona Lubiana, il Zilina - Pisa e investono nell'hub di Monfalcone nel segno
dell'automotive. L'Italia come è noto è il fanalino di coda del trasporto merci su binari. E lo è non per scarsa
cultura ambientale da parte delle imprese ma semplicemente perché i vecchi tir sono molto più economici e
perché la Penisola è tagliata in due: dagli Appennini in giù i grandi container non riescono a passare
attraverso le più piccole sagome delle gallerie. Oltrefrontiera le cose non stanno così. Perché la rete
ferroviaria, strutturata sulla logistica intermodale, è in grado di ospitare treni più lunghi, dai 600 attuali a 750
metri, e quindi capaci di caricare più merce riuscendo a offrire migliori prezzi ai clienti. «Soffriamo da anni di
un gap infrastrutturale notevole - dice Laguzzi - Ci mancano banchine adeguate per treni lunghi e gallerie
più grandi. Il risultato che il trasporto su rotaia non è mai decollato, anzi ha perso terreno». Negli ultimi mesi
tuttavia l'aria è cambiata. Il ministero dei Trasporti ha messo in campo gli incentivi del "ferrobonus", e si è
impegnato a sostenere investimenti in infrastrutture, per risagomare le gallerie e allungare la banchine.
Anche Fs torna in pista. Dopo anni di letargo, in cui i vertici del gruppo ferroviario avevano scelto di
abbandonare gradualmente un business che perdeva un sacco di soldi ( 800 milioni il rosso di bilancio
complessivamente cumulato dal 2011 al 2016) Fs ha messo mano al settore. E come prima cosa lo ha
riorganizzato sotto le insegne di Merci Italia, nuova società di logistica e merci, guidata dall'amministratore
delegato Marco Gosso, che dispone di un budget di investimenti di 1,5 miliardi per i prossimi 10 anni.
«Finalmente c'è attenzione nei confronti delle merci su rotaia anche da parte dell'ex monopolista - continua
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Pag. 21 N.6 - 13 FEBBRAIO 2017
diffusione:400000
Laguzzi - A partire dal prossimo anno, poi, potremmo utilizzare in notturna le linee ad alta velocità. Ma
l'Italia, oltre ai cantieri per le infrastrutture, deve adeguarsi agli standard europei anche sul lavoro, con un
solo macchinista per treno, permettendo un aumento dell'efficienza e una riduzione dei costi e quindi dei
prezzi al cliente, stimata intorno all'8%». Del resto la campanella che segnala l'arrivo dei treni merci, il
vecchio "leoporder", sta suonando forte per il traffico merci italiano. L'anno scorso c'è stata il taglio del
nastro del tunnel di base del San Gottardo, la galleria ferroviaria più lunga del mondo che ha spalancato
alla Penisola le porte del Nord Europa, a cui seguirà l'apertura, entro il 2026, della galleria del Brennero. In
Italia il traffico merci vale circa un miliardo di euro di giro d'affari. Ancora molto poco. «Ma il dato è
superiore di 4-5 volte se prendiamo in considerazione tutta la filiera logistica. Dobbiamo ragione in termini
di traffico intermodale, coinvolgendo tutti gli attori del trasporto via mare, ferro e gomma. Solo così l'Italia
può diventare la piattaforma logistica del Mediterraneo», conclude Laguzzi . CONFETRA, S. DI MEO,
TRENITALIA, FERCARGO
Foto: Dai grafici si evince che nell'ultimo anno è iniziato un lento recupero del trasporto merci su ferrovia, in
virtù anche dei primi accenni di ripresa economica
Foto: Giancarlo Laguzzi presidente di Fercargo, l'associazione delle società "indipendenti"
Foto: Marco Gosso ad di Merci Italia, nuova società di logistica e merci del gruppo Fs
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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 13/02/2017 153
13/02/2017
Pag. 21
diffusione:154324
tiratura:222715
INFORMATICA
Il magazzino di Cassino diventa intelligente con i sistemi di Incas
PAOLA GUABELLO
L'età media dei 180 dipendenti è al di sotto dei 40 anni e il 35% è laureato. Così la Incas di Vigliano (nel
Biellese) con 32 milioni di fatturato nel 2016 (+20% sul 2015), ha portato a casa fra gli altri contratti, anche
una collaborazione con Fca. Nello stabilimento di Cassino dove i robot della Comau costruiscono la nuova
Alfa Romeo Giulia, il magazzino è intelligente. «I nostri sistemi portano al robot il pezzo appropriato nel
preciso momento in cui deve essere usato, fino a compiere anche 600 viaggi l'ora - spiega Ermanno Rondi,
63 anni, ad del gruppo, con una laurea in ingegneria e un esperienza alla Aeritalia (oggi Alenia) a Caselle -.
Nel 1981, quando Incas ha aperto, ero partito dal tessile. Il primo impianto che progettai, in uno scantinato,
era per la pesatura automatica dei filati: se prima c'era un operaio che leggeva la bilancia, registrava tutto
su un foglietto che poi passava da un ufficio all'altro, dischi e calcolatori lo potevano sostituire. Ma questo
non significa che oggi leviamo di uomini dalle aziende. Piuttosto, per la fabbrica 4.0, ora servono figure
diverse, tecnici in grado di progettare, pianificare e gestire i flussi di lavoro. Più cervelli per le mani». La
logistica di Incas serve le griffe moda, l'industria alimentare, chi produce gioielli, pentole o edita libri ma gli
impianti di automazione hanno ancora orizzonti lunghi. «Di spazio ce n'è - conclude Rondi - La vera sfida è
quella di progettare sistemi anche per le piccole e medie imprese, per rendere la produzione più flessibile,
veloce e migliorare il servizio ai clienti. L'obiettivo è quello di organizzare un magazzino centrale che riesca
a ricevere i pezzi e distribuirli ai reparti, governando i movimenti di tutta la fabbrica». c
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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 13/02/2017 154
12/02/2017
Pag. 60 Ed. Cuneo
diffusione:154324
tiratura:222715
con la primavera è tempo di ristrutturazioni e restauri
È l'ora di programmare il maquillage della casa
La primavera è alle porte ed è ora di programmare gli interventi di maquillage alla propria casa immaginati
da tempo, sia che si tratti di ritinteggiare gli esterni o di cambiare l'ascensore o, ancora, sostituire il portone
del garage. Ma anche interventi più profondi, destinati a cambiarne il volto. Ecco allora quattro indirizzi che
potrebbero fare al caso giusto.
Per esempio l'impresa Guido Silvio di Priola, da quasi un quarto di secolo specializzata nelle
ristrutturazioni edili, innanzitutto civili, ma non solo. L'impresa si divide tra cantieri in Piemonte e Liguria
offrendo sempre l'opzione più ricercata da chi deve fare i conti con un cantiere in casa: la ristrutturazione
chiavi in mano. L'impresa di Priola può vantare un riconoscimento come eccellenza artigiana nel campo dei
restauri ottenuto dalla Regione Piemonte nel 2009.
Dai pavimenti agli infissi, spunta un altro indirizzo d'eccellenza nel Cuneese, un'impresa che in 37 anni di
attività ha saputo ritagliarsi uno spazio nel mercato dell'edilizia: la Isa serramenti. Fondata nel 1980 da
Carlo Perrone, l'azienda è via via cresciuta, fino a spostarsi da Mondovì a Villanova, in un'area più
spaziosa, ampliando anche la gamma di produzione: all'alluminio si è affiancato il pvc. Oggi l'azienda è una
realtà consolidata che propone vari tipi di serramenti e infissi fino ad arrivare ai portoni blindati e ai portoni
garage, senza dimenticare la gamma delle porte interne. Basta sfogliare la gallery che Isa serramenti ha sul
suo sito per riconoscere la mano dell'azienda di Villanova dietro molti edifici della zona, a cominciare dalla
piscina comunale di Mondovì. E poi scuole, negozi e industrie. E, ovviamente, case private. Sempre con la
stessa garanzia: la posa dei serramenti è curata da dipendenti altamente specializzati dell'azienda
villanovese.
Sempre a Villanova Mondovì c'è un altro artigiano che può essere utile per chi si appresta al maquillage di
primavera. È Fabio Cardone, imbianchino. Con la sua impresa di decorazioni è in grado di soddisfare
qualsiasi richiesta possa scaturire da un'assemblea di condominio o dal progetto di restauro di una casa:
dunque tinteggiature di esterni e decorazioni di interni.
«Non abbiamo limiti - spiega Cardone -: il cliente ci spiega cosa vuole e insieme troviamo la soluzione
migliore. È la strada migliore per mettere a frutto l'esperienza maturata in anni di lavoro con i colori,
lavorando in tanti cantieri».
Da Villanova a Vicoforte, dalle decorazioni agli ascensori. L'ultima tappa è alla «Ascensori Rossini srl»,
che da più di mezzo secolo progetta e installa impianti di qualsiasi tipo, inserendoli sia in edifici di nuova
costruzione sia in palazzi e case già esistenti, con «interventi personalizzati, chiavi in mano».
Ma l'azienda si sta facendo largo anche nel campo della manutenzione impianti. Da dicembre è entrata nel
consorzio Tre -, composto da 19 Pmi del settore ascensoristico -, che condividono un percorso comune di
crescita. Una crescita che passa attraverso un miglioramento delle competenze tecniche della squadra di
addetti dell'impresa. Di qui il lancio del nuovo servizio di «manutenzione multimarca impianto sicuro».
Nella sostanza i tecnici della Rossini ascensori - grazie anche all'impiego di strumenti di ultima
generazione come tablet e palmari - sono in grado di intervenire su impianti di qualsiasi marca,
multinazionali comprese, garantendo un servizio di manutenzione più veloce e affidabile, «con un ottimo
rapporto qualità/prezzo - come sottolinea l'ad Valentina Rossini - e con la garanzia di un'azienda certificata
in qualità e sicurezza».
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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 13/02/2017 155
11/02/2017
Pag. 38 N.30 - 11 febbraio 2017
diffusione:69939
tiratura:128717
I nuovi clienti private
Andrea Giacobino
Come cambiano i clienti del private banking? La risposta la dà il 2017 Bnp Paribas Global Entrepreneur
Report, stilato dalla banca francese in collaborazione con Scorpio Partnership, che identifica 5 identikit. La
ricerca ha analizzato comportamenti e attese d'investimento di 2.650 ultramilionari di 21 Paesi tra Europa,
Asia e Stati Uniti, cui fa capo una ricchezza di 40 miliardi di dollari. Sono gli «imprenditori Elite», titolari di
aziende di grande successo e dal notevole patrimonio personale. Nel dettaglio il valore medio della
ricchezza netta posseduta da questi imprenditori è di 14,9 milioni di dollari, mentre la media annua del
fatturato delle loro imprese è di 8,5 milioni. Il 71% di essi viene già da una famiglia imprenditoriale:
maggiore è il patrimonio posseduto, maggiore è anche la probabilità di aver ereditato un business di
famiglia. Il legame con il background familiare è molto più pronunciato tra gli imprenditori che hanno meno
di 35 anni, i Millennipreneurs (imprenditori della generazione Millennials). Il 79% di essi ha una famiglia di
imprenditori alle spalle, percentuale ben superiore al 61% degli imprenditori over 55, i Boomerpreneurs figli
del baby boom. Il 45% degli imprenditori Elite dichiara che la maggior parte della ricchezza deriva da:
information technology, online, sviluppo software per dispositivi mobili e digitali, manifatturiero, commercio
retail e progettazione. Per più di metà (61%) l'utile è cresciuto negli ultimi 12 mesi. Tra i Millennials il 70%
ha aumentato i profitti, mentre a livello geografico gli imprenditori di Brasile e Usa sono quelli di maggior
successo: il 65% di essi segnala aumenti di redditività nell'ultimo anno. Circa due imprenditori su tre
prevedono profitti in aumento anche nel 2017. I più ottimisti sono gli imprenditori di Medio Oriente (72%) e
Brasile (80%). Lo sono anche i Millennials: il 69% di essi prevede utili in crescita. Ma quali saranno le loro
abitudini d'investimento nel 2017? In media, il 16% della ricchezza degli imprenditori Elite è legata al
business. Un ulteriore 18% è investito in fondi di private equity o società di business angel. Liquidità e
immobili assorbono invece il 13% ciascuno. Il 32% della ricchezza è allocata in reddito fisso, azioni e
investimenti socialmente responsabili. Gli imprenditori Elite sono propensi a detenere tra il 50 e il 66%
dell'attività nello stesso mercato in cui risiede l'azienda; mentre la percentuale restante si disperde in
misura molto ampia. In Europa, per esempio, il business degli imprenditori belgi, francesi, lussemburghesi e
tedeschi ha una dispersione molto più ampia che altrove, anche se la dispersione maggiore si ha tra gli
imprenditori svizzeri e indiani. Aldilà della polarizzazione sui mercati domestici e su quelli vicini, i Paesi che
attraggono di più gli imprenditori sono Usa e Cina, seguiti a ruota da Germania e Regno Unito. Gli
imprenditori del Medio Oriente detengono gran parte del patrimonio sotto forma di cash, hedge fund e
soprattutto immobili. Gli imprenditori più anziani, invece, tendono a distribuire di più la ricchezza sui titoli. E
veniamo ora ai cinque profili degli imprenditori Elite esaminati. Anzitutto gli Ultrapreneurs, cioè quelli la cui
ricchezza investibile supera 25 milioni di dollari. Gli Ultrapreneurs Usa sono i più ottimisti in termini di
previsioni sull'andamento del business nel 2017: l'84% si attende un aumento dei profitti. A Singapore ci
sono i più cauti visto che solo un terzo di essi è di identica opinione, mentre il 18% se ne attende addirittura
un calo. Nel complesso, tuttavia, il 71% degli Ultrapreneurs prevede profitti in aumento. Circa il 75%
definisce molto importante la responsabilità sociale d'impresa o è comunque un elemento di cui tener conto
nel business e negli investimenti. Se vende la società operativa, in media l'Ultrapreneur allocherà il 15% dei
proventi in un business angel o un private equity e un ulteriore 10% in nuove iniziative imprenditoriali da
essi stessi promosse. Detto questo, gli Ultrapreneur vorrebbero tenere il 33% in cash, reddito fisso o azioni,
mentre un altro 8% sarà detenuto in fondi hedge. Un altro 8% sarà destinato ad acquisti di beni di lusso e
l'8% ad attività filantropiche. Ci sono poi i Serialpreneurs, quelli che hanno fondato più di 4 aziende. La
ricchezza netta media è 17,6 milioni di dollari, il 28% in più degli imprenditori che hanno costituito meno di
quattro società. I paesi dove è più alta la percentuale di Serialpreneurs sono India, Francia, Usa e
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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 13/02/2017 156
11/02/2017
Pag. 38 N.30 - 11 febbraio 2017
diffusione:69939
tiratura:128717
Indonesia. Il numero medio di società costituite da essi è 7,5, quasi quattro volte quanto si riscontra tra i
non Serialpreneurs, che hanno fondato in media 1,7 imprese. Il fatturato annuo dell'attività principale è 10,3
milioni di dollari, il 37% in più rispetto ai ricavi medi dei non Serialpreneurs. I Serialpreneurs donna hanno
più probabilità di essere spinte dal desiderio di affermazione personale e compiere imprese in apparenza
impossibili, rispetto ai coetanei di sesso maschile. Fattore collocato dalle Serialpreneurs al secondo posto
in termini di motivazione, alle spalle dei benefici di un'affermazione dal punto di vista finanziario che deriva
dall'essere imprenditrici. Per i Serialpreneurs inoltre il possibile impatto sociale della loro impresa è una
motivazione primaria che li spinge ad agire con una frequenza doppia rispetto ai non appartenenti alla
categoria. Il terzo profilo riguarda i Millennipreneurs, imprenditori Elite della generazione Millennial, nati tra
il 1980 e il 2000. Nel campione esaminato dichiarano un patrimonio netto medio di 14,75 milioni di dollari,
con fatturato medio dell'attività principale di 8,7 milioni. I Millennipreneurs tendono più di altre generazioni a
trasformarsi in Serialpreneurs: il 31% di essi è già della categoria e il numero medio di aziende lanciate è
6,8, contro 7,5 dei Serialpreneurs. Ma non va dimenticato che i Millennials vantano solo un decennio di
attività. Il 75% di essi ritiene di essere un distruttore dello status quo. Per le generazioni subito precedenti la
percentuale di chi si definisce tale scende al 70% Solo un terzo dei Baby Boomer imprenditori invece ama
definirsi così. Il quarto profilo è quello delle Womenpreneurs, donne imprenditrici che sentono di aver
sfondato il cosiddetto «soffitto di vetro». Le imprenditrici Elite hanno in media una ricchezza netta di 15,9
milioni di dollari, e l'attività principale genera ricavi per 8,6milioni. Il numero medio di aziende è 3,6. Tutte
cifre superiori a quelle riscontrate tra i coetanei maschi. L'ultimo profilo è quello dei Boomerpreneurs,
imprenditori over 55, della generazione del baby boom. Hanno avviato la vita imprenditoriale molto più tardi
(in media a 37 anni) rispetto ai Millennipreneurs, generalmente partiti tra i 20 e i 30anni. Malgrado l'inizio
tardivo, hanno raggiunto grandi risultati. Il patrimonio netto medio è 13,3 milioni di dollari e il fatturato annuo
del core business è 5,6 milioni di dollari.I Boomerpreneurs tendono a investire più della media in iniziative
imprenditoriali, sia personalmente che tramite il private equity. In media simili investimenti valgono 3 milioni
di dollari. Ma sale l'importanza di crowdfunding e seed funding. (riproduzione riservata)
L' ATTUALE PORTAFOGLIO DEGLI IMPRENDITORI...
...E QUELLO DESIDERATO Allocazione complessiva della ricchezza degli imprenditore Elite, La figura
illustra la media delle asset class ma non tutto gli imprenditori investono in ogni settore Fonte: 2017 BNP
Paribas Global Entrepreneur Report Il classico bilancio personale di un imprenditore Elite dopo un evento di
liquidità (per esempio vendita di un'azienda). La figura illustra la media delle allocazioni ma non tutto gli
imprenditori investono in ogni asset class Fonte: 2017 BNP Paribas Global Entrepreneur Report GRAFICA
MF-MILANO FINANZA GRAFICA MF-MILANO FINANZA
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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 13/02/2017 157
13/02/2017
Pag. 14 N.37 - 13 febbraio 2017
diffusione:88589
tiratura:133263
Le modalità di accesso al fondo destinato alle Pmi fornitrici di aziende in diffi coltà
Crisi, uno scudo sui creditori
Garanzia gratuita dell'80% sulle operazioni fi nanziarie CINZIA DE STEFANIS
Una garanzia strategica per le aziende in crisi. Parliamo delle Pmi fornitrici ovvero creditrici di società in
amministrazione straordinaria che gestiscono stabilimenti industriali di interesse strategico. A queste viene
riconosciuta da parte dello stato una garanzia gratuita e diretta dell'80% per l'accesso al fondo Pmi. Ai fi ni
della valutazione economica fi nanziaria verrà concessa una riduzione del 20% dei valori di riferimento di
ciascun indice nonché dei valori intermedi per l'assegnazione dei punteggi. Per la concessione delle
garanzie dirette e delle controgaranzie in favore delle imprese sarà utilizzata nell'ambito delle risorse
disponibili del fondo di garanzia la quota di riserva pari a 35 milioni di euro. È con la circolare del medio
credito centrale (soggetto gestore del fondo Pmi) del 27 gennaio 2017 n. 1 che sono state aggiornate le
disposizioni operative del fondo per la concessione delle garanzie statali per le aziende in crisi. Ricordiamo
che con il decreto interministeriale Mise e Mef del 12 gennaio 2017 (pubblicato sulla Gazzetta uffi ciale del
12 gennaio 2017 n. 9) sono state fi ssate le modalità di accesso al fondo nazionale di garanzia . Modalità
operative di accesso al fondo di garanzia Pmi. Alla richiesta di garanzie dirette e di controgaranzie su fi
nanziamenti da concedere alle Pmi deve essere allegata, a pena di esclusione, un'attestazione del
commissario dell'impresa debitrice che l'azienda benefi ciaria ne è fornitrice o creditrice ai sensi dell'articolo
2-bis, comma 1, del decreto-legge n. 1/2015. La garanzia diretta e la controgaranzia del fondo sono
rilasciate sulle operazioni finanziarie da concedere alle Pmi benefi ciarie: - fi no all'importo massimo
garantito dal fondo di euro 2.500.000,00; - senza alcun onere o spesa; - a condizione che sulle operazioni fi
nanziarie assistite dalla garanzia diretta o dalla controgaranzia del fondo non venga acquisita dai soggetti fi
nanziatori nessun'altra garanzia reale, bancaria, personale o assicurativa. Garanzia diretta e
controgaranzia. La garanzia diretta del fondo è concessa in favore delle Pmi benefi ciarie fi no alla misura
massima dell'80% dell'ammontare delle operazioni fi nanziarie ammissibili. Nei limiti dell'importo massimo
garantito deliberato dal Consiglio di gestione, la garanzia diretta interviene fino alla misura massima
dell'80% dell'ammontare dell'esposizione per capitale e interessi, contrattuali e di mora, dei soggetti fi
nanziatori nei confronti delle Pmi benefi ciarie, calcolato al sessantesimo giorno successivo all'avvio delle
procedure di recupero così come regolate dalle disposizioni operative. La controgaranzia del fondo è
concessa in favore delle Pmi benefi ciarie fi no alla misura massima dell'80% dell'ammontare delle
operazioni finanziarie ammissibili, con copertura fi no all'80% da parte del soggetto richiedente la
controgaranzia stessa. Nei limiti dell'importo massimo garantito deliberato dal consiglio di gestione, la
controgaranzia interviene fi no alla misura massima dell'80% della somma liquidata dal soggetto
richiedente al soggetto fi nanziatore. Le richieste di garanzia diretta e controgaranzia relative alle operazioni
fi nanziarie da concedere in favore delle imprese sono deliberate dal consiglio di gestione, in via prioritaria,
entro trenta giorni dall'arrivo della richiesta o dal completamento della stessa. Soggetti beneficiari. I soggetti
beneficiari finali, ai quali viene concessa la garanzia pubblica, sono le piccole e medie imprese (così come
defi nite dalla normativa europea), comprese le imprese artigiane, presenti sul territorio nazionale,
economicamente sane e appartenenti a qualsiasi settore, a esclusione dei settori ritenuti sensibili
dall'Unione Europea. Sono, inoltre, soggetti benefi ciari fi nali i consorzi e le società consortili, costituiti tra
piccole e medie imprese di cui gli articoli 17, 18, 19 e 23 della legge 5 gennaio 1991, n. 317 e le società
consortili miste di cui all'articolo 27 della medesima legge. Sono infi ne ammissibili alla garanzia del fondo i
professionisti iscritti agli ordini professionali e quelli aderenti alle associazioni professionali iscritte
nell'elenco tenuto dal ministero dello sviluppo economico ai sensi della legge 14 gennaio 2013, n. 4 e in
possesso dell'attestazione rilasciata ai sensi della medesima legge. Ad accedere alla garanzia del fondo
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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 13/02/2017 158
13/02/2017
Pag. 14 N.37 - 13 febbraio 2017
diffusione:88589
tiratura:133263
sono soprattutto microimprese (59,7%), cui seguono le piccole imprese (31,3%) e le imprese di medie
dimensioni (8,6%). Le imprese artigiane rappresentano una buona parte dell'operatività del fondo centrale:
hanno presentato nel 2016 più di 23.333 operazioni, pari al 20,4% del totale. A seconda della natura del
soggetto che si rivolge al fondo centrale di garanzia esistono diverse modalità di intervento: • garanzia
diretta: indica la garanzia prestata dal fondo direttamente a favore dei soggetti fi nanziatori. In questo caso,
l'impresa che necessiti di un fi nanziamento può chiedere alla banca di garantire l'operazione con la
garanzia pubblica. L'attivazione di questa garanzia è a rischio zero per la banca che, in caso di insolvenza
dell'impresa, viene risarcita dal Fondo e, in caso di eventuale esaurimento di fondi di quest'ultimo,
direttamente dallo Stato; • Controgaranzia: indica la garanzia prestata dal fondo a favore dei Confi di, e
degli altri fondi di garanzia. In questo caso l'impresa si rivolge a un confi di o ad altro fondo di garanzia che
provvederanno a inviare la domanda di controgaranzia al fondo; • Cogaranzia: indica la garanzia prestata
dal fondo direttamente a favore dei soggetti finanziatori e congiuntamente ai confidi, agli altri fondi di
garanzia ovvero ai fondi di garanzia istituiti nell'ambito dell'Unione Europea o da essa cofi nanziati. ©
Riproduzione riservata
Come funziona la garanzia statale Alle Pmi benefi ciarie si applicano i seguenti benefi ci: la garanzia
viene concessa a titolo gratuito; • la garanzia diretta e la controgaranzia del fondo sono rilasciate sulle •
operazioni fi nanziarie da concedere alle Pmi benefi ciarie fi no all'importo massimo garantito dal fondo di
euro 2.500.000,00 e a condizione che sulle operazioni fi nanziarie assistite dalla garanzia diretta o dalla
controgaranzia del fondo non venga acquisita dai soggetti fi nanziatori nessun'altra garanzia reale,
bancaria, personale o assicurativa; la garanzia diretta interviene fi no alla misura massima dell'80 per cento
• dell'ammontare dell'esposizione per capitale e interessi, contrattuali e di mora, dei soggetti fi nanziatori nei
confronti delle Pmi benefi ciarie; la delibera della richiesta di garanzia viene adottata in via prioritaria , entro
• trenta giorni dall'arrivo della richiesta e dal completamento della stessa
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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 13/02/2017 159
13/02/2017
Pag. 3 N.5 - 13 febbraio 2017 Corriere del Mezzogiorno Economia
L'intervista L'assessore alle Attività produttive dell'amministrazione della Campania
«Pronti ad aggiungere risorse per incentivare Industria 4.0.»
Lepore: «Quanto alle grandi imprese, sono state ammesse a finanziamento già 51 intese di sviluppo per un totale di 1,6 miliardi di investimento» Laura Cocozza
Ha ricevuto l'apprezzamento di sindacati, associazioni datoriali e amministratori regionali, l'emendamento
proposto dal Governo e approvato dalla commissione Bilancio della Camera, col quale si rafforza il credito
d'imposta per le aziende che investono al Sud, previsto nel testo del Decreto legge dedicato agli Interventi
urgenti per le situazioni critiche di alcune aree del Mezzogiorno. Nelle regioni interessate, le grandi imprese
passano dall'attuale 10% di aliquota al 25; le medie dal 15% al 35; le piccole dal 20% al 45. Inoltre, per le
piccole imprese aumenta il costo del singolo progetto d'investimento in beni strumentali che può godere
dell'agevolazione, che passa da 1,5 a 3 milioni di euro e per le medie imprese passa da 5 a 10 milioni di
euro. Il testo dovrà passare al vaglio del Senato ma, considerando il consenso ottenuto, dovrebbe restare
inalterato.
Tra i primi a mostrarsi soddisfatti, l'assessore regionale alle attività produttive della Campania Amedeo
Lepore: «È stata una scelta opportuna, perché ora la misura è più utilizzabile da parte delle imprese -
dichiara l'assessore - e bene equilibrata tra le piccole che hanno una aliquota consistente e le grandi che
ottengono una agevolazione il cui importo cresce in proporzione all'investimento».
Il credito d'imposta è stato individuato quale strumento strategico da finanziare, nell'ambito del Patto per lo
sviluppo della Regione Campania. Intendete aumentare il cofinanziamento deliberato di 25 milioni di euro?
«L'obiettivo programmatico era di arrivare, in base ad una ripartizione fatta dal Governo, fino a 116 milioni
di cofinanziamento. Siamo in attesa di definire le cifre effettive, anche perché prima dell'emendamento, la
misura offriva livelli di aiuto considerati insufficienti dalle aziende».
Resta comunque il problema delle restrittive possibilità di cumulo con altre agevolazioni.
«Speriamo possano esserci ulteriori correttivi in questo senso. Comunque, le misure regionali sono
cumulabili. Tale credito rientra tra quegli strumenti di sviluppo rispetto ai quali ci muoviamo in linea col
Governo, puntando ad allargarne gli effetti in Campania per renderla più competitiva nei confronti delle altre
regioni. Ma riteniamo strategico predisporre anche un'altra serie di misure che attraggano investimenti».
A quali si riferisce in particolare?
«Stiamo pensando, ad esempio, di cofinanziare anche il credito d'imposta destinato a ricerca e sviluppo,
previsto nella Legge di stabilità, che riguarda soprattutto il piano Industria 4.0. Inoltre, abbiamo predisposto
nell'ambito del collegato alla Legge di stabilità che andrà a breve in discussione al Consiglio, per le aziende
che realizzino una nuova sede produttiva sul territorio regionale, l'esonero dall'Irap per i 5 anni successivi
alla data di iscrizione nel registro imprese».
Qual è l'agevolazione che finora ha ricevuto più consensi?
«Si è rivelata molto efficace la decontribuzione per le nuove assunzioni a tempo indeterminato di soggetti
svantaggiati, a valere sull'annualità 2016. Ad oggi sono arrivate 3894 istanze. Le pratiche chiuse sono 3444
di cui 3325 complete. Rispetto a queste, i lavoratori assunti ammontano a 7684. Simulando l'importo
massimo concedibile, il totale di finanziamento regionale ammonta, ad oggi, a 54 milioni di euro. Ne
avevamo stanziati 50 e dunque certamente rifinanzieremo la misura e la manterremo in vigore.
Le misure sulle quali puntate nel breve termine?
«Per le piccole e medie imprese si apre l'opportunità degli interventi previsti per le aree di crisi non
complessa, rispetto ai quali la Campania parte favorita, visto che le aree industriali interessate ricoprono
una superficie pari al 50% con oltre 2 milioni e 900 mila abitanti. Lunedì scorso il Governo ha comunicato
alle regioni che il 6 aprile ci sarà il click day, cioè il giorno in cui le imprese potranno presentare progetti per
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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 13/02/2017 160
13/02/2017
Pag. 3 N.5 - 13 febbraio 2017 Corriere del Mezzogiorno Economia
un tetto minimo di spesa di 1 milione e mezzo di euro».
A parte gli aiuti alle Pmi, considerando che il sottodimensionamento è riconosciuto come un problema del
tessuto imprenditoriale campano, avete programmato strumenti per favorirne la crescita o per attrarre
grandi aziende?
«Per le grandi imprese stiamo avendo un ottimo esito con i contratti di sviluppo: su 91 istanze presentate,
51 sono state ammesse a finanziamento, per un totale di 1 miliardo e 600 milioni di investimenti. Per gli
accordi finora sottoscritti il contributo regionale è stato di 20 milioni. Stiamo anche discutendo col Mise un
accordo quadro per il quale la regione potrebbe impegnare 160 milioni, allo scopo di prevedere nuovi
contratti e accelerare quelli esistenti. Infine, anche per incentivare le reti d'impresa, abbiamo stanziato 50
milioni di euro su fondi Fesr per un insieme di interventi volti al trasferimento tecnologico tra centri di ricerca
e Pmi, e abbiamo firmato due protocolli d'intesa con Ice e Sace per agevolare l'internazionalizzazione, di
cui stanno usufruendo molte aziende campane».
Chi è Amedeo Leporeassessore assessore
Professore di Storia economica presso il Dipartimento di Economia dell'Università Vanvitelli, dove è titolare
degli insegnamenti di Storia Economica, di Storia dell'Impresa e di Storia del Capitalismo, dal 2015 nella
giunta guidata da Vincenzo De Luca con la delega alle Attività produttive della Campania. È componente
del Consiglio di amministrazione e del Comitato di presidenza della Svimez . È socio dell'Accademia
Pontaniana, nella Classe di Scienze Morali, e della Società Napoletana di Storia Patria.
Presiede la Giuria del premio di meridionalistica «Sele d'Oro-Mezzogiorno».
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